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The Project Gutenberg EBook of Mattinate napoletane, by Salvatore Di Giacomo

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org

Title: Mattinate napoletane

Author: Salvatore Di Giacomo

Release Date: August 31, 2009 [EBook #29873]

Language: Italian

*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK MATTINATE NAPOLETANE ***

Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive)

Edizione definitiva

S. DI GIACOMO

MATTINATE

NAPOLETANE

(Secondo migliaio)

NAPOLI

LUIGI PIERRO EDITORE

1887

MATTINATE NAPOLETANE

S. DI GIACOMO

MATTINATE NAPOLETANE

Secondo Migliaio

NAPOLI

LUIGI PIERRO EDITORE

1887

PROPRIET?? LETTERARIA

riproduzione vietata

Napoli???Tip. Edit. E. Pietrocola???Napoli 44, Cisterna dell'Olio, 44

_Esaurita, in pochissimo tempo, la prima edizione delle Mattinate, l'autore ha voluto cedere a noi la propriet?? di questa seconda, definitiva, curandola e correggendola con pi?? amore._

E per?? siamo sicuri che non le verr?? meno quella simpatia che il pubblico le addimostr?? da principio.

L'EDITORE

VULITE 'O VASILLO????

Napoli, Marzo 1885

CARISSIMO PAOLO,

Io non ho, qui a Napoli, con chi sfogare certe mie piccole pene, che mi pare abbiano tutta la buona intenzione di rimanersene meco alloggiate, in questa cameretta mia solitaria. Non ho stretto amicizia con nessuno, apposta per non dare a nessuno il modo di subitamente allontanarsi da me per qualche improvvisa scappatella che mi facesse il morboso carattere mio. Vivo solo e tranquillo in questa mia stanza, dalla quale esco a prima ora di mattina per trovarmi all'Istituto, e un po' a sera, col tempo buono, per avvelenarmi con una chicchera di caff?? e con un sigaro napoletano. Il caff??, per acquaccia nera che sia, mi permette di studiare e di leggere fino a notte avanzata, e ci?? mi fa bene, lasciandomi dimenticare, sviando il pensiero e interessandomi a qualche cosa fuori di me stesso. Da qualche giorno, per??, il mio umore ?? ridiventato nero, pel tempo perverso che mette ovunque un silenzio di malinconia e nelle povere anime sofferenti uno sgomento indefinibile, una lunga e nervosa tristezza che a momenti si vorrebbe mutare in tante calde lacrime piante tacitamente, la faccia nelle mani, mentre, come ora che ti scrivo, seguita la pioggia a borbottar nelle grondaie e lontano lontano muore un tintinnio di campanelle vaganti.

Or io mi sono, solo solo, rincantucciato presso alla mia finestra e guardo, per le vetrate, nella via deserta ove son tutte chiuse le botteghe e taciti e frettolosi i rari passanti. Il cielo ?? grigio come la veste d'una monacella di questua; si leva da una terrazza di faccia a me e vi si disegna a carbonella il palo del telegrafo, irto di capovolti interrogativi che irraggiano a destra e a manca fili neri, i quali si vanno lontanamente a perdere. Sta in fondo Sant'Elmo, vestito appi?? delle mura di un cupo verde alimentato dalle piogge e dall'umidit??, sforacchiato da tanti buchi neri in fila. E una fila d'uomini ritti, immobili, par la cresta merlettata del castello, dietro il quale impallidisce freddamente il cielo, come negli antichi acquarelli de' trittici olandesi.

Ebbene, Paolo mio, dopo questo io non ho che o troppo poco ancora, o tante, tante cose a dirti! Ancora parlarti di me, delle mie incoerenze, dei contrasti che s'agitano e s'accapigliano in quest'anima mia inquieta, delle aspirazioni, de' sogni a' quali tengo dietro, col cuore tremante? Non voglio; quest'altra stanzetta ove tu seguiti, in un paese lontano dal mio, a innamorarti delle farfalle e degli scarabei verdi riscintillanti, a raccogliere pazientemente e ad ordinare famiglie di crittogame o di fanerogame tra fascicoli di carta, mio buon Linneo calmo e tranquillo, quest'altra stanzetta ?? ancora troppo piena di me. Or le tue piante e i tuoi scarabei non mi sentono pi??; non pi?? la vecchia spinetta canta loro le semplici arie della nostra montagna nelle beate dolcissime sere lunari. Paolo mio caro, vuoi raccontare una storiella a questa tua silenziosa famiglia? Te la mando da Napoli, da questo strano cuore d'Italia che patisce, se lo si considera bene, di tutti i mali cardiaci, dell'aritmia, dell'iperestasia, dei ribollimenti subitanei e delle lunghe paci silenziose, da' battiti lenti, quasi malati.

Dunque, ascolta. La storiella potrebbe pur esser vera.

* * *

Tre giorni dopo arrivato, col mio bravo cassettino ad armacollo e col mazzo di pennelli tra mani, infilavo, entrandovi da Borgo Loreto, il lungo vicolo Giganti, pel quale si spunta alla Marinella. Tu non sei stato mai a Napoli e non puoi sapere che sieno questi vicoli di Borgo Loreto, topaie di marinari miserabili, vestiti di lana doppia, puzzolenti, neri come il carbone. Tutta la vita grama di questi lavoratori del mare s'agita ripullulando, in case buie, profonde, umide. Un tristo e schifoso spettacolo, poco lontano dall'azzurro, divino spettacolo del mare, innanzi al quale la mia mano freme sulla tavolozza.

Io, dunque, per andare a dipingere alla riva, passavo pel vicolo Giganti, guardando qua e l?? curiosamente e persino fermandomi a contemplare, con meraviglia di forestiero e curiosit?? d'artista, qualche interno pittorico, pieno d'ombre e di mistero. Fu in una di queste fermate che una donna sui trent'anni, piccola, bionda come tutte le figlie del mare, mi chiam?? sulla soglia di casa sua, nella via, e mi chiese, sorridendo, se volessi disegnarla. Rimasi sorpreso: avevano dunque capito, questi del vicolo Giganti, che mestieraccio facevo?

???Io vi disegner??, bella bionda,???le risposi???ma com'?? che sapete ch'io disegno?

Ella mi disse che passavano sempre per quella via de' giovanotti, i quali andavano a disegnare le barchette e il mare e i pescatori; ognuno di loro portava sotto il braccio un cassettino come il mio, nelle mani i pennelli e in testa un cappelluccio a cencio, come il mio. Ora i disegnatori li conoscevano subito.

???Sta bene; vuol dire che un bel giorno ripasso e vi disegno???

???Quando?

???Al pi?? presto possibile, bella bionda.

???Io non mi chiamo bella bionda. Mi chiamo Fortunata. Volete passare luned???

???Passer?? luned??.

Al luned??, di buon'ora, mi trovai al vicolo Giganti. Fortunata, ritta sulla soglia di casa sua, lavorava all'uncinetto, sorridendo. Mi aveva visto da lontano.

???Dunque? Siamo pronti?

???Entrate.

La seguii in una piccola stanza, dal pavimento tutto sconnesso e sporco. Attorno, appesi ai muri, immagini di santi, olivo benedetto, nasse di pescatori, corbelli di paglia, piccole bombole pe' polipi. Una tavola, un lettuccio, due o tre seggiole zoppicanti.

???Sentite???disse lei, appoggiandosi col dosso alla tavola e giuocando col gomitolo???io vi volevo chiedere un favore???

E come io la interrogavo con gli occhi, non sapendo che cosa mi stesse per capitare addosso, ella soggiunse prestamente:

???Ebbene, ecco, io non volevo esser disegnata proprio io, perdonatemi???

???E chi?

Ella volse lo sguardo al lettuccio, confusa. Allora m'accorsi che nel lettuccio c'era qualche cosa. Un piccino. Due grandi occhi azzurri mi guardavano spaventati, una testina bionda come quella di Fortunata si levava dal capezzale, intenta.

???Il piccino???mormor?? lei.

Ma come m'accostavo al lettuccio il piccino fu preso da gran terrore.
Ricacci?? il capo sotto le coltri e si mise a urlare.

????? malato.???disse Fortunata???ha una gran febbre da cinque giorni. ?? mio figlio Ndreuccio. Ndre??? Bell' 'e mamma, te vuo' fa disign??? Il signore, lo zio, ti far?? il ritratto, e mamma te lo metter?? qui appeso, di faccia a te, e quando tata verr?? e vedr?? il ritratto di Nndreuccio, dir??: Questo ?? Ndreuccio bello, tale e quale???

Il piccino ascoltava, con gli occhi lucenti di febbre, senza mostrare di decidersi.

???Guarda,???gli dissi mostrandogli un soldo in punta di dita???se sarai buono io ti dar?? questo soldo.

Sorrise, guard?? la madre che sorrideva pur lei, incitandolo. Finalmente accett??, nascondendo il soldo e la manina, nella quale lo aveva lasciato cadere, sotto la coltre. Fortunata gli acconci?? due cuscini dietro la testa, si mise a sedere, appiedi, sul letto, e ricominci?? il suo lavoro di uncinetto, seguendo curiosamente i miei preparativi. Valeva la pena d'interessarmi a questo fanciullo. Nella luce fredda era una testa d'un sol tono di colore, senza rossi, senza rilievo accentuato, pallida, caratteristica. I grandi occhi azzurro scuro lucevano tra i riccioli; della piccola bocca, puerilmente, il labbro inferiore saliva sull'altro in una smorfietta sdegnosa. Hai tu mai visto qualche pallido bambino malaticcio, dipinto da Rubens? Cos?? lui. Pareva che si fosse messo a pensare a cose molto serie; nessuna curiosit??; lo sguardo di lui scendeva lentamente da lunghe contemplazioni del soffitto al volto della madre, e vi si posava. Era Fortunata che pativa di curiosit??. A ogni cinque minuti si levava per venire a guardare di sopra alle mie spalle, per esclamare: Quando si vedr?? qualche cosa? Ci vuole ancora molto tempo? Lo fate ridendo? Verr?? bene?

Dopo la prima seduta il piccino volle vedere un po' anche lui, e si contempl?? abbozzato appena, senza meraviglia di non riconoscersi, come consciente dello sviluppo che poi avrebbe avuto il dipinto.

???Lo lascio qui,???dissi a Fortunata???mettetelo in un cantuccio, con la faccia al muro, e badate di non toccarlo.

???Quando tornate?

???Domani.

???Certamente?

???Certamente. Addio, piccino.

E mi chinai su di lui per fargli un bacio. Egli mi mise la mano sulla faccia, respingendola.

???Che hai????gli disse Fortunata???su, fagli un bacetto.

E soggiunse, sottovoce:

???Dategli un soldo.

???To', eccoti un soldo. Ora mi fai un bacio?

Le sue piccole labbra febbricitanti toccarono lievemente le mie. Il secondo soldo scomparve con la manina in cui era stretto, sotto le coltri.

???Ah, signorino,???mi disse Fortunata, presso la porta???il piccino ?? molto malato. Dice il medico, che l'ha visto, ch'egli ha male ai polmoni. Il primo figlio, signorino mio!???e le lagrime lo lucevano agli occhi-?? una sventura grande! Avete visto com'?? serio?

???Via, fatevi cuore, ?? bambino e guarir??. Ha il suo babbo, ?? vero?

????? andato via. ?? marinaro. ?? partito per pescare il corallo, con tutta la paranza. E torna di qui a un mese, signorino mio. Pel piccino va pazzo, se sapeste!???

La lasciai cos??, che piangeva silenziosamente sul limitare della casuccia, con le braccia penzoloni, gli occhi a terra. Veramente quel dolore di giovane madre mi faceva male. Pensai a lei, al piccino, per tutta la via; pensai che sarebbe stato molto meglio se non avessi conosciuto nessuno di tutti e due???

Tornato alla dimane, con una bella giornata di sole, ricominciai il mio lavoro. Il modello mi si dimostrava pi?? amico, arrivava perfino a sorridermi. Quando rimisi la tela appoggiata al muro e stavo per licenziarmi, lui mi fece con la sottile vocina:

???Vulite 'o vasillo?

Io gli detti un altro soldino. Questa volta ebbi due piccoli baci su tutte e due le guance. Mi volsi uscendo. Lui mi salutava con la mano, levando il braccio nudo, sorridendomi.

Ah, questo piccino malato, questo piccolo piccino pallido pallido, questa mia novella amicizia puerile! Tutto il giorno son rimasto a pensarvi.

Dopo una settimana avevo finito. Ero contento; il ritratto m'era venuto somigliante non pure, quanto assai giusto di colore e d'intonazione. Il bianco dei cuscini col sole??? Ma via, io non mi voglio fare delle lodi. Ero contento, ecco, ero contento della mia settimana. In tutti quei giorni il mio piccolo amico s'era pi?? stretto a me con tutte le ingenue espansioni infantili con le quali la fanciullezza trattiene una mano carezzante e un dolce amore pietoso. Ogni giorno all'uscire dalla stanzetta piena di sole, fingevo di scordarmi della sua offerta, per sentire subitamente la vocina di lui, balbettante:

???Vulite 'o vasillo? Vulite 'o vasillo?

* * *

Gli aveva promesso di recarmi a vederlo due tre volte nella settimana; lo aveva promesso anche a Fortunata. Cominciato novembre, dovetti abbandonare i miei studi di mare e il vicolo Giganti. Questa Napoli ha un clima variabilissimo; una bella giornata calda, soleggiata e poi, al giorno appresso, acqua, vento e tempesta. A novembre pigliai una mezza bronchite che mi confin?? nel letto per dodici giorni. Pioveva, pioveva sempre. Una grande malinconia, caro Paolo, dei tristi giorni e il padrone di casa che mi spediva messaggi e tutte le mie pratiche e le mie speranze quasi rovinate.

Nei primi di dicembre, in un sabato, il tempo era bello. Uscii, tornai al vicolo Giganti tutto pieno di centinaia di femmine che aspettavano l'estrazione dei numeri del lotto e ne discutevano a gran voce. Cercai Fortunata. Era l?? in casa a lavorare all'uncinetto, accosto alla tavola, sulla quale si raffreddava la minestra in un piatto. Quando mi vide, si lev??, pallidissima; lev?? le braccia in atto disperato e si mise a piangere.

???Signo'! ?? muorto! ?? muorto!

Ti giuro, cominciai a piangere anche io, come un fanciullo. Ella, ricaduta a sedere, aveva poggiate le braccia sulla tavola e tra le braccia nascondeva il volto, singhiozzando. Io era rimasto in piedi, dinanzi a lei, muto; non sapevo che dirle. Fortunata lev?? la testa, mi guard?? con occhi cos?? spauriti, che parve fossi io che le portassi la mala notizia.

Il ritratto del piccino era accapo al letto, tra un ramo di olivo e la palma benedetta. Accompagnandomi fin alla porta Fortunata mormor?? tra i singhiozzi:

???Mi disse che voleva vedervi??? Dimandava sempre del pittore???

I singhiozzi la soffocavano.

Me ne andai. Per via camminavo come intontito; il piccino, benedetto piccino, il piccolo amico mi seguiva. Mi seguiva la sua vocetta tenera, come ora mi parla mentr'io scrivo di lui a te. Perch?? in questa malinconica mattina di marzo, egli ?? qui accosto a me. E nel silenzio della mia cameretta, egli mi ripete ancora, dolcemente, con un balbett??o d'angiolo:

???Vulite 'o vasillo? Vulite 'o vasillo?

SERAFINA

Marted?????Maggio 86.

Il guardaporta dello spedale dei Pellegrini ?? un burbero rossiccio, il quale, quando in certi giorni ha infilato un soprabito che gli batte alle calcagna, tutto stinto e sparso di macchie d'olio, quando ha caricata la testa d'una tuba mostruosa, crede di essere il guardaporta di Palazzo Reale. Ha conservato un accento calabrese e la insolenza dei soldati borbonici; certo ha dovuto servire nell'esercito di Re Mbomma. Tra l'altro poco ci vede, per una congiuntivite che gli arrossa tutto intorno le palpebre. Sar?? stato per aver continuamente avuto sott'occhi gente insanguinata.

Ieri questo cerbero digeriva il pranzo, trattenendosi a parlottare con un vecchietto, il quale gli faceva delle confidenze presso al casotto. Poco prima la campanella di avviso era sonata due volte???un tocco solo vuol dire: ferito semplice,???due vogliono dire: ferito in grave stato???tre: ferito moribondo. Era stata trasportata su, alla sala delle medicature, una donna, una giovane. Cinque coltellate, n?? pi??, n?? meno. La donna si lamentava, si guardava intorno smarrita, mormorando:

???Sant'Anna mia! Ve faccio nu voto!??? Scanzateme!??? Uh! Uh!??? Chiano, chiano!???

Veniva da Piazza Francese, da una delle due suburre napolitane. Aveva denti e capelli splendidi, una mano piccolissima. Gli occhi grandi, azzurri, pieni di lacrime, lucevano. Si chiamava Serafina.

* * *

Laggi??, presso al casotto, il portinaio fumava la pipetta. Il gran cortile dei Pellegrini era tutto preso dal sole, cos?? che il cuoco, un uomo grasso, ne profittava per sciorinare il suo gran moccichino, a quadroni scuri, sulla spalliera d'una seggiola. Due guardie di Pubblica Sicurezza leggevano insieme un libretto di Nuove canzoni napolitane, comentando. Il brigadiere era salito in sala di medicatura per raccogliere la deposizione di Serafina.

Diceva il vecchietto al guardaporta:

???La vedete cos??, ora, perch?? lei ?? nata con la mala sorte, come me. Due anni fa avreste dovuto vederla! Era un fiore. Tutti si voltavano per la via. Allora come v'ho detto, io lavorava da quel sarto alla Giudecca. Io dormiva nella bottega, sopra un divano sconquassato e pensavo sempre a lei che se n'era fuggita. Tre mesi senza vederla! Considerate voi che siete padre!??? Avete figlie????

???Caspita! Figlie? Ne tengo tre??? Peppenella! Peppen??!??????e chiamava una ragazzetta ch'era fuori nella via a giocare???Trase, viene cc??!??? Siente! Quella ?? una???

???Il Signore ve la guardi. E abbadatele ve lo dico come a un fratello???

Il portiere sorrise. Fece scivolar la mano tra lo stipite del casotto e il muro e tir?? fuori un bastone.

???Vedete questo????.. Questo ci pensa???.. senza eccezione pure per m??gliema. Dicevate????

???Dunque una sera??? che sera!??? Io non ho vergogna di dirvelo?????? Le verit??, m'era messo in giro per chiedere elemosina. All'angolo del vico Sergente Maggiore vedo una signora che comprava fiori. M'accostai???.. Sign??, qualche cosa a un povero galantuomo!??????Non c'?? niente.

Io aveva fame e la fame, capite, non conosce educazione. Insistetti??? Allora lei si volt?? per dirmi, seccata, che me ne andassi??? Non mi guard?? neppure???

???Era lei.

???Sarrafina.

Il vecchietto sospirava, si guardava le mani scarne, dondolava il capo.

A un tratto guard?? in su al balconcello della sala di medicatura. Un inserviente preparava filacce, presso alla balaustra, parlando col cuoco, che disotto gesticolava e rideva.

???Che lle starranno facenno????mormor?? il vecchietto.

Due lagrime gli vennero gi?? lentamente per le gote. Il portinaio vuot?? la pipetta nella mano e, dopo un silenzio, chiese:

???Mb???

???Quanto dur?? quella vita? N'anno. Poi fu come una caduta. Come uno che cade da una terrazza all'ultimo piano e si trova a terra. Povera figlia! Stette malata due mesi e perdette tutto. Divent?? un'altra. Cappello tolto, anella pegnorate, vesti vendute???.. Che mestiere, frate mio, che mestiere! Ges??!???.

Ora piangeva pianamente, con lo sguardo a terra, con le mani strette sul petto.

???E all'ultimo ?? arrivata a Piazza Francese. E l'hanno fatto chesto!??? Me pare nu suonno!

???Ma chi glie l'ha fatto?

???Doie cumpagne, pe gelusia.

Arriv?? in quel momento una vettura; dentro vi si abbandonava un giovanotto, che aveva buttato un braccio al collo della guardia la quale lo sorreggeva, guardandolo. Un sottil filo di sangue gli scendeva sulla camicia bianca, dal collo.

La vettura entr?? nel cortile con dietro una folla di gente curiosa. Il vecchietto, anche lui si accost??, inorridendo.

Il guardaporta afferr?? la fune della campanella. Tre tocchi. La guardia di pubblica sicurezza gli avea fatto certo segno disperato???

Poi la gente fu cacciata e il portone chiuso.

???E chisto ?? n'ato???disse il guardaporta, tornando al vecchietto.

Quello mormor??:

???Puveriello!???

Dopo un momento chiese:

???Serafina resta qua?

???Non si pu??. Dopo medicata andr?? agl'Incurabili. Donne qui non se ne ammettono???rispose il cerbero, tornando feroce e voltando al vecchio le spalle.

* * *

Serafina fu scesa a braccia e collocata in vettura con le guardie. Fu levato il soffietto e nessuno pi?? vide niente. Ma ella aveva visto il vecchietto. Una mano venne fuori tra serpa e soffietto, e chiam??. Il vecchio accorreva. Dalla vettura usc?? una voce femminile, commossa:

???A Nnincurabile???. Venite ll????? Nun ?? niente??? nun avite paura!???

Il vecchietto si mise a galoppare dietro alla carrozzella con gli occhi pieni di lacrime, ansimando, chiamando:

???Sarraf??!??? Sarraf??!??? Sarraf??!???

L'ABBANDONATO

???Che si dice????chiese Gaetanella Rocco a Carmela la serva, la quale passava sul marciapiedi e parlava sola, come al solito.

Carmela si volse e torn?? indietro. Il vento le penetrava di sotto lo sciallo, di cui svolazzava un lembo; l'altro ella teneva fra mano, accostandolo di tanto in tanto alla faccia.

????? morta or ora???gemette???Ah, Ges??! Io sono cos?? fatta che ci penser?? tutta la giornata. E voi, andate a vederla?

Gaetanella, impassibile, guardava la serva, mettendo fuori il capo di su il paravento di legno tra la casa e la strada. Carmela, sul marciapiedi, rabbridiva pel vento secco che le veniva di faccia e le appiccicava le gonnelle alla carne.

???Ci vado pi?? tardi???disse Gaetanella???ancora ho la casa sossopra. Iersera ?? arrivato il fratello di mio marito, il caporale di cavalleria. Ha avuto il permesso sino a mezzanotte, e sono stati qui tutti, con gli amici, a cantare e a bere. Immaginate voi!

???Lasciate fare, sono giovanotti. Che ne vediamo della vita? Si muore, cos??, da un momento all'altro!

???Non c'?? che dire???sospir?? Gaetanella, buttando sul marciapiedi bucce di castagne e di mele dal canestro dei rifiuti.

???Me ne vado???disse la serva???buongiorno.

???Se ripassate e voi chiamatemi. Andremo a vedere insieme???

Era morta donna Nena la romana, una vecchia che non faceva male a nessuno e che leggeva le lettere alle vicine della via, senza occhiali. Era venuta da Roma, al sessantacinque; la si poteva tenere per napolitana. Le vicine conoscevano un po' la sua storia, ma nessuna aveva potuto entrar troppo addentro in certi particolari che la vecchia sapeva a tempo scartare.

Lass??, a S. Pasquale al Corso, donna Nena abitava da tre anni, nel cortile del monastero, in una stanzuccia rimpetto al pozzo. Pareva, in quella immensa quiete, una badessa sopravissuta alle sue monache, bandite per sempre, a far posto ai carabinieri in caserma.

Il cortile, deserto, era triste. Sotto l'arcata, tutta bianca di calce, girava intorno il sedile di peperino, qua e l?? fiorente d'una selvaggia vegetazione, la quale pigliava radici tra le screpolature e le commessure della pietra. In maggio il sole che lo allagava tutto invogliava donna Nena a uscire dalla sua celletta. La piccola vecchia andava a sedere sotto le colonne, sulla pietra grigia del parapetto e poggiava i piedi sui piuoli d'una seggiola sconquassata, ch'era deposito di straccetti d'ogni colore. Agucchiava. I romori della via erano confusi e arrivavano, morendo, al cortile del chiostro silenzioso. A volte, d'un subito, risonava in fondo, su per la scala grande, il passo pesante del brigadiere e costui spuntava nel cortile, attraversandolo, con le mani nelle saccocce dei calzoni e la lunga pipa in bocca. Qualche passero ch'era venuto, saltellando sui ferri della balaustra, ad affacciarsi nel pozzo, scappava, spaventato, con un piccolo grido. Donna Nena levava il capo dai suoi ritagli, teneva dietro con gli occhi socchiusi al volo dell'uccellino, le mani abbandonate sulle ginocchia. Certamente pensava ad altro. Una tossicina stizzosa la coglieva di tanto in tanto, e i colpi della tosse tre, quattro volte rompevano senza eco il silenzio intorno.

Spesso, di sopra, un carabiniere si metteva a cantare presso una finestra, dando la brunitura al fucile. Era una voce di tenorino, che vibrava limpidamente nell'aria:

M'incatinasti, beddicchia, stu cori, ca l'apparienza???..

Donna Nena, laggi?? nel cortile, infilava l'ago, sceglieva tra i ritagli, rimaneva un pezzetto con lo sguardo perduto nella fuga degli archi. Le labbra mormoravano, dal pugno chiuso le dita si spiegavano, una dopo l'altra. Cantava. A un tratto, di sopra, la nenia del siciliano interrompendosi faceva tornare la vecchia, distratta, al suo lavoro. Il cortile si rifaceva silenzioso.

Al secondo anno da quando donna Nena era venuta a stare lass??, in una mattina di febbraio ella usc?????come disse a Gaetanella Rocco???per andare a pregare l'amministratore di quel locale perch?? le facesse rimettere a un finestrino della celletta un vetro frantumato. Da un orto vicino i monelli glie lo avevano rotto: il vento le entrava in camera, proprio accapo al letto. Quando il vetro fu rimesso la vecchietta ebbe compagnia in casa. Ci venne un piccino malaticcio, debole, tutto pallido.

Da quel tempo ella si fece vedere pi?? di frequente; il piccino aveva bisogno del latte alla mattina, di pane fresco, di frutta mature. Tutto questo faceva andare e venire dal cortile alle botteghe della via la vecchietta frettolosa, che per mostrarsi cos?? tenera del bimbo almeno gli doveva molto voler bene.

Carmela la serva, pochi giorni dopo la comparsa del bambino, avendo appurato come e donde venisse, si content?? di perdere tempo e di far aspettare la padrona per andare a confidarsi con Fortunata la rivendugliola, vicina di Gaetanella. Tutte e tre sedettero attorno al braciere; Carmela a mezza seggiola, col paniere della spesa sulle ginocchia, per far presto.

???Donna Nena questo me l'aveva gi?? detto un anno fa, ha una figliuola, si chiama Clelia. Due figlie le son morte di mal sottile e quest'altra???

S'interruppe, strinse le labbra, batt?? col palmo della mano sul manico del paniere, con un'aria desolata.

???Capite????

???Eh!???sospir?? la rivendugliola.

???Che ha fatto????chiese Gaetanella.

???Come tant'altre, via??? disgraziata??????disse la serva.

Sospir?? anche Gaetanella, chinandosi a riattizzare il fuoco.

???Infine il piccino ?? rimasto a donna Nena, alla nonna. Clelia le avr?? dato un po' di danaro per mantenerlo, non si vede mai lei: non comparisce mai. Glie l'ha messo nelle mani e buonanotte. Donna Nena, lo chiama er ragazzo.

???'O guaglione???tradusse Gaetanella.

???Ieri la vecchia m'ha fatta una confidenza. Non ?? vero che il vetro al finestrino glie lo han rotto dall'orto. Lo ruppe lei, tempo fa, sbattendo la vetrata. Non avrebbe detto nulla all'amministratore se non fosse capitato il piccino, ch'?? malaticcio e debole. E col vento in casa???

???Sentite,???interruppe la rivendugliola???io vi do questo paio di calze pel piccino e voi glie le portate a donna Nena, poveretta. Direte che le avete avuto dalla signora vostra???

???Date qua???fece la serva, levandosi???che tutto ?? buono quand'?? carit??. Oggi glie le porto.

Un'altra volta la serva chiam?? fuori nella via Gaetanella, la quale era occupata a riasciacquare i piatti.

???Clelia, la???.. capite????. dev'esser morta. Ora ho chiesto alla vecchia se Clelia abbia pi?? rivisto il piccino. S'?? messa a piangere, la vecchia. Ho capito tutto.

Passarono sette mesi; mor?? pure donna Nena, spegnendosi a poco a poco nella sua celletta, col ragazzo che la guardava dal suo seggiolino, appi?? del letto. Per un momento l'avevano lasciata sola, mentre dava gli ultimi tratti. Rientrate le vicine col ramoscello dell'olivo e l'acqua benedetta, trovarono la vecchia basita. Il piccino la guardava ridendo, balbettando. Un braccio di donna Nena fuori della coperta era steso rigidamente verso di lui, la mano pareva indicasse.

Fatto sta che, occupate a rovistare per la celletta, curiosando dappertutto, nei foderi di un canterano che gemevano come se nascondessero l'anima della vecchia, in un baule nello stipetto o muro, le vicine dimenticarono il bambino. Soltanto com'entr?? l?? dentro anche Graziella la sarta, con dietro la ragazzina curva sotto lo scatolo delle vesti, per vedere, mentre lei dinanzi al lettuccio, contemplava la morta coi grandi occhi pietosi, il piccino le prese fra mano la frangia di conterie che luceva attorno alla veste. Graziella si volse.

???Questo ?? il piccino di donna Nena???spieg?? Gaetanella Rocco???il figlio della figlia.

???E la madre dov'??????chiese Graziella.

L'altra bened?? l'aria con la mano: l'indice e il medio ritti.

???Pure lei morta????fece la sarta, intenerita.

E carezz?? la testa bionda del piccino, il quale lev?? gli occhi a guardarla.

Subitamente irruppe la folla di tutti i monellucci del vicinato. Arrivava il carrozzone. Allora Gaetanella Rocco port?? fuori il piccino, mettendogli in mano una ciambella. Gli trasse il seggiolino a bracciuoli fin presso alla porta del cortile che metteva, per le scale, rose dal tempo, sul Corso.

Poco dopo il carrozzone si port?? via la vecchia per tutto il Corso. Il cocchiere zufolava, con le redini sulle ginocchia, col vento secco di faccia. Dietro, sulla predella, i due becchini si bisticciavano, le gambe penzoloni.

???Donna Nena se ne va a Roma???esclam??, ridendo, un calzolaio ch'era uscito a vedere dalla sua bottega, con uno stivale fra mani.

La facezia ebbe successo fra quanti guardavano. Donna Nena se ne andava a Roma! Buon viaggio! Le vicine ridevano. Rideva Nannina Fiocca, la innamorata del calzolaio. Quando gli pass?? accosto gli dette uno spintone.

???Bel core che hai!

???Senti???le fece dietro il calzolaio???presto lo farai anche tu il viaggetto???.

Nannina si volse, grattandosi la coscia per allontanare il malagurio, e gli grid?? con la voce argentina:

???Prima tu!

???Prima tu!???ribatteva il calzolaio, minacciandola con lo stivale.

Il tempo s'era fatto grigio. Di faccia al Corso, dal mare, saliva una nebbia densa come fumo di officina, lambiva le falde del Vesuvio, lo nascondeva fin quasi alla cima. Vagamente s'indovinava nel porto una gran nave; era una striscia tutta nera, indecisa. Intorno la citt?? spariva in quel fumo che pareva covasse un incendio. Ma nel cielo affollato di nuvoloni, qua o l?? dei chiarori scialbi si facevano nel lontano, ove il sole all'estremo lembo in fine della collina di Posillipo, rompeva a fatica le nuvole. Vi fu un momento in cui la luce si allarg??; lucevano disotto le vetrate alle finestre, luceva lo zinco delle serre alle terrazze delle palazzine al Rione Amedeo. Finalmente tutta una stesa di cielo divent?? azzurra.

Il piccino lo avevano dimenticato sotto la porta del cortile. Egli sedeva, al sommo della scala diruta, nel suo seggiolino, con le manine sui bracciuoli. Sulle ginocchia aveva la ciambelletta di Gaetanella, mangiucchiata mezza: aveva un piccolo grembiale bianco, le scarpette molto vecchie, una vesticciuola scura, stinta, troppo grande per lui. In una scarpa il piede non era entrato tutto, ne scappava fuori il tallone ove faceva sacco la calza. Lui dondolava quel piede. A poco a poco la scarpetta ne cadde. Allora il piccino sorrise, tutto solo, molto contento. Contempl??, per un pezzetto, il piede libero, poi non avendo altro a fare, si rimise a mangiar la ciambella. Una volta lev?? la manina, s'atteggi??, pronunzi?? quei brevi vocaboli incomprensibili che sono della incoscienza infantile e delle bocche che non sanno parlare.

La ciambella fu mangiata tutta. Il piccino aveva fame. Raccolse perfino le miche cadutegli nel grembialetto. Pareva soddisfatto. Poi si mise a guardare innanzi a s?? i fili del telegrafo, che dal parapetto della via, di faccia, declinavano, e scomparivano fra le case. Una cometa s'era impigliata tra i fili, la carta lacerata svolazzava. Un brandello fu strappato ai fili e portato via dal vento. Lungamente il piccino ne segu?? la sorte con gli occhi, sbadigliando, poi chin?? a poco a poco la testa da un lato e s'addorment??.

GLI AMICI

Nel maggio, mentre al pi?? piccolo alito di vento le rose tenerissime concedono le foglie loro, disseminandole appi?? d'un amoroso mandorlo ancora in fiore, mentre da per tutto ov'?? collina, o giardino, o praticello passeggiano gravemente al sole gli scarabei e sbadigliano, alta la testa viperina, le lucertole verdi, mentre il bosco ?? tutto in chiacchiere di uccelli gelosi e si spande per la fresca campagna l'indefinibile susurro degli insetti e una scia d'argento solca, sul cammino lentissimo della lumaca, un muretto nell'orto, mentre tutto questo, ch'?? poesia dolcissima nell'aria buona o dolce, succede lontano dalla citt?? romorosa, qui la prosa cittadina va trascinando per le vie cenci e magre suppellettili borghesi, sciorinati al sole di maggio tra il polverio, le bestemmie dei facchini o il loro copioso sudore di bestie affaticate. Si compie di questi giorni la frettolosa bisogna dello sgombero, ed ?? un transito incessante di cose che parlano, un viaggio di segreti trabalzanti su pel rotto selciato napoletano. Il lettuccio, la spinetta antica, la poltrona favorita, il boccaletto a fiori, ove cos?? spesso l'amata ha bevuto i pensieri dell'amante, il misero lume a petrolio onde furono rischiarate, presso agli esami, le veglie laboriose d'uno studente di medicina, la gran seggiola a ruote d'un paralitico, il canterano da' foderi cigolanti in fondo ai quali ammucchi?? tutto un tranquillo epistolario amoroso la fiamma d'un impiegato alla Ferrovia, lo spiumaccino invernale, ricordo della povera mamma morta, che usava di tenerlo sui piedi???tutto ci?? passa innanzi agli occhi, nel sole, e cammina, e muta posto e va altrove, e passa da una luce d'un quinto piano all'oscurit?? di un pianterreno, o dal buio al sole, chi sa dove, chi sa dopo che amari rimpianti, e scompare.

Or, sopra uno di questi carretti scricchianti, tra molte scatole da cappelli e un mucchio di cuscini, viaggiava una gabbietta. Dentro alla gabbietta c'era un canarino giallo. Le suppellettili mutavan posto: alla casa nuova la gabbiuzza fu appesa nel tinello che dava in un giardino. Di rimpetto, dietro certe grate fitte, si vedevano confusamente soggoli biancheggianti: c'era un antico monastero. Il figlio della signora, un ragazzo che odorava di poesia, appena fu alla nuova casa e, per la finestra del tinello, vide le monache, fu preso da un impeto sentimentale e stamp?? una sessantina di versi claustrali in un giornaletto letterario.

Il povero canarino poeta pur lui, era stato tolto piccoletto al nido, e pi?? non ricordava dove e come. Ricordava senza precisione certo aggrovigliamento di rami e di fronde, una fiorita stesa di piano, un gran pezzo di cielo azzurro???niente pi??. L'adozione era stata larga di cure e, dapprima, dolce fu la prigione. E l?? come se fosse stato a San Pietro a Maiella, il canarino divent?? un cantore elegantissimo, una specie di tenorino di grazia.

???Bene, bene???esclam?? il marito della signora???ecco il canarino che comincia a dirci qualcosa.

E ogni volta che si trovava nel tinello a lavarsi la faccia, gli faceva lo zufolo col tovagliolo fra mani.

La casa dalla quale era sloggiato era scura e silenziosa. Le finestre non davano sulla strada, riuscivano in un cortile abbandonato, dominio di terribili pipistrelli, qualcuno de' quali perfino veniva a sbatter l'ali intorno alla gabbiuzza, dove il povero canarino tremava di terrore. La bestiola, di sotto l'arco della finestra, non vedeva che i muri grigi del cortile dagli angoli ch'erano scale di polverose ragnatele, da' buchi neri che a notte diventavano case di nottole. Le carrucole nei pozzi stridevano, le secchie si urtavano, le serve, a prima ora, trovandosi tutte ad attingere, dicevano male della gente, appiccicando a ognuno un aggettivo che svegliava goffe risate per tutto il pozzo. Questa la vita del cortile. Una volta solamente il canarino usc?? dalla sua malinconia. Una delle fantesche ripuliva la gabbia d'un altro canarino, lasciando cader gi?? nel cortile le boccate sfuggite del miglio, i rifiuti del prigioniero, e canticchiando. E come quel canarino, per la soddisfazione del miglio fresco e dell'acqua pulita, metteva, di tanto, piccoli gridi acuti, quest'altro credette di aver trovato finalmente qualcuno col quale potesse chiacchierare, nelle ore di noia.

Lo chiam?? allora due volte.

???Ziz??! z??! z??! z??!???

Quello rispose allegramente:

???Z??! z??!

Poi vi fu un silenzio. La serva aveva portata via la gabbia; il povero canarino, disilluso, ricadde in malinconia e non avendo a far altro si rimise a contemplare i muri del cortile.

In una giornata di novembre fu tale lo scrosciar della pioggia furiosa e cos?? spaventevoli furono i lampi e i tuoni che il canarino, tutto solo nella gabbia, credette che l'ultimo giorno della sua vita fosse arrivato. Dal lampeggiare continuo era tutto illuminato il cortile, i ferri della gabbia pareva si arroventassero. Poco dopo accorse la serva, che avea lasciate aperte le vetrate della finestra.

???Meno male!???esclam?????I vetri non si sono rotti! E chi l'avrebbe sentito il padrone????

Guardate, nemmeno una parola per quella povera bestia tremante di freddo e di paura! Bella carit?? cristiana! E cos?? il canarino, a poco a poco, s'abitu?? ad ogni sorta d'ingenerosit??. Nessuno si pigliava pena di lui, ma nessuno, per??, lo veniva a seccare. Meglio cos??. E il suo amico divenne un pezzo del muro di faccia, ove un ragno intesseva comodamente la sua tela. Nell'estate, quando un po' di sole fece la spia nel cortile; la tela ne fu tutta illuminata e il ragno vi passeggi?? di lungo e di largo, con una grande boria di padron di casa. In tutto il giorno si risentivano le voci delle fantesche, lo strepito delle cazzeruole, risate lunghe e sguaiate, scoppiett?? di carboni dalle fornacette. La musica metteva in allegria il canarino che, a volte, vi mescolava certe note acute e un trillo per cui le serve, meravigliate, tacevano. Una di loro, mentre lui si sfogava, esclam??:

???Dio! che bella vocetta, neh?

La lode, Dio buono, se la pigliano tutti, la vonno anche i modesti. Il canarino si guard?? i pieducci, ripul?? il becco a un ballatoio della gabbia, si piant?? saldo sulle gambette e si mise a cantare:

Se il mio nome saper voi bramate???

* * *

A maggio, v'ho detto, i signori della casa sloggiarono.

La primavera sospirava pi?? forte con gli spasimi dei fiori, col susurro delle piante in amore, e nell'aria salivano odori soavissimi e freschi soffi di zeffiri. In una bella giornata profumata si svegli?? il canarino a un pispiglio sommesso. Una passera aveva fatto il nido di rimpetto. Poi furono piccoli gridi di compagni liberi che passavano; furono a volte cicalecci impertinenti di rondoni in chiacchiere, sui tetti. I rondoni, al solito, dicevano male del vicinato. Quello era bello, quell'altro era brutto, la tal signorina non sapeva cantare, il violinista del quinto piano pigliava acuti stonati, il portinaio non badava troppo alla figliuola. E il giardino si svegliava all'alba con questi discorsi di uccelli, con le loro querele peripatetiche, con ronzii d'insetti invisibili e voli di bianche farfalle.

Il canarino ebbe da tutta questa vita, che gli ricordava indefinitamente il bosco e l'odore acre delle piante, quella malinconia dei ricordi che, si dice, tornano nel tempo della disgrazia. N'ebbe singhiozzi di rimpianti e di desideri che gli rompevano il canto nella gola. E gli cominciarono a cadere le penne. Una si pos?? sul davanzale della finestra e un colombo se la venne a pigliare.

???Oh! dite, amico???gli chiese il canarino dalla sua gabbia???siete di questi paraggi voi?

???Vi pare????rispose il colombo???Gli ?? qui che son nato. Guardate laggi?? accosto alla grondaia. Vedete voi quel buco tutto nero? L?? ho fatto il nido. E questa penna che vi ?? caduta, se permettete, la metto al lettuccio dei miei piccini. Dite, vi dispiace?

???Anzi???disse il canarino???fortunato d'esser materasso. Ma sentite, verrete voi a tenermi compagnia qualche volta?

???Perch?? no????disse il colombo???ma di questi giorni non posso; ho i piccini, udite voi come chiamano?

Il canarino non udiva nulla.

???Eh!???fece il colombo???sento io, sento! Quando avrete figli anche voi! Arrivederci.

???Arrivederci.

E quasi ogni giorno lo stesso colombo veniva a pigliarsi una penna caduta.

???Fatemi la finezza???gli chiese una volta il canarino???sapreste voi perch?? cos?? spesso mi cadono le penne? Io ne sono assai preoccupato.

Il colombo lo guard?? malinconicamente.

???Che volete vi dica?

E non gli volle dire che gli anni e i dispiaceri sogliono far di questi scherzi.

Pass?? un mese. I piccini del colombo s'eran fatti grandi e strillavano, sporgendo dalla buca le testine ancora spelate. Attorno a quel nido altri nidi si destavano all'alba e un pigolio continuo succedeva sino a quando l'appetito dei piccoli colombi non era soddisfatto. I colombi grandi tubavano all'ombra, empiendo il cortile della dolcezza dei loro amori.

In luglio il colombo grigio si ricord?? della conoscenza. Ma in quella mattina avea avuto tanto da fare e s'era cos?? impensierito di certi muratori che erano venuti a mettere scale pei muri presso i nidi, che la visita dovette farla a sera, quando i muratori se ne andarono.

C'era una luna bianca che faceva capolino di su il belvedere delle monache.

???Buona sera???disse il colombo???come state? Sentite che bell'aria fresca?

???Ahim??!???disse il canarino???se sapeste, amico mio! Da tempo in qua sono colto da tale tristezza che a momenti mi pare di morire. Mi spoglio ogni giorno pi?? e mi pigliano brividi di freddo, ed anche provo una grande debolezza. Come mai questo, caro amico?

???Che volete vi dica????fece il colombo, con gli occhi bassi???Sono cose che accadono. Io son qui di rimpetto, se mai.

E se ne and??, ammalinconito pur lui.

Poi torn?? dopo una settimana. La gabbiuzza era vuota. Ma c'era ancora, sulla finestra, una ultima piuma gialla. Il colombo non ebbe coraggio di portarsela via.

E c'era un chiaro di luna quella sera, un chiaro di luna cos?? grande, cos?? grande!???

FORTUNATA LA FIORISTA

5 Settembre 1885

Giorni fa le vicine di Fortunata Cappiello, con molta meraviglia, videro chiusa la bottega di lei. Bisogna premettere che Fortunata Cappiello ha bottega di fiorista in via del Duomo, e oltre a questo ha un padre ed una mamma i quali non sono mai stati in tenerezze, anzi, per dirla con le vicine di Fortunata, i due coniugi facevano cane e gatta in tutta la settimana, specie al venerd??, quando Giuseppe Cappiello chiedeva quattrini alla moglie per giocarseli al lotto e lei glie li negava.

Vista la bottega chiusa sino a mezzogiorno e argomentando che pi?? non si fosse aperta in tutta la giornata, le vicine, sempre maliziose e maldicenti, ne trassero molte congetture, tra le quali questa, che, nella notte, i Cappiello avessero subitamente sloggiato e portato via il p?? di mobilia, per non pagare il padrone di casa.

???Sentite???disse Giovannina Zoccola, merciaia di rimpetto???questo non ha potuto succedere. Vero ?? che la fame se gli mangiava i Cappiello, la fame e i debiti; che a me, se veramente non tornano pi??, mi dovranno dare sempre quindici soldi da Pasqua passata. Ma un po' di danaro lo mettevano da parte, via. E c'?? stato sempre don Procolo, il signore, che ha riparato spesso e volentieri.

Don Procolo, un attempato arzillo, negoziante e proprietario, veniva a sera a trattenersi nella bottega, e quando c'era don Procolo accosto a Fortunata, seduto in mezzo ai fiori di organsino, in mezzo ai fasci d'erba artificiale, la mamma di Fortunata, dalla parte loro, chiudeva met?? dell'uscio. Le vicine dicevano che chiudeva anche un occhio.

Fortunata, poverina, era magruccia, pallida, con molto nero sotto gli occhi. La frangetta, i grossi cerchi dorati alle orecchie, un neo presso al mento: piaceva. Stropicciava lo spazzolino sui denti che aveva bianchi e piccoli, si nettava le unghie con molta pazienza, alla mattina, sotto l'uscio, prima di mettersi a lavorare.

I fiori artificiali, quelli pei borghesi di Foria e pei negozianti di quartiere Pendino sono strillanti e il colore vivo s'attacca alle mani. Fortunata pareva la maitresse aux mains rouges. Don Procolo non ci badava gran che, ma la ragazza serbava, per cos?? dire, le manine nette pel suo innamorato vero, che nessuno conosceva. Quando don Procolo badava alle balle di tela gi?? in dogana, nelle ore di pomeriggio, l'innamorato della fiorista passava per via del Duomo, la sigaretta tra le labbra e un bastoncino di bamb?? in mano. Era un impiegatuccio a mille e duecento con lineamenti di un'antipatica regolarit??, biondino, magro, malaticcio, molto pulito. Fortunata lo adorava.

* * *

Nella sera del 3, due sere fa, i coniugi Cappiello tornarono alla bottega che potevano essere le sette e mezza. Donna Maria, senza nessuno salutare della via, ficc?? la gran chiave nella toppa, aperse la porta e sgusci?? dentro. Nella semioscurit?? i mucchi dei ritagli pei fiori, le palle bianche dei lumi a petrolio, le ceste piene di fiori azzurri e rossi mettevano una gran confusione nella bottega. Donna Maria accese un fiammifero. Cercava qualche cosa. Di fuori il marito s'era addossato allo stipite e, con le mani nelle saccocce de' calzoni, le labbra strette, non levava gli occhi da un monticello di spazzatura ammucchiatogli a' piedi, sotto al marciapiedi. A un tratto gir?? sui tacchi, spinse l'uscio che donna Maria aveva socchiuso ed entr??. L'uscio si richiuse. Il calzolaio di faccia che passava lo spago per una suola si lasci?? cascare le mani e lo spago sulle ginocchia e si mise a guardare. Subitamente nella bottega della fiorista scoppi?? un alterco. La voce stridula della vecchia si levava alta e le rispondevano le bestemmie di don Peppe Cappiello. Distintamente una frase di donna Maria arriv?? alla strada.

???Nun ?? overo! Nun ?? overo!

Poi quella di don Peppe, come un urlo:

???Me l'ha ditto a me!

Succedette un gran romore, come di seggiole rovesciate. Il calzolaio s'alz??, impensierito. Le vicine erano diventate pallide.

A un tratto risuon?? un grido femminile, terribile. L'uscio si spalanc??. Venne fuori donna Maria che voleva parlare e non poteva. Agitava le braccia, barellando. Un flotto di sangue le spicciava dalla gola ferita; tutto lo scialle se ne inzuppava. Cadde sul lastrico, come uno straccio, e non si mosse pi??.

Il calzolaio mormor??:

???L'ha ammazzata.

Apparve sulla soglia della bottega don Peppe. Aveva gli occhi pieni di sangue, il labbro inferiore pendeva. Immobile guard?? la vecchia stesa l?? presso, si guard?? intorno, come smarrito. Nessuno parlava. Il ragazzo di Stella Farina era corso a chiamare la guardia di pubblica sicurezza di piantone all'angolo del vicolo.

La guardia arriv?? correndo, con una mano sull'elsa della daga. Per la via gridava:

???Ferma, ferma!

Don Peppe ebbe allora un istintivo impeto di salvazione. Fece un passo, guardando innanzi a s?? nella via lunga e libera.

Ma pur i vicini, intorno, gridavano:

???Ferma! Ferma!

La guardia gli fu addosso e lo afferr?? per il bavero della giacchetta.

???Io non mi movo???balbett?? Cappiello.

???Canaglia!???gli fece la guardia, cercando le manotte in saccoccia.

Il calzolaio s'era chinato sul corpo inerte della vecchia, che quasi sbarrava la strada, sicch?? una vettura da nolo, poco lontano, s'era dovuta fermare. Il cocchiere, le redini in mano, s'era levato in piedi sulla serpe e guardava, ancora senza capir nulla. La gente accorreva da ogni parte. Arrivarono pur due allievi carabinieri, uno dei quali, per via, s'andava sfilando i guanti di cotone bianco.

????? proprio morta???annunzi?? il calzolaio, rizzandosi???il sangue l'ha affogata.

???Ges??!???fece Graziella, la stiratrice, coprendosi gli occhi con le mani.

???Avanti!???impose a don Peppe la guardia.

Lui contemplava ancora la morta, movendo le labbra, come se parlasse a s?? stesso. Allora un marmista ch'era arrivato l'ultimo, un grosso uomo barbuto, con tra le mani il martello e uno scalpello, chiese subitamente a don Peppe che s'incamminava:

???Perch?? l'avete ammazzata, neh, don Pe'?

Lui rispose:

???Dimandatelo a lei.

E se ne and?? tra la guardia di pubblica sicurezza e uno degli allievi carabinieri. L'altro si fece aiutare dai pi?? coraggiosi e adagi?? il cadavere in quella vettura che si trovava nel vicolo. Era diventato pallido il povero giovanotto; per la prima volta si trovava accosto a un morto.

* * *

La bottega della fiorista rimase chiusa per un mese. Un bel giorno arriv?? don Procolo, fumando. Fece aprire, rimase un pezzetto a rovistare e a parlare con due uomini sconosciuti a tutto il vicinato, cacci?? in una cesta alcune masserizie e le copr?? con un mucchio di fiori d'organsino. Al giorno dopo arrivarono gli stessi sconosciuti e vuotarono la bottega tutta quanta. I monelli del vicinato s'impadronirono dei ritagli delle carte colorate e li sparsero per tutta la via. Dopo un altro mese un pittore di stanze prese il posto della fiorista.

Finalmente, dopo due anni Graziella, la stiratrice, in una mattina di maggio, vide passare l'impiegatuccio a mille e duecento, e per volerlo guardare e sorvegliare troppo abbronz?? una camicia, dimenticandovi su il ferro rovente.

L'impiegatuccio guard?? nella bottega della fiorista e ci vide il pittore di stanze. Parve meravigliato. Allora Graziella, che un tempo gli aveva stirate pur le camice, lo salut?? con un sorriso.

???Come state? Non vi siete fatto pi?? vivo?

???Sono stato ad Arona, fin'ora???disse???per l'impiego???

???Avete saputo????chiose la stiratrice, dopo un silenzio.

???Ah!???fece lui, picchiando sul manico del ferro col pometto del bastoncello???S??, so tutto. Doveva finire cos????? Con quella madre! E don Peppe?

???Chi l'ha visto pi???

???E??? Fortunata?

???Chi ne sa pi?? nulla?

L'impiegatuccio, dopo aver accesa la sigaretta con un fiammifero della scatola di Graziella, se ne and??, lentamente, tutto pensoso. Ma la stiratrice gli aveva mentito per compassione. Pochi giorni prima, a Santa Lucia, ella aveva adocchiata Fortunata, con un bambinello. La fiorista vestiva di nero. Comper?? al bambinello un soldo di tarallucci e gli fece bere un po' d'acqua solfurea. Poi se ne andarono su pel marciapiedi, passo passo???.

L'AMICO RICHTER

Ecco, amici miei, in che modo conobbi il professore Otto Richter.

* * *

Il Rione Principe Amedeo, voi sapete, cos?? vicino per limiti al Corso Vittorio Emmanuele, si trova ad esserne, per aspetto, assai lontano. Il Corso ?? ancora campagnuolo sotto la collina verde; il Rione ?? elegante; il Corso ?? tutto polveroso per la via larga e assolata; il Rione ?? severamente pulito. Qui un palazzo Grifeo, che ha un'aria d'antico e una salda costruzione di pietra grigia e nuda. Qui finestre archiacute che riflettono, a sera, nelle terse vetrate il gran chiarore della luna, la quale, di rimpetto, s'affaccia sul mare e vi bagna la sua pallida immagine. In uno studio d'incisione, sotto il palazzo grigio, si fonde e si cesella in silenzio. Un interno pieno di penombre; l'artista che passa e guarda, risale con la fantasia al vecchio tempo fiorentino. Se qui l'ambiente non fosse in gran parte lieto dell'orizzonte glauco e d'un profumo d'erbe selvatiche, e se non parlassero dell'amore della campagna i sanguigni rosolacci erti, e se non chiacchierassero, migrando a non lontane nidiate, gli uccellini freddolosi, la bottega dell'incisore parrebbe antica, quando intorno le capitassero muri grigi e stemmi onorati da vanti di toghe o di corazze.

In questo tempo nostro, il rione ?? semplicemente felice della sua nettezza e del posto. A un certo punto il parapetto della via ?? rotto dai primi gradini d'una scaletta malconcia. Per questa si scende in un solitario vicolo, e si esce cos??, passando sotto un potente arco a Chiaia, nel quartiere elegante. Dalla pace al romore, dalla tranquillit?? delle cose e delle persone a un movimento che vi rimette dal sogno nella realt??.

In certe ore, in certi momenti, il vicoletto vi parla di tante strane e misteriose cose. Fu in questo vicoletto che conobbi il professore Otto Richter.

* * *

Era una lieta mattina primaverile. Vi giuro, amici miei, cos?? non dico pel convenzionalismo che infiora quasi tutti i racconti dolci di tenerezze meteorologiche. ?? la verit??, la conoscenza accadde in aprile. A ogni modo, Otto Richter lo conobbi cos??.

Io scendevo lentamente per quella tale scaletta; egli se ne stava laggi?? nel vicolo, all'ombra, piantata la punta di un ombrello nel terriccio, le mani sul manico di madreperla a gruccia. Con le spalle al muro, gli occhi a terra, il vecchietto m'aveva l'aria di star meditando. Ora siccome in questa vita i pensosi sono, per lo pi??, i disgraziati, io che lo aveva visto dall'alto della scala piantato l?? a quel modo, e me lo ritrovavo nella stessa posizione appena dall'ultimo gradino mettevo piede nel vicoletto, dissi tra me e me:

???Ecco uno che certamente crogiuola i guai suoi.

Il vicolo era pieno di buon sole e di silenzio. Improvvisamente fu pieno di musica. Come mai????pensavo, tornando indietro, colpito deliziosamente da una melodia che si spandeva. Il vecchio s'era mosso; passava al sole dall'ombra, avvicinandosi a una delle tre finestre basse che si aprivano sul vicolo dal muro di faccia a noi. Alle finestre ci si arrivava quasi con la testa. Le vetrate erano spalancate e la musica passava. Ma la facevano misteriosa certe bianche tendine, occupanti di dentro tutto il vano e pur di dentro fermate sulle assi d'un telaio.

Accostandomi alle finestre, m'avvicinavo pur al vecchietto, e procuravo di non far romore; era cos?? assorto poverino! L'ombrella era passata sotto l'ascella, le mani strette premevano l'ultimo bottone del panciotto ch'era in cima carezzato dalla barba rossiccia del solitario uditore. A volte, mentre la melodia saliva con pi?? sonoro ritmo, le mani si staccavano dal panciotto, e una, l'indice teso, misurava il tempo. Si afferrava l'altra, nervosamente, al margine del soprabito, come se volesse tirar gi?? il panno stinto.

Finita la musica il vecchietto lev?? il capo; sorrideva. Me gli trovai faccia o faccia; egli seguitava a sorridere, seguitava ad armeggiar con la mano, mormorando l'ultima frase musicale, solenne.

Mi feci animo e gli chiesi:

???Scusi, chi c'?? qui dentro?

Lui fece un passo innanti, rimise in movimento l'ombrella e venne a me con una chiara felicit?? negli occhietti azzurri.

Rispose:

???Beethoven.

Col braccio levato misur?? ancora quattro o cinque battute e canticchi?? un'altra volta le note.

???Molto grande,???soggiunse con le labbra allungate in una smorfia d'ammirazione???molto grande! Questa sinfonia monumento. Oh!??? Piace a voi, signor?

Dio mio! Una cos?? deliziosa cosa! A chi non piace la musica di Beethoven, amici miei? Gli ?? che non sapevo persuadermi come l?? dentro ci fosse proprio lui. Egli certamente ?? presente ancora all'esecuzione della sua musica, il suo spirito aleggia intorno. E la musica trema con divino ed infinito sospiro di sentimento, la melodia culla l'anima. Io avevo ben riconosciuta la Pastorale. Ricordate, voi, amici?

Ah! perch?? la musica non si pu?? scrivere e leggere come la parola!???

???Lei dice che la musica ?? di Beethoven???feci, ridendo???e sta bene. Ma com'?? che Beethoven si trova l?? dentro? ?? risuscitato?

Lui rispose lentamente, tutto serio:

???Beethoven morto assai tempo. Qui Societ?? Quartetto. Concerto.

???Forestiere lei?

???Allemand, di Germania. Tetesco.

???E vive qui, a Napoli?

Disse con gli occhi di s??. E poi accenn?? pure che tacessi e si riavvicin?? alle finestre. Ricominciava la musica. Chi ora?

???Psst???fece lui???Bocherino.

Mise l'indice sulle labbra e socchiuse gli occhi, come rapito.

Che finezza, che languore, amici miei! La conoscete voi questa Siciliana del gentile minuettista? Come sorrideva il vecchietto in tutta la durata dei sospiri del settecento, agli scherzi dei violini, rievocanti tutto un passato dolce, sparso di polvere d'iris e odoroso di buon cioccolatte. Cari amici, in questo vicoletto al Rione si sogna; e che buon sole, che buona musica, amici miei!

* * *

E vi tornai. Ancora il professore Otto Richter non mi aveva tutto narrato di s??. La sua piccola figura da racconto d'Hoffmannn o d'Erckmann-Chatrian, la sua placida figura tedesca serbava qualcosa di misterioso ch'io cercavo invano di scrutare e su cui arzigogolavo senza raccapezzarmici.

Seppi soltanto questo da lui, alle prime confidenze, ch'egli era venuto di Germania in Italia a piedi. Amici, capite? A piedi. Ne rimasi inorridito; io che adoro le vetture, la ferrovia, le tramvie, tutto che ?? mezzo di trasporto!

Il mio sguardo scese subito alle scarpe del buon uomo, due scarpe punto eleganti, dal tomaio piatto, basso, enorme, dalla punta quadrata, dalle suola doppie tre dita. Vere scarpe nordiche. Egli posava su quel piedestallo e sorrideva, contentissimo. Aveva, parlando, un certo ammiccar d'occhi malizioso, pel quale gli si arricciavano le gote. Tutta la faccia diventava una ruga sola. Parlava a bassa voce.

E poi seppi, pure da lui, ch'egli era a Napoli da tempo, che abitava nel torrione di S. Martino, che in tutta la santa giornata girava nella citt?? dando lezioni di lingua tedesca.

???Voi non conoscete????fece lui.

???No???risposi, mortificato???Ma amerei imparare la vostra lingua.

???Desiderate lezione????disse lui, sorridendo.???Parleremo di questo.

Poi non ne parlammo pi??. Era un vecchietto pieno di delicatezze.

Continuavano le prove della Societ?? del Quartetto. Una mattina il professore Otto Richter se ne venne nel vicoletto con tra mani un libriccino di elegante edizione tedesca.

???E questo?

???Questo? Trattato veleni.

Veleni? Che faccia feci? Ma il vecchietto si affrett?? a soggiungere, battendo in petto la mano aperta:

???Io anche un poco medico.

Un po' medico, un poco poeta, un poco pittore???egli era un po' di tutto. Sopratutto un musicomane. La mia ammirazione cresceva di domenica in domenica, come i concerti del Quartetto si seguivano e ci teneva insieme la comodit?? del vicoletto. Bisognava vedere il mio amico Otto Richter mentre romoreggiava, di dentro, la Cavalcata delle Walc??re. Quel buon Richter! Coi pugni stretti, gli occhi lampeggianti, le gambe allargate, l'ombrella brandita come la frusta d'una delle ammazzoni wagneriane, facendo: Pa pa ta pa! Pa pa ta pa! Papatapa! Zin!

* * *

Pass?? un mese, un felice mese di pruove e di concerti. Non mancammo mai. Sui muricciuoli del vicoletto spuntavano fiorellini gialli e tutte lo creste n'erano vestite. Una striscia d'ombra sotto quei muriccioli, e in mezzo al vicolo un accampamento di sole. Saliva la musica fino al Rione, chiamando i passanti, invitandoli alla platea solitaria di questo teatro improvvisato. E pei gradini diruti scendevano subitamente figurine femminili, allegri cavalierini in galanterie. Era un romore di stivalini saltellanti che faceva voltare il mio amico Richter. Egli pareva un vecchio passero solitario turbato da una folla accorrente di uccellini chiassoni. Si ricantucciava e non si moveva pi??. Qualche piccola signorina lo indicava, sorridendo.

Certo il mio amico Richter impressionava. Era una figura originale, di quelle che i giornali illustrati tedeschi mettono in una novella semplice e buona, vivificata dalla matita di un artista di spirito. Parecchie volte lo incontravo in quei paraggi, con una valigetta appesa a una mano, l'eterna ombrella nell'altra. La valigetta s'empiva di frutta: di erbaggi di latticinii, d'un po' di tutto. Il mio amico Richter entrava frettolosamente nella bottega d'un pastaio, faceva di cappello con quella cortesia ch'?? tutta tedesca e chiedeva due chilogrammi di vermicelli. E in un'ora egli si era provvisto di tutto il mangiabile e il cucinabile. Cos?? tornava a S. Martino e di l?? scendeva per andare a udir la musica in Villa Nazionale o in qualche altro posto dove musica si facesse. Era la sua grande passione.

Una mattina lo vidi che seguiva le esequie di un capitano suicida. Era accanto alla banda musicale, tutto pensoso, l'eterna ombrella sotto il braccio. Lo vedevo poi qua a l?? per le vie, per le stradicciuole di Napoli, frettoloso, parlante a se stesso. Forse si recava alle sue lezioni di tedesco. Poi non lo vidi pi??.

Scompaiono tante persone ogni giorno in questa Napoli, e tante ne compaiono di nuove!

* * *

Una sera, era qui la regina, si dava in onore di lei un concerto al Quartetto. Il vicoletto era pieno. Eravamo in parecchi amici, nella pi?? grande aspettazione per un programma che prometteva Schumman, Wagner, Boccherini, Beethoven. La sala era certamente affollata, ma qui, nel vicoletto, al fresco, come si stava meglio, e senza pagare il biglietto!

Per le aperte finestre uscivano il susurro degli intervenuti, lo strepito delle seggiole smosse, un fruscio d'abiti serici. Di tanto in tanto un accordo di violino, un suono rauco di tromba, una voce che chiamava.

Il vicoletto fu, a un momento, tutto illuminato dalla luna che si liberava dall'impiccio di certe nuvole impromettenti, e campeggiava serenamente in cielo. Noi altri si chiacchierava, aspettando. Accosto a me era seduto un uomo occhialuto, dalla piccola e incolta barba nera. Un forestiero. Non so come io gli abbia rivolta la parola, ne so pi?? perch??. Certo ?? che il mio vicino, tra una domanda e una risposta, brevi sempre, mi disse che egli era tedesco, ch'era professore di lingua tedesca, e che avrebbe desiderato di esser conosciuto. Ma lo disse, poverino, con una cert'aria! Pareva mortificato. Tedesco, professore? Certo conosceva il mio amico Otto Richter.

???Otto Richter???borbott??, cercando nella memoria.

Poi fece:

???Ah! Richter!

???Dunque?

???Morto. Otto Richter? Professore? Morto.

Una cosa molto semplice per questo signore meditabondo. Oh! povero
Richter! Ma come?

Il mio vicino pens?? ancora. Ecco, era morto cos?????e si batteva in fronte???male di cervello. Tre giorni, non pi??. Poi morto.

Dopo un momento cav?? da un enorme portafogli la sua carta e me la porse. C'era su scritto, a mano: Corrado Weber, professore di lingua tedesca.

???Chieggo scusa???balbettava il pover'uomo???io solo a Napoli, solo, solo. Cos?? si vive, signor, lavorando. Richter mio buon amico. Poveretto.

Improvvisamente un fragore di battimani giunse a noi dalla sala; subito dopo l'orchestra intuon?? la marcia reale. La regina entrava. Passarono quattro minuti; nessuno fiatava nel vicolo. Io pensavo al mio vecchio amico Richter, al mio povero vecchietto musicomane.

???E quando ?? morto?

???Psst!???fece Weber???Chieggo scusa, signor. Dopo.

Cominciava la musica. Si lev?? in piedi, si scappell?? e si mise ad ascoltare con religiosa attenzione.

SENZA VEDERLO

Siccome in questo mondo chi pensa ai casi suoi e mette le cose a posto ?? chiamato accorto, cos??, quando dopo la morte di Selletta, spazzino, il quale prima aveva fatto il fiaccheraio e prima ancora avea governato un negoziuccio di commestibili, la vedova Carmela chiuse un suo maschietto all'Albergo dei Poveri, la bambinella mand?? a imparar di cucire da una sartina, e si tenne in casa soltanto il marmocchio che le succhiava la vita appeso tutta la santa giornata al petto vizzo, delle vicine parecchie, e furono le pi?? attempate, dissero che avea fatto bene a provvedere a quel modo alle cose sue, sconsolata e impoverita come Selletta l'avea lasciata. Dissero le altre, poche, e furono le mammine fresche del vicinato, le quali cominciavano con la prima maternit?? a racc??r tutto l'amor loro sui figliuoli, che questi erano il riso della casa e che proprio ci voleva un core assai duro per allontanarli e un coraggio, via, un coraggio!

???Come fate a rimaner tutta sola????diceva alla vedova Nunziata Fusco, una bionda grassetta, con in collo un bambino biondo, grassotto come lei.

???Dite voi???piagnucolava Carmela???come avrei potuto fare con tre angioletti attorno? Sono tre bocche, sono. E poi Nanninella, voi sapete, torna a sera dalla sarta e la notte m'?? compagnia. Impara l'arte, oramai ?? grandicella. Per Peppino??? voi dite che??? l??, all'Albergo??? ?? brutto, non ?? vero?

L'altra diceva:

???Sentite, me ne sarebbe mancato il coraggio. Voi non lo vedete pi??,
Peppino, e lui non vede pi?? voi. E chi chiama se ammala?

???Come! Allora non sapete niente. L?? si trova come a casa sua e niente gli manca??? Ah! ?? vero???soggiungeva con le lagrime agli occhi???io non aveva pensato a questo, ma gi??, avranno medici e medicine, e se accade che lui s'ammali, lontano sia, me l'hanno da far sapere.

???Vi dico che non lo fanno sapere???sentenziava la Fusco, carezzando il suo marmocchio, come per dire a Carmela:

???Questo qui, vedete, me lo tengo io, che sono la mamma, e non uscir?? mai di casa sua.

La vedova rientr?? in casa e corse a baciare cos?? forte il suo piccino, che dormiva nella culla, da farlo svegliare in un sovrassalto. Il piccino piangeva.

???Core mio!???fece lei???zitto, via, zitto. Oggi andiamo a trovare
Peppino.

Era venuto l'inverno a un tratto, con giornate buie e rigide. La casa di Selletta stringeva il cuore, tutta occupata dall'oscurit??. Appena, di sotto l'uscio, ci si vedeva il lettuccio di contro le parete ove gli strappi al parato meschino scoprivano la grigia nudit?? del muro. L'umido penetrava nelle ossa; Selletta l?? dentro ci aveva persa la salute.

La vedova imbacucc?? alla meglio il piccino e lei si butt?? addosso lo sciallo nero che a quello era servito di coverta, nella cuna. Cercava ora la chiave della porta. La trov?? nella cenere fredda del braciere che con quella aveva scavata il giorno prima, per riattizzare il fuoco.

???Andiamo da Peppino???ripeteva al marmocchio, chiudendo l'uscio.

La viuzza, trafficata dai piccoli venditori e dal vicinato in movimento, pareva allegra. Nel lontano, per un vicoletto che vi sbucava, una larga striscia di sole tratteneva i passanti, i quali si fermavano apposta in quel po' di caldo a chiacchierare.

???Dove andate????chiese alla vedova una vicina???Avete vista la buona giornata, e andate a spasso?

???Andiamo da Peppino???disse Carmela mettendo in tasca la chiave.

???Peppino chi?

???Peppino mio figlio, che ho messo a scuola all'Albergo dei Poveri quando Selletta ?? morto, buon'anima sua. ?? stato lui che me l'ha raccomandato. Diceva: mettilo l?? perch?? impara l'arte e non toglie pane alla casa.

???E voi l'andate a trovare?

???Sono tre settimane che non lo vedo, e questo gli far?? piacere.
Lasciatemi andare, bella mia, buongiorno.

E tir?? via col bambino in collo, trascinando per la mota della viuzza un lembo della gonna lacera.

In quel pezzo della via, soleggiato, l?? dove un gruppetto di femmine s'era raccolto a ciarlare, trov?? Nanninella che guardava curiosamente, con le manine sotto il grembiale, il panchetto d'un venditore di caramelle il quale si godeva il sole fumando la pipa, gli occhi socchiusi.

???Nannina!???fece la vedova???come ti trovi qui? Che fai?

La bambina le corse incontro, allegramente.

???Non si lavora oggi, la maestra fa festa, ce ne ha mandate via tutte, perch?? lo sposo la conduce in campagna.

???Andiamo da Peppino???disse la vedova pigliandosela per mano.

Faceva un gran freddo, ma il tempo era sereno e la via asciutta. La bambina batteva ogni tanto i piedi a terra, per riscaldarsi, afferrata con una mano alla veste della madre che le covriva il pugno. L'altra mano aveva ficcata nella piega dello scialletto, alla vita. A volte, chinando la testa, passava il gomito sulla fronte per trarne indietro una banda di capelli che le veniva sugli occhi. Non voleva metter fuori la mano dallo scialletto.

????? molto lontano????chiese, a un tratto, quando furono nella via larga di Foria.

???L??, in fondo???disse la vedova???Vedi quegli alberi? L??, guarda, dirimpetto a noi. ?? l??.

???Com'?? lontano!???mormor?? la bambina.

Allo sbocco di via del Duomo, sul marciapiedi, incontrarono la rivendugliuola che teneva bottega accosto alla loro. La vedova non la vide; in quel momento rincappucciava il bambino. La vide Nanninella. E come la rivendugliola le sorrideva, le grid?? passando:

???Noi andiamo da Peppino. Torniamo pi?? tardi!

???Chi ??????fece la vedova, voltandosi.

???Marianna???disse la bambina????? andata a comprare qualcosa.

???Cammina???disse la vedova.

Arrivarono stanche, la bambina non ne poteva pi??. Cercarono il sole, presso alla grande scala dell'Albergo, ove quello batteva tutto sulla facciata. Sui gradini erano seduti tre vecchietti, Pezzenti di San Gennaro, in chiacchiere con una venditrice di melo.

La vedova s'accost??, guardando nella cesta.

???Me ne comprate, bella figlia!???le fece la venditrice???guardate, ve ne do' tre di quelle grosse per due soldi, guardate.

???Dite???fece la vedova???le posso portare su a mio figlio? Lo permettono, sapete niente?

???Come no? Vi pare? Son mele, non sono cannoni. Pigliatele. Dove le volete mettere?

???Qui???disse la bambina, aprendo il grembiale???mettetele qui, le porto io.

La vedova pag?? i due soldi e si mise a salire la scala dell'Albergo, con dietro la bambina, tutta felice delle mele. Sul largo pianerottolo non sapeva dove pi?? andare, le porte erano molte, la scala continuava.

????? qui????chiese la bambina.

???Ancora pi?? su. Non so. Aspettiamo qualcuno che ce lo dica.

Sentivano zufolare su per la scala, una voce d'uomo s'avvicinava canticchiando:

????????M'hanno detto che Beppe va soldato,
????????e che vi han vista pianger di nascosto???.

Spunt?? subitamente un giovanotto, con le mani in saccoccia e uno scartafaccio sotto l'ascella. Quando fu sul pianerottolo dette una occhiata alla donna e alla bambina e tir?? innanzi, continuando:

Far pianger s?? begli occhi ?? gran peccato???

???Signore, signore!???fece la vedova.

???Che c'??????chiese lui mettendo il piede sul primo gradino dell'altra tesa, e voltandosi.

???Dove si va per vedere??? per parlare con un bambino? Io ho qui mio figlio???

???Vi levate presto voi la mattina? Questa non ?? ora di parlatorio. Ma, via, pu?? accadere che vi facciano vedere il bambino. Andate su, dal segretario.

???Dov'??????chiese timidamente la vedova.

???Su, al secondo piano, prima porta a destra, ultima camera.

Parlando saliva; a un tratto la vedova non lo vide pi??. Ma sent?? la sua voce dall'alto, mentre saliva anche lei.

???Ultima camera, avete capito?

???Sissignore???grid?? la vedova???grazie, signore, Dio ve lo renda!

Il segretario era un uomo assai maturo, molto per bene, con occhiali d'oro, con un bell'anello al dito indice. Sedeva presso la sua scrivania, firmando certe carte che un impiegato gli metteva innanzi una dopo l'altra, asciugando le firme sopra un gran foglio di carta rossa.

Nella camera c'era la stufa, che vi spandeva un tepore dolcissimo.

???Chi siete? Che volete????fece il vecchio, levando gli occhi dalle sue carte ed esaminando la vedova e la bambinella.

La vedova non sapeva che dire.

???Sono Carmela Selletta, eccellenza, volevo vedere, se ?? possibile??? io ho qui mio figlio??? ha sette anni??? Giuseppe Selletta???

???Ma, Dio mio! Non dovete venire qui.???fece il vecchio, la penna levata???questo non ?? parlatorio, Dio mio! Ah! santa pazienza!

???Cos?? m'hanno detto, eccellenza???mormor?? la vedova, mortificata???ho incontrato per le scale un giovane e m'ha insegnata la porta???

???Ma non ?? qui, non ?? qui???insisteva il vecchietto???e poi, bella mia, non ?? ora questa di parlatorio.

La vedova rimase muta.

???Come avete detto che si chiama vostro figlio????soggiunse, dopo un momento, il vecchietto, del quale ora la voce si raddolciva.

???Peppino??? Giuseppe Selletta.

???Mazzia, fatemi il piacere, guardate un po' dentro, in archivio, se c'?? Larissa, e parlatene a lui di questo ragazzo. Anzi fatelo venire qui, che sar?? meglio.

???Come si chiama????chiese l'impiegato alla vedova.

???Giuseppe Selletta.

Mazzia spar?? dietro una portiera. Il vecchietto raggiust?? sul naso gli occhiali, soffi?? nelle mani e mise sulla scrivania una tabacchiera di argento. Nannina aveva riguadagnato coraggio e s'accostava alla scrivania, guardandovi curiosamente il gran calamaio dorato, sul quale due pupazzetti reggevano a fatica una colonnina per metterci entro le penne. Lo sguardo della piccina incantata passava dal calamaio a un fermacarte di cristallo, sotto il quale si vedeva la chiesa di San Pietro, col cupolone, la piazza e la gente in cammino, tutto colorato.

???Sedete???fece a un tratto il vecchietto, dopo una rumorosa soffiata di naso???pigliatevi, l??, una sedia, quella nell'angolo, brava, sedete pure.

Apr?? la tabacchiera, tir?? su una gran presa e allung?? le braccia sulla scrivania.

???Ah, buon Dio di pace e d'amore!???sospir??.

Poi, voltandosi:

???Che cosa avete in braccio????dimand??, aguzzando lo sguardo di sotto gli occhiali.

La vedova alz?? un lembo dello sciallo, scovrendo il piccino che dormiva tranquillamente con una mano sul petto.

???Un piccino????fece il vecchio, sorridendo???carino proprio! Figlio vostro?

???Sissignore.

Nanninella s'era avvicinata a guardare il fratellino, togliendosi alle contemplazioni del calamaio. Stese la mano per carezzarlo.

???Pssst!???fece il vecchio, sottovoce???lascialo stare, tu. Si sveglier??. Ricopritelo con lo sciallo, poverino.

Appariva Mazzia sotto la portiera, impassibile.

???Dunque????fece il vecchietto.

???Se il signor segretario???disse Mazzia???vuol favorire un momento???

???Che c'???

Si lev?? poggiando le mani sui bracciuoli della sua seggiola, cercando in saccoccia il moccichino di seta rossa.

Ripeteva, camminando:

???Che c'?? Mazzia?

Quando il segretario gli fu presso Mazzia lasci?? ricadere la portiera e questa li nascose.

???Ora viene Peppino???disse la vedova a Nanninella.

???Ora viene????ripetette la piccina, sottovoce.

La vedova col capo fece cenno di s??. I due parlottavano ancora dietro la portiera, ma non si capiva nulla di quel che dicessero.

A un tratto riapparve il vecchietto. Pareva molto turbato e veniva innanzi lentamente, con lo sguardo sulla vedova. Si ferm?? presso alla scrivania, aggiust?? un quaderno sotto un libro e, toss?? due o tre volte.

???Sentite, bella mia???

La vedova s'era levata, traendo indietro la seggiola.

???Sentite, non si pu?? parlare a quest'ora coi ragazzi??? Io ve lo avevo detto, siete venuta troppo presto! Gli ?? che a quest'ora il ragazzo???

S'interruppe. La vedova lo guardava.

???Mazzia???si volse lui bruscamente allo impiegato???aiutami a dire???

???Il ragazzo ?? alla lezione???disse Mazzia secco secco.

E si rimise a guardare di fuori, per la vetrata.

???Ecco???disse il vecchietto risollevato-?? alla lezione. Qui si ?? molto severi???.

La vedova ebbe un moto di dispiacere. Strinse meglio sul petto il bambino, e rimase l?? impiedi, aspettando ancora, sperando ancora.

????? proprio impossibile????mormor?? timidamente.

???Eh????fece il vecchio???sicuro, impossibile. Voi siete sua madre, non ?? vero?

???Sissignore, sua madre.

???Impossibile, bella mia???borbott?????come si fa? Dovreste tornare.
Tornate???. tornate luned??, che c'?? udienza, non ?? vero Mazzia?

Mazzia guardava difuori. Non ud?? e non rispose.

La vedova arrossiva. Cacci?? lentamente la mano nel grembiale di
Nannina.

???Perdonatemi???balbett?????io gli avevo portato??? gli volevo lasciare??? queste mele??? perdonatemi???.

???Date qua???disse il vecchio.

La bambina gi?? ne avea posate due sulla scrivania, accanto al bel calamaio. Lui prese la terza e la mise presso alle altre.

???Perdonatemi l'ardire???mormorava la vedova.

???Via???fece lui, dolcemente.

???Torno luned???

???S??, s??, luned????? pi?? tardi. Non venite da me, chiedete del direttore, lui sapr?? dirvi???

La vedova gli prese la mano ch'egli stendeva a carezzar la bambina, e fece per baciargliela.

???Oh!???esclam?? lui, come spaventato???lasciate stare, bella mia. Addio, addio??? buona giornata???.

Erano uscite. Il vecchietto rimase impiedi presso la porta. Ascoltava il rumore delle ciabatte della vedova su per la scala, la vocetta della bambina che interrogava.

Mazzia si ricolloc?? di faccia a lui e gli mise innanzi le carte.

???Piano???disse il vecchietto???non c'?? fretta???.

Vi fu un silenzio.

Il segretario scoteva malinconicamente la testa.

???Glie lo dir?? il direttore, luned?????mormor?????io no, di certo. Non voglio ricominciare la giornata a questo modo.

Asciugati gli occhiali se li piant?? sul naso, toss??, soffi?? nelle mani e riprese la penna.

???Ah! Signore Iddio!???sospir?????Buon Dio di pace e d'amore!???. Date qua, Mazzia???.

LA REGINA DI MEZZOCANNONE

Aprile 1886

Finora Mezzocannone ha avuto solo un re, quel buffo re di creta bronzata, mangiato dal tempo e dalle intemperie nel naso e nelle mani e negli occhi, nero, storto e contraffatto come un Esopo, bersaglio continuo delle invettive delle serve, le quali vanno ad attingere, e delle pietre e dei torsoli onde lo regalano i monelli impertinenti e democratici. Ma questo budello Mezzocannone, questo schifoso intestino napoletano, ha pur una regina. Il re ?? orribile; la regina ?? incantevole. Il re si chiamava, al tempo suo, Alfonso II d'Aragona. Ma la regina? Ella vive e regna in fin della stradicciuola. Come si chiama la regina?

* * *

Le prime visite che feci alla via, mosse da ragioni affatto lontane dall'interesse artistico, me la resero sempre pi?? antipatica. Sino a pochi anni fa, al quarto piano d'uno di quegli sporchi palazzetti vecchi, c'?? stata una Ricevitoria brutta e scura, nella quale, ogni due mesi, io mi recavo a pagare la tassa della fondiaria, immaginate con quanta soddisfazione dell'anima! Poi, un bel giorno, la Ricevitoria sloggi??; sloggiarono, rimossi in fretta e furia, i cancelletti di legno dai bastoni unti dalle mani dei poveri contribuenti, sloggiarono i gravi registri che chiudono tanti segreti di ristrettezze e di privazioni, sloggi?? un cassiere malinconico insieme ad un piccolo gatto grigiastro, il quale annusava specie le gambe dei salumai che venivano a pagare. La Ricevitoria se n'and?? e la casa rimase vuota, muta, spalancato l'uscio, sparse le camere di trucioli e di pezzetti di carta lacerata. I miei passi svegliavano un'eco breve e vibrante. Ancora sull'usciolino d'una delle stanzucce si vedeva un'addizione; i numeri erano segnati con la matita. Non avendo a fare altro collaudai l'addizione, con le mani in saccoccia e l'anima tutta dietro i miei tisici ricordi aritmetici. Il cassiere avea ragione, la somma era giusta; 14,780. Vi dir?? pure, non senza una certa mortificazione, che, avendo, per una radicata superstizione napoletana, ripassati i numeri nel mio taccuino, quando scesi dalla casa abbandonata me gli andai a giocare al lotto. Naturalmente non vinsi nulla, la sfortuna mia essendo grande come la provvidenza del buon Ges??.

In verit??, quando mi trovo per cose mie per gusto mio particolare a scendere per una cosiffatta stradicciuola, mi si stringe l'animo. Dov'?? l'azzurro, dove il sole, dove il buon sangue e la buona salute nelle persone, dove l'aria e la luce nelle case e nelle botteghe? Da pertutto penombre ed oscurit?? fitte, facce smunte e scolorite, in cui solamente palpitano i neri e vivi occhi napoletani, pieni di desiderii e di curiosit??, tutti luminosi d'anima. Una piet?? grande queste povere donne pallide, questi lavoratori di metalli, dallo sguardo lento, dalla pelle sudata, traspirante il veleno delle ebollizioni di piombo o di rame, questi tintori che si movono nell'oscurit??, sotto un lumicino che pende dal soffitto, un lumicino rosso, quasi infernale. E i bambini che trascinano i piedi nudi, per la mota, i piccoli piedi indolenziti, un vecchio che cerca invano un pezzetto di sole per la sua panchetta di franfellicche, e la buia, misteriosa cantina che raccoglie tutta la gente affamata e puzzolente del quartiere, la cantina della miseria, in cui, al venerd??, il fetore del baccal?? fritto nell'olio soffoca il respiro, provocando le piccole tossi dei piccini che una famiglia di straccioni porta a mangiare nell'orrida caverna.

* * *

Dirimpetto, l'antica fontanella mormora sempre. E par che il borbottio si parta dalla sconquassata bocca del re sovrastante, di questo ammantellato padrone della strada, e lamenti la miseria del tempo. Tutto roso dall'umido e dallo stesso tempo ingrato, che a poco a poco ha fatto di lui un personaggio da burla, vuote le occhiaie come colui della bibbia che in castigo ebbe mangiate le pupille dai vermi, l'infelice coronato pur vive ancora e concede la limpida vena dell'acqua a un popolo chiassone. L'acqua cade e si spande e allaga per buon tratto la via, commista a' nuovi rivoletti di un'altra fontanella che pi?? in su ?? posta sul pendio, accanto alla bottega di un torniere???una fontanella municipale, delle solite. E per??, di state e di verno la via ?? sempre lubrica; i pochi fanali che vengono fuori, uscendo come dalle finestre, lasciano piovere una scialba luce sul selciato sconnesso, che somiglia una disgregata sutura di un cranio in cui s'infiltrino fantastiche lacrime. E qua e l??, per terra, si fanno bianche lucentezze sulle gobbe dei pi?? gibbosi lastroni. Nel lontano, ove la strada ?? per finire, pende da un balconcello un fanaletto verde sul quale ?? scritto qualcosa in bianche lettere: Albergo del pavone. Un letto vi costa quattro soldi. Dal balconcello certo non si pu?? aver sott'occhio un felice orizzonte; non c'??' dirimpetto eh? una scala, e in capo alla scala un immane Cristo in croce, rifatto dagli ultimi furori religiosi, dopo il colera. Nella notte, con innanzi ed ai lati alcune lampade accese, il gigantesco Cristo ?? vivo e terribile???

La via ?? sempre affollata. Vi sale e scende il commercio di Porto, della Marina, della vicina strada dei Mercanti, di tutte le stradicciuole circostanti. Gli operai, intenti alla loro bisogna nelle botteghe, non levano mai lo sguardo ai passanti e continuano a lavorare fino a notte, tra il gridio del difuori e l'interno affaccendarsi per l'opera.

C'??, a un posto di Mezzocannone, presso un caffettuccio, ove si giuoca a carte, una bottega di ricamatrici. Intorno al telaio, come attorno al una tavola, seggono quattro o cinque povere ragazze, curve sui ghirigori d'argento o d'oro, sui cuori di seta cremisina, sui fiori dai pistilli di conterie luccicanti. Tra costoro ?? una rossa pallidissima, un po' lentigginata sulla faccia di madonnina bisantina. L'oro del ricamo non ha pi?? luce di quello dei capelli di lei, che, a volte, rischiarati da un filo di sole, si accendono. Questa ?? la reginella di Mezzocannone.

* * *

La piccola rossa, le labbra strette, gli occhi intenti, le bianchissime mani ravvicinate trapassa con l'ago la trama e non ne stacca l'attenzione, per ore ed ore. ?? la prima dalla parte dell'uscio. Ma chi passa, in quei momenti di raccoglimento, non vede di lei altro se non la banda dei capelli fulvi, un impreciso profilo, un p?? della guancia d'avorio fine. La reginella ricama.

In un tramonto estivo, nel quale si spegnevano l'ultime luci perfino nella bottega delle ricamatrici, la rossa????? chiarissimo il ricordo nell'anima mia???aveva poggiato il gomito sull'asse del telaio, e nella bianca mano raccolto il mento, leggermente china da un lato la testa angelica, gli occhi nel vuoto, sognava. Le altre sommessamente, chiacchieravano: la principale preparava i lumi. Un grande silenzio s'era fatto per la via. La dolcezza del tramonto penetrando nell'anima la piccola rossa, socchiuse le labbra esangui, lo sguardo perduto, continuava a sognare, come una santarella in un'aureola di pulviscolo d'oro.

L'IMPAZZITO PER L'ACQUA

26 Maggio.

Ieri un acquafrescaio del vico Marconiglio ?? stato spedito all'ospedale dei matti. Era un giovane pallido, un po' grasso, muto e pensoso. Altri d?? di volta per mancanza di denaro, per fede politica, per ambizione; costui ?? impazzito per l'acqua di Serino. Cos?? dicono quelli della sua famiglia, in cui la professione di venditori d'acqua ?? atavistica. Ma il vicinato dico che no, dice che Peppino Battimelli ?? ammattito per amore.

Peppino Battimelli aveva la sua banca in un cantuccio in penombra, nel vico Marconiglio, sotto un balconcello dalla balaustra di colonnine di legno, una balaustra a petto di colombo, come se ne vedono spesso nei quartieri bassi di Napoli. Tra le colonnine barocche, in maggio, le rose d'una capera fanno capolino qua e l?? e l'edera selvaggia s'attorciglia al legno antico. Un merlo impertinente ripete, senza mai stancarsi, il suo ritornello chiaro e vivace, da una gabbia che rimane, anche la notte, attaccata ad un chiodo, fuori al banconcello. Disotto c'era la banca Battimelli. Niente di pi?? primitivo della pittorica decorazione di questa banca. Sulla faccia di mezzo una larga via, una signora ed un signore a braccetto, con alle calcagne un cagnolino. Alberelli in fila a destra ed a manca. Cielo di verderame carico. Sulla faccia a sinistra una fontana pubblica tra cespi di fiori strani, un ragazzetto che si manda innanzi il cerchio e, in fondo, un palazzo rosso con le finestre verdi. Sulla faccia a destra il mare. Un pescatore accoccolato sopra uno scoglio ha preso all'amo un pesce pi?? grande di lui e lo tira su con la lenza. In fondo il Vesuvio in eruzione. ?? giorno, ma il pittore se n'?? scordato e ha fatto scendere per le falde del monte la lava rossa. Alcune bianche vele s'allontanano pel mare.

Tutto ci?? pei monellucci del vico Marconiglio era stupendo. Nella controra afosa tre o quattro di loro, non avendo a far altro, si mettevano in contemplazione dei dipinti della banca, inginocchiati come innanti ad una immagine di Santa Lucia benedetta. Peppino Battimelli, in camicia azzurra, rimboccate le maniche fino ai gomiti, sognava in una gran seggiola alta che lo faceva troneggiare sulla banca, sui limoni in fila, sulla fila riverberante delle giarre di vetro sottile, capacissime. Un alito di fuoco passava nel vicoletto, al tramonto. Le pietre sconnesse del selciato ardevano. Ma la luce, in questo vico Marconiglio stretto e scuro, anche nell'estate, ?? mite; sul cadere del sole, mentre la gente si sveglia dal torpore della giornata, il vico si rianima di moto e di voci; la capera s'affaccia, sbadigliando, al suo balconcello e incorona per poco la balaustra delle bianche braccia nude, tornite e lisce. Rimane un poco a guardare nella viuzza, chiacchiera con una sua comare, e torna in camera per riuscirne dopo un pezzetto, con un secchio in mano. Inaffia le rose e si china ad aspirarne il profumo. Quando c'era di sotto Peppino Battimelli la capera lo salutava, picchiando col secchio di latta sulla balaustra.

???Pepp??, bonasera.

Lui rispondeva, con gli occhi levati:

???Bonasera.

???Sentite che caldo nfame?

???S??.

???Pepp??, io sto adacquanno 'e teste, si cade l'acqua dicitemmello, ca me dispiace.

???Nonzignore, l'acqua nun cade.

???Pecch?? me dispiacciarria, Pepp?????

???Nonzignore.

La capera sospirava e rientrava, lentamente. Impossibile commovere quest'acquaiolo malinconico. Nella stanzetta che gi?? andava accogliendo dolci penombre, lo specchio luceva in un cantuccio. La capera ha dovuto spesso mirarvisi. Ancora i capelli neri erano copiosi e belli, ancora, tra la frangia diffusa, gli occhi neri splendevano, ancora la bella bocca era rosea. Che importava la sua vedovanza? A volte meglio una vedova che una zitella. Ma Peppino non ne voleva sapere. Che peccato!

Verso le cinque o le sei della sera le comari del vico scopavano le case. Qualcuna si pigliava briga di rinfrescare il selciato arso, buttando acqua qua e l??. Il selciato si macchiava di tante chiazze nere, onde saliva un tanfo di polvere cacciata via dall'acqua. La viuzza faceva toletta. Ma, dopo, aspettando che vi arrivassero, da tutte l'altre vie del quartiere, gli operai dal lavoro, le femmine dalla fabbrica dei tabacchi, le rivettatrici dalle botteghe dei calzolai, i cenciaiuoli ambulanti con la gerla piena di stracci e di cappelli vecchi, la viuzza taceva, presa da quella malinconica pace delle stradicciuole napoletane, ove ogni casa nasconde e cova un dolore. Peppino Battimelli continuava a meditare.

* * *

Tempo fa capit?? nel vico la mamma, una vecchia. Chiese conto a tutto il vicinato di quello che il figlio di lei, Peppino, facesse, stando a vender acqua. Rispose ognuno: Che volete che faccia? Vende l'acqua.

???Diciteme 'a verit??!???insisteva la vecchia.

???Ma ch'?? stato?

Allora quella raccont?? che il figlio aveva dato di volta. Non si sapeva perch??. Non aveva voluto mangiare, non bere; s'era spogliato nudo e voleva precipitarsi dal balcone Un balcone al quinto piano, al vico Fico. Nemmeno l'ossa si sarebbero trovate.

???Ma avite appurato pecche ?? mpazzuto?

???Gioia mia, pe l'acqua d'o Serino. L'acqua nosta nun se veve cchi??. A che simmo arrivate! Come fosse veleno!

A casa???seguit?? la vecchia???Peppino nominava sempre l'acqua di Serino. Un'ingiunzione municipale che ordina agli acquafrescai di non vendere acqua che non sia di Serino aveva colpito per lui, giorni addietro. Il giovanotto se c'era fissato. Domenica scorsa, bestemmiando???Ges??, lui che non ha mai bestemmiato!???in un impeto frenetico ha afferrato un coltello e si voleva ammazzare. Poi ha strappato la gran chiave all'uscio di casa e si ?? dato in capo e s'?? ferito. Il medico ha detto che ?? pazzo. Ma guarir??.

La vecchia piangeva. Tutte le comari si sono intenerite e anche la capera del suo balconcello pieno di rose. Intorno alla vecchia s'era radunata gran gente. Quando la madre di Peppino se n'?? andata i commenti duravano ancora.

???Vuie vedite 'a fantasia 'e l'ommo add?? va a sbattere!???ha esclamato una rossa, in camicetta bianca.

E ho visto la capera che rispondeva dal balconcello, col secchietto in mano:

???Quanno uno sta sulo sbarca. Quann'?? nzurato penza 'a mugliera. Chi tene belli denare sempe conta, e chi tene bella mugliera sempe canta!

????? overo???ha detto la rossa???Ma Peppino 'o teneva o nun 'o teneva, 'o core mpietto?

???I che saccio!???ha esclamato la capera, ridendo.

La rossa, che ha intorno una nidiata di marmocchi, ha levate le braccia, gridando a tutti i maschi del vico:

???Uommene! Uommene! Nzurateve!

Il mistico matto era dimenticato. Le femmine gridavano con la rossa, le braccia tese:

???Nzurateve! Nzurateve!

E sopra le soglie dei bassi, nelle botteghe, nella via, gli uomini ridevano, contentissimi, e ridevano pur le femmine incitanti, e negli sguardi accesi degli uni e dell'altre il desiderio luceva. Era, in quest'ora, ancor tutto caldo di sole il vicoletto. Il diavolo del terzo peccato alitava sulle facce sudate, passando improvvisamente tra quello scoppio di miserevole brutalit?????

NOTTE DELLA BEFANA

Il letto di Chiarinella l'avevano collocato in un angolo ove arrivava tutto il sole. Nel verno, quando il sole era dolce, la poverina s'addormentava in un'onda luminosa, che le scaldava le manine esangui sulla coverta. Tutta la giornata rimaneva sola; la chiudevano in casa e portavano via la chiave, abbandonandola a tutti quei pensieri, a tutte quelle paure che hanno i bambini quando non si vedono accosto nessuno. Lei dapprima avea pianto, con la testa sotto alle lenzuola, tutta raggranchita, non osando gridare a non spaventarsi peggio. Provava timori strani, le pareva che non dovesse stendere le gambe perch?? qualcuno, un mago, un essere spaventoso, le avrebbe afferrato i piedini tirandola; non metteva fuori la testa, chiss?? si sarebbe trovato di faccia un volto mostruoso con gli occhi spalancati che la guardavano di sopra alla spalliera del lettuccio. A momenti credeva di sentir battere alla porta quello scemo orribile, a cui venivan le convulsioni nella strada e che una volta le era corso appresso, urlando. Poi, quando la malattia la ridusse che non poteva pi?? muoversi, rimase l?? nel suo cantuccio, istupidita e indifferente, come se niente pi?? la colpisse.

Lass??, in quella stanzuccia al quarto piano, ci dormivano la Malia, ch'era ballerina a una baracca, donna Bettina e il marito. La Malia andava al concerto per tempo e toccava alla madre accompagnarla; la ragazza tornava di notte tutta freddolosa nello scialletto rosso, con le mani nel manicotto spelacchiato, che lei stessa s'aveva fatto dalla pelle di un gatto bianco e nero. Donna Bettina le portava nell'involtuccio la vestina di veli, il corpetto rosso a frangia dorata e le scarpine piccole piccole come quelle di Cenerentola. Malia, quando qualcuno dei giovanotti che frequentavano la baracca le avea regalato dei pasticcetti nell'intermezzo, entrando in casa si buttava sul letto tutta stracca, senza nemmanco spogliarsi. Quando no, andava rovistando per la casa se trovasse qualche cosa da rosicchiare e strepitava, dicendo che se no sarebbe andata via un bel giorno col primo venuto, che era una vita infame e cos?? non poteva durare. Donna Bettina diceva: Vattene, vattene, che ?? meglio; una bocca di meno! Nella notte, mentre la lampada ardeva innanzi a una Madonna sul canterano, lei chiamava sotto voce:

???Chiarinella!

La bambina non avea chiuso occhio. Rispondeva sommessamente.

???Ah?

???Dimani mamma ti compra un soldo di latte, hai sentito? Ti far?? compagnia, non ci vado al teatro???

???S??? s??!???pregava lei???non ci andare, fammi compagnia!??? Senti, mamma???

Quella balbettava, lasciandosi vincere dal sonno:

???Zitta ora, dormi??? domani??? domani??? La camera taceva. Chiarinella era sempre l'ultima ad addormentarsi; sentiva per un pezzo ancora il respiro forte ed eguale della sorella, che alla baracca avea ripetuta una piroetta e s'era affaticata. A volte la coglieva la sete; scendeva, a tentoni, cercando il bicchiere sulla scanzia a cui le sue piccole braccia magre appena arrivavano. Certe mattine la veniva a vedere la Nunziata, una vicina che le avea dato latte quando Bettina non ne aveva.

???Povera piccina!???faceva???povera Chiarinella mia!

Le portava un'arancia fresca, sedeva accosto al letto e si metteva a toglierne la buccia e la pellicola, dividendola a spicchi che la bambina succhiava avidamente, in silenzio.

???Par nata muta???diceva Bettina, quando ne parlavano.

???No, no, ?? la malattia. Stateci attenta, sapete, non si scherza, s'?? fatta magra come uno spillo. Che v'ha detto il medico?

???Quale medico? Come avrei potuto chiamarlo? Ah! Nunziata mia, voi non sapete i guai miei!

E si metteva a raccontarglieli sotto alla porta, mentre la Nunziata a ogni momento correva dentro a invigilare il rag??, di cui l'odore piccante entrava nella camera di Bettina, Guai grossi. Il marito se n'era andato a Palermo, sopra un legno di Florio e chiss?? quando tornava. Denari niente. A Natale soltanto avea mandato trenta lire, sparite via come il fumo. Malia se ne avea prese otto per una cinturella dorata che le serviva nell'Orfeo all'inferno, al terzo quadro. La casa si sfasciava, abbandonata alla miseria, senza sistema, senz'amore. Non c'era pi?? niente, Malia avea saccheggiato tutto, il Monte di Piet?? era pieno dei panni loro.

???Oh! Ges??!???diceva Nunziata, rabbrividendo???Come potete stare cos???
Mettetevi a fare la serva, i posti ci sono.

???E Malia? La lascio sola? E Chiarinella?

???Per la bambina, se la Provvidenza ve la fa guarire, me la tengo dentro da me colle figlie mie???disse Nunziata???intanto Malia potete lasciarla fare. Lei non ?? stupida, bader??.

???Oh! no, mai sola!???protestava Bettina???Voi sapete il mondo com'?? cattivo!

Ma in fondo era per questo, che alle cenette dopo il teatro ci andava anche lei, e a volte avea messo in saccoccia qualche pollo freddo, mentre la figlia teneva a bada quelli caldi che le facevano la corte per gli occhi belli che aveva.

Tira, tira, la corda si spezza. Negli ultimi giorni dell'anno Chiarinella non la si riconosceva pi??. Si lamentava tutta la notte, piangendo sola, con la testa abbandonata che aveva fatto il fosso nel cuscino. Nel giorno della Epifania, Nunziata entr?? a vederla e le spuntarono le lacrime agli occhi. Lei poverina, le sorrise, le mostr??, senza parlare, l'arancia che aveva nascosta sotto alla coperta, sul petto.

???Senti???disse Nunziata???ti vengo a far compagnia. Io ti voglio bene. Sai oggi che festa ??? Oggi ?? l'Epifania. Stanotte arriva la Befana che va da tutti i buoni piccini. Bisogna mettere appesa una calza a capo al letto. Se la bambina ?? buona la Befana viene a mettervi un regalo bello; se ?? cattiva vi mette i carboni.

???Senti???soggiunse???ora me ne vado, ti mando Cristinella.

Dopo poco la figlia di Nunziata, una bambina di cinque anni, entr??, allegramente. Si recava in braccio una bambola di legno, alla quale avea messo il suo grembiale ed una cuffietta ricamata.

???Guarda com'?? bella???esclam??, sedendo sul lettuccio???falle un bacio.

Glie l'accost?? alla bocca. Chiarinella la baci?? in punta di labbra.

???Si chiama Angelica???disse Cristinella????? figlia a me.

La strinse nelle braccia e si mise a cullarla, cantandole la ninna nanna.

???Oooh! oooh!

Poi subitamente la pos?? sulla coverta.

???Tu che hai? Sei malata?

???S??.

????? cosa da niente, cosa da niente???sentenzi??, come aveva sentito dire qualche volta alla mamma???una buona sudata e passa.

Come l'altra non diceva nulla, Cristinella si secc??. Aperse la bocca rosea con un lungo sbadiglio e si allung?? sul lettuccio, nel sole.

???Sai guardare il sole?

???No.

???Io s??, guarda.

E si mise a fissarlo. Ma gli occhi le si empirono di lagrime. Allora, dopo averseli asciugati, riprese la bambola o scese dal lettuccio.

???Io me ne vado???disse???debbo preparare il letto a questa qua! Uh!???esclamava, baciando la pupattola???quanto sei bella! vieni con mamma tua!

Chiarinella rimase sola. Dopo un momento scese, rovist?? in un angolo, trov?? quello che cercava. E trascinandosi sino al letto, con uno sforzo che dopo la fece piangere, attacc?? al bastone della spalliera una piccola calza bucherellata.

La Bettina in tutta la giornata torn?? a casa due volte e poi riesc?? per accompagnare Malia che faceva Venere, in Orfeo.

A notte la piccina, che sonnecchiava, ud?? una voce maschile su per le scale e la voce di Malia.

Diceva Malia:

???Addio??? ciao??? grazie???

La notte della Befana era fredda, ma chiara e stellata. Un grande silenzio s'era fatto nella viuzza solitaria, un grande silenzio si fece nella stanzuccia quando Bettina e Malia chiusero al sonno gli occhi stanchi. Una delle rosee calze della ballerina pendeva accapo al suo letto. Ella stessa ci aveva lasciato cader dentro, sorridendo, un piccolo anello d'oro, un paio di profumate giarrettiere di seta. Era stata Befana a s?? stessa, prevedendo che la Befana avrebbe lasciata vuota la calza. Nelle case de' poveri quella non entra.

Chiarinella dormiva, sognando la pupattola della sua piccola amica.

Alla dimane Malia si svegli?? un poco pi?? per tempo del solito. In tutta la notte l'anellino e le giarrettiere le aveano parlato all'orecchio. S'accost?? alla finestra e si mise ad ammirare i regalucci, stropicciando una cocca del grembiale sull'anello lucente.

???Bello, bello!???faceva donna Bettina, di sulle spalle della figliuola.

Chiarinella stese la mano, stacc?? la piccola calza dalla spalliera del letto e vi guard?? entro. Il suo cuoricino batteva forte.

Ma nella calza non c'era niente.

Malia si lavava, canticchiando, le belle spalle bianche, nude, assalite dai brividi. Il bacile di latta si empiva di spuma candida, fiocchi di neve ne cadevano intorno. Ancora il sole non era arrivato alla stanzuccia, ma per le vetrate appariva il cielo azzurro, limpidissimo, sul quale la Befana aveva, nella notte, ripassata la sua scopa di penne di pavone.

La piccola calza bucherellata era caduta sulla coverta del lettuccio, e da presso due piccole mani vi si abbandonavano, esangui. Tra tanta infantile minutezza le cose pi?? grandi eran due lacrime, che scendevano per le gote di Chiarinella.

SCIROCCO

La mattinata umida e malinconosa, senza raggio di sole, moriva tristamente nelle ultime luci fredde e annebbiate dell'imbrunire. A' rumori che nel giorno l'aria spessa e pesante aveva ammortiti, alla vita della mattina piena di movimento, di voci, di strepiti, che il tempo uggioso avea resi come sordi e sfiniti, succedeva adesso, dopo un paio d'ore d'ozio snervante, l'impaziente rivoluzione della sera, che pareva volesse reagire a quel torpore durato cos?? a lungo tra l'aspettare invano i soliti piccoli avvenimenti e il raggomitolarsi con lo spirito e il corpo in un malessere d'insofferenza che la giornata metteva ne' muscoli e nel sangue.

Alle quattro era venuta gi?? un po' d'acquerugiola fina e diaccia, che filtrava i brividi nell'ossa, e a guardarla si sarebbe detto che fosse bigia come il cielo e piagnucolosa come un'ostinazione di bimbo malaticcio. Laggi??, in piazza S. Ferdinando, i cocchieri del posto bestemmiavan sottovoce, la testa insaccata fra le spalle, il tappetino della vettura sulle ginocchia strette.

???Che, divertimento ah????La gente s'era scordata d'andare in carrozza. Ognuno casa sua la teneva a quattro passi, e poi col sole che c'era veniva la voglia di farsela una passeggiata co' piedi nelle pozzanghere.???E cos?? la giornata se ne scivolava??????Oh?????? vengo? vengo????

Ora tutte le fruste schioccavano; qualche signore dal marciapiedi di faccia voltava gli occhi a destra e a manca, aspettando che spuntasse una carrozzella di passaggio per risparmiare un paio di soldi, che, tanto si sa, quelle del posto non si muovono se non le trattate a dovere e voglion la corsa intera per quattro passi come le hanno avvezzate i signori ricchi che portano il collo stretto nel solino, lo staio sulle orecchie e vanno a Chiaia senza sporcare i cuscini, con lo palme delle mani sulle cosce. Ma intanto con quel tempo e con quella scarsezza il posto s'arrendeva, lasciandosi fare.???Otto soldi al Museo???diceva il signore???Datemi mezza lira???E l'altro duro: Otto soldi.???Il cocchiere ci pensava un pezzo prima di decidersi a pigliarlo per quella miseria, ma intanto come il signore s'impazientiva e faceva per voltargli le spalle, e allora con un santa pazienza lo chiamava:

???Sentite??? andiamo??? salite.

Dal posto i compagni stavano a guardare, seguendo con gli occhi il battibecco, indovinandone le offerte e le transazioni. Lui pel sacrificio che aveva fatto si sfogava con la povera bestia, la quale scotendosi tutta con un balzo alla prima frustata incollerita che le toglieva il pelo, rabbrividiva di sorpresa e di dolore. E mentre nel pigliar l'aire dava una strappannata al panciere, lui ritto in serpa, mangiandosi la lingua, scoteva la mano all'aria due volte, e spiegava le dita a mostrare ai compagni quanti soldi pigliasse.

Le ombre scendevano rapidamente: dalle basi rotonde de' fanali, di cui la fiamma a gasse si dondolava leggermente fra i vetri appannati, la striscia nera della colonnina si proiettava ad angolo su i marciapiedi umidi, e in cima la lanterna ingrandiva smisuratamente, spandendosi. C'era poi, sopra l'insegna di un magazzino, il grande orologio di Riccio, che luceva da tutte e due le facce, pallido come la luna, e faceva venir la malinconia, malgrado vi fossero sopra due grandi ali dorate come quelle degli angioli a lato dell'altare maggiore.

Allungandosi lo sguardo arrivava sino al principio della scesa del Gigante; laggi?? il verde cupo degli alberi si fondeva col cielo tutto d'un pezzo, nero come il carbone.

Ma nello spiazzato innanzi alla gran massa del palazzo reale, tutti i lumi s'eran data la posta come ogni sera, e assieme ai fanali grandi a cinque rami, di sotto alle colonne del peristilio, le lampade a bomba rischiaravano la piazza deserta e silenziosa, ove pareva che andasse a morire nell'immensit?? del vuoto tutto il romorio di Toledo.

In questa brutta serata di marzo, come sonarono le sette all'orologio di piazza Dante, tanto debolmente che appena lui potette seguirne i rintocchi, Manlio si decise ad uscire. Dopo aver leggiucchiate le prime pagine di un romanzo nuovo, di cui si era annoiato a morte, fra le cinque e le sei di sera s'era buttato sul letto, volendo gustare, per la prima volta dopo un mese, la volutt?? del sonno a quell'ora. Cos?? tra l'appisolarsi e il rimaner cogli occhi aperti per un pezzetto a guardar nel soffitto le ragnatele lasciate in pace, stette un'ora buona, in forse se dovesse uscire o rimanersene a casa, ora che il tempo minacciava.

Manlio: un bel nome, di cui doveva la romanit?? severa alla madre buona e intelligente che s'era ridotta in provincia a seguire il marito e c'era rimasta perch?? lui contava di raggranellare il suo po' di sostanza, vendendo dei fondi che da assai tempo lacerava a furia di liti l'ostinato accanimento di tre eredi, fra i quali egli era primo. Con le buone parole, co' sacrificii e la pazienza lui si era fitto in capo di spuntar la faccenda e le cose andavano bene. La signora Maria scriveva al figliuolo, ogni settimana, lettere piene di cuore e di rimpianti, promettendo, a rassicurarlo, che sarebbe tornata subito, arrischiando timidamente, con una dolcezza di parole che nascondevano la severit??, dei piccoli ammonimenti nei quali tremava, inconsapevole, il suo grande amore di madre lontana. Manlio, leggendole, si commoveva. Ora la solitudine, che fra tutte le sue vaghe aspirazioni di fanciullo nervoso, era stato sempre il desiderio pi?? intenso, lo spaventava, rimettendogli innanzi agli occhi il ricordo di certe sere calme d'inverno, quando la pioggia batteva a' vetri ed essi chiacchieravano sottovoce nel tepore della stanza, mentre il padre leggeva la gazzetta e fumava. Nei brevi momenti di silenzio, quando la signora Maria s'era lasciata scappare una maglia della calza che lavorava, s'udiva dal lettuccio il respiro uguale della bimba che dormiva con una manina sul petto. Che sere! Lui raccontava i suoi progetti, si animava facendo mille castelli in aria, lasciandosi trasportare, gesticolando sottovoce e la brava donna sorrideva, contemplandolo tutta pensosa, e le maglie della calza scappavano. Ma eran sogni d'oro quelli che lo cullavano allora; dormiva sino a giorno tutto d'un fiato sotto la coltre doppia che, a volte, quando non aveva ancor chiusi gli occhi, sentiva a rimboccarglisi sotto al mento dalle mani leggere della madre???

Questo pensava Manlio in quella sera di marzo, smaniando sul letto, che scricchiolava, voltandosi da tutte le parti come se fosse sulle spine. All'ultimo, mentre l'oscurit?? empiva la stanzuccia e lui non vedeva altro se non di faccia, il vano della porta anche pi?? nero dell'ombra, una strana inquietitudine lo prese. Quasi gli venne paura che da un momento all'altro, cos??, solo com'era, in quel silenzio, in quella oscurit?? avesse a mancargli la vita. Quando si lev??, cercando tentoni i fiammiferi, le mani gli tremavano e durava fatica a tirar su il flato.

???Impossibile???mormor??, com'ebbe acceso il lume e gli torn?? l'animo???impossibile???.. Questa ?? vita che non pu?? durare???

Si vest?? e scese. Mettendo il piede nella strada si ricord?? di non aver preso il paracqua. Stette un momento in forse se dovesse risalire o tirar via facendone a meno, tanto era un'acqueruggiola minuta che non faceva male e poi rifar daccapo settanta gradini era una cosa che lo seccava abbastanza. Si mise in cammino, scendendo per Toledo, con le mani in tasca e la testa china, tutto pensoso. Che si sentisse dentro lui stesso non lo sapeva: era un malessere, un'oppressione, un'insofferenza, che lo rendevano odioso a se stesso; fra tutto lo impensieriva ora come un intuito delle disillusioni che gli toccherebbe a sopportare; indovinava le aspettative insoddisfatte, cui da un momento all'altro si troverebbe di contro nella sua piccola vita serale, della quale si faceva il conto che il tempo cattivo dovesse romper le abitudini. Difatti entrando nel caff?? ove gli amici erano soliti a raccogliersi accanto alla gran tavola di marmo, trov?? ch'essa era deserta, e and?? a sedervi aspettandoli. Chiese il caff?? e gli parve addirittura acqua calda; lo sorb?? tutto d'un sorso dopo averlo fatto raffreddare, non volendo avere la pazienza di centellinarlo col gusto che ci pigliava ogni sera. Nel caff?? c'era una piccola orchestra che di colpo si mise a sonare un walzer fritto e rifritto, un'antipatia di musica frettolosa e saltellante, che mise una gaiezza stupida fra i consumatori. Lui, di faccia a un borghese, che batteva il tempo col cucchiaino nel vassoietto, si sentiva un formicolio nelle mani; gli avrebbe voluto buttar la chicchera in faccia.

Cominciava a dolergli la testa; gli occhi, in quella nebbia, che il fumo dei sigari spandeva nel locale chiassoso, gli s'intorbidivano, e gli diventavan piccoli. A un momento, mentre uno spilungone di maestro di musica batteva sconciamente sui tasti del pianoforte, egli sent?? il colpo secco e la vibrazione, per un secondo, d'una corda che si spezzava facendo ??zin!??, cosa che gli accappon?? la pelle. S'alz?? guardando all'orologio sul pancone del principale; erano le nove, gli amici non sarebbero pi?? venuti.

E, lentamente, con le labbra strette, infil?? la porta che riusciva sulla piazzetta innanzi al Municipio. Pioveva sempre allo stesso modo. Lui si mise a camminar dritto avanti a s??, non sapendo che via pigliare per tornare a casa pi?? presto, ora a piccoli passi, ora affrettandoli per trovarsi subito fra le sue quattro mura. E camminando si rodeva dentro con gli amici che non eran venuti, con la umana leggerezza che dimentica tutto, con s?? stesso che era tanto ingenuo da contare su tutti. Avrebbe voluto che i compagni avessero indovinata la sua solitudine in quella sera, avrebbe voluto che fra essi uno solo almeno avesse pensato a farsi trovare per tenergli compagnia.

I suoi nervi in quel momento avevano acquistata una tensione straordinaria. Gli scoppi rumorosi delle fruste, quando gli passavano accosto le vetture, lo irritavano, bestemmiava sottovoce, sbuffando, come inciampava nell'oscurit?? col piede in una rotaia di tranvai che lo sbalzava da un lato, sorprendendolo dolorosamente. La luce dei magazzini gli abbagliava gli occhi; a volte sentiva fra le spalle come delle punture di aghi, che gli davano per un momento l'irritazione d'una bestia inquieta.

Ora si trovava di faccia al teatro S. Carlo. Entr?? lentamente sotto il porticato. Si ferm?? a leggere un cartellone mezzo lacerato che pendeva a uno de' muri. S'accorse che sotto a quel muro una persona, che lui conosceva molto da vicino, stava tranquillamente accendendo un sigaro. Si adocchiarono nello stesso momento; Manlio s'accost??, con la mano stesa.

???Buonasera, signor Roberto.

???Buonasera, Manlio; come va?

???Eh!???disse lui, facendo spallucce???Son seccato???

L'altro, passando il sigaro nell'angolo delle labbra, fece per incamminarsi. Manlio gli tenne dietro, stringendoglisi accosto. Gli pareva, che quegli non gli avesse detto addio per stare un po' assieme, e intanto gi?? s'annoiava della compagnia.

Costui era un uomo in su i quaranta, scriveva per i giornali, era tenuto in molta stima nel suo paese e godeva d'una certa fama di seriet?? che lo onorava. Quella sera aveva l'aria d'uno cui ?? capitato un guaio e, piccolo piccolo com'era, col gran cappello su gli occhi, il bavero del soprabito alzato, faceva quasi compassione.

Dopo un momento di silenzio, camminando sempre, disse:

???Dove andate?

???A casa.

???Che brutto tempo!??????fece l'altro, senza guardarlo in faccia.

???Tempo canaglia??????rispose Manlio, coi denti stretti.

Vi fu un altro momento di silenzio, poi, lentamente, quello del sigaro mormor?? con un risolino forzato:

???Come mi vedete ho perduto poco fa duecento franchi.

???Ah????fece Manlio, senza commuoversi, come se non avesse capito bene.

Poi non vi fu pi?? una parola. Il signor Roberto camminava tutto astratto, a capo basso, studiandosi di mettere il piede sempre nel mezzo delle lastre del selciato, provando una piccola contrariet?? quando per inavvertenza gli capitasse tra le commessure. Manlio non vedeva l'ora di toglierselo d'accosto. Ora una collera sorda lo irritava contro quest'uomo che perdeva duecento lire come se niente fosse e se ne andava passeggiando in una serata come quella. E l'altro, mentre badava stupidamente a regolare il piede in modo che si trovasse sempre nel mezzo del lastrone, pregava tutti i santi perch?? mandassero via questo giovinotto pittimoso, del quale la muta e pesante compagnia gli cadeva addosso come un incubo. Cos?? per venti minuti di cammino, tornando a poco a poco ciascuno alle sue idee nere, quasi non accorgendosi pi?? della loro vicinanza, non aprirono bocca. A un punto, sul marciapiedi poco discosto dalla casa di Manlio, una donna, una signora bellissima, sola, stretta in un lungo sciallo nero, alta, pallida, fiera, pass?? loro accosto. Fu come una visione.

???Che bella donna!???mormor?? Manlio, come parlando a se stesso.

???Bellissima??????sospir?? l'altro, senza alzar gli occhi.

Di colpo si guardarono, si tesero le mani contemporaneamente, stringendosele. Si erano fermati per un secondo.

???Addio???disse il signor Roberto.

???Addio???rispose Manlio.

Lentamente entr?? nel palazzo ove abitava e si mise a salir le scale. Quando fu in casa, senza togliersi il soprabito umido, butt?? sulla tavola il cappello a cencio, provando uno strano batticuore, un'emozione nuova e misteriosa. Tent?? di mettersi a scrivere, pensando che questo dovesse distrarlo, compilando in mente, rannicchiato sulla seggiola innanzi al tavolino, una lettera alla mamma, piena di tenerezze e di sfoghi. Ma quando cerc?? intorno i fiammiferi si ricord?? d'averli dimenticati al caff??. E innanzi a questa piccola contrariet?? ebbe un momento di immensa disperazione. Si gett?? bocconi sul lettuccio, mordendo nella furia il cuscino, torcendo le lenzuola nel pugno, singhiozzando.

Pioveva sempre, ma la pioggia non batteva ai vetri con lo stesso ritmo dolce delle lunghe serate in famiglia n?? alcun lume nella stanzuccia poteva mostrargli la faccia pallida e sorridente della madre e in fondo, nella penombra, il lettuccio della piccola sorella dormente.

Cos??, in quella triste serata umida e tetra, in quello scompiglio nervoso che infuriava nel suo morale tormentandogli il fisico a scosse dolorose, egli, solo, solo nella sua amarezza, in quella oscurit?? fitta della cameretta, si mise a urlare come un pazzo.

SUOR CARMELINA

Giugno 1886.

Tra le suore dello spedale X???. ho conosciuto, tempo fa, Suor Carmelina, una giovane donna sottile e bianca, bianca come una Vergine di cera, pallida come un'ostia nell'ombra. I malati la chiamavano la santarella; ella sorrideva sempre, parlava sempre sottovoce, pronunciava s la z e tratto tratto diceva a' malati: Benedeto! Benedeto da Dio! Era veneziana, tutta piena di quella dolcezza de' modi e dell'anima onde quei del veneto son pieni.

Come era divenuta monaca? Nessuno me lo seppe dire. E da quanto tempo ella aveva abbandonato il mondo e Venezia bella? Tutte queste monacelle, benedete, hanno il loro piccolo dramma chiuso in core, e un mistero nascoso nell'anima. Alcune volte gli occhi luccicano, si velano d'una lacrima, le mani bianche fremono, la bocca freme, il respiro ansioso gonfia il petto coverto dalla tonacella. Ma andate a chiedere loro perch??, tentate di impadronirvi di quella bianca mano fremente, cercate di interrogare quella lacrima! Fuggono, si chiudono nelle piccole stanzucce a vetri, evitano di ricomparirvi innanti, vergognose. Soltanto la piccola stanzuccia a vetri sa il mistero della piccola suora. Nessuno ha potuto mai sentire i singhiozzi di una piccola suora!

* * *

Io chiedevo sempre a un mio povero amico, malato a quello spedale, che ne pensasse di Suor Carmelina. Si capisce; ogni giovanotto, in presenza d'una di queste figlie della carit??, prima vede la giovane donna, poi vede la monaca. Imagina sempre un sacrifizio, si appassiona e s'intenerisce.

L'amico, un commesso viaggiatore, al quale una caduta avea quasi spezzata la gamba sinistra, stando in bolletta s'era salvato allo spedale. Veneto pur lui aveva ben presto stretto amicizia con suor Carmelina. La trovava semplicemente una buona putela, una fia de la Madona.

Io lo andavo a vedere tre volte alla settimana, poi finii per recarmi a trovarlo quasi tutti i giorni. Si cominciava a parlare della gamba disgraziata e si cascava, subito dopo, a chiacchierare di suor Carmelina.

???Non le hai mai domandato perch?? s'?? fatta suora?

???Mai. E perch??? Non me lo avrebbe detto. Parla poco.

???Ma con te, che sei compaesano suo, potrebbe far eccezione alla regola.

???La Regola???rispose il mio amico, celiando???impone il silenzio alle suore, specie coi giovanotti malati, specie alle suore giovani.

???Senti, caro mio, francamente io vorrei trovarmi qui, in questo tuo letto.

???Con gli stessi dolori?

???Con gli stessi dolori.

???Con la stessa gamba impacchettata? Con la stessa mania di volere e di non poter uscir a vedere il sole, a veder camminar la gente per via, a vedere le carrozze, a camminare? Va l??, tu scherzi. Siamo troppo amici. Nemmeno ai cani lo auguro.

???E io vorrei essere qui, nel tuo letto.

???Per vedere suor Carmelina? Per parlare con suor Carmelina? Per sentire la voce di suor Carmelina?

???Per questo.

Lui rise fortemente. Ella in quel momento passava e si volse. Le donne hanno questo di particolare che anche da lontano, con la coda dell'occhio, appurano quello che dite e se parlate di loro. Per un momento la sua veste pass?? lungo la fila dei letti, senza romore, senza toccarli, lambendo i larghi quadroni di marmo del pavimento. Un malato, il numero 34, un vecchio colono da Melito, si lev?? a sedere sul letto e si sberrett??, con una grande reverenza, mormorando qualcosa. La suora gli rispose con un piccolo moto del capo. Forse gli sorrise, ma le tese larghe della cornetta c'impedirono di vedere. A un posto della sala si chin??, raccolse la buccia d'un'arancia e per l'aperto finestrone la butt?? gi?? nel cortile. Poi sparve.

???Sei contento????mi disse l'amico???Or l'hai vista. Sei contento?

???E tu non ti commovi?

???Io! Cio'! vecio! Ne ho viste tante in mia vita! Io mi secco assai di dovermene stare qui inchiodato in questo letto, tra lamenti, spasimi, morti subitanee e morti lentissime, che non arrivano mai. Sono impregnato di acido fenico.

* * *

???Senti, vecio mio,???mi disse in un altro giorno???fra poco me ne vado. Ieri il dottore mi ha detto che ne avevo per un'altra settimana. M'ha rifatta la gamba a nuovo. Che uomo, benedeto, che grande instituzione la chirurgia!

???E dici addio alla suora?

???Accidenti! Sei un bel seccatore tu, con la tua suor Carmelina!
Guarda, ieri ella m'ha??? mi ha??? come si dice?

???Intenerito?

???Intenerito? M'ha fatto stomacare. ?? come tutte l'altre; sempre le stesse! Senti, io le ho annunziato che me ne andavo presto, fra una settimana, ch'ero bell'e guarito???

???E lei?

???Lei, al solito, s'?? fatta rossa. Mi ha detto: Davvero? ?? proprio guarito????Dico io: Sicuro. Cosa c'??? Le dispiace????Ha fatto un muso! Dice: Ecco, noialtre ci affezioniamo ai nostri malati cos?? da volerceli tenere assai tempo con noi. Ogni malato guarito si porta un po' del nostro dispiacere.???Immagina! Le volevo tirare un cuscino.

???Sei un grande cretino, va! Come tutti i commessi viaggiatori.

???Aspetta che guarisca, vecio mio!

* * *

Dopo una settimana egli era impiedi. Ma ancora zoppicava un poco, per tre o quattro altri giorni era necessario che rimanesse allo spedale.

???Piglio aria???mi fece???piglio daccapo l'abito del camminare. Vien qua; ho qualcosa da narrarti su quella tale persona.

Ci mettemmo a sedere sotto un finestrone onde una gran luce pioveva nella sala. Erano le 9 della mattina e lo spedale faceva la sua toeletta, pieno d'un gran chiacchierio che s'intrecciava fra i letti, arrivava con gl'inservienti, usciva dalla stanza delle suore, per l'uscio socchiuso. Una vecchia suora, inforcati gli occhiali, scriveva in un gran libro squadernatole innanti, sulla tavola.

???Ieri???cominci?? il mio amico???al dopopranzo suor Carmelina m'ha fatto presente d'una manata di confetti. Abbiamo chiacchierato a lungo; lo spedale s'era messo a dormire???Dove se ne va, ora che ?? guarito????Me ne vado a Venezia???le ho risposto???vado a rivedere mio pap?? e la mamma.???Beato lei, che ci ha tutti e due!???E lei????Ha chiusi gli occhi, ha scosso tristemente il capo.???Non ho nessuno???E come nessuno? Fratelli, sorelle????Nessuno.

???Ti dico, caro mio???soggiunse il mio amico???sono stato preso da una grande piet??. Non ho saputo nulla rispondere, nulla dire a confortarla. Tutto ieri ella ?? rimasta in sala. A sera, per le finestre, entra un gran profumo di zagare, dal giardino. Ier sera se ne moriva; una cosa deliziosa, inebriante. Suor Carmelina passeggiava in lungo e in largo. Spuntava la luna, laggi??, dietro il comignolo della fabbrica di steariche, guarda. Io mi son messo a canticchiare:

De Venezia lontan do mila mia no passa d?? che no me vegna a mente el dolce nome de la patria mia, el linguagio e i costumi de la zente???

E continuavo:

Soto el ponte de Rialto fermaremo la barcheta, O Venezia benedeta, no te voglio pi?? lassar???

Avessi veduto com'ella rallentava il passo, per sentire! A un tratto eccotela che mi s'accosta al letto, con le lacrime agli occhi, con la faccia bianca bianca, stravolta, la bocca tremante???Lei non canti???m'ha detto con malo modo???qui non si canta. La prego di smettere. Questo ?? uno spedale!???Ci??, brava la ragazza! E cantavo roba del suo paese, cantavo!

???Eccola???

Ma appena la suora appariva in fondo alla sala un grido infantile risuon??, un grido che ci fece trasalire. Saliva un gran vocio dal cortile e gl'inservienti s'urtavano, accorrendo. Suor Carmelina scomparve.

???Che sar???

???Qualche resezione di ginocchio, qualche incisione alla spalla, una disarticolazione, un bottone di fuoco che arrostisce la carne, ecco; oramai trenta giorni di spedale mi hanno abituato a tutta questa roba; ne ho sentiti d'urli; un inferno, caro mio. Ci??! Che succede ora?

Qualche cosa di strano succedeva, infatti. Lo spedale era sossopra, la segreteria, attigua allo stanzone in cui noi ci trovavamo, s'empiva di gente. I malati si rizzavano a sedere sui letti.

???Andiamo a vedere???disse il commesso viaggiatore, incamminandosi, zoppicante.

Era successo questo: Il figliuolo del giardiniere, un bel ragazzetto biondo, era stato morso dal cane del guardiano. Il cane era idrofobo, palesava tutti i segni del male e l?? per l?? fu ammazzato. Ma il ragazzetto? Era perduto. Tutto questo lo sapemmo e lo vedemmo in un momento; un brivido ci corse per l'ossa e il coraggio di avvicinarci all'infelice ci manc??. Ma la gente si stringeva pi?? intorno a suor Carmelina che da presso il ragazzetto. L'interno di guardia, un rosso dai piccoli occhi neri scintillanti, ci venne incontro, stropicciandosi le mani, gridandoci:

???Avete visto? Avete visto????e soggiunse, entusiasmato???Bellissimo!
Stupendo! Suor Carmelina ha succiato il veleno!???

La piccola suora era diventata grande. Era accorsa al grido del piccino, lo aveva trovato piangente, gli aveva chiesto che fosse successo. Il piccino le rispose:

???Mi ha morso il cane???.

Subito dopo si sent?? gridare:

???Badate! Badate! Il cane ?? idrofobo!

Il giardiniere gli aveva spaccato il cranio con un colpo di bastone. Ma il povero ragazzo mostrava il braccio nudo, sanguinante, e nessuno sapeva trovar modo di soccorrerlo. Allora suor Carmelina, s'avanz??, pallidissima, ma senza il pi?? piccolo tremito. Accost?? alla ferita le labbra e succhi??, rigettando il sangue e il veleno, forbendosi le labbra bianche col gran moccichino scuro a quadroni. E allora tutta la sala numero quattro proruppe in un applauso. Il colono di Melito agitava il berrettino???

* * *

Dove sei ora, piccola monaca bianca, Carmela, mistica anemica, figlia della laguna, ove sei? Allo spedale degl'Incurabili una volta, un mio amico chirurgo oper?? sopra una contadinella. Nel candido seno entr?? la lama tagliente del bisturi. La contadinella dormiva, cloroformizzata. Per parecchio tempo ho chiesto al chirurgo mio amico notizie di lei. Era stata una terribile operazione. Ma la contadinella guar??. Dopo un mese usc?? dallo spedale e il dottore venne a trovarmi al caff??, per annunziarmelo. Un vero miracolo.

Ma di suor Carmelina io non ho mai osato dimandare. Non so perch??. Se ella???

DOCUMENTI UMANI

Settembre 1886

Tre giorni fa, in una scura e fetida vanella d'un palazzo in via Tribunali, d'un subito, qualcosa cadde con un tonfo sordo, e spavent?? i sorci che frugavano tra i cocci sparsi e le immondizie e i rifiuti di quelle ruine borghesi ond'escono, continuamente, a turbare i pranzi delle immonde bestie, le improperie delle serve e i pianti dei piccini impertinenti.

Cadde dunque qualcosa. I sorci fuggirono con gran terrore e si rintanarono. Era caduto il corpo d'una giovinetta: una bionda.

Esso rimase l??, prono, la faccia nel fango, un braccio steso, le gambe stese. Una fine caviglia spuntava di sotto alla gonnella, un piccolo piede arcuato, la calza bianca???

Quella ragazza s'era buttata da un terrazzo al quarto piano, ove era salita per sciorinare i panni.

Si chiamava Antonietta Canserano, aveva diciotto anni, era molto bellina. Quel corpo inerte rimase l?? tre ore. A poco a poco le bestie immonde riapparivano. De' piccoli musetti, dei piccoli occhietti spaurati spuntarono pei buchi. La ragazza rimaneva immobile.

Finalmente si seppe il fatto. La vanella si emp?? di gridi femminili. L'orrore era grande, e il sangue!??? Quanto sangue laggi??, tra i cocci e i rifiuti, nel fango, su per la nera poltiglia luccicante!???

Arriv?? un medico, arrivarono le guardie, il pretore, un delegato, curiosi d'ogni parte. Il corpo dell'Antonietta fu tolto di l??, adagiato in una vettura, e trasportato allo spedale degl'Incurabili. Perch?? la poverina era ancor viva. Respirava, lentamente, a fatica, gli occhi socchiusi, pieni di lacrime???

* * *

La storia di questa fanciulla ?? breve ed ?? la solita storia.

Antonietta Canserano, orfana di madre, ha il padre in America. Era stata affidata a una zia che le voleva un bene del cuore e con la zia se ne stava, al quarto piano del palazzo numero 105 in via Tribunali.

A diciassett'anni aveva conosciuto un piccolo marinaio, bruno e atticciato. Si chiamava Vincenzino. Un cuor d'oro. Il marinaio a momenti avrebbe terminata la sua ferma, sarebbe tornato a Napoli, l'avrebbe sposata. Glielo aveva promesso da un anno; quando giurava si metteva la mano nera sul petto, gli occhi lucevano. Ell'era cos?? felice, cos?? felice di quel piccolo uomo arso dal sole, delle parole sue tanto calde, tanto franche! E aspettava.

Quattro mesi fa Antonietta chiese in grazia alla zia che le facesse pigliare un po' d'aria. L'usignuolo s'annoiava in gabbia. E come la zia non poteva accompagnarla ella usc?? sola a passeggiare. Se ne and?? in villa. L??, non si sa come, le si accost?? un furiere di linea. Si mise a chiacchierare con lei, la tent??, e seppe abusare della poverina. Questo succede assai spesso. Una rovina in un attimo. Dopo, il furiere, come tutti gli uomini senz'anima e senza onore, abbandon?? Antonietta.

Ella torn??, sola, a casa della zia. Per la strada del Chiatamone, un marinaio amico del suo marinaio l'aveva incontrata.

???Come! Sola! Se lo sapesse Vincenzino! Lasciate che v'accompagni.

Ella tremava come una foglia. Non rispose una sola parola.

???Se scrivo a Vincenzino volete che gli dica che v'ho incontrata?

Ella rispose:

???No??? per carit??!

Il marinaio la guard??, fece spallucce. E continuarono a camminare, in silenzio???

* * *

Napoli 18 Luglio 86

Mio caro Potito

ti scrivo queste poche riche ti fo conosciere che ia sto bene di salute e cos?? spero di sentire di te. Dunque Mio caro Potito, dopo due mesi e tredici giorni mi ho azzardato di scriverti innascosta dei mie parenti; perch?? dopo tanti mie pianti mi ho sognato una donna e mi ha detto cos?????figlia mia Antonietta non piangete pi?? che il mio figlio vi deve venire a sposare pregher?? ia a Dio che gli d?? buoni pensieri e ti prego fatelo una lettera; ecco mio care queste semplice parole mi ?? detto e mi sono svegliato ed ia ti sono scritta non aveva inchiostro e ti sono scritto con un lapiso.

Dunque mio caro ricordati di m?? che mi sei levato l'onor mio cos?? che io quella sera ero una stupita non capiva che cosa era il mondo e tu ti ni approfittasti di m?? cos?? si deve approfittare i Dio di t?? se tu sei negato infaccio ai miei parenti non pu?? negarlo innazi al tribunale di Dio perch?? io come tu mi sei lasciato cos?? io sto! nessun altro si ni e approfittato di m?????non fa niente deve arrivare una lacrima avanti a Dio che ti deve pagare perch?? ia non sone una cattiva giovane; che vi credete che ia mi ho dato a cattive strade n?? questo non lo far?? mai mio caro non fa niente che mi sei levato l'onor mio o fatto ridere ai miei parenti i Dio mi aiuter?? perch?? ia sono orfane di madre mio padre sta in america e non ni s?? niente di questo misfatto che si lo sapesse quello mi viene ad ucidere???il mese entrante parti da Napoli e vado a trani mi accompagnano i mie parenti e vado in casa della madre della zia e l?? o la dota di mia madre che mi possa maritare che ho anni diciotto ho ancora se tu tieni coscienza se tu hai cuore vieni dal mia zia a Napoli e venitemi ad onorare se poi non credete fate come ti piace e ti prego di non dir niente ai miei parenti di questa lettera vi saluto e sono tua

??????????????????????????????????????????????????????????????????????Aff.ta
????????????????????????????????????????????????????????????????Antonietta.

* * *

Questa lettera fu sequestrata presso una signora amica dell'Antonietta. Essa doveva spedirla a quel tale. Come non gliela spedi? Era scritta col lapis. Niente di pi?? umano, di pi?? anima, di pi?? cuore di questa lettera scorretta e inelegante. ?? una cosa splendida.

Ma certo il signor Potito, se l'avesse ricevuta, ne avrebbe riso coi compagni, per gli orrori di grammatica. Un furiere ?? istruito.

* * *

Ier l'altro la Canserano si precipit?? dal terrazzo.

Oggi doveva arrivare il marinaio???

LE BEVITRICI DI SANGUE

Dalle sette e mezzo della mattina fino alle dieci la carneficina delle vacche, al macello di Poggioreale, si compie tra uno strano affollamento di bevitrici di sangue, dura tra i desideri sanguinosi delle anemiche, delle clorotiche, delle povere fanciulle sbiancate in faccia come la cera. Esse accostano alle pallide labbra il bicchiere colmo di quello spumante vin delle vene e bevono d'un fiato, socchiusi gli occhi, la mano che leggermente trema. Intorno seguita la strage, tra un continuo romore di battiture, di tonfi sordi, di catene che si sciolgono, d'argani che rizzano i cadaveri ancor palpitanti delle povere bestie. Dopo bevuto il caldo sangue spicciato dalle carotidi incise, si passa in una stanzaccia nuda e sporca e l?? si sciacquano le coraggiose bocche femminili e le mani insanguinate. A parte il bene che pu?? fare questo rimedio novello, lo spettacolo ?? orribile.

* * *

Appena entrati nel macello, come il visitatore si va accostando allo scannatoio, ode un rapido succedersi di colpi sordi, i quali danno la precisa idea di una gran quantit?? di tappeti sciorinati e battuti da servitori invisibili a un invisibile terrazzo. I tappeti sono cadaveri ancor palpitanti di vitelli, di vacche, di bovi smisurati. I carnefici, appena caduto l'animale sotto il coltello pugnale di questi toreadores del macello, cominciano a menar di gran colpi di mazze sulle reni e sul ventre delle bestie, perch?? la pelle se ne stacchi. E mentre uno compie codesta bisogna, un altro si vale d'un mantice per gonfiare l'animale, e un altro d'un lungo ferro tondo per frugar nelle viscere. Il sangue scorre d'ogni parte e inonda il pavimento. I garzoni s'accovacciano, radunano con le mani il sangue a pezzi gi?? quasi coagulato, riempiscono scodelle di ferro e queste rovesciano nelle botti preparate in un angolo. Tutto questo ?? fatto con grandissima rapidit??, l'ammazzamento durando tutta la giornata e dovendo i beccai sbarazzarsi in un giorno fin di ottocento animali.

Le vacche entrano malinconicamente nell'ammazzatoio. Piegano fino a terra la testa. Annusano il sangue e si volgono intorno. Un primo leggero fremito inconsciente increspa loro la pelle, gli occhi grandi e dolci s'inumidiscono. Attaccate per le corna ai pali dei cavalletti enormi, alle forche bruttate di sangue rappreso, continuano a dondolare la testa inquieta, lasciando mescolare al sangue, per terra, i fili argentei della bava, ond'hanno tutto umido il muso. Subitamente un carnefice s'accosta: nascoso il pugnaletto nella destra, guardingo. Leva la mano. Il pugnale s'abbassa, colpisce tra le corna, penetra, rapidissimo, fin nel cervello, e riappare fumante. Il carnefice d?? un balzo, e si scosta. La vacca cade, fulminata. Una sola, breve convulsione le agita le gambe, ed ?? tutto; ?? morta. La sua compagna si agita, cerca di liberarsi, leva il capo, sbarra gli occhi, spaventata. Ma cade anch'essa sotto l'orribile forca, accanto alla prima. L?? per l?? comincia la battitura, cominciano ad agire il soffietto, il ferro tondo, il gran coltello sventratoio. Ma prima, appena l'animale piega le gambe e si rovescia sul dosso, il fornisore di sangue, scalzo, sguazzanti i piedi nel sangue, accosta alla viva fontanella il bicchiere e, correndo, lo porta alla fanciulla anemica. E costei beve d'un subito fino all'ultimo gocciolo, e le labbra e il mento le si dipingono d'un rosso fortissimo, e le dita si sporcano, e gli anellini luccicano tra il sangue gocciante.

* * *

La gran parte di queste bevitrici si compone di un elemento assai borghese. Sono modistine, sartine, fioriste e simili. Escono dall'ammazzatoio con le punte delle scarpette, coi tomai alti, macchiati. In Napoli l'anemia serpeggia un po' da per tutto: ora pensate a queste povere ragazze che fanno una vita sedentaria, in un laboratorio, coi lumi a gas d'inverno; pensate a queste giovanette elegantemente vestite che a casa loro dormono in un miserabile sottoscala, senza luce; pensate alle privazioni, alla mancanza dell'aria, del sole, alla mancanza del cibo sano, della carne che costa troppo, e vi spiegherete la mancanza dei globuli rossi.

* * *

Ma guardatele, quando, nelle prime ore della mattina, queste fanciulle del popolo attraversano Toledo, in cappellino lucente di conterie, vestite come tante marchesine, le calze nere, di seta, lo stivalino verniciato, la punta ricamata d'un moccichino che scappa fuori dalla saccoccia in petto, la mantiglia sul braccio e l'ombrellino in mano. Son quelle che ieri han bevuto, fortemente, il sangue vivo vivo. Ora guardatele; hanno due soldi in tasca per la merenda, ma le labbra carezzano il gambo d'un fiore, o sorridono deliziosamente a un giovanotto cocchiere padronato, che sorride e minaccia con la frusta elegante???

ALBA.

Un ometto sbuc?? a un tratto nella crocevia della Dogana. Fumava certo suo mozzicone in punta alle labbra, passando la palma di una mano sul cocuzzolo, e con il pollice e l'indice dell'altra acconciando delicatamente sotto i mustacchi il mozzicone che certo gli diventava una grande volutt?? in agonia. Il cappello, dalle tese spianate, gli veniva sugli occhi, e lui lasciava stare, bench?? per levare il capo, come faceva, a guardar in su alle finestre, al cielo, ai muri dei palazzetti, si trovasse l'impiccio della tesa larga davanti agli occhi. Pure andava guardando, con boccacce che certo nella smorfia erano meraviglia e ammirazione. Quando lasciava il cocuzzolo, la mano gesticolava, segnando in aria sagome indeterminate e linee verticali, subito cancellate dal fumo di quel mozzicone, che sempre pi?? si raccorciava.

Di certo era qualche pittore mattiniero, che a un momento, cavati di saccoccia un albo e la matita, si mise a sedere sul primo gradino d'uno di quei palazzetti, e cominci?? a sgorbiare sulla carta il balconcello di Gennaro Auriemma, armiere, che in quel punto schiacciava un bel sonno, senza mai poter supporre che ventura toccasse ai poponi suoi, dei quali aveva fatta uno festo in giro alla balaustra del balconcello, e che l'ometto ora contemplava attentamente per metterli sulla carta, insieme alla grondaia, ai vasi di maggiorana e ad una gabbia, ove una quaglia sonnecchiava.

Era la via cos?? silenziosa a quell'ora che si sentiva bene un frusc??o di una foglia secca su pei lastroni asciutti, mossa da una folata di venticello. Era l'alba. Ma quei vicoli, le stradicciuole, la piazzetta del Mercato ancora dormivano. Intanto saliva lentamente, dall'estremo lembo del mare, un chiarore infocato di sole, e il riverbero ne colorava dirimpetto le case su per la marina, mentre le vetrate s'accendevano tra quella gran pennellata rosea, che di tutte le case confondeva le linee bizzarre. In cima, altissima, una cupoletta s'arrotondava sul cielo indeciso, tutta infiammata di verde, come uno scarabeo di maiolica. Appena se ne vedeva la croce scura, sovrastante.

Dal mare in calma arrivavano rumori indeterminati, voci a stesa, indefinibili. Poi, daccapo, si rifaceva il silenzio.

L'ometto era tutto affaccendato a copiare, e a poco a poco l'albo s'andava coprendo di poponi e mazzi di pomidoro, mercanzia d'ogni finestrella. Nella luce che sopravveniva, apparivano chiari e scuri nuovi, mettendo lui in certe indecisioni che lo tenevano lungamente a guardare e a mormorare, mentre l'albo rimaneva aperto sopra un ginocchio e la punta della matita gli solleticava la cute, fra i capelli.

???Oh! oh!???fece, a un tratto.

Adocchiava una tettoia, sotto la quale si ammonticchiavano bombole d'acqua solfurea, accosto a una fontanella: un quadrettino. Rifece la punta della matita, cerc?? una pagina bianca, e l?? per l?? cominciarono a passare all'albo le bombole.

Le stradicciuole rimanevano deserte e silenziose. L'ometto tutto solo e intento, in quella sua posizione di scimmietta, era strano. Poi gli pass?? accosto un'altra cosa viva, un ratto, che pareva un micino, tanto era grosso. Era uscito da una feritoia, guardando nella via con gli occhietti lucenti. E come l'ometto si chinava a strofinare sul selciato la matita per agguzzarla, la bestiola ricacci?? dentro il corpo nella feritoia. Si vedevano solo i mustacchi e il musetto. Infine si fece coraggio, venne fuori e cerc?? rapidamente in un monticello di sudiciume. La testina, che aveva movimenti veloci, frugava in furia, levandosi dai rifiuti, dai torsoli, dalle bucce, a guardare, sospettosamente. Infine, quand'ebbe finito, il ratto se ne and?? ripassando innanzi all'ometto. Lui non lo vide, e seguit?? a schizzar bombole in santa pace.

La penombra si diradava in fondo ai vicolucci; nel lontano appariva chiaramente la tortuosit?? delle stradicciuole; si dileguavano panche e carrettini abbandonati, e laggi??, ove addirittura il vicolo delle Fate terminava, all'angolo, sulla cantina Maranese, un ramo fronzuto s'affacciava, tutto verde, di sotto all'insegna.

Improvvisamente, nel vicolo, una finestretta si schiuse, senza rumore; poi si schiuse una porta. Una donna sporse la testa, venne fuori, coi piedi nudi nelle pantoffole usate, con una leggera sottana bianca, con aperta la camicia sul petto, libero dal busto. Un giovanotto apparve, tutto cauto, sbucando all'angolo, accosto alla cantina. Senza parlare quei due, avvicinandosi, si guardavano negli occhi, ansiosi. Poi, quando lui fu sotto alla porticella e le afferr?? le mani, l'idillio, in quell'alba fresca di agosto, fu provocante. Si parlavano cos?? accosto e sotto voce, che appena il sibilo di una consonante passava nel silenzio. S'erano stretti l'uno all'altra; il berretto del giovanotto cadde. Chinandosi egli a raccattarlo, non abbandon?? la mano che teneva stretta, e parve che, stringendosi meglio lui pure alla ragazza, le chiedesse qualcosa.

In questo momento il piccolo pittore aveva finito e si levava. Vide tutto??? Mentr'egli rimaneva ancora a guardare, incantato, la bocca aperta, un bacio scocc?? sotto la porticella. Subito dopo la campanina della parrocchia a Porta Nova suon?? la prima messa???.

INDICE

????????Al lettore Pag. 5
????????Vulite 'o vasillo? ?? 7
????????Serafina ?? 19
????????L'abbandonato ?? 25
????????Gli amici ?? 36
????????Fortunata la fiorista ?? 46
????????L'amico Richter ?? 54
????????Senza vederlo ?? 66
????????La Regina di Mezzocannone ?? 80
????????L'impazzito per l'acqua ?? 87
????????Notte della Befana ?? 94
????????Scirocco ?? 103
????????Suor Carmelina ?? 116
????????Documenti umani ?? 126
????????Le bevitrici di sangue ?? 132
????????Alba ?? 137

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To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free distribution of electronic works, by using or distributing this work (or any other work associated in any way with the phrase "Project Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project Gutenberg-tm License (available with this file or online at http://gutenberg.org/license).

Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm electronic works

1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to and accept all the terms of this license and intellectual property (trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all the terms of this agreement, you must cease using and return or destroy all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a Project Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8.

1.B. "Project Gutenberg" is a registered trademark. It may only be used on or associated in any way with an electronic work by people who agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works even without complying with the full terms of this agreement. See paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm electronic works. See paragraph 1.E below.

1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the Foundation" or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection of Project Gutenberg-tm electronic works. Nearly all the individual works in the collection are in the public domain in the United States. If an individual work is in the public domain in the United States and you are located in the United States, we do not claim a right to prevent you from copying, distributing, performing, displaying or creating derivative works based on the work as long as all references to Project Gutenberg are removed. Of course, we hope that you will support the Project Gutenberg-tm mission of promoting free access to electronic works by freely sharing Project Gutenberg-tm works in compliance with the terms of this agreement for keeping the Project Gutenberg-tm name associated with the work. You can easily comply with the terms of this agreement by keeping this work in the same format with its attached full Project Gutenberg-tm License when you share it without charge with others.

1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern what you can do with this work. Copyright laws in most countries are in a constant state of change. If you are outside the United States, check the laws of your country in addition to the terms of this agreement before downloading, copying, displaying, performing, distributing or creating derivative works based on this work or any other Project Gutenberg-tm work. The Foundation makes no representations concerning the copyright status of any work in any country outside the United States.

1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg:

1.E.1. The following sentence, with active links to, or other immediate access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear prominently whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work on which the phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the phrase "Project Gutenberg" is associated) is accessed, displayed, performed, viewed, copied or distributed:

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org

1.E.2. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is derived from the public domain (does not contain a notice indicating that it is posted with permission of the copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in the United States without paying any fees or charges. If you are redistributing or providing access to a work with the phrase "Project Gutenberg" associated with or appearing on the work, you must comply either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg-tm trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9.

1.E.3. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted with the permission of the copyright holder, your use and distribution must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms will be linked to the Project Gutenberg-tm License for all works posted with the permission of the copyright holder found at the beginning of this work.

1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm License terms from this work, or any files containing a part of this work or any other work associated with Project Gutenberg-tm.

1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this electronic work, or any part of this electronic work, without prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with active links or immediate access to the full terms of the Project Gutenberg-tm License.

1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary, compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including any word processing or hypertext form. However, if you provide access to or distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format other than "Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official version posted on the official Project Gutenberg-tm web site (www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means of obtaining a copy upon request, of the work in its original "Plain Vanilla ASCII" or other form. Any alternate format must include the full Project Gutenberg-tm License as specified in paragraph 1.E.1.

1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying, performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.

1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works provided that

- You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method you already use to calculate your applicable taxes. The fee is owed to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he has agreed to donate royalties under this paragraph to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid within 60 days following each date on which you prepare (or are legally required to prepare) your periodic tax returns. Royalty payments should be clearly marked as such and sent to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation at the address specified in Section 4, "Information about donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation."

- You provide a full refund of any money paid by a user who notifies you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm License. You must require such a user to return or destroy all copies of the works possessed in a physical medium and discontinue all use of and all access to other copies of Project Gutenberg-tm works.

- You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of any money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the electronic work is discovered and reported to you within 90 days of receipt of the work.

- You comply with all other terms of this agreement for free distribution of Project Gutenberg-tm works.

1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project Gutenberg-tm electronic work or group of works on different terms than are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing from both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and Michael Hart, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark. Contact the Foundation as set forth in Section 3 below.

1.F.

1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread public domain works in creating the Project Gutenberg-tm collection. Despite these efforts, Project Gutenberg-tm electronic works, and the medium on which they may be stored, may contain "Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate or corrupt data, transcription errors, a copyright or other intellectual property infringement, a defective or damaged disk or other medium, a computer virus, or computer codes that damage or cannot be read by your equipment.

1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all liability to you for damages, costs and expenses, including legal fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE PROVIDED IN PARAGRAPH F3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH DAMAGE.

1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a written explanation to the person you received the work from. If you received the work on a physical medium, you must return the medium with your written explanation. The person or entity that provided you with the defective work may elect to provide a replacement copy in lieu of a refund. If you received the work electronically, the person or entity providing it to you may choose to give you a second opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If the second copy is also defective, you may demand a refund in writing without further opportunities to fix the problem.

1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS' WITH NO OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTIBILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.

1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied warranties or the exclusion or limitation of certain types of damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the law of the state applicable to this agreement, the agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or unenforceability of any provision of this agreement shall not void the remaining provisions.

1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in accordance with this agreement, and any volunteers associated with the production, promotion and distribution of Project Gutenberg-tm electronic works, harmless from all liability, costs and expenses, including legal fees, that arise directly or indirectly from any of the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.

Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of electronic works in formats readable by the widest variety of computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.

Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Its 501(c)(3) letter is posted at http://pglaf.org/fundraising. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S. Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered throughout numerous locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email business@pglaf.org. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation's web site and official page at http://pglaf.org

For additional contact information:
??????????Dr. Gregory B. Newby
??????????Chief Executive and Director
??????????gbnewby@pglaf.org

Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide spread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit http://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: http://pglaf.org/donate

Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For thirty years, he produced and distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.

Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper edition.

Most people start at our Web site which has the main PG search facility:

??????????http://www.gutenberg.org

This Web site includes information about Project Gutenberg-tm, including how to make donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.

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