Si potrebbe essere sopraffatti dalla cronaca‚ dalla tentazione di considerare Vladimir Vysotsky come la scoperta di un ennesimo dissidente, di un eretico cresciuto all’ombra dei divieti del regime sovietico. O peggio ancora cedere alle facili lusinghe del poeta maudit, dei predestinati al martirio poetico-musicale alla Jim Morrison. Ma non è così, o almeno non solo. Se a dodici anni dalla sua scomparsa ha senso “scoprire” questo personaggio così poco conosciuto da noi, è perché si tratta di una figura unica, che non ha equivalenti nel nostro panorama artistico.
Questo è il punto.
Ed è oltretutto una chiave essenziale per capire un mondo che in gran parte ci è stato precluso. Vladimir Vysotsky era un grande, leggendario attore di teatro e in misura minore anche di cinema, ma era anche uno scrittore, uno che parlava in prima persona e non solo attraverso i personaggi che interpretava (spesso comunque aggiungendo cose di suo pugno al testo originale); scriveva di tutto, poesie, poemi, drammi, e soprattutto era un prolifico e inesauribile cantautore e per questo era amato da milioni di cittadini sovietici. Per trovare qualcosa di simile in Italia dovremmo fondere Carmelo Bene, Francesco Guccini, Piero Ciampi e Pier Paolo Pasolini, un compito praticamente impossibile come in un certo senso impossibile‚ eppure reale‚ era Vysotsky. Una “impossibilità” che, come vedremo, ha molto a che vedere con l’unicità della situazione sovietica. Il “fenomeno” Vysotsky era di enorme rilevanza, cresciuto all’ombra della maliziosa e infida diffidenza del regime, ma reso grande dalla gente comune, e solo quella parete insormontabile che ancora una ventina di anni fa rendeva incomunicabili o quasi il mondo occidentale e il pianeta sovietico, ha potuto lasciarci nella più totale ignoranza di questa come di altre incredibili realtà culturali.