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Infarto del miocardio - Wikipedia

Infarto del miocardio

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L'infarto del miocardio (o infarto miocardico) è la necrosi del tessuto cardiaco causata da una interruzione o diminuzione dell'irrorazione sanguigna arteriosa.

Indice

[modifica] Patogenesi

Occorre aggiungere che l'occlusione trombotica delle arterie coronarie costituisce la causa principale, ma non l'unica di infarto: altre cause sono rappresentate da: spasmo coronarico (ad esempio abuso di cocaina), malattie infiammatorie (aortiti, vasculiti sistemiche come LES, malattia da siero, terapia radiante, dissezione aortica, rigetto da trapianto cardiaco).

[modifica] Sedi dell'infarto

[modifica] Sintomi

Il dolore è il sintomo più comune; talvolta è così intenso da essere descritto come il peggior dolore mai provato. Dal punto di vista qualitativo è simile a quello dell' angina pectoris, ma di solito è più intenso e prolungato, non completamente reversibile con la somministrazione di nitroglicerina, spesso accompagnato da nausea e sudorazione profusa. Abitualmente interessa la regione precordiale e/o l'epigastrio e in alcuni casi si irradia alle braccia. Altre zone meno comuni di irradiazione sono il collo, la mandibola, l'addome e il dorso. Non si irradia mai al di sotto dell'ombelico. Spesso è accompagnato da astenia, sudorazione, nausea, vomito, tremori e soprattutto ansietà: un paziente con un infarto in atto non è mai tranquillo.

Anche se il dolore è il sintomo più frequente, nel 25% dei casi non è presente. La frequenza di IMA silenti è maggiore nei pazienti con diabete mellito e aumenta con l'età. Soprattutto nell'anziano, l'infarto si può presentare spesso con un quadro di dispnea intensa che presto evolve verso l'edema polmonare.

Altre modalità meno comuni di presentazione sono l'improvvisa perdita di coscienza, la presenza di uno stato confusionale, una sensazione di profonda astenia, la comparsa di un'aritmia o l'improvvisa ed inspiegabile caduta della pressione arteriosa.

In pazienti anziani o diabetici la sintomatologia algica può essere molto più sfumata o addirittura essere assente.

[modifica] Esame obiettivo

La maggior parte dei malati è tipicamente ansiosa ed agitata e cerca di attenuare il dolore muovendosi e cercando una posizione antalgica. Comune è il pallore, che può essere associato a sudorazione ed estremità fredde.
La maggior parte presenta una normale frequenza cardiaca e una normale pressione arteriosa, ma nelle prime ore di un infarto anteriore circa il 25% dei pazienti ha i segni di iperattività del sistema nervoso simpatico (tachicardia e/o ipertensione) e circa il 50% dei pazienti con infarto inferiore presenta un'iperattività parasimpatica (bradicardia e/o ipotensione). L'auscultazione può essere anche negativa, ma più spesso si rileva un III tono, o la presenza di rantoli polmonari. I polsi possono essere piccoli e deboli, e possono essere segno di ipotensione sistemica. Il riscontro di rantoli basali può essere segno di un principio di edema polmonare.

[modifica] Diagnosi

La diagnosi di infarto miocardico acuto non è solo elettrocardiografica, è importante anche l'aspetto clinico e i marker sierologici.

In grandi linee i 4 punti fondamentali sono:

  1. Dolore persistente non puntorio e risponde poco o niente alla nitroglicerina, carvasin ed ad altri vasodilatatori periferici.spesso irradiato alla spalla ed al braccio (lato ulnare)
  2. Q patologica – (0.04 o 1/3, ¼ del QRS)
  3. enzimi mossi
  4. sotto, sovra slivellamenti S-T

All'elettrocardiogramma l'occlusione totale di un'arteria coronaria induce il sovraslivellamento del tratto ST. Nella maggior parte di questi pazienti in seguito si formano le cosiddette onde Q, che in ultima analisi portano a formulare la diagnosi di infarto Q o, come da vecchia denominazione, transmurale. Nei casi in cui l'occlusione non sia totale, transitoria o sia presenta un'ampia rete di collaterali a valle, può non presentarsi il sovraslivellamento di ST e, comunque, non si presenterà l'onda Q, permettendo di porre la diagnosi di infarto non Q o non transmurale. Una seconda alterazione da prendere in considerazione in caso di infarto acuto è il riscontro improvviso, ossia non riscontrabile in ECG precedenti, di blocco di branca sinistra (BBS), il quale ha lo stesso valore diagnostico di un sopraslivellamento di ST.

In seguito all'infarto viene rilasciata nel sangue una gran quantità di proteine dai tessuti muscolari necrotici denominate marker cardiaci sierici:

  • Creatinfosfatochinasi (CK) - il loro innalzamento si osserva 4-8 ore dopo l'IMA e generalmente ritornano normali entro 48-72 ore. Un notevole inconveniente è rappresentato dall'assoluta mancanza di specificità per l'infarto miocardico, dato che possono aumentare in seguito ad un qualsiasi evento traumatico della muscolatura scheletrica. Piuttosto che stabilire la diagnosi basandosi sulle CK, quindi, sarebbe opportuno effettuare una misurazione nell'arco delle 24 ore, in quanto la cinetica di liberazione da parte del muscolo scheletrico e del cuore sono differenti.
  • Troponina T cardiospecifica e Troponina I cardiospecifica - non sono presenti normalmente nel sangue dei soggetti sani, ma dopo l'infarto del miocardio possono aumentare di 20 volte. Sono considerati l'esame diagnostico di prima scelta data la loro alta specificità. Questi due enzimi rimangono alterati per 14 e 10 giorni rispettivamente e sono utili per determinare un infarto che giunga all'osservazione dopo 24 - 48 ore.
  • Mioglobina - viene rilasciata nell'arco di 2 ore circa dall'infarto ed è uno dei primi marker sierici ad aumentare rispetto alla normalità. Manca di specificità cardiaca potendo essere elevata anche in patologie muscolari, dopo un intenso sforzo fisico e in corso di insufficienza renale cronica e viene rapidamente escreta con le urine, ritornando normale entro 24 ore.

Esiste un aumento anche dei globuli bianchi 2 ore dopo un infarto (polimorfonucleati). Si puo raggiungere i 13.000 /microlitro ma non piu di 20.000. La VES rimane generalmente normale x 1 o 2 girni con picco al 5 giorno e rimane elevata per settimane.

[modifica] Diagnosi differenziale

Il dolore toracico da IMA deve essere differenziato da una serie di altre patologie a carico del sistema cardiovascolare, ma anche di altri apparati, che possono rivestire la stessa gravità, ma che possono anche essere del tutto benigne. Tra queste si elencano:

  • Malattie cardiache: angina pectoris, ipertensione polmonare, pericardite acuta, prolasso della mitrale, vizi valvolari
  • Patologie vascolari: dissezione aortica, sindrome di Mondor
  • Patologie polmonari: embolia polmonare, pleurite, pneumotorace, mediastinite o enfisema mediastinitico, tumore, tracheobronchite, polmonite
  • Patologie muscoloscheletriche: artrite della spalla, costocondrite, discopatia cervicale, crampo muscolare intercostale, sindrome dello scaleno medio
  • Malattie neurologiche: neurite intercostale, herpes zoster
  • Malattie gastrointestinali: reflusso gastro esofageo, spasmi esofagei, colecistite acuta, pancreatite, sindrome di Mallory-Weiss, ulcera peptica
  • Stati ansiosi

[modifica] Terapia

Gli obiettivi del trattamento sono:

  • sedazione del dolore
  • riduzione del fabbisogno di ossigeno
  • prevenzione delle aritmie
  • recupero della circolazione nella zona ischemica.

Si possono anche dividere in trattamento immediato, o sintomatico, e trattamento causale. Nel primo caso rientrano tutti quei trattamenti volti a ridurre il dolore e a prevenire l'estensione della lesione cardiaca (terapia con ossigeno, morfina, aspirina, nitroglicerina, supporto psicologico). Nella seconda fase rientrano trattamenti successivi ma volti a dissolvere il trombo (principalmente terapia trombolitica e rivascolarizzazione percutanea).

La possibilità terapeutica più interessante è rappresentata dalla dissoluzione del trombo attraverso farmaci (trombolitici). Questo metodo consente il ripristino del flusso del sangue nelle coronarie. Essa va effettuata quanto più precocemente possibile, possibilmente entro un'ora e non oltre le 12 ore dall'insorgenza dei sintomi.

Attualmente, esistono altre strategie di rivascolarizzazione miocardica più invasive ma più efficaci. L'esame coronarografico e il successivo trattamento delle stenosi coronariche tramite angioplastica con o senza impianto di stent sono, ad oggi, le terapie di elezione per i pazienti con infarto miocardico. Certamente, come tutte le manovre invasive, esse sono gravate da alcuni rischi che vanno dai meno gravi come lo pseudoaneurisma della arteria femorale (frequentemente utilizzata per l'introduzione dei cateteri coronarici) ai più temibili come la dissecazione coronarica. Ad onor del vero, in mani esperte, tali rischi sono largamente superati dai benefici specie se, prima della procedura, il paziente viene trattato con i modermi farmaci antiaggreganti come gli inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa (nomi commerciali: Aggrastat per la formulazione a lento rilascio e Reopro per la formulazione ad azione rapida; nome molecolare: Abciximab) che sembrano ridurre la microembolizzazione a valle della stenosi legata al microtrauma esercitato dai cateteri e dagli stent sull'endotelio coronarico. Per concludere, attualmente sono disponibili altresì stent a rilascio di farmaco, cioè in grado di rilasciare sulla parete del vaso interessata dall'impianto dello stent farmaci (Sirolimus e Paclitaxel ad esempio)in grado di controllare l'iperproliferazione neointimale riducendo sensibilmente la ristenosi a distanza.

L'esame coronarografico fornisce anche informazioni anatomiche importanti per il successivo intervento di by-pass aorto coronarico.

[modifica] Complicanze

Possono essere:

  • Aritmie: in una percentuale elevata di casi si ha una fibrillazione atriale, meno frequentemente flutter atriale, tachicardie ventricolari, fibrillazione ventricolare, blocchi atrio-ventricolari, bradicardie. La presenza di aritmie può essere pericolosa dal punto di vista emodinamico in caso di alterata funzione del ventricolo sinistro; la fibrillazione ventricolare è un'emergenza può portare a morte il paziente.
  • Scompenso cardiaco: in caso di danno cardiaco superiore al 40%. Condiziona la strategia terapeutica in quanto deve essere più veloce possibile, sia come angioplastica percutanea sia, nel caso di impossibilità di questa, terapia chirurgica. Condiziona la sopravvivenza a lungo termine.
  • Rottura del muscolo papillare: il muscolo papillare è quello che tramite delle corde tendinee tiene in sede le cuspidi della valvola mitrale; la rottura di questi muscoli (sono tre) provoca una insufficienza acuta della mitrale che va corretta chirurgicamente.
  • Rottura del setto interventricolare: in caso di infarti del setto, questa provoca uno scompenso emodinamico acuto che va corretto anch'esso chirurgicamente.
  • Rottura della parete libera del ventricolo sinistro: è un'evenienza grave che avviene entro 24 ore dall'infarto. Può provocare tamponamento cardiaco che è un'emergenza pericolosa per la vita.

Altre complicanze sono:

  • Pseudoaneurisma del ventricolo sinistro: si ha in caso di infarti estesi a carico soprattutto della discendente anteriore: il tessuto fibroso necrotico del ventricolo sinistro a causa della differenza di contrattilità rispetto al resto del cuore che si contrae normalmente è discinetico (ossia ha un movimento paradosso rispetto al resto del cuore); ciò provoca due cose: sottrae sangue alla portata cardiaca e provoca la formazione di trombi murali i quali possono staccarsi e dare origine a embolie periferiche. La terapia è chirurgica.
  • Versamento pericardico: non grave, a meno che non si vada incontro a tamponamento cardiaco.
  • Reinfarto: a distanza di 10-15 giorni dal primo infarto si può avere un reinfarto, a carico della stessa coronaria o di una coronaria diversa; si diagnostica con il sintomo del dolore e con il riinnalzamento di CK-MB e mioglobina. In questo caso, l'esame dei valori di troponina non è di ausilio diagnostico.

[modifica] Mortalità

[modifica] Fattori di rischio e prevenzione dell'infarto

Correlazione consumo di grassi / decessi per infarto del miocardio
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Correlazione consumo di grassi / decessi per infarto del miocardio

L'infarto del miocardio affligge prevalentemente i maschi (con fattore 4 a 1) tra 40 e i 60 anni di vita. Il fattore di rischio nelle donne aumenta in seguito alla menopausa, arrivando al livello di quello maschile dopo i 50-60 anni.

I fattori di rischio sono l'ipertensione arteriosa, il diabete mellito, il fumo, l'obesità e l'ipercolesterolemia.

Lo stile di vita è un fattore di grande importanza.

Un suggerimento tipico è quello di ridurre il consumo di grassi (specialmente grassi animali), anche se epidemiologicamente non è dimostrato il beneficio di questa misura (vedi grafico accanto).

[modifica] Collegamenti esterni


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