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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1, by Ann Radcliffe

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Project Gutenberg's I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1, by Ann Radcliffe









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with this eBook or online at www.gutenberg.org














Title: I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1









Author: Ann Radcliffe









Release Date: September 20, 2010 [EBook #33781]









Language: Italian









Character set encoding: ISO-8859-1









*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK I MISTERI DEL CASTELLO D'UDOLFO, VOL. 1 ***
























Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online




Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This




file was produced from images generously made available




by Biblioteca Sormani - Milano)


































I MISTERI
DEL
CASTELLO D'UDOLFO

 
 

DI
ANNA RADCLIFFE

 
 

VOL. I

 
 

MILANO
Oreste Ferrario
Sotterranei Galleria Nuova, via Silvio Pellico, 6, scala n. 18
e Santa Margherita


... lacer? un fazzoletto per bendargli la piaga...
Cap. IV


SOMMARIO

Capitolo I

Capitolo II

Capitolo III

Capitolo IV

Capitolo V

Capitolo VI

Capitolo VII

Capitolo VIII

Capitolo IX

Capitolo X

Capitolo XI


[5]

CAPITOLO I

Sulle sponde della Garonna, nella provincia di Guienna, esisteva nell'anno 1584 il castello di Sant'Aubert: dalle sue finestre scoprivansi i ricchi e fertili paesi della Guienna, che si estendevano lungo il fiume, coronati da boschi, vigne ed oliveti. A mezzod?, la prospettiva era circoscritta dalla massa imponente dei Pirenei, le cui cime, or celate nelle nubi, ora lasciando scorgere bizzarre forme, si mostravano talvolta, nude e selvagge, in mezzo ai vapori turchinicci dell'orizzonte, e talora scoprivano le loro pendici, lungo le quali dondolavano grandi abeti neri, agitati dai venti. Spaventosi precipizi contrastavano colla ridente verzura de' prati e delle selve circostanti, e lo sguardo affaticato dall'aspetto di quelle voragini, si riposava alla vista degli armenti e delle capanne dei pastori. Le pianure della Linguadoca si estendevano a tiro di occhio a tramontana ed a levante, e l'orizzonte confondevasi a ponente colle acque del golfo di Guascogna.

Sant'Aubert, accompagnato dalla sposa e dalla figlia, andava spesso a passeggiare sulle sponde della [6]Garonna; egli si compiaceva di ascoltare il mormorio armonioso delle sue acque. Aveva altre volte conosciuto un altro genere di vivere ben diverso da questa vita semplice e campestre; aveva a lungo vissuto nel vortice del gran mondo, ed il quadro lusinghiero della specie umana, formatosi dal suo giovine cuore, aveva sub?to le tristi alterazioni dell'esperienza. Nondimeno, la perdita delle sue illusioni non aveva n? scosso i suoi principii, n? raffreddata la sua benevolenza: aveva abbandonata la societ? piuttosto con piet? che con collera, e si era limitato per sempre al dolce godimento della natura, ai piaceri innocenti dello studio, ed in fine all'esercizio delle domestiche virt?.

Discendeva da un cadetto d'illustre famiglia; ed i suoi genitori avrebbero desiderato che, per riparare alle ingiurie della fortuna, egli avesse ricorso a qualche ricco partito, o tentato d'innalzarsi colle mene dell'intrigo. Per questo ultimo progetto, Sant'Aubert aveva troppo onore e troppa delicatezza; e, quanto al primo, non aveva bastante ambizione per sacrificare all'acquisto delle ricchezze ci? ch'esso chiamava felicit?. Dopo la morte del padre spos? una fanciulla amabile, eguale a lui per nascita, non meno che pei beni di fortuna. Il lusso e la generosit? di suo padre avevano talmente oberato il patrimonio ricevuto in retaggio, che fu costretto di alienarne porzione. Qualche anno dopo il suo matrimonio, lo vend? a Quesnel, fratello di sua moglie, e si ritir? in una piccola terra di Guascogna, dove la felicit? coniugale ed i doveri paterni dividevano il suo tempo colle delizie dello studio e della meditazione.

Da lunga pezza questo luogo eragli caro; vi era venuto spesso nella sua infanzia, e conservava ancora l'impressione dei piaceri ivi gustati; non aveva obliato n? il vecchio contadino incaricato allora d'invigilare sopra di lui, n? i suoi frutti, n? la sua crema, n? le di lui carezze. Que' verdi prati, ove, pieno di salute, di gioia e di giovent?, aveva scherzato[7] tanto in mezzo ai fiori; i boschi, la cui fresca ombra aveva inteso i suoi primi sospiri, e mantenuta la sua riflessiva malinconia, che divenne in seguito il tratto dominante del suo carattere; le passeggiate agresti pe' monti, i fiumi che aveva traversato, le pianure vaste e immense come la speranza dell'et? giovanile! Sant'Aubert non si rammentava se non con entusiasmo e con rincrescimento questi luoghi abbelliti da tante rimembranze. Alla perfine, sciolto dal mondo venne a fissarvi il suo soggiorno ed a realizzare cos? i voti di tutta la sua vita.

Il castello, nello stato d'allora, era molto ristretto; un forestiero ne avrebbe ammirato senza dubbio l'elegante semplicit? e la bellezza esteriore; ma vi abbisognavano lavori considerevoli per farne l'abitazione d'una famiglia. Sant'Aubert aveva una specie di affezione per quella parte d'edificio che aveva conosciuta il passato; e non volle mai che ne fosse alterata una sol pietra, dimodoch? la nuova costruzione, adattata allo stile dell'antica, fece del tutto una dimora pi? comoda che ricercata. L'interno, abbandonato alle cure della signora Sant'Aubert, le somministr? occasione di mostrare il suo gusto; ma la modestia che caratterizzava i suoi costumi, le fu sempre di guida negli abbellimenti da lei prescritti.

La biblioteca occupava la parte occidentale del castello, ed era piena delle migliori opere antiche e moderne. Questo appartamento guardava su di un boschetto che, piantato lungo un dolce clivo, conduceva al fiume, ed i cui alti e grossi alberi formavano un'ombra folta e misteriosa. Dalle finestre si scopriva, al disopra delle pergole, il ricco paese che estendevasi all'occidente, e si scorgevano a sinistra gli orribili precipizi dei Pirenei. Vicino alla biblioteca eravi un terrazzo munito di piante rare e preziose. Lo studio della botanica era uno dei divertimenti di Sant'Aubert, ed i monti vicini, che offrono tanti tesori ai naturalisti, lo trattenevano[8] spesso giornate intiere. Nelle sue gite, veniva qualche volta accompagnato da sua moglie, e talvolta dalla figlia: un panierino di vimini per riporvi le piante, un altro pieno di qualche alimento, che non si sarebbe potuto trovare nelle capanne dei pastori, formavano il loro equipaggio; scorrevano cos? i luoghi pi? selvaggi, le vedute pi? pittoresche, e la loro attenzione non era concentrata totalmente nello studio delle menome opere della natura, che non permettesse loro d'ammirarne egualmente le bellezze grandi e sublimi. Stanchi di scavalcar rupi, ove pareano essere stati condotti dal solo entusiasmo, e dove non si scorgevano sul musco altre orme fuor quelle del timido camoscio, cercavano essi un ricovero in que' bei templi di verzura, nascosti in seno delle montagne. All'ombra de' larici e degli alti pini, gustavano di una refezione frugale, bevendo l'acque di una sorgente vicina, e respiravano con delizia gli effluvi delle varie piante smaltanti la terra, o pendenti a festoni dagli alberi e dalle rupi.

A sinistra del terrazzo, e verso le pianure della Linguadoca, eravi il gabinetto di Emilia, benissimo assortito di libri, di disegni, di strumenti musicali, di qualche garrullo uccelletto e di fiori i pi? ricercati; quivi, occupata nello studio delle belle arti, essa le coltivava con successo, giacch? molto convenivano al gusto ed al carattere di lei. Le sue naturali disposizioni secondate dalle istruzioni dei genitori, avevano facilitato i suoi rapidi progressi. Le finestre di questa stanza si aprivano fino al suolo sul giardino che circondava la casa; e viali di mandorli di fichi, di acacie e di mirti fioriti, conducevano assai lungi la vista fino ai verdi margini irrigati dalla Garonna.

I contadini di questo bel clima, finiti i lavori, venivano spesso verso sera a ballare sulle sponde del fiume. Il suono animato della musica, la vivacit? dei loro passi il brio delle movenze, il gusto[9] ed il capriccioso abbigliamento delle villanelle, dava a tutta questa scena un carattere interessantissimo.

La facciata del castello, dalla parte di mezzogiorno, era situata di fronte alle montagne. Al pian terreno eravi una gran sala e due comodi salotti. Il pian superiore, ch? eravene un solo, era distribuito in camere da letto, meno una sola stanza, munita d'un largo verone, ove si faceva ordinariamente la colazione.

Nell'aggiustamento esterno, l'affezione di Sant'Aubert per il teatro della sua infanzia, aveva talvolta sacrificato il gusto al sentimento. Due vecchi larici ombreggiavano il castello, e ne impedivano alquanto la vista; ma Sant'Aubert diceva qualche volta, che se li vedesse seccare, avrebbe forse la debolezza di piangerli. Piant? vicino a questi larici un boschetto di faggi, di pini e di frassini alpini; su di un alto terrazzo, al disopra del fiume, eranvi parecchi aranci e limoni, i cui frutti, maturando tra i fiori, esalavano nell'aere un ammirabile e soave profumo.

Un? loro alcuni alberi d'un'altra specie, e col?, sotto un folto platano le cui frondi stendevansi fino sul fiume, amava sedere nelle belle sere estive tra la consorte ed i figliuoli. Traverso il fogliame vedeva il sole tramontar nel lontano orizzonte, ne scorgeva gli ultimi raggi risplendere, venir meno e confondere a poco a poco i purpurei riflessi colle tinte grige del crepuscolo. Ivi pure amava egli leggere e conversare colla moglie, a far giuocare i figliuoletti, ad abbandonarsi ai dolci affetti, compagni consueti della semplicit? e della natura. Spesso pensava, colle lagrime agli occhi, come que' momenti fossero le cento volte pi? soavi de' piaceri rumorosi e delle tumultuose agitazioni del mondo. Il suo cuore era contento; ch? avea il raro vantaggio di non desiderar maggior felicit? di quella onde fruiva. La serenit? della coscienza comunicavasi alle sue[10] maniere, e, per uno spirito come il suo, dava incanto alla stessa felicit?.

La caduta totale del giorno non lo allontanava dal suo platano favorito; amava quel momento in cui gli ultimi chiarori si spengono, in cui le stelle vengono a scintillare l'una dopo l'altra nello spazio, e a riflettersi nello specchio delle acque; istante patetico e dolce, in cui l'anima delicata schiudesi ai pi? teneri sentimenti, alle contemplazioni pi? sublimi. Quando la luna, cogli argentei raggi, traversava il fronzuto fogliame, Sant'Aubert restava ancora; e spesso si faceva portare, sotto quell'albero a lui caro, i latticini ed i frutti che componevano la sua cena. Allorch? la notte faceasi pi? cupa, l'usignuolo cantava, ed i di lui armoniosi accenti risvegliavangli nel fondo dell'anima una dolce malinconia.

La prima interruzione della felicit? che aveva conosciuta nel suo ritiro, fu cagionata dalla perdita di due maschi: essi morirono in quell'et? in cui le grazie infantili hanno tanta vaghezza; e sebbene, per non affliggere soverchiamente la sposa, egli avesse moderata l'espressione del suo dolore, e si fosse sforzato di sopportarlo con fermezza, non aveva filosofia bastante da reggere alla prova di simile sciagura. Una figlia era ormai la sua unica prole. Invigil? attentamente sullo sviluppo del di lei carattere, e si occup? del continuo a mantenerla nelle disposizioni pi? adatte a formarne la felicit?. Ella aveva annunziato fin dall'infanzia una rara delicatezza di spirito, affezioni vive ed una docile benevolenza; ma lasciava travedere nondimeno troppa suscettivit? per godere di una pace durevole: avanzandosi alla pubert?, questa sensibilit? diede un tuono riflessivo ai suoi pensieri, e una dolcezza alle maniere, che, aggiungendo grazia alla belt?, la rendevano molto pi? interessante alle persone che l'avvicinavano. Ma Sant'Aubert aveva troppo buon senso per preferire le attrattive alla virt?; egli[11] era troppo avveduto per non sapere quanto queste siano pericolose a chi le possiede, e non poteva esserne molto contento. Procur? dunque di fortificare il di lei carattere, di suefarla a signoreggiare le inclinazioni ed a sapersi dominare: le insegn? a non cedere tanto facilmente alle prime impressioni, e a sopportare con calma le infinite contrariet? della vita. Ma per insegnarle a vincere s? medesima, ed a prendere quel grado di dignit? tranquilla, che sol pu? domare le passioni, e innalzarci al disopra dei casi e delle disgrazie, aveva bisogno egli stesso di qualche coraggio, e non senza grande sforzo parea vedere tranquillamente le lacrime ed i piccoli disgusti, che la sua previdente sagacit? cagionava talvolta ad Emilia.

Questa interessante fanciulla somigliava alla madre; ne aveva la statura elegante, i delicati lineamenti; aveva al par di lei, gli occhi azzurri, languidi ed espressivi; ma per quanto belle ne fossero le fattezze, l'espressione per? della sua fisonomia, mobile come gli oggetti che la colpivano, dava soprattutto al di lei volto un'attrattiva irresistibile.

Sant'Aubert coltiv? il suo spirito con estrema cura. Le comunic? una tintura delle scienze, ed una esatta cognizione della pi? squisita letteratura. Le insegn? il latino e l'italiano, desiderando che potesse leggere i sublimi poemi scritti in queste due lingue. Annunzi? essa, fino dai primi anni, un gusto deciso per le opere di genio, a questi principii aumentavano il diletto e la soddisfazione di Sant'Aubert. — Uno spirito coltivato, — diceva egli, — ? il miglior preservativo al contagio del vizio e delle follie: uno spirito vuoto ha sempre bisogno di divertimenti, e s'immerge nell'errore per evitare la noia. Il movimento delle idee, forma, della riflessione, una sorgente di piaceri, e le osservazioni fornite dal mondo medesimo, compensano i pericoli delle tentazioni ch'esso offre. La meditazione e lo studio sono necessarie alla felicit?, tanto in campagna[12] quanto in citt?; in campagna esse prevengono i languori di un'apatia indolente, e somministrano nuovi godimenti pel gusto e l'osservazione delle grandi cose; in citt?, esse rendono la distrazione meno necessaria, e per conseguenza meno pericolosa. —

La di lei passeggiata favorita era una peschiera situata in un boschetto vicino, sulla riva di un ruscello, che, scendendo dai Pirenei, spumava a traverso gli scogli, e fuggiva in silenzio sotto l'ombra degli alberi; da questo sito si scuoprivano fra le fronzute selve, i pi? bei siti dei paesi circonvicini; l'occhio si smarriva in mezzo alle eccelse rupi, alle umili capanne dei pastori, ed alle vedute ridenti lungo il fiume: in questo luogo delizioso si recava bene spesso anche Sant'Aubert e sua madre a godere il rezzo ne' calori estivi, e verso sera, all'ora del riposo, ci veniva a salutare il silenzio e l'oscurit?, ed a prestar ascolto ai queruli canti della tenera Filomela; talvolta ancora portava la musica; l'eco svegliavasi al suono dell'oboe, e la voce melodiosa di Emilia addolciva i lievi zeffiri che ricevevan e portavano lunge da lei la sua espressione ed i suoi accenti.

Un giorno, Emilia lesse in un canto del tavolato i versi seguenti scritti col lapis:

Ingenui figli del sentir pi? puro
Che s? poco spiegate il mio dolore,
Versi miei, se avverr? che in questo oscuro
Sacro alla pace taciturno orrore
Un oggetto gentil mai si presenti,
L'amor mio gli narrate e i miei tormenti.
Quel d? che nel mio core il suo sembiante
Le amorose dest? prime scintille,
Ah! fatal giorno! ahi sventurato amante!
Contro il vivo fulgor di sue pupille
Indifeso mi stava e senza tema
Della vaga di lor possanza estrema.
E ripiena d'angelico diletto
Gi? sentia palpitar l'alma nel seno:
Ma l'inganno svan?; l'amato oggetto
Da me volse le piante in un baleno,
E lasciommi in partir tutti i pi? forti
D'invincibile amor crudi trasporti.
[13]

Questi versi non erano indirizzati ad alcuno: Emilia non poteva applicarli a s? medesima, sebbene fosse, senza alcun dubbio, la ninfa di quelle boscaglie: ella scorse rapidamente il circolo ristretto delle sue conoscenze, senza poterne fare l'applicazione, e rest? nell'incertezza: incertezza molto meno penosa per lei, di quello sarebbe stata per uno spirito pi? ozioso, non avendo occasione di occuparsi a lungo d'una bagattella, e d'esagerarne l'importanza pensandovi del continuo. L'incertezza, che non le permetteva di supporre che quei versi le fossero indirizzati, non l'obbligava neppure di adottare l'idea contraria; ma il piccolo moto di vanit? da lei sentito non dur? molto, e ben presto lo dimentic? per i suoi libri, i suoi studi e le sue buone opere.

Poco tempo dopo, la sua inquietudine fu eccitata da un'indisposizione del padre; esso fu colto dalla febbre, che, senza essere molto pericolosa, non manc? di dare una scossa sensibile al di lui temperamento. La signora Sant'Aubert e sua figlia lo assistettero con molta premura, ma la sua convalescenza fu lenta, e mentre egli ricuperava la salute, la di lui sposa perdeva la sua. Appena fu ristabilito, la prima visita fu alla peschiera: un paniere di provvisioni, i libri, ed il liuto di Emilia vi furono mandati dapprima; della pesca non se ne parlava, perch? Sant'Aubert non prendeva verun piacere alla distruzione degli esseri viventi.

Dopo un'ora di passeggio e di ricerche botaniche, fu servito il pranzo: la soddisfazione provata pel piacere di rivedere ancora quel luogo favorito, riemp? i commensali del pi? dolce sentimento: la cara famiglia parea ritrovare la felicit? sotto quelle ombre beate. Sant'Aubert discorrea con singolar allegria: ogni oggetto ne rianimava i sensi; l'amabile frescura, il diletto che si prova alla vista della natura dopo i patimenti d'una malattia ed il soggiorno di[14] una camera da letto, non ponno del certo n? comprendersi, n? descriversi nello stato di perfetta salute; la verzura delle selve e de' pascoli, la variet? de' fiori, l'azzurra v?lta de' cieli, l'olezzo dell'aere, il lene murmure delle acque, il ronzio de' notturni insetti, tutto sembra allora vivificar l'anima e dar pregio all'esistenza. La Sant'Aubert, rianimata dalla gaiezza e dalla convalescenza dello sposo, obli? la sua indisposizione personale: passeggi? pe' boschi, e visit? le situazioni deliziose di quel ritiro: conversava essa col marito e colla figlia, e riguardavali spesso con un grado di tenerezza che le faceva versar lagrime. Sant'Aubert, accortosene, le rimprover? teneramente la sua emozione: ella non pot? che sorridere, stringere la di lui mano, quella di Emilia, e piangere davvantaggio. Sent? egli che l'entusiasmo del sentimento le diveniva quasi penoso; una trista impressione s'impadron? dei suoi sensi, e gli sfuggirono sospiri. — Forse, diceva tra s?, forse questo momento ? il termine della mia felicit?, come ne ? il colmo; ma non abbreviamolo con dispiaceri anticipati; speriamo che non avr? sfuggita la morte per avere da piangere io stesso i soli esseri interessanti che me la fanno temere. —

Per uscire da questi cupi pensieri, o forse piuttosto per intrattenervisi, preg? Emilia di andar a cercare il liuto, e suonargli qualche bel pezzo di tenera musica. Nell'avvicinarsi alla peschiera, essa fu sorpresa di sentire le corde del suo strumento toccate da una mano maestra, ed accompagnata da un canto lamentevole, che cattiv? la di lei attenzione. Ascolt? in profondo silenzio, temendo che un indiscreto movimento non la privasse d'un suono o non interrompesse il suonatore. Tutto era tranquillo nel padiglione, e non sembrando che ci fosse alcuno, ella continu? ad ascoltare; ma finalmente la sorpresa e il diletto fecero luogo alla timidezza; questa aument? pella rimembranza dei versi scritti a matita,[15] da lei gi? veduti, e titub? se doveva o no ritirarsi all'istante.

Nell'intervallo, la musica cess?; Emilia riprese coraggio, e si avanz?, sebben tremando, verso la peschiera, ma non ci vide nessuno: il liuto giaceva sul tavolino, e tutto il resto stava come ce lo aveva lasciato. Emilia principi? a credere di avere inteso un altro istrumento, ma si ricord? benissimo di aver lasciato, nel partire, il suo liuto vicino alla finestra; si sent? agitata senza saperne il motivo; l'oscurit?, il silenzio di quel luogo, interrotto sol dal lievissimo tremolio delle foglie, aument? il suo timore infantile; volle uscire, ma si accorse che si indeboliva, e fu obbligata a sedere; mentre procurava di riaversi, i suoi occhi incontraron di nuovo i versi scritti col lapis; sussult? come se avesse veduto uno straniero, poi sforzandosi di vincere il terrore, alzossi e si avvicin? alla finestra; altri versi erano stati aggiunti ai primi, e questa volta il suo nome ne formava il soggetto.

Non le fu pi? possibile di dubitare che l'omaggio non fosse a lei diretto, ma non le fu meno impossibile d'indovinarne l'autore: mentre ci pensava, sent? il romore di qualche passo dietro l'edifizio; spaventata, prese il liuto, fugg? ed incontr? i genitori in un sentieruzzo lungo la radura.

Salirono tutti insieme sopra un poggetto coperto di fichi, d'onde si godeva il pi? bel punto di vista delle pianure e delle valli della Guascogna: sedettero sull'erba, e mentre i loro sguardi abbracciavano il grandioso spettacolo, respiravano in riposo i dolci profumi delle piante sparse in quel luogo incantevole. Emilia ripet? le canzoni pi? gradite ai genitori, e l'espressione con cui le cant? ne raddoppi? il diletto. La musica e la conversazione ve li trattennero fino all'imbrunire: i candidi veli che segnavan di sotto a' monti il veloce corso della Garonna avean cessato d'esser visibili; era un'oscurit?[16] pi? malinconica che trista. Sant'Aubert e la sua famiglia si alzarono lasciando con dispiacere quel sito. Ahim?! La signora Sant'Aubert ignorava come non dovesse ritornarvi mai pi?!

Giunta alla peschiera, essa si accorse di aver perduto un braccialetto, che si era tolto pranzando, ed avea lasciato sulla tavola, nell'andare al passeggio. Fu cercato con molta premura, specialmente da Emilia, ma invano, e convenne rinunziarvi. La Sant'Aubert aveva in gran pregio questo braccialetto, perch? conteneva il ritratto di sua figlia; e questo ritratto, fatto da poco, era di perfettissima somiglianza. Quando Emilia fu certa di tal perdita, arross?, e divenne pensierosa. Un estraneo si era adunque introdotto nella peschiera in loro assenza; il liuto smosso ed i versi letti non le permettevano di dubitarne: si poteva dunque concludere con fondamento, che il poeta, il suonatore ed il ladro erano la medesima persona. Ma sebbene que' versi, la musica ed il furto del ritratto formassero una combinazione notevole, Emilia si sent? irresistibilmente aliena dal farne menzione, e si propose soltanto di non visitare pi? la peschiera senza essere accompagnata da qualcuno dei genitori.

Nel tornare a casa, la fanciulla pensava a quanto le era accaduto; Sant'Aubert si abbandonava al pi? dolce godimento, contemplando i beni che possedeva. La sua sposa era conturbata ed afflitta dalla perdita del ritratto; avvicinandosi a casa, distinsero un romore confuso di voci e di cavalli; parecchi servi traversarono i viali, ed una carrozza a due cavalli arriv? nello stesso punto davanti la porta d'ingresso del castello. Sant'Aubert riconobbe la livrea del cognato, e trov? difatti i coniugi Quesnel nel salotto. Essi mancavano da Parigi da pochissimi giorni, e recavansi alle loro terre distanti dieci leghe dalla valle, Sant'Aubert gliele aveva vendute da qualche anno. Quesnel era l'unico fratello della moglie di Sant'Aubert; ma la[17] diversit? di carattere avendo impedito di rafforzare i loro vincoli, la corrispondenza tra essi non era stata molto sostenuta. Quesnel si era introdotto nel gran mondo; amava il fasto, e mirava a divenire qualcosa d'importante; la sua sagacit?, le sue insinuazioni avevano quasi ottenuto l'intento. Non ? dunque da stupire se un uomo tale non sapesse apprezzare il gusto puro, la semplicit? e la moderazione di Sant'Aubert, e non vi ravvisasse se non se picciolezza di spirito e totale incapacit?. Il matrimonio di sua sorella aveva mortificato assai la sua ambizione, essendosi lusingato ch'essa avrebbe formato un parentado pi? adatto a servire ai suoi progetti. Egli aveva ricevute proposte confacentissime alle sue speranze; ma la sorella, che a quell'epoca venne richiesta da Sant'Aubert, si accorse, o cred? accorgersi, che la felicit? e lo splendore non erano sempre sinonimi, e la sua scelta fu presto fatta. Qualunque fossero le idee di Quesnel a tal proposito, egli avrebbe sacrificato volentieri la quiete della sorella all'innalzamento della propria fortuna; e quand'essa si marit?, non pot? dissimularle il suo disprezzo per i di lei principii, e per l'unione ch'essi determinavano. La Sant'Aubert nascose l'insulto allo sposo, ma per la prima volta, forse, concep? qualche risentimento. Conserv? la sua dignit?, e si condusse con prudenza; ma il di lei riservato contegno avverti abbastanza Quesnel di ci? ch'ella sentiva.

Nell'ammogliarsi, egli non segu? l'esempio della sorella; la sua sposa era un'Italiana, ricchissima erede; ma il costei naturale e l'educazione ne facevano una persona frivola quanto vana.

Si erano prefissi di passare la notte in casa di Sant'Aubert, e siccome il castello non bastava ad alloggiare tutti i domestici, furono mandati al vicino villaggio. Dopo i primi complimenti e le disposizioni necessarie, Quesnel cominci? a parlare delle[18] sue relazioni ed amicizie. Sant'Aubert, il quale aveva vissuto abbastanza nel ritiro e nella solitudine perch? questo soggetto gli paresse nuovo, lo ascolt? con pazienza ed attenzione, ed il suo ospite cred? ravvisarvi umilt? e sorpresa insieme. Descrisse vivamente il piccolo numero di feste, che le turbolenze di quei tempi permettevano alla corte di Enrico III, e la sua esattezza compensava l'arroganza: ma quando arriv? a parlare del duca di Joyeuse, di un trattato segreto, ond'egli conosceva le negoziazioni colla Porta, e del punto di vista sotto al quale Enrico di Navarra era veduto alla corte, Sant'Aubert richiam? l'antica esperienza, e si convinse facilmente che il cognato tutto al pi? poteva tenere l'ultimo posto alla corte; l'imprudenza dei suoi discorsi non poteva conciliarsi colle sue pretese cognizioni: pure Sant'Aubert non volle mettersi a discutere, sapendo troppo bene che Quesnel non aveva n? sensibilit?, n? criterio.

La Quesnel, nel frattempo, esprimeva il suo stupore alla Sant'Aubert sulla vita trista che menava, diceva essa, in un cantuccio cos? remoto. Probabilmente, per eccitare l'invidia, si mise poscia a narrare le feste da ballo, i pranzi, le veglie ultimamente date alla corte, e la magnificenza delle feste fatte in occasione delle nozze del duca di Joyeuse con Margherita di Lorena, sorella della regina; descrisse colla stessa precisione e quanto aveva veduto, e quanto non erale stato concesso di vedere. La fervida immaginazione di Emilia accoglieva que' racconti coll'ardente curiosit? della giovent?, e la Sant'Aubert, considerando la figlia colle lacrime agli occhi, comprese che se lo splendore accresce la felicit?, la sola virt? per? pu? farla nascere.

Quesnel disse al cognato: ? Sono gi? dodici anni che ho comprato il vostro patrimonio. — All'incirca, ? rispose Sant'Aubert, reprimendo un sospiro. — Sono ormai cinque anni che non vi sono stato, ? riprese[19] Quesnel; ? Parigi ed i suoi dintorni sono l'unico luogo ove si possa vivere; ma d'altra parte, io sono talmente occupato, talmente versato negli affari, ne sono tanto oppresso, che non ho potuto senza grandissima difficolt?, ottenere di assentarmi per un mese o due. ? Sant'Aubert non diceva nulla, e Quesnel seguit?: ? Sonomi maravigliato spesso, che voi, assuefatto a vivere nella capitale, voi, che siete avvezzo al gran mondo possiate dimorare altrove, sopratutto in un paese come questo, ove non si sente parlare di nulla, e dove si sa appena di esistere. — Io vivo per la mia famiglia e per me, ? disse Sant'Aubert; ? mi contento in oggi di conoscere la felicit?, mentre anch'io per lo passato ho conosciuto il mondo.

— Ho deciso di spendere nel mio castello trenta o quarantamila lire in abbellimenti, ? soggiunse Quesnel, senza badare alla risposta del cognato; ? mi son proposto di farci venire i miei amici nella prossima estate. Il duca di Durfort, il marchese di Grammont spero che mi onoreranno della loro presenza per un mese o due. ?

Sant'Aubert l'interrog? su' suoi progetti di abbellimento; si trattava di demolire l'ala destra del castello per fabbricarvi le scuderie. ? Far? in seguito, ? aggiunse egli, ? una sala da pranzo, un salotto, un tinello, e gli alloggi per tutti i domestici, poich? adesso non ho da allogarne la terza parte.

— Tutti quelli di mio padre vi alloggiavano comodamente, ? riprese Sant'Aubert, rammentandosi con dispiacere l'antica abitazione, ? ed il di lui seguito era pur numeroso.

— Le nostre idee si sono un po' ingrandite, ? disse Quesnel; ? ci? ch'era decente in quei tempi, or non parrebbe pi? sopportabile. ?

Il flemmatico Sant'Aubert arross? a tai parole, ma l'ira fe' presto luogo al disprezzo.[20]

? Il castello ? ingombro d'alberi, ? soggiunse Quesnel, ? ma io conto di dargli aria.

— E che! voi vorreste tagliare gli alberi?

— Certo, e perch? no? essi impediscono la vista; c'? un vecchio castagno che stende i rami su tutta una parte del castello, e cuopre tutta la facciata dalla parte di mezzogiorno; lo dicono cos? vecchio, che dodici uomini starebbero comodamente nel suo tronco incavato: il vostro entusiasmo non giunger? fino a pretendere che un vecchio albero inutilissimo abbia la sua bellezza od il suo uso.

— Buon Dio! ? sclam? Sant'Aubert; ? voi non distruggerete quel maestoso castagno, che esiste da tanti secoli, e fa l'ornamento della terra! Era gi? grosso quando fu fabbricata la casa; da giovine io mi arrampicava spesso su' di lui rami pi? alti; nascosto tra le sue foglie, la pioggia poteva cadere a diluvio, senza che una sola goccia d'acqua mi toccasse: quante ore vi ho passate con un libro in mano! Ma perdonatemi, ? continu? egli rammentandosi che non era inteso, ? io parlo del tempo antico. I miei sentimenti non sono pi? di moda, e la conservazione di un albero venerabile non ?, al par d'essi, all'altezza de' tempi odierni.

— Io lo atterrer? per certo, ? disse Quesnel, ? ma in sua vece potr? ben piantare qualche bel pioppo d'Italia fra i castagni che lascier? nel viale. La signora Quesnel ama molto i pioppi, e mi parla spesso della casa di suo zio nei dintorni di Venezia, ove questa piantagione fa un effetto superbo.

— Sulle sponde della Brenta, ? rispose Sant'Aubert, ? ove il suo fusto alto e diritto si sposa ai pini, a' cipressi, e pompeggia intorno a portici eleganti e svelti colonnati, deve effettivamente adornare quei luoghi deliziosi, ma fra i giganti delle nostre foreste, accanto ad una gotica e pedante architettura!

— Questo pu? essere, caro signor mio, ? disse Quesnel, ? io non voglio disputarvelo. Bisogna che[21] voi ritorniate a Parigi, prima che le nostre idee possano avere qualche rapporto. Ma, a proposito di Venezia, ho quasi voglia di andarci nella prossima estate. Pu? darsi ch'io diventa padrone della casa di cui vi parlava, e che dicono bellissima. In tal caso rimetter? i miei progetti di abbellimento all'anno venturo, e mi lascier? trascinare a passare qualche mese di pi? in Italia. ?

Emilia rest? alquanto sorpresa nell'udirlo parlare in quei termini. Un uomo tanto necessario a Parigi, un uomo che poteva appena allontanarsene per un mese o due, pensar di andare in paese straniero, ed abitarvi per qualche tempo! Sant'Aubert conosceva troppo bene la di lui vanit? per maravigliarsi di simile linguaggio, e vedendo la possibilit? di una proroga per gli abbellimenti progettati, ne concep? la speranza di un totale abbandono.

Prima di separarsi, Quesnel desider? intertenersi in particolare col cognato; entrarono ambidue in un'altra stanza e vi restarono a lungo. Il soggetto del loro colloquio rimase ignoto; ma Sant'Aubert al ritorno parve molto pensieroso, e la tristezza dipinta sul suo volto allarm? assai la di lui consorte. Quando furono soli, essa fu entrata di chiedergliene il motivo; la delicatezza per? la trattenne, riflettendo che se suo marito avesse creduto conveniente d'informarnela, non avrebbe aspettato le di lei domande.

Il d? dopo, Quesnel part? dopo aver avuto un'altra conferenza con Sant'Aubert. Ci? accadde al dopo pranzo, e verso sera i nuovi ospiti si rimisero in viaggio per Epurville, ove sollecitarono i cognati di andarli a trovare, ma pi? nella lusinga di far pompa di magnificenza, che per desiderio di farne lor fruire le bellezze.

Emilia torn? con delizia alla libert? statale tolta colla loro presenza. Ritrov? i suoi libri, le sue passeggiate, i discorsi istruttivi dei suoi genitori, ed[22] anch'eglino godettero di vedersi liberati da tanta frivolezza ed arroganza.

La Sant'Aubert non and? a fare la sua solita passeggiata, lagnandosi di un poco di stanchezza, ed il marito usc? colla figlia.

Presero la strada dei monti. Il loro progetto era di visitar alcuni vecchi pensionati di Sant'Aubert. Una rendita modica gli permetteva simile aggravio, mentr'? probabile che Quesnel con tutti i suoi tesori non avrebbe potuto sopportarlo.

Sant'Aubert distribu? i soliti benefizi ai suoi umili amici; ascolt? gli uni, consol? gli altri; li content? tutti co' dolci sguardi della simpatia ed il sorriso dell'affabilit?, e traversando con Emilia i sentieri ombrosi della selva, torn? seco lei al castello.

La moglie era gi? ritirata nelle sue stanze; il languore e l'abbattimento che l'avevano oppressa, e che l'arrivo dei forestieri aveva sospeso, la colsero di nuovo, ma con sintomi pi? allarmanti. L'indomani si manifest? la febbre; il medico vi riconobbe il medesimo carattere di quella ond'era guarito Sant'Aubert; essa ne aveva ricevuto il contagio assistendo il marito: la sua complessione troppo debole non aveva potuto resistere: il male, insinuatosi nel sangue, l'aveva piombata nel languore. Sant'Aubert, spinto dalla inquietudine, trattenne il medico in casa; si ramment? i sentimenti e le riflessioni che avevano turbate le sue idee l'ultima volta ch'erano stati insieme alla peschiera; cred? al presentimento, e tem? tutto per la malata: riusc? non ostante a nascondere il suo turbamento, e rianim? la figlia, aumentandone le speranze. Il medico, interrogato da lui, rispose che, prima di pronunciarsi, dovea aspettare una certezza, non ancora da lui acquistata. L'inferma sembrava averne una meno dubbiosa, ma i suoi occhi soltanto potevano indicarla; essa li fissava spesso su' suoi con un'espressione[23] mista di piet? e di tenerezza, come se avesse antiveduto il loro cordoglio, e sembrava non istare attaccata alla vita se non per cagione di essi e del loro dolore. Il settimo giorno fu quello della crisi; il medico prese un accento pi? grave; ella se ne accorse, e profittando di un momento ch'erano soli, l'accert? esser ella persuasissima della sua morte imminente. ? Non cercate d'ingannarmi, ? gli disse; ? io sento che ho poco di vivere, e da qualche tempo son preparata a morire; ma poich? cos? ?, una falsa compassione non v'induca a lusingare la mia famiglia; se lo faceste, la loro afflizione sarebbe troppo violenta all'epoca della mia morte; io mi sforzer?, coll'esempio, d'insegnar loro la rassegnazione ai voleri supremi. ?

Il medico s'intener?, promise di obbedire, e disse un po' ruvidamente a Sant'Aubert che non bisognava sperare. La filosofia di questo sventurato non era tale da resistere alla prova di un colpo tanto fatale; ma riflettendo che un aumento di afflizione, nell'eccesso del suo dolore, avrebbe potuto aggravare maggiormente la consorte, prese forza bastante per moderarla alla di lei presenza. Emilia cadde svenuta, ma appena riprese l'uso dei sensi, ingannata dalla vivacit? dei suoi desiderii, conserv? fino all'ultimo momento la speranza della guarigione della madre.

La malattia faceva rapidi progressi; la rassegnazione e la calma dell'inferma sembravano crescere con essa la tranquillit? con cui attendeva la morte, nasceva da una coscienza pura, da una vita senza rimorsi, e per quanto poteva comportarlo l'umana fragilit?, passata costantemente nella presenza di Dio e nella speme d'un mondo migliore; ma la piet? non poteva annientare il dolore che provava, lasciando amici tanto cari al suo cuore. Negli estremi momenti, parl? molto col marito e con Emilia sulla vita futura ed altri soggetti religiosi; la di lei rassegnazione,[24] la ferma speranza di ritrovare nell'eternit? i cari oggetti che abbandonava in questo mondo; lo sforzo che faceva per nascondere il dolore cagionatole dalla momentanea separazione, tutto contribu? ad affliggere siffattamente Sant'Aubert, che fu costretto ad uscire dalla camera. Pianse amare lagrime, ma in fine fece forza a s? stesso, e rientr? con una ritenutezza che non poteva se non accrescere il suo supplizio.

In alcun tempo Emilia non aveva meglio conosciuto quanto fosse prudente di moderare la sua sensibilit?, n? mai erasene occupata con tanto coraggio; ma dopo il momento terribile e funesto dov? cedere al peso del dolore, e comprese come la speranza al par della forza avessero concorso a sostenerla. Sant'Aubert era troppo afflitto egli stesso per poter consolare la figlia.


CAPITOLO II

La spoglia mortale della Sant'Aubert fu inumata nella chiesa del villaggio vicino; sposo e figlia accompagnarono il corteggio funebre, e furono seguiti da un numero prodigioso di abitanti, che piangevano tutti sinceramente la perdita dell'ottima donna.

Ritornati dalla chiesa, Sant'Aubert si chiuse nella sua camera, e ne usc? colla serenit? del coraggio e col pallore della disperazione; ordin? a tutte le persone che componevano la sua famiglia di riunirsi vicino a lui. La sola Emilia non compariva: soggiogata dalla scena lugubre ond'era stata testimone, erasi chiusa nel suo gabinetto per piangervi in libert?. Sant'Aubert l'and? a cercare; le prese la mano in silenzio, e le sue lacrime continuarono: egli stesso stent? molto a riacquistare la voce e la facolt? di esprimersi; finalmente disse tremando: ? Cara Emilia, noi andiamo a pregare per l'anima della tua buona madre; non vuoi tu unirti a noi?[25] Imploreremo il soccorso dell'Onnipotente: da chi possiamo noi attenderlo se non dal cielo? ?

Emilia trattenne le lacrime, e segu? il padre nel salotto ov'erano riuniti i domestici. Sant'Aubert lesse con voce sommessa l'uffizio dei morti, e vi aggiunse preghiere per l'anima dei defunti. Durante la lettura, gli manc? la voce, e le lacrime inondarono il libro; si arrest?, ma le sublimi emozioni d'una devozione pura innalzarono successivamente le sue idee al disopra di questo mondo, e versarono infine il balsamo della consolazione nel suo cuore.

Finito l'uffizio, e ritirati i domestici, egli abbracci? teneramente la sua Emilia. ? Mi sono sforzato, ? le disse, ? di darti fino dai primi anni un vero impero su te stessa, e te ne ho rappresentata l'importanza in tutta la condotta della vita; questa sublime qualit? ci sostiene contro le pi? pericolose tentazioni del vizio, ci richiama alla virt?, e modera parimente l'eccesso delle emozioni pi? virtuose. Vi ? un punto in cui esse cessano di meritare questo nome, se la loro conseguenza ? un male; qualunque eccesso ? vizioso; il dispiacere medesimo, sebbene amabile ne' suoi primordi, diviene una passione ingiusta, quando uno vi si abbandona a spese dei propri doveri. Per dovere io intendo parlare di ci? che si deve a s? stessi, al par di quello che si deve agli altri, un dolore smoderato infiacchisce l'anima, e la priva di quei dolci godimenti che un Dio benefico destina all'ornamento della nostra vita. Emilia cara, invoca, fa uso di tutti i precetti che hai da me ricevuti, e di cui l'esperienza ti ha cos? spesso dimostrato la saviezza... Il tuo dolore ? inutile; non riguardare questa verit? come un'espressione comune di consolazione, ma come un vero motivo di coraggio. Non vorrei soffocare la tua sensibilit?, figlia mia, ma moderarne soltanto l'intensit?. Di qualunque natura possano essere i mali,[26] ond'? afflitto un cuore troppo tenero, non si deve sperar nulla da quello che non lo ?. Tu conosci il mio dolore, sai se le mie parole sono di quei discorsi leggieri fatti a caso per arrestare la sensibilit? nella sua sorgente, e il cui unico fine ? di far pompa d'una pretesa filosofia. Ti dimostrer?, cara figlia, ch'io posso mettere in pratica i consigli che do. Ti parlo cos?, perch? non ti posso vedere, senza dolore, consumarti in lacrime superflue e non fare veruno sforzo per consolarti; non ti ho parlato prima, perch? avvi un momento in cui qualunque ragionamento deve cedere alla natura. Questo momento ? passato, e quando lo si prolunga all'eccesso, la trista abitudine che si contrae, opprime lo spirito al punto di togliergli la sua elasticit?, tu urti in questo scoglio, ma son persuaso che mi proverai col fatto di volerlo evitare. ?

Emilia, piangendo, sorrise al genitore. ? O padre! ? esclam?, e le manc? la voce. Avrebbe aggiunto senza dubbio: Io voglio mostrarmi degna del nome di vostra figlia. Ma un movimento misto di riconoscenza, di tenerezza e di dolore l'oppresse di nuovo: Sant'Aubert la lasci? piangere senza interromperla, e parl? di altre cose.

La prima persona che venne a partecipare alla sua afflizione fu un certo Barreaux, uomo austero, e che sembrava insensibile; il gusto della botanica li aveva legati in amicizia, essendosi incontrati spesso sui monti. Barreaux erasi ritirato dal mondo, e quasi dalla societ?, per vivere in un bellissimo castello, all'ingresso de' boschi, e vicinissimo alla valle. Come Sant'Aubert, egli era stato crudelmente disingannato dall'opinione che aveva avuta degli uomini, ma, al par di lui, non si limitava ad affliggersene ed a compiangerli; sentiva pi? sdegno contro i loro vizi, che compassione per le loro debolezze.

Sant'Aubert fu sorpreso nel vederlo. Lo aveva invitato spesso a venire a visitare la sua famiglia,[27] senza avervelo mai potuto decidere; quel giorno venne senza riserva, ed entr? in casa come uno dei pi? intrinseci amici della famiglia. I bisogni della sventura parevano averne addolcita la ruvidezza e domati i pregiudizi. La desolazione di Sant'Aubert parve l'unica sua occupazione; le maniere, pi? che le parole, ne esprimevano la commozione: parl? poco del soggetto della loro afflizione, ma le sue attenzioni delicate, il suono della sua voce, e l'interesse dei suoi sguardi esprimevano il sentimento del suo cuore; e questo linguaggio fu benissimo inteso.

A quell'epoca dolorosa, Sant'Aubert fu visitato dalla sua unica sorella, la signora Cheron, vedova da qualche anno, la quale abitava allora nelle proprie terre vicino a Tolosa. La loro corrispondenza era stata poco attiva: le espressioni non le mancarono per?; ella non intendeva quella magia dello sguardo, che parla cos? bene all'anima, e quella dolcezza di accenti, che versa un balsamo salutare nei cuori afflitti e desolati. Assicur? il fratello che prendeva il pi? sincero interesse al suo dolore, lod? le virt? della sua sposa, ed aggiunse quanto immagin? di pi? consolante. Emilia non cess? dal piangere fin ch'essa parl?. Sant'Aubert fu pi? tranquillo, ascolt? in silenzio, e cambi? tenore di conversazione.

Nel partire, la signora Cheron li preg? di andarla presto a trovare. ? Il cambiamento di soggiorno vi distrarr? non poco, ? diss'ella; ? fate malissimo ad affliggervi tanto. ? Suo fratello comprese la verit? di queste parole, ma sentiva pi? ripugnanza di prima a lasciare un asilo consacrato alla sua felicit?. La presenza della sposa aveva reso quei luoghi tanto interessanti per lui, che ogni giorno calmando l'amarezza del suo dolore, aumentava la vaghezza delle sue rimembranze.

Egli aveva cionnonpertanto doveri da compiere,[28] e di questo genere era una visita al cognato Quesnel; un affare importante non permetteva di differirla pi? a lungo, e desiderando d'altronde di scuotere Emilia dal suo abbattimento prese seco lei la strada d'Epurville.

Quando la carrozza entr? nel bosco che circondava il suo antico patrimonio, e che scopr? il viale di castagni e le torricelle del castello, nel pensare agli avvenimenti trascorsi in quell'intervallo, e come il possessore attuale non sapesse n? apprezzare, n? rispettare un tanto bene, Sant'Aubert sospir? profondamente; alla fine, entr? nel viale, rivide quei grandi alberi, delizia della sua infanzia e confidenti della sua giovent?. A poco a poco il castello mostr? la sua massiccia grandezza. Rivide la grossa torre, la porta v?lta d'ingresso, il ponte levatoio, ed il fosso asciutto che circondava tutto l'edifizio.

Il romore della carrozza chiam? una folla di servitori al cancello. Sant'Aubert scese, e condusse Emilia in una sala gotica; ma gli stemmi, le antiche insegne della famiglia non la decoravano pi?. Le travi, e tutto il legname di quercia del soffitto, erano stati tinti di bianco. La gran tavola, ove il feudatrio faceva pompa tutti i giorni della magnificenza e dell'ospitalit? sua, dove il riso ed i lieti canti avevano cos? spesso rimbombato, questa tavola non esisteva pi?; le panche istesse che circondavano la sala, erano state tolte. Le grosse pareti non erano ricoperte che di frivoli ornamenti, i quali dimostravano quanto fosse gretto e meschino il gusto ed il sentimento del proprietario attuale.

Sant'Aubert fu introdotto nel salotto da un elegante servitore parigino. I coniugi Quesnel lo ricevettero con fredda garbatezza, con qualche complimento alla moda, e parvero aver obliato totalmente di aver avuto una sorella.

Emilia fu sul punto di versare lacrime, ma ne fu trattenuta da un giusto risentimento. Sant'Aubert,[29] franco e tranquillo, conserv? la sua dignit? senza mostrare di avvedersene, e pose, in soggezione Quesnel; il quale non poteva spiegarsene il motivo.

Dopo una conversazione generale, Sant'Aubert mostr? desiderio di parlargli da solo a solo. Emilia rest? colla signora Quesnel, e fu tosto informata come per quel giorno istesso fosse stata invitata una societ? numerosa: essa fu costretta di sentirsi dire che una perdita irrimediabile non deve privare di verun piacere.

Quando Sant'Aubert seppe di questo invito, sent? un misto di disgusto e d'indignazione per l'insensibilit? di Quesnel, e fu quasi tentato di tornarsene al momento al suo castello; ma sentendo che, a suo riguardo, era stata invitata a venire anche la signora Cheron, e considerando che Emilia avrebbe potuto un giorno provare le conseguenze dell'inimicizia d'un simile zio, non volle esporvela; d'altra parte, la sua istantanea partenza sarebbe parsa senza dubbio poco conveniente a persone, che mostravano nondimanco un s? fiacco sentimento delle convenienze.

Fra i convitati si trovavano due gentiluomini italiani, uno chiamato Montoni, parente lontano della signora Quesnel, dell'et? circa quarant'anni, di ammirabile statura; avea fisonomia virile ed espressiva, ma in generale esprimeva la baldanza e l'alterigia, piuttosto che ogni altra disposizione.

Il signor Cavign?, suo amico, non mostrava pi? di trent'anni. Era ad esso inferiore di nascita, ma non in penetrazione, e lo superava nel talento d'insinuarsi. Emilia fu piccata del modo con cui la Cheron parl? a suo padre. ? Fratello mio, ? gli diss'ella, ? mi spiace di vedervi di cos? cattiva ciera; dovreste consultare qualche medico. ? Sant'Aubert le rispose, con malinconico sorriso, che presso a poco stava come al solito; ed i timori di Emilia le fecero trovare il padre cambiato assai pi? che realmente nol fosse. Se Emilia fosse stata meno oppressa, si sarebbe[30] divertita, la diversit? dei caratteri della conversazione durante il pranzo, e la magnificenza istessa con cui fu servito, molto al di sopra di tutto quanto aveva veduto fin allora, non avrebbero senza dubbio mancato di svagarla. Montoni, recentemente giunto dall'Italia, raccontava le turbolenze e le fazioni che agitavano quel paese. Dipingeva con vivacit? i diversi partiti; deplorava le probabili conseguenze di quegli orribili tumulti. Il suo amico parlava con altrettanto ardore della politica della sua patria; lodava il governo e la prosperit? di Venezia, e vantava la di lei decisa superiorit? su tutti gli altri Stati d'Italia; si rivolse in seguito alle signore, e parl? colla medesima eloquenza delle mode, degli spettacoli, delle affabili maniere dei Francesi, ed ebbe l'accortezza di far cadere il suo discorso su tutto ci? che poteva lusingare il gusto di quella nazione: l'adulazione non fu conosciuta da coloro cui era indirizzata, ma l'effetto per? che produsse sulla loro attenzione non isfugg? alla sua perspicacia. Quando pot? disimpegnarsi dalle altre signore, si rivolse ad Emilia; ma essa non conosceva n? le mode, n? i teatri parigini, e la sua modestia e semplicit?, e le sue belle maniere contrastavano forte col tuono delle compagne. Dopo il pranzo, Sant'Aubert usc? solo per visitare ancora una volta il vecchio castagno, che Quesnel pensava distruggere. Riposando sotto quell'ombra, guard? attraverso le folte sue frondi, e scorse tra le foglie tremolanti l'azzurra v?lta de' cieli; gli avvenimenti della sua giovent? presentaronsegli tutti insieme alla fantasia. Si ramment? gli antichi amici, il loro carattere, e perfino le loro fattezze. Da molto tempo essi non esistevano pi?; gli parve essere anch'egli un ente quasi isolato, e la sua Emilia sola poteva fargli amare ancora la vita.

Perduto nella folla delle immagini che gli presentava la sua memoria, giunse al quadro della[31] moribonda sposa; sussult?, e volendo obliarla, se gli fosse stato possibile, torn? alla societ?.

Sant'Aubert fece attaccare la carrozza di buonissim'ora; Emilia si accorse per via ch'era pi? taciturno ? pi? abbattuto del solito; essa ne attribu? la cagione alle memorie ricordategli da quel luogo, n? sospett? il vero motivo d'un dolore ch'egli non le comunicava.

Ritornati al castello, la di lei afflizione si rinnov?, e conobbe pi? che mai gli effetti della privazione di una madre tanto cara, che l'accoglieva sempre col sorriso e le pi? affabili carezze, dopo un'assenza anche momentanea. Or tutto era cupo e deserto.

Ma ci? che ottener non possono n? la ragione, n? gli sforzi, l'ottiene il tempo. Scorsero le settimane, e l'orrore della disperazione si trasform? a poco a poco in un dolce sentimento che il cuore conserva, e gli diventa sacro. Sant'Aubert al contrario, s'indeboliva sensibilmente, sebbene Emilia, la sola persona che non lo abbandonasse mai, fosse l'ultima ad accorgersene. La sua complessione non si era ristabilita dall'urto ricevuto nella malattia, e la scossa che prov? alla morte della moglie, determin? il suo estremo languore: il suo medico lo consigli? di viaggiare. Era visibile come i suoi nervi fossero stati fortemente attaccati dall'accesso del dolore; e si credeva che il cambiamento dell'aria ed il moto, calmandone lo spirito, potessero riescire a restituirgli l'antico vigore.

Emilia si occup? quindi dei preparativi, e Sant'Aubert dei calcoli sulle spese del viaggio. Bisogn? congedare i servi. Emilia, che si permetteva rare volte di opporre alla volont? del padre domande od osservazioni, avrebbe voluto non ostante sapere per qual motivo, nel suo stato infermiccio, egli non si riservasse almeno un servitore. Ma quando, la vigilia della partenza, si accorse che Giacomo, Francesco e Maria erano stati licenziati, e conservata[32] soltanto Teresa, sua antica governante, ne fu estremamente sorpresa, ed arrischi? di domandargliene il motivo... ? Lo faccio per economia, ? le rispose egli; ? noi intraprendiamo un viaggio molto dispendioso. ? Il medico aveva prescritto l'aria di Linguadoca e di Provenza: Sant'Aubert risolse adunque d'incamminarsi lentamente verso quelle province, costeggiando il Mediterraneo.

Si ritirarono di buon'ora nelle loro camere la sera precedente alla partenza. Emilia doveva porre in ordine alcuni libri e qualche altra cosa; suon? mezzanotte prima che avesse finito; si ricord? dei suoi disegni, cui voleva portar seco, e che aveva lasciati nel salotto. Vi and?, e, passando vicino alla camera del padre, ne trov? la porta socchiusa, e cred? che fosse nel suo gabinetto, come solea fare tutte le sere dopo la morte della moglie. Agitato da insonnii crudeli, lasciava il letto, e andava in quella stanza per procurare di trovarci il riposo. Quando essa fu in fondo alla scala, guard? nel gabinetto, ma nol vide. Nel risalire, buss? leggermente all'uscio, non ricev? nessuna risposta, e si avanz? pian piano per sapere ove fosse.

La camera era oscura, ma attraverso alla porta vetrata si scorgeva un lume nel fondo di una stanza attigua. Emilia era persuasa che suo padre stava l? dentro; ma temendo che a quell'ora egli vi si trovasse incomodato, volle andar ad assicurarsene. Considerando per? che una s? improvvisa apparizione l'avrebbe forse spaventato, lasci? fuori il lume, e si avanz? pian piano verso la stanza. L?, essa vide il padre seduto innanzi ad un tavolino, e scorrendo parecchie carte, alcune delle quali assorbivano la sua attenzione, e gli strappavano sospiri e per fino singulti. Emilia, la quale non si era avvicinata alla porta se non per assicurarsi dello stato di salute del padre, fu trattenuta in quel momento da un misto di curiosit? e di tenerezza. Non poteva[33] essa scuoprire le sue pene, senza desiderare di saperne eziandio la causa. Continu? ad osservarlo in silenzio, non dubitando pi? che quelle carte non fossero altrettante lettere. D'improvviso, ei si pose in ginocchio in un atteggiamento pi? solenne che fin allora non l'avesse veduto; ed in una specie di smarrimento che somigliava molto all'orrore, fece una lunghissima preghiera. Il di lui volto era coperto da mortal pallore quando si alz?. Emilia pensava a ritirarsi, ma lo vide avvicinarsi di nuovo alle carte, e si trattenne. Egli prese un piccolo astuccio, e ne lev? una miniatura: il lume, che ci rifletteva sopra, le fece distinguere una donna, e questa donna non era sua madre!

Sant'Aubert guard? il ritratto con viva espressione di tenerezza, lo rec? alle labbra, al cuore, e mand? sospiri convulsi. Emilia non poteva credere ai propri occhi, ignorando ch'egli possedesse il ritratto di un'altra donna fuor di sua madre, e specialmente poi che gli fosse tanto caro. Essa lo guard? di nuovo a lungo per trovarci l'effigie della genitrice, ma la di lei attenzione serv? solo a convincerla essere quello il ritratto di un'altra donna. Finalmente, il padre lo ripose nell'astuccio, ed Emilia, riflettendo di avere indiscretamente osservati i di lui segreti, si ritir? il pi? adagio che le fu possibile.


CAPITOLO III

Sant'Aubert, in vece di prendere la strada diretta che conduceva in Linguadoca, seguitando le falde dei Pirenei, prefer? un cammino sulle alture, perch? offriva vedute pi? estese e pi? pittoresche. Usc? un poco di strada per congedarsi da Barreaux; lo trov? che erborizzava vicino al suo castello, e quando gli manifest? il soggetto della sua visita e la sua risoluzione, l'amico gli dimostr? una sensibilit?[34] di cui fino a quel punto Sant'Aubert non avevalo creduto capace. Si separarono con reciproco rammarico.

? Se qualcosa avesse potuto togliermi dal mio ritiro, ? disse Barreaux, ? sarebbe stato il piacere di accompagnarvi in questo viaggio; io non faccio complimenti, e potete credermi: attender? il vostro ritorno con grande impazienza. ?

I viaggiatori continuarono il loro cammino: nel montare in carrozza, Sant'Aubert si volse e vide il suo castello nella pianura. Idee lugubri gl'invasero lo spirito, e la sua immaginazione malinconica gli sugger? che non doveva pi? ritornarvi. Respinse questo pensiero, ma continu? a guardare il suo asilo fino a che la distanza non gli permise pi? di distinguerlo.

Emilia rest?, come lui, in un profondo silenzio, ma dopo qualche miglio, la di lei immaginazione, colpita dalla maestosit? degli oggetti circostanti, ced? alle impressioni pi? deliziose. La strada passava, ora lungo orridi precipizi, ora pei siti pi? deliziosi.

Emilia non pot? trattenere i suoi trasporti, quando, dal mezzo de' monti e de' boschi di abeti, scopr? in lontananza immense pianure, sparse di ville, di vigneti e di piantagioni d'ogni specie. Le onde maestose della Garonna scorrevano in quella ricca valle, e dalla sommit? dei Pirenei, d'onde ella trae origine, si conducevano verso l'Oceano.

La difficolt? di una strada cos? poco frequentata obblig? spesso i viaggiatori di camminare a piedi; ma si trovavano essi ampiamente ricompensati dalla fatica per la vaghezza dello spettacolo offerto dalla natura. Mentre il mulattiere conduceva lentamente la carrozza, avevano tutto il comodo di percorrere le solitudini e di abbandonarsi alle sublimi riflessioni che sollevano l'anima, la leniscono, e la riempiono in fine di quella consolante certezza che Iddio,[35] ? presente dappertutto. I godimenti di Sant'Aubert portavan l'impronta della sua meditabonda malinconia. Questa disposizione aggiunge un incanto segreto agli oggetti, e inspira un sentimento religioso per la contemplazione della natura.

I nostri viaggiatori si erano premuniti contro la mancanza degli alberghi, portando seco provvisioni; potevano dunque fare le loro refezioni a ciel sereno, e riposare la notte in qualunque luogo avessero trovato una capanna abitabile. Avevano egualmente fatte provvisioni per lo spirito, portando seco un'opera di botanica scritta da Barreaux, e qualche poeta latino o italiano. Emilia, d'altronde, aveva seco le matite, e tratto tratto disegnava i punti di vista che la colpivano maggiormente.

La solitudine della strada aumentava l'effetto della scena; appena incontravano essi di tempo in tempo un contadino coi muli, o qualche fanciullo che scherzava tra le rupi. Sant'Aubert, incantato di quella maniera di viaggiare, si decise di avanzare sempre nelle montagne finch? trovasse strada, e di non uscirne che al Rossiglione, vicino al mare, per passare quindi in Linguadoca.

Un po' dopo mezzod? giunsero in vetta d'un alto picco che dominava parte della Guascogna e della Linguadoca. Col? godevasi d'una folta ombra. Vi scaturiva una fonte, che, fuggendo sotto gli alberi fra erbosi margini, correva a precipitarsi al basso in brillanti cascatelle. Il suo lene murmure alfine perdevasi nel sottoposto baratro, ed il candido polvischio della sua spuma serviva solo a distinguerne il corso in mezzo ai negri abeti.

Il luogo invitava al riposo. Si ammann? il pranzo; le mule furono staccate, e l'erba che fitta cresceva quivi intorno, lor forn? copioso nutrimento.

Finito il pasto, Sant'Aubert prese la mano d'Emilia, e teneramente la strinse senza dir verbo. Poco stante, chiam? il mulattiere, e chiesegli se[36] conoscesse una via tra i monti che guidar potesse nel Rossiglione. Michele rispose trovarsene parecchie, ma esserne poco pratico. Sant'Aubert, non volendo viaggiare se non fino al tramonto, domand? il nome di vari casali vicini, ed informossi del tempo cui impiegherebbero a giugnervi. Il mulattiere calcol? che si potea andare a Mateau, ma che, se si volesse movere verso mezzogiorno, dalla parte del Rossiglione, eravi un villaggio dove si giugnerebbe assai prima del tramonto.

Sant'Aubert s'appigli? a quest'ultimo partito. Michele fin? il pasto, attacc? le mule, si ripose in via, e poco stante sost?. Sant'Aubert lo vide pregare appi? d'una croce piantata sulla punta d'una rupe all'orlo della strada; finita l'orazione, fe' schioccar la frusta e, senza riguardo alcuno per la difficolt? della via, n? per la vita delle povere mule, le spinse di gran galoppo sul margine d'uno spaventoso precipizio. Lo spavento d'Emilia le tolse quasi l'uso de' sensi. Suo padre, il quale temeva ancor pi? il pericolo di fermarsi d'improvviso, fu costretto a tornar a sedere, e tutto lasciare in balia alle mule, le quali parvero pi? savie del loro conduttore. I viaggiatori giunsero sani e salvi nella valle, e sostarono sul margine d'un ruscello.

Dimenticando ormai la magnificenza delle viste grandiose, internaronsi nell'angusta valle. Tutto quivi era solitario o sterile; non vi si vedea anima viva fuorch? il capriuolo montano, il quale, talfiata, mostravasi di repente sullo scosceso culmine di qualche inaccessibile dirupo. Era un sito qual l'avrebbe scelto Salvator Rosa, se avesse vissuto. Allora Sant'Aubert, colpito da tale aspetto, attendeasi quasi a veder isbucare da qualche antro vicino una torma di masnadieri, e tenea in mano le armi.

Intanto inoltravano, e la valle allargavasi, assumendo carattere meno spaventoso. Verso sera, trovaronsi sulle montagne, in mezzo a scopeti. Da lunge,[37] intorno ad essi, il campanaccio degli armenti, la voce de' mandriani eran l'unico suono che udir si facesse; e la dimora de' pastori l'unica abitazione che l? si scoprisse. Sant'Aubert not? che il lecce, il sovero e l'abete vegetavano per gli ultimi sulle vette circostanti. Ridente verzura tappezzava il fondo della valle. Scorgeasi nelle profondit?, all'ombra di castagni e querce, pascere e saltellare grosse mandre, disperse od aggruppate con grazia; taluni animali dormivano presso la fresca corrente, altri vi spegnevano la sete, ed altri vi si bagnavano.

Il sole cominciava ad abbandonare la valle; i suoi ultimi raggi brillavano sul torrente, ravvivando i ricchi colori della ginestra e delle eriche fiorite. Sant'Aubert domand? a Michele quanto fosse distante il casale di cui avevagli parlato, ma esso non pot? rispondergli con esattezza. Emilia cominci? a temere avesse smarrita la strada; non eravi ente umano che potesse soccorrerli, n? guidarli. Avevano lasciato da lunga mano dietro a s? e il pastore e la capanna, il crepuscolo scemava ognor pi?, l'occhio nulla potea discernere tra l'oscurit?, e non distingueva n? casale, n? tugurio; una riga colorata segnava solo l'orizzonte, formando l'unica risorsa de' viaggiatori. Michele si sforzava di farsi coraggio cantando ariette, che per vero dire, non valevano molto a scacciare le idee lugubri, ond'erano occupati i viaggiatori.

Continuarono a camminare assorti in quei profondi pensieri cui seco traggono la solitudine e la notte. Michele non cantava pi?, e non si udiva che il mormorio della brezza nei boschi, n? si sentiva che la frescura. D'improvviso furono scossi dallo scoppio d'un'arme da fuoco; Sant'Aubert fece fermare la carrozza, e si pose ad ascoltare. Il romore non viene ripetuto, ma si sente correre nella macchia. Sant'Aubert prende le sue pistole, e ordina a Michele di accelerare il passo. Il suono di un corno da caccia fa rimbombare i monti; Sant'Aubert osserva,[38] e vede un giovine slanciarsi nella strada, seguito da due cani; lo straniero era vestito da cacciatore; un moschetto ad armacollo, un corno alla cintura, ed una specie di picca in mano, davano una grazia particolare, alla sua persona, secondando l'agilit? dei suoi passi.

Dopo un momento di riflessione, Sant'Aubert volle aspettarlo per interrogarlo sul casale cui cercava: il forestiere rispose che il villaggio era distante solo una mezza lega, che vi andava egli stesso, e gli avrebbe servito di guida; Sant'Aubert lo ringrazi?, e colpito dalle di lui maniere semplici e franche, gli offr? un posto in carrozza. Lo straniero ricus?, assicurandolo che avrebbe seguito le mule senza fatica. ? Ma voi sarete alloggiato male, ? soggiuns'egli; ? questi montanari sono gente poverissima; non solo non conoscono lusso, ma mancano eziandio delle cose reputate pi? indispensabili. — Mi accorgo che voi non siete di questo paese, ? disse Sant'Aubert. — No, signore, io sono viaggiatore. ?

La carrozza si avanzava, e l'oscurit? crescente fe' meglio conoscere l'utilit? di una guida; i sentieri poi che s'incontravano spesso, avrebbero aumentata la loro incertezza. Finalmente videro i lumi del villaggio: si distinsero alcuni casolari, o meglio si poterono discernere merc? il ruscello che ripercotea ancora il fioco chiaror del crepuscolo. Lo straniero si avanz?, e Sant'Aubert intese da lui non esistere in quel luogo nessun albergo, ma egli si offr? di cercare un ricetto. Sant'Aubert lo ringrazi?, e siccome il villaggio era vicinissimo, scese per accompagnarlo, mentre Emilia li seguiva in carrozza.

Cammin facendo, Sant'Aubert domand? al compagno se aveva fatta una buona caccia. ? No, signore, ? rispos'egli, ? e nemmanco era il mio progetto; amo questo paese e mi propongo di scorrerlo ancora per qualche settimana; ho i cani con me piuttosto per piacere, che per utilit?; questo abito[39] da cacciatore poi mi serve di pretesto, e mi fa godere della considerazione, che verrebbe ricusata senza dubbio ad un forestiero senza apparente occupazione. — Ammiro il vostro gusto, ? rispose Sant'Aubert, ? e, se fossi pi? giovine, vorrei io pure passare qualche settimana cost?; siamo anche noi viaggiatori, ma il nostro scopo non ? l'istesso. Io cerco la salute ancor pi? del piacere. ? Qui sospir? e tacque per un momento; poi, raccogliendosi soggiunse: ? Vorrei trovare una strada un po' buona, che mi conducesse nel Rossiglione, per passar quindi in Linguadoca. Voi, che sembrate conoscere il paese, potreste indicarmene una? ?

Lo straniero lo assicur? che si sarebbe fatto un piacere di servirlo, e gli parl? d'una strada pi? a levante, che dovea condurre ad una citt?, e di l? facilmente nel Rossiglione.

Giunti al villaggio, cominciarono a cercare un asilo, che potesse offrir loro ricovero per la notte; non trovarono nella maggior parte delle case che ignoranza, povert? e brio; Sant'Aubert veniva guardato con aria timida e curiosa; non bisognava aspettarsi un buon letto. Arriv? Emilia, ed osservando la fisonomia stanca ed afflitta del povero padre, si querel? ch'egli avesse scelta una strada s? poco comoda per un malato. Le migliori abitazioni erano composte di due camere; una per le mule e il bestiame, e l'altra per la famiglia, composta quasi da per tutto di sette o otto figli, e tutti, con il padre e la madre, dormivano su pelli o foglie secche; e siccome la sola apertura che fosse in quelle camere era nel tetto, eravi un fumo ed un odore nauseabondo tali, che toglievan quasi il respiro nell'entrarvi. Emilia distolse gli sguardi, e fiss? il padre con tenera inquietudine, di cui il giovine forestiero parve intendere l'espressione; trasse in disparte Sant'Aubert, e gli offr? il suo letto. ? Se lo paragoniamo a tutti gli altri, ? abbastanza comodo, ? gli disse, ? ma altrove mi vergognerei di offrirvelo. ?[40]

Sant'Aubert gli attest? la sua riconoscenza e ricus? l'offerta; ma lo straniero insistette. ? Non rifiutate; sarei dolente troppo, signore, ? ripres'egli, ? se voi giaceste sopra una pelle mentr'io mi trovassi in un letto; i vostri rifiuti offenderebbero il mio amor proprio, e potrei pensare che la mia proposta vi spiaccia; vi mostrer? la strada, e la mia albergatrice trover? modo d'allogare anche la signorina. ?

Sant'Aubert consent? alfine; e rest? sorpreso che lo straniero fosse tanto poco galante da preferire il riposo di un uomo a quello d'una giovane vezzosa, non avendo offerta la camera ad Emilia; ma essa non fu della medesima opinione, e con un sorriso espressivo gli dimostr? quanto fosse sensibile all'attenzione da lui avuta pel padre.

Il forestiero, che si chiamava Valancourt, si ferm? il primo per dire qualche cosa alla sua albergatrice. L'alloggio ch'essa apr? non somigliava punto a tutti quelli che fin allora avevan veduti. La buona donna impieg? tutte le sue premure nell'accoglier bene i viaggiatori, ed essi furono costretti di accettare i due soli letti che si trovassero in quella casa. Ova e latte erano il solo cibo che potesse offrire, ma Sant'Aubert aveva provvisioni, e preg? Valancourt di cenare con loro; l'invito fu benissimo accolto, e la conversazione si anim?. La franchezza, la semplicit?, le idee grandiose ed il gusto per la natura che mostrava di aver il giovane, incantavano Sant'Aubert. Egli aveva detto spesso che quest'interesse per la natura non poteva esistere in un'anima che non avesse gran purit? di cuore e d'immaginazione.

I discorsi furono interrotti da un violento tumulto, in cui la voce del mulattiere cuopriva tutte le altre. Valancourt si alz? per saperne il motivo, e la disputa dur? tanto, che Sant'Aubert perd? la pazienza e usc? egualmente. Michele altercava coll'albergatrice, perch? essa proibivagli d'introdurre i muli[41] nella stalla, che gli aveva permesso di dividere co' suoi tre figli; il sito non era molto bello per verit?, ma non eravi nulla di meglio, e, pi? delicata dei suoi conterranei, essa non voleva che i figli dormissero nella medesima stanza coi muli. Valancourt riusc? finalmente a pacificar tutti. Preg? l'albergatrice di lasciare la stalla al mulattiere ed ai suoi muli; ced? ai di lei figli le pelli stategli preparate per riposarsi, e l'assicur? che, avvolto nel mantello, avrebbe passato benissimo la notte su di una panca vicino alla porta. La buona donna non voleva accettare simile accomodamento, ma Valancourt insist? tanto, che questo grande affare termin? cos?.

Era tardi, quando Sant'Aubert ed Emilia si ritirarono nelle loro stanze; Valancourt rest? dinanzi alla porta. In quella bella stagione preferiva siffatto posto ad una stanzuccia e ad un letto di pelli. Sant'Aubert fu alcun poco sorpreso di trovare nella camera Omero, Orazio ed il Petrarca, ma il nome di Valancourt scritto su quei volumi, glie ne fece conoscere il possessore.


CAPITOLO IV

Sant'Aubert si svegli? di buonissim'ora; il sonno l'aveva ristorato, e volle partire subito. Valancourt fece colazione con lui, e narr? che pochi mesi prima era stato fino a Beaujeu, citt? grossa del Rossiglione, e Sant'Aubert, dietro suo consiglio, si decise di prendere quella direzione.

? La scorciatoia, e la strada che conduce a Beaujeu, ? disse il giovane, ? si uniscono alla distanza di una lega e mezza di qua: se volete permetterlo, posso dirigervi il vostro mulattiere; bisogna ch'io passeggi, e la passeggiata che far? con voi, vi sar? pi? gradita di qualunque altra. ?

Sant'Aubert accett? la proposta con grato animo; partirono insieme, ma il giovine non volle acconsentire[42] di entrare nella carrozza. La strada alle falde de' monti percorreva una valle ridente splendida per verzura e sparsa di boschetti. Numerosi armenti vi riposavano all'ombra delle quercette, dei faggi e de' sicomori; il frassino e la tremula lasciavan ricadere le fronzute punte de' rami sulle aride rocce; un po' di terra appena ne ricopriva le radici, ed il pi? lieve soffio ne agitava tutti i rami.

Ad ogni ora del d? vi s'incontrava gente. Il sole non compariva ancora, e gi? i pastori guidavano una immensa mandra a pascere su pe' monti. Sant'Aubert era partito assai presto per godere della vista del sorger del sole e respirare l'aura pura mattutina, tanto proficua a' malati, e che dovea esserlo specialmente in quelle regioni ove la copia e variet? delle piante aromatiche la impregnavano della pi? soave fragranza.

La leggera nebbia che velava gli oggetti circostanti dileguossi a poco a poco, e permise ad Emilia di contemplare i progressi del d?.

I riflessi incerti dell'aurora, indorando le punte delle rupi, rivestironle successivamente di vivida luce, mentre la lor base ed il fondo della valle restavan coperti da negro vapore. Intanto, le tinte delle nubi d'oriente rischiararonsi, s'imporporarono, e rifulsero alfine di mille splendidi colori.

La trasparenza dell'atmosfera lasci? allo scoverto fiotti d'oro puro, i raggi brillanti fugarono le tenebre, e penetrarono nelle fondure della valle ripercotendosi negli argentei rivi: la natura destavasi da morte a vita. Sant'Aubert si sent? ravvivato; avea il cuore commosso; vers? lagrime ed innalz? i pensieri al Creatore di tutte le cose.

Emilia volle scendere a calpestar quell'erba tutta rorida di fresca rugiada; essa voleva gustar quella libert? onde il camoscio parea fruire sulle brune vette de' monti. Valancourt sostava coi viaggiatori, mostrando loro con sentimento gli oggetti particolari[43] della sua ammirazione. Sant'Aubert se gli affezionava. — Il giovine ? focoso, ma buono; dicea fra s?; — ben si vede che non ha mai abitato Parigi. — Egli arriv? al punto dove si univano le due strade, con molto suo dispiacere; e si conged? con pi? cordialit? che non lo permetta d'ordinario una nuova conoscenza. Valancourt continu? a discorrere buona pezza vicino alla carrozza; era il momento di separarsi, e non dimanco restava sempre mettendo in campo argomenti che lo scusassero di questo prolungamento. Alla perfine accommiatossi, e quando part?, Sant'Aubert osserv? come contemplasse Emilia con isguardo attento ed espressivo; ella lo salut? con timida dolcezza; la carrozza part?, ma Sant'Aubert poco dopo, sporgendo la testa, osserv? Valancourt immobile sulla strada, colle braccia incrociate sul bastone, e gli occhi fissi sulla carrozza; lo salut? colla mano, e Valancourt, scosso dalla sua estasi, gli fece il saluto e si allontan?.

L'aspetto del paese cambi? in breve: i viaggiatori, si trovavano allora in mezzo ad altissime montagne coperte fino alla sommit? da negri boschi di abeti. Varie punte granitiche, sorgendo dalla valle stessa, andavan a celare in grembo alle nubi le nevose cime. Il ruscello, divenuto un fiume, scorreva in dolce silenzio, e quei cupi boschi riflettevano la loro ombra nelle sue limpide acque. Per intervalli uno scosceso dirupo inalzava l'ardita fronte al di sopra dei boschi e dei vapori che servivan di cintura ai monti; talvolta una marmorea aguglia sosteneasi perpendicolarmente al fiorito margine delle acque; un larice colossale la stringea colle robuste braccia, e la sua fronte, solcata dalla folgore, coronavasi ancora di verdi pampini.

Quando la carrozza camminava adagio, Sant'Aubert scendeva, e si compiaceva di andare in cerca di piante curiose, ond'erano sparsi quei luoghi; Emilia, nell'esaltazione dell'entusiasmo, s'internava[44] nei folti boschi, tendendo l'orecchio in silenzio al loro imponente mormorio.

Per lo spazio di molte leghe non incontrarono n? villaggi, n? casali di sorte alcuna; qualche capanna di cacciatori qua e l? era la sola traccia di abitazione umana. I viaggiatori pranzarono a ciel sereno, in un bel sito della valle, assisi all'ombra dei faggi; dopo di che partirono immediatamente per Beaujeu.

La strada saliva sensibilmente, e lasciando i pini disotto a loro, trovaronsi in mezzo a precipizi. Il crepuscolo della sera accrescea l'orrore de' luoghi, ed i viaggiatori ignoravano la distanza di Beaujeu. Sant'Aubert nonpertanto credea di non esserne molto lontano, e si rallegrava di non aver quindi pi? oltre quella citt?, a varcare simili deserti. Le selve, le rupi, i circostanti gioghi confondevansi a poco a poco nell'oscurit?, ed in breve non fu pi? possibile discernere quelle indistinte immagini. Michele precedeva cauto, appena scorgendo la via ma le sue mule, pi? esperte, camminavano ancora con passo franco.

Alla svolta di un monte, videro un lume; i dirupi e l'orizzonte furono illuminati a gran distanza. Gli era certo un gran fuoco, ma nulla indicava se fosse accidentale o preparato. Sant'Aubert lo credette acceso da qualche masnada di quei banditi che infestavano i Pirenei; stava molto attento, e desiderava sapere se la strada passava vicino a quel fuoco. Aveva armi da potersi difendere in caso di bisogno; ma a che serviva una s? debole risorsa contro una banda di assassini determinati? Rifletteva a questa circostanza, quando ud? una voce dietro di essi, che intimava al mulattiere di fermarsi. Sant'Aubert gli ordin? di camminar pi? presto, ma o fosse per testardaggine di Michele, o dei muli, questi non cambiarono il loro passo; s'intese il galoppo di un cavallo; un uomo raggiunse[45] la carrozza, e ordin? nuovamente di fermarsi. Sant'Aubert, non dubitando pi? del costui disegno, scaric? una pistola dallo sportello; l'incognito vacill? sul cavallo, ed il romore del colpo fu seguito da un gemito di dolore. Sar? facile immaginarsi lo spavento di Sant'Aubert, il quale cred? riconoscere allora la voce dolente di Valancourt. Fece arrestare egli stesso la carrozza, pronunzi? il nome del giovane, e non pot? averne pi? alcun dubbio. Scese tosto, e corse a soccorrerlo; il giovane era ancora a cavallo, il suo sangue scorreva in copia, e sembrava soffrir molto, sebbene cercasse di consolare Sant'Aubert, assicurandolo che non era nulla, e sentivasi ferito solo leggermente nel braccio. Sant'Aubert e il mulattiere lo aiutarono a smontare e l'adagiarono in terra; il primo voleva fasciargli la ferita, ma gli tremavano le mani talmente, che non pot? riuscirvi. Michele intanto correa dietro al cavallo ch'era fuggito mentre ne scendea il padrone; chiam? Emilia, e non ricevendo risposta, corse alla carrozza, e la trov? svenuta. In questa terribile situazione, e spinto dal dolore di lasciare Valancourt perdere il sangue, si sforz? di sollevarla, e chiam? Michele per chieder acqua dal ruscello vicino. Michele era andato troppo lontano, ma Valancourt, udendo il nome di Emilia, cap? di che si trattava, ed obbliando s? medesimo, and? in suo soccorso; essa era gi? rinvenuta quando le fu vicino; egli seppe che il deliquio era stato cagionato dal timore del sinistro occorsogli, e con voce turbata da tutt'altro sentimento che da quello del dolore, l'assicur? che la sua ferita era di pochissima conseguenza. Sant'Aubert si accorse allora che il sangue non era ancora stagnato; i suoi timori cambiarono oggetto; lacer? un fazzoletto per bendargli la piaga: il sangue si ferm?, ma egli temendo le conseguenze, domand? pi? volte se Beaujeu fosse ancora molto lontano, ed avendo inteso ch'era distante due leghe,[46] il suo timore crebbe. Ignorava se Valancourt avrebbe potuto resistere al moto della carrozza, e lo vedeva sul punto di svenire. Appena questi ebbe conosciuta la sua inquietudine, si affrett? di rincorarlo, e parl? della sua avventura come di una bagatella. Michele aveva ricondotto il cavallo; Valancourt, sal? nella carrozza; Emilia s'era riavuta, e continuarono la strada di Beaujeu.

Sant'Aubert, rinvenuto dal terrore, manifest? la sua sorpresa sull'incontro di Valancourt; ma questi la fece cessare. ? Voi avete rinnovato il mio gusto per la societ?, ? gli disse; ? dopo la vostra partenza, il mio casolare mi sembrava un deserto. E giacch? il mio unico scopo ? quello di viaggiare per diletto, mi sono deciso di partire immediatamente. Ho presa questa strada, perch? sapeva ch'era pi? bella di qualunque altra; e d'altronde, ? aggiunse esitando un poco, ? lo confesser? (e perch? non dovrei confessarlo?), io aveva qualche speranza di raggiungervi. — Ed io ho crudelmente corrisposto alla vostra gentilezza, ? riprese Sant'Aubert, che si rimproverava la sua fretta, e glie ne spieg? il motivo. Ma Valancourt, premuroso di evitare qualunque inquietudine sul di lui conto, nascose l'ambascia che provava, e seguit? a conversare allegramente. Emilia stava in silenzio, a meno che Valancourt non le volgesse la parola, ed il tuono commosso con cui lo faceva, valeva da per s? loro ad esprimere molto.

Trovavansi allora presso a quel fuoco che spiccava tanto vivamente nell'oscurit? della notte: illuminava allora la strada tutta, e poteasi facilmente distinguere le figure che la circondavano. Accostandosi, riconobbero una banda di zingari che, specialmente in quell'epoca frequentavano i Pirenei, svaligiando i viaggiatori. Emilia not? con ispavento l'aspetto truce di quella compagnia, ed il fuoco che li rischiarava, diffondendo una nube purpurea sugli[47] alberi, gli scogli e le frondi, aumentava l'effetto bizzarro del quadro.

Tutti quegli zingari preparavano la cena. Una larga caldaia stava sul fuoco, e parecchie persone occupavansi ad empirla. Lo splendore della fiamma faceva scorgere una specie di rozza tenda, intorno alla quale giuocherellavano alla rinfusa ragazzi e cani. Il tutto formava un complesso veramente grottesco. I viaggiatori sentivano il pericolo. Valancourt taceva, ma mise la mano sur una delle pistole di Sant'Aubert, il quale, fatto altrettanto, fece avanzare il mulattiere. Passarono nondimeno senza ricevere insulti. I ladri non s'aspettavano probabilmente a tale incontro, ed occupavansi troppo della cena per sentire allora tutt'altro interesse.

Dopo un'ora e mezza di cammino nella pi? profonda oscurit?, i viaggiatori arrivarono a Beaujeu e smontarono al solo albergo che vi fosse, e che, sebbene molto superiore alle capanne, non cessava per? di essere cattivo.

Fu fatto venire immediatamente il chirurgo della citt?, se tuttavolta si pu? dar questo nome ad una specie di maniscalco, che curava uomini e cavalli, e che in caso di bisogno, faceva anche da barbiere. Esamin? il braccio di Valancourt, e avendo riconosciuto che la palla non era penetrata nelle carni, lo medic? e gli raccomand? il riposo; ma il paziente non era in verun modo disposto ad obbedirlo. Il piacere di star meglio era succeduto all'inquietudine del male; ch? ogni godimento diviene positivo quando contrasta con un pericolo. Valancourt aveva riacquistate le forze, e volle prender parte alla conversazione. Sant'Aubert ed Emilia, liberi da qualunque timore, erano di una singolare allegrezza. Era gi? tardi, e Sant'Aubert fu costretto di uscire col locandiere per andar a cercare qualche cosa per la cena. Emilia, nell'intervallo, si assent? anch'essa sotto pretesto di mettere in ordine alcune sue cose;[48] trov? l'alloggio meglio disposto di quello che credea e quindi torn? a raggiugnere Valancourt. Parlarono delle vedute scoperte in quel giorno, dell'istoria naturale, della poesia, e finalmente del padre d'Emilia la quale non poteva parlare o sentir parlare, se non con gioia, d'un soggetto tanto caro al suo cuore.

La serata pass? piacevolmente, ma siccome Sant'Aubert era stanco, e Valancourt soffriva ancora, si separarono subito dopo cena.

La mattina seguente, Valancourt aveva la febbre, non aveva dormito e la sua ferita era infiammata: il chirurgo, che venne a visitarlo di buon'ora, lo consigli? di restar tranquillo a Beaujeu. Sant'Aubert aveva pochissima fiducia nei di lui talenti; ma avendo inteso che non se ne poteva trovare uno pi? abile, cambi? il suo piano, e risolse di aspettare la guarigione del malato. Valancourt parve cercar di dissuadernelo, ma con pi? garbo che buona fede. La sua indisposizione trattenne i viaggiatori per pi? giorni col?. Sant'Aubert ebbe luogo di conoscere i di lui talenti ed il suo carattere, con quella precauzione filosofica, che sapeva tanto bene impiegare in tutte le circostanze. Conobbe un naturale franco e generoso, pieno di ardore, suscettibile di tutto ci? ch'? grande e buono, ma impetuoso, quasi selvaggio ed alquanto romanzesco. Valancourt conosceva poco il mondo; avea idee assennate, sentimenti giusti; la sua indignazione, come la sua stima si esprimevano senza misura, n? riguardi. Sant'Aubert sorrideva della sua veemenza, ma la reprimea di rado, e diceva fra s?: — Questo giovine, senza dubbio, non ? mai stato a Parigi. — Un sospiro succedeva a queste riflessioni: egli era deciso di non lasciar Valancourt prima del suo pieno ristabilimento, e siccome esso era allora in istato di viaggiare, ma non a cavallo, Sant'Aubert l'invit? ad approfittar qualche giorno della sua carrozza. Avendo saputo che il giovine era d'una famiglia distinta di[49] Guascogna, il cui grado e la considerazione erangli ben noti, la sua riserva fu meno grande, e Valancourt avendo accettato l'offerta con piacere, ripresero tutti insieme la strada che conduceva al Rossiglione.

Viaggiavano senza sollecitarsi, fermandosi quando il sito meritava attenzione; s'inerpicavano spesso sopra alture, cui non potevan giugnere le mule; smarrivansi tra que' dirupi, coperti di lavanda, di timo, di ginepro di tamarindo, e protetti da ombre antiche; una bella vista entusiasmava Emilia, superando le maraviglie della pi? fervida imaginazione. Sant'Aubert si divertiva talvolta ad erborizzare, mentre Emilia e Valancourt attendevano a qualche scoperta: il giovane le faceva osservare gli oggetti particolari della sua ammirazione, e recitava i pi? bei passi dei poeti italiani o latini cui essa prediligeva. Nell'intervallo della conversazione, e quando non era osservato, fissava gli sguardi su quel leggiadro volto, i cui lineamenti animati indicavano tanto spirito ed intelligenza: quando parlava in seguito, la dolcezza della sua voce palesava un sentimento cui cercava invano di nascondere. Grado grado, le pause ed il silenzio di lui divennero pi? frequenti: Emilia mostr? molta premura d'interromperli: essa fin allora cos? riservata, parlava del continuo, ora dei boschi, ora delle valli, ora dei monti, anzich? esporsi al pericolo di certi momenti di silenzio e di simpatia.

La via di Beaujeu saliva rapidissimamente: ei si trovarono in mezzo a' pi? eccelsi monti; la serenit? e purezza dell'aere, in quell'alte regioni, entusiasmavano i tre viaggiatori; l'anima loro ne pareva alleggerita, ed il loro spirito diventato pi? penetrante. Ei non avevano parole ad esprimere emozioni tanto sublimi, quelle di Sant'Aubert ricevevano un espressione pi? solenne: le lagrime irrigavangli le guancie, e camminava in disparte.[50] Valancourt parlava tratto tratto per attirar l'attenzione di Emilia; la limpidezza dell'atmosfera che lasciavale distinguere tutti gli oggetti, ingannavala talvolta, e sempre con piacere. Essa non poteva credere s? lunge da lei ci? che parevale cos? vicino; il silenzio profondo della solitudine non era interrotto se non dal grido delle aquile svolazzanti per l'aere, e dal sordo rumoreggiar de' torrenti in fondo degli abissi. Di sopra ad essi la splendida volta de' cieli non era oscurata da nube alcuna, i vortici di vapore sostavano in grembo a' monti, il loro rapido movimento velava talvolta tutto il paese, e tal altra scoprendone parte, lasciava all'occhio alquanti momenti d'osservazione. Emilia, estatica, contemplava la grandezza di quelle nubi che variavano forma e tinte; ne ammirava l'effetto sulle sottostanti contrade cui davano ad ogni istante mille nuove forme.

Dopo aver viaggiato cos? per parecchie leghe, cominciarono a scendere nel Rossiglione, e la scena che si svolse spiegava una bellezza meno aspra. I viaggiatori rammaricavano gli oggetti imponenti cui stavan per abbandonare. Bench? stancato da que' vasti aspetti, l'occhio riposava gradevolmente sul verde de' boschi e de' prati; il fiume che irrigavali la capanna sotto l'ombra de' faggi, i giulivi crocchi de' pastorelli, i fiori che adornavano i clivi, formavano insieme uno spettacolo incantevole.

Scendendo, riconobbero uno de' grandi varchi de' Pirenei in Ispagna: i fortilizi, le torri, le mura, ricevevano allora i raggi del sole all'occaso; le selve circostanti non avevano pi? se non un riflesso giallastro, mentre le punte de' dirupi tingeansi ancora di rosa.

Sant'Aubert guardava attento senza scoprire la piccola citt? indicatagli. Valancourt non poteva informarlo della distanza, non essendo mai ito tant'oltre; pur iscorgevano una strada, e doveano crederla[51] diretta, giacch? dopo Beaujeu non avean potuto smarrirsi da alcuna parte.

Il sole era vicino al tramonto, e Sant'Aubert sollecit? il mulattiere; egli sentivasi assai debole, e desiderava vivamente il riposo; dopo una s? faticosa giornata la sua inquietudine non si calm?, osservando un gran treno d'uomini, di muli e di cavalli carichi, che sfilavano pei sentieri dell'opposto monte, e siccome i boschi ne celavano spesso il cammino, non si poteva precisarne il numero: qualcosa di brillante, come d'armi risplendeva agli ultimi raggi del sole e la divisa militare si distingueva sui primi, e su qualche individuo sparso fra la comitiva. Appena furono nella valle, un'altra banda usc? dai boschi, ed i timori di Sant'Aubert aumentarono, non dubitando non fossero tanti contrabbandieri arrestati nei Pirenei, e scortati dalla soldatesca.

I viaggiatori avevano errato tanto nelle montagne che s'ingannarono nei loro calcoli, e non poterono giungere a Montign? prima della notte. Traversarono la valle, e notarono sopra un rustico ponte che riuniva due coste, un crocchio di fanciulli i quali divertivansi a lanciar sassi nel torrente; le pietre nel cadere, facevano spruzzar colonne d'acqua mandando un sordo fragore ripercosso alla lontana dagli echi dei monti. Sotto il ponte scoprivasi tutta la valle in prospettiva, una cateratta in mezzo alle rupi, ed una capanna sopra una punta protetta da annosi abeti. Quell'abitazione parea dovesse esser vicina ad una piccola citt?. Sant'Aubert fece fermare: chiam? i ragazzi, e lor chiese se Montign? fosse molto lontano; ma la distanza, lo strepito delle acque non gli permisero di farsi udire, e la ripidezza delle montagne che sostenevano il ponte era troppa perch? tutt'altri fuor d'un alpigiano pratico potesse ascenderle. Sant'Aubert dunque dovette decidersi a continuare col favore del crepuscolo la strada, la quale era talmente disagiosa che parve miglior consiglio scendere[52] di vettura. La luna cominciava a spuntare, ma tramandava troppo fioca luce; e' camminavano a caso in mezzo ai pericoli. In quel punto si ud? la campana d'un convento; la fitta tenebria impediva la vista dell'edifizio, ma il suono pareva venire dai boschi che coprivano il monte di destra. Valancourt propose d'andarne in cerca. ? Se non troviam ricovero in quel convento, ? dicea egli, ? almeno c'indicheranno la distanza o la posizione di Montign?. ? E si mise a correre senza aspettar risposta; ma Sant'Aubert lo richiam? dicendogli: ? Io sono orribilmente stanco, ho bisogno di pronto riposo; andiamo tutti al convento; il vostro robusto aspetto sventerebbe i nostri disegni; ma quando si vedr? il mio spossamento e la stanchezza d'Emilia, non ci si negher? ricetto. ?

S? dicendo, prese il braccio d'Emilia, e raccomandando a Michele d'aspettarlo, segu? il suono della campana e sal? dalla parte dei boschi, ma a passi vacillanti. Valancourt gli offerse il braccio cui accett?. La luna venne a rischiarare il sentiero, e lor permise in breve di scorgere torri che sorgevano sul colle. La campana continuava a guidarli; entrarono nel bosco, ed il fioco chiarore della luna divenne pi? incerto per l'ombra ed il tremolio delle foglie. L'oscurit?, il cupo silenzio, quando la campana non suonava, la specie d'orrore ispirato da un luogo s? selvaggio, tutto riemp? Emilia d'uno spavento che la voce e la conversazione di Valancourt poteva solo diminuire. Dopo alcun tempo di salita, Sant'Aubert, si lament?, e tutti sostarono sur un erboso poggio, dove gli alberi, pi? radi, lasciavan godere il chiaro della luna. Sant'Aubert sedette sull'erba tra i due giovani. La campana non suonava pi?, e la quiete notturna non era interrotta da strepito veruno, avvegnacch? il fragor sordo di qualche lontano torrente paresse accompagnare, anzich? turbare il silenzio.[53]

Avevano allora sott'occhio la valle test? lasciata. La luce argentea che ne scopriva le fondure, riflettendo sulle rupi e le selve di sinistra, contrastava colle tenebre, onde i boschi a destra erano come avvolti. Le cime sole erano illuminate a sbalzi; il resto della valle perdeasi in seno ad una nebbia, di cui lo stesso chiaro di luna non serviva che a crescere la foltezza. I viaggiatori ristettero alcun tempo a contemplare quel bell'effetto.

? Simili scene, ? disse Valancourt, ? dilettano il cuore come i concenti di deliziosa musica; chiunque ha gustata una volta la melanconia ch'esse ispirano non vorrebbe mutarne l'impressione per quella dei pi? squisiti piaceri. Elleno destano i nostri pi? puri sentimenti; dispongono alla benevolenza, alla piet?, all'amicizia. Coloro ch'io amo, parvemi sempre d'amarli assai pi? in quest'ora solenne. ? Tremogli la voce, e sost?.

Sant'Aubert nulla dicea. Emilia vide cadere una lagrima sulla mano cui stringeva tra le proprie. Indovinonne ben essa il pensiero; anche il suo era corso alla pietosa memoria della genitrice. Ma Sant'Aubert, rianimandola: ? Oh s?, ? disse reprimendo un sospiro, ? la memoria di quelli che noi amiamo, di un tempo trascorso per sempre, gli ? in questo istante che si posa sulle anime nostre! ? come una melodia lontana in mezzo al silenzio delle notti, come le tinte raddolcite di questo paesaggio. ? Poscia, dopo una pausa, continu?: ? Io ho sempre creduto le idee pi? lucide a quest'ora che in qualunque altra, ed il cuore che non ne riconosce l'influenza, ? di certo un cuore snaturato. Vi son tanti.... ?

Valancourt sospir?.

? Ve ne sono dunque molti? ? disse Emilia. — Fra alcuni anni forse, cara figlia, ? rispose Sant'Aubert, ? tu sorriderai ricordandoti tale domanda, se tuttavolta questa memoria non ti strapper?[54] le lagrime. Ma vieni, mi sento un po' meglio. Andiamo innanzi. ?

Uscirono finalmente dal bosco, e videro sopra un'eminenza il convento cui aveano tanto cercato. Un muro altissimo che lo circondava li condusse ad un'antica porta; bussarono, ed il laico che venne ad aprire li condusse in una sala vicina, pregandoli di aspettare fino a che fosse avvertito il superiore. Nell'intervallo, comparvero parecchi frati ad osservarli con curiosit?; poco stante ritorn? il laico e li scort? innanzi al superiore. Egli sedeva in un seggiolone; aveva un grosso libro davanti a s?, sostenuto da vasto legg?o. Ricev? garbatamente i viaggiatori senza alzarsi, fece loro poche interrogazioni, ed acconsent? alla loro domanda. Dopo una brevissima conferenza, fatti i debiti complimenti, furono condotti in una stanza, ove si preparava la cena, e Valancourt, accompagnato da un frate, and? a cercare Michele, la carrozza ed i muli. Appena ebbe scesa la met? della strada, ud? la voce del mulattiere, il quale chiamava i nostri viaggiatori per nome. Convinto, non senza difficolt?, che tanto lui, quanto il suo padrone non avevano pi? nulla da temere, si lasci? condurre in una capanna vicino al bosco. Valancourt torn? in fretta a cenare cogli amici, ma Sant'Aubert soffriva troppo per mangiare con appetito. Emilia, assai inquieta per suo padre, non sapeva pensare a s? medesima, e Valancourt, mesto e pensieroso, ma sempre occupato di loro, non pensava ad altro se non a confortare ed incoraggire Sant'Aubert. Separatisi presto, si ritirarono nelle loro stanze. Emilia dorm? in un gabinetto contiguo alla camera del padre; trista, pensierosa ed occupata soltanto dello stato di languore in cui lo vedeva, coricossi senza speranza di riposo.

Due ore dopo una campana squill?, e passi precipitosi percorsero i corridoi. Poco esperta degli usi claustrali, Emilia spaventossi; i suoi timori,[55] sempre vivi pel padre, le fecero supporre che stesse pi? male; si alz? in fretta per correre da lui, ma essendosi fermata un momento all'uscio onde lasciar passare i frati, ebbe tempo di riaversi, di riordinare le idee, e comprendere che la campana aveva suonato mattutino. Questa campana non suonava pi?, tutto era quiete, ed essa non and? pi? oltre; ma, non pot? dormire, ed allettata d'altra parte dal fulgore d'una splendida luna, apr? la finestra e si mise a rimirar il paese.

Placida era la notte e bella, il firmamento senza nubi, e lieve zeffiro agitava appena gli alberi della valle. Stava attenta, allorch? l'inno notturno dei religiosi sorse dolcemente dalla cappella, situata in luogo pi? basso, talch? il sacro cantico parea salire al cielo traverso il silenzio delle notti. I pensieri susseguironsi; dall'ammirazione delle opere, l'anima sua pass? all'adorazione del loro onnipossente e buono autore. Penetrata d'una piet? pura e scevra da profani sentimenti, l'anima sua elevossi al disopra dell'universo; gli occhi versaron lagrime; ella ador? la Potenza infinita nelle sue opere, e la bont? sua ne' suoi benefizi.

Il cantico de' frati cesse di nuovo il posto al silenzio; ma Emilia non lasci? la finestra se non quando la luna, essendo tramontata l'oscurit? parve invitarla al riposo.


CAPITOLO V

Sant'Aubert si trov? la mattina seguente bastantemente in forza per continuare il viaggio, e sperando arrivare lo stesso giorno nel Rossiglione, si mise in cammino di buonissim'ora. La strada che percorrevano allora i viaggiatori, offriva vedute selvagge e pittoresche come le precedenti; solo tratto tratto le scene, meno severe, spiegavano una bellezza pi? amena e ridente.[56]

Quando Sant'Aubert parea occupato delle piante, contemplava con trasporto Emilia e Valancourt, i quali passeggiavano insieme; questi col contegno e l'emozione del piacere indicava una bella vista nella scena che lor s'offriva; quella ascoltava e guardava con un'espressione di sensibilit? seria indicante l'elevatezza del suo spirito. Rassembravano a due amanti, i quali mai non avessero lasciati i monti natii, che la situazione loro avesse preservati dal contagio delle frivolezze; le cui idee, semplici e grandiose come il paesaggio che percorrevano, non comprendessero la felicit? se non nella tenera unione de' cuori puri. Sant'Aubert sorrideva e sospirava a un tempo, pensando alla romanzesca felicit? onde la sua imaginazione offerivagli il quadro; sospirava inoltre pensando quanto la natura e la semplicit? fossero mai estranee al mondo, poich? i loro soavi diletti parevano un romanzo.

— Il mondo, ? dicea egli seguendo il proprio pensiero, ? il mondo mette in ridicolo una passione cui appena conosce; i suoi movimenti ed interessi distraggono lo spirito, depravano i gusti, corrompono il cuore; e l'amore non pu? esistere in un cuore quando non ha pi? la cara dignit? dell'innocenza. La virt? e la simpatia son quasi la medesima cosa; la virt? ? la simpatia messa in azione, e le pi? delicate affezioni di due cuori formano insieme il vero amore. Come mai potrebbesi cercar l'amore in seno alle grandi citt?? La frivolezza, l'interesse, la dissipazione, la falsit? vi surrogano del continuo la semplicit?, la tenerezza e la franchezza. —

Era quasi mezzod? quando i viaggiatori giunsero ad un passo s? pericoloso che lor fu d'uopo scendere di carrozza; la strada era contornata da boschi, e anzich? continuare innanzi, si misero a cercar l'ombra. Un umido rezzo era diffuso per l'aere; lo splendido smeraldo dell'erba, la bella miscea de' fiori, de' balsami, de' timi e delle lavande che la[57] smaltavano; l'altezza de' pini, de' frassini e de' castagni che ne proteggevano l'esistenza, tutto concorrea a far di quello un luogo veramente delizioso. Talvolta il fogliame, pi? fitto, interdicea la vista del paesaggio; altrove, qualche misterioso varco lasciava traveder all'imaginazione quadri assai pi? leggiadri che fin allora non avesse osservati, ed i viaggiatori abbandonavansi volentieri a que' godimenti quasi ideali.

Le pause ed il silenzio che avevano gi? interrotto i colloqui di Valancourt e d'Emilia furono quel d? molto pi? frequenti. Il giovane, dalla vivacit? pi? espressiva, cadeva in un accesso di languore, e la malinconia pingevasi senz'arte fin nel di lui sorriso. La fanciulla non poteva pi? ingannarsi: il suo proprio cuore partecipava il medesimo sentimento.

Quando Sant'Aubert fu ristorato, continuarono a camminare pel bosco, credendo sempre costeggiar la strada; ma s'accorsero alfine d'averla smarrita affatto. Avevano seguito il declivio ove la belt? de' luoghi li tratteneva, e la strada andava invece montando su per la ripida costa. Valancourt chiam? Michele, ma l'eco solo rispose alle sue grida, ed i suoi sforzi furono parimente vani per ritrovar la strada. In tale stato, scorsero fra gli alberi, a qualche distanza, la capanna d'un pastore. Valancourt vi corse per chiedere qualche indicazione; giuntovi, vi trov? soltanto due ragazzi che giocavan sull'erba. Guard? in casa, e non vide nessuno. Il maggiore de' fanciulli gli disse che suo padre trovavasi ne' campi, sua madre nella valle, n? tarderebbe a tornare. Il giovane pensava a quanto convenisse fare, allorch? la voce di Michele echeggi? d'improvviso su le rupi circostanti. Valancourt rispose tosto e cerc? d'andare a raggiungerlo; dopo un faticoso lavoro tra le boscaglie ed i massi, lo raggiunse alfine ed a stento riesc? a farlo tacere. La strada era lontanissima dal luogo ove riposavano il padre e la figlia. Era difficile[58] di condur fin l? la vettura; sarebbe stato troppo penoso per Sant'Aubert d'inerpicarsi pel bosco, com'egli stesso avea fatto, ed il giovane era angustiato molto per trovare un cammino pi? praticabile.

Intanto, Sant'Aubert ed Emilia eransi accostati alla capanna e riposavano sopra una panca campestre situata fra due pini ed ombreggiata dalle loro frondi; avean guardato a Valancourt, ed aspettavano che li raggiungesse.

Il maggiore de' ragazzi aveva lasciato il giuoco per rimirar i viaggiatori; ma il piccino continuava i suoi salti e tormentava il fratello perch? tornasse ad aiutarlo. Sant'Aubert considerava con piacere quella fanciullesca semplicit?, quando d'improvviso tale spettacolo, rammentandogli i figli perduti in quella fresca et?, ed in ispecie la loro diletta madre, lo fece ricadere nella mestizia. Emilia, accortasene, cominci? una di quelle ariette commoventi cui egli tanto prediligeva, e ch'ella sapeva cantar colla massima grazia ed espressione. Il padre le sorrise attraverso le lagrime, le prese la mano, la strinse teneramente e cerc? bandire i malinconici pensieri. Essa cantava ancora, quando Valancourt torn?; egli non volle interromperla, e sost? ad ascoltare. Quand'ebbe finito, accostossi e narr? d'aver trovato Michele ed anche una strada per ascendere il dirupo. Sant'Aubert, a tai parole, ne misur? coll'occhio la tremenda altezza; sentivasi oppresso, e la salita pareagli spaventosa. Il partito per? sembravagli preferibile ad una strada lunga e scabrosa affatto; risolse di tentarlo, ma Emilia, sempre premurosa, gli propose di pranzare in prima, onde ristorar alquanto le forze, e Valancourt torn? alla vettura a cercarvi provvigioni.

Al ritorno, propose di collocarsi un po' pi? in alto, essendovi la vista pi? bella ed estesa. Stavano per recarvisi, quando videro una giovane accostarsi ai ragazzi, accarezzarli, e piangere amaramente.[59]

I viaggiatori, interessati dalla di lei sventura, sostarono a meglio osservarla. Essa prese in braccio il minore de' figli, e scorti i forestieri, si terse le lagrime in fretta ed accostossi alla capanna. Sant'Aubert le chiese la causa della di lei afflizione. Gli diss'ella che suo marito era un povero pastore, il quale tutti gli anni passava la state in quella capanna per condur a pascere un armento sui monti. La notte precedente aveva perduto tutto; una banda di zingari, i quali da qualche tempo infestavano la contrada, avean rapite tutte le pecore del suo padrone. ? Jacopo, ? aggiunse la donna, ? avendo accumulato qualche peculio, avea comperato poche pecore per noi; ma adesso bisogner? darle per sostituire il gregge tolto al padrone; il peggio si ? che quando questi sapr? la cosa, non vorr? pi? affidarci i suoi montoni; ? un uomo cattivo; ed allora, che cosa sar? de' nostri figliuoli? ?

L'atteggiamento di quella donna, la semplicit? del suo racconto ed il suo sincero dolore indussero Sant'Aubert a crederne la trista storia. Valancourt, convinto ch'era vera, chiese tosto quanto valesse il gregge rubato; allorch? lo seppe, rimase sconcertato. Sant'Aubert di? qualche moneta alla donna; Emilia vi contribu? col suo borsellino, e quindi avviaronsi al luogo convenuto. Valancourt rest? di dietro parlando colla moglie del pastore, la quale allora piangeva per la gratitudine e la sorpresa; le chiese quanto le mancasse ancora per ripristinare il gregge rapito. Trov? che la somma era quasi la totalit? di quanto portava seco. Stava egli incerto ed afflitto. — Tale somma, dicea tra s?, basterebbe alla felicit? di questa povera famiglia; sta in poter mio il darla, e renderli lieti e contenti; ma come far? poi io? come torner? a casa col poco che mi rester?? — Esit? alcun tempo; trovava una volutt? singolare a salvare una famiglia dalla rovina, ma sentiva la difficolt? di proseguir la sua strada col poco danaro che avrebbesi riservato.[60]

Stava cos? perplesso, quando comparve lo stesso pastore. I figliuoli gli corsero incontro; egli ne prese uno in braccio, e coll'altro attaccato alla cintola, inoltr? a lenti passi. Il suo aspetto abbattuto, costernato, decise Valancourt; gett? tutto il danaro che avea, tranne pochi scudi, e corse dietro a Sant'Aubert, il quale, sorretto da Emilia, incamminavasi verso l'erta. Il giovane non erasi mai sentito l'animo s? leggero; il cuore balzavagli dalla gioia, e tutti gli oggetti a lui intorno parevano pi? belli ed interessanti. Sant'Aubert osserv? i di lui trasporti, e gli disse:

? Che cos'avete che s? v'incanta?

— Oh! la bella giornata! ? sclamava Valancourt; ? come splende il sole, come pura ? l'aura qual sito magico!

— E stupendo! ? disse Sant'Aubert, la cui felice esperienza spiegava facilmente l'emozione di Valancourt; ? peccato che tanti ricchi, i quali potrebbero procurarsi a piacimento uno splendido sole, lascino avvizzir i lor giorni nelle nebbie dell'egoismo! Per voi, mio giovine amico, possa sempre il sole sembrarvi bello quant'oggi; possiate voi, nell'attiva vostra beneficenza, riunir sempre la bont? e la saviezza! ?

Valancourt, onorato di tal complimento, non pot? rispondere se non con un sorriso, e fu quello della gratitudine.

Continuarono a traversare il bosco tra le fertili gole de' monti. Giunti appena nel sito ove volean recarsi, tutti insieme proruppero in un'esclamazione; dietro ad essi, la rupe perpendicolare sorgeva a prodigiosa altezza e spartivasi allora in due punte egualmente alte. Le loro grige tinte contrastavano collo smalto de' fiori sbuccianti tra i crepacci; i burroni sui quali l'occhio scorrea rapido per ispingersi gi? nella valle, erano sparsi anch'essi d'arboscelli; pi? gi? ancora, un verde tappeto indicava[61] i castagneti, in mezzo a' quali scorgeasi la capanna del povero pastore. Da ogni parte, i Pirenei ergeano le maestose cime; talune, carche d'immensi massi di marmo, mutavan colore ed aspetto nel medesimo tempo del sole; altre, ancor pi? alte, mostravan soltanto le nevose punte, e le basi colossali, uniformemente tappezzate, coprivansi sin gi? nella valle di pini, larici e verdi querce. Questa valle, bench? stretta, era quella che conduceva al Rossiglione; i freschi pascoli, la doviziosa coltura contrastavano stupendamente colla grandiosit? delle masse circostanti. Fra le catene prolungate di monti scoprivasi il basso Rossiglione, e la grande lontananza, confondendo tutte le gradazioni, parea riunir la costa ai candidi flutti del Mediterraneo. Un promontorio su cui sorgeva un faro indicava solo la separazione ed il lido; stormi d'uccelli marini volavano intorno. Pi? lungi per? distinguevansi alcune bianche vele; il sole ne aumentava il candore, e la lor distanza dal faro ne facea giudicar la celerit?; ma eravene di s? lontane, che servivan soltanto a separare il cielo ed il mare.

Dall'altra parte della valle, proprio in faccia ai viaggiatori, eravi un passaggio fra le rocce, che guidava in Guascogna. Cost?, nessun vestigio di coltura; gli scogli di granito ergevansi spontaneamente dalle basi, trapassando i cieli colle sterili aguglie; cost?, n? foreste, n? cacciatori, n? tuguri: talvolta per? un gigantesco larice gettava l'immensa sua ombra sopra un incommensurabile precipizio, e talfiata una croce sopra un dirupo accennava al viaggiatore il terribil destino di qualche imprudente. Il loco parea destinato a diventare un ricovero di banditi; Emilia ad ogni istante aspettavasi a vederli sbucare; poco dopo, un oggetto non meno terribile le colp? la vista. Una forca, eretta all'ingresso del passaggio, e proprio al disopra d'una croce, spiegava bastantemente qualche tragico fatto.[62] Evit? essa di parlarne a Sant'Aubert, ma tal vista inquietolla; avrebbe voluto sollecitare il passo per giungere con certezza prima del tramonto. Ma il padre avea bisogno di rifocillarsi, e, sedendo sull'erba, i viaggiatori votarono il paniere.

Sant'Aubert fu rianimato dal riposo e dall'aria serena di quella spianata. Valancourt era talmente estatico, talmente bisognoso di conversare, che parea aver dimenticata tutta la strada che restava da fare. Finito il pasto, fecero un lungo addio a quel sito maraviglioso e tornarono ad inerpicarsi. Sant'Aubert ritrov? la carrozza con piacere; Emilia vi sal? secolui: ma volendo conoscere pi? minutamente la deliziosa contrada dove stavano per discendere, Valancourt sleg? i suoi cani e li segu? a piedi; egli soffermavasi talvolta sopra le alture che gli offrivano un bel punto di vista; il passo delle mule permettevagli siffatte distrazioni. Se qualche luogo spiegava una rara magnificenza, tornava alla carrozza, e Sant'Aubert, troppo stanco per andar a goderne in persona, vi mandava la figlia e stavasene ad aspettarla.

Era tardi quando calarono dalle belle alture che coronano il Rossiglione. Questa magnifica provincia ? incassata nelle loro maestose barriere, non restando aperta che dalla parte del mare. L'aspetto della cultura abbelliva in fondo il paesaggio, ed il piano tingevasi de' pi? vividi colori, e quali il lussureggiante clima e l'industria degli abitanti potevano dovunque farli nascere. Boschetti d'aranci e di limoni imbalsamavan l'aere; i lor frutti gi? maturi dondolavano tra le frondi, e le coste dal facile declivio facevan pompa delle pi? belle uva. Pi? lungi, selve, pascoli, citt?, casali, il mare, sulla cui rifulgente superficie scorrevano molte vele sparse, un tramonto scintillante di porpora; questo passo, in mezzo ai monti che lo dominavano, formava la perfetta unione dell'ameno col sublime; era la bellezza dormente in seno all'orrore.[63]

I viaggiatori, giunti al basso, inoltrarono fra siepi di mirti e di melagrani fioriti sino alla piccola citt? d'Arles, dove contavan passar la notte. Trovarono un alloggio semplice, ma pulito; avrebbero passata una deliziosa sera, dopo le fatiche ed i godimenti del d?, se il momento della separazione che accostavasi non avesse sparso una nube su' loro cuori. Sant'Aubert voleva partir la domane, costeggiare il Mediterraneo e giungere cos? in Linguadoca. Valancourt, guarito troppo presto, ormai senza pretesto per seguire i suoi nuovi amici, dovea separarsene in quel luogo stesso. Sant'Aubert, il quale l'amava, proposegli di andar pi? innanzi; ma non reiter? l'invito, e Valancourt ebbe il coraggio di non accettare, per mostrare d'esserne degno. E' dovevano dunque lasciarsi la domane: Sant'Aubert per partire alla volta della Linguadoca, e Valancourt per riprendere la via de' monti onde riedere a casa. Tutta la sera non profer? sillaba, e stette soprappensieri: Sant'Aubert fu con lui affettuoso, ma per? grave; Emilia fu seria, bench? cercasse di comparir allegra; e dopo una delle pi? malinconiche sere che mai avessero passate insieme, separaronsi per la notte.


CAPITOLO VI

Il giorno dipoi, Valancourt fece colazione coi compagni, ma nessun d'essi parea aver dormito. Sant'Aubert portava l'impronta dell'oppressione e del languore. Emilia trovava la di lui salute molto infiacchita, e le sue inquietudini crescevano del continuo: osservava essa tutti i di lui sguardi con timida premura, e la loro espressione si trovava subito fedelmente ripetuta ne' suoi.

Sin dal principio della loro conoscenza, Valancourt aveva indicato il suo nome e la sua famiglia. Sant'Aubert conosceva l'uno e l'altra, non meno[64] che i beni delle sua casa, posseduti allora da un fratello maggiore di Valancourt, i quali distavano otto leghe circa dal suo castello; ed aveva incontrato questo fratello in qualche luogo del vicinato. Questi preliminari avevano facilitato la sua ammissione; il contegno, le maniere e l'esterior suo gli avevano guadagnata la stima di Sant'Aubert, che volentieri fidava nel proprio criterio, ma rispettava le convenienze; e tutte le buone qualit? che riconosceva in lui, non gli sarebbero parse motivi sufficienti per avvicinarlo tanto alla figlia.

La colazione fu quasi taciturna, quanto eralo stata la cena della sera precedente; ma la loro meditazione fu interrotta dal romore della carrozza che doveva condur via Sant'Aubert ed Emilia. Valancourt si alz?, corse alla finestra, riconobbe la carrozza, e torn? alla sua sedia senza parlare. Il momento di separarsi era omai giunto. Sant'Aubert disse al giovane che sperava rivederlo nella valle, e che non vi sarebbe passato di certo senza onorarli di una visita. Valancourt lo ringrazi? affettuosamente, e l'assicur? che non ci avrebbe mai mancato: s? dicendo guardava timidamente Emilia, la quale si sforzava di sorridere in mezzo alla sua profonda tristezza; passarono qualche minuto in un colloquio animatissimo; Sant'Aubert s'avvi? alla carrozza, Emilia e Valancourt lo seguirono in silenzio: il giovane restava fermo allo sportello, e quando furono saliti pareva che nessuno avesse il coraggio di dirsi addio. In fine Sant'Aubert pronunzi? la trista parola; Emilia fece altrettanto a Valancourt, che lo ripet? con un sorriso forzato, e la carrozza si mise in moto.

I viaggiatori restarono a lungo in silenzio. Sant'Aubert finalmente disse: ? ? un giovine interessante; sono molti anni che una conoscenza s? breve non m'ha cos? affettuosamente colpito. Egli mi ricorda i giorni della mia giovent?, quel tempo in[65] cui tutto mi sembrava ammirabile e nuovo. ? Sospir?, e ricadde nella sua meditazione. Emilia si affacci? alla portiera, e rivide Valancourt immobile sulla porta, che li seguiva cogli occhi; egli la scorse, e salutolla colla mano; ella gli restitu? il saluto, ma ad una svolta della strada non pot? pi? vederlo.

? Mi ricordo ci? ch'era io in quell'et?, ? soggiunse Sant'Aubert; ? io pensava e sentiva precisamente come lui. Il mondo allora aprivasi dinanzi a me, ed or esso si chiude.

— O caro pap?, non abbandonatevi a pensieri s? lugubri, ? disse Emilia con voce tremante; ? voi avete, spero, da vivere molti anni, per la vostra felicit? e la mia.

— Ah Emilia! ? sclam? Sant'Aubert; ? pel tuo! s?, spero che abbia ad esser cos?. ? Asciug? una lagrima che scorrevagli lungo le guance, e sorridendo della sua emozione, aggiunse con voce tenera: ? Avvi qualcosa nell'ardore ed ingenuit? di quel giovane, che dee soprattutto commovere un vecchio, di cui il veleno del mondo non alter? i sentimenti; s?, io scopro in lui un non so che d'insinuante, di vivificante, come la vista della primavera quando si ? infermi. Lo spirito del malato assorbe qualcosa del succhio rinnovantesi, e gli occhi si rianimano ai raggi meridiani; Valancourt ? per me questa felice primavera. ?

Emilia, la quale stringea amorosamente la mano del padre, non aveva mai udito dalla sua bocca un simile elogio che le riescisse tanto gradito, nemmen quand'erane stata ella medesima l'oggetto.

Viaggiavano in mezzo a vigneti, boschi e prati, entusiasmati ad ogni passo di quel magnifico paesaggio cui limitavan i Pirenei e l'immenso pelago. Dopo mezzod? giunsero a Calliure, situato sul mediterraneo. Vi pranzarono, e lasciata passare la caldura, ripresero a seguire i magici lidi che stendonsi[66] fin nella Linguadoca. Emilia considerava con entusiasmo il vasto impero dell'onde, di cui i lumi e le ombre variavan tanto singolarmente la superficie, e le cui spiagge, adorne di boschi, rivestivan gi? le prime assise dell'autunno.

Sant'Aubert era impaziente di trovarsi a Perpignano, dove aspettava lettere di Quesnel, e per tal motivo aveva lasciato tosto Calliure, malgrado l'urgente bisogno di qualche riposo. Dopo alcune leghe di strada, addormentossi; ed Emilia, la quale avea messi due o tre libri in carrozza partendo dalla valle, ebbe agio di farne uso. Essa cerc? quello che aveva letto Valancourt il d? prima: desiderava ripassar le pagine sulle quali gli occhi d'un amico s? caro eransi fissati poc'anzi. Volea riandar i passi ch'egli ammirava, pronunziarli com'egli facea, e ricondurlo, per dir cos?, alla di lei presenza. Cercando questo libro ch'essa non potea trovare, scorse in vece sua un volume del Petrarca, appartenente al giovane, il cui nome vi appariva sopra scritto. Spesso ei gliene leggeva alcuni brani, e sempre con quella patetica espressione che caratterizzava i sentimenti dell'autore.

Arrivarono a Perpignano subito dopo il tramonto del sole. Sant'Aubert vi trov? le lettere che aspettava da Quesnel. Se ne mostr? cos? dolorosamente commosso, che Emilia, spaventata, lo scongiur?, per quanto glielo permise la delicatezza, di spiegargliene il contenuto. Non le rispose se non con lacrime, e tosto parl? di tutt'altro. Emilia cred? bene di non sollecitarlo ulteriormente, ma lo stato di suo padre l'occupava forte, e non pot? dormire per tutta la notte.

Il d? seguente continuarono lungo la costa per giungere a Leucate, porto del Mediterraneo, situato sulle frontiere del Rossiglione e della Linguadoca. Cammin facendo, Emilia rinnov? la istanze del d? prima, e parve talmente turbata dal silenzio e della[67] disperazione di Sant'Aubert, che questi band? alfine qualunque riguardo. ? Io non voleva, cara Emilia, ? le diss'egli, ? avvelenare i tuoi piaceri, e avrei desiderato, almeno durante il viaggio, nasconderti circostanze, che avrei pur troppo dovuto manifestarti un giorno; la tua afflizione me lo impedisce, e tu soffri forse pi? dell'incertezza che non soffriresti della verit?. La visita del signor Quesnel fu per me un'epoca fatale; ei mi disse allora parte delle notizie dispiacenti che mi vengono ora confermate dalle sue lettere. Tu mi avrai inteso parlare d'un tal Motteville di Parigi, ma ignoravi che la maggior porzione di quanto possiedo era deposto in sue mani; io aveva in lui cieca fiducia, e non voglio ancora crederlo indegno della mia stima: parecchie circostanze hanno concorso alla sua rovina, ed io sono rovinato con lui. ?

Qui si ferm? per moderare la sua emozione.

? Le lettere che ho ricevute dal signor Quesnel ? continu? egli eccitandosi a fermezza, ? ne contenevano altre di Motteville stesso, e tutti i miei timori sono confermati.

— Bisogner? egli abbandonare il nostro castello? ? disse Emilia dopo un lungo silenzio.

— Non ? per anco ben certo, ? disse Sant'Aubert; ? ci? dipender? dall'accordo che Motteville potr? fare co' suoi creditori. Il mio patrimonio, tu lo sai, non era molto pingue, ed ora non ? quasi pi? nulla. Io ne sono afflittissimo per te sola, figlia cara. ?

A tai parole gli manc? la voce. Emilia, tutta lacrimosa, gli sorrise teneramente, e sforzandosi di superare la sua agitazione, gli rispose: ? Non vi affliggete n? per voi n? per me, o mio buon padre. Noi possiamo essere ancora felici. S?, se ci resta il castello della valle, noi lo saremo certamente; terremo una sola donna di servizio, e non vi accorgerete del cambiamento della vostra fortuna. Consolatevi,[68] caro pap?, noi non proveremo nessuna privazione, giacch? non abbiamo mai gustato le vane superfluit? del lusso, e la povert? non potr? privarci giammai dei nostri pi? dolci godimenti; essa non potr? n? diminuire la nostra tenerezza, n? avvilirci ai nostri occhi od a quelli delle persone che ci stimano. ?

Sant'Aubert celossi il volto nel fazzoletto, non potendo parlare; ma Emilia continu? a favellare al padre le verit? ch'egli stesso avea saputo inculcarle. ? La povert?, ? essa gli dicea, ? non potr? privarci d'alcuno de' diletti dell'anima; voi potrete sempre essere un esempio di coraggio e bont?, ed io la consolazione d'un prediletto genitore. ?

Sant'Aubert non poteva rispondere: strinse Emilia al cuore: le loro lacrime si confusero, ma non erano pi? lacrime di tristezza. Dopo questo linguaggio del sentimento, ogni altro sarebbe stato troppo debole, ed entrambi stettero silenziosi. Sant'Aubert parl? in seguito secondo il consueto, e se lo spirito non era nella sua ordinaria tranquillit?, ne aveva almeno ripresa l'apparenza.

Giunsero a Leucate assai per tempo, ma Sant'Aubert era stanchissimo, e volle passarvi la notte. La sera and? a passeggiare colla figlia per visitarne i contorni. Si scuopriva il lago di Leucate, il Mediterraneo, una parte del Rossiglione circondato dai Pirenei, ed una porzione molto considerevole della Linguadoca e delle sue fertilissime campagne. Le uve, gi? mature, rosseggiavano sui colli aprichi, e la vendemmia era principiata. I due passeggianti vedevano i crocchi giulivi, udivano le canzoni a lor recate sui vanni di lieve zeffiro e godevano anticipatamente di tutti i piaceri che lor promettea la strada. Sant'Aubert nondimeno non volle lasciar il mare: bene spesso fu tentato di tornarsene nella valle, ma il piacere che prendeva Emilia a questo viaggio, contrabbilanciava sempre questo desiderio;[69] e d'altronde, voleva far la prova se l'aria marina non lo sollevasse un poco.

Il giorno seguente si rimisero in cammino. I Pirenei, sebbene molto lontani, offrivano una veduta delle pi? pittoresche; a destra aveano il mare, ed a sinistra immense pianure, che si confondevano coll'orizzonte. Sant'Aubert se ne rallegrava, e ne parlava con Emilia; ma la sua allegria era pi? finta che naturale, ed ombre di tristezza facean velo bene spesso alla sua fisonomia: un sorriso per? di Emilia bastava per dissiparle; ma ella stessa aveva il cuore straziato, e vedeva benissimo che gli affanni del padre indebolivano visibilmente tutti i giorni la sua salute.

Giunsero molto tardi ad una piccola citt? della Linguadoca; avevano prefisso di dormirvi, ma fu impossibile; la vendemmia teneva occupati tutti i posti, e convenne recarsi ad un villaggio pi? lontano; la stanchezza ed i patimenti di Sant'Aubert richiedevano un pronto riposo, e la notte era gi? avanzata; ma la necessit? non ha legge, e Michele continu? il suo cammino.

Le ubertose pianure della Linguadoca, nel fervore delle vendemmia, rintronavano de' frizzi e della rumorosa allegria francese. Sant'Aubert non potea pi? goderne; il suo stato contrastava troppo tristamente col brio, la giovent? e i piaceri che circondavanlo. Quando volgea i languidi occhi su quella scena, pensava che in breve non la vedrebbero pi?. — Que' monti lontani ed eccelsi, ? dicea tra s?, considerando i Pirenei ed il tramonto, ? queste belle pianure, quella v?lta azzurra, la cara luce del d?, saranno per sempre interdette a' miei sguardi; fra poco la canzone del contadino, la voce consolatrice dell'uomo non giugneranno pi? all'orecchio mio... —

Gli occhi d'Emilia parean leggere tutto che passava nell'animo del padre: essa li fissava sul di lui viso coll'espressione d'una tenera piet?. Dimenticando[70] allora gli argomenti d'un vano rammarico, non vide pi? altro che lei, e l'orribile idea di lasciar la figlia senza protettore, cambi? la sua pena in un vero tormento; sospir? dal cuor profondo, e non mosse labbro. Emilia comprese quel sospiro; gli strinse le mani con tenerezza, e si volse dalla parte della portiera per nascondere le lagrime. Il sole proiettava allora un ultimo raggio sul Mediterraneo, i cui vapori parevano tutti d'oro; a poco a poco le ombre del crepuscolo si distesero; una zona scolorita apparve solo a ponente, segnando il punto dove il sole erasi perduto nelle brume d'una sera autunnale. Una fresca brezzolina sorgeva dalla spiaggia. Emilia cal? i cristalli; ma la frescura, s? gradevole nello stato di salute, non era necessaria per un infermiccio, e il padre la preg? di rialzarli. Crescendo la sua indisposizione, pensava allora pi? che mai a por fine alla marcia del d?; ferm? Michele per sapere a qual distanza fossero dal primo villaggio. ? A quattro leghe, ? disse il mulattiere. — Io non potr? farle, ? disse Sant'Aubert; ? cercate, nell'andare innanzi, se non vi fosse una casa sulla strada in cui possano riceverci per istanotte. ?

Si rigett? in carrozza; Michele fe' schioccar la frusta, e galopp? finch? Sant'Aubert quasi fuor de' sensi, gli fece segno di fermarsi. Emilia guardava alla portiera: vide alla perfine un contadino a qualche distanza: lo aspettarono e gli chiesero se non vi fosse ne' dintorni alloggio pe' viaggiatori. Rispose di non conoscerne. ? C'? un castello in mezzo ai boschi, ? soggiunse, ? ma io credo che non vi si riceve nessuno, e non posso insegnarvene la strada essendo quasi io stesso forestiero. ?

Sant'Aubert stava per rinnovellare le sue domande sul castello; ma l'uomo piantollo l? e se ne and?. Dopo un momento di riflessione, Sant'Aubert ordin? a Michele di andare pian piano verso i boschi. Ad ogni istante il crepuscolo diventava pi?[71] oscuro, e la difficolt? di guidarsi cresceva. Pass? un altro paesano.

? Quale ? la strada del castello ne' boschi? ? grid? Michele.

— Il castello ne' boschi! ? sclam? il paesano. ? Volete parlare di quelle torrette?

— Non so se son torrette, ? disse Michele: ? parlo di quel caseggiato bianco che vediamo da lungi in mezzo a tutti quegli alberi.

— S?, son torrette. Ma che! fareste conto d'andarci? ? rispose l'uomo con sorpresa.

Sant'Aubert, udendo quella strana interrogazione colpito in ispecie dall'accento con cui la si faceva, scese di carrozza e gli disse: ? Noi siamo viaggiatori, e cerchiamo una casa per passarvi la notte: ne conoscete voi qui una vicina?

— No, signore, ? rispose l'uomo ? a meno che non voleste tentar fortuna in que' boschi: ma io per me non ve lo consiglierei.

— A chi appartiene quel castello?

— Nol so, signore.

— ? dunque disabitato?

— No, non ? disabitato; il castaldo e la governante, vi sono, a quanto credo. ?

All'udir ci?, Sant'Aubert si decise a rischiare un rifiuto presentandosi al castello. Preg? il contadino di servir di guida a Michele, e gli promise una ricompensa. L'uomo riflett? un poco, e disse che avea altre faccende, ma che non potevano sbagliare seguendo il viale cui accenn?. Sant'Aubert stava per rispondere, quando il paesano, augurandogli la buona notte, lo lasci? senza aggiugner altro.

La carrozza si diresse al viale, cui si trov? sbarrata da una stanga; Michele smont? ed and? a levarla. Penetrarono allora tra antichi castagni e querce annose, i cui rami intralciati formavano una v?lta altissima: eravi qualcosa di deserto e di selvaggio nell'aspetto di quel viale, ed il silenzio erane[72] tanto imponente, che Emilia si sent? c?lta da involontario tremore. Ricordavasi l'accento del paesano nel parlare di quel castello: essa dava alle di lui parole un'interpretazione pi? misteriosa che non avesse fatto prima: cerc? nullameno di calmare la paura; pens? che un'imaginazione turbata ne l'avea resa suscettibile, e che lo stato del padre e la sua propria situazione dovevano senza dubbio contribuirvi.

Inoltrarono lentamente; l'oscurit? era quasi completa: il terreno disuguale e le radici degli alberi che l'imbarazzavano ad ogni tratto obbligavano a molta precauzione. D'improvviso, Michele si ferm?: Sant'Aubert guard? per saperne la causa. Vide a qualche distanza una figura traversare il viale; faceva troppo buio per distinguere di pi?, ed egli ordin? d'avanzare.

? Mi sembra un luogo strano, ? disse Michele; ? non veggo case, e faremmo meglio a tornar indietro.

— Andate un po' pi? innanzi, e se non vedremo edifizi, torneremo sulla strada maestra. ?

Michele s'avanz?, ma con ripugnanza; e l'eccessiva lentezza della sua marcia fe' riaffacciare Sant'Aubert alla portiera, e vide ancora la medesima figura. Questa volta trasal?. Probabilmente l'oscurit? lo rendea proclive a spaventarsi pi? del consueto; ma, checch? esser potesse, ferm? Michele, e gli disse di chiamar l'individuo che traversava di tal modo il viale.

? Con vostro permesso, ? disse Michele, ? pu? bene essere un ladro.

— Nol permetto di certo, ? ripigli? Sant'Aubert, non potendo astenersi dal sorridere a quella frase; ? via, torniamo sulla strada, ch? non veggo alcuna apparenza di trovar qui quel che cerchiamo. ?

Michele volt? con vivacit?, e rifece velocemente il viale; una voce part? allora d'in fra gli alberi a[73] sinistra; non era un comando, non un grido di dolore, ma un suono roco e prolungato che nulla avea d'umano. Michele spron? le mule senza pensare all'oscurit?, n? agl'intoppi, n? alle buche, e neppure alla carrozza; n? si ferm? se non quando fu uscito dal viale, e giunto sulla strada infine, rallent? il passo.

? Io sto assai male, ? disse Sant'Aubert stringendo la mano della figlia, la quale, spaventata dal tuono di voce del padre, esclam?: ? Gran Dio! voi state pi? male, e noi siamo senza soccorso; come faremo? ? Egli appoggi? la testa sulla di lei spalla; essa lo sostenne fra le sue braccia, e fece fermar la carrozza. Appena il rumore delle ruote fu cessato, sentirono musica in lontananza, lo che fu la voce della speranza per Emilia, che disse: ? Oh! noi siamo vicini a qualche abitazione, e potremo trovarci aiuto. ? Ascolt? attenta: il suono era molto lontano, e parea venire dal fondo di un bosco, una parte del quale costeggiava la strada. Guard? dalla parte d'onde venivano i suoni, e vide al chiaro di luna qualcosa che somigliava ad un castello, ma era difficile di giungervi. Sant'Aubert stava troppo male per sopportare il pi? piccolo movimento: Michele non poteva abbandonare le mule; Emilia, che sosteneva ancora il padre, non voleva abbandonarlo, e temeva pur di avventurarsi sola a tal distanza, senza sapere dove ed a chi indirizzarsi: frattanto bisognava prendere un partito, e senza dilazione. Sant'Aubert disse dunque a Michele di avanzare pi? lentamente che gli fosse possibile, e dopo un momento svenne. La carrozza si ferm? di nuovo; egli era privo affatto dell'uso dei sensi. ? Ah! padre mio, mio caro padre! ? gridava Emilia disperata; e credendolo in punto di morte, esclam?: ? Parlate, ditemi una sola parola; ch'io ascolti anche una volta il suono della vostra voce. ? Egli non rispose nulla: spaventata sempre pi?, ordin? a Michele di andare[74] ad attingere acqua nel ruscello vicino; egli ne port? un poco nel suo cappello, che la ragazza spruzz? sul viso del genitore. I raggi della luna, riflettendo allora sopra di lui, mostravano l'impressione della morte. Tutti i movimenti di terrore personale cedettero in quel punto a un timore dominante, e, confidando Sant'Aubert a Michele, il quale con molta difficolt? lasci? le mule, Emilia salt? fuori della carrozza per cercare il castello che aveva veduto da lontano, e la musica che dirigeva i suoi passi, la fece entrare in un sentiero che conduceva nell'interno del bosco. Il suo spirito, unicamente occupato del padre e della sua propria inquietudine, aveva dapprincipio perduto qualunque timore; ma la foltezza degli alberi, sotto i quali passava, intercettavano i raggi della luna; l'orrore di quel luogo le ramment? il suo pericolo; la musica era cessata, e non le restava altra guida che il caso. Si ferm? un poco con uno spavento inesprimibile; ma l'immagine del padre vinse ogni altro sentimento, e si rimise in cammino. Non vedeva nessuna abitazione, nessuna creatura, e non udiva il pi? piccolo romore; camminava sempre senza saper dove, scansava il folto del bosco e si teneva in mezzo il pi? che poteva; finalmente vide una specie di viale in disordine che metteva ad un punto illuminato dalla luna; lo stato di quel viale le ramment? il castello delle torrette, e non dubit? pi? di esserne vicina. Esitava a procedere, quando un romore di voci e scrosci di risa colpirono all'improvviso il suo udito; non era un riso di allegrezza, ma quello di una gioia smoderata, ed il suo imbarazzo crebbe d'assai. Mentre essa ascoltava, una voce in gran distanza si fece sentire dalla parte della strada ond'era partita; immaginandosi che fosse Michele, suo primo pensiero fu quello di tornare indietro, ma poi non seppe risolversi. L'ultima estremit? poteva solamente aver deciso Michele a lasciare le sue mule: cred? il[75] padre moribondo, e corse con maggiore celerit?, nella debole lusinga di ricevere qualche soccorso da' convitati del bosco. Il suo cuore palpitava per terribile incertezza; e pi? si avanzava, pi? il romore delle foglie secche la faceva tremare ad ogni passo. Giunse ad un luogo scoperto illuminato dalla luna; si ferm?, e scorse fra gli alberi un banco erboso formato a cerchio cui stavan sedute parecchie persone. Nell'avvicinarsi, giudic? dal loro abbigliamento che dovevano essere contadini, e distinse sparse pel bosco varie capanne. Mentre guardava e si sforzava di vincere il timore che la rendeva immobile, alcune villanelle uscirono da una capanna; la musica seguit? e ricominciarono a ballare; era la festa della vendemmia, e l'istessa musica udita da lontano. Il di lei cuore, troppo lacerato, non poteva sentire il contrasto che tutti quei piaceri formavano colla propria situazione; si fece innanzi ad un gruppo di vecchi assisi vicino alla capanna, espose la sua circostanza, e ne implor? l'assistenza. Parecchi si alzarono con vivacit?, offrirono tutti i loro servigi, e seguirono Emilia, che parea aver l'ali correndo verso la strada maestra.

Quando furono giunti alla carrozza, essa trov? il padre rinvenuto. Ricuperando i sensi, aveva inteso da Michele la partenza della figlia; la sua inquietudine per lei oltrepassando il sentimento dei suoi bisogni, aveva mandato Michele a cercarla; non pertanto era tuttora in istato di languore, e sentendosi incapace di andar pi? oltre, rinnov? le sue domande sopra un albergo, o sul castello del bosco. ? Il castello non pu? ricevervi, ? disse un contadino venerabile, il quale aveva seguito Emilia, ? esso ? appena abitato; ma se volete farmi l'onore di accettare il mio tugurio, vi dar? il mio letto migliore. ?

Sant'Aubert era francese: non istup? dunque della cortesia di un francese. Malato com'era, sent? quanto valore acquistava l'offerta, dalla maniera colla[76] quale era fatta. Aveva troppa delicatezza per iscusarsi, o per esitare un sol momento a ricevere quell'ospitalit? contadinesca; l'accett? dunque con altrettanta franchezza, quanta n'era stata adoperata nell'offerta.

La carrozza cammin? lentamente, seguitando i contadini per la strada gi? fatta da Emilia, e giunsero alla capanna. L'affabilit? del suo ospite, e la certezza di un pronto riposo, resero le forze a Sant'Aubert; egli vide con dolce compiacenza quel quadro interessante; i boschi, resi pi? cupi dal contrasto, circondavano il sito illuminato; ma diradandosi ad intervalli, un bianco chiarore ne facea spiccar una capanna o riflettevasi in un rigagnolo; egli ascolt? con piacere i suoni allegri della chitarra e del tamburello, ma non pot? vedere senza emozione il ballo di que' villici. Non avvenne l'egual cosa di Emilia: l'eccesso dello spavento si era cambiato in una profonda tristezza, e gli accenti della gioia facendo luogo a spiacevoli confronti, servivano ancora a raddoppiarla.

Il ballo cess? all'avvicinarsi della carrozza: era un fenomeno in quei boschi remoti, e tutti la circondarono con istraordinaria curiosit?. Appena intesero che vi era un forestiero ammalato, molte fanciulle traversarono il prato, tornarono immediatamente con vino e canestri di frutta, e li offersero ai viaggiatori disputandosi la preferenza. La carrozza si ferm? finalmente vicino ad una casuccia decentissima, che apparteneva al venerabile condottiero; egli aiut? Sant'Aubert a scendere, e lo condusse con Emilia in una stanzetta terrena, illuminata soltanto dalla luna. Sant'Aubert, lieto di trovare il desiato riposo, si adagi? sopra una specie di poltrona. L'aria fresca e balsamica, impregnata di soavi effluvi, penetrava nella stanza dalle finestre aperte e rianimava le sue facolt? infiacchite. Il suo ospite che si chiamava Voisin, torn? immediatamente con[77] frutta, crema, e tutto il lusso campestre che poteva somministrare il suo ritiro. Offr? tutto col sorriso della cordialit?, e si mise in piedi dietro la sedia di Sant'Aubert, il quale insist? per fargli prendere posto a tavola; quando i frutti ebbero calmato la di lui sete ardente, si sent? un poco sollevato, e cominci? a discorrere. L'ospite gli comunic? tutte le particolarit? relative a lui ed alla sua famiglia. Questo quadro di unione domestica, dipinto col sentimento del cuore, non poteva mancare di eccitare il pi? vivo interesse. Emilia, seduta vicino al padre, tenendo una mano fra le sue, ascoltava attenta il buon vecchio. Il di lei cuore era pieno di tristezza e versava lacrime, pensando che quanto prima non avrebbe pi? posseduto il prezioso bene di cui essa godeva ancora. Il fioco raggio della luna autunnale, e la musica che si faceva ancora sentire da lontano, s'accordavano colla sua malinconia. Il vecchio parlava della sua famiglia, e Sant'Aubert taceva.

? Non mi resta pi? che una figlia, ? disse Voisin, ? ma fortunatamente essa ? maritata e mi tiene luogo di tutto. Quando mor? mia moglie, ? aggiuns'egli sospirando, ? io andai a riunirmi con Agnese e la sua famiglia. Essa ha parecchi figli, che voi vedete ballare laggi?, allegri e grassi come tanti fringuelli. Possano eglino esser sempre cos?! io spero morire in mezzo a' loro, o signore: ora son vecchio, e mi resta poco da vivere; ma ? una gran consolazione il morire fra i suoi figli.

— Mio buon amico, ? disse Sant'Aubert con voce tremante, ? voi vivrete, lo spero, lungamente in mezzo ad essi.

— Ah, signore! nella mia et?, non ho molto luogo a sperarlo. ? Il vecchio fece una pausa. ? Eppoi lo desidero appena, ? ripigli? quindi. ? Ho fiducia che, se muoio, andr? difilato al cielo; la mia povera moglie vi ? prima di me. La sera, al chiaro di luna, credo vederla vagolar presso questi[78] boschi cui amava tanto. Credete voi, signore, che noi possiam visitare la terra, quando avremo lasciati i nostri corpi?

— Non dubitatene, ? gli rispose Sant'Aubert; ? le separazioni sarebbero troppo dolorose se le credessimo eterne. S?, Emilia cara, noi ci ritroveremo un d?. ?

Alz? gli occhi al cielo, ed i raggi della luna, che cadevan sopra di lui, mostrarono tutta la pace e la rassegnazione dell'anima sua, malgrado l'espressione della tristezza.

Voisin comprese aver troppo prolungato il tema, e l'interruppe dicendo: ? Ma noi siamo all'oscuro; abbiamo bisogno di un lume.

— No, ? gli disse Sant'Aubert, ? preferisco il chiaro della luna: non v'incomodate, caro amico. Emilia, amor mio, io sto ora assai meglio di quel che non lo sia stato tutto il giorno. Quest'aria mi rinfresca; io gusto questo riposo, e mi compiaccio di ascoltare questa bella musica che si ode in lontananza. Lasciami vedere il tuo sorriso. Chi ? che suona cos? bene la chitarra? ? diss'egli in seguito; ? son due strumenti oppure un'eco?

— ? un'eco, o signore, almeno io lo credo. Ho inteso spesso questo strumento la notte, quando tutto ? in calma: ma nessuno conosce chi lo suona. Talvolta ? accompagnato da una voce, ma s? dolce e cos? trista, che si potrebbe credere compaiano spiriti nel bosco.

— Vi compariranno per certo, ? disse Sant'Aubert sorridendo, ? ma in carne ed ossa.

— Qualche volta, a mezzanotte, quando non posso dormire, ? prosegu? Voisin, il quale non bad? a quell'osservazione, ? l'ho sentita quasi sotto le mie finestre, n? mai ho intesa musica tanto piacevole: essa mi faceva pensare alla mia povera moglie, e piangeva. Talfiata apersi la finestra per procurare di scorgere qualcuno, ma nell'istante medesimo cessava[79] l'armonia, e non si vedeva nessuno. Ascoltava con tanto raccoglimento, che il rumore d'una foglia o il menomo vento finiva col farmi paura. Si diceva che questa musica fosse un annuncio di morte; ma son molti anni che l'ascolto e sopravvivo ancora a questo tristo presagio. ?

Emilia sorrise ad una superstizione tanto ridicola, e non pertanto, nella posizione del suo spirito, essa non pot? del tutto resistere alla sua impressione contagiosa.

? Va bene, amico mio, disse Sant'Aubert; ma se qualcuno avesse avuto il coraggio di andar dietro al suono, il musico sarebbe stato conosciuto. Nessuno l'ha fatto?

— S?, signore, fu tentato pi? volte, si ? seguita la musica sino al bosco, ma essa si ritirava a misura che noi avanzavamo, e sembrava sempre alla medesima distanza: i nostri villani hanno avuto paura, e non vollero andar pi? oltre. Ben di rado la si sente tanto di buon'ora come stasera; d'ordinario ci? accade verso mezzanotte quando quella fulgida stella che si trova adesso al di sopra di quelle torrette tramonta a sinistra del bosco.

— Quali torrette? ? domand? Sant'Aubert; ? io non ne vedo alcuna.

— Perdonate, signore, eccone l? una, sulla quale riflette la luna; vedete voi quel viale? il castello ? quasi nascosto interamente dagli alberi.

— S?, pap?, ? disse Emilia guardando; ? non vedete voi qualche cosa brillare al disopra del bosco? io credo sia una banderuola, sulla quale riflettono i raggi della luna.

— S?, ora vedo ci? che mi accenni. Di chi ? quel castello?

— Il marchese di Villeroy ne era il possessore, ? rispose Voisin con fare d'importanza.

— Ah! ? disse Sant'Aubert agitatissimo: ? siamo dunque cos? vicini a Blangy?[80]

— Era la dimora favorita del marchese, ? soggiunse Voisin; ? ma la prese in antipatia, e son molti anni che non vi ? stato: mi fu detto che ? morto da poco tempo, e che questo feudo pass? in altre mani. ?

Sant'Aubert, ch'era caduto in pensieri, usc? dalla sua meditazione a queste ultime parole esclamando: ? Morto! gran Dio! e da quanto tempo? ?

— Mi fu detto esser gi? da quattro settimane, ? rispose Voisin; ? lo conoscevate voi forse?

— ? cosa straordinaria, ? rispose Sant'Aubert, senza fermarsi alla domanda.

— E perch?? ? disse Emilia con timida curiosit?. Egli non rispose, e ricadde nella sua meditazione; ne usc? poco dopo, e domand? chi fosse il suo erede.

? Mi son dimenticato del nome ? disse Voisin; ? ma so che questo signore abita Parigi, e che non pensa neppur per ombra di venire al suo castello.

— Il castello ? egli ancora chiuso?

— A un bel circa, signore; la vecchia castalda e suo marito ne hanno cura, ma vivono in una casuccia poco distante.

— Il castello ? spazioso, ? disse Emilia, ? e dee essere molto deserto, se non ha che due abitanti.

— Deserto! oh s?, signorina, ? rispose Voisin; ? non vorrei passarvi la notte per tutti i tesori del mondo.

— Che dite mai? ? soggiunse Sant'Aubert, uscendo dalla sua meditazione; e Voisin ripet? l'istessa protesta. Sant'Aubert non pot? trattenere una specie di singulto; ma quasi avesse voluto evitare le osservazioni, domand? prontamente a Voisin da quanto tempo abitasse quel paese.

? Quasi dalla infanzia, ? rispose l'ospite.

— Vi rammentate voi della defunta marchesa? ? disse Sant'Aubert con voce alterata.

— Ah! signore, se me lo ricordo; ve ne sono molti altri che non l'hanno dimenticata neppur essi.[81]

— S?, ? rispose Sant'Aubert, ? ed io sono uno di quelli.

— Dunque vi ricorderete d'una bella ed eccellente signora: dessa meritava una sorte migliore. ?

Sant'Aubert vers? qualche lagrima.

? Basta, ? diss'egli con voce quasi soffocata, ? basta, amico mio. ?

Emilia, sebbene sorpresissima, non si permise di manifestare i suoi sentimenti con veruna dimanda. Voisin volle scusarsi, ma Sant'Aubert l'interruppe. ? L'apologia ? inutile, ? gli disse; ? cambiamo piuttosto tema di conversazione. Voi parlavate della musica che abbiamo sentita.

— S?, signore, ma zitto, essa ricomincia; ascoltate questa voce. ?

Udirono infatti una voce dolce, tenera ed armoniosa, ma i cui suoni, debolmente articolati, non permettevano di distinguer nulla che somigliasse a parole. Ben presto essa cess?, e lo strumento che l'accompagnava intuon? teneri concenti. Sant'Aubert osserv? che i tuoni n'erano pi? pieni e melodiosi di quelli d'una chitarra, ed anche pi? malinconici di quelli d'un liuto. Continuarono ad ascoltare, e non sentirono pi? nulla.

? Questo ? strano, ? disse Sant'Aubert, rompendo alfine il silenzio.

— Stranissimo, ? disse Emilia.

— ? vero, ? soggiunse Voisin; e tacquero tutti.

Dopo una lunga pausa, Voisin ripigli?:

? Sono circa diciotto anni che intesi questa musica per la prima volta in una bellissima notte estiva, men ricordo; ma era pi? tardi. Io passeggiava solo nel bosco; mi ricordo ancora ch'era molto afflitto; aveva un figliuolo malato, e temeva di perderlo; aveva vegliato tutta sera al suo letto, mentre sua madre dormiva, avendolo essa assistito tutta la notte precedente. Uscii per prendere un po' d'aria; la giornata era stata caldissima, ed io passeggiava[82] pensieroso sotto gli alberi; udii una musica in lontananza, e pensai fosse Claudio che suonasse la sua zampogna; egli era amantissimo di questo strumento. Quando la sera era bella, stavasi un pezzo sulla sua porta a suonare; ma quando arrivai in un luogo ove gli alberi erano meno folti (non me ne scorder? per tutta la vita), mentr'io guardava le stelle di settentrione, che in quel momento erano molto alte, tutto a un tratto udii suoni, ma suoni ch'io non posso descrivere: sembrava un concerto di angeli; guardai attentamente, e mi pareva sempre di vederli salire al cielo. Quando tornai a casa, raccontai ci? che aveva ascoltato; si burlarono tutti di me, e mi dissero ch'erano pastori, i quali avean suonato il loro flauto; non potei mai persuaderli del contrario. Poche sere dopo, mia moglie ud? l'istessa armonia, e fu sorpresa quanto me. Il padre Dionigi la spavent? moltissimo, dicendole che il cielo mandava questo avvertimento per annunziare la morte di suo figlio, e che questa musica aggiravasi intorno alle case, contenenti qualche moribondo. ?

Emilia, nell'ascoltare quelle parole, si sent? colpita da un timore superstizioso affatto nuovo per lei, ed ebbe molta difficolt? a nascondere il suo turbamento al padre.

? Ma nostro figlio visse, o signore, a dispetto del padre Dionigi.

— Il padre Dionigi? ? disse Sant'Aubert, il quale ascoltava con attenzione tutti i racconti del buon vecchio; ? noi siam dunque vicini ad un convento?

— S?, signore, il convento di Santa Chiara ? poco distante da noi; esso ? sulla riva del mare.

— O cielo! ? sclam? Sant'Aubert, come colpito da un'improvvisa rimembranza; ? il convento di Santa Chiara! ?

Emilia osserv? che ai segni del dolore sparsi sulla di lui fronte, mescolavasi un sentimento di[83] orrore. Esso rest? immobile; l'argenteo chiaror della luna colpivagli allora il volto; somigliava ad una di quelle marmoree statue che, poste su di un mausoleo, sembran vegliare sulle fredde ceneri, ed affliggersi senza speranza.

? Ma, caro pap?, ? disse Emilia, volendo distrarlo dai tristi pensieri, ? voi vi scordate quanto avete bisogno di riposo; se il nostro buon ospite me lo permette, io andr? a prepararvi il letto, giacch? so come desiderate che sia fatto. ?

Sant'Aubert si raccolse alquanto, e sorridendole con dolcezza, la preg? di non aumentare la sua fatica con questa nuova premura. Voisin, la cui cortesia era stata sospesa dall'interesse che avevano eccitato i suoi racconti, si scus? di non aver fatto venire ancora Agnese, ed usc? per andare a prenderla.

Poco dopo torn?, conducendo sua figlia, giovine di amabilissima presenza. Emilia intese da lei ci? che non aveva ancora sospettato, cio? che, per dar ricovero a loro, bisognava che parte della famiglia cedesse i suoi letti. Si afflisse di questa circostanza; ma Agnese, nella sua risposta, mostr? la medesima buona grazia e l'istessa ospitalit? del padre. Fu dunque deciso che parte dei figli e Michele andassero a dormire in una casa poco distante.

? Se domani io star? meglio, mia cara Emilia, ? disse Sant'Aubert, ? noi partiremo di buon'ora per poterci riposare durante il caldo del giorno, e torneremo a casa. Nello stato della mia salute e delle mie idee, non posso pensare se non con pena ad un viaggio pi? lungo, e sento il bisogno di tornare alla valle. ?

Anche Emilia desiderava questo ritorno, ma si turb? sentendo una risoluzione cos? subitanea. Suo padre, senza dubbio, stava molto peggio di quello che voleva far credere. Sant'Aubert si ritir? per prendere un po' di riposo. Emilia chiuse la sua cameretta,[84] e non potendo dormire, i di lei pensieri la ricondussero all'ultima conversazione relativa allo stato delle anime dopo morte. Questo soggetto l'alterava sensibilmente, dacch? non poteva pi? lusingarsi di conservare lungamente il padre. Ella si appoggiava pensierosa ad una finestrella aperta. Assorta nelle sue riflessioni, alzava gli occhi al cielo; vedeva il firmamento sparso d'innumerevoli stelle, abitate forse dagli spiriti incorporei; i suoi occhi erravano negli immensi spazi eterei: i di lei pensieri s'innalzavano, come prima, verso la sublimit? di un Dio, e la contemplazione dell'avvenire. Il ballo era cessato, le capanne erano silenziose, l'aria sembrava appena sommuovere leggermente la sommit? degli alberi; il belato di qualche pecorella smarrita, tratto tratto il suono lontano di un campanello, il romore di una porta che si chiudeva, interrompevano soli il silenzio della notte. Anzi da ultimo questi diversi suoni, che le rammentavano la terra e le sue occupazioni, cessarono del tutto: cogli occhi lagrimosi, penetrata da una rispettosa devozione, rest? alla finestra fintanto che, verso mezzanotte, l'oscurit? si fu estesa sulla terra, e che la stella indicata da Voisin disparve dietro il bosco. Si ricord? allora di ci? ch'egli aveva detto su tal proposito, e rammentossi la musica misteriosa; stava alla finestra, sperando e temendo nel tempo istesso di sentirla tornare; era occupata della forte commozione del padre, quando Voisin aveva annunziata la morte del marchese di Villeroy e rammentata la sorte della marchesa, e si sentiva vivamente interessata di conoscerne la causa. La di lei curiosit? su questo oggetto era tanto pi? viva, in quanto che suo padre non aveva mai pronunziato alla di lei presenza il nome di Villeroy. La musica non si sent?: Emilia si accorse che le ore riconducevanla a nuove fatiche; pens? che bisognava alzarsi di buon mattino, e si decise di porsi a letto.


[85]

CAPITOLO VII

Emilia fu svegliata di buon'ora, come l'aveva preveduto. Il sonno l'aveva ristorata un poco; era stata invasa da sogni penosi, e la pi? dolce consolazione degl'infelici non aveale menomamente giovato. Apr? la finestra, guard? il bosco, respir? l'aria pura dell'aurora, e si sent? pi? tranquilla. Tutto il paese spirava quella frescura che sembra apportar la salute. Non si sentivano che suoni dolci e simpatici, come la campana d'un convento lontano, il mormorio delle onde, il canto degli uccelli e il muggito del bestiame, ch'essa vedeva camminare lentamente fra gli sterpi e gli alberi.

Emilia ud? un movimento nella sala, e riconobbe la voce di Michele, che parlava alle sue mule ed usciva con loro da una capanna vicina: usc? essa pure, e trov? il padre, il quale erasi alzato in quel momento, e non istava meglio di prima. Lo condusse nella stanzetta dove avevano cenato la sera avanti: vi trovarono una buonissima colazione, e l'ospite e sua figlia, che li aspettavano per augurar loro il buon giorno.

? Io v' invidio questa bella dimora, amici miei, ? disse Sant'Aubert nel vederli; ? essa ? cos? piacevole, cos? placida, cos? decente! E l'aria che vi si respira! Son certo che questa potrebbe forse restituirmi la salute. ?

Voisin lo salut? garbatamente, e gli rispose con civilt? squisita: ? La mia dimora ? divenuta invidiabile, dacch? voi e questa signorina l'avete onorata della vostra presenza. ?

Sant'Aubert sorrise amichevolmente a questo complimento, e si mise a tavola, la quale era coperta di frutta, burro e cacio fresco. Emilia, che aveva esaminato attentamente il padre, e lo trovava in uno stato deplorabile, l'impegnava premurosamente a[86] protrarre la sua partenza fino a sera; ma egli sembrava impaziente di tornare a casa, ed esprimeva questa impazienza con un calore veramente straordinario. Assicurava che da lunga pezza non s'era sentito tanto bene, e che viaggerebbe con minor pena al fresco del mattino che ad ogni altra ora del d?. Ma mentre esso parlava col suo ospite rispettabile, e lo ringraziava della cortese accoglienza fattagli, Emilia lo vide cambiar di colore e cadere sulla sedia prima ch'essa potesse sostenerlo. In pochi momenti si rimise dall'improvviso deliquio, ma stava cos? male, che si riconobbe incapace di viaggiare; e dopo aver lottato un poco contro la violenza dei suoi mali, domand? di essere aiutato a risalire la scala, e rimettersi in letto. Questa preghiera rinnov? tutti i terrori di Emilia provati il giorno antecedente, ma sebbene potesse appena sostenersi, e resistere al colpo fatale che la colpiva, procur? di reprimere il proprio dolore, e dandogli il braccio tremante, aiut? il padre a tornare nella sua camera.

Appena fu in letto, egli fece chiamare Emilia, la quale piangeva fuori della stanza, e chiese di esser lasciato solo con lei. Allora le prese la mano, e fiss? gli occhi nella figlia con tanta tenerezza e dolore, che il suo coraggio l'abbandon?, ed essa proruppe in un pianto dirotto. Sant'Aubert cercava di conservare la sua fermezza, e non poteva parlare; non poteva che stringerle la mano, e trattenere a stento le proprie lacrime; alfine prese la parola.

? Mia cara figlia, ? diss'egli, sforzandosi di sorridere in mezzo all'impressione del suo dolore, ? mia cara Emilia! ? Fece una pausa, alz? gli occhi al cielo, come per implorarne l'assistenza, ed allora con un tuono di voce pi? fermo, con uno sguardo in cui la tenerezza paterna univasi con dignit? alla pia solennit? d'un santo, ? Figliuola, ? le disse, ? io vorrei addolcire le tristi verit? che sono costretto a svelarti, ma non so nasconderti nulla. Oim?![87] vorrei poterlo fare, ma sarebbe troppo crudele di prolungare il tuo errore: la nostra separazione ? imminente; convien dunque parlarne, e prepararci a sopportarla con le nostre riflessioni e le preghiere. ? Gli manc? la voce; Emilia, sempre piangendo, si strinse la di lui mano al seno, ed oppressa da convulsi sospiri, non aveva nemmen forza d'alzare gli occhi.

? Non perdiamo un solo momento, ? disse Sant'Aubert, rientrando in s? stesso; ? ho molte cose da dirti. Debbo rivelarti un segreto della pi? alta importanza, ed ottenere da te una solenne promessa; quando ci? sar? fatto, io sar? pi? tranquillo. Tu devi aver gi? osservato, mia cara, quanto desidero di essere a casa mia; tu ne ignori la ragione: ascolta ci? che sono per dirti. Ma aspetta, ho bisogno di questa promessa, fatta a tuo padre moribondo! ?

Emilia colpita da queste ultime parole, come se per la prima volta avesse conosciuto il pericolo del padre, alz? la testa; le sue lacrime si arrestarono, e guardandolo un momento con l'espressione di un'insopportabile afflizione, fu assalita dalle convulsioni, e svenne. Le grida di Sant'Aubert attirarono Voisin ed Agnese, che le apprestarono tutti i possibili soccorsi, ma per lunga pezza indarno. Quando Emilia rinvenne, Sant'Aubert era cos? spossato da tutta quella scena, che rest? qualche minuto senza poter parlare. Un cordiale presentatogli da Emilia, rianim? le sue forze. Allorch? per la seconda volta furono soli, egli sforzossi di calmarla, e le prodig? tutte le consolazioni compatibili colla circostanza. Ella si gett? nelle sue braccia, pianse dirottamente, ed il dolore la rendeva talmente insensibile a' suoi discorsi, ch'egli cess? di parlare, non potendo che intenerirsi e mescolare le proprie lacrime a quelle della fanciulla. Richiamata alfine ad un sentimento di dovere, volle risparmiare al padre un pi? lungo spettacolo del suo dolore; si[88] sciolse dalle di lui braccia, asciug? le lacrime, ed articol? qualche parola di consolazione.

? Cara Emilia, ? riprese Sant'Aubert, ? figliuola mia, assoggettiamoci con umile rassegnazione all'Ente che ci ha protetti e consolati nei pericoli e nelle afflizioni. Ogni istante della nostra vita ? da lui conosciuto; egli non ci ha mai abbandonati, e non ci vorr? abbandonare neppure in questo momento. Io sento questa consolazione nel mio cuore; ti lascer?, figlia mia, ti lascer? nelle di lui braccia, e sebbene io abbandoni questo mondo, sar? sempre alla tua presenza. S?; Emilia cara, non piangere: la morte in s? stessa non ha nulla di nuovo o di sorprendente, giacch? sappiamo tutti di essere nati per morire; essa non ha nulla di terribile per coloro che confidano in un Dio onnipotente. Se la vita mi fosse stata prolungata, il corso della natura me la avrebbe tolta fra pochi anni. La vecchiaia, e tuttoci? ch'ella porta seco d'infermit?, di privazioni e d'affanni, sarebbero state quanto prima il mio retaggio; la morte finalmente sarebbe giunta, e ti sarebbe costata quelle lacrime che spargi in questo momento. Rallegrati piuttosto, cara figlia, di vedermi liberato da tanti mali. Io muoio con uno spirito libero, suscettibile delle consolazioni della fede, e con perfetta rassegnazione. ?

Si ferm? stanco di parlare. Emilia si sforz? di ricomporsi, e rispondendo a ci? che le aveva detto, cerc? di persuaderlo che non aveva parlato invano.

Dopo un poco di riposo, egli ripigli?. ? Ma torniamo al soggetto che tanto mi preme. Ti ho detto che aveva da chiederti una promessa solenne; bisogna ch'io la riceva, prima di spiegarti la circostanza principale di cui devo parlarti; sonvene altre che, pel tuo riposo, importa che tu ignori per sempre. Promettimi dunque che eseguirai esattamente ci? che sono per ordinarti. ?[89]

Emilia, colpita dalla gravit? di queste espressioni, si terse le lagrime, cui non poteva impedirsi dallo spargere; e guardando il padre eloquentemente, si obblig? con giuramento a fare ci? che egli esigerebbe da lei, senza sapere di che si trattasse. Allora egli continu?: ? Ti conosco troppo, Emilia cara, per temere che tu abbia a mancar mai ai tuoi impegni, ma sopratutto ad un impegno cos? rispettabile. La tua parola mi pone in calma, e la tua lealt? diviene di un'importanza inconcepibile per la tranquillit? dei tuoi giorni. Ascolta ora ci? che debbo dirti. Il gabinetto contiguo alla mia camera nel nostro castello della valle contiene una specie di botola, che si apre sotto un'asse del pavimento; la riconoscerai ad un nodo rimarchevole del legno; d'altronde, ? la penultima asse dalla parte della parete, ed in faccia alla porta della camera. Circa ad un braccio di distanza dalla finestra, scorgerai una commessura, come se la tavola ne fosse stata cambiata; calca il piede su quella linea, la tavola si abbasser?, e potrai facilmente farla scorrere sotto l'altra; di sotto troverai un vuoto. ? Egli si ferm? per prender fiato, ed Emilia rest? nella pi? profonda attenzione. ? Capisci tu queste istruzioni, mia cara? ? le disse egli. Emilia, capace appena di proferir accento, l'assicur? che l'intendeva benissimo.

? Quando tornerai a casa... ? E sospir? profondamente.

Appena ella lo sent? parlare di questo ritorno, tutte le circostanze che dovevano accompagnarlo si presentarono alla di lei immaginazione; ebbe un nuovo accesso di dolore, e Sant'Aubert, pi? afflitto ancora dallo sforzo e dal ritegno fattosi, non pot? trattenere le lacrime. Dopo alcuni momenti, si riebbe, e continu?: ? Cara figlia, consolati; quando non esister? pi? non sarai abbandonata. Ti lascio sotto l'immediata protezione della provvidenza, che non mi ha negato mai i suoi soccorsi. Non mi affliggere[90] coll'accesso della tua disperazione; insegnami piuttosto, col tuo esempio, a moderare quella che risento. ?

Il malato, il quale non parlava se non con difficolt?, ripigli? il suo discorso dopo una pausa. ? Quel gabinetto, mia cara..... quando tornerai a casa, vacci, e sotto la tavola che ho descritta, troverai un fascio di carte; sta attenta adesso. La promessa che ho ricevuta da te, ? relativa a questo unico oggetto; tu devi bruciare quelle carte senza osservarle, n? leggerle; io te l'ordino assolutamente. ?

La sorpresa d'Emilia superando un istante il suo dolore, chiese il motivo di quella precauzione. Il padre rispose che se avesse potuto spiegarglielo, la promessa da lei richiesta non sarebbe stata pi? necessaria. ? Ti basti, figlia mia, di penetrarti bene di questa ragione: essa ? d'un'estrema importanza. Sotto quella medesima asse troverai circa dugento doppie in una borsa di seta. Questo segreto fu gi? immaginato per mettere in salvo il denaro che si trovava nel castello, allorch? la provincia era inondata da truppe, che, profittando della circostanza, si abbandonavano ad ogni sorta di depredazioni ed al saccheggio. Mi resta ancora da ricevere un'altra promessa da te, ed ?, che in qualunque critica posizione possa trovarti, non venderai mai la nostra possessione della valle. ?

Sant'Aubert aggiunse, che s' ella si fosse maritata, avrebbe dovuto specificare nel contratto nuziale, che il castello le sarebbe rimasto in assoluta propriet?. Le parl? in seguito del suo patrimonio con maggior dettaglio di quel che non avesse fatto fin a quel punto.

? Le dugento doppie, ed il poco denaro che troverai nella mia borsa, son tutto il contante che ho da lasciarti. Ti ho gi? detto in quale stato sono i nostri affari col signor Motteville di Parigi. Ah figlia mia, ti lascio povera, ma non nella miseria. ?[91]

Emilia non poteva rispondere a nulla; inginocchiata accanto al letto, bagnava di lacrime la mano diletta che teneva ancor nelle proprie.

Dopo questo discorso, lo spirito di Sant'Aubert parve molto pi? tranquillo; ma, spossato dallo sforzo fatto, cadde nel sopore. Emilia continu? ad assisterlo ed a piangere vicino a lui, fino a che un lieve colpo battuto alla porta della camera la costrinse a rialzarsi. Voisin venivale a dire che dabbasso eravi un confessore del convento vicino, pronto ad assistere suo padre; ma essa non volle che lo si svegliasse, e fece pregare il sacerdote a non andarsene. Quando Sant'Aubert usc? dal suo sopore, tutti i suoi sensi erano confusi; e ci volle qualche tempo prima ch'ei riconoscesse Emilia. Allora mosse le labbra, le stese la mano, ed essa fu dolorosamente colpita dall'impressione di morte che osservava in tutti i suoi lineamenti. Dopo pochi minuti ricuper? la voce, ed Emilia gli domand? se desiderava vedere un confessore. Le rispose di s?, ed appena fu introdotto il reverendo padre, ella si ritir?. Restarono insieme circa mezz'ora: quindi fu richiamata Emilia, che trov? il padre pi? agitato, ed essa allora guard? il confessore con alquanto risentimento, come s'egli ne fosse stato la cagione. Il buon religioso la rimir? con dolcezza, e Sant'Aubert, con voce tremebonda, la preg? di unire le sue preghiere a quelle degli altri, e dimand? se il suo ospite non volesse associarvisi. Il buon vecchio ed Agnese arrivarono amendue piangendo, e s'inginocchiarono vicino al letto. Il reverendo padre, con voce maestosa, recit? lentamente le preci degli agonizzanti. Sant'Aubert, con volto sereno, si univa con fervore alla loro devozione; qualche lacrima sfuggivagli talvolta dalle socchiuse pupille, ed i singulti di Emilia interruppero spesso l'uffizio. Quando fu finito, e che venne amministrata l'estrema unzione, il religioso se n'and?. Sant'Aubert[92] fe' segno a Voisin d'avvicinarsegli, gli porse la mano, e stette alcun tempo in silenzio. Alfine gli disse con voce fioca:

? Mio buon amico, la nostra conoscenza fu breve, ma essa bast? per dimostrarmi il vostro buon cuore; io non dubito che voi non trasportiate tutta questa benevolenza su mia figlia: quando non sar? pi?, essa ne avr? bisogno. L'affido alle cure vostre, pei pochi giorni cui dee passar qui: non vi dico di pi?. Voi avete figli, conoscete i sentimenti d'un padre: i miei diventerebbero penosi assai se avessi meno fiducia in voi. ?

Voisin lo rassicur?, e le lagrime attestavano la sua sincerit?, che nulla trascurerebbe per addolcire l'affanno d'Emilia, e che, s'ei lo bramasse, l'avrebbe ricondotta in Guascogna. L'offerta grad? tanto al moribondo, che non trov? parole ond'esprimere la propria gratitudine, o a meglio dire che l'accettava.

? Soprattutto, Emilia cara, ? ripigli? il morente, ? non cedere alla magia de' bei sentimenti: gli ? l'errore d'uno spirito amabile; ma quelli che posseggono una vera sensibilit?, debbon sapere di buon'ora quant'ella sia cosa pericolosa; ? dessa che tragge dalla menoma circostanza un eccesso di guai o di piacere. Nel nostro passaggio traverso questo mondo noi incontriamo pi? mali assai che godimenti; e siccome il sentimento della pena ? sempre pi? vivo che quello del benessere, la nostra sensibilit? ci rende vittima quando non sappiamo moderar e contenerla. ?

Emilia gli ripet? quanto i suoi consigli le fossero preziosi, e gli promise di non dimenticarli mai e cercare di approfittarne. Sant'Aubert le sorrise con affetto e tristezza insieme. ? Lo ripeto, ? le disse, ? io non vorrei renderti insensibile, quand'anche ne avessi il potere; vorrei solo guarentirti dagli eccessi della sensibilit? ed insegnarti ad evitarli. ? spregevolissima quella pretesa umanit? che si contenta di compiangere, n? pensa a confortare!... ?[93]

Sant'Aubert, qualche tempo dopo, parl? della signora Cheron sua sorella.

? Bisogna ch'io t'informi, ? aggiunse, ? d'una circostanza interessante per te. Noi abbiamo avuto, lo sai, pochissimi rapporti con lei, ma ? la sola parente che hai: ho creduto conveniente, come vedrai nel mio testamento, di affidarti alle sue cure sino all'et? maggiorenne: essa non ? veramente la persona alla quale avrei voluto rimettere la mia cara Emilia, ma non aveva altra alternativa, e la credo in fondo poi una buona donna; non ho d'uopo, figliuola, di raccomandarti d'usar la prudenza per conciliarti le sue buone grazie: lo farai del certo in memoria di chi l'ha tentato tante volte per te. ?

Emilia protest? che quant'egli le raccomandava sarebbe religiosamente eseguito. ? Aim?! ? soggiunse affogata dai singhiozzi; ? ecco in breve quanto mi rimarr?; sar? la mia unica consolazione il compiere esattamente tutti i vostri desiderii. ?

La fanciulla non potea che ascoltare e piangere, ma la calma estrema del padre, la fede, la speranza cui dimostrava, lenivano alquanto la di lei disperazione. Nondimeno, essa vedeva quella figura scomposta, que' segni precursori di morte, quegli occhi infossati, e sempre fissi in lei, quelle pupille pesanti e preste a chiudersi: avea il cuore lacerato, e non poteva esprimersi. Ei volle darle ancora una volta la benedizione. ? Dove sei, cara mia? ? disse egli allungando debolmente le mani verso di lei.

Emilia era rivolta dalla parte della finestra per nascondere la sua inesprimibile afflizione; ma comprese allora ch'egli non ci vedeva pi?: le impart? la sua benedizione, che parve l'ultimo sforzo della sua vita spirante, e ricadde sul guanciale; essa lo baci? in fronte; il freddo sudore della morte gl'innondava le tempie; e dimenticando tutto il suo coraggio, gliele irrig? di lagrime. Il morente apr? gli occhi; egli esisteva ancora, ma erano gli ultimi[94] sforzi della natura affralita, ed in breve la sua anima vol? innanzi al Supremo Motore.

Emilia fu strappata a viva forza da quella camera da Voisin e da sua figlia, che procurarono di calmare il suo dolore; il vecchio piangeva con lei, ma i soccorsi di Agnese erano pi? opportuni.


CAPITOLO VIII

Il buon religioso della mattina ritorn? la sera per consolare Emilia, e le port? l'invito dell'abbadessa di un convento vicino al suo di recarsi da lei. La fanciulla non accett? l'offerta, ma rispose con molta riconoscenza. La pia conversazione del confessore, la dolcezza delle sue maniere, che somigliavano a quelle del defunto padre, calmarono un poco la violenza dei suoi trasporti: innalz? il cuore all'Ente Supremo, presente da per tutto. — Relativamente a Dio, — pensava Emilia, — il mio dilettissimo padre esiste come ieri esisteva per me: egli non ? morto che per me; per Dio, per lui, veramente esiste. —

Ritirata nella sua cameretta, i suoi pensieri malinconici vagarono ancora intorno al padre. Immersa in una specie di sonno, imagini lugubri offuscaronle l'immaginazione. Sogn? di vedere il genitore accostarsele con benevolo contegno. D'improvviso, sorrise mesto, alz? gli occhi, apr? le labbra; ma invece delle sue parole, ud? una musica soave, trasportata sull'aere a grandissima distanza. Vide allora tutti i suoi lineamenti animarsi nella beata estasi d'un ente superiore: l'armonia diventava pi? forte; essa si dest?. Il sogno era finito, ma la musica durava ancora, ed era una musica celeste.

Tese l'orecchio, e si sent? agghiacciata da superstizioso rispetto: le lagrime cessarono, si alz?, ed affacciossi alla finestra. Tutto era oscuro, ma Emilia, distogliendo gli occhi dalle tetre selve che frastagliavan[95] l'orizzonte, vide a manca quell'astro brillante ond'avea favellato il vecchio, e che trovavasi al di sopra del bosco. Ricordossi quanto avea detto, e siccome la musica agitava l'aere ad intervalli, apr? la finestra per ascoltar la dolce armonia, la quale poco dopo and? affievolendosi, ed essa tent? indarno scoprire donde partisse. La notte non le permise di nulla distinguere sul prato sottoposto, ed i suoni diventando successivamente pi? fiochi e soavi, cessero alfine il luogo ad un assoluto silenzio...

Il giorno dipoi essa ricev? un nuovo invito dalla badessa; Emilia che non poteva risolversi ad abbandonare la casuccia finch? vi riposava il cadavere del padre, acconsent? con ripugnanza di andare quella medesima sera a rassegnarle il suo rispetto. Un'ora circa avanti il tramonto del sole, Voisin le serv? di guida, e la condusse al convento traversando il bosco. Questo convento era situato, al par di quello dei frati di cui abbiam parlato, all'estremit? di un piccolo golfo del Mediterraneo. Se Emilia fosse stata meno infelice, avrebbe ammirato la bella vista di un immenso mare, che si scopriva da un colle, sul quale sorgeva l'edificio; essa avrebbe contemplato quelle ricche spiaggie coperte d'alberi e di pasture, ma le sue idee erano fisse in un solo pensiero, e la natura non aveva ai suoi occhi n? forma, n? colore. Mentre passava per l'antica porta del convento la campana suon? a vespro, e le parve il primo tocco del funerale del padre. I pi? leggeri incidenti bastano per alterare uno spirito infiacchito dal dolore. Emilia super? la crisi penosa, da cui era agitata, e si lasci? condurre dalla badessa, la quale la ricev? con materna bont?. La di lei fisonomia interessante, i suoi sguardi benigni, penetrarono Emilia di riconoscenza; avea gli occhi pieni di lacrime, e non poteva parlare. La badessa la fece sedere vicino a lei e l'osserv? in silenzio, mentre essa cercava di asciugare le lacrime. ? Calmatevi,[96] figliola, ? le disse ella con voce affettuosa; ? non parlate, io v'intendo, voi avete bisogno di riposo. Noi andiamo alla preghiera; volete accompagnarci? ? una consolazione, fanciulla cara, il poter deporre i propri affanni in seno del nostro Padre celeste: egli ci vede, ci compiange, e ci castiga nella sua misericordia. ?

Emilia vers? nuove lacrime, ma le pi? dolci emozioni ne mitigarono l'amarezza. La badessa la lasci? piangere senza interromperla, guardandola con quell'aria di bont? che pareva indicare l'attitudine di un angelo custode; Emilia divenne pi? tranquilla, parlando francamente, spieg? i suoi motivi di non lasciare l'abitazione di Voisin.

La badessa approv? i di lei sentimenti ed il suo rispetto figliale, ma l'invit? a passare qualche giorno al convento, prima di ritornare al suo castello. ? Procurate di distrarvi, figlia mia, ? le disse ella, ? per rimettervi un poco da questa scossa, prima di arrischiarne una seconda; non vi dissimuler? quanto il vostro cuore si sentir? lacerare alla vista del teatro della vostra passata felicit?; qui voi troverete tutte le consolazioni che possono offrire la pace, l'amicizia e la religione; ma venite, ? soggiunse vedendo che gli occhi le si riempivano di lacrime, ? venite, scendiamo in cappella. ?

Emilia la segu? in una sala, ov'erano gi? riunite tutte le monache; la badessa la present? dicendo: ? ? una giovane per la quale ho molta considerazione; trattatela come vostra sorella. ? Andarono tutte insieme alla cappella, e l'edificante devozione colla quale fu recitato l'uffizio divino, elev? lo spirito di Emilia alle consolazioni della fede e d'una perfetta rassegnazione.

L'ora era gi? avanzata, quando la badessa acconsent? a lasciarla partire. Ella usc? dal convento meno oppressa di quando v'era entrata, e fu ricondotta a casa da Voisin. Essa lo seguiva pensierosa in un[97] sentieruzzo poco battuto, quando d'improvviso la sua guida si ferm?, guardossi intorno, gettossi fuor del sentiero nello scopeto, dicendo d'avere smarrita la strada; camminava con molta velocit?. Emilia, che non poteva seguirlo in un terreno lubrico e nella oscurit?, restava a gran distanza, e fu costretta di chiamarlo: egli non voleva fermarsi, e l'invitava ad accelerare il passo con ruvidezza.

? Se voi non siete certo della vostra strada, ? disse Emilia, ? non sarebbe meglio indirizzarvi a quel gran castello che scorgo l? fra gli alberi?

— No, ? disse Voisin, ? non ne vale la pena: quando saremo a quel ruscello dove voi vedete splendere un lume al di l? del bosco, noi saremo a casa. Non capisco come ho potuto fare a smarrirmi: sar? forse perch? vengo rare volte da queste parti dopo il tramonto del sole.

— ? un luogo molto solitario, ? disse Emilia. ? Ma per? non ci sono assassini?

— No, signorina, non ve ne sono.

— Cosa ? dunque che vi spaventa tanto, amico mio? Sareste mai superstizioso?

— No, non lo sono; ma, per dirvi la verit?, signorina, nessuno ama trovarsi la notte nelle vicinanze di quel castello.

— Da chi ? dunque abitato per crederlo cos? formidabile?

— Oh! signorina, se almeno fosse abitato! Il signor marchese ? morto, come vi dissi; non ci era venuto da molti anni, ed i suoi servitori si sono ritirati in una casuccia poco lontana. ?

Emilia comprese allora che il castello era quello di cui aveva gi? parlato Voisin, e che aveva appartenuto al marchese di Villeroy, la cui morte aveva tanto sorpreso il di lei padre.

? Ah, ? disse Voisin; ? com'esso ? desolato! Era pure una bella casa; che bella situazione! quando me ne ricordo... ?[98]

Emilia gli domand? il motivo di quel terribile cambiamento. Il vecchio taceva, ed essa, colpita dallo spavento ch'egli manifestava, occupata soprattutto dall'interesse manifestato da suo padre, ripet? la domanda, ed aggiunse: Se non sono gli abitanti che vi spaventano, e se non siete superstizioso, per qual ragione dunque, amico mio, non avete il coraggio di avvicinarvi la sera a quel castello?

— Ebbene dunque, signorina, sar? forse un poco superstizioso, ma se ne sapeste la vera cagione, potreste divenirlo anche voi. Sono accadute col? cose stranissime; il vostro buon padre pareva aver conosciuto la marchesa.

— Ditemi, vi prego, cos'? accaduto? ? gli disse Emilia molto commossa.

— Oim?! ? rispose Voisin; ? non mi domandate di pi?; i segreti domestici del mio padrone devono essere sempre sacri per me. ?

Emilia, sorpresa da quest'ultima espressione, e sopratutto dal tuono di voce con cui avevala pronunziata, non volle fare ulteriori domande. Un interesse pi? vivo, l'imagine di Sant'Aubert, occupava allora tutti i suoi pensieri, ella si ramment? la musica della notte precedente, e ne parl? a Voisin. ? Voi non siete stata la sola, ? le diss'egli; ? l'ho udita anch'io; ma ci? m'accade cos? spesso a quell'ora, che non ci bado pi?.

— Voi credete al certo, ? disse Emilia, ? che questa musica abbia rapporti col castello, ed ecco perch? siete superstizioso, n'? vero?

— Pu? essere signorina; ma vi sono altre circostanze relative a quel castello, e delle quali io conservo tristamente la memoria. ?

Queste parole furono accompagnate da un profondo sospiro, e la delicatezza di Emilia trattenne la curiosit?, che le avevano destato quei detti misteriosi.

Tornata a casa, la sua disperazione ricominci?:[99] pareva che non ne avesse sospeso il corso se non perdendo momentaneamente di vista colui che ne formava il soggetto; and? tosto a contemplare la salma del padre, e ced? a tutti i trasporti di un dolore senza speranza. Voisin avendola finalmente decisa di allontanarsene, se ne torn? nella sua camera. Oppressa dalle fatiche del giorno, si addorment? immediatamente, e quando si svegli? trovossi molto pi? sollevata.

Sant'Aubert aveva domandato di essere sepolto nella chiesa delle monache di Santa Chiara; aveva scelta la cappella settentrionale, prossima alla sepoltura dei marchesi di Villeroy, e ne aveva indicato il posto. Il superiore vi acconsent?, e la processione funebre s'incammin? a quella volta. Il venerando padre, seguito da molti preti, venne a riceverla alla porta. Il canto del Miserere, il suono dell'organo, che rimbomb? in chiesa quando vi entr? la bara, i passi vacillanti, e l'aria abbattuta di Emilia, avrebbero strappato le lacrime ai cuori pi? duri; ma essa non ne vers? neppur una. Colla faccia semicoperta da un velo nero, camminava in mezzo a due persone che la sorreggevano; la badessa la precedeva, le monache la seguivano, ed il lamentoso loro canto faceva eco a quello lugubre del coro. Quando la processione fu giunta al sepolcro, Emilia abbass? il velo, e nell'intervallo dei canti si distinsero facilmente i di lei singulti. Il reverendo sacerdote cominci? la messa, ed Emilia riesc? a frenarsi alquanto, ma quando il cadavere fu deposto nella tomba, quando ud? gettar la terra che dovea ricoprirlo, le sfugg? un fioco gemito, e cadde in braccio alla persona che la sosteneva; ma si rimise prontamente, e pot? intendere quelle parole sublimi: — Il suo corpo riposa in pace, e l'anima ? tornata a Chi glie l'ha data. — La sua disperazione allora fu sollevata da un diluvio di lacrime.[100]

La badessa la fece uscire di chiesa, la condusse nel suo appartamento, e le offr? tutti i soccorsi della santa religione e di una tenera piet?. La fanciulla facea sforzi per vincere la sua debolezza; ma la superiora, la quale l'osservava attenta, le fece preparare un letto e la indusse al riposo. Reclam? con bont? la promessa fatta da lei di passar qualche giorno al convento. Emilia, cui nulla pi? richiamava alla capanna, teatro del suo infortunio, ebbe agio allora di considerar la sua posizione, e si sent? incapace di ripartire immediatamente.

Intanto la bont? materna della badessa e le dolci attenzioni delle monache nulla risparmiavan per calmare il di lei spirito e restituirla in salute; ma essa avea provato scosse troppo violente per ristabilirsi presto: fu adunque per parecchie settimane colta da lenta febbre, e cadde in uno stato di languore. S'affligea di lasciar la tomba dove riposavano le ceneri del padre; si lusingava che, se moriva col?, sarebbe a lui riunita. Intanto, Emilia scrisse alla signora Cheron sua zia ed alla sua vecchia governante per partecipar loro l'accaduto, ed informarle della sua situazione. Mentre l'orfanella stava in convento, la pace interna di quell'asilo, la bellezza de' dintorni, le attenzioni della superiora e delle monache fecero su lei un effetto s? attraente, che fu quasi tentata di separarsi dal mondo; essa avea perduto i suoi pi? cari amici, voleva chiudersi in quel chiostro, in un soggiorno che il sepolcro del padre rendeale sacro in sempiterno. L'entusiasmo del suo pensiero, ch'erale quasi naturale, avea sparso una vernice s? patetica sul santo ritiro d'una monaca, ch'ell'avea quasi smarrito di vista il vero egoismo che lo produce. Ma i colori che un'imaginazione malinconica, lievemente imbevuta di superstizione, prestava alla vita monastica, svanirono a poco a poco, quando le tornarono le forze, e ricondussero un'imagine ch'erane stata bandita soltanto passaggiermente.[101] Tale memoria richiamolla tacitamente alla speranza, alla consolazione, ai pi? dolci sentimenti; bagliori di felicit? mostraronsi da lunge, e bench? non ignorasse a qual punto potevano esser fallaci, non volle privarsene. Dopo parecchi giorni, ricev? una risposta dalla sua zia, gonfia di espressioni comuni di condoglianza, ma non d'un vero dolore; le annunziava che una persona da lei incaricata sarebbe andata a prenderla per ricondurla al castello della valle, giacch? le di lei occupazioni non le permettevano d'intraprendere un s? lungo viaggio. Sebbene Emilia preferisse la sua valle a Tolosa, fu nonostante colpita da una condotta cos? poco delicata e sconveniente. La zia permetteva ch'ella ritornasse al suo castello senza parenti e senza amici per consolarla e per difenderla; e questa condotta diveniva tanto pi? colpevole, in quanto che suo padre moribondo aveva affidata la derelitta figliuola alle cure della sorella, com'essa l'aveva avvisata nella lettera scrittale.

Passarono alcuni giorni dall'arrivo dell'inviato della signora Cheron all'epoca in cui Emilia fu in grado di partire. La sera precedente alla sua partenza, and? a casa di Voisin per congedarsi da quella buona famiglia, ed attestarle la sua riconoscenza: trov? il buon vecchio assiso sulla porta, fra la figlia ed il genero, che, riposando in quel momento dai lavori della giornata, suonava una specie di flauto somigliante ad una zampogna. Essi avevano innanzi a s? imbandita una piccola mensa ben provvista di pane, frutti e vino; i ragazzi, tutti belli e pieni di salute, godevano intorno alla tavola della refezione che lor veniva distribuita con indicibile affetto dai genitori. Emilia si ferm? un momento prima di avvicinarsi, contemplando il quadro interessante di quella buona gente; essa guardava attentamente quel vecchio rispettabile, e girando gli occhi sulla casa, l'immagine del padre le ramment? tutto l'orrore[102] della sua situazione. Disse addio a tutta la famiglia con un'espressione la pi? tenera e sensibile; Voisin l'amava come sua figlia e versava lacrime. Emilia piangeva; evit? di entrare nella casetta, che le avrebbe rinnovato impressioni troppo dolorose, e part?.

Tornata al convento, ella si decise di visitare ancora una volta la tomba del padre. Avendo inteso che un andito sotterraneo conduceva a quei sepolcri, aspett? che tutti fossero in letto, eccettuato una monaca che le aveva promessa la chiave della chiesa. Emilia rest? in camera finch? l'orologio suon? mezzanotte, ed allora giunse la monaca colla chiave promessa. Scesero insieme una scaletta a chiocciola; la monaca si offr? di accompagnarla fino al sepolcro, aggiungendo spiacerle il lasciarla andar sola a quell'ora; ma Emilia la ringrazi?, e non pot? acconsentire di avere un testimonio del suo dolore. La buona religiosa apr? una porticina e le porse il lume. Emilia la ringrazi?, si avanz? nella chiesa, e suora Maria si ritir?. Assalita da improvviso terrore, la fanciulla si riavvicin? alla porta, ed era tentata di richiamarla, ma al momento stesso, vergognandosi del suo timore, si avanz? nuovamente. L'aria fredda e umida di quel luogo, il cupo silenzio che vi regnava, e un fioco raggio di luna che traversava una finestra gotica, avrebbero senza dubbio risvegliata in chiunque la superstizione; ma essa in quel punto non aveva altro pensiero che il suo dolore. Tutto ad un tratto le parve vedere un'ombra fra le colonne; si ferm?, ma non avendo udito i passi di alcuno, conobbe esser l'effetto della sua imaginazione alterata. Sant'Aubert era sepolto in un'urna semplicissima, la quale non portava altra iscrizione fuor del suo nome e cognome, la data della nascita e quella della morte, ed era situata al pi? del pomposo mausoleo de' Villeroy. Emilia vi si trattenne in orazione finch? la[103] campana del mattutino l'avvert? esser tempo di ritirarsi. Vers? ancora qualche lacrima, baci? il prezioso sarcofago, e se ne torn? in camera abbandonando un luogo cos? tristo. Dopo quel momento di effusione gust? di un sonno tranquillo; svegliandosi, si sent? lo spirito pi? calmo, e parve pi? rassegnata di quello fosse stata dopo la morte del padre.

Giunto il momento della partenza, tutto il suo dolore si rinnov?; la memoria di suo padre nella tomba, e la bont? di tante persone viventi, l'affezionavano a quella dimora; ella sembrava provare, per il luogo ove riposava Sant'Aubert, quella tenera affezione che si risente per la patria. La badessa, nel separarsi da lei, le diede tutte le pi? sensibili testimonianze di attaccamento, e l'impegn? a tornare, se altrove non avesse incontrata quella considerazione, che dovea aspettarsi. Le altre monache le esternarono i pi? vivi rammarici; alla perfine lasci? il convento colle lacrime agli occhi, portando seco l'affetto ed i voti di tutte le persone che vi restavano.

Aveva gi? percorso un lungo tratto di paese prima che il magnifico spettacolo, che si offeriva alla sua vista, potesse distrarla. Assorta nella malinconia, non not? tanti oggetti incantevoli se non per rammentarsi meglio il padre perduto. Sant'Aubert trovavasi con lei quando prima li aveva veduti, e le di lui osservazioni su di essi le tornavano alla memoria. Quel giorno pass? nel languore e nell'abbattimento; la notte essa dorm? sulla frontiera della Linguadoca, ed il d? successivo entr? in Guascogna.

Al tramontar del sole, Emilia si trov? nelle vicinanze della valle tutti quei luoghi che conosceva s? bene, richiamandola a rimembranze che le straziavano il cuore, ridestarono tutta la sua tenerezza ed il suo dolore; guardava piangendo le vette dei Pirenei colorite allora dalle pi? belle e vaghe tinte del tramonto. ? L?, ? sclamava essa, ? l? sono[104] quelle medesime grotte; ecco l? il medesimo bosco di abeti ch'egli guardava con tanta compiacenza quando passammo insieme da quei luoghi! Ecco l? quella capanna sull'ameno colle del quale mi aveva fatto disegnare la veduta. Oh! padre mio, io non vi vedr? mai pi?. ?

La strada ad una svolta le lasci? scorgere il castello in mezzo a quel magnifico paesaggio; i fumaiuoli, imporporati dall'occaso, sorgevan dietro le piantagioni favorite di Sant'Aubert, il cui fogliame celava le parti basse dell'edifizio. Emilia non pot? reprimere un profondo sospiro. — Quest'ora, pensava ella, era pure la sua ora prediletta. — E vedendo il paese sul quale allungavansi le ombre: ? Qual quiete! ? sclamava; ? qual deliziosa scena! tutto ? tranquillo, tutto ? amabile, aim?! come gi? un tempo! ?

Ella resisteva ancora al peso terribile del suo dolore, quando ud? la musica dei balli campestri che bene spesso aveva osservati passeggiando col padre sulle fiorite sponde della Garonna. Allora pianse amaramente fino al momento in cui si ferm? la carrozza. Alz? gli occhi, e riconobbe la sua vecchia governante che apriva la porta della casa. Il cane di suo padre veniva festoso incontro di lei, e quando fu discesa la colm? di carezze; lo che aument? il di lei vivo dolore.

? Mia cara padroncina... ? le disse Teresa, e poi si ferm?; le lacrime di Emilia le impedivano di replicare; il cane saltellava intorno a lei; di repente corse alla carrozza. ? Ah! signora Emilia, povero il mio padrone! ? sclam? Teresa; ? il suo cane ? andato a cercarlo. ?

Emilia singhiozz? vedendo quell'animale amoroso saltare in carrozza, scendere, fiutare, e cercare con inquietudine.

? Venite mia cara signorina, ? disse Teresa, ? andiamo; che cosa potr? io darvi per rinfrescarvi? ?[105]

Emilia prese la mano della governante, sforzandosi di moderare il suo dolore, con interrogazioni sullo stato della di lei salute. Camminava lentamente verso la porta, si fermava, faceva un passo, e si fermava di nuovo. Qual silenzio! Qual abbandono, qual morte in quel castello! Temendo di rientrarvi, e rimproverandosi le sue esitanze, travers? rapidamente la sala, come se avesse temuto di guardarsi intorno, ed apr? il gabinetto che altre volte chiamava il suo. L'imbrunir della sera dava qualcosa di solenne al disordine di quel luogo: le sedie, i tavolini, e tutti gli altri mobili, che in tempi pi? felici osservava appena, parlavano allora troppo eloquentemente al suo cuore; ella sedette vicino ad una finestra che guardava sul giardino, d'onde, in compagnia del padre, aveva spesso contemplato l'effetto maraviglioso del sole all'occaso. Non si contenne pi? e si trov? sollevata da quello sfogo.

? Vi ho preparato il letto verde, ? disse Teresa portandole il caff?; ? ho creduto che ora lo preferireste al vostro. Non avrei mai creduto che aveste a tornar sola. Qual giorno, gran Dio! La nuova, quando la ricevetti, mi trapass? il cuore: chi l'avrebbe detto, quando part? il mio povero padrone, che non doveva tornare mai pi?? ?

Emilia si copr? la faccia col fazzoletto, e le accenn? di tacere e partirsene.

La fanciulla rimase alcun tempo immersa in alta mestizia; non vedea un solo oggetto che non le ravvivasse il suo dolore: le piante favorite di Sant'Aubert, i libri scelti per lei, e cui leggevano spesso insieme, gli strumenti musicali onde amava tanto l'armonia e che suonava egli medesimo. Alla fine, fattasi coraggio, volle vedere l'appartamento abbandonato; sent? che la sua pena sarebbe aumentata se differiva.

Travers? il cortile, ma il coraggio le venne meno nell'aprir la biblioteca; forse l'oscurit? che la sera[106] ed il fogliame diffondevano intorno accresceva il religioso effetto di quel luogo, dove tutto le parlava del padre. Scorse la sedia nella quale si poneva: rimase interdetta a tal vista, ed immaginossi quasi averlo visto in persona dinanzi a lei. Cerc? scacciare le illusioni d'un'immaginazione turbata, ma non pot? astenersi da un certo rispettoso terrore che mescolavasi alle sue emozioni. Inoltr? pian piano verso la sedia e vi s'assise; avea presso un legg?o, su cui stava un libro che suo padre non avea chiuso; riconoscendo la pagina aperta, rammentossi che la vigilia della sua partenza Sant'Aubert aveagliene letto qualcosa: era il suo autore favorito. Guard? il foglio, pianse, e torn? a guardarlo: quel libro era sacro per lei; essa non avrebbe chiusa la pagina aperta per tutti i tesori del mondo; ristette dinanzi al legg?o, non potendo risolversi a lasciarlo.

In mezzo ai suoi tristi pensieri, vide la porta aprirsi lentamente; un suono cui ud? in fondo alla stanza, la fece trabalzare; credette scorgere qualche movimento. Il subietto della sua meditazione, l'abbattimento de' suoi spiriti, l'agitazione de' sensi le cagionarono un repentino terrore; s'aspett? qualcosa di sovrannaturale. Ma la ragione vincendo la paura: ? Di che ho io a temere? ? disse; ? se le anime di coloro che amiamo compariscono, non pu? essere che pel nostro meglio. ?

Il silenzio che regnava la fece vergognare del suo timore; frattanto il medesimo suono ricominci?; distinguendo qualcosa intorno a lei, che venne ad urtar leggermente la sua sedia, gett? un grido, ma non pot? nel tempo stesso trattenersi dal sorridere con un po' di confusione, riconoscendo il buon cane che si accucciava vicino a lei, e le lambiva le mani. Emilia, non trovandosi in grado quella sera di visitare tutto il castello, usc? ed and? a passeggiare in giardino, sul terrazzo sovrastante al fiume. Il sole era tramontato, ma sotto i fronzuti rami de' mandorli[107] distinguevansi le strisce di fuoco che indoravano il crepuscolo. La fanciulla si avvicin? al platano favorito, ove Sant'Aubert sedeva spesso vicino a lei, e dove la sua tenera madre le aveva tante volte parlato delle delizie della vita futura; quante volte ben anco suo padre aveva trovato conforto nell'idea di una eterna riunione! Oppressa da tale rimembranza, lasci? il platano, ed appoggiandosi al muro del terrazzo, vide un gruppo di contadini che ballavano allegramente sulle rive della Garonna, la cui vasta estensione rifletteva gli ultimi raggi del d?. Qual doloroso contrasto per la povera Emilia, infelice e desolata! Si volt?, ma oim?! dove poteva essa andare senza incontrar ad ogni passo oggetti fatti per aggravare il suo dolore? se ne tornava lentamente a casa quando incontr? Teresa, la quale sgridolla dolcemente di esporsi sola in giardino ed a quell'ora, dove non poteva ricevere alcuna consolante assistenza nello stato penoso in cui si trovava.

? Ve ne prego, Teresa, lasciatemi tranquilla, ? disse Emilia; ? la vostra intenzione ? ottima, ma l'eloquenza ? male adattata in questo momento.

— Intanto la cena ? preparata, ? rispose la governante.

— Non posso mangiare, ? disse Emilia.

— Fate malissimo, mia cara padrona, bisogna nutrirsi. Vi ho preparato un fagiano, che m'ha mandato stamattina il signor Barreaux: avendolo incontrato ieri, gli dissi che vi aspettava; vi giuro che non ho mai veduto un uomo pi? afflitto di lui, quando gli diedi la trista nuova... ?

Emilia, malgrado tutte le premure di Teresa, non volle mangiare, e si ritir? nella sua camera.

Qualche giorno appresso ricev? lettere di sua zia. La signora Cheron, dopo alcune espressioni di consolazione e di consiglio, la invitava ad andare a Tolosa, aggiungendo che il defunto fratello avendole affidata la sua educazione, si credeva in obbligo[108] d'invigilare sopra di lei. Emilia avrebbe preferito di restare alla valle; essendo esso l'asilo della sua infanzia ed il soggiorno di coloro che aveva perduti per sempre, poteva piangerli liberamente senza essere molestata da alcuno; ma desiderava parimenti non dispiacere alla sola parente che le restava.

Quantunque la di lei tenerezza non le permettesse di dubitare un istante sulle ragioni che avevano determinato Sant'Aubert a fare questa scelta, Emilia comprendeva benissimo che la sua felicit? andava ad essere esposta ai capricci della zia. Rispondendole, ella chiese il permesso di restare ancora qualche tempo nella valle, allegando il suo estremo abbattimento, ed il bisogno che aveva di riposo e di solitudine, per ristabilirsi dai dispiaceri sofferti; sapeva benissimo che i di lei gusti differivano assai da quelli di sua zia, la quale amava la dissipazione, e le sue ricchezze le permettevano di goderne. Dopo avere scritta questa lettera, Emilia si sent? pi? sollevata.

Ricev? la visita di Barreaux, il quale compiangeva sinceramente la perdita dell'amico.

? Non posso rammentarmene senza il pi? vivo interesse, ? diceva egli; ? io non trover? alcuno che lo somigli. Se avessi incontrato un uomo solo come lui nel mondo, non ci avrei rinunciato. ?

L'affezione di Barreaux per Sant'Aubert lo rendeva estremamente caro ad Emilia; la di lei maggior consolazione consisteva nel parlare de' suoi genitori con un uomo che stimava moltissimo, e che, sotto un esteriore poco gradevole, nascondeva un cuore tanto sensibile ed uno spirito cos? coltivato.

Scorsero parecchie settimane, ed Emilia nel suo pacifico ritiro pass? gradatamente dal dolore ad una dolce malinconia; poteva gi? leggere, e leggere perfino i libri che aveva percorsi col padre, sedere al suo posto nella biblioteca, inaffiare i fiori da lui[109] piantati, suonare il pianoforte, e cantare di tempo in tempo qualcuna delle sue arie favorite.

Quando il suo spirito fu un poco rimesso da questa prima scossa, comprese il pericolo di cedere all'indolenza, e pensando che un'attivit? sostenuta avrebbe potuto restituirle la forza, si attacc? scrupolosamente ad impiegare con metodo tutte le ore del giorno. Allora conobbe pi? che mai il pregio dell'educazione ricevuta. Coltivando la di lei mente, Sant'Aubert le aveva assicurato un rifugio contro l'ozio e la noia. La dissipazione, i brillanti divertimenti e le distrazioni della societ? da cui separavala la sua posizione attuale, non eranle punto necessari. Ma, nel tempo medesimo, il padre aveva sviluppato le preziose qualit? del suo spirito; spargendo le sue beneficenze intorno a s?, con la bont? e la compassione addolciva i mali di coloro che non poteva alleviare coi soccorsi; in una parola, sapeva compatire tutti gli esseri che si trovavano vittima dei mali inseparabili della vita umana.

Non ricevendo nessuna risposta dalla Cheron, Emilia cominciava a lusingarsi di poter prolungare il suo soggiorno nella valle; e sentendosi bastantemente in forza, si arrischi? a visitare quei luoghi, ove il passato rappresentavasi pi? vivamente al di lei spirito; recossi dunque alla peschiera, e per aumentare la malinconia, che tanto le piaceva, port? seco il liuto, e vi and? in una di quelle ore della sera che tanto si affanno all'immaginazione e al cuore: quando la fanciulla fu tra i boschi e vicina a quel luogo delizioso, si ferm?, appoggiossi contro un albero, e pianse qualche minuto prima di avanzarsi. La stradella che menava al padiglione era allora tutta ingombra di erbe; i fiori seminati da suo padre sui margini, ne parevan quasi soffocati; le ortiche, il caprifoglio crescevano a cespi; ed ella osservava tristamente quella passeggiata negletta; ove tutto annunziava il disordine e la noncuranza,[110] apr? la porta tremando. ? Ah! ? disse; ? ogni cosa ? al suo posto come ve la lasciai quando ci stava in compagnia di chi non rivredr? mai pi?. ? Se ne stava ella cos? pensierosa, senza riflettere ch'era imminente la notte, e che gli ultimi raggi del sole indoravano gi? la cima de' monti; sarebbe rimasta senza dubbio pi? a lungo in quella situazione, se non fosse stata risvegliata da un rumore di passi dietro l'edifizio. Poco dopo fu aperta la porta, comparve uno straniero, e stupefatto di vedere Emilia, la supplic? di scusare la sua indiscretezza. Al suono di quella voce, svan? il timore di lei, ma crebbe la sua commozione. Quella erale famigliare, e sebbene non potesse riconoscerne l'oggetto, la memoria le serviva troppo bene perch'ella conservasse paura.

L'ignoto ripet? le sue scuse. Emilia rispose qualche parola, ed allora avanzandosi esso con vivacit?, esclam?: ? Gran Dio! ? mai possibile? Certo, io non m'inganno, ? la signorina Sant'Aubert.

— ? vero, ? disse Emilia, riconoscendo Valancourt, la cui fisonomia sembrava molto animata. Mille rimembranze penose rinnovarono le sue tristi afflizioni, e lo sforzo che fece per contenersi, non serv? se non ad agitarla davvantaggio. Valancourt intanto s'informava premurosamente della salute di Sant'Aubert. Un torrente di lacrime gli fece conoscere pur troppo la fatal notizia. Egli la condusse ad una sedia, e si assise vicino a lei che continuava a piangere, mentre il giovane teneva una mano stretta fra le sue.

? Io so, ? disse finalmente, ? quanto in simili casi sono inutili le consolazioni: dopo una s? gran disgrazia, non posso che affliggermi con voi. ?

Quando Valancourt intese che Sant'Aubert era morto in viaggio, ed aveva lasciato Emilia in mano a persone estranee, esclam? involontariamente: ? Dov'era io? ? quindi mut? discorso, e parl? di s? medesimo. Le raccont? che, dopo la loro separazione,[111] aveva errato qualche giorno sulla riva del mare, ed era tornato in Guascogna passando per la Linguadoca.

Dopo questa breve narrazione, egli tacque: Emilia non era disposta a riprendere la parola, e s'incamminarono verso il castello. Quando furono giunti alla porta, egli si ferm? come se avesse creduto di non dover andar pi? oltre; disse ad Emilia che contando recarsi il giorno seguente ad Estuvi?re, domandava il permesso di venire a congedarsi da lei, ed essa non ebbe coraggio di negarglielo.

Giunta la notte, non pot? prender sonno, essendo pi? che mai occupata dalla memoria del padre. Rammentandosi in qual maniera precisa e solenne le aveva ordinato di bruciare le sue carte, rimprover? a s? stessa di non avere obbedito pi? presto, e decise di riparar la domane a questa negligenza.


CAPITOLO IX

La mattina seguente, Emilia fece accendere il fuoco nella camera da letto del padre, e vi and? ond'eseguire scrupolosamente i di lui ordini: chiuse la porta per non essere sorpresa, ed apr? il gabinetto dov'erano i manoscritti; l?, in un canto, presso un seggiolone, eravi il medesimo tavolino ove avea veduto assiso il padre la notte precedente alla loro partenza, ed essa non dubit? pi? che le carte di cui le aveva parlato, non fossero quelle stesse la cui lettura gli cagionava allora tanta emozione. La vita solitaria vissuta da Emilia, i malinconici subietti de' suoi consueti pensieri avevanla resa suscettibile di credere a spettri e fantasime. Era in ispecie passeggiando la sera in una casa deserta, ch'ella avea rabbrividito pi? volte a pretese apparizioni, che non l'avrebbero mai colpita quand'era felice: tal fu la causa dell'effetto da lei provato,[112] allorch?, alzando gli occhi per la seconda volta sulla sedia posta in un canto oscuro, vi scorse l'imagine del genitore. Fu colta da terrore, ed usc? a precipizio. Poco stante rimproverossi la sua debolezza nel compiere un dovere cos? serio, e riaperse il gabinetto. A tenore delle istruzioni ricevute trov? ben presto il nodo che doveva servirle di guida: calc? col piede, e la tavola scorse da per s? sotto la contigua. Emilia vi ritrov? il fascio di carte, la borsa dei luigi, e qualche altro foglio sparso; prese tutto con mano tremante, richiuse il segreto, e disponevasi a rialzarsi, quando si vide ancora dinanzi l'imagine che l'avea spaventata: ella si precipit? nella camera, e cadde sopra una sedia svenuta; poco dopo rinvenne, e super? in breve quella spaventevole, ma pietosa sorpresa dell'immaginazione. Torn? alle carte, ma avea la testa s? poco a casa, che fiss? gli occhi quasi involontariamente sopra le pagine aperte, senza pensare che trasgrediva agli ordini formali del padre; una frase di estrema importanza risvegli? l'attenzione e la memoria di lei. Abbandon? le carte, ma non pot? cancellare dallo spirito le parole che rianimavano cos? vivamente il suo terrore e la sua curiosit?; essa erane estremamente commossa. Pi? meditava, e pi? la sua immaginazione accendevasi. Spinta dalle pi? imperiose ragioni, voleva conoscere il mistero che si nascondeva in quella frase; si pentiva del giuramento fatto, ed arriv? perfino a dubitare di essere obbligata ad osservarlo; ma il suo errore non fu di lunga durata.

? Ho promesso, ? diss'ella, ? e non devo discutere, ma obbedire: allontaniamo una tentazione che mi renderebbe colpevole, giacch? mi sento forza bastante per resistere. ? E all'istante tutto fu arso.

Aveva lasciata la borsa sul tavolino senza aprirla; ma accorgendosi che conteneva qualcosa di pi? grosso dei dobloni, si mise ad esaminarla.[113]

? La sua mano ve li pose, ? dicea ella baciando ogni moneta ed irrigandola di lagrime; ? la sua mano, che or non ? pi? se non fredda polvere! ?

Vi trov? in fondo un pacchettino, contenente una scatoletta d'avorio nella quale esisteva il ritratto d'una signora. Stup? e sclam?: ? ? la stessa dinanzi la quale piangeva mio padre! ? Per quanto la considerasse attentamente, non pot? precisarne la somiglianza: essa era di peregrina belt?. La sua espressione particolare era la dolcezza, ma vi regnava un'ombra di tristezza e rassegnazione.

Sant'Aubert non le aveva prescritto nulla a proposito di questa pittura. Emilia cred? poterla conservare, e rammentandosi in qual modo le avesse parlato della marchesa di Villeroy, s'immagin? facilmente che quello ne fosse il ritratto: pur non sapeva comprendere per qual ragione egli l'avesse conservato.

La fanciulla osservava la miniatura, senza comprendere l'interesse che prendeva a contemplarla, e il movimento d'affetto e di piet? che sentiva in s?. Ricci di capelli bruni scherzavano trascuratamente sovra un'ampia fronte: avea il naso quasi aquilino. Le labbra sorridevano, ma con malinconia: sollevava gli occhi cilestri al cielo con amabil languore, e la specie di nube sparsa su tutta la sua fisonomia parea esprimere la pi? viva sensibilit?.

Emilia fu scossa dalla profonda meditazione in cui l'aveva gettata quel ritratto, sentendo aprire la porta del giardino: conobbe che Valancourt ritornava al castello, e le abbisognarono alcuni momenti per rimettersi. Quando lo incontr? nel salotto, fu colpita dal cambiamento della sua fisonomia dopo la loro separazione nel Rossiglione: il dolore e l'oscurit? le avevano impedito di accorgersene la sera precedente; ma l'abbattimento di Valancourt ced? alla gioia di vederla.

? Voi vedete, ? le disse, ? ch'io faccio uso del[114] permesso da voi accordatomi. Vengo per dirvi addio, sebbene abbia avuto la fortuna d'incontrarvi ieri soltanto. ?

Emilia sorrise debolmente, e, come imbarazzata di ci? che dovrebbe dire, gli domand? da quanto tempo fosse tornato in Guascogna. ? Vi sono da... ? disse Valancourt facendosi rosso, ? dopo aver avuta la disgrazia di separarmi da amici che mi avevano reso cos? delizioso il viaggio dei Pirenei; ho fatto un giro assai lungo. ?

Una lacrima scorse dagli occhi d'Emilia mentre Valancourt parlava; egli se ne avvide e parl? di tutt'altro; lod? il castello, la sua bella situazione ed i punti di vista che offriva. Emilia, imbarazzatissima per quel colloquio, scelse con piacere un soggetto indifferente. Andarono sul terrazzo, e Valancourt fu incantato dalla vista del fiume, dei prati, e dei quadri molteplici che presentava la Guienna.

Si appoggi? al parapetto, contemplando il rapido corso della Garonna. ? Non ? molto tempo, ? diss'egli, ? che sono rimontato fino alla sua sorgente; io non aveva allora la fortuna di conoscervi, poich? in tal caso avrei dolorosamente sentita la vostra assenza. ?

Il giovane tacque, e sedette accanto a lei, muto e tremante; finalmente disse con voce interrotta: ? Questo luogo delizioso.... dovr? abbandonarlo, e abbandoner? anche voi, forse per sempre.

Questi momenti possono non tornar pi?; non voglio perderli: soffrite intanto che, senza offendere la vostra delicatezza e il vostro dolore, vi esprima una volta tutta l'ammirazione, e la riconoscenza che m'inspira la vostra bont?. Oh! se io potessi avere un giorno il diritto di chiamare amore il vivo sentimento che... ?

La commozione di Emilia non le permise di rispondere, e Valancourt, avendo gettato gli occhi[115] su di lei, la vide impallidire e sul punto di venir meno: fece un moto involontario per sostenerla, e questo moto bast? a farla rinvenire con certo quale spavento. Quando Valancourt riprese la parola, tutto in lui, e perfino la voce, manifestava l'amore il pi? tenero.

? Io non ardirei, ? soggiunse egli, ? parlarvi pi? a lungo di me: ma questo momento crudele avrebbe meno amarezza, se potessi portar meco la speranza, che la confessione, test? sfuggitami, non mi escluder? in avvenire dalla vostra presenza. ?

Emilia fece un nuovo sforzo per vincere la confusione delle sue idee. Temeva di tradire il suo cuore, e di lasciar conoscere la preferenza che accordava a Valancourt. Ella esitava a manifestare i sentimenti ond'era animata, non ostante che il cuore ve la spingesse con molta vivacit?. Nonpertanto, riprese coraggio, per dirgli che si trovava onorata dalla bont? d'una persona, per la quale suo padre aveva avuto tanta stima.

? Egli mi ha dunque giudicato degno della sua stima? ? disse Valancourt con dubbiosa timidezza; poi, rimettendosi, soggiunse: ? Perdonate questa domanda; io so appena ci? che voglia dirmi. Se ardissi lusingarmi della vostra indulgenza, se voi mi concedeste la speranza di avere qualche volta le vostre nuove, mi separerei da voi con maggior tranquillit?. ?

Dopo un momento di silenzio, Emilia rispose: ? Io sar? sincera con voi; voi vedete la mia situazione, e son certa che vi ci adatterete. Vivo in questa casa, che fu quella del padre mio, ma ci vivo sola. Oim?! Io non ho pi? genitori, la cui presenza possa autorizzare le vostre visite...

— Non affetter? di non sentire questa verit?, ? disse il giovane. Poi aggiunse tristamente: ? Ma chi m'indennizzer? del sacrificio che mi costa la mia franchezza? Almeno mi permetterete voi di presentarmi ai vostri parenti. ?[116]

La fanciulla confusa, non sapeva che rispondere conoscendone la difficolt?. Il suo isolamento e la sua posizione non le lasciavano un amico del quale potesse ricevere un consiglio. La Cheron, unica sua parente, era occupata solo de' propri piaceri, e trovavasi talmente offesa della ripugnanza di Emilia a lasciar la valle, che sembrava non pensar pi? a lei.

? Ah! io lo vedo, ? disse Valancourt, dopo un lungo silenzio, ? conosco che mi sono lusingato di troppo. Voi mi credete indegno della vostra stima. Viaggio fatalissimo! Io lo riguardava come l'epoca pi? fortunata della mia vita: quei giorni deliziosi avveleneranno il mio avvenire. ?

Qui si alz? bruscamente, e passeggiando a gran passi sul terrazzo, gli si vedeva la disperazione dipinta in volto. Emilia ne fu vivamente commossa. I movimenti del suo cuore trionfarono della di lei timidezza, e quando egli le fu vicino, gli disse con una voce che la tradiva: ? Voi fate torto ad amendue, quando dite ch'io vi credo indegno della mia stima; devo confessare che la possedete da molto tempo, e che.... ?

Valancourt aspettava impaziente la fine della frase, ma le parole le spirarono sul labbro: i suoi occhi nullameno manifestavano tutte l'emozioni del di lei cuore; Valancourt pass? rapidamente dall'imbarazzo alla gioia. ? Emilia, ? esclam? egli, ? mia cara Emilia. O cielo! come resistere a tanta felicit?! ?

Si accost? alla bocca la mano della fanciulla; essa era fredda e tremante, e Valancourt la vide impallidire; si rimise per? prontamente, e gli disse sorridendo: ? mi pare di non essere ancora ristabilita dal colpo terribile che ha ricevuto il mio povero cuore.

— Perdonatemi, ? le rispose il giovane, ? io non parler? pi? di ci? che pu? eccitare la vostra sensibilit?. ?[117] Poi, obliando la sua risoluzione, cominci? a parlare nuovamente di s? medesimo.

? Voi non sapete, ? le disse, ? quanti tormenti ho sofferti vicino a voi, quando senza dubbio, se mi onoravate d'un pensiero, voi dovevate credermi molto lontano di qui. Non ho cessato di vagolar tutte le notti intorno a questo castello avvolto in una profonda oscurit?; quanto m'era delizioso il sapermi vicino a voi! Godeva nell'idea che vegliava intorno al vostro ritiro, e che voi gustavate sonno tranquillo. Questi giardini non sono nuovi per me. Una sera scavalcai la siepe, e passai una delle pi? felici ore della mia vita sotto la finestra, che credeva la vostra. ?

Emilia s'inform? quanto tempo Valancourt fosse stato nel vicinato. ? Molti giorni, ? rispos'egli; ? io voleva profittare del permesso accordatomi da Sant'Aubert. Non capisco com'egli avesse questa bont?, ma sebbene lo desiderassi vivamente, quando si avvicinava il momento, io perdeva il coraggio, e differiva la mia visita. Era alloggiato in un villaggio poco discosto, e scorreva co' miei cani i dintorni di questo bel paese, anelando la fortuna d'incontrarvi, senza aver l'ardire di venire a trovarvi. ?

Passarono circa due ore in questa conversazione; finalmente Valancourt, alzandosi: ? Bisogna ch'io parta, ? disse tristamente, ? ma colla speranza di rivedervi, e con quella di offrire il mio rispetto e la mia servit? ai vostri parenti. La vostra bocca mi confermi in tale speranza.

— I miei parenti si chiameranno fortunatissimi di far la conoscenza d'un antico amico del padre mio. ?

Valancourt le baci? la mano, e restarono immobili senza potersi allontanare. Emilia taceva, teneva gli occhi bassi, e quelli di Valancourt stavano fissi in lei. In quel punto, udirono camminare frettolosamente dietro al platano.[118]

La fanciulla, voltandosi, vide la signora Cheron; arross?, e fu assalita da improvviso tremito; pure si alz?, e corse incontro alla zia.

? Buon giorno, nipote mia, ? disse la Cheron gettando uno sguardo di sorpresa e curiosit? su Valancourt, ? buon giorno, nipote mia, come state? Ma la domanda ? inutile; il vostro volto indica bastantemente che vi siete gi? consolata della vostra perdita.

— Il mio volto in tal caso mi fa torto, signora; la perdita da me fatta non pu? mai essere riparata.

— Bene!... Bene!... non voglio affliggervi. Voi somigliate moltissimo a vostro padre... e certo sarebbe stata una fortuna pel pover'uomo se avesse avuto un carattere diverso. ?

Emilia non volle replicare, e le present? l'afflitto Valancourt; il giovane rispettosamente salut? la signora Cheron, la quale gli restitu? una fredda riverenza, guardandolo con piglio sdegnoso. Dopo qualche momento egli si conged? da Emilia con un'aria che le faceva bastantemente conoscere il suo dolore di allontanarsi, e lasciarla in compagnia della zia.

? Chi ? quel giovine? ? disse questa con asprezza; ? suppongo sar? uno dei vostri adoratori; ma io credeva, nipote mia, che aveste un po' pi? rispetto delle convenienze, per ricevere le visite d'un giovinetto nello stato di solitudine in cui siete. Il mondo osserva questi falli; se ne parler?, credetelo a me, che ho pi? esperienza di voi. ?

Emilia, punta da un rimprovero cos? violento, avrebbe voluto interromperla, ma la zia continu?: ? ? necessariissimo che vi troviate sotto la direzione d'una persona in grado di guidarvi pi? di quello che possiate farlo voi stessa. In verit?, ho poco tempo per un compito tale; nondimeno, giacch? il vostro povero padre, negli ultimi istanti di[119] sua vita, mi ha pregato di vegliare sulla vostra condotta, sono obbligata d'incaricarmene; ma sappiate, nipote cara, che se non vi determinate alla massima docilit?, non mi tormenter? troppo a riguardo vostro. ?

Emilia non si prov? neppure a rispondere. Il dolore, l'orgoglio ed il sentimento della sua innocenza la contennero fino al momento in cui la zia aggiunse: ? Io son venuta a prendervi per condurvi a Tolosa; mi dispiace per? che vostro padre sia morto con s? tenue sostanza: malgrado ci?, vi prender? in casa mia. Quel benedetto vostro padre ? stato sempre pi? generoso che previdente; in caso diverso egli non avrebbe lasciato sua figlia alla discrezione dei parenti.

— E cos? appunto non ha fatto, ? disse Emilia freddamente; ? il disordine della sua fortuna non proviene tutto da quella nobile generosit? che lo distingueva: gli affari del signor Motteville possono accomodarsi, come spero, senza rovinare i creditori, e fino a quell'epoca mi stimer? fortunatissima di risiedere nella valle.

— Non ne dubito, ? rispose la Cheron, con un sorriso pieno d'ironia. ? Oh! non ne dubito; e vedo quanto la tranquillit? ed il ritiro furono salutari al ristabilimento del vostro spirito. Non vi credeva capace, nipote mia, di una simile doppiezza. Quando mi allegavate questa scusa, io ci credeva in buona fede, e non mi aspettava certo di trovarvi in una compagnia tanto amabile come quella del signor La.... Va.... me ne sono scordata il nome. Si vede che osservate bene le convenienze!... ?

Emilia si fece di fuoco, raccont? la relazione di Valancourt e di suo padre, la circostanza della pistolettata, e il seguito de' loro viaggi; vi aggiunse l'incontro fortuito del giorno precedente, e confess? infine che Valancourt le aveva dimostrato qualche interesse, e domandato il permesso di rivolgersi a' suoi parenti.[120]

? E chi ? quel giovine avventuriere? ? disse la Cheron; ? quali sono le sue pretese?

— Ve le spiegher? egli stesso, o signora; mio padre lo conosceva, ed io lo credo irreprensibile.

— Sar? un cadetto, ? sclam? la zia, ? e per conseguenza un mendico. Cos? dunque mio fratello s'appassion? per cotesto giovine in pochi giorni! gi? fu sempre cos?; nella sua giovent? prendeva inclinazione o avversione, senza potere indovinarne il motivo; ed ho osservato pi? volte, che le persone dalle quali si allontanava, erano sempre pi? amabili di quelle che l'interessavano; ma dei gusti non si pu? disputare. Era assuefatto a fidarsi molto della fisonomia; qual ridicolo entusiasmo! Cos'ha di comune il volto d'un uomo col suo carattere? Un uomo dabbene non potr? forse qualche volta avere una fisonomia spiacevole? ?

La Cheron pronunzi? questa sentenza col tuono trionfante di una persona, la quale, credendo aver fatta una grande scoperta, se ne applaudisce, e pensa non si possa contraddirla.

Emilia, desiderando finire quel colloquio, preg? la zia di accettare qualche rinfresco.

Appena giunta a casa, questa le ordin? di fare i suoi preparativi della partenza per Tolosa fra due o tre ore. Essa la scongiur? di differire almeno fino al giorno seguente, e l'ottenne con qualche difficolt?.

Il resto del giorno fu passato nell'esercizio di una pedantesca tirannia per parte della zia, e nei disgusti e nel dolore per parte della nipote. Appena quella si fu ritirata, Emilia diede l'ultimo addio alla casa, ch'era stata la sua culla. La lasciava senza sapere il tempo della sua assenza, e per un nuovo genere di vita che ignorava assolutamente; ma non poteva vincere il presentimento che non sarebbe mai pi? ritornata nella valle. Mentre era nella biblioteca paterna, e che sceglieva qualche libro per portar[121] seco, Teresa apr? la porta onde assicurarsi, secondo il consueto, se tutto era in ordine, e rest? sorpresa di trovare col? la padroncina. Emilia le diede le opportune istruzioni pel mantenimento del castello.

? Oim?! ? le disse Teresa; ? voi dunque partite? Se non m'inganno per? mi sembra che voi sareste pi? felice qui, che non dove vogliono condurvi. ?

Emilia non le rispose, e torn? nella sua camera. Ivi giunta, si mise alla finestra, e vide il giardino fiocamente illuminato dalla luna che sorgea allora al disopra dei fichi. La placida bellezza della notte accrebbe il di lei desiderio di gustare un tristo piacere, facendo pure i saluti ai luoghi prediletti della sua infanzia. Si sent? spinta a scendere, e gettandosi indosso il velo leggero col quale soleva passeggiare, entr? a cauti passi nel giardino, e si diresse celeremente verso i boschetti lontani, lieta di respirar ancora un'aura libera e sospirare senza essere osservata da veruno. Il profondo riposo della natura, i soavi effluvi diffusi dal notturno zeffiro, la vasta estensione dell'orizzonte e l'azzurro firmamento stellato rapivano in dolce estasi l'anima sua e la portavano gradatamente a quelle altezze sublimi donde le orme di questo mondo svaniscono.

Emilia fiss? gli occhi sul platano, e vi ripos? per l'ultima volta. Quivi, ancor poche ore prima, ella discorreva con Valancourt. Ricordossi la confessione da lui fatta che spesso vagolava la notte intorno alla sua dimora, che ne scavalcava il recinto; e d'improvviso pens? che in quel momento stesso egli poteva trovarsi forse in giardino. La paura d'incontrarlo, il timore altres? delle censure della zia la indussero a ritirarsi in casa. Si fermava spesso ad esaminare i boschetti prima di traversarli; vi pass? senza vedere alcuno; ma giunta ad un gruppo di mandorli pi? vicino alla casa, ed essendosi voltata per vedere ancora il giardino, credette scorgere[122] una persona uscire dai pergolati pi? tenebrosi ed avviarsi lentamente per un viale di tigli, allora illuminato dalla luna. La distanza, la luce troppo fioca, non le permisero d'accertarsi se fosse illusione o realt?. Continu? a guardare alcun tempo, e poco dopo credette udir camminare a s? vicino. Rientr? a precipizio, e tornata nella sua stanza, apr? la finestra nel momento in cui qualcuno penetrava sotto i mandorli, nel luogo stesso da lei lasciato poc'anzi. Chiuse la finestra, e, bench? agitatissima, pot? gustare qualche ora di sonno.


CAPITOLO X

La carrozza che doveva condurre Emilia e la zia a Tolosa fu alla porta di buonissim'ora. La signora Cheron comparve alla colazione prima che vi giungesse la nipote, e piccata dall'abbattimento in cui la vide quando comparve, glielo rimprover? in un modo poco acconcio a farlo cessare. Non senza molta difficolt?, Emilia pot? ottenere di condur seco il cane tanto amato da suo padre. La zia, premurosa di partire, fece avanzare la carrozza; la vecchia Teresa stava sulla porta per congedarsi dalla sua padrona. ? Dio vi accompagni, signorina, ? le disse.

Emilia non pot? rispondere che stringendole teneramente la mano.

Molti degl'infelici che ricevevano soccorsi da suo padre, erano dinanzi alla porta del giardino, e venivano per salutare l'afflittissima Emilia. Essa distribu? tutto il danaro che aveva in tasca, e si ritir? nella carrozza con un profondo sospiro. I precipizi, l'altezza gigantesca dei Pirenei, e tutte le altre magnifiche vedute, rammentarono a Emilia mille interessanti rimembranze; ma questi oggetti d'ammirazione entusiastica, non eccitavano pi? allora in lei che il dolore ed i dispiaceri.[123]

Valancourt intanto era ritornato a Estuvi?re col cuore tutto pieno di Emilia. Qualche volta si abbandonava ai sogni di un avvenire felice, pi? spesso cedeva alle inquietudini, e fremeva dell'opposizione che potrebbe trovare nei parenti di Emilia. Egli era l'ultimo figlio di un'antica famiglia di Guascogna. Avendo perduto i genitori nell'infanzia, la sua educazione e la sua tenue legittima erano state affidate al conte Duverney, suo fratello maggiore di vent'anni. Egli aveva un'elevazione di spirito ed una grandezza d'animo che lo facevano brillare negli esercizi in allora chiamati eroici. La sua sostanza era diminuita ancora per le spese della sua educazione; ma il fratello maggiore parea pensare forse che il suo genio e i suoi talenti avrebbero supplito alle ingiurie della fortuna; offrivano essi una prospettiva brillante a Valancourt nella carriera militare, il solo allora che potesse essere abbracciato ragionevolmente da un gentiluomo; ed in conseguenza entr? al servizio.

Aveva ottenuto un congedo dal reggimento, quando intraprese il viaggio dei Pirenei, all'epoca in cui aveva conosciuto Sant'Aubert. Il suo permesso stando per ispirare, aveva perci? maggior premura di presentarsi ai parenti di Emilia: temeva di trovarli contrari ai suoi voti. Il suo patrimonio, col mediocre supplemento di quello di Emilia, sarebbe bastato ad entrambi, ma non potea soddisfare n? la vanit?, n? l'ambizione.

Frattanto le nostre viaggiatrici avanzavano: Emilia si sforzava di mostrarsi contenta, e ricadeva nel silenzio e nell'abbattimento. La Cheron attribuiva la sua malinconia al dispiacere di allontanarsi dall'amante; persuasa che il dolore della nipote per la morte del padre non fosse che un'affettazione di sensibilit?, costei faceva di tutto per metterlo in ridicolo.

Finalmente giunsero a Tolosa. Emilia essendovi[124] stata molti anni addietro, glie n'era rimasta una debolissima rimembranza. Rest? sorpresa del fasto della casa e dei mobili; forse la modesta eleganza cui era assuefatta, fu la cagione del suo stupore. Segu? la Cheron traverso una vasta anticamera piena di servi vestiti di ricche livree, entr? in un bel salotto ornato con pi? magnificenza che gusto, e la zia ordin? che servissero la cena.

? Son contenta di trovarmi nel mio castello, ? diss'ella abbandonandosi su di un gran canap?; ? ci ho tutta la mia gente intorno; detesto i viaggi, sebbene dovessi amarli, perch? tutto ci? che vedo fuori di qua, mi fa sempre trovare ogni cosa pi? bella nel mio palazzo. Ebbene! non dite nulla? Perch? s? muta, Emilia? ?

Questa trattenne le lacrimo che le sfuggivano, e finse di sorridere. La sua zia si diffuse molto sullo splendore della casa, sulle conversazioni, e finalmente su ci? che aspettava da Emilia, il cui riserbo e la cui timidezza passavano ai di lei occhi per orgoglio ed ignoranza. Ne prese motivo par rimproverarla, non conoscendo ci? ch'? necessario per guidare uno spirito, il quale, diffidando delle proprie forze, possedendo un discernimento delicato, e immaginandosi che gli altri abbiano maggiori lumi, teme di esporsi alla critica, e cerca rifugio nell'oscurit? del silenzio.

La cena interruppe l'altiero discorso della signora Cheron, e le riflessioni umilianti ch'essa vi mescolava per la nipote. Dopo cena, la Cheron si ritir? nel suo appartamento, ed una cameriera condusse Emilia al suo; salirono una larga scala, traversarono diversi corridoi, scesero qualche gradino, e passarono per uno stretto andito in una parte remota della casa; infine la cameriera apr? la porta di una stanzuccia, e disse esser quella destinata per la signora Emilia: la fanciulla, rimasta sola, si diede[125] in preda a tutto l'eccesso del dolore che non poteva pi? contenere. Coloro che sanno per esperienza a qual punto il cuore s'affezioni agli oggetti anche inanimati allorch? ne ha preso l'abitudine, quanto stenti a lasciarli, con qual tenerezza li ritrovi, con qual dolce illusione crede vedere gli antichi amici, costoro soli comprenderanno l'abbandono in cui si trovava allora Emilia, bruscamente tolta dall'unico ricetto ch'ella riconoscesse dall'infanzia, e gettata sopra un teatro e fra persone che le spiacevano ancor pi? pel carattere che per la novit?. Il fido cane di suo padre era con lei nella cameretta, l'accarezzava, e le leccava le mani mentr'ella piangea. ? Povera bestia, ? diceva essa; ? non ho pi? nessun altro che te per amico. ?


CAPITOLO XI

Il castello della signora Cheron era vicinissimo a Tolosa, e circondato da immensi giardini; Emilia, alzatasi di buon'ora, li percorse prima della colazione. Da un terrazzo che si estendeva fino all'estremit? di questi giardini, scoprivasi tutta la Bassa Linguadoca. Emilia riconobbe le alte cime dei Pirenei; e la sua immaginazione le dipinse tosto la verzura ed i pascoli che sono alle falde di essi. Il suo cuore volava verso la sua placida dimora. Provava un piacere inesprimibil nel supporre di vederne la situazione, sebbene potesse appena scorgerne i monti. Poco occupata del paese in cui si trovava, fissava gli occhi sulla Guascogna, ed il suo spirito pascevasi delle rimembranze interessanti destate in lei da tal vista.

Un servitore venne ad avvertirla che la colazione era pronta.

? Dove siete stata cos? di buon'ora? ? disse la Cheron quando entr? la nipote. ? Non approvo queste passeggiate solitarie. Desidero che non usciate[126] tanto presto la mattina senz'essere accompagnata. Una fanciulla, che al castello della valle dava appuntamenti al chiaro di luna, ha bisogno d'un poco di sorveglianza. ?

Il sentimento della propria innocenza non imped? il rossore di Emilia. Essa tremava, e chinava gli occhi tutta confusa, mentre la zia le lanciava sguardi arditi, ed arrossiva ella stessa: ma il di lei rossore era quello dell'orgoglio soddisfatto, quello di una persona che si compiace della propria penetrazione.

Emilia, non dubitando che la zia non intendesse parlare della sua passeggiata notturna prima di lasciar la valle, cred? dovergliene spiegare i motivi; ma essa, col sorriso del disprezzo, ricus? di ascoltarla.

? Non mi fido, ? le disse, ? delle proteste di alcuno; giudico le persone dalle loro azioni, e prover? la vostra condotta per l'avvenire. ?

Emilia, meno sorpresa della moderazione e del silenzio misterioso della zia, di quello nol fosse stata dell'accusa, vi riflett? profondamente, e non dubit? pi? non fosse Valancourt ch'ella avea veduto la notte ne' giardini della valle, e che la zia poteva bene aver riconosciuto. Intanto, non lasciando un soggetto penoso se non per trattarne un altro che non eralo meno, parl? di Motteville e della perdita enorme che la nipote faceva nel suo fallimento. Mentr'essa ragionava con fastosa piet? degl'infortunii che opprimevano Emilia, insisteva sui doveri dell'umanit? e della riconoscenza, facendo divorare alla povera fanciulla le pi? crudeli mortificazioni, ed obbligandola a considerarsi non solo sotto la di lei dipendenza, ma sotto quella ben anco di tutta la servit?.

L'avvert? allora che in quel giorno si aspettava molta gente a pranzo, e le ripet? tutte le lezioni della sera precedente sul modo di contenersi in societ?: aggiunse che voleva vederla abbigliata con[127] gusto ed eleganza, e poscia si degn? mostrarle tutto lo splendore del suo castello, farle osservare tutto quanto brillava d'una magnificenza particolare, e che si faceva distinguere nei vari appartamenti; dopo di che si ritir? nel suo gabinetto di toletta. Emilia si chiuse nella sua camera, tir? fuori i suoi libri, e ricre? lo spirito colla lettura, fino al momento di vestirsi.

Quando i convitati furono riuniti, Emilia entr? nella sala con un'aria di timidezza che non pot? vincere, per quanto vi si sforzasse. L'idea che la zia l'osservava con occhio severo, la turbava vie maggiormente. Il suo abito di lutto, la dolcezza, l'abbattimento della sua bella fisonomia, non meno che la modestia del contegno, la resero interessantissima a quasi tutta la societ?. Riconobbe essa Montoni ed il suo amico Cavign?, che aveva trovati in casa di Quesnel; avevano questi nella casa della Cheron tutta la famigliarit? di antichi conoscenti, ed anch'essa sembrava accoglierli con molto piacere.

Montoni portava nel suo contegno il sentimento della superiorit?: lo spirito ed i talenti co' quali poteva sostenerla obbligavano tutti gli altri a cedergli. La finezza del suo tatto era fortemente espressa nella sua fisonomia; ma sapeva dissimulare quando bisognava, e potevasi notare spesso in lui il trionfo dell'arte sulla natura. Aveva il viso lungo e magro, eppure lo dicevano bello; elogio forse pi? da attribuirsi alla forza e vigoria dell'anima, che delineavansi in tutti i suoi tratti. Emilia concep? per lui una specie d'ammirazione, ma non quell'ammirazione che poteva condurre alla stima; essa vi univa una specie di timore, di cui non sapeva indovinare il motivo.

Cavign? era giocondo ed insinuante come la prima volta. Sebbene quasi sempre occupato della signora Cheron, trovava il mezzo di parlar con Emilia. Le indirizz? da principio qualche motto spiritoso, e[128] prese in seguito un'aria di tenerezza di cui ella si accorse benissimo, e che non la spavent?. Ella parlava poco, ma la grazia e dolcezza delle sue maniere l'incoraggirono a continuare; non fu interrotta se non quando una giovine signora del circolo, che parlava sempre, e di tutto, venne a mescolarsi ai loro discorsi; questa signora, che spiegava tutta la vivacit? e la civetteria francese, affettava d'intender tutto, o piuttosto non vi mettea nemmeno affettazione. Non essendo mai uscita da una perfetta ignoranza, s'immaginava che non avesse nulla da imparare; obbligava tutti ad occuparsi di lei, divertiva talvolta, stancava dopo un momento, e poi era abbandonata.

Emilia, quantunque ricreata da tutto quanto aveva veduto, si ritir? senza rincrescimento, e si abbandon? volentieri di nuovo alle rimembranze che tanto le piacevano.

Passarono quindici giorni in una folla di visite e di dissipazioni; Emilia accompagnava per tutto la Cheron, si divertiva di rado, e annoiavasi spesso. Fu colpita dell'apparente istruzione e delle cognizioni di cui facean mostra intorno a lei le persone che componevano la conversazione; non fu se non molto dopo che riconobbe l'impostura di tutti quei pretesi talenti. Ci? che la ingann? maggiormente fu quell'aria di brio continuato, e soprattutto di bont? ch'ella osservava in ciascun personaggio. S'immaginava che un'affabilit? consueta e sempre pronta ne fosse il vero fondamento. Finalmente, l'esagerazione di qualcuno, meno abile degli altri, le fece sospettare che, se il contento e la bont? sono i soli principii d'una dolce amenit?, gli eccessi smoderati ai quali uno si abbandona ordinariamente sono il risultato della pi? perfetta insensibilit?.

Emilia passava i momenti pi? graditi nel padiglione del terrazzo. Vi si ritirava con un libro, per godere della sua malinconia, o col liuto, per vincerla.[129] Assisa cogli occhi fissi sui Pirenei e sulla Guascogna, essa cantava le ariette pi? interessanti del suo paese, imparate nell'infanzia.

Una sera, Emilia suonava il liuto nel padiglione con un'espressione che veniva dal cuore. Il sole all'occaso illuminava ancora la Garonna, che fuggiva a qualche distanza, e le cui acque erano passate dinanzi alla valle. Emilia pensava a Valancourt; non ne avea udito pi? parlare dopo il suo soggiorno a Tolosa; ed ora, lontana da lui, sentiva tutta l'impressione che aveva fatta sul proprio cuore. Prima di aver conosciuto Valancourt, non aveva incontrato alcuno, il cui spirito ed il gusto si accordassero tanto bene col suo. La Cheron avevale parlato di dissimulazione, di artifizi; pretendeva essa che quella delicatezza, cui ammirava nell'amante, non foss'altro che un laccio per piacerle, eppure essa credeva alla di lui sincerit?. Un dubbio nondimeno, per debole che fosse, bastava opprimerle il cuore.

Il rumore d'un cavallo sulla strada, sotto la sua finestra, la scosse da questi pensieri: vide un cavaliere il cui personale ed il portamento le rammentavano Valancourt, giacch? l'oscurit? non le permetteva di distinguerne i lineamenti. Si tir? indietro temendo d'esser veduta, e desiderando al tempo stesso di osservare. L'incognito pass? senza guardare, e quando si fu ravvicinata alla finestra, lo vide nel viale che conduceva a Tolosa. Questo lieve incidente la rese di cattivo umore, e, dopo alcuni giri sul terrazzo, torn? presto al castello.

La Cheron rientr? pi? ruvida del solito; ed Emilia non fu contenta se non quando le fu permesso di ritirarsi nella sua cameretta.

Il giorno dopo essa fu chiamata dalla zia, la quale ardeva di collera, e che, appena la vide, le present? una lettera.

? Conoscete voi questo carattere? ? le disse con voce severa, e guardandola fiso, mentre Emilia esaminava la lettera con attenzione.[130]

— No, signora, io non lo conosco, ? le rispose.

— Non mi fate perder la pazienza, ? disse la zia; ? voi lo conoscete, confessatelo subito, esigo che diciate la verit?. ?

Emilia taceva e stava per uscire. La Cheron la richiam?.

? Oh! voi siete colpevole: vedo adesso che conoscete il carattere.

— Ma se ne dubitavate, signora, ? disse Emilia con dignit?, ? perch? accusarmi di aver detto una bugia?

— ? inutile negarlo, ? disse la signora Cheron; ? vedo dal vostro contegno che voi non ignorate il contenuto di questa lettera. Son sicurissima che in casa mia, e senza mia saputa, avete ricevute lettere da quel giovine insolente. ?

Emilia, indispettita dalla villania di quell'accusa, ruppe il silenzio, e si sforz? di giustificarsi, ma senza convincere la zia.

? Non posso supporre che quel giovine avrebbe ardito scrivermi, se voi non l'aveste incoraggito.

— Mi permetterete di rammentarvi, signora, ? disse Emilia con voce timida, ? alcune particolarit? d'un colloquio che avemmo insieme a casa mia: vi dissi allora con franchezza di non essermi opposta che il signor Valancourt s'indirizzasse alla mia famiglia.

— Non voglio essere interrotta, ? disse la signora Cheron; ? io.... io... perch? non gliel'avete proibito? ? Emilia non rispose. ? Un uomo sconosciuto a tutti, assolutamente straniero; un avventuriere che corre dietro ad una ricca fanciulla! Ma almeno, sotto questo rapporto, si pu? dire ch'egli si ? ingannato d'assai.

— Ve l'ho gi? detto, signora, la sua famiglia era conosciuta da mio padre, ? disse Emilia modestamente, e fingendo di non avere udita l'ultima frase.

— Oh! non mi fido niente affatto del suo giudizio[131] favorevole, ? replic? la zia colla sua solita leggerezza. ? Egli aveva idee cos? guaste! Giudicava la gente alla fisonomia.

— Signora, poco fa mi credevate colpevole, eppur lo giudicavate dalla mia fisonomia. ?

Emilia si permise questo rimprovero per rispondere in qualche modo al tuono poco rispettoso col quale la Cheron parlava di suo padre.

? Vi ho fatta chiamare, ? soggiunse la zia, ? per significarvi che non intendo essere importunata dalle lettere o dalle visite di tutti i giovinastri che pretenderanno adorarvi. Questo signor di Valla... non so come lo chiamate, ha l'impertinenza di chiedermi che gli permetta di offerirmi i suoi rispetti; ma gli risponder? come va. Quanto a voi, Emilia, lo ripeto una volta per sempre, se non vi uniformate alla mia volont?, non m'inquieter? pi? per la vostra educazione, e vi metter? in un convento.

— Ah! signora, ? disse Emilia struggendosi in lacrime, ? come posso io aver meritato questo trattamento? ?

La Cheron in quell'istante avrebbe potuto ottenere da lei la promessa di rinunziare per sempre a Valancourt. Colta dal terrore, non voleva pi? acconsentire a rivederlo; temeva d'ingannarsi, e temeva finalmente di non essere stata abbastanza riservata nella conferenza avuta alla valle. Sapeva benissimo di non meritare i sospetti odiosi formati dalla zia, ma era tormentata da infiniti scrupoli. Divenuta timida, e dubitando di far male, risolse di obbedire a qualunque suo comando, e glie ne fece conoscere l'intenzione; ma la Cheron non le prestava fede, e non iscorgeva in lei che l'artifizio, o la paura.

? Promettetemi, ? disse alla nipote, ? che non vedrete quel giovine, e non gli scriverete senza mio permesso.

— Ah! signora, ? rispose Emilia, ? potete voi supporre ch'io fossi capace di farlo?[132]

— Io non so cosa supporre; la giovent? non si capisce, ch? manca troppo di buon senso per desiderar di essere rispettata.

— Io mi rispetto da me stessa, ? replic? Emilia; ? il padre mio me ne ha sempre insegnata la necessit?. Egli mi diceva che, colla mia propria stima, otterr? sempre quella degli altri.

— Mio fratello era un buon uomo, ? soggiunse la Cheron, ? ma non conosceva il mondo. Ma... in somma, non mi avete fatta la promessa che esigo da voi. ?

Emilia fece la promessa, e and? a passeggiare in giardino. Arrivata al suo padiglione favorito, sedette vicino alla finestra che guardava in un boschetto. La calma di quella solitudine le permetteva di raccogliere i suoi pensieri e di giudicare da per s? della sua condotta. Si ramment? il colloquio avuto al castello, e si convinse con gioia, che nulla poteva allarmare il suo orgoglio, n? la sua delicatezza; si conferm? nella stima di s? medesima, e della quale sentiva tanto bisogno. In ogni caso, si decise a non alimentare una corrispondenza segreta, e ad osservare la medesima riserva con Valancourt allorch? lo incontrerebbe. Nell'atto che faceva queste riflessioni, vers? alcune lacrime, ma le asciug? prontamente, quando sent? camminare, aprire il padiglione, e, girando la testa, ebbe riconosciuto Valancourt. Un misto di piacere, di sorpresa e terrore s'impadron? tanto del suo cuore, che ne fu vivamente commossa. Impallid?, arross?, e rest? alcuni istanti nell'impossibilit? di parlare, e di alzarsi dalla sedia. Il volto di Valancourt era lo specchio fedele di ci? che doveva esprimere il suo: la di lui gioia fu sospesa quando s'accorse dell'agitazione di Emilia. Rinvenuta dalla prima sorpresa, essa rispose con un dolce sorriso; ma una folla di contrari affetti assalirono nuovamente il di lei cuore, e lottarono con forza per soggiogar la sua risoluzione. Era difficile conoscere[133] se la vinceva in lei o la gioia di veder Valancourt, o la paura de' trasporti ai quali si abbandonerebbe la zia allorch? saprebbe quest'incontro. Dopo qualche parola altrettanto laconica che imbarazzata, lo condusse in giardino e gli domand? se avesse veduta la signora Cheron.

? No, ? diss'egli, ? non l'ho veduta, mi fu detto ch'era occupata, e quando ho saputo ch'eravate in giardino, mi sono affrettato di venirvi a trovare. ? Poi soggiunse: ? Posso io arrischiare di dirvi il soggetto della mia visita senza incorrere nel vostro sdegno? Posso io sperare che non mi accuserete di precipitazione, usando del permesso che mi accordaste, d'indirizzarmi ai vostri parenti? ?

Emilia non sapea che cosa rispondere, ma la sua perplessit? non fu di lunga durata, e fu di nuovo assalita dal terrore allorch?, alla svolta del viale, vide la signora Cheron. Ella aveva ripreso il sentimento della propria innocenza, ed il suo timore ne fu affievolito in guisa, che, in vece di evitare la zia, le and? incontro tranquillissima con Valancourt. Il malcontento e l'impaziente alterigia con cui li osservava la Cheron sconcertarono per? Emilia: comprese che quell'incontro sarebbe stato creduto premeditato; present? il giovane, e, troppo agitata per restar con loro, corse a chiudersi in casa, ove aspett? lungamente e con estrema inquietudine il risultato della conferenza. Non sapeva immaginarsi come l'amante avesse potuto introdursi in casa della zia prima di avere ottenuto il permesso che domandava. Ignorava essa una circostanza che doveva rendere inutile questo passo, nel caso ben anco che la Cheron l'avesse accolto. Valancourt, nell'agitazione del suo spirito, aveva obliato di datare la sua lettera; in conseguenza, non avrebb'ella potuto rispondergli.

La signora Cheron ebbe un lungo colloquio con Valancourt, e quando rientr? in casa, il suo contegno[134] esprimeva pi? cattivo umore che quell'eccessiva severit? di cui aveva fremuto Emilia.

? Finalmente, ? disse la zia, ? ho congedato quel giovinetto, e spero che non ricever? pi? simili visite, mi ha assicurata che il vostro abboccamento non era concertato.

— Signora, ? disse Emilia commossa, ? voi glie ne faceste domanda?

— Certo che glie l'ho fatta! non dovevate credermi imprudente tanto da pensare che l'avrei trascurata.

— Cielo ? sclam? la fanciulla; ? quale idea si far? egli di me, signora, se voi stessa gli dimostrate tali sospetti?

— L'opinione che si far? di voi, ? ripigli? la zia, ? ? d'or innanzi di pochissima conseguenza. Ho messo fine a questa faccenda, e credo che avr? qualche opinione della mia prudenza. Gli lasciai travedere che non era una stolida, e soprattutto non tanto compiacente da soffrire un commercio clandestino in casa mia. Quanto fu indiscreto vostro padre, ? continu? poi, ? d'avermi lasciata la cura della vostra condotta! Vorrei vedervi accasata; se dovessi trovarmi importunata pi? a lungo da quel signor Valancourt, o da altri pari a lui, vi metter? certamente in un chiostro. Ricordatevi dunque dell'alternativa. Quell'audace ha avuto l'impertinenza di confessarmi che la sua sostanza ? tenuissima, ch'egli dipende da suo fratello maggiore, e che questa sostanza dipende dal suo avanzamento nella carriera militare. Stolto! avrebbe almeno dovuto nascondermelo se voleva persuadermi. Egli aveva dunque la presunzione di supporre ch'io avrei maritata mia nipote ad un uomo nullatenente, ad un miserabile che lo confessa egli stesso... ?

Emilia fu sensibile alla sincera confessione fatta da Valancourt; e quantunque la sua povert? rovesciasse le loro speranze, la franchezza della sua[135] condotta le cagion? un piacere che super? momentaneamente tutti i suoi affanni.

La Cheron continu?: ? Egli ha altres? creduto bene di dirmi che non avrebbe ricevuto il suo congedo se non da voi, ci? ch'io negai positivamente. Conoscer? cos? esser sufficientissimo che non lo aggradisca io, e colgo questa occasione di ripeterlo: se voi concerterete con lui il menomo abboccamento a mia insaputa, preparatevi ad uscir di casa mia all'istante.

— Come mi conoscete poco, se credete che sia, necessario un ordine simile! ?

La signora Cheron si mise alla toletta, essendo invitata per quella sera ad una conversazione. Emilia avrebbe voluto dispensarsi dall'accompagnarla, ma non ard? domandarlo pel timore d'una falsa interpretazione. Quando fu nella sua camera, di? libero sfogo al proprio dolore: si ricord? che Valancourt, sempre pi? amabile per lei, era bandito dalla sua presenza, e forse per sempre. Essa impieg? nel pianto quel tempo che la zia consacrava ad abbigliarsi. Quando si rividero a tavola, i suoi occhi tradivano le lacrime, e ne fu duramente rimproverata. Fece grandi sforzi per parer lieta, n? le riuscirono affatto infruttuosi.

And? colla zia dalla signora Clairval, vedova di certa et?, e stabilita da poco tempo a Tolosa in una villa del marito. Ella aveva vissuto diversi anni a Parigi con molta eleganza: era naturalmente allegra, e dopo il suo arrivo a Tolosa, aveva date le pi? belle feste che vi fossero vedute.

Tutto ci? eccitava non solo l'invidia, ma anche la frivola ambizione della signora Cheron, e non potendo gareggiare nel fasto e nella spesa, voleva almeno esser creduta l'intima amica della Clairval.

A tal uopo, le usava le maggiori cortesie; e quando si trattava di essere invitata da lei, taceva qualunque altro impegno. Ne parlava da per tutto, e si dava[136] grandi arie d'importanza, facendo credere che fossero amiche intrinseche.

Il divertimento di quella sera consisteva in una festa da ballo ed una cena. Il ballo era d'un genere affatto nuovo. Si danzava a diversi gruppi in giardini estesissimi. I grandi e begli alberi sotto i quali si dava la festa, erano illuminati da infiniti lampioni disposti con tutta la variet? possibile. Le diverse fogge aumentavano l'incanto di quella scena. Mentre alcuni ballavano, altri, seduti sulle erbose zolle, parlavano con libert?, criticavano le acconciature, prendevano rinfreschi o cantavano ariette accompagnandosi colla chitarra. La galanteria degli uomini, le civetterie delle donne, la leggerezza e il brio delle danze, il liuto, il flauto, il cembalo, e l'aria campestre, che i boschi davano a tutta la scena, facevano di questa festa un modello piccantissimo dei piaceri e del gusto francese. Emilia considerava questo quadro ridente con una specie di diletto malinconico. Sar? facile comprendere la sua sorpresa allorch?, gettando a caso gli occhi su di una contraddanza, riconobbe l'amante che ballava con una bella e giovine signora, e sembrava aver per lei le pi? premurose attenzioni: si volse tosto volendo condurre altrove la zia, che discorreva con Cavign? senza avere veduto Valancourt. Un'improvvisa debolezza l'obblig? a sedere, e l'estremo pallore che comparve sul di lei volto, fece credere ai circostanti ch'ella fosse incomodata. La Cheron continuava a parlare con Cavign?, e il conte di Beauvillers, che si era occupato di Emilia, le fece alcune maligne osservazioni a proposito del ballo, alle quali ella rispose quasi con incoerenza, tanto l'idea di Valancourt la tormentava, tanto essa era inquieta di restare s? a lungo vicino a lui. Le osservazioni del conte sulla contraddanza l'obbligarono intanto a fissarvi gli occhi, che nello stesso momento s'incontrarono in quelli di Valancourt. Trem? e volt?[137] via tosto gli sguardi, ma non senza aver distinta l'alterazione di lui nel vederla. Si sarebbe volentieri allontanata all'istante medesimo da quel luogo, se non avesse pensato che questa condotta gli avrebbe fatto conoscere troppo l'imperio ch'egli aveva sul di lei cuore. Si prov? a continuare il discorso col conte, il quale le parl? della dama che ballava con Valancourt: il timore di lasciar travedere il vivo interesse ch'ella vi prendeva, l'avrebbe senza dubbio tradita, se gli sguardi del conte non si fossero fissati allora sulla coppia di cui parlava.

? Quel giovine cavaliere, ? diss'egli, ? sembra un uomo compito in tutto, fuorch? nel ballo: la sua compagna ? una delle bellezze di Tolosa, e sar? ricchissima. Voglio sperare che sapr? fare una scelta migliore per la felicit? della sua vita, di quel che non l'abbia fatto per la contraddanza; m'accorgo ch'egli imbroglia tutti gli altri. Mi sorprende per? che quel giovane, col suo bel portamento, non abbia imparato a ballare. ?

Emilia, alla quale batteva forte il cuore ad ogni parola, volle troncare il discorso informandosi del nome di quella signora: prima che il conte potesse risponderle, la contraddanza fin?; ed Emilia, vedendo che Valancourt si avanzava verso di lei, si alz? tosto, e and? accanto alla zia.

? Ecco qua il cavaliere Valancourt, signora, ? le disse sottovoce; ? di grazia ritiriamoci. ? La zia si alz?, ma il giovane le aveva raggiunte; egli salut? la signora Cheron con rispetto, e sua nipote con dolore. Siccome la presenza di quest'ultima gl'impediva di restare, pass? oltre con un contegno, la cui tristezza rimproverava a Emilia di aver potuto risolversi ad aumentarlo: se ne stava essa pensierosa, allorch? il conte Beauvillers le torn? accanto.

? Vi domando perdono, signorina, ? le disse egli, ? di un'incivilt? involontaria. Quando criticava cos? liberamente il cavaliere nel ballo, ignorava ch'ei[138] fosse di vostra conoscenza. ? Emilia arross? e sorrise. La Cheron per? gli rispose: ? Se voi parlate del giovane passato poco fa, posso assicurarvi che non ?, n? di mia conoscenza, n? di quella della signorina Sant'Aubert.

— Gli ? il cavaliere Valancourt, ? disse Cavign? con indifferenza.

— Lo conoscete voi? ? riprese la signora Cheron.

— Non ho con lui nessuna relazione, ? rispose Cavign?.

— Non sapete i motivi che ho di qualificarlo d'impertinente? Esso ha la presunzione di ammirare mia nipote.

— Se, per meritare l'epiteto d'impertinente, basta ammirare madamigella Emilia, ? soggiunse Cavign?, ? temo che ve ne siano molti, ed io m'inscrivo nella lista.

— Oh! signore, ? disse la Cheron con sorriso forzato, ? mi accorgo che imparaste l'arte dei complimenti dopo il vostro soggiorno in Francia; ma non bisogna adulare le fanciulle, perch? esse prendono l'adulazione per verit?. ?

Cavign? gir? un momento la testa, e disse con voce studiata: ? A chi si possono dunque allora far complimenti, signora? Perch? sarebbe assurdo di rivolgersi ad una donna, il cui gusto ? gi? formato: essa ? superiore a qualunque elogio. ?

Terminando questa frase, egli guardava Emilia di soppiatto, e l'ironia brillava nei di lui occhi. Essa lo intese, ed arross? per la zia; ma la Cheron rispose: ? Voi avete perfettamente ragione, signore; una donna di gusto non pu?, n? deve soffrire un complimento.

— Ho inteso dire al signor Montoni, ? soggiunse Cavign?, ? che una donna sola ne meritava.

— Da vero, ? esclam? la Cheron con un sorriso pieno di fiducia; ? e chi sar? mai?

— Oh! ? replic? egli: ? ? facile conoscerla. Non[139] vi ? certo pi? di una donna al mondo che abbia insieme il merito d'inspirare la lode e lo spirito di ricusarla. ? Ed i suoi occhi si voltavano ancora verso Emilia, la quale arrossiva sempre pi? per la zia.

— Ma bravo signore, ? disse la Cheron, ? io protesto che voi siete Francese. Non ho mai udito uno straniero esprimersi con tanta galanteria.

— ? verissimo, signora, ? rispose il conte cessando dalla sua parte mutola; ? ma la galanteria dei complimenti sarebbe stata perduta, senza l'ingenuit? che ne scuopre l'applicazione. ?

La Cheron non conobbe il senso satirico di questa frase, e non sentiva la pena che Emilia provava per lei.

? Oh! ecco qua il signor Montoni in persona, ? disse la zia; ? voglio raccontargli tutte le belle cose che mi avete dette. ? Ma l'Italiano pass? in un altro viale. ? Vi prego di dirmi che cosa pu? occupar tanto stasera il vostro amico? Non si ? lasciato vedere neppur un momento, disse madama Cheron con aria dispettosa.

— Egli ha, ? disse Cavign?, ? un affare particolare col marchese Larivi?re, che, da quanto vedo, l'ha occupato fino ad ora, perch? non avrebbe mancato al certo di venire ad offrirvi i suoi omaggi. ?

Da tutto quel che intese, Emilia cred? accorgersi che Montoni corteggiava seriamente la zia, e che non solo essa lo aggradiva, ma si occupava con gelosia delle di lui menome negligenze. Che la signora Cheron, alla sua et?, volesse scegliere un secondo sposo, sembrava partito ridicolo; pure, la di lei vanit? non lo rendeva impossibile; ma che, col suo spirito, il suo volto e le sue pretese, Montoni potesse scegliere la zia, ecco ci? che sorprendeva Emilia. I suoi pensieri per? non fissaronsi a lungo su questo oggetto; essa era tormentata da interessi pi?[140] pressanti. Valancourt, rifiutato dalla zia, Valancourt aveva ballato con una bella giovine signora... Traversando il giardino, essa guardava da tutte le parti, sperando, e temendo di vederlo comparire nella folla. Nol vide, e la pena che ne risent? le fece conoscere aver ella pi? sperato che temuto.

Montoni le raggiunse di l? a poco, e balbett? qualche parola sul dispiacere d'essere stato tanto tempo occupato altrove. La zia ricev? questa scusa coll'aria dispettosa d'una bambina, ed affett? di parlar soltanto a Cavign?, il quale, guardando Montoni ironicamente, parea volergli dire: ? Io non abuser? del mio trionfo, e sosterr? la mia gloria con tutta umilt?. ?

La cena fu servita nei vari padiglioni del giardino ed in una gran sala del castello; la Cheron e la sua comitiva vi cenarono insieme alla signora Clairval, ed Emilia pot? reprimere a stento l'emozione, quando vide Valancourt prender posto alla medesima tavola dov'era lei. La zia lo vide egualmente, e chiese al vicino: ? Chi ? quel giovine?

— ? il cavaliere Valancourt, ? le fu risposto.

— So anch'io il suo nome, ? soggiuns'ella; ? ma chi ? mai cotesto cavaliere Valancourt che s'introduce a questa tavola? ?

L'attenzione della persona da lei interrogata fu distratta prima di ottenerne risposta. La tavola era lunghissima; Valancourt stava verso il mezzo colla sua compagna, ed Emilia, ch'era in un angolo della medesima, non l'aveva ancora veduta; ci? le diede motivo di fare mille riflessioni tutte egualmente per lei disgustose.

Le osservazioni su tal proposito facevano il tema di una conversazione indifferente, e qualcuno si compiaceva d'indirizzarle alla signora Cheron, sempre intenta ad avvilire Valancourt.

? Ammiro quella bella signora, ? diss'ella, ? ma condanno la sua scelta.[141]

— Oh! il cavaliere Valancourt ? il giovine pi? amabile ch'io conosca, ? rispose la signora alla quale era stato rivolto quel discorso; ? si dice perfino che la signora Demery lo sposer? quanto prima, e gli porter? in dote le sue ricchezze.

— Ci? ? impossibile, ? sclam? la Cheron, facendosi di fuoco; ? egli ha s? poco l'aria d'un uomo di qualit?, che se non lo vedessi alla tavola della signora Clairval, non mi sarei mai persuasa che potesse esser tale; d'altra parte, ho forti motivi per dubitare della voce che corre.

— Ed io non posso dubitarne, ? disse l'altra signora, alquanto piccata di quella contraddizione.

— Posso io domandarvi, ? disse la Clairval, ? signore mie, quale ? il soggetto della vostra quistione?

— Vedete voi, ? le disse la Cheron, ? quel giovine quasi in mezzo alla tavola, e che parla colla signora Demery? Ebbene! quell'uomo, che non ? conosciuto da alcuno, ha pretese presuntuose su mia nipote, e questa circostanza, almeno io lo temo, ha dato luogo a credere ch'egli si spacciasse per mio adoratore; considerate ora quanto una tal ciarla sia offensiva per me.

— Ne convengo, mia buona amica, ? rispose la Clairval, ? e potete esser certa ch'io lo smentir? da per tutto. ? E si volt? da un'altra parte. Cavign?, che fino a quel punto era stato freddo spettatore di quella scena, fu in procinto di rompere in una risata, e lasci? il posto bruscamente.

? Vedo bene che voi ignorate, ? disse alla Cheron la dama seduta accanto a lei, ? che il giovine di cui parlaste alla signora Clairval ? suo nipote!....

— ? impossibile! ? sclam? la Cheron, accorgendosi del suo grossolano sbaglio; e da quel momento cominci? a lodar Valancourt con altrettanta bassezza, quanta malignit? aveva impiegata fino allora per denigrarlo.[142]

Emilia era stata assorta durante la massima parte del discorso, e fu cos? preservata dal dispiacere di udirlo; fu sorpresissima dunque nel sentire le lodi delle quali sua zia colmava Valancourt, ed ignorava ancora ch'egli fosse nipote della Clairval; epper? vide senza rammarico la zia, pi? imbarazzata di quello che volesse parere, cercar di ritirarsi subito dopo la cena. Montoni venne allora a darle la mano per condurla alla carrozza, e Cavign?, con ironica gravit?, la segu? accompagnando Emilia. Nel salutarli e nel rialzar la portiera, essa vide l'amante tra la gente, alla porta. Egli sparve prima della partenza della vettura; la zia non disse nulla ad Emilia, ed elleno si separarono giugnendo a casa.

La mattina seguente, essendo Emilia a colazione colla zia, le fu presentata una lettera, di cui, al solo indirizzo, riconobbe il carattere; la ricev? con mano tremante, e la zia domand? tosto donde venisse. Emilia la disigill? con suo permesso, e vedendo la firma di Valancourt, gliela consegn? senza leggerla. La Cheron la prese con impazienza, e mentre la leggeva, Emilia procurava d'indovinarne il contenuto nei di lei sguardi; gliela restitu? quasi subito, e siccome gli sguardi della nipote domandavano se potesse leggere: ? S?, leggete, leggete, figliuola, ? le disse con minor severit? di quello che si aspettava. Emilia non aveva mai obbedito tanto volentieri. Valancourt nella sua lettera, parlava poco dell'abboccamento del d? prima; dichiarava che non avrebbe ricevuto congedo se non da lei sola, e la scongiurava di riceverlo quella sera medesima, mentre leggeva, stupiva che la Cheron mostrasse tanta moderazione, e, guardandola timidamente, le disse: ? Che debbo rispondergli?

— Eh! bisogna vederlo quel giovine, s? certo, ? disse la zia; ? bisogna vedere ci? che pu? dire a favor suo; fategli dire che venga. ?

Emilia osava credere appena a' propri orecchi.[143]

? No, no, restate, gli scriver? io stessa, ? aggiunse la zia; e chiese carta e calamaio.

Emilia non ardiva fidarsi ai dolci motti che l'animavano; la sorpresa sarebbe stata meno grande, se avesse inteso la sera innanzi ci? che la zia non avea scordato, cio? che Valancourt era nipote della signora Clairval.

Ella non conobbe i segreti motivi della zia; ma il risultato fu una visita, la sera stessa, di Valancourt, che la Cheron ricev? sola nel suo gabinetto. Ebbero essi insieme un lungo colloquio prima che Emilia fosse chiamata: quando essa entr?, la zia parlava con dolcezza, e gli occhi del giovane, il quale alzossi prontamente, scintillavano di gioia e di speranza.

? Noi parlavamo di affari, ? disse la zia; ? mi diceva qui il cavaliere, che il fu signor Clairval era fratello della contessa Duverney, sua madre: avrei voluto ch'egli mi avesse parlato pi? presto della sua parentela colla signora Clairval; l'avrei riguardato come un motivo pi? che sufficiente per riceverlo in casa mia. ?

Valancourt s'inchin?, e voleva presentarsi ad Emilia, ma la Cheron lo prevenne.

? Ho acconsentito che voi riceviate le sue visite, e sebbene non intenda impegnarmi in alcuna promessa, n? dire che lo considerer? come mio nipote, permetter? la vostra relazione e riguarder? l'unione ch'egli desidera, come un fatto che potr? aver luogo fra qualche anno, se il cavaliere avanzer? di grado, e se le sue circostanze gli permetteranno di ammogliarsi; ma il signor Valancourt osserver?, e voi pure, Emilia, che, fino a quel punto, v'interdico positivamente qualunque idea di matrimonio. ?

La figura d'Emilia, durante questa brusca aringa, cambiava ad ogni momento; e, verso la fine, la sua confusione fu tale, che stava per ritirarsi. Valancourt, intanto, quasi imbarazzato quanto lei, non[144] osava guardarla. Allorch? la zia ebbe finito, egli le rispose: ? Per quanto lusinghiera possa essere per me la vostra approvazione, per quanto mi trovi onorato dalla vostra stima, nulladimeno temo tanto, che oso appena sperare.

— Spiegatevi, ? disse la Cheron. L'inattesa risposta turb? talmente il giovine, che se fosse stato spettatore di quella scena, non avrebbe potuto far a meno di ridere.

? Fino a che la signora Emilia non mi permetta di profittare delle vostre bont?, ? diss'egli con voce sommessa, ? fintantoch? ella non mi permetta di sperare...

— Se non c'? altra difficolt?, m'incarico io di risponder per lei. Sappiate, signore, ch'essa ? sotto la mia custodia, ed io pretendo ch'ell'abbia ad uniformarsi in tutto alla mia volont?. ?

S? dicendo, si alz?, e ritirossi nella sua camera lasciando Emilia e Valancourt in pari imbarazzo: finalmente il giovine, la cui speranza era maggiore del timore, le parl? colla vivacit? e franchezza a lui naturali: ma Emilia non si rimise se non dopo qualche tempo prima di intendere le domande e le preghiere sue.

La condotta della signora Cheron era stata diretta dalla sua vanit? personale. Valancourt, nel suo primo abboccamento con lei, le aveva ingenuamente confessata la sua posizione attuale, e le sue speranze per l'avvenire; e con maggior prudenza che umanit?, aveva severamente ed assolutamente respinta la sua domanda: desiderava che la nipote facesse un gran matrimonio, non gi? perch? le augurasse la felicit? che si suppone unita al grado ed alla opulenza, ma per voler dividere l'importanza che un illustre parentado potea darle. Quando seppe che Valancourt era nipote d'una persona come madama Clairval, desider? un'unione il cui splendore per certo avrebbela avvolta nella sua aureola. Fondando[145] le sue speranze sulla ricchezza della Clairval, obliava ch'essa aveva una figlia. Valancourt per? non l'aveva dimenticato, e contava s? poco sopra l'eredit? della propria zia, che non aveva neppure parlato di lei nel suo primo colloquio colla Cheron; ma comunque potesse esser per l'avvenire la fortuna d'Emilia, la distinzione che le procurava questo parentado era certa, giacch? la brillante situazione della Clairval formava l'invidia di tutti, ed era un oggetto d'emulazione per quelli che potevano sostenerne la concorrenza. Essa aveva dunque acconsentito di abbandonar la nipote all'incertezza d'un impegno la cui conclusione era dubbiosa e lontana; e di tal modo poco combinata la sua felicit? o col consenso, o coll'opposizione: avrebbe per? potuto render questo matrimonio sicuro e vantaggioso insieme, ma una tal generosit? non entrava allora per nulla nei suoi progetti.

Da quel punto, Valancourt fece frequenti visite alla signora Cheron, ed Emilia pass? nella sua societ? i pi? felici momenti dei quali avesse goduto dopo la morte del padre. Erano ambidue troppo dolcemente occupati del presente, per interessarsi molto del futuro: amavano, erano riamati, e non sospettavano che quell'istesso attaccamento, il quale formava la loro felicit?, potesse cagionare un giorno la disgrazia della loro vita. In questo intervallo, la relazione della Cheron colla Clairval divenne sempre pi? intima, e la vanit? della prima si pasceva di gi? bastantemente, pubblicando da per tutto la passione del nipote della sua amica per Emilia.

Montoni divenne anch'egli l'ospite giornaliero del castello, ed Emilia si accorse, col massimo dispiacere, ch'egli era l'amante di sua zia, e amante favorito.

I nostri due giovani passarono cos? l'inverno, non solo nella pace, ma anche nella felicit?. Il reggimento di Valancourt era in guarnigione vicino a[146] Tolosa, per cui potevano vedersi di frequente. Il padiglione del terrazzo era il teatro favorito delle loro conferenze; la zia ed Emilia vi andavano a lavorare, e Valancourt leggeva loro opere di spirito. Egli osservava l'entusiasmo d'Emilia, esprimeva il suo, e si convinceva infine, ogni giorno pi?, che le loro anime erano fatte l'una per l'altra, e che con il medesimo gusto, la medesima bont? e nobilt? di sentimenti, essi soli reciprocamente potevano rendersi felici.

 
 

FINE DEL PRIMO VOLUME

 
 


1875. Milano, Tip. Ditta Wilmant.


NOTA DEL TRASCRITTORE

La presente edizione del libro ? una traduzione abbreviata e priva di quasi tutte le parti in poesia. La versione originale completa in inglese ? disponibile su Project Gutenberg: The mysteries of Udolpho.

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annnotazione minimi errori tipografici. In particolare, l'uso di trattini e virgolette per introdurre il discorso diretto, molto irregolare e incoerente, ? stato per quanto possibile regolarizzato. Un indice ? stato inserito all'inizio.

I seguenti refusi sono stati corretti [tra parentesi il testo originale]:

P.     5 -ora lasciando scorgere bizzarre [bizzare] forme, si mostravano
10 - senso per preferire le attrattive [attrattative] alla virt?
11 - gli oggetti che la colpivano, dava soprattutto [soprattuto]
14 - l'entusiasmo [l'entusiamo] del sentimento le diveniva
16 - trov? difatti i coniugi [cuniugi] Quesnel nel salotto.
19 - ma l'ira fe' presto luogo al disprezzo [disprezeo].
26 - ? passato, e quando lo si prolunga all'eccesso [acesso],
36 - grandiose, internaronsi nell'angusta valle [vallea].
39 - altrove mi vergognerei [vergogneri] di offrirvelo.
42 - della pi? soave fragranza [fraganza].
54 - non sapeva pensare a s? medesima, e Valancourt [Valancorut],
62 - superficie [superfice] scorrevano molte vele sparse,
67 - d'un tal Motteville [Monteville] di Parigi, ma ignoravi che la
68 - Si scuopriva il lago di Leucate, il Mediterraneo [Meditarraneo],
73 - La carrozza [carozza] si ferm? di nuovo; egli
76 - si adagi? sopra una specie [spece] di poltrona.
84 - alla finestra, sperando e temendo [tememdo] nel tempo istesso
85 - (e altre) Sant'Aubert [Sant'Auber]
93 - lenivano alquanto la di lei disperazione [dispezione].
96 - a lasciarla [lascirla] partire. Ella usc? dal convento
98 - perch? siete superstizioso [saperstizioso], n'? vero?
100 - fu deposto [doposto] nella tomba, quando ud? gettar la terra
100 - avea provato scosse troppo violente [violenti]
103 - alla perfine [perfino] lasci? il convento colle lacrime
106 - La fanciulla rimase [rimasa] alcun tempo immersa in alta
114 - sebbene abbia avuto la fortuna [fotuna] d'incontrarvi
115 - poi, rimettendosi [rimettandosi], soggiunse: ? Perdonate questa
121 - rapivano in dolce estasi l'anima sua e la portavano [porvano]
122 - il timore altres? [altresi] delle censure della zia
129 - di aver conosciuto [conasciuto] Valancourt,
130 - No, signora, io non lo conosco [conoscono],
138 - essa ? superiore [superiora] a qualunque elogio.
141 - conosciuto da alcuno, ha pretese presuntuose [prosuntuose]

Grafie alternative mantenute:

  • colta / c?lta
  • sopratutto / soprattutto





























End of the Project Gutenberg EBook of I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1, by 




Ann Radcliffe









*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK I MISTERI DEL CASTELLO D'UDOLFO, VOL. 1 ***









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assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's




goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will




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Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure




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To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation




and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4




and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.














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state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal




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works.









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