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Cristina, di Matilde Serao

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The Project Gutenberg EBook of Cristina, by Matilde Serao







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with this eBook or online at www.gutenberg.org











Title: Cristina







Author: Matilde Serao







Release Date: March 1, 2013 [EBook #42237]







Language: Italian







Character set encoding: UTF-8







*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CRISTINA ***



















Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara



Magni and the Online Distributed Proofreading Team at



http://www.pgdp.net (This file was produced from images



generously made available by The Internet Archive)



























Copertina

Piccola collezione ??Margherita??

MATILDE SERAO

CRISTINA

Disegni di Castellucci
Incisioni di Ballarini

ROMA
Enrico Voghera, Editore
Via Po, 3
???
1908

La presente opera ?? messa sotto la tutela delle vigenti leggi e trattati di propriet?? letteraria ed artistica

(07-6764) Tip. E. Voghera

INDICE

Cristina Pag. 15
Sacrilegio 89

Cristina.

[13]

[15]

I.

Mentre Cristina si chinava a cogliere un ramoscello di basilico odoroso, da mettere come aroma nella salsa di pomodoro che bolliva in cucina, ud?? un sibilo breve e dolce. Ella lev?? il capo, ma non vide nulla; il sole batteva sulla terrazza dove si allineavano, nei vasi di creta, le rose di ogni mese, fiorite, i peperoncini rossi, i garofani [16] schiattoni, il prezzemolo e i gelsomini bianchi; il sole l'abbagliava. Ma di nuovo un sibilo dolce attravers?? quel silenzio meridiano; ella si rialz?? vivamente, fece solecchio con la mano e si guard?? intorno. Il sole la illuminava tutta, nel suo vestito di percallo bigiognolo a fiorellini azzurri, molto stretto alla cintura, col grembiule di merino nero, che cingeva la persona: a un occhiello del vestito, sul petto, erano passati due gelsomini bianchi, dal gambo sottile; i folti capelli castani, divisi in due treccie, raccolti sulla nuca, strettamente, lasciavano libera una piccola fronte bianca.

[17] ??? Chi sar??? ??? pensava ella, aguzzando gli occhi.

Infine qualche cosa di bianco che si agitava, attir?? la sua attenzione. Dietro la casa dei Marcorelli, a una piccola finestra di casa Fiorillo, una pezzuola si agitava, mossa da una mano.

??? Ah! ?? Peppino Fiorillo ??? mormor?? Cristina con un piccolo moto di disdegno.

E non vi bad?? pi??. Sul parapetto della terrazza sei tovaglioli bagnati si asciugavano al sole, mantenuti fermi contro il lieve ponente da pezzi di mattone. Ella, prima di rientrare, assoggett?? meglio i tovaglioli sotto i mattoni, [18] perch?? il vento non li portasse via. Ma una curiosit?? la prese di sapere con chi l'aveva quello stravagante di Peppino Fiorillo: forse con Caterina Marcorelli, ma le finestre di Caterina erano sbarrate, da Marcorelli avevano gi?? pranzato e dormivano tutti, nell'ora lunga e affannosa della siesta meridionale. Si pieg?? sul parapetto a vedere se la maestrina, la Ottilia Orrigoni, una piemontese, fosse dietro i vetri del suo balcone a correggere i c??mpiti delle alunne: non vi era. Niente, attorno non si vedeva nessuno. Levando gli occhi, vide che Peppino Fiorillo faceva cenno a lei, ritto innanzi alla finestra. [19]

[21] ??? L'ha con me ??? disse fra s??: ??? ?? matto, il giovinotto.

E se ne and??, arrossendo un po' di collera, un po' di compiacenza. Rinchiuse i vetri della porta-balcone che dava sulla terrazza, senza voltarsi indietro. E mentre Michela, la serva, buttava le foglie di basilico nel pomodoro che gorgogliava, Cristina sedette in un angolo della vasta e chiara cucina e si rimise a fare la calza. Per l'ottobre, suo fratello Carluccio doveva entrare nel collegio militare della Nunziatella, a Napoli, e il corredo non era mai finito. Non pensava pi?? a Peppino Fiorillo, [22] la tranquilla creatura, pensava che questo suo fratello se ne andava come l'altro, il pi?? grande, che si era riccamente ammogliato a Pietramelara e lei, Cristina, restava sola, a diciott'anni, in casa, col padre vecchio e con la zia Rosina che soffriva di asma. In questa il fanciullo entr??: tornava dalla scuola, col berretto di traverso e la cartella sotto il braccio, con la cinghia pendente.

??? Oh Ciccina, Ciccinella ??? grid?? lui, dandole della testa nel petto per baciarla troppo presto.

??? Come puzzi di fumo, Carluccio!

??? Pare a te, Ciccina mia.

[23] ??? Altro che pare! Non dire la bugia, che ti cammina sul naso. Hai ancora fumato, birbante! Glielo dir?? a pap??, io, quando torna.

??? Non glielo dire, Ciccinella cara, non glielo dire. Una piccola sigaretta di quattro centesimi e ne ho mezza in tasca, pensa che me ne vado in quel brutto collegio, dove mi metteranno sempre in castigo.

??? E sar?? bene, perch?? sei impertinente. Chi te lo ha dato il soldo per comperare la sigaretta? Non lo avevi.

??? Me l'ha regalata Peppino Fiorillo, quel giovanotto coi capelli ricci ricci; ne fuma venticinque al giorno, lui, [24] di sigarette, perch?? ?? grande, sta al liceo; l'ho incontrato qua vicino, passeggiava...

??? Non te la doveva dare la sigaretta; vedete se ?? possibile, un ragazzetto di dodici anni, fumare! Se ?? vizioso lui, non deve far diventare viziosi gli altri, le creaturine...

??? Oh Ciccina, quel poveretto ti ha mandato anche a salutare! Ha detto cos??: salutami la tua bella e sdegnosa sorella. Come parla bene, eh? Sta al liceo...

??? Un'altra volta non ti fermerai con lui, hai capito?

??? Oh Ciccina, quanto sei cattiva oggi ??? disse Carluccio, volendo piangere.

[25] ??? Dammi la mezza sigaretta ??? disse ella, raddolcita.

??? Ecco qua.

Cristina la butt?? nella cenere del focolare.

??? Lo vuoi fare pi???

??? No, Ciccinella cara.

??? Ti ci fermerai pi??, con Peppino Fiorillo?

??? Mi ha promesso un gelato, da Mola, per domani, quando esco con Michela, ch?? ?? domenica: ma se tu vuoi, non mi ci fermer?? pi??.

??? Te li dar?? io, i quattrini pel gelato. Se Carluccio si porta bene, la sorella sua lo accompagner?? a Napoli al collegio e gli regaler?? una bella scatola di compassi...

[26] ??? E dirai a pap?? che mi compri un orologetto d'argento, senza catena, capisci, con un laccettino nero?

??? Glielo dir??: subito, a lavarsi le mani e i denti, via, soldatino. Non si viene a pranzo, cos??, come un sudicione.

Nella giornata, Cristina non ebbe pi?? tempo di pensare a Peppino Fiorillo: Maddalena, la vedova di Stefano, e Carmela, la figlia di Graziella la portinaia, cucivano le camicie pel corredo di Carluccio ed ella doveva tagliarle e impuntirle. Questo le prese il pomeriggio: alle ventiquattro, tutte le donne di casa si riunirono in una [27] stanza dove era un'immagine dell'Assunta e seguendo l'intonazione di zia Rosina, si recit?? il rosario. Alla Salve regina Cristina s'inginocchi?? e rest?? genuflessa per tutto il tempo della litania. Pregava per suo padre, per sua zia Rosina che era malata, per suo fratello Ferdinando che stava a Pietramelara, per la cognata Francesca che era incinta e soffriva molto, per Carluccio che era piccolino e doveva partire, e per s?? poi, perch?? il Signore le desse forza, salute e bont?? di cuore. Nella serata, dal terzo piano discese il cancelliere, sua moglie e sua figlia, Irene, una zitella [28] di trent'anni: il marito e la moglie giuocavano la partita a scopone in quattro, con zia Rosina e col padre di Cristina. Irene e Cristina lavoravano all'uncinetto certe stelle per coperta di letto, parlando sottovoce.

??? Totonno mi ha ancora scritto, oggi ??? confid?? Irene.

??? Ah... e che dice?

??? Che vuol dire? le solite cose. Senza denari, non se ne fa nulla. Egli mi ama, capisci, ?? disperato, non ci ?? da fare altro che aspettare la morte di suo padre.

??? Oh!

??? ?? vecchio, ha fatto il tempo suo, il Signore se lo potrebbe prendere. Noi anche abbiamo il diritto di vivere.

[29] ??? Gli hai risposto?

??? Figurati, subito! In sette anni di amore ci saremo scritti un baule di lettere. Senti, Peppino Fiorillo ?? innamorato di te?

??? No.

??? Come? Se ti faceva i gesti da spasimante, oggi.

??? Dove l'hai visto?

??? Dalla finestra del pollaio; davo il mangime ai polli. Fa vedere che non ne sai niente, ora! Lo ami tu?

??? No, cara Irene.

??? ?? un gran bel giovane, una testa bizzarra, ?? amico di Totonno. Non ti piace?

??? No.

??? E chi ti piace?

??? Nessuno.

[30] ??? Non pu?? essere.

??? Te lo direi: non mi piace nessuno.

??? Prometti che me lo dirai?

??? Prometto.

Dopo, Cristina non ci pens?? pi??, a Peppino Fiorillo: appena andata a letto, ella si addorment?? immediatamente, come al solito. Al mattino seguente, che era domenica, Cristina, dopo aver annodato la bella cravatta rossa di Carluccio, si vest?? col suo abito della domenica, di lana crema, e usc?? un momento sulla terrazza, aspettando che zia Rosina fosse pronta per la messa. Peppino Fiorillo era alla sua finestra, [33] pronto anche lui per uscire, col cappello in testa: vedendola, si scappell?? profondamente; ella rispose appena, indispettita, sapendo che egli l'avrebbe seguita alla messa. Per fortuna non entr?? in chiesa, poich?? era libero pensatore e segretario del circolo democratico Patria e Libert??: ma Cristina fu inquieta durante tutta la messa. Uscendo, pass?? rapidamente innanzi a lui, senza guardarlo, rabbuiata nel viso: ma lui, ostinato, la segu?? sino alla porta della sua matrina, la signora Cannavale, in piazza Mercato.

??? Mettiamoci al balcone, passa la musica.

[34] ??? No, comare mia, non voglio.

??? E perch???

??? C'?? qui sotto quel pazzarello di Peppino Fiorillo, che non mi vuole lasciare in pace.

??? Chi? quello che d?? tanti dispiaceri a sua madre? Figlia mia, pensa a quel che fai: i Fiorillo erano ricchi, ma sono rovinati, adesso...

??? Io vorrei che lui mi lasciasse stare, ecco tutto.

??? Gliene far?? parlare dal compare Ciccio che, sai, ti vuol bene come un secondo padre.

??? Non importa, aspettiamo, forse smetter??.

Ma alla sera, mentre in piazza Mercato, sotto le acacie, [35] suonava la banda municipale e le ragazze di Santa Maria sedevano, in fila, coi loro vestitini bianchi di taglio provinciale, agitando i ventaglini rossi che il fratello o lo zio avevano loro portato in dono da Napoli, occhieggiando col giovanotto amato, mentre le mamme, pure in fila, dietro, si lagnavano dell'umidit??, Irene disse a Cristina:

??? Totonno mio ?? con Peppino Fiorillo.

Cristina sogguard?? da quella parte. Pappino, appoggiato a un'acacia, col cappello in mano, si passava l'altra nei capelli ricciuti, con un gesto stanco e triste di persona infelice.

[36] ??? Come ti guarda! ??? disse Irene. ??? Non ne hai piet???

??? Ma che piet??! Mi secca, tutti lo vedono, domani saremo la favola del paese. Bel guadagno ad avere una persona come lui alle costole!

Malgrado l'aria imbronciata di Cristina, Peppino seguit?? il suo armeggio di spasimante provinciale, cav?? il fazzoletto di seta rossa dal taschino del soprabito, se lo port?? alle labbra come se lo baciasse, lanciando alla fanciulla certi sguardi lunghi, appassionati. Immediatamente Giulia Ricca dette l'avviso di questo avvenimento ad Adelina Magliolo; dall'altra parte [37] Mariella Nespoli lo disse a Clemenza La Corte e tutta la fila delle fanciulle fu commossa. Per un momento si credette che Peppino Fiorillo guardasse Caterina Marcorelli, ma l'errore fu subito corretto, ?? Cristina, ?? Cristina Demartino, circol?? sottovoce.

??? Cristina corrisponde?

??? No, no, non vuol saperne.

??? Domandate a Irene.

??? Irene dice che Cristina non vuol saperne.

??? Sar?? vero?

??? Mah! abitano dirimpetto, non direbbe la bugia.

??? Peppino ?? uno stravagante.

??? ?? capace di una forte passione?

[38] ??? Chiss??! Non ha un soldo e Cristina ha quattromila ducati di dote.

??? Che quattromila! Non ci arrivano.

??? E se muore la zia Rosina che ha l'asma, Cristina eredita.

??? Dio mio, che faccia malinconica ha Peppino! Cristina potrebbe guardarlo un momento.

L'indomani la leggenda della passione non corrisposta di Peppino Fiorillo per Cristina Demartino circolava per tutta Santa Maria. Se ne parl?? al casino di conversazione e nella farmacia di don Pietro Roccatagliata, al tribunale e nella tipografia del [39] Corriere Campano. L'eroe girava per le strade, con la sua aria stracca di un uomo tediato di vivere, masticando la sigaretta, rispondendo seccamente agli amici che incontrava.

??? ?? vero che vuoi bene a Cristina Demartino? ??? gli domand?? Ciccillo La Corte, uscendo dallo studio dell'avvocato Bosco, dove faceva pratica di procuratore.

??? S?? ??? disse l'altro, cupamente.

??? E che intendi di fare?

??? Amarla.

??? Ella ti corrisponde?

??? Non so: non importa.

??? Che tipo strano sei tu!

??? Homo sum ??? mormor?? Peppino Fiorillo.

[40] E fin?? per passare le sue giornate di vacanza alla finestra, donde si vedeva la terrazza di Cristina, e a passeggiare. Appena ella usciva a prendere una boccata d'aria, coll'uncinetto fra le dita e il gomitolo del filo nella taschetta del grembiule, se lo vedeva l?? di faccia, con la sua aria tragica di amante disprezzato. Ella chinava gli occhi, non rientrava subito dentro per non far sembiante di nulla, ma restava imbarazzata, col viso infiammato. Ella gli aveva fatto dire, dal padrino Ciccio Cannavale, che la lasciasse tranquilla, che pensasse ad altro. Ma Peppino Fiorillo aveva declamato [41] un grande discorso a don Ciccio Cannavale, sull'eternit?? del vero amore, su Dante e Beatrice, su Petrarca e Laura, sulla libert?? del sentimento. Don Ciccio gli aveva obiettato che lui, Peppino Fiorillo, non aveva n?? arte n?? parte, e che non poteva pretendere di sposare una fanciulla che aveva quattromila ducati di dote. Peppino aveva subito replicato, con grande fierezza, che egli disprezzava il denaro: sarebbe andato a Napoli a studiare legge, avrebbe conosciuto gli uomini politici del partito democratico nelle cui mani ?? l'avvenire, avrebbe tentato il giornalismo, la letteratura, la [42] poesia, carriere indipendenti, dove trova fortuna e gloria ogni forte ingegno, insofferente di giogo; del resto, lui, Peppino Fiorillo, disprezzava altamente la provincia e la sua crassa ignoranza. Don Ciccio Cannavale, sbalordito, non trov?? nulla da replicare, e Peppino Fiorillo concluse:

??? O Cristina, o la morte.

Trov?? anche mezzo di scriverle certe lunghe lettere piene di punti ammirativi, di citazioni poetiche, specialmente del Cavallotti, di cui aveva comperate le Anticaglie, nominando financo Victor Hugo, che Cristina non aveva mai letto. Gliele portava Carmela, la figlia della [43] portinaia Graziella, una ragazza di quattordici anni, la cui gran professione era di portar lettere amorose a Irene, alla maestrina Ottilia Orrigoni, e ci guadagnava delle mezze lire, con cui comprava una quantit?? di nastrini, di spilloni falsi, di orecchini in pastiglia. Cristina lesse le lettere, ma non volle mai rispondere: anzi, nella confessione, padre Raffaele la rimprover?? di conservarle, ed ella le bruci??. Una parte delle sue amiche, quelle che amavano i giovanotti spiantati, le cosidette romantiche, la consigliavano a confortare di amore quel povero Peppino Fiorillo, che si struggeva [44] per lei, che si consumava, che vegliava le notti intere, che non mangiava pi??, che aveva sputato sangue, una mattina: ma le altre, quelle tranquille come lei, in minoranza, glielo ripetevano continuamente che Peppino Fiorillo pativa nel cervello, che era un miserabile sfaccendato, che permetteva sua madre andasse in giornata a stirare, per comprarsi le sigarette e pagare i bicchierini di assenzio al caff?? Mola. La buona creatura si ribellava ogni tanto contro questo amore di cui non sapeva che farsi, che la tormentava, che le impediva di uscire. In quei periodi di collera, ella chiudeva [45] i cristalli sul viso a Peppino Fiorillo; dovunque lo incontrava, gli voltava le spalle; il suo umore s'inaspriva, ella maltrattava Carluccio e le serve, recitava il rosario con una voce desolata di donna infelice che chiede una suprema grazia al Signore. In quei giorni Peppino Fiorillo gironzava per le vie di Santa Maria, col capo chino, con le guancie pallide, dove la barba non rasa metteva un'ombra azzurrina di malattia, e non salutava pi?? nessuno.

??? Quella Cristina ?? proprio senza cuore ??? dicevano oramai tutti quanti.

Ella credette essersene liberata, quando Peppino Fiorillo [46] dovette partire per Napoli, nel novembre. Le parve meno dolorosa la partenza di Carluccio, per questo sollievo di Peppino che se ne andava anche lui. Ma lo studente le scrisse una lunga lettera in cui le giurava fedelt??, che le avrebbe scritto ogni giorno da Napoli, che si sarebbe fatto subito un gran nome per metterglielo ai piedi, per commoverla. La lettera era tutte cassature, raschiature, macchie sbiadite d'inchiostro: Peppino confessava d'aver pianto scrivendo. Questa lettera ella la trov?? nel panierino dell'uncinetto, senza poter sapere chi ce l'avesse messa. E tutta la notte [47] che precedette la partenza, Peppino passeggi?? sotto la casa di Cristina: se ne parl?? un mese in Santa Maria.

Infatti per otto o dieci giorni, per la posta, arrivarono certe grosse lettere di vari foglietti, su cui erano scombiccherate le frasi pi?? disperate. Sempre Cristina avrebbe voluto respingerle, ma poi la curiosit?? la vinceva. Un giorno arriv?? un giornaletto letterario, l'Alcione, che usciva a Sarno, ogni domenica, dove ci era un sonetto dedicato alla mia divina Cristina, tutto idealit?? e firmato Giuseppe Aldo Fiorello. Poi, un giorno manc?? la lettera; le mancanze si fecero frequenti, [48] sicch?? a gennaio, per una settimana, non giunse pi?? niente. Alla sera, mentre Cristina leggeva il Pungolo a suo padre, trov?? nella cronaca che per i tumulti universitari, fra gli studenti di primo anno che avevano gridato abbasso Senofonte, era stato arrestato, poi rilasciato G. Aldo Fiorello; poi giunse un giornale repubblicano, la Spira, dove Aldo Fiorello che era stato ritenuto in carcere mezza giornata, si vantava del martirio sofferto e sacrava le teste dei tiranni all'augurata ghigliottina. Peppino Fiorillo, ovvero Aldo Fiorello, non venne a far Pasqua con sua madre e la povera donna [49] fu invitata a pranzo da don Ciccio e da donna Rosalia Cannavale: ella mand?? dieci lire al figliuolo perch?? facesse contento la Pasqua. Per mandargli cento lire al mese, ella digiunava spesso. Nel mese di maggio Cristina Demartino ricevette un giornale politico letterario di Forl??, il Satana, dove era pubblicata una ode barbara di Aldo Fiorello, dedicata a una fanciulla sciocca. In essa l'autore si burlava, in metro alcaico, di una fanciulla provinciale, bacchettona, che ancora aveva la volgarit?? di credere nel vecchio Jehova dei sacerdoti, che era anemica, ammalata d'isterismo, ipocrita e desiderava [50] l'amore solo sotto il giogo coniugale, che ?? la galera dei liberi cuori. L'autore, Aldo Fiorello, dichiarava d'essere stato ingenuo sino al punto di amare questa stupida, ma che allargatoglisi innanzi l'orizzonte, sapute le tempeste, egli preferiva, s??, preferiva l'amore che la chellerina gli offriva, insieme con la tazza spumante di birra. Di questa poesia Cristina non cap?? la parola Jehova, ma la credette una bestemmia e si segn??; non cap?? la parola chellerina, ma intese, in generale, che lo studente si permetteva d'insultarla e pianse di collera.

[51]

II.

Tre anni dopo, un giorno, a tavola, don Cosimo Demartino chiese a sua figlia Cristina:

??? Cristinella, lo conosci Giovannino Sticco?

??? Il figliuolo di donna Marianna?

??? S??.

??? L'avr?? visto tre o quattro volte, quando veniva qui, che vi era ancora Ferdinando.

??? Che te ne pare, Cristinella?

??? Non saprei, pap??.

??? ?? un buon giovane.

[52] Il discorso cadde, essi continuarono a pranzare silenziosamente. Erano soli, soli, ora, ridotti a due: povera zia Rosina era morta della sua asma e Carluccio seguiva il terzo corso al collegio militare della Nunziatella. La zia aveva lasciato diecimila lire a Cristinella, e Carluccio aveva avuto ogni anno la cifra reale, come premio. Soltanto don Cosimo invecchiava giorno per giorno, logoro di fatica. Non parlarono pi?? di Giovannino Sticco; ma sulle ventiquattro, appena Cristina aveva intonato il rosario a cui le donne di casa rispondevano, quasi cantando, il padre sopraggiunse, sedette [53] sopra un seggiolone e tratta innanzi a s?? una sedia, pos?? il capo bianco sopra la spalliera. Pregava anche lui quella sera, e Cristina, dopo essersi fermata un momento, meravigliata, ricominci?? l'avemmaria. Quando il rosario fu finito, le serve scomparvero a una a una, e padre e figlia rimasero soli, nella penombra. Ella stringeva ancora fra le mani, sotto il grembiule, la coroncina.

??? Quel Giovannino Sticco ti vuole sposare, Cristinella.

??? Lo ha detto a voi, pap???

??? S??.

??? E che gli avete risposto?

[54] ??? Gli ho risposto di s??, Cristinella.

Vi fu un silenzio.

??? Giovannino Sticco ?? un buon giovane ??? soggiunse il padre ??? ?? di buona salute, il suo negozio di generi coloniali ?? prospero, non ha che sua madre, avr?? in tutto trentamila ducati di propriet??, potreste avere la carrozza.

Ella non disse nulla. Ascoltava, pensava, con le mani in grembo.

??? Se si mette nel commercio degli spiriti, pu?? fare guadagni grossi; ?? molto attivo, pieno di buonsenso. Ha trent'anni. Quanti ne hai, ora, tu?

??? Ventuno, compiti a maggio.

[55] ??? Va bene, mi pare.

Niente diceva Cristinella.

??? Potrebbe Giovannino Sticco comprare questa casa qui accanto, di Marangio; apriremmo una porta nel muro divisorio e cos?? non resterei tanto solo, poich?? tu devi andartene. Che dici tu?

??? Dico che va bene, pap??.

??? Ho fatto bene a dire di s?? a Giovannino Sticco?

??? Hai fatto bene, pap??.

Nell'ombra egli le pos?? un momento la mano sui capelli, quasi benedicendo: essa baci?? quella mano. Non era stato n?? un padre espansivo, n?? un padre carezzevole, non aveva sprecato n?? baci, n?? quattrini, ma era stato un padre [56] onesto e buono, che aveva lavorato dalla mattina alla sera per la sua casa. Non si dissero pi?? nulla, e il matrimonio fu come cosa fatta.

Non aveva trovato molte parole per esprimergli quanto fosse contenta, Cristinella. Era quello che desiderava lei, un marito quieto, una casa piccola da dirigere, la continuazione della vita che aveva sino allora vissuta, senza tempeste di cuore, un amore mite, senza complicazioni di gelosie. La tranquillit?? del suo bel temperamento aveva bisogno di un ambiente pacifico come quello di casa sua. Ella odiava gli imbrogli, i pettegolezzi, gli [57] esaltamenti per nulla, le agitazioni inutili, gli strilli, le scene, le lagrime. Il suo spirito era semplice, come la sua persona. Ella aveva bisogno di pranzare alle due, di cenare alle otto, di dormire sette ore, di andare a messa ogni domenica, a confessione ogni mese, in visita dalle amiche ogni quindici giorni: ella scriveva ogni settimana a Ferdinando, due volte la settimana a Carluccio. Aveva bisogno che tutto ci?? continuasse, senza interruzione. Sapeva, s??, sapeva che il matrimonio non ?? sempre una allegra cosa, ma conosceva Giovannino Sticco, come le ragazze conoscono bene tutti [58] i giovanotti da moglie. Quando egli venne la sera, a prendere il suo posto di fidanzato ufficiale, dalle sette alle nove, lo accolse con un sorriso famigliare, e subito parlarono di questa compra della casa Marangio.

??? Pap??, capite, ?? vecchiarello, non potrebbe star solo.

??? ?? naturale ??? disse lui.

Il giorno seguente le don?? un orologetto di oro, con la catena.

??? Ho ordinato un medaglione, a Napoli, con la lettera C, sopra ??? disse Giovannino. ??? Gli orecchini vi piacciono?

??? Non ne porto spesso.

[59]

[61] ??? Fate bene: nemmeno a me piacciono molto.

Parlavano nella strombatura del balcone, ella lavorando sempre all'uncinetto, il padre che giuocava alla scopa con don Ciccio Cannavale, poich?? il cancelliere era stato traslocato.

??? Mamm?? vorrebbe venire domani, Cristina.

??? Non ?? meglio domenica dopo la messa?

??? ?? vero, avete ragione.

Egli la guardava di sfuggita, con una certa dolcezza: ma ella era senza imbarazzo. S'intendevano perfettamente.

??? Vi piace l'uva nera, Cristina?

??? Mi piace, ma quando ?? uva fragola.

[62] ??? Anche a me: ?? singolare!

Poi, tacevano.

??? La coperta all'uncinetto ?? finita? ??? chiedeva Giovannino.

??? ?? finita; questo ?? il terzo guanciale.

??? Come la foderate?

??? Di seta azzurra: non mi avete consigliato cos??, l'altra sera?

??? Grazie, Cristina. Resta inteso, dunque, che il salone da ricevere lo mobiliamo di giallo.

??? Giallo, s??, Giovannino.

??? Star?? bene?

??? Star?? benissimo: non avete visto quello di Clemenza La Corte?

[63] ??? Lo faremo pi?? bello.

Alla domenica, dopo la messa, passeggiavano tutti insieme pel Corso Garibaldi, don Cosimo accanto alla madre di Giovannino Sticco, i due fidanzati innanzi, senza darsi il braccio, perch?? non conviene. Cristina conservava la sua serenit??; ma vedeva arrivare l'ora del matrimonio con un certo senso di emozione. Essa amava Giovannino, ora, con un'affezione calma e sicura: e sentiva di essere amata come voleva.

Un giorno, come usciva fuori la terrazza, per sciorinare certi corpetti del suo corredo, che le serve avevano [64] lavato, ud??, come in sogno, quel sibilo breve e dolce, dalla parte di casa Fiorillo. Era chiusa da due anni la casa Fiorillo, dopo che la madre di Peppino era morta, di tifo, a Napoli, una volta che era andata a vedere il figliuolo che non tornava pi?? a Santa Maria. Ella trasal??, trem??, vedendo nel vano della finestra la faccia di Peppino Fiorillo. Si era lasciato crescere la barba, era pi?? grasso, pi?? scialbo, ma ella lo aveva riconosciuto subito. Scapp?? in camera sua, tutta la giornata non ebbe requie, sgrid?? le serve due o tre volte, senza ragione. Sarebbero ricominciati, ora, i tormenti, [65] con questo stravagante che tornava cos?? in mal punto? Come avrebbe fatto a liberarsene, di questo Peppino Fiorillo? Alla sera Giovannino Sticco la trov?? inquieta e distratta.

??? Che avete?

??? Niente.

??? Tu hai qualche cosa ??? mormor?? Giovannino, dandole per la prima volta del tu.

??? Ho mal di capo.

??? Va a letto, ti far?? bene.

??? Vado, buonanotte ??? disse ella docilmente.

Non potette dormire. Aveva addosso una inquietudine come mai, una febbre che le ardeva il sangue. Mai aveva [66] provato l'odio, ma ora lo provava, grande, fiero, per questo Peppino Fiorillo che riappariva come un fantasma, a guastarle la vita. Non lo aveva amato, non lo amava, con che ardire egli ritornava ad annoiarla? Gi?? non ci aveva mai creduto e non ci credeva, all'amore di lui; tutte parole tutte chiacchiere, come si leggono dentro i libri e non sono vere. A che scopo ritornare, per affliggerla di nuovo? A che serviva torturarla? Invano cerc?? di recitare le orazioni per calmarsi. Non ci riusciva, il suo pensiero fisso la vinceva, le disordinava tutte le altre idee.

[67] L'indomani Peppino le scrisse:

??Sono tornato per te, tu sola mi resti, perdonami questi anni di obblio, ti spiegher?? tutto, ti amo pi?? che mai??.

Ella non rispose nulla. Ma la sera, quando Giovannino Sticco venne, stringendole la mano, sent?? che bruciava.

??? Hai la febbre, perch?? non sei rimasta a letto?

??? In casa vi era bisogno di me.

??? Lo sai che ?? tornato Peppino Fiorillo? ??? chiese egli, senza dare nessuna importanza alla domanda.

??? Lo so ??? e non batt?? palpebra.

[68] ??? L'hai visto alla finestra?

??? S??.

??? Si ?? molto mutato.

??? Gi??.

Il giorno seguente, altro biglietto.

??Mi dicono che devi sposare quella bestia di Giovannino Sticco, il venditore di caramelle. Non ?? possibile. Rispondimi di no??.

Rispondere, a quel pazzo? Che rispondere? Non aveva nulla da dirgli, come sempre, e temeva che qualunque risposta avrebbe peggiorato le cose. Forse si convincer?? da s??, senza che io gli risponda ??? pensava, con la transazione abituale degli spiriti [69] tranquilli, che rifuggono dalle grandi decisioni. Difatti, per tre o quattro giorni Peppino Fiorillo non scrisse pi??, non comparve alla finestra, i cristalli rimasero chiusi, ella non ud?? parlare di lui. Dunque si era convinto, non ci pensava pi??, aveva forse abbandonato la casa a Santa Maria per ritornarsene a Napoli. Sollevata da questo incubo, respirava, riprendeva la sua serenit??, la sua attivit??. Si era nel gennaio: il matrimonio con Giovannino Sticco era fissato pel 20 aprile, giorno di Pasqua: bisognava affrettarsi pel corredo. Giusto mancavano ancora le sottane di mussolo [70] dalla balza ricamata: ne avrebbe chiesto il modello a Clemenza La Corte che ne aveva delle bellissime. Mentre pensava questo, capit?? Carmela con un biglietto di Peppino: Cristina, per solito cos?? calma, impallid?? di collera.

??? Non lo voglio ??? disse con una voce tremante di emozione ??? riportalo a chi l'ha scritto, a quel pezzente vizioso, e se mi compari innanzi con un altro biglietto, ti faccio cacciar di casa, Carmela, te e la tua famiglia.

??? Gli debbo dire quello che mi avete detto, signorina? ??? balbett?? la servetta spaventata.

[71] ??? Diglielo.

E le volt?? le spalle, tutta vibrante ancora di sdegno, tutta commossa ancora dell'atto di volont?? che aveva fatto. Per ritrovare la calma dovette passeggiare su e gi??, in camera sua per un pezzetto, parlando fra s??, cercando di sfogarsi per riprendere equilibrio. Poi la cuciniera venne a cercarle la roba per il pranzo, perch?? Cristina chiudeva tutto, sempre, e si metteva le chiavi in tasca. Entr?? nella dispensa e con un cucchiaio di legno stacc?? un grosso pezzo di strutto bianco, da una vescica gi?? sventrata: lo misur?? con l'occhio, era una libbra. Tagli?? da [72] una forma di cacio di Sardegna una fetta da grattarsi per i maccheroni: da una scatola di latta, prese tre cucchiaiate di conserva secca di pomidoro.

??? Che ha mandato pap??, dalla piazza?

??? Un chilo di alici e un chilo di carne, pel sugo dei maccheroni.

??? Ci vorr?? l'olio, per le alici.

Ma Cristina trasse prima da un grande armadio un cartoccio di maccheroni, prese la bilancia e pes?? tutto il cartoccio. Era troppo, ne lev?? un fascetto, a occhio. Mentre si alzava in punta di piedi per prendere un fiasco [75] di olio da uno scaffale alto, tutta la casa fu scossa da una detonazione, vicinissima.

??? Madonna Assunta, aiutateci voi! ??? strill?? la serva.

??? Che sar??? ??? chiese Cristina, come perduta.

Poi tesero l'orecchio. Nelle scale pareva che qualcuno strillasse e piangesse forte, una donna, Carmela.

??? Avranno ucciso qualcuno nel portone ??? strill?? la serva.

Allora Cristina, dopo avere esitato un momento, attravers?? la cucina, la stanza da pranzo, l'anticamera. Nella scala i gridi crescevano; erano due o tre voci che si lamentavano:

[76] ??? Signorino bello... signorino bello...

Ella fece per aprire la porta sulla scala. Non potette. Peppino Fiorillo giaceva lungo disteso sul pianerottolo, ferito nel petto: una ferita da cui sgorgava il sangue. La rivoltella era accanto a lui: egli era bianco bianco nella faccia, con gli occhi aperti. Li rivolse su Cristina, quando ella apparve.

??? Signorino bello... signorino bello... ??? piangevano e gridavano le femmine.

Ella traball??, si sorresse alla porta, poi stramazz??.

[77]

III.

Nella poca luce della lampada che ardeva dinanzi a una immagine dell'Assunzione, Cristina, seduta accanto al letto, stava immobile. Il moribondo giaceva, senza cuscini, con la testa appoggiata al materasso, per impedire l'affluenza del sangue al polmone. Il lenzuolo che lo copriva, macchiato qua e l?? di sangue, si sollevava appena, sotto un respiro debolissimo.

??? Come va? ??? domand?? il medico, piegandosi verso la fanciulla.

[78] ??? Sempre lo stesso ??? rispose ella, con un soffio di voce.

??? Ha chiesto neve da mangiare?

??? S??.

??? Avete rinnovato le vesciche di neve sulla ferita?

??? S??.

??? D?? molto sangue?

??? Molto: tre asciugamani, da oggi.

Il medico tacque, per poco, come pensando. Poi si chin?? sull'ammalato.

??? Dorme ??? disse.

??? Non dorme: ogni tanto apre gli occhi.

??? La febbre non ?? forte, per l'infiammazione: solo trentanove gradi e mezzo ??? riprese [79] lui, come parlasse a se stesso.

Ella non parl??.

??? Ritorner?? questa notte. Perch?? non andate un po' a letto?

??? No ??? disse Cristina.

Egli usc?? in punta di piedi, ella rimase di nuovo sola accanto al morente. Da trentasei ore non era mai uscita da quella camera dove lo aveva trasportato: o stava immobile, seduta accanto al letto, o andava e veniva per la stanza, pian piano, come un'ombra, portando le bende, la neve, le compresse. Agiva macchinalmente, senza pensare, sentendosi la testa vuota e rigonfia; agiva come [80] per istinto, indovinando quello che si dovesse fare. Ma non si ricordava pi??, non giudicava pi??, non capiva pi?? niente. Quello che le dava uno spavento, ogni tanto, erano gli occhi del ferito che si riaprivano lentamente e la fissavano a lungo, con una intensit?? di vita profonda. Ella chinava i suoi occhi, ma si sentiva guardare, e le pareva che fosse gi?? morto, che morto la guarderebbe sempre cos??, con quello sguardo concentrato. Era entrato due o tre volte il padre, a chiedere notizie; ella aveva risposto con qualche monosillabo: e pi?? nulla. Sola, con quell'agonizzante! Come si [81] avanzava di nuovo la notte, vide che agitava un poco le dita della mano sinistra, lungo il lenzuolo. Si chin?? su lui: nello sguardo vi era una preghiera ardente. Intese: gli dette la mano. A poco a poco il calore di quella mano febbrile si comunic?? alla sua, sal?? al braccio, si diffuse per la persona: ella arse della stessa febbre. Due volte cerc?? di ritirare la mano, ma le dita dell'infermo la trattennero, debolmente; ella non os?? pi?? muoversi. Si sentiva presa, irrimediabilmente, avvinta a quel moribondo, arrivando a respirare lieve lieve, come lui, sentendosi la bocca riarsa, come lui.

[82] ??? Morir??, come lui ??? pensava.

Per quattro ore egli non le lasci?? mai la mano; immobilizzata, senza voltare la testa, ella sentiva che il braccio le si paralizzava lentamente.

??? Cos?? si muore, forse ??? pensava.

Ma quella mano, che non la lasciava pi??, diventava sempre pi?? calda, era rovente come un ferro infuocato, parea le corrodesse la pelle e la carne della mano, facendo una piaga profonda. La febbre del ferito cresceva; egli apriva gli occhi, ma non li fissava pi?? su lei, li stravolgeva, guardando la lampada, [83] guardando il soffitto. Non aveva fiato per parlare, il ferito, ma si vedeva che il delirio gli era salito al cervello. Oh era stata presa, per forza, da quel moribondo, si sentiva fatta cosa di lui, gli apparteneva, non poteva n?? strillare, n?? parlare, n?? fuggire, n?? divincolarsi: era sua, il moribondo se l'aveva presa.

. . . . . . . . . . . .

Egli fu trentasette giorni in pericolo di vita; l'emorragia era cessata, ma la febbre d'infiammazione era gagliarda; egli delirava ora a voce alta, chiamando Cristina la sua sposa, la sua cara sposa, la sua fidanzata.

??? Non lo contraddite ??? disse il medico.

[84] Non lo contraddiceva: chinava il capo, Cristina, e impallidiva. Il senso della realt?? ritornava in lei, facendola acutamente soffrire.

??? Vuole sposarvi ??? le disse un giorno il medico; ??? che ne dite?

??? Non so, non so...

??? Tanto ha da morire: dategli questo conforto.

Ella tacque: non lo aveva sentito, in quella notte, che il moribondo la voleva, che il moribondo se la prendeva?

??? Dottore, morir?? anche io ??? disse poi.

??? Ma che, ma che! Sarete la vedova di un suicidato, ecco tutto. ?? un romanzo.

[85] Il romanzo, la stravaganza, la follia, era quello che le aveva sempre fatto paura! Ora, lanciata in questo vortice, non poteva salvarsi pi??.

??? Sposalo, figlia mia ??? disse suo padre, sospirando, invecchiato di dieci anni. ??? Non restiamo con questo rimorso: tutta la citt?? ti accusa di questo suicidio.

??? Sposalo, Cristinella ??? disse don Ciccio Cannavale, il padrino; ??? ha voluto morire per te, poveretto.

??? Sposatelo, figlia mia ??? disse il confessore ??? se no, egli muore in peccato mortale. Fate dannare un'anima.

Non era il romanzo, questo matrimonio, fatto nella [86] stanza di un ammalato, in un momento di lucido intervallo? Era questa tragedia quella che lei aveva sognata, forse? Quello che lei aveva sognato era lontano, non tornava pi??, non era pi?? possibile che ritornasse, il moribondo se l'aveva presa, era sua moglie, ora, la moglie di un suicida agonizzante, sarebbe stata la vedova di un suicida. Dove era Giovannino? Forse che aveva mai esistito Giovannino? Per fortuna quel suicida che era suo marito, se l'avrebbe portata gi??, nella fossa, dove non ci sono pi?? romanzi.

Il comico di tutto ci?? fu che Peppino Fiorillo guar??.

[87]

Sacrilegio.

[89]

Egli era un vinto. Portava in s?? tutte le traccie delle battaglie combattute con accanimento, ma perdute senza gloria. Come in tutti gli uomini di lotta, l'armonia della sua bellezza virile si era guastata e corrotta. Per quindici anni, dai venticinque ai quaranta, lo spasimo interno aveva corrugato quella fronte, aggrottate quelle sopracciglia, fatto fremere quelle nari mobili, curvate al sogghigno quelle labbra. Ora i capelli [90] ricciuti s'eran fatti radi sulla fronte, come se fossero abbruciati: l'occhio era vitreo, inerte: sotto il mustacchio che si brizzolava, le labbra s'erano appassite, quello inferiore era cascante come per stanchezza. Talvolta, in alcuni momenti di profonda distrazione, di sguardo interiore, le palpebre plumbee si abbassavano, il viso si allungava, tutte le linee si atonizzavano e quella faccia pareva gi?? morta, gi?? decomposta. Ritornava in s?? lentamente, quasi rinvenisse, con un'espressione di pena: cos?? una lieve animazione ridava un senso di vita a quella faccia che aveva troppo vissuto, consumandosi [93] in una esagerazione della vitalit??. Dell'antica bellezza non gli rimaneva che il vigore di un corpo gagliardo e la seduzione morbida di una mano carezzevole, quasi femminile.

La rovina del suo spirito era anche pi?? grande. Entrato nella vita con l'audacia che d??nno tutti i desideri di un'anima ribelle e di un temperamento sanguigno, con tutta una ardente, insolente ambizione per quanto fosse potenza, il trionfo gli parve facile e s'inebbri?? della propria forza. Ma nella passione umana, come nella passione divina, la Fede non basta, ci vuole la Grazia. Gli ?? che l'anima sua era piena d'ideali variabili e [94] nebulosi, tutti belli, tutti splendidi, ma tutti sparenti; gli ?? che egli voleva troppo, voleva quanto gli altri avevano e quanto gli altri non avevan potuto avere; gli ?? che le sue labbra anelavano ai baci delle donne che non baciano, la sua intelligenza voleva conoscere ed abbracciare i vasti orizzonti della scienza, la sua fantasia sognava tutte le glorie folgoranti dell'arte. Se un poeta assurgeva al cielo immenso della poesia, egli invidiava intensamente quel poeta; se un uomo politico saliva alla vittoria, egli avrebbe voluto essere quel politico; se un uomo bello ed affascinante si [95] pigliava la donna pi?? invano desiderata, egli si rodeva di invidia per quell'uomo. Allora, morsicato al cuore dall'ambizione, dominando i suoi impeti, si piegava al lavoro, frenava il suo slancio, applicandolo al raggiungimento di uno scopo. Ma alla fervida e acuta intelligenza mancava quella nobile qualit?? che ?? la misura: alla sua prorompente volont?? mancava la fissit??. Eccitandosi, esaltandosi, vibrando in una febbrilit?? di desiderio insoddisfatto, egli cadeva nella esagerazione che raffredda e allontana il successo: poi la febbre declinava e la volont?? ammollita, esaurita, si lasciava prendere dall'indolenza. [96] Lo pigliava il disgusto di un lavoro troppo lento; la nausea dei piccoli e volgari mezzi che avviliscono; la sfiducia di s??, che ?? grave; la sfiducia nel proprio ideale, che ?? l'estrema rovina. Si ritirava in s?? inoperoso, immobile, immerso in un dormiveglia spirituale pieno di amarezza, turandosi le orecchie per non udire, chiudendo gli occhi per non vedere il successo degli altri. Allora, pensava acutamente, profondamente, scavando in s??, analizzando in s??, scendendo alle ultime finezze del pensiero e del sentimento. Poi, d'un tratto, preso da un risalto di vita, si buttava disperatamente [97] in una nuova guerra, assetato di vittoria, abbramato di vittoria, ma incapace di volerla fino all'ultimo. Cos??, in questi periodi di lotta furibonda e illogica, dove si sciupava il suo ingegno, e di esaurimenti mortali, egli non raggiunse mai nulla. Rimaneva alla porta del tempio, adorando e maledicendo l'idolo, ma non trovando tanta costanza d'imprecazione e di adorazione da essere trasportato al cospetto del dio. Egli fu per essere un grande statista; egli fu per essere un grande artista; egli fu per essere un grande speculatore. Vide il trionfo passargli accanto e, fatalmente immobilizzato, [98] non lo afferr??. Infine, egli restava nel limbo dove si ravvolgono, in un ambiente incolore, tutte le intenzioni a cui manc?? la volont??, tutti i pensieri a cui manc?? l'azione, tutti i tentativi abortiti, tutti gli ingegni traviati e tutte le vocazioni sbagliate.

Quando s'innamor??, a trent'otto anni, giuocava l'ultima carta. Tutti i suoi amori del passato erano stati creati dall'amor proprio, piuttosto come una prova di potenza, come un esercizio di scherma per mantenersi acuto l'occhio e agile la mano. Vinceva le donne, per imparare a vincere gli uomini: le vinceva facilmente, come se [99] scherzasse, poich?? esse si lasciavano prendere egualmente dai suoi accessi di passione furiosa, come dalle dolcezze dei suoi periodi d'indolenza. Quest'anima strana, piena di forza e piena di debolezza, ispirava alle donne orgoglio e compassione. Era un innamorato bizzarro che metteva paura e destava piet??. Egli le affascinava con la soavit?? della voce vellutata, il cui timbro aveva quell'intimit?? irresistibile a cui le anime si aprono; ma le affascinava anche con quei silenzi lunghi, pieni di cose tetre e d'immaginazioni mostruose per cui le donne si attaccano invincibilmente all'uomo. Eppure [100] lui, vinto dalle altre passioni, turbato da sempre nuovi interessi, agitato e sbattuto dalla tempesta, non aveva mai amato per amore, mai amato per amare, mai dato tutto se stesso all'amore. Forse, nel segreto del suo cuore, aveva quel tacito disprezzo della donna, quel tacito disprezzo dell'amore, che la giovent?? moderna porta in s?? come una malattia.

Cos?? s'innamor?? tardi, troppo tardi. Sulle prime era freddo, glacialmente stanco delle sue sconfitte, non arrivando a riscaldarsi, guardando imperterrito la donna che seduceva, scherzando col sentimento, facendo fare un pericoloso [101] giuoco d'altalena a quella povera anima femminile che gi?? gli apparteneva. Ma aveva trovato uno spirito eletto, unito ad una femminilit?? molto sviluppata; una bellezza fatta di espressione, insieme a un carattere singolare; una nervosit?? tutta giovanile, insieme a un sapore d'arte eccezionale. Lei lo amava piamente, umilmente, con la devozione animalesca e l'esaltazione spirituale. Quando egli conobbe tutto questo, un grande rivolgimento s'oper?? in lui e nelle nuvole bigie di uno scetticismo insanabile, si allarg?? questa luce:

??? Forse la grandezza della vita ?? nell'amore.

[102] D'un tratto, egli col suo temperamento eccessivo si butt?? nell'amore, come si era buttato nella politica, nella speculazione, nell'arte, portandoci gli ultimi slanci, le ultime collere, gli ultimi ardori. Fu una vampata. Fu un incendio sanguigno. Fu un fuoco divorante e stringente. Fu una selvaggia espansione, l'avvinghiamento disperato di colui a cui tutto ?? sfuggito, il terrore bianco della solitudine. Amava, gagliardamente, tenacemente, pi?? con rabbia che con tenerezza. Andava alla conquista dell'amore, come a una battaglia, tremando dell'ultima sconfitta. A questo urto cos?? [103] forte, in questo vortice, quella che lo amava si sgoment??, si arretr?? spaventata, lo credette impazzito. Come lui pi?? s'innamorava, lei amava meno. Lui saliva alla passione, lei discendeva all'affetto: mai un minuto di equilibrio. E un giorno, quando lui aveva messo in questa passione quanto aveva ancora di illusioni, di speranze, di desideri, ella lo abbandon?? non si sa come, lo trad?? non si sa perch??, nel modo pi?? illogico e pi?? volgare. Scomparve, fu travolta ??? dove non si sa.

E cos??, in Guido fu completa la devastazione e l'aridit??: regn?? solo, malvagio, egoistico, il cinismo.

[104]

***

Era una donna fulminata. Nell'unica, immensa battaglia che aveva sopportato il suo cuore femminile, aveva perduto. Nell'amore, aveva fatto naufragio. Nulla si vedeva dal volto, poich?? instintivamente il volto femminile dissimula: talvolta, senza che la volont?? gli imponga la dissimulazione. Solo un sottile osservatore poteva notare che la vivezza dello sguardo aveva del fittizio, che l'ombra sotto gli occhi era di un bistro carico come segno di molte notti vegliate, che le labbra avevano un sorriso [105] pi?? fremente che dolce. Ma lei ergeva la testa cos?? altieramente, ma una severit?? cos?? orgogliosa era diffusa nella sua fisonomia, che niuno osava chiederle se si sentisse male. Poi, la rispettavano come un essere colpito da una grande disgrazia. Era una donna fulminata, vivente in una immobilit?? dolorosa, che piangeva dentro, che sanguinava dentro, senza un respiro di dolore.

Invero aveva tutto perduto. Era stata una giovanetta male educata e imperiosa, cresciuta troppo presto come corpo e la cui anima si era ingrandita in precocit?? singolari. Lei aveva conosciuti [106] i teatri dall'atmosfera rossiccia, profumata e velenosa, dove i fiori appassiscono e le fanciulle pensano; i balli ardenti dove aleggia tanta seduzione di amore, di luce e di musica; le stagioni balneari dove il mare, il cielo e il sole fiammeggiante sono l'infinito incanto che conduce all'amore; le conversazioni maschili, frivole, nulle, stucchevoli; le conversazioni femminili profonde, che turbano, che tentano. Cos?? ella era stata una fanciulla senza dolcezza e senza soavit??. Cos?? ella era stata una fanciulla senz'amore. La vanit?? le bastava, le bastava la civetteria, le bastava il flirt. Era stata una fanciulla [107] caparbia, maligna, ragionatrice, piena di teorie paradossatiche, guasta nell'anima, falsa in ogni manifestazione del sentimento, che adorava tutte le pose dell'ironia e dello scetticismo, che si lasciava far la corte per curiosit?? e poich?? l'amore dell'uno rassomigliava all'amore dell'altro, si sbrigava bruscamente del suo corteggiatore, insensibile alla maldicenza, insolente per la sua bellezza, per la sua ricchezza, per la sua indipendenza. Le avevano dato un fidanzato, un progetto di pura convenienza: lei lo aveva accettato, stringendosi nelle spalle.

Ma un giorno, in un sito qualunque, per due minuti [108] soltanto, ella vide un uomo che non la guardava, che non era bello, che non era elegante ??? e se ne innamor??, cos?? d'un tratto solo. Questa creatura cattiva e fantastica, che non aveva conosciuto serenit?? di giovent??, che si era burlata dell'amore, che non aveva mai capito l'amore, sent?? struggersi tutta la parte malvagia di s?? nell'intenerimento soave di un affetto spontaneo e vivificante. Si sent?? guarire lentamente di quanto era stata la sua infermit?? di spirito e quanto ella aveva calpestato, ador??. Tutte le rosee incipienze e i brividii lenti e le felicit?? piccine e le punture [111] acute, fini fini dell'amore che comincia, turbarono deliziosamente il suo cuore rinnovato. Non sapeva che fossero le quiete, dolcissime lacrime che rinfrescano le guancie accaldate dalla febbre; ignorava le dolcezze di una umiliazione innamorata; ignorava le volutt?? del sacrificio: tutto ignorava. Questa scienza dell'amore, giunta di un colpo solo, si era poi sviluppata lentamente, togliendo di mezzo la variet??, scacciando le volgarit??, divorando come un fuoco purificatore tutte le bassezze. Allora, senza pensare un minuto, senza riflettere, di sua libera elezione, di sua spontanea volont??, [112] butt?? via la sua reputazione, il suo nome, la sua posizione, il suo avvenire, come si gitta via un fardello che inceppa il viaggio. Lui non le chiedeva niente e lei gli volle dar tutto. Lui avrebbe voluto l'amore tranquillo, nascosto, a termine fisso, senza compromissioni: lei lo volle clamoroso, invadente, quasi folle. Invano gli amici le dicevano che essa si perdeva, per chi non lo meritava: invano l'amante stesso si mostrava indifferente a tanta abnegazione. Lei camminava per la sua via, fatalmente, incapace di fermarsi, incapace di transigere, incapace di amare meno. Aveva negli [113] occhi belli la luce dell'amore e nel cervello il divino raggio della follia. Tutto il suo passato, secco, duro, aspro, fatto di meschinit?? maligne e di gretterie femminili, le faceva orrore: sentiva di doverselo far perdonare. Sentiva che quella passione di donna era il perdono della fanciulla crudele e arida, che aveva deriso tutte le nobili e sante cose che esistono. Lei non amava solamente l'uomo, amava anche l'amore per l'amore, perch?? l'amore era la sua nuova anima, era la sua giovent?? riconquistata la sua bellezza purificata, perch?? l'amore era la sua salvazione.

[114] Questa donna am?? invano. Essa sprec?? tre anni di vita dietro un uomo indifferente, che non capiva, che non sapeva, che certo non meritava. Essa adoper?? tutto quanto pu?? fare una povera donna per farsi amare, dalla gelosia vera alla finta freddezza, dalla umilt?? profonda alla seriet?? dell'orgoglio, dall'affetto malinconico che non si lagna, al sorriso divino che tutto perdona. Lei prov?? ad essere umanamente cattiva e celestialmente buona. Ebbe quei singhiozzi profondi che lacerano il petto e quelle indulgenze materne che solo l'amore insegna. Quanto vi pu?? essere di delicato e di passionato, [115] in una strana fusione di sentimenti, lei prov?? con quell'uomo. Tutto fu inutile, tutto. Dopo tre anni di lotta contro un uomo, quando fu priva di forza, esausta, demoralizzata, avendo smarrito la via della vita, non sentendo pi?? nulla che un dolore infinito, lui l'abbandon?? togliendole ogni speranza di ritorno, per sempre.

Cos?? il naufragio di Teresa fu completo.

***

Guido e Teresa, queste miserie infinite, questi esseri devastati e rovinati, si conobbero. L'uno sapeva dell'altro, [116] per fama di esistenze perdute. Ma fra loro non si stabil?? alcuna simpatia. Invero vivevano ognuno nella salvatichezza diffidente che segue le grandi sventure, in quell'egoismo sospettoso di chi ha troppo sofferto. Ognuno si teneva caro il proprio dolore, noncurante dell'altro. Non li pungeva neppure la curiosit??. Ognuno apprezzava il proprio dolore superiore a quanti umanamente possano esistere nel mondo. L'anima di Teresa era pi?? dignitosa e severa, chiusa nell'asprezza dell'orgoglio, meditante nella solitudine: l'anima di Guido si immergeva in un cinismo tacito, [117] ripensando tutti i rifiuti che gli uomini e le cose gli avevano inflitti. N?? simpatia, n?? curiosit??, n?? piet??; la tempesta, che aveva squassato quelle fragili imbarcazioni, aveva inghiottito tutto.

Solo un duplice egoismo, egualmente acuto, egualmente profondo, cre?? fra loro una relazione di visite. Egli veniva da lei in certe ore, la salutava senza interesse, le faceva qualche domanda vaga, poi sedeva e fumava. Nella casa di Teresa vi era un silenzio intenso e una penombra triste che conveniva a Guido: non vi erano uccellini che cantassero, mancavano i fiori nelle giardiniere, [118] il pianoforte era chiuso a chiave. Visite non ne venivano mai. Lei vestiva di nero, come una monaca. Non portava n?? profumi n?? gioielli. Parlava poco e piano. Per lo pi??, dopo averlo salutato, si rimetteva a leggere con una attenzione concentrata, senza levare la testa, se non quando lui se ne andava, per salutarlo di nuovo. Oppure rimanevano ambedue in silenzio, senza guardarsi mai, pensando. L'uno non s'accorgeva pi?? dell'altro, indifferenti, sottratti alla nozione del tempo e dello spazio: talvolta Guido se ne andava in punta di piedi, senza salutare e Teresa non si accorgeva che pi?? tardi di [121] quella partenza. Un giorno Guido si abbandon?? in uno di quei suoi abbattimenti profondi, la sigaretta spenta, le braccia prosciolte, la faccia cadaverica: lei non lo comprese o non pens?? neppure a chiedergli che cosa avesse. Un giorno lei, d'un colpo, fu presa da una crisi di singhiozzi, torcendosi le braccia, bagnando di lagrime il cuscino del divano: lui la lasci?? fare, infastidito dal rumore, non trovando una parola da dirle.

Una sera, lei leggeva ancora.

??? Che leggete? ??? chiese lui, lasciando cadere la domanda, non curante della risposta.

[122] ??? Leopardi ??? rispose lei, senza alzare la testa.

??? Un uomo che dice di aver sofferto.

??? E non ?? vero ??? mormor?? Teresa.

??? E non ?? vero ??? grid?? lui, rabbiosamente. ??? Non permetto a nessuno di dire che ha sofferto, quando non ha vissuto la mia vita!

Lei lo guard?? sdegnosa, fremente per lo stesso sentimento di egoismo vanitoso.

??? Sentite ??? disse lui, pacatamente, dopo un poco.

E senza guardarla, fissando il muro dirimpetto o un punto indefinito, senza fare un gesto, con la sua voce bassa dove non scorreva pi?? [125] calore, dove non vibrava pi?? vita, fermandosi ogni tanto per respirare, le narr?? minutamente la storia del suo amore, come era nato, in quale ambiente desolato era cresciuto, come egli n'era stato invaso e travolto: poi come questo amore era stato violentemente spezzato. Egli narrava lentamente, senza fare alcuna osservazione, impersonalmente, quasi che dicesse la storia di un altro: precisava nettamente i fatti, metteva le date, accennava a tutte le pi?? piccole circostanze. Il racconto sgorgava freddo e tranquillo, con un movimento d'impulsione quasi matematico, andando diritto [126] alla sua via, quasi rigido, quasi inflessibile. Sembrava il resoconto imparziale, n?? severo, n?? indulgente, di un giudice che ha dimenticato di essere uomo. Non portava opinione di narratore, sembrava che in lui tutto tacesse dalla coscienza alla fantasia, e che solo operasse lucidamente, algebricamente, la memoria. Teresa ascoltava, senza guardare Guido, distesa nella sua poltroncina, con gli occhi socchiusi, immobile, senza interromperlo mai, attenta forse, disattenta forse, ma simile alla sfinge che tutto pensa dietro la sua fronte di liscio granito. Lui narr?? a lungo, a lungo: suonavano [127] le ore all'orologio, trascorreva la notte e lui narrava sempre e lei ascoltava sempre. Quando fin??, l'alba bigia spuntava: lui si lev?? e prese il cappello, senza aggiungere altro: lei si lev?? senza parlargli. Guardandosi in faccia, si videro lividi in quella scialba luce. Cos??, tacitamente, si lasciarono.

Il giorno seguente, quando lui giunse, Teresa trov?? la parola:

??? E voi? ??? gli chiese.

??? Io? io ho finito. Ho chiuso. Sono morto.

??? O felice, felice! ??? grid?? lei. ??? Io sono viva ancora, io non posso morire.

E trasalendo, impallidendo, [128] piangendo a riprese, coi singhiozzi che rompevano le parole, col rossore dello sdegno che asciugava le lagrime, coi fremiti della gelosia che ancora le facevano morire la voce, ora abbandonandosi nella desolazione, ora rialzandosi nella collera, ella disse come si era perduta. Era un racconto informe, affogato, tutto ripetizioni, tutto intralciato di osservazioni, di esclamazioni, ricominciato cinque o sei volte, affannoso, balzante dall'ironia alla passione, dalla tenerezza al furore. Lei raccontava, esaltandosi, inebriandosi della propria voce, ascoltandosi, come se Guido non fosse pi?? [129] l??, come se dialogasse con se stessa. Da tanto tempo quella storia le ruggiva dentro ed essa la comprimeva e si sentiva soffocare. Era presa dalla febbre dell'espansione, dal delirio di dire tutto, di gettare via il suo segreto per poter respirare. Avesse avuto cento persone l?? innanzi, crudeli o indifferenti, avrebbe sempre detto tutto. Si sentiva morire, se non parlava. Quando tacque, non aveva finito. Solo la voce mancava, gorgogliante nella strozza: solo il corpo si lasciava vincere da una lassezza. Ma nella figura ella rimaneva tragica e disperata, simile a una greca eroina di [130] Eschilo che la fatalit?? ha pietrificata nel dolore.

***

Da quel giorno, l'uno fu necessario all'altro. A vicenda si imponevano il proprio egoismo e senza impietosirsi l'un per l'altro, si prestavano attenzione. Non chiedevano che di poter parlare, che di sfogare l'amarezza inesauribile della loro vita e la pazienza dell'ascoltatore era calcolo di colui che aspetta il suo turno. Forse Guido diceva di pi?? e meglio: lui era pi?? glaciale, pi?? morto. Sceglieva le parole, lentamente, trovando quelle pi?? efficaci, [131] rendendo la sua idea con una lucidit?? meravigliosa. La frase s'insinuava, tutta flessuosa; la frase si allargava, tutta piena di una armonia infinita; la frase si faceva smagliante, tutta ricca di colore. Egli era stato quasi un artista. Raccontando, l'anima sua si sdoppiava, il dualismo della coscienza diventava evidente e nell'atonia del suo spirito, ancora pareva che narrasse il romanzo di un altro. Di questo, egli forse era inconscio. Se Teresa trasaliva, egli non se ne avvedeva. Se una parola rude, selvaggia, brutale, la faceva impallidire, egli non s'accorgeva di questo effetto. Guido [132] sembrava si dirigesse a un pubblico invisibile, cercando di trascinarlo. Sembrava che parlasse di quel passato d'amore innanzi alla pubblica opinione, per accusare la donna che era stata l'ultima sua sciagura. Cos?? giunse il tempo in cui Teresa lo ud?? volentieri, come presa da un libro attraente: anche esteriormente, anche senza comprendere spesso quello che egli diceva, ella sentiva ondeggiare nel suo cervello quella voce carezzevole e penetrante, che parea conoscesse tutte le sottigliezze dell'intonazione. Quella voce le faceva l'effetto di un delicato piacere fisico, le produceva [133] un senso di benessere fresco, un cullamento quasi inavvertito, tanto era lento.

Ma in certe sere in lei l'angoscia diventava impaziente e come lui taceva, quasi aspettando, lei trabalzava, nervosa, a dire, a dire, a dire. Prima cercava di moderarsi, di temperare la voce e di dominare l'impeto nervoso. Ma il suo carattere orgoglioso e la sua giovent?? ribelle si spezzavano in quei ricordi cos?? caldi, cos?? vivaci. S'interrompeva, talvolta:

??? Sentite, ho la febbre, come allora.

E metteva la sua mano su quella di Guido. Lui la tratteneva nella sua, mollemente, [134] con una strisciatura lieve delle dita, una carezza di piet??, che parea dicesse:

??? Poveretta, poveretta.

Quella compassione segreta, di un essere infelice verso una creatura infelice, faceva sgorgare le lagrime di Teresa. A lei, immobile, di sotto le palpebre abbassate, piovevano le lagrime sulle guancie, disfacendosi sul collo e sul petto, senza che lei le asciugasse. Allora sentiva un tocco leggiero di mano sfiorante i capelli, come un soffio, come una carezza che parea dicesse:

??? Poveretta, poveretta.

Ma niente altro. In breve l'uno sapeva la storia dell'altro [135] a mente, poteva dirla coi minimi particolari. Le lettere erano state lette: tutti i pezzetti di cose che segnavano una data nell'amore, se li erano mostrati. Era rimasto l'estremo pudore dei ritratti. Ma anche quello fu distrutto: Teresa apr?? il medaglione che portava al collo e chinandosi verso Guido, gli fece vedere il ritrattino di lui.

??? Era bello, ma doveva essere malvagio ??? disse Guido, dopo una lunga pausa.

Poi cav?? fuori il portafoglio e mostr?? quel viso di lei, pallido come quello di una morta, poich?? sembra che i ritratti abbiano senso [136] e vita. Teresa e Guido lo guardarono per molto tempo, senza dire nulla. Infine Guido, covrendole delicatamente la bocca con la mano, le disse, con la sua voce insinuante e quasi parlante in sogno:

??? ?? strano. Nella fronte e negli occhi, voi le rassomigliate tal quale.

E nient'altro. Ma una sera burrascosa di autunno, nella disperazione di un doppio naufragio, nel brancolare cieco di due anime ottenebrate, in un esaltamento bizzarro, vinti da una forza ignota, senza volont??, senza memoria, ammalati di passato, inferociti di passato, lo insultarono in un bacio, lo calpestarono in un bacio.

[137]

***

Passarono tre giorni senza vedersi e senza scriversi. Teresa visse quei tre giorni immersa in uno stupore doloroso, rabbrividendo ogni tanto come le ritornava la coscienza di quello che avevano fatto. Le pareva di dormire e di sognare sempre, un sogno pieno di paure, pieno di cose orribili. Ogni tanto apriva gli occhi, ma li richiudeva, spaventata dalla luce e spaventata dalla realt??, immergendosi di nuovo in quel dormiveglia dove almeno l'acuzie si attutiva, il senso del presente si smarriva in un orizzonte vago e senza contorni. [138] Lui visse quei tre giorni, rabbioso, agitatissimo, bestemmiando se stesso, l'amore e tutto, incapace di prendere una decisione forte, inquieto di questo risveglio, incapace di volere qualche cosa. Quando si rividero, provarono un acutissimo sentimento di pena, un imbarazzo, un senso di vergogna. Insieme, si tesero le mani, supplicandosi:

??? Perdono.

E piansero insieme. Quelle lagrime furono benefiche e calmarono quella pena. Una tenerezza grave li prese come se fossero due grandi colpevoli pentiti, che il rimorso ha domati. L'uno si struggeva [139] di piet?? per l'altro e cercava lenire dolcemente quell'anima ferita. Guido ritrov?? la sua parola seduttrice e la mano molle, femminile che aveva blandizie materne e sfioramenti infantili. Diceva a Teresa delle cose gravi o serie, molto lontane dall'amore, una efflorescenza sentimentale, un discorso tutto musicale che le cantava una ninna-nanna soave. Lei si lasciava riprendere da quel fascino e spalancava gli occhi di sonnambula in faccia a Guido, sorridendogli, crollando la testa, come se quel discorso, di cui spesso il senso le sfuggiva, la convincesse e la consolasse. Lui [140] stesso si abbandonava in quello stato di dolore indolente, in cui manca la volont?? per soffrire.

Cos?? il rimedio fu cattivo quanto il male. Potevano scordare per un momento, ma appena soli, la loro coscienza si rialzava e li ingiuriava. Allora, per senso di vanit??, mentendo a se stessi l'uno mentendo all'altro, sentendo la necessit??, il peso e lo scorno della menzogna, dissero di volersi bene, di amarsi molto, di amarsi sempre. Ognuno diceva tra s??: ho il dovere d'amare, poich?? ho tradito. Ogni giorno recitavano una commedia ignobile, pallidi, inetti, disgustati [141] della rappresentazione, nauseati delle parole e dei baci. A volte, presi dalla stanchezza invincibile, di questa commedia dove tutto era falso, dove gli attori avevano dimenticata la parte e il rossetto male celava i volti sbiancati, si fuggivano. Ma, involontariamente, dopo tre o quattro giorni di tortura, per l'abitudine di vedersi, pel desiderio di ritentare la prova, si ritrovavano e la comica storia, piena di lagrime represse e di grida soffocate, ricominciava.

Erano tormentati anche nell'egoismo. Per delicatezza non si parlava pi?? del passato, non vi era pi?? rinnovamento [142] di confidenze, mancavano tutte le espansioni ??? e poich?? solo il passato poteva loro ispirare qualche cosa di vero, poich?? solo il passato volevano nominare e non potevano nominare, cos?? tacevano spesso. Pi?? che mai erano lontani, in quel silenzio.

??? A che pensi? ??? domandava Guido.

??? A nulla ??? diceva lei glacialmente.

Assente ogni intimit??. Almeno prima erano semplicemente estranei, riuniti dal caso, destinati a rimanere estranei. Ma ora, rimanere estranei dopo quel che era accaduto, rimanere estranei, [143] mentre dicevano e giuravano d'amarsi, era uno squilibrio, una contraddizione, un'altalena pazza. Istintivamente, i nomi degli altri ritornavano in campo: si guardavano in volto, spaventati, come se vedessero apparire un fantasma. Dapprima finsero anche la gelosia per convincersi che si amavano; e indifferenti si tormentavano, facendosi delle scene furibonde dove l'esaltazione era tutta di cervello, dove spasimavano per un altro dolore, dandogli la forma della gelosia. S'ingiuriavano brutalmente. Ma in fondo ghignava la coscienza, mormorando: non me ne importa niente, non me ne importa niente.

[144] Poi la gelosia nacque veramente, una gelosia tutta di amor proprio, una gelosia senz'amore, una gelosia volgare, a capricci, a dispetti, a piccole ferocie.

??? Tu ami ancora lui ??? diceva talvolta Guido, insistendo, incrudelendo, offeso nel suo orgoglio di uomo.

Teresa non osava dire di no, la parola le moriva sulle labbra, voltava la testa in l??.

??? Lo vedi, lo vedi? Tu l'ami ancora, sei una sciagurata! ??? inferociva lui.

Gli ?? che si ricordavano ognuno la storia dell'altro, precisamente. Serviva per la loro tortura.

[145] ??? A lei tu scrivevi ogni giorno ed a me, mai ??? diceva Teresa.

??? A lui tu hai dato le due treccie dei tuoi capelli e a me nulla ??? diceva Guido.

??? Tu hai passato sei mesi, passeggiando la notte sotto le sue finestre e con me niente ??? diceva Teresa.

??? Tu hai passato tre anni in casa sua e da me non un minuto ??? diceva Guido.

Rinascevano i ricordi, assidui, angosciosi, mescolandosi stranamente al presente.

??? Io voglio che mi chiami Nin??, come chiamavi l'altra ??? diceva Teresa, ostinandosi, diventando malvagia.

[146] ??? Non posso, non posso ??? faceva lui disperato.

Riapparivano, riapparivano le memorie, turbando il presente, guastandosi nel presente.

??? Se mi vuoi bene, non devi portare il medaglione col ritratto dell'altro ??? diceva Guido.

??? Non posso, non posso ??? gridava lei, singhiozzando.

Ma tutto precipitava in un delirio di collera senza nome. Avidi di crudelt??, inebbriati di cruccio, decisi di andare sino in fondo al loro peccato, portarono il loro amore dove erano vissuti gli altri due amori, nei giardini, nelle ville, nelle campagne, [149] sulle spiaggie, nelle strade, nei teatri: dove ci era un ricordo, vollero deturparlo. Rifecero la via della passione, senza passione: rifecero la via dell'amore, cambiandola in via crucis. Erano ebbri del loro peccato, ammalati, agonizzanti: stracciarono le lettere, dispersero i ricordi, spezzarono i ritratti: presi dalla follia della distruzione. Fino a che, una sera, egli le disse:

??? Voglio che mi baci come l'altro.

??? Vattene, vattene ??? strill?? lei. ??? Io non t'amo, vattene; io non posso amarti, vattene; io ti odio, vattene.

Lui la odiava, nell'intensit?? dello sguardo.

[150]

***

In verit??, essi sono pi?? infelici che mai; infelici quanto umanamente si pu?? essere. E se si rivedono talvolta, si fanno orrore. Poich?? hanno commesso, insieme, un sacrilegio.


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