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The Project Gutenberg EBook of Il colore del tempo, by Federico De Roberto

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.net

Title: Il colore del tempo

Author: Federico De Roberto

Release Date: May 19, 2010 [EBook #32441]

Language: Italian

*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK IL COLORE DEL TEMPO ***

Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive)

N. 10.???Biblioteca "SANDRON" di Scienze e Lettere???N. 10.

F. DE ROBERTO
IL COLORE DEL TEMPO

1900 REMO SANDRON???Editore MILANO-PALERMO

Propriet?? letteraria dell'Editore Remo Sandron

Tip. F. AND?????Palermo, via Celso 4^o, Succ. via S. Biagio 2

DELLO STESSO AUTORE:

Filosofia e critica:

????????L'Amore L. 4,50
????????Una pagina della storia dell'Amore ?? 1 ???
????????Leopardi ?? 3 ???

Romanzi e novelle:

????????La Sorte L. 3 ???
????????Documenti umani ?? 1 ???
????????Processi verbali ?? 1 ???
????????L'Albero della Scienza ?? 1 ???
????????Ermanno Raeli ?? 3 ???
????????I Vicer?? ?? 5 ???
????????L'Illusione ?? 4 ???
????????Spasimo ?? 3,50
????????Gli amori ?? 3 ???

IL SECOLO AGONIZZANTE.

I giornali vivono quanto le rose: l'espace d'un matin. Non ?? facile paragonare altrimenti che per la loro caducit?? un foglio stampato e il pi?? bel fiore della creazione; ma, se il fiore ha vantaggi innumerevoli sul giornale,???e non agli occhi delle donne soltanto, o dei poeti, o degli innamorati,???il giornale anch'esso ne ha qualcuno sul fiore. E questo mi pare evidente: ch??, morti gli emerocallidi, i petali secchi vanno a finire nella spazzatura; mentre coi vecchi fogli si possono fare tante cose: anche libri.

Io ho,???e non credo d'esser solo ad averla,???una speciale predilezione per i volumi messi insieme con articoli pubblicati qua e l??, in tempi diversi, sopra var?? argomenti, senza ordine prestabilito. Libri cos?? fatti ci d??nno il colore del tempo, e par quasi che arrestino l'attimo fuggente; non gi?? perch?? bello,???noi siamo, ahim??! altrettanti Fausti a questo riguardo;???ma perch?? notevole, singolare ed insolito.

Chiedetene ad un libraio: vedrete che una buona met?? dei nuovi volumi sono per l'appunto composti di capitoli eterogenei, messi insieme per amore o per forza, dopo una prima apparizione nei fogli periodici. Manca ai nostri scrittori la lena necessaria a concepire e condurre a buon fine le grandi opere organiche? ?? il bisogno del lucro, in questa nostra societ??, dove la concorrenza cresce ogni giorno e la lotta per la vita diviene sempre pi?? aspra, quello che sminuzza in tal modo la produzione intellettuale? O non accade piuttosto cos?? per la tirannia del giornale, nuovo mostro che si nutre di cervella e di midolle vive? Il costume democratico, come ha trasformato tante altre cose, non ha anch'esso contribuito a trasformare le forme del pensiero, e a mettere in voga le brevi, succose ed enciclopediche scritture a scapito delle ponderose, metodiche e particolari trattazioni???? Una sola di queste cause basterebbe alla spiegazione del fatto; tutt'e quattro insieme ne d??nno pienamente ragione. N?? bisogna lagnarsene. Prima di tutto le nostre lagnanze sarebbero inutili; e poi questi libri hanno il loro carattere.

Prendiamone uno, a caso; prendiamo l'ultimo volume di Edoardo Rod, la sua nuova serie di Stud?? sul secolo XIX. Sfogliamola: vedremo succedersi rapidissimamente idee e figure, sentimenti e problemi che ieri attiravano tutta quanta la nostra attenzione,???e che l'attirano ancora.

I.

La rapidit?? e la fretta sono appunto tra i caratteri salienti di questo secolo nostro. Come noi corriamo da un capo all'altro del mondo, trascinati dall'ansante vapore; come le nostre parole volano sui fili elettrici; cos?? tutta quanta la nostra vita morale e intellettuale precipita vertiginosamente.

Che cosa diviene, dopo qualche anno, la fama di quegli uomini che parvero dominare, che dominarono infatti, la nostra et??? Guardate Vittor Hugo. Chi ottenne mai in vita un pi?? largo, sincero e spontaneo consenso d'ammirazione? Lo chiamarono il Padre; personific?? realmente il secolo, ??del quale aveva professato tutte le credenze, condiviso tutte le illusioni, cantato tutte le glorie, sopportato tutte le sciagure.?? Ed ecco oggi l'idolo in pezzi. Hanno dimostrato in grossi volumi, pieni di documenti, che egli non fu iniziatore, che non scoperse nulla, che non disse nulla di nuovo o di originale, che ebbe un carattere ordinario, anzi mediocrissimo; che and?? assiduamente dietro al successo: non gli hanno riconosciuto altro genio se non quello delle parole: fu un parolaio, un genio verbale.

L'eleganza del verbo, intanto, non si pu?? dire che contraddistingua il nuovo stile. Il neologismo ?? la forza dei nostri scrittori. Mai il vocabolario greco ?? stato tanto in onore; mai le desinenze in ale e in ismo sono state tanto frequenti. Questa ?? una delle pi?? piccole conseguenze del trionfo della scienza. Le sue scoperte, feconde di tanti pratici adattamenti, hanno affrettato il corso della vita umana: il nostro pensiero e il nostro linguaggio acquistano caratteri scientifici. La vecchia critica ?? morta: oggi ?? in vigore la critica scientifica. Ippolito Taine ne fu il precursore; Emilio Hennequin il campione. Mentre l'antica critica letteraria badava a dare giudiz??, la critica scientifica, lasciando prudentemente da parte gli apprezzamenti, cerc?? nei caratteri particolari delle opere ??sia certi princip?? d'estetica, sia l'esistenza d'un certo meccanismo cerebrale nell'autore, sia una condizione definita dell'ambiente sociale.?? Questa critica preced?? per via di tre sorta di analisi: l'analisi estetica, l'analisi psicologica, l'analisi sociologica; essa non si content?? neppure di chiamarsi critica scientifica, volle ribattezzarsi con un nome pi?? severo: si chiam?? estopsicologia. Cos?? un cerotto contro il sudore, che ?? un cerotto e non impedisce il sudore, acquista il valore d'un nuovo e raro e prezioso prodotto chimico, quando lo speziale gli d?? il nome di sudol???

Emilio Hennequin mor?? giovane, prima d'aver potuto interamente esplicare il suo metodo: se fosse vissuto, ?? egli certo che ne avrebbe assicurato la fortuna? Il Rod lo crede; pi?? prudente ?? forse dubitarne. La critica cominci?? ad avere pretensioni e andamenti scientifici quando il positivismo trionf?? in filosofia e il naturalismo in arte: non occorre dimostrare come questi fenomeni fossero strettamente collegati. Ora non siamo in piena reazione? Un altro capitolo del Rod non ?? dedicato al risveglio dell'idealismo? Ferdinando Bruneti??re non ha proclamato la ??bancarotta?? della scienza? Siamo arrivati a questo: che la luce del giorno, secondo un filosofo, ??circoscrive il nostro orizzonte??; la notte ?? preferibile: essa ?? ??un'apertura sull'infinit?? degli spaz?? e sull'infinit?? dei mondi.?? Ma allora non bisogna buttar gi?? la critica obbiettiva, come stiamo demolendo il romanzo impersonale e sperimentale? Un artista italiano, del quale il Rod esamina con amore gli scritti, Antonio Fogazzaro, non deve la sua fortuna all'essersi messo a quest'opera? Ottavio Feuillet, caduto nella polvere, non torna sugli altari?

Diremo dunque che il secolo, tardi ma in tempo, ha finalmente trovato la sua strada? Non ancora! Alfredo Fouill??e, dopo aver sostenuto che le tenebre della notte sono preferibili alla luce del giorno, ci mette in guardia contro i pericoli dell'idealismo; e consiglia, s??, ad agire da idealisti, ma da idealisti ??senza illusioni?????. Non ridete: si tratta di cose serie. E la scienza, alla quale gi?? si dava il benservito per ricorrere invece alla fede, pare da ultimo che abbia del buono, se ad essa si volgono i rivendicatori dell'idealismo ??integrale?? per fondare la cit?? future.?? E che cosa si ripromette dalla scienza cotesto idealismo? Che cosa promette all'uomo? Ben poco, in verit??! ??I tuoi organi deboli tu li assoderai e moltiplicherai,?? dice il signor Fourni??re; ??le tue stesse ossa saranno rinnovate da una chimica che ancora non osiamo neppure immaginare. Tu arriverai, se vorrai, e bisogner?? bene che voglia, a longevit?? che oltrepasseranno quelle dei miti ebrei. Il tuo organismo rinnovellato conoscer?? altri mezzi di nutrizione e godimenti pi?? raffinati. E mentre dominerai il tempo, conquisterai anche lo spazio. Se non troverai il mezzo di riaccendere il sole che si spegne, o di accenderne altri, lascerai questa terra invecchiata; e, alato colono, popolerai gli spaz?? siderei?????.

Giulio Verne, come vedete, pu?? andare a riporsi.

II.

Questi voli della fantasia, queste immaginazioni di un mondo e d'una umanit?? tanto migliori dei nostri, non sono sogni, vaneggiamenti, delir??? Chi pu?? credere seriamente che le condizioni della vita, della vita fisiologica, della natura umana, si modificheranno cos??? Eppure, se la ragione ricusa di ammettere il mutamento, il cuore lo vuole e irragionevolmente lo aspetta! L'ottimismo fanciullesco delle aspettazioni ?? un modo di reagire contro la senile tristezza degli accertamenti.

Il bilancio morale del secolo nostro ?? in condizioni veramente disastrose. Il Fierens-Gevaert, che lo ha compilato, vi ha scritto sopra: La tristezza contemporanea; ma il deficit dei valori etici si chiama propriamente angoscia, confusione, oscurit??, pessimismo.

L'??ra contemporanea comincia con la rivoluzione francese: si ottennero da essa i benefic?? promessi? Tanto poco si ottennero, che quel cataclisma pot?? essere definito ??una farsa sanguinosa??. Mentre il principio dell'eguaglianza tra gli uomini era scritto col vivo sangue sgorgante dalle ghigliottine, Napoleone s'incaricava di dimostrarne la fallacia; o, per meglio dire, ne incarnava la logica conseguenza. Se ogni uomo ?? uguale ad un altro, un ufficialetto d'artiglieria prende il posto dei re per diritto divino e si fa padrone del mondo. Autocrate repubblicano, egli ?? il tipo dell'umanit?? moderna: egoista per istinto, democratico per educazione. In nome del principio d'eguaglianza la somma dei beni va distribuita a un numero sempre pi?? grande di concorrenti: la parte di ciascuno ?? pertanto sempre pi?? piccola.

Dio era stato soppresso; Kant aveva legittimato l'operazione affermando che ci?? che non si vede non esiste. La reazione non doveva tardare; ma fu peggiore della stessa azione, e non port?? il rimedio sperato. Il cristianesimo di Giuseppe de Maistre ?? triste, cupo ed ingrato: esso ammette la necessit?? del male; vuole quella legge di ferro e di sangue, che sar?? pi?? tardi proclamata dal pi?? fiero negatore del cristianesimo e dell'altruismo: da Federico Nietzsche. N?? Chateaubriand, con tutta la sua fede, si salva; al contrario: fonda la scuola dei malinconici superbi, degli egoisti annoiati e disperati.

Il romanticismo infierisce in tutta Europa. In Italia, con Giacomo Leopardi, il ??male del secolo?? arriva al parossismo. Il Rousseau aveva detto che la civilt?? ?? la grande colpevole; che gli uomini, nativamente, sono buoni; il Leopardi afferma che gli uomini, malvagi naturalmente, vogliono dare a credere di esser divenuti tali per caso.

Senza bussola, intanto, il pensiero umano erra qua e l??, secondo che il vento soffia da una parte o dall'altra. Primi fra tutti, il Guizot e Augusto Comte parlano dell'??anarchia intellettuale??. Nel giro di poche diecine d'anni l'anarchia diventa una dottrina, i cui apostoli lanciano bombe in mezzo alla folla innocente.

Prima s'innalza la bandiera del comunismo. Il Fourier e il Saint-Simon promettono il paradiso in terra; d??nno l'esempio delle chimeriche raffigurazioni dell'umanit?? futura: l'uomo sar??, dicono, sbarazzato dal dolore e dalla miseria, la sua statura crescer?? di sette piedi, ed egli arriver?? all'et?? di 144 anni, ??dei quali 120 di esercizio attivo in amore?????. Se questo linguaggio ?? tenuto ai creduli pi?? ignoranti, Augusto Comte, parlando agli spiriti eletti, bandisce, come Gran Pontefice dell'Umanit??, il nuovo verbo della Religione dell'Uomo. Il regno dell'uomo ?? di questa terra. Non bisogna alzare gli occhi troppo in alto: il Pontefice vieta insino lo studio dell'astronomia; consente soltanto che si osservino i moti dei pianeti visibili a occhio nudo??? Solo i fatti importano: il positivismo d?? lo sgambetto alla metafisica. E lo Schopenhauer ?? il suo discepolo Hartmann passano la spugna sull'una e sull'altro; dimostrano l'inganno universale; combattono la volont?? di vivere e predicono il suicidio cosmico.

Mentre costoro parlano e scrivono, gl'internazionalisti e gli anarchici cominciano ad operare. Che cosa ?? la patria? Gi?? imperando Napoleone, quando i confini dei popoli si slargano, quando gli eserciti corrono da un capo all'altro del vecchio mondo, lo ??spirito europeo?? della signora di Sta??l si sostituisce allo spirito particolare delle varie nazioni; a poco a poco, col vapore e con l'elettricit??, che accorciano lo spazio ed il tempo, lo spirito ??cosmopolita?? si sostituisce all'europeo. Non pi?? patrie, non pi?? societ??.

Il mondo unificato ?? felice? Le ineguaglianze sociali sono sparite? La lotta per l'esistenza ?? divenuta meno feroce? Il positivismo e la democrazia hanno assicurato almeno il benessere materiale? Gli appetiti sono stati eccitati, non appagati. Ed ecco i bombardatori scendere in piazza.

III.

Erano rimaste, in tanto naufragio, alcune tavole di salvezza. Avevamo l'amore. Anche questo ci manca. Noi siamo oggi posti tra i misogini, che seguono il Leopardi e lo Schopenhauer nel loro disprezzo per le donne; e tra i femministi, che lavorano a fare della donna non la compagna, ma la concorrente e la rivale dell'uomo.

E l'arte? Non era l'arte la grande consolatrice? Lo Schopenhauer e il Leopardi, negando tutte le altre cose, non avevano attestato il sovrano potere dell'arte? In arte, oggi, come in politica, non si sa da qual parte rifarsi. Il naturalismo pareva l'ultima parola; ma non appena esso tent?? di assodarsi, il simbolismo lo butt?? gi??; ed ecco che a sua volta il simbolismo boccheggia. ??Purificate la vita con la sovrana potenza dell'arte!?? dicono gli esteti; Ferdinando Bruneti??re predica che l'arte ?? essenzialmente immorale!???

L'artista si sente solo. Singolare ed aristocratico, vive a disagio in mezzo alla societ?? democratica ed uniforme. Si sente da essa odiato come inutile, come superbo; e la disprezza. Pertanto le opere sue non si rivolgono ai pi??, ma ai pochi iniziati. Il popolo ?? privato della gioia che l'artista pu?? dare; l'artista ?? privato del premio che il popolo accorda. Una forma d'arte aveva preso uno sviluppo straordinario, non prima sospettato: la musica. Essa pareva l'arte democratica per eccellenza, l'arte intelligibile a tutti, il linguaggio universale; ma ecco apparire il Wagner, prototipo dei ribelli incompresi. Paragonate il Wagner e lo Schopenhauer, vedrete la loro fratellanza. Il musicista dice che la soppressione della volont?? di vivere, voluta dal filosofo, ?? terribile ma salutare; Tristano e Isotta ?? un inno d'amore turbato da un capo all'altro dall'idea della morte. Lo Schopenhauer, affermando che il valore dell'individuo ?? illusorio, compatisce i dolori degli uomini; dalla compassione, dalla carit??, il Wagner ?? ricondotto alla fede, allo spiritualismo di Parsifal; ma il suo simbolo ?? oscuro ed ermetico; l'arte sua parla pi?? alla ragione che al sentimento, ?? un paradosso in azione: per ottenere da essa il massimo della commozione nervosa, bisogna spendervi intorno il massimo d'intelligenza.

Chi parler?? allora a tutti, chi vorr?? farsi intendere da tutti, dagli umili, dai semplici, dai poveri di spirito? Leone Tolstoi. Ma la sua religione, il suo nuovo cristianesimo, sorge dalle vive viscere della filosofia pessimista, considera l'umanit?? presente come un puro nulla, nega tutta quanta la nostra scienza, nega tutta quanta la nostra arte!

E quelli che affermano l'onnipotenza della scienza non sono gi?? pi?? contenti! La scienza, cos?? gaia nei primord??, durante il Rinascimento, quando il Rabelais rideva del suo riso immortale, ?? ora triste. I suoi pratici adattamenti, i progressi materiali, le invenzioni che hanno reso pi?? rapida e intensa la vita, hanno pure logorato la fibra umana. La nostra razza deperisce, i nostri nervi sono in convulsione. La scienza ci ha dato l'elettricit??, ma ci ha dato anche la dinamite.

E sulle origini prime e sulle cause finali del mondo e dell'uomo questa scienza orgogliosa non dice una sola parola. Essa considera come entit?? reali le forze cosmiche, delle quali ignora l'essenza: uno scienziato, lo Spencer, glie lo ha rimproverato. Eduardo Hartmann ha definito la creazione: ??la pi?? temeraria fantasia dell'immaginazione scientifica??. In questa creazione meccanica ed automatica non pi?? miraggi, non pi?? aspettazioni fiduciose e consolatrici. Un vescovo d'Australia ha rifiutato di ordinare pubbliche preghiere per la pioggia, dichiarando che la meteorologia ?? governata da leggi inflessibili; ed ha invitato i fedeli, per evitare i danni della siccit??, a migliorare i sistemi d'irrigazione???.

Ma, proprio mentre la fede ?? negata, derisa, bollata come superstizione; mentre si bandisce l'idea divina; gli uomini, pi?? che mai bisognosi di comprendere il gran mistero, celebrano riti folli. La religione muore, ma nasce l'occultismo, il satanismo, il magismo, lo spiritismo; le tavole girano, e le teste con esse; gli altari sono abbandonati, ma la messa nera ?? in grande onore???

IV.

Tale ??, nelle sue grandi linee, il bilancio morale compilato dal Fierens-Gevaert. Non si pu?? dire che egli abbia avuto la mano leggera. Pur troppo tutti questi motivi di tristezza esistono: la quistione ?? di valutarli. L'aritmetica non ?? un'opinione; ma le opinioni non si possono misurare coi numeri. Esse mutano troppo, troppo rapidamente, non solo da individuo a individuo, ma in una stessa persona.

Nei bilanci finanziar?? vi sono certe somme che figurano all'entrata nello stesso tempo che all'uscita: esse si annullano reciprocamente e lasciano immutato il rapporto fra l'attivo e il passivo. Le contraddizioni, in fatto di opinioni, di credenze, di fedi, sono come chi dicesse le partite di giro dei bilanci morali. Ora le contraddizioni del pensiero moderno sono continue, flagranti. Se noi mettiamo all'attivo la scienza, ripromettendoci tutto da lei, e poi la mettiamo al passivo, disperandone, le due partite si elideranno, e la scienza rester?? quella che ??. Il misogino e il femminista, l'altruista cieco e l'egoista spietato si equivalgono: le donne e la morale restano quelle che sono.

Guardate ci?? che avviene nell'arte, in un'arte speciale: quella del romanzo. Nel romanzo trionfa l'esoticismo di Pietro Loti e il cosmopolitismo di Paolo Bourget. Ma anche qui c'?? una contraddizione evidente. Uno scrittore appena ieri sepolto fra l'universale rimpianto, e oggi pi?? che mai vivo nelle opere, ha ottenuto ed ottiene la maggiore, la pi?? pura ammirazione, per avere candidamente osservato e riprodotto il suo cantuccio natale. Mentre altri trionfa descrivendo i costumi giapponesi e la vita dei grandi alberghi cosmopoliti, Alfonso Daudet conquista la gloria descrivendo il Mezzogiorno, scoprendo Tarascona, creando Tartarin e Numa Roumestan. C'?? dunque posto per tutti.

Torniamo alla filosofia; consideriamo il caso dello Schopenhauer. Lungamente disconosciuto, costui fu ed ?? onorato come pochi altri. Vuol forse dire che il pessimismo ?? l'ultima nostra parola? Sarebbe una cosa tutta negativa; ma, non riuscendo ad affermar nulla, avremmo pure une fiche de consolation sapendo almeno negare. E il secolo, cominciato coi turbamenti, con le delusioni e con le malinconie, potrebbe recitare compunto il credo disperato del filosofo di Francoforte. Se non che: studiate la sua vita, leggete il suo epistolario: vedrete che egli stesso operava contrariamente alla sua fede; i suoi atti e le sue idee facevano a pugni. ??Egli che voleva conoscere la vita, il mondo, l'universo??, sono parole del Rod, ??trascurava poi di conoscere s?? stesso; egli che additava la volont?? di vivere come la sorgente di tutti i mali, e che faceva consistere nel lavorare a distruggerla lo scopo supremo della morale, manteneva poi accuratamente la volont?? sua propria, senza diffidenza, senza accorgersene, con una specie di candore; egli che scopriva con occhio penetrante l'insieme delle illusioni delle quali siamo vittime, le accoglieva per conto suo: chiaroveggente quando ne stava lontano, cieco appena si accostava ad esse??.

Ma questo dissidio ?? forse in lui solo? Non accade altrettanto in ciascuno di noi? Gli estremi non sono tanto vicini che si d??nno la mano? Di estremi, di contraddizioni, di antinomie non ?? piena tutta quanta la storia dell'umanit??? E per cento, per mille, per diecimila individui che amano gli eccessi, e non stanno fermi in uno solo, ma trascorrono dall'uno al contrario, non vi sono milioni di uomini di buon senso che rifuggono da tutti?

Il Fierens-Gevaert aspetta un nuovo Messia che venga a salvare il nostro povero mondo. Aspettiamolo pure: sar?? il benvenuto, se non lo crocifiggeranno come il primo. Ma consoliamoci nel frattempo pensando che gli uomini sani continuano a credere e ad amare, semplicemente. E, a chi ben guardi, il secolo decimonono non ?? poi tanto singolare quanto sembra; si pu?? dimostrare che somiglia non poco al diciottesimo, e si pu?? scommettere che il ventesimo gli somiglier??.

IL TOLSTOISMO

Il signor Ossip-Louri?? ha pensato di riunire in un maneggevole libretto tutti i pensieri, le sentenze e i giudiz?? di Leone Tolstoi, traendoli con molta pazienza dalle sue opere e raggruppandoli in tredici paragrafi, nei quali si ragiona della vita e della morte, della religione e della scienza, del patriottismo e dell'istruzione, e via dicendo.

Questa specie di estratto o quintessenza del Tolstoismo ?? molto utile a chi vuol rendersi conto della dottrina novissima; e poich?? essa ?? uno dei segni del tempo, e poich?? una quantit?? non piccola di brave persone si appassionano pro e contro il filosofo di Jasnaia Poliana senza averne letto i libri, sulla fede della semplice fama, un rapido esame del breviario messo insieme dall'Ossip-Louri?? non riescir?? inopportuno.

I.

Uno dei primissimi pensieri della raccolta, il terzo, dice: ??Per intendere il senso della vita bisogna, innanzi tutto, che essa non sia assurda n?? cattiva:???l'intelligenza viene in seconda linea??. Ma il pensiero susseguente ?? cos?? espresso: ??La vita consiste nella ricerca dell'ignoto e nella subordinazione dell'azione alle conoscenze nuove??: dove si vede che l'intelligenza, gi?? in seconda linea, passa improvvisamente in prima. Un poco pi?? gi??, al numero ventuno, si legge: ??Il principio e la fine di tutte le cose risiedono nel cuore dell'uomo??. Ed ecco l'intelligenza cedere ancora una volta il primo posto.

Passiamo ad un altro punto. Il sesto pensiero dice: ??La vera vita ?? la vita comune di tutti, non quella di ogni uomo particolare. Tutti debbono lavorare per la vita altrui??. Ma dopo qualche pagina si trova quest'altro giudizio: ??Vi sono gli Stati, vi sono i popoli, vi ?? la concezione astratta dell'uomo; ma l'umanit?? come concezione concreta non esiste e non pu?? esistere. L'umanit?? ?? una finzione??. ?? lecito pertanto chiedere se tutti debbono lavorare per una finzione, per una cosa che non esiste.

E ancora: il settimo pensiero dice: ??La vera vita non ha che vedere col passato, n?? con l'avvenire: ?? quella del momento presente, e consiste in questo: che ciascuno faccia ora quel che deve fare??. Ma il passato e l'avvenire che, secondo tale proposizione, non riguardano la vera vita, diventano a un tratto importanti, perch?? (pensiero dodicesimo): ??La vera vita ?? quella che aggiunge qualche cosa al bene accumulato dalle generazioni passate, che aumenta questa eredit?? nel presente e la trasmette alle generazioni future??. Al numero ottantanove leggiamo anche: ??N?? l'uomo n?? l'umanit?? possono tornare indietro??; ma subito dopo, al numero novanta, ?? detto che: ??Non si pu?? restare a posto quando il suolo ?? in movimento: se non si avanza, s'indietreggia??; e che ??gli uomini istruiti dei nostri tempi trascinano la societ?? indietro, non solo verso lo stato pagano, ma verso lo stato di barbarie primitivo??.

Basteranno questi esemp?? per dimostrare come la dottrina tolstoiana non eviti le contraddizioni sciaguratamente comuni a tutti i sistemi filosofici di questo mondo. Certo, cogliere contraddizioni fra pensieri staccati ?? molto facile; ma quando si colgono negli ordinati ragionamenti non si fa altro che staccarne i concetti informatori. E considerando tutta quanta l'opera del pensatore russo, se anche le contraddizioni minori venissero a mancare, la maggiore, la pi?? grave, resterebbe; ed ?? questa: che mentre egli parla in nome del perfezionamento, del progredimento umano, e dovrebbe pertanto affermare che oggi si sta meglio di prima; i suoi pi?? acuti strali sono poi rivolti contro il presente ordine delle societ??, e il suo ideale consiste in un ritorno ai sistemi primitivi, gi?? condannati. ??Tutta la storia dell'umanit?? non ?? altro che un graduale passaggio dalla concezione della vita personale e animale alla concezione sociale, e da questa alla divina??. Una simile certezza dovrebbe essere di conforto grandissimo. Se il miglioramento, se la purificazione della vita non si opera tanto presto quanto sarebbe pure desiderabile, la lentezza ?? forse una buona ragione per marchiare col ferro rovente tutta quanta l'umanit??? Non le si deve tenere nessun conto dei lunghi sforzi sostenuti per uscire dalla vita animale?

Invece il Tolstoi non le perdona niente. Gli uomini, dice, ??vivono contrariamente alla coscienza gi?? da lungo tempo??. Vuol dire che prima vivevano meglio? Allora, invece di progredire, non si torna indietro? Ma siccome, soggiunge, ???? impossibile che l'uomo sia messo senza volerlo in una situazione contraria alla coscienza??, cos?? bisogna dedurne che gli uomini si apprendono al male volontariamente, deliberatamente. ??Perch?? il nostro ordine sociale, contrario alla coscienza degli uomini, fosse sostituito da un ordine ad essa conforme, bisognerebbe che la vecchia e logora opinione pubblica desse luogo a un'opinione giovane e piena di vita??. E ancora: ??Perch?? gli uomini mutino il loro modo di vivere e di sentire, bisogna che mutino il loro modo di pensare.?? Certo; ma, per pensare in altro modo, che cosa occorre? Non potrebbe darsi che, tanto per vivere e sentire, quanto per pensare e giudicare in altro modo, occorresse semplicemente cambiare tutta la natura umana?

Per agire nella vita secondo ??la ragione e la coscienza??, come vuole il Tolstoi, e come infatti si dovrebbe, bisognerebbe che fra coscienza e ragione vi fosse accordo costante e perfetto; ora, pur troppo, i dissid?? fra le due sono lunghi, gravi e frequenti. ??Il dovere che incombe ad ogni uomo di prender parte alla lotta contro la natura, per assicurare la propria vita e l'altrui, sar?? sempre il primo??. Ci?? ?? innegabile; ma fra la propria vita e l'altrui, o per lo meno fra l'interesse proprio e l'altrui, bisogna troppo spesso, e quasi sempre, scegliere; e per un martire o un eroe, che sacrifica agli altri s?? stesso, milioni e milioni d'uomini procacciano prima d'ogni altra cosa l'utile proprio; e insomma: alla lotta degli uomini contro la natura ne succede un'altra: quella degli uomini fra loro. Il Tolstoi lo sa, lo vede: ??Tutta la nostra esistenza ?? ordinata in modo che ogni godimento personale si acquista a prezzo di sofferenze umane??. Soltanto, ci?? non accade per il capriccio di pochi, di molti o di tutti; ma ?? l'effetto di una legge, d'una necessit??, d'una fatalit??. E se c'?? questa fatale lotta per l'esistenza, sar?? una ??menzogna?? la disuguaglianza degli uomini? Poich?? una parte degli uomini vince, e l'altra ?? vinta, ci?? vuol dire che essi non sono eguali; ma alcuni pi?? forti ed abili, altri pi?? deboli e inabili.

In realt?? fra gli uomini vi sono tante differenze, che non se ne trovano neppure due soli interamente eguali. Ma, se questo ?? un fatto innegabile, quantunque negato, ?? pure un altro fatto, altrettanto innegabile e negato, che, mentre questi uomini sono tanto diseguali, sono anche simili del tutto. Simiglianza e diversit?? stanno insieme, e poich?? sono cose contraddittorie e incompatibili e reciprocamente lesive, cos?? dal loro contrasto, dalla loro coesistenza, che sembra assurda, ma che pure ?? un fatto, nascono una moltitudine di danni. Chi guarda alla diseguaglianza afferma la legge della lotta, riconosce il diritto della forza; chi guarda alla simiglianza sostiene la legge dell'amore, predica il dovere della solidariet??. Ma nessuna delle due dottrine, se non tiene conto dei fatti sui quali riposa la dottrina contraria, ?? accettabile. Come conciliarle?

II.

Il Tolstoi si rivolge alla religione di Cristo; non gi?? alle chiese ufficiali, ma alla vera dottrina cristiana. ??Non solamente non c'?? nulla di comune fra le Chiese e il cristianesimo, eccetto il nome; ma i loro princip?? sono opposti ed ostili??.

Nei primi secoli egli crede che il cristianesimo fosse puro e purificasse il genere umano; un migliaio e mezzo di anni ci hanno fatto indietreggiare. Ancora una volta: dove se ne va allora il progresso? Il vero insegnamento di Ges??, dice il Tolstoi, ?? questo: ??non resistere al malvagio??; cio?? non opporgli mai la violenza, ma unicamente l'amore. ??Tutta la dottrina di Ges?? ha un solo scopo: dare il regno di Dio agli uomini, la pace??. E, certo, alla legge naturale della lotta per l'esistenza si oppone la legge morale della pace e dell'amore; ma le due leggi sono tanto discordi e inconciliabili, che lo stesso Ges?? disse: ??Il mio regno non ?? di questo mondo??. Il Tolstoi afferma che il cristianesimo, nella sua vera significazione, ??distrugge lo Stato??; ma il figlio di Dio non disse anche: ??Date a Cesare quel che ?? di Cesare???

Lo Stato, l'ordinamento sociale, secondo il Tolstoi, sono iniqui, sempre, qualunque cosa facciano, su qualunque sentimento si fondino. La giustizia ?? iniqua: il giudice non esita a imprigionare una vedova e a separarla dai figli, se costei vende vino senza permesso e froda l'erario di 25 rubli. I poteri pubblici, tutti quanti, sono altrettanti strumenti di violenza e d'oppressione: essi debbono sparire, e non gi?? per cedere il luogo ad altri, ma senza pi?? sostituzione di sorta. Il patriottismo ?? una schiavit??, un vestigio cruento di altri tempi, un pretesto per tenere in piedi gli eserciti, che servono veramente ai pochi potenti contro i molti oppressi: ??i veri cristiani debbono rifiutarsi al servizio militare??. E il denaro ?? anch'esso una nuova forma di schiavit?? impersonale sostituita all'antico servaggio individuale.

La scienza e l'arte non si salvano neppure. ??Le scienze e le arti esisterono sempre, e finch?? esisterono veramente, furono necessarie e accessibili a tutti gli uomini. Noi invece produciamo ora certe cose chiamate arti e scienze; ma si vede che le nostre produzioni non sono n?? necessarie, n?? accessibili agli uomini??. Ancora un'altra volta, dunque, il Tolstoi nega quel progresso che aveva gi?? affermato. Egli bolla anche gli scienziati, perch?? ??passano i loro migliori anni a disabituarsi dalla vita, cio?? dal lavoro??; come se passare le intere giornate al microscopio, al crogiuolo o alla tavola anatomica sia darsi bel tempo; e come se gli scienziati ??veri?? possano coltivare la scienza e zappare la terra tutt'in una volta??? Istupiditi e fossilizzati, i dotti ??acquistano una presunzione che impedisce loro di poter mai tornare alla semplice vita del lavoro??. Ma allora perch?? non dire, pi?? brevemente, che quella passata zappando la terra ?? la miglior vita, la pi?? degna, la sola lodevole? Ma no: ??la scienza e l'arte sono necessarie all'uomo quanto il cibo, la bevanda e il vestimento??. Intanto la fisiologia, la psicologia, la biologia, la sociologia non riescono ??se non a mettere il pensatore in contraddizione perpetua con gli altri e con s?? stesso??. Ahim??, questo effetto ha pure la filosofia in generale e il tolstoismo particolarmente!??? ??L'attivit?? scientifica e artistica ?? feconda solo quando non attribuisce a s?? stessa diritti, ma unicamente doveri??. Doveri e diritti non sono invece correlativi, non vanno insieme, come luce e ombra? Imporre soltanto doveri non ?? tanto assurdo quanto pretendere solamente diritti?

E con la scienza, con l'arte, col denaro, col patriottismo, con la giustizia, se ne va anche l'amore. Nel sommario della filosofia tolstoiana compilato dall'Ossip-Louri?? ?? trascurato un punto essenziale, sono omessi tutti quei luoghi delle opere del Tolstoi dove questi dice che astenersi dall'amor sessuale ?? meglio che amare; che Ges?? Cristo istitu?? il matrimonio, ma gli prefer?? la castit??, e la predic?? e ne diede l'esempio. La castit??, universalmente praticata, porterebbe alla fine del genere umano; e il Tolstoi non se ne inquieta: anzi ha detto che, se il genere umano finir??, esso si uniformer?? cos?? alla legge naturale secondo la quale i mondi debbono finire. Il vuoto, il silenzio, l'immobilit??, la morte, il niente ?? cos?? l'ultimo termine della sua filosofia.

III.

La quale, tuttavia, ritorna sui propr?? passi, e fa qualche concessione. Se lo scopo ultimo, se la m??ta estrema della vita e del mondo ?? il nulla, il problema della felicit?? dovrebbe essere molto semplificato, anzi soppresso. Ma il Tolstoi, o perch?? persuaso egli stesso dell'assurdit?? di certe sue affermazioni, o perch?? intende distinguere la speculazione pura dalla morale pratica, indica il mezzo di esser felici.

Per esser felici, secondo la dottrina tolstoiana, bisogna che si avverino cinque condizioni. La prima ?? di lasciare le citt?? e di vivere in comunione con la natura; la seconda ?? di lavorare, di lavorare fisicamente, con le braccia, coi sudore della fronte; la terza ?? la famiglia; la quarta ?? il commercio libero e affettuoso con tutti gli uomini; la quinta ?? la salute, e la morte senza malattia. Ora i potenti, i ricchi, quelli che non lavorano, che abusano della vita, che guardano dall'alto in basso i loro simili, che vivono nelle metropoli, che non educano essi medesimi i loro figli, sono infelicissimi. Viceversa: ??povert?? ?? felicit????. Se questi giudiz?? si potessero accettare alla lettera, che cosa se ne dovrebbe concludere? Che i potenti, i ricchi, debbono fare compassione, e invece il Tolstoi li esecra, commiserando poi gli umili e i poveri, che dovrebbero invece esser degni d'invidia. Ma n?? questi giudiz?? si possono accettare alla lettera, n?? la felicit?? dipende dalle condizioni esteriori della vita.

Alto e nobile sempre, il pensiero del filosofo russo ?? troppo spesso confuso, contraddittorio e chimerico; abile e vittorioso nella critica, egli ?? inefficace, come tutti i critici di questo mondo, nella ricostruzione; s'accosta tuttavia pi?? d'una volta al vero, alle verit?? vere ed eterne che tutti riconoscono e onorano. ??La felicit????, ammette anch'egli, ??non dipende dalle circostanze esteriori, ma dal modo di apprenderle; un uomo avvezzo a sopportare il dolore non pu?? essere infelice??. E allora i termini del problema non vanno modificati interamente? Questo moralista che combatte il male e predica il bene, sa pure, e lo dichiara anzi espressamente, che, ??da secoli, qualunque cosa lo spirito imparziale getti nella bilancia del bene e del male, il giogo resta immobile, e ciascun piatto contiene tanto male quanto bene??. E questo riformatore, che crede di essere egli solo nel vero e nel giusto, fa pure atto di modestia quando afferma che ??ogni pensiero ?? esatto e falso ad un tempo: falso, perch?? ?? limitato dalla nostra impotenza ad abbracciare tutta quanta la verit??; esatto, perch?? rappresenta una delle facce del concetto umano??.

Tempo fa i giornali riferirono un succoso aneddoto. Una governante di casa Tolstoi, sapendo di quanta ammirazione e di quanta curiosit?? ?? oggetto il grande scrittore, pubblic?? le memorie del tempo passato presso di lui. E narr??, fra le altre cose, che il Tolstoi, vegetariano ostinato, incapace di assaggiare un briciolo delle carni che si servivano in tavola e che egli chiamava ??pezzi di cadaveri??, alle volte, spinto dalla fame che il magro regime non acchetava, si levava di notte, andava nella sala da pranzo e mangiava nascostamente le fette di arrosto e le ale di pollo avanzate???. Queste verit?? semplici ed umili che gli escono dalla penna dopo le affermazioni superbe, sono come i suoi pasti notturni: un omaggio reso all'universale costume degli uomini. E la verit?? pi?? semplice, la pi?? modesta, quella con la quale si potrebbe distruggere tutta la sua dottrina, ?? che ??un sol uomo??, come egli stesso riconosce, ??non pu?? agire contrariamente al mondo intero??.

IL SUPERUOMO

Alla succinta esposizione critica della dottrina tolstoiana non sar?? inutile far seguire quella di un'altra modernissima filosofia, molto ammirata o molto derisa, senza che si sappia bene, dai pi??, in che cosa consiste: voglio dire la filosofia di Federico Nietzsche, il vangelo di Zarathustra, la profezia del Superuomo. La cosa sar?? tanto meno inopportuna, quanto che le idee del Nietzsche sono diametralmente opposte a quelle del Tolstoi, e rappresentano, come si suol dire, l'altra faccia della medaglia.

Anche questa volta saremo guidati da un succoso compendio, recentemente messo insieme, con molto garbo e padronanza del tema, dal professor Lichtenberger.

I.

Riassunto con una frase che ha avuto molta fortuna, il Tolstoismo ?? ??la religione della sofferenza umana??; il Nietzschismo ne ?? la negazione. La morale del Tolstoi impone di sacrificare il bene proprio all'altrui; la morale del Nietzsche d?? invece ragione all'individuo contro il ??gregge??. Affermando la somiglianza degli uomini, il Tostoi ne nega le diseguaglianze; vedendo le loro diversit??, il Nietzsche ne disconosce la equivalenza. Tanto il Russo quanto il Tedesco sono senza perdono contro la societ?? moderna; ma il Russo, perch?? vi trova troppo egoismo; il Tedesco perch?? non ve ne trova abbastanza.

Ogni civilt??, dice il Nietzsche, si costruisce una ??tavola dei valori??; cio?? colloca pi?? alto o pi?? basso, stima migliori o peggiori certe cose e certe azioni. I tipi di queste tavole morali sono due: quella dettata dai padroni, e quella composta dagli schiavi. Quando una razza forte, ardita e bellicosa sottopone i deboli e gl'imbelli, come a Roma, come nei regni teutonici, si ottiene una morale di padroni; dove la volont??, il coraggio, la forza, l'orgoglio sono onorati. Se invece i deboli, i vinti, riescono ad imporre la loro morale, sono tenuti da conto tutti i valori contrar??. La civilt?? presente, la morale cristiana, sono civilt?? e morale di oppressi, di schiavi. Uno dei valori oggi pi?? apprezzati ?? la piet??. Orbene: questa, non solo non dev'essere incoraggiata, ma va combattuta. Perch??: prima di tutto non ?? vero che la piet?? sia disinteressata, scevra di egoismo; al contrario. Chi ?? spietato, chi lotta, chi fa male ai suoi simili, vuole esercitare la sua forza, vuol dominare; il pietoso, quello che fa bene, non ?? mosso da uno scopo diverso; in fondo anch'egli vuol mostrare la propria virt??, la propria superiorit??, ed essere ammirato e lodato. Inoltre: la piet?? ?? deprimente, perch?? ciascun individuo pietoso, oltre ai mali propr??, deve sopportare gli altrui. Di pi??: essa ?? pericolosa, perch?? tende a far sussistere e perpetuare i deboli, gl'infermi, tutti quegl'individui che, nell'interesse della razza, dovrebbero sparire. E che cosa vuol dire questa piet??? Da che proviene la religione della sofferenza umana? Proviene dalla paura, appunto, della sofferenza. Ciascuno commisera e lenisce il dolore altrui temendone uno simile per s??, e sperando che altri lo lenisca a lui. Il dolore ?? considerato come qualche cosa che bisogna abolire. Invece, ??alla scuola del dolore, del gran dolore,???non lo sapete????sotto questo duro padrone soltanto l'uomo ha compito tutti i suoi progressi??.

Nella nostra ??tavola dei valori?? un altro titolo altamente quotato ?? l'eguaglianza degli uomini: il cristianesimo considera tutti gli uomini eguali dinanzi a Dio, la democrazia li considera eguali dinanzi alla legge: il Tolstoi, come abbiamo visto, dice espressamente che la diseguaglianza degli uomini ?? una ??menzogna??. Il Nietzsche invece esige che si distingua tra forti e deboli, tra abili e inabili, tra padroni e servi.

Altro e non minore inconveniente: non si sa pi?? comandare; quei pochi che esercitano un timido potere, quasi se ne scusano; si dicono i primi servitori del paese, gli strumenti del bene comune. Non si osa castigare; i delinquenti commuovono pi?? delle vittime; il Tolstoi, anzi, se la piglia con l'istituto della giustizia; nega che un uomo abbia il diritto di condannarne un altro.

Ancora: la donna rivaleggia con l'uomo; invece di affidarsi a lui, perde le attrattive proprie del suo sesso, lavora di gomiti per farsi strada, si rovina i nervi, si riduce sempre pi?? inadatta a procreare una prole robusta.

Questa ?? la civilt?? nostra, la civilt?? dei popoli cristiani. E mentre il Tolstoi la giudica troppo poco cristiana, mentre la sferza per eccitarla a tornare alla vera dottrina di Ges??, il Nietzsche la fa oggetto di un odio che muove da opposte ragioni. Egli si rivolta contro l'ideale ascetico, contro le prediche sacerdotali che impedirono all'uomo di mettersi in faccia alle cose ed a s?? stesso. La scienza tenta bens?? il libero esame della realt??, ma senza frutto. Lo scienziato che studia i fatti, l'??uomo obbiettivo??, ?? un ??pigmeo presuntuoso??; o, nella migliore ipotesi, uno ??specchio?? che riflette le cose, uno ??strumento di precisione??. Altrettanto, anzi peggio, dicasi del filosofo. Quelli che sembrano pi?? spregiudicati, i ??coscienziosi dello spirito??, sono, in fondo, ascetici anch'essi. Vogliono arrivare alla verit??, credendo che la verit?? sia utile per s?? stessa; invece la verit?? vera ?? che l'illusione vale e giova, per lo meno, quanto la verit??. L'illusione, la menzogna, ?? forse la condizione stessa della vita: ??la falsit?? di un giudizio non ?? per noi una obbiezione contro di esso; la quistione, per noi, ?? questa: In quale misura questo giudizio falso ?? utile alla conservazione o allo sviluppo della vita, alla conservazione o al perfezionamento della specie??? Se, dunque, la verit?? pu?? essere nefasta e la menzogna benefica, perch?? si continua a cercare ad ogni costo la verit??? Evidentemente perch?? si attribuisce ad essa un pregio assoluto, un valore metafisico. Dunque l'uomo ??veridico??, l'uomo che ha fede nella scienza, lo scettico, l'ateo, rispetta ancora il pi?? alto ??valore?? della ??tavola?? attuale. Costui non osa domandare a s?? stesso: ??Qual ?? il valore della morale che c'insegna e c'impone di ricercare la verit?????. Costui non dice a s?? stesso: ??Perch?? volere ad ogni costo conoscere questa Natura che noi intravediamo, oggi, come una potenza eternamente cieca e inintelligente, sovranamente indifferente al bene ed al male, magnificamente feconda, sempre intenta a produrre innumerevoli nuove esistenze per sacrificarle, impassibile, alle sue combinazioni vuote di senso????.?? Gli uomini, prima, sacrificavano tutto a Dio; ora sacrificano Dio stesso a questa natura, cio?? alla pietra, alla stupidit??, al peso, al destino, al Nulla!???

II.

Ed ecco il profeta Zarathustra ospitare nella sua grotta le vittime della civilt?? europea.

Chi sono?

Il primo ?? il Pessimista che va predicando: ??Tutto ?? vanit??, niente serve a niente, inutile cercare??. Poi vengono due Re che hanno abdicato perch??, non essendo i primi fra gli uomini, non vogliono pi?? comandare. Poi ecco il Coscienzioso dello spirito, lo Scienziato obbiettivo, che ha consacrato la sua vita a studiare il cervello della sanguisuga; e il vecchio Mago, l'eterno commediante che rappresenta tutte le parti e inganna tutti, ma non s?? stesso, ed ?? triste e disgustato; e l'ultimo Papa, che non pu?? consolarsi della morte di Dio; e poi ??il pi?? orribile tra gli uomini??, l'Uccisore di Dio; e poi ancora il Mendicante volontario, che cerca la felicit?? in un cantuccio di prato dove le vacche ruminano tranquillamente; e finalmente l'Ombra, lo scettico, che, dopo aver percorso tutti i domin?? del pensiero, si ?? smarrito e va errando senza scopo per l'universo. Zarathustra non li consola: se costoro soffrono, se hanno nausea della moltitudine e di s?? stessi, egli giudica che il disgusto e la sofferenza sono gli stimoli necessar?? alla salute, al riscatto. Se l'umanit?? decade e si corrompe, essa dar?? luogo, morendo, a una forma superiore. Ed ecco: il profeta annunzia il Superuomo. L'uomo attuale non ?? uno scopo, ?? una ??corda??, un ??ponte??, un ??passaggio?? dall'animale al Superuomo. ??Il Superuomo ?? la ragion d'essere della terra??.

Che cosa sar??, quando apparir?? il Superuomo? L'uomo dar?? luogo al Superuomo per auto-soppressione. Quando il dolore sar?? arrivato al colmo, quando ciascuno soffrir??, non soltanto per ci?? che egli ??, ma per ci?? che ?? la stessa condizione umana, allora, in questo eccesso di dolore, l'uomo trover?? la forza necessaria per annichilirsi, dando luogo al Superuomo. E quale sar?? la differenza tra i due? Sar?? questa: che mentre la morale presente si rivolge a tutta l'umanit?? indistintamente, la morale del Superuomo sar?? aristocratica, sar?? il privilegio di pochi. Di pi??, tutta la ??tavola dei valori?? s'invertir??. Non la pace, il riposo, la quiete saranno stimate; ma la lotta e la guerra; la guerra benefica, la guerra indice della forza, della salute, dell'esuberanza. Non la piet??, ma la volont?? sar?? preferita: la piet?? ?? ??l'ultimo peccato?? di Zarathustra, la prova pi?? pericolosa, dalla quale egli esce per?? trionfante. Bisogna esser duri con s?? stessi per creare nuovi valori, per plasmare a proprio talento la realt??. Bisogna esser duri con gli altri, coi fiacchi, con gli impotenti, con gl'incapaci di vivere. Saper soffrire ?? poca cosa, ??ma non soccombere agli assalti dell'intima angoscia e del dubbio turbatore quando s'infligge un gran dolore e se ne sente il grido,???ci?? ?? grande, ?? la condizione della vera grandezza??. E infine il saggio porter?? in tutte le avventure della vita la serenit??, la grazia, il sorriso del fanciullo che giuoca; s'innalzer?? su s?? stesso, oltrepasser?? s?? stesso sulle ali del riso e della danza: questo ?? l'ultimo, il supremo consiglio della saggezza.

III.

La critica pi?? facile della filosofia del Nietzsche consiste nel dire che ?? l'opera di un pazzo. Questa critica, molto usata contro le cose insolite e nuove, gode oggi tanto pi?? credito, quanto che si sono viste le attinenze del genio con la pazzia; ed allo stesso Tolstoi non ?? stata risparmiata. Nel caso del Nietzsche, d'uno scrittore che ha perduto effettivamente, durante le sue speculazioni, il bene dell'intelletto, e che sopravvive a s?? stesso miseramente vegetando, la tentazione di giudicarne pazzesca tutta quanta l'opera ?? veramente fortissima e generale. Se non che questa critica, quanto pi?? ?? facile, tanto meno persuade. Se il Nietzsche ?? pazzo, tutti gli altri filosofi, riformatori e profeti, non furono pazzi la loro parte?

Quel che c'?? di chimerico, di stravagante, di esagerato nelle idee del Nietzsche ?? tanto evidente, che non ha bisogno di dimostrazione. Meno evidenti, sebbene pi?? gravi, sono le contraddizioni e le assurdit?? della sua dottrina, cos?? le implicite come le esplicite. Il Nietzsche si ?? apertamente contraddetto pi?? volte, come quando ha giudicato il sistema dello Schopenhauer, del quale prima fu ammiratore sviscerato e poi oppositore vivace; come quando ha giudicato l'estetica e l'arte del Wagner, prima sublimandole, poi disprezzandole. Ma un gran numero di volte, nel formulare la dottrina sua propria, si ?? contraddetto senza saperlo, ?? caduto senza accorgersene in pieno assurdo.

Egli comincia con l'affermare, come abbiamo visto, che il mondo ?? retto a volta a volta da due tavole di valori: quella dei padroni e quella degli schiavi. Che i padroni, i vincitori, impongano la loro legge, come impongono materialmente le catene agli schiavi, s'intende e si vede; ma che gli schiavi, i vinti, anch'essi siano a loro volta capaci d'imporre la propria morale ai vincitori, non s'intende niente affatto. Come mai gl'impotenti avrebbero questa potenza? Con quali mezzi riescirebbero a compiere l'imposizione? Che cosa potrebbe obbligare i dominatori ad accettare la morale dei sottoposti? Se quelli che dettano legge accettano la legge suggerita da quelli che obbediscono, ci?? significa che la legge suggerita dai vinti ha dentro di s?? una tale virt??, una tale forza, da farsi riconoscere, accettare ed amare da coloro cui nuoce; ci?? significa che nel mondo non opera la sola forza materiale, ma anche quella morale, del cuore, dell'anima, dello spirito, e che la forza del cuore ?? capace di vincere la stessa forza del braccio. Vincitori e vinti s??, ma i vinti non sono tanto vinti quanto sembra, se ottengono questo trionfo: di imporre la loro morale al mondo. Quindi le due tavole dei valori, differenti in apparenza, dei vincitori e dei vinti, dipendono entrambe da una imposizione, da una vittoria; e la vittoria morale vale la materiale, e i valori di quelli che il Nietzsche chiama schiavi, quei valori che egli disprezza e vuole soppressi, valgono gli altri, e in conclusione nel mondo non si vedono due tavole di valori distinte e separate, ma una bilancia che, se oscilla continuamente da una parte e dall'altra, oscilla appunto perch?? tende continuamente all'equilibrio.

Ma il Nietzsche si presta a distruggere anche meglio l'opera propria; perch??, mentre afferma con gran forza di persuasione la sua filosofia, nello stesso tempo dice, press'a poco come il Tolstoi, che ogni filosofo s'illude quando crede di presentarci il suo sistema come l'opera della ??pura ragione??. Un'illusione simile non ?? dunque anche la sua? Come e perch?? egli solo possederebbe la verit?? vera? Il suo Superuomo non ?? anch'esso un ritrovato mistico, ascetico, equivalente a quelli che egli scopre in ogni filosofia e in ogni religione? ??Tutti gli Dei sono morti; noi vogliamo ora che il Superuomo viva.?? Il Superuomo che si sostituisce agli Dei non ?? dunque anch'egli una specie di Dio?

Di pi??: ha il filosofo di mira la felicit??? Scrive per renderla pi?? facile, o meno difficile? Pare di s??, perch?? combatte il pessimismo, vuole l'ottimismo, prevede il giuoco spensierato, il riso alato, la danza leggera. Allora, come mai dice che il ??savio?? non ignora che la gioia e il dolore vanno insieme? Chi vuol conoscere le grandi gioie, soggiunge, deve anche fatalmente conoscere i grandi dolori; il ??creatore di valori?? deve ??marciare incontro al suo supremo dolore e alla sua suprema speranza ad un tempo??. Ma se c'?? questa continua alternativa di gioie e di dolori, se ogni oscillazione in un senso ?? compensata da un'oscillazione in senso inverso, la proporzione non resta la stessa? Mille non sta a mille come dieci sta a dieci? E allora, perch?? mutare???? Cos?? la filosofia del Nietzsche, che sembra, ed ??, il contrario di quella del Tolstoi, si confonde anche in questo punto con essa. I due pensatori si accordano nel riconoscere che i beni e i mali vanno insieme, che nessuno ha interamente ragione n?? interamente torto: queste due verit??, gi?? ritrovate dal semplice buon senso, sono la quintessenza delle loro filosofie antagonistiche, e di tutte le filosofie.

Finalmente: il sistema del Nietzsche si chiude con la teoria del ??Ritorno eterno??. Egli sostiene, e a modo suo dimostra, che nel tempo infinito c'?? una somma di forze costante e determinata; quindi che l'evoluzione universale passa eternamente per le stesse fasi e percorre eternamente uno stesso ciclo. Se cos?? ??, vuol dire che non vi sono avvenimenti nuovi n?? definitivi; tutto ci?? che sar??, ?? gi?? stato; tutto ci?? che ?? stato, sar??. Dunque il Superuomo ?? gi?? esistito; dopo che torner?? ad esistere, sparir?? un'altra volta; e quest'uomo moderno, che il Nietzsche odia, disprezza e vuole soppresso, fu anch'egli e sar?? ancora un numero infinito di volte. Allora, perch?? tanto sdegno e tanta impazienza?

LA POESIA DI UN FILOSOFO

Che Sully Prudhomme sia un artista geniale, un poeta delicatissimo, ?? risaputo da quanti hanno sentito, con accompagnamento di musica o senza, il suo celebre Vase bris??. Che egli sia un pensatore coltissimo, un filosofo acuto, ?? noto a quanti hanno compulsato il suo ponderoso volume sull'Espressione nelle Arti belle. Egli non ha voluto per?? tener separate le sue diverse facolt??, contentandosi di scrivere ora versi ispirati ed ora ragionamenti rigorosi; ha pure composto i poemi intitolati I Destini, La Giustizia e La Felicit?? con cuore di poeta e mente di filosofo. Questa parte dell'opera sua ?? la pi?? degna di nota, perch?? si riferisce a uno dei pi?? singolari problemi del tempo nostro.

I.

Non da oggi soltanto si dice che la scienza e l'arte, la poesia e la filosofia, il ragionamento e l'ispirazione sono incompatibili, o se non altro antagonistici. A chi ha espresso questa opinione si ?? risposto che l'antagonismo asserito non esiste; che anzi i due modi di attivit?? possono andare e andarono infatti d'accordo, in altri tempi, nei primi tempi, quando poesia e filosofia erano una cosa sola.

?? vero: l'arte fu un tempo scienza; ma ?? pur vero che la nostra vita intellettuale ?? infinitamente pi?? ricca che non quella d'una volta, e che pertanto le attivit?? umane si sono venute, come si dice, specializzando. Un oculista pu??, e all'occasione deve anzi, curare una polmonite; ma la sua capacit?? maggiore, la sua abilit?? particolare consiste nel curare i mali degli occhi. Ai tempi di Ippocrate e di Galeno questa divisione del lavoro non c'era. Cos??, anzi a fortiori, l'arte e la scienza, gi?? confuse, si sono separate.

Il problema ?? anche pi?? complesso. L'arte, un tempo, non era soltanto scienza, ma anche religione. Il poeta, il sapiente e il sacerdote facevano tutt'uno. Ma poich?? la fede ?? immobile, mentre la scienza vuole andare avanti; poich?? la prima ?? cieca, mentre la seconda ?? osservatrice; poich?? quella si contenta di affermare, mentre questa vuol dimostrare; per queste ragioni il dissidio si ?? venuto lentamente operando e aggravando; finch??, ai nostri giorni, grazie al progresso scientifico veramente enorme compito ultimamente, ?? divenuto acutissimo. Alla scienza progredita e trionfante si sono chieste e si sono fatte dire troppe cose: i suoi idolatri, da una parte, hanno creduto soltanto in lei, e l'hanno opposta e anteposta alla fede; dalla parte contraria, quanti l'hanno vista incapace, come realmente ??, di rispondere a certi quesiti estremi, l'hanno rinnegata e dichiarata in istato di fallimento.

A questo dissidio nella quistione etica fa riscontro un dissidio, egualmente grave, nella quistione estetica: noi vediamo un partito il quale vuole che l'arte, che la poesia, siano scientifiche, che dalla scienza traggano l'ispirazione ed alla scienza servano di sussidio: e un altro, il quale afferma che la scienza ?? fatale all'arte, e che la uccider??, se non l'ha gi?? uccisa. Il Tolstoi, subordinando ogni cosa alla fede, al concetto religioso e morale, se la piglia, al modo che vedemmo, con la scienza e con l'arte ad una volta.

Sully Prudhomme ha espresso l'inquietitudine prodotta universalmente da questi antagonismi:

????????Comment prier, pendant qu'un profane astronome
????????Mesure, p??se et suit les mondes radieux????
????????Comment chanter, pendant qu'un obstin?? chimiste
????????Souffle le feu, pench?? sur son oeuvre incertain????
????????Et quel amour go??ter, quand dans la chair vivante
????????Le froid anatomiste enfonce le scalpel????

La scienza sarebbe dunque fatale alla fede, alla poesia ed allo stesso amore???? No! Il poeta protesta e si ribella. Chi ha detto, domanda, che la poesia sia incompatibile con la verit??? Se l'osservazione paziente dello scienziato solleva a lembo a lembo il velo che nasconde il mistero delle cose, il vento della strofe lo pu?? strappare d'un sol tratto.

????????Et c'est pourquoi, toute ma vie,
????????S?? j'??tais po??te vraiment,
????????Je regarderais sans envie
????????K??pler toiser le firmament.

Senza dubbio: il vero poeta non deve guardare con invidia l'astronomo che scruta il cielo, come l'astronomo non dev'essere neppur egli geloso del poeta: i due uffic?? sono egualmente importanti e dignitosi; ma il vento della strofe non solleva nulla. Se bastasse mettersi a cantare per risolvere i problemi e discoprire le leggi della natura, chi si rovinerebbe pi?? gli occhi e le mani sugli strumenti d'un gabinetto, chi vi si chiuderebbe a farvi calcoli sopra calcoli? Il poeta pu?? soltanto ridire ci?? che lo scienziato ha scoperto; ma la strofe del poeta dev'essere alata, vibrante, sfolgorante; e il linguaggio dello scienziato ?? tutt'il contrario: freddo, esatto, severo.

???. Le prisme, interrogeant leurs feux, ?? ces faux paradis arrache des aveux??? J'ai vu chaque ??l??ment de leur essence vraie ??taler sur l'??cran sa redoutable raie.

Con questi versi Sully Prudhomme canta uno dei pi?? mirabili processi scientifici: l'analisi spettroscopica. Ma dove egli adopera l'immagine poetica del prisma che confonde i falsi paradisi, non ?? molto scientifico; perch?? col prisma non si strappano confessioni ai paradisi veri o falsi, si scompongono soltanto le luci; e quando si attiene pi?? fedelmente alla scienza, accennando alle righe di Frauenhofer, non ?? molto poetico.

????????Dans l'??veil d'un muscle endormi
????????La foudre ??parse se r??v??le,
????????Silencieuse, ?? Galvani.
????????Franklin l'annullait, terrass??e;
????????Volta la gouverne, ammass??e;
????????Amp??re fait d'elle un aimant???

Neppure questa storia dell'elettricit?? ?? molto poetica; essa ?? inoltre poco scientifica, come poco precisa. Per dire che gli areonauti guardano il barometro, il poeta scrive:

????????Ils montent, ??piant l'??chelle o?? se mesure
????????L'audace du voyage au d??clin du mercure.

L'espressione ?? certo abilmente trovata, ma non somiglia un poco agli indovinelli che si propongono nelle conversazioni come passatempo? ??Qual ?? quella scala dove si misura l'audacia del viaggio dall'altezza del mercurio??? Risposta: ??La scala del barometro.??

????????Wenzel, Dalton, en leurs balances,
????????R??v??lent qu'entre tous les corps
????????Par d'exactes ??quivalences
????????Le poids r??git tous les accords.

Questa ?? la teoria atomica. Disgraziatamente, se la strofe non ?? molto ispirata, neppure un professore di chimica ne sarebbe contento: in chimica vi sono combinazioni, non gi?? accordi. Sully Prudhomme canta ancora che i cieli non ci sono pi?? sbarrati, perch?? Euclide e Pitagora hanno

????????Dessin?? du doigt dans le sable
????????Sur un triangle trois carr??s,
????????Parce qu'ils les ont compar??s???

Anche questo ?? un altro indovinello, del quale il lettore che ha dimestichezza con la geometria trova subito la spiegazione: il teorema del quadrato dell'ipotenusa, altrimenti detto il ponte degli asini; ma il geometra rammenter?? al poeta che il triangolo dev'essere rettangolo???.

Sully Prudhomme non mette soltanto in versi le scoperte scientifiche; espone anche la storia della filosofia:

????????Qu'est-ce que l'Univers? Il vit: quelle en est l'??me?
????????Quel en est l'??l??ment? L'eau, le souffle, ou la flamme?
????????Thal??s y perd ses jours, H??raclite en p??lit.
????????D??mocrite en riant a broy?? la mati??re;
????????Il livre ?? deux amours cette immense poussi??re,
????????Et le repos y na??t d'un incessant conflit.
????????Ph??r??cyde a cri??: ??Je ne suis qu'une ombre!
??????????Je sens de l'??tre en moi pour une ??ternit????.
????????Et Pythagore, instruit dans les secrets du nombre,
????????Recompose le monde en triplant l'unit??.

Nessuno ?? dimenticato, n?? fra gli antichi n?? fra i moderni: da
Socrate a Fichte, da Platone a San Bonaventura, da Aristotile a
Hegel: l'enumerazione non dura meno di diciotto pagine. Il
poeta ci dice che

Condillac soutient Locke en fid??le h??ritier,

come pure che

Leibnitz divise l'??tre en milliers de g??nies.

Egli ci narra:

????????Hobbes n'avait ?? l'homme octroy?? de conna??tre
????????Que la ferme mati??re, unique fond de l'??tre.
????????Dieu, l'esprit que sont-ils? Rien, des mots seulement,
????????Tout! r??pond Berkeley, car la mati??re ment???

La poesia scientifica e filosofica di Sully Prudhomme non ?? sempre cos?? arida. Se scienza e arte poterono un tempo procedere insieme, ci?? significa che fra le due attivit?? non c'?? antinomia assoluta. L'anima umana ?? una, e le sue facolt??, quando sembrano pi?? distinte, sono insieme connaturate e confuse. Ma ciascuna di esse pu?? avere naturalmente, o acquistare con l'esercizio, un diverso grado di forza, e trionfare dell'altra. L'esercizio delle native facolt?? poetiche ha fatto di Sully Prudhomme un poeta squisito, armonioso, leggiadro, efficacissimo nell'esprimere gli stati d'animo ambigui, perplessi e fuggevoli; capace anche, secondo l'espressione del Lema??tre, di vere invenzioni di sentimenti. Ma, dall'altro lato, l'abito dello studio severo, dell'indagine positiva, dell'osservazione paziente, del ragionamento astratto, ha impacciato il volo lirico e l'ispirazione vivace. Metterli d'accordo non ?? impossibile, ma non ?? facile. Egli vi ?? riuscito qualche volta. Il suo sonetto, nelle ??preuves, che ha per tema Spinoza, ?? veramente bello:

????????C'??tait un homme doux, de ch??tive sant??,
????????Qui, tout en polissant des verres de lunettes,
????????Mit l'essence divine en formules tr??s-nettes,
????????Si nettes que le monde en fut ??pouvant??.

????????Ce sage d??montrait avec semplicit??
????????Que le bien et le mal sont d'antiques sornettes,
????????Et les libres mortels d'humbles marionnettes
????????Dont le fil est aux mains de la N??cessit??.

????????Pieux admirateur de la Sainte-??criture,
????????Il n'y voulait y voir un dieu contre nature;
????????A quoi la synagogue en rage s'opposa.

????????Loin d'elle, polissant des verres de lunettes,
????????Il aidait les savants ?? compter les plan??tes.
????????C'??tait un homme doux: Baruch de Spinoza.

Qui, per un incontro fortunato, c'?? la scienza, c'?? la filosofia, ma ci sono anche la poesia e l'arte che le animano. Sully Prudhomme deve per?? aver temuto che l'arte in questo sonetto sia troppa, e pensato che una poesia scientifica e filosofica debba essere pi?? scientifica e filosofica; perch??, riprendendo lo stesso tema nel Bonheur, ecco come lo ha svolto:

????????Un juif cart??sien, plus hardi que le ma??tre,
????????Arrache, imperturbable, ?? ses le??ons leurs fruits,
????????Et le condanne en forme ?? nommer Dieu tout l'??tre,
????????Dont le temple infini soi-m??me se construit.

????????Spinoza dans la Bible est entr?? sans surprise;
????????Mais, pendant qu'il y plonge, il se sent la main prise
????????Dans le poignet de fer de la N??cessit??!
????????Le front calme, ?? la suivre il n'a pas h??sit??.

????????L'??tre assiste, ??ternel, au cours changeant des ??ges,
????????Le froid de la raison fait du monde un cristal;
????????L'homme en est une face o?? des p??les images
????????R??p??tent l'univers sous un angle fatal???.

II.

L'opera di Sully Prudhomme non risolve adunque, rispetto alla forma, il dissidio fra scienza ed arte, o lo risolve male. Egli ha voluto dimostrare che la scienza non ?? fatale all'arte; ma di questa compatibilit?? l'arte sua fredda, compassata e didascalica ci fa dubitare. Resta da considerare in qual modo egli si diporta nella quistione etica: se l'arte ?? da lui sacrificata alla scienza, alla stessa scienza non dovr?? egli sacrificare la fede?

Questa ?? infatti la soluzione che troviamo nei Destini. Appena la Terra esce dal Caos, il Male comincia ad operarvi, a ordirvi le sue trame spaventose. Raffinatamente, per nuocer meglio, esso mescola al dolore qualche piacere, che dia di tanto in tanto al genere umano una tregua, dalla quale questo esca fortificato, pronto a sopportare nuovi, maggiori dolori. Ma, nello stesso punto che il Male scendeva in campo, anche il genio del Bene si destava, e contrapponeva l'opera sua a quella del nemico. Cre?? da principio l'amore, e credette d'aver fatto cos?? ci?? che di meglio si poteva fare per la felicit?? del mondo; ma poi mut?? opinione:

????????S'il est bon de sentir, meilleur est de pouvoir.
????????Oui, le couple est heureux de deux corps qui s'attirent
????????Pour fondre lentement deux ??mes qui s'admirent,
????????Mais la possession supr??me est de savoir???

????????Quel plaisir comparable ?? l'orgueil de conna??tre,
????????De suivre ?? l'infini dans la trame de l'??tre
????????Le long fil de la cause encha??nant les effets!

Ma neanche questo destino gli pare finalmente il pi?? desiderabile. Un mondo di soli intelligenti, senza giusti, sarebbe perfetto? E sarebbe bello quel mondo dove non vi fossero n?? eroi n?? martiri?

????????Je veux que l'habitant de ce nouveau s??jour
????????R??hausse en lui les dons de puissance et d'amour
????????Par une conqu??rante et g??n??reuse vie
????????O?? le vouloir travaille et le coeur sacrifie???

Il sapere, la scienza, non ?? dunque tutto il bene: c'?? qualche cosa di pi?? e di meglio:

????????Non, le meilleur ??tre possible
????????N'est pas un lutteur invincible,
????????Un amant au bonheur fatal!

????????C'est un ignorant qui d??couvre,
????????Un captif ?? qui le ciel s'ouvre,
????????Un p??lerin de l'id??al.

Ma finora, lasciando parlare il genio benefico, lasciandolo operare contrariamente al Male, il poeta non esprime la sua opinione personale. Il Bene si ?? venuto purificando: prima consisteva nel piacere, poi nel sapere, da ultimo in un amore diverso da quello dei sensi, nell'amor mistico, nell'amore del sacrifizio, nell'amore secondo il Tolstoi. Ma quando il Bene ?? cos?? perfetto, quando il poeta si trova dinanzi al Bene massimo ed al Male estremo, egli osserva, come il Tolstoi e il Nietzsche, che le prosperit?? sono impossibili senza i disastri, i piaceri senza i dolori, e che la vita e la morte lavorano insieme, una in faccia all'altra.

????????Car le Bien et le Mal se prosp??rent l'un l'autre.
????????Qu'on r??ve le meilleur ou le pire univers,
????????Tous deux, en v??rit??, n'en font qu'un, c'est le n??tre,
????????Contempl?? tour ?? tour par l'endroit ou l'envers.

????????Notre regard captif, jouet de l'apparence,
????????Par ses courts horizons se laisse d??cevoir,
????????Mais des biens et des maux la vaine diff??rence
????????S'effacera pour lui s'il doit un jour tout voir.

????????Contre les anc??ens dieux l'??me humaine aguerrie
????????N'attend certes plus d'eux ni fl??aux ni bienfaits,
????????Mais n'est-ce pas un reste obscur d'idol??trie
????????De maudire ou b??nir des sorts bons ou mauvais?

Fra le contrarie voci del Bene e del Male il poeta ne ode ora un'altra: quella della Natura: e la Natura dice che ella ?? la stessa ragione, che i destini dell'universo si svolgono infallibilmente; che non avendo esso avuto principio n?? dovendo aver fine, cos?? non ?? stato giovane ne pu?? invecchiare; che l'equilibrio delle leggi e la costanza delle cause gli conferiscono un ordine contro del quale il tempo non pu?? nulla; che solamente le forme apparenti delle cose cambiano. E la Natura non accetta dagli uomini n?? voti ne sacrifiz??; pregare ?? insultare le leggi naturali, dubitare della loro forza inevitabile. La Natura, come diceva quel vescovo australiano del quale parlammo, non ode le preghiere:

??????????N'attends de mes decrets ni faveurs ni caprices;
??????????Place ta confiance en ma seule raison??.

E se questo ?? l'ordine che d?? la Natura, il poeta lo accetta integralmente. Il suo appoggio, il suo asilo ?? nella ferma ragione naturale: egli non grider??, non si lagner??, accetter?? anzi tutti i dolori, se i dolori suoi sono necessar??.

????????Pour nourrir une fleur de tout mon sang dispose,
????????Si quelque fleur au monde aspire un suc pareil;
????????Tu peux tuer un homme au profit d'une rose,
????????Toi qui, pour cr??er l'homme, ??teignis un soleil.

Qui tanta ?? la forza della persuasione, tanta la sincerit?? del sentimento, che la stessa forma diventa veramente poetica: ?? difficile esprimere pi?? poeticamente il concetto scientifico secondo il quale la terra, gi?? ardente, divent?? abitabile quando i suoi fuochi si spensero. E cos?? alla scienza egli sacrifica la fede; o per meglio dire, la scienza, la ragione, diventa la sua stessa fede.

Anche nel Zenith canta:

????????Les paradis s'en vont; dans l'immuable espace
????????Le vrai monde ??largi les pousse ou les d??passe.
????????Nous avons arrach?? sa barre ?? l'horizon,
????????R??solu d'un regard l'empyr??e en poussi??res,
????????Et chass?? le troupeau des idoles grossi??res,
????????Sous le grand fouet d'??clairs que brandit la Raison.

?? vero che, dal primo suo giorno, il genere umano ha dischiuso come un calice il cuore verso il cielo, e che nel cielo

Plane son grand espoir, de sa raison vainqueur;

ma il filosofo sa che non si pu?? dare la scalata al cielo per andare a leggere negli stessi occhi di Dio; e il poeta narra pertanto la semplice impresa degli areonauti, i quali arrischiano la vita per osservare qualche fatto e prendere qualche nota:

????????????????????????????????La cause et la fin sont dans l'ombre;
????????Rien n'est s??r que le poids, la figure et le nombre:
????????Nous allons conqu??rir un chiffre seulement???

III.

Eppure Sully Prudhomme non ?? fermo in questa conclusione. Se egli credesse di avere cos?? composto il dissidio fra la ragione e la fede, non lo riprenderebbe nella Giustizia.

Quando l'anima era semplice, dice egli nella Giustizia, si slanciava verso il cielo e vi spaziava, sostenuta dall'estasi e dalla speranza; oggi la scienza ha spogliato la natura di tutte le illusioni che la facevano bella; il poeta non vede pi?? in essa un'anima divinamente umana; e come l'orfano si rivolge alla giustizia quando non spera pi?? nulla dalla bont??, cos?? egli, disperando della fede, vuole interrogare la Sfinge per conoscere se almeno una legge d'equit?? governi l'universo.

????????Car le po??te, lui! cherche dans la science
????????Moins l'orgueil de savoir qu'un baume ?? sa douleur???
????????En vain de ce qui souffre il connait la structure,
????????Il ne croit rien savoir tant qu'un doute odieux
????????Plane sur le secret des maux que l'??tre endure,
????????Tant que rien de mieux n'a remplac?? les dieux.

Allora comincia dentro di lui una lotta fra la mente e il cuore, durante la quale questo combatte coraggiosamente lo scetticismo, l'ironia, lo sconforto che il freddo ragionamento genera nell'animo del cercatore. Le specie sono in continua guerra fra loro, la prosperit?? dell'una costa il deperimento dell'altra, le deboli soccombono dinanzi alle pi?? forti. In una stessa specie lotte egualmente accanite si accendono fra gl'individui; l'egoismo ?? la gran legge alla quale ciascuno obbedisce; l'amore, altro inganno, si riduce all'istinto; la stessa Bellezza ha un fondamento materiale del suo impero giudicato divino: essa lavora all'integrit?? dello stampo della razza, additando i modelli migliori. Ci?? che succede fra le specie e nella specie si ripete fra gli Stati e nello Stato: e, come aveva gi?? detto Corneille,

La justice n'est pas une vertu d'??tat.

Si rifuger?? essa dunque in un altro pianeta, poich?? sulla terra ?? introvabile? Ma la materia non ?? per ogni dove identica? La stessa legge di gravitazione non regna in tutto il creato? Un rigoroso e fatale determinismo non si nasconde dietro l'apparente libero arbitrio,

illusion du choix dans la necessit???

Un atomo ?? l'immagine dell'universo; tutto ci?? che in questo si compie, deve compiersi fatalmente; ?? quindi da stolti chiedere la giustizia al Destino. Cos?? conclude la Ragione trionfante. Ma il poeta, che gi?? si era acquetato a questa conclusione, ora non l'accetta pi??. Egli che si rassegnava personalmente al dolore, che quasi lo chiedeva pur di cooperare con la Natura impassibile, ora si commuove e si ribella all'idea del dolore altrui. Voleva affidarsi alla sola ragione, ora s'accorge che non gli basta. Il cuore ha ragioni che la ragione ignora.

????????Elle informe, elle instruit: serait-ce lui qui juge?
????????Que dis-je! La Justice, au lieu de fuir mes pas,
????????N'aurait-elle qu'en moi, dans mon coeur, son refuge?

Infatti: la legge della giustizia ?? umana, si rivela tra gli uomini, non nella Natura. Costei considera impassibilmente la propria opera attraverso l'occhio ignorante del bruto; la piet?? e il terrore, il bisogno e la sete della giustizia sorgono e operano nella coscienza umana. Ma che cosa ?? questa coscienza? Dapprima il poeta aveva considerata la propria coscienza come uno specchio che non doveva far altro se non riflettere lo spettacolo della Natura, senza giudicarlo. Ora la sua coscienza, la coscienza di tutti gli uomini, ?? un giudice, ?? anzi il solo giudice. E qui il pensiero di Sully Prudhomme si oscura. Se la coscienza ?? giudice, se questo giudice deve rendere giustizia, come mai torna egli a rassegnarsi? Egli dice: ??I mali che credevo ingiusti sono forse, non gi?? i capricci folli o colpevoli d'un padrone, sibbene i mezzi fatali, le necessarie condizioni d'un ordine che ignoriamo??. Questo ?? un ritorno alla rassegnazione di prima! Ed egli non si era pi?? contentato, non si era pi?? adattato: era sceso anzi in campo, voleva e doveva giudicare! ??Lagnarsi,?? soggiunge, ??dell'ingiustizia della sorte, giudicare della bont?? del destino alla stregua del piacer nostro, ?? imitare il fanciullo malavvezzo, il quale pretende che tutto debba servire ai suoi giuochi, e rigetta il farmaco e lo dichiara nocivo perch?? non ?? dolce.?? Ma se non si deve giudicare della bont?? del destino alla stregua del nostro piacere, quale sar?? il criterio del giudizio? Di che cosa e perch?? si ?? lagnato il poeta? Si ?? lagnato

Des maux plus grands que moi;

si ?? lagnato perch??

????????Toutes les douleurs de la terre et des mondes
????????Font tressaillir mon ??me en ses cordes profondes.

Allora, non dovrebbe egli giudicare veramente iniquo il destino che vuole ed impone e mantiene il dolore ed il male?

E questa umana facolt?? del giudizio ?? una cosa buona o cattiva, utile o superflua, importante o trascurabile? Egli dice:

Combien plus sagement, avec moins de grandeur, Exempt de sympathie, affranchi de pudeur, L'animal se r??signe aux fl??aux sans refuge!??? Il est heureux; son sort, par moments, je l'envie.

Dunque l'animale, quantunque incapace di simpatia e di pudore, ?? pi?? saggio, pi?? felice, degno d'invidia. Allora l'uomo cosciente, l'uomo giudicante, oltre che degno di compassione ed infelice, ?? anche meno saggio: questa sua coscienza ?? una stoltezza. Bisogner?? chiederne conto a lui? No, certamente; perch?? egli ?? stato fatto cos??, non si ?? fatto da s??, liberamente, responsabilmente. Allora vorr?? dire che la natura, della quale ?? opera, avr?? creato una coscienza capace di giustizia soltanto per darle il sentimento d'una ingiustizia, d'una stoltezza, d'una nefandezza nuova! E ancora: la giustizia non esiste nella natura, ma soltanto nel cuore dell'uomo; l'uomo s'accorge che l'universo ?? stato compito ??senza virt???? e sente che il suo desiderio di virt?? ?? stoltezza. La conclusione dovrebbe essere pertanto che la giustizia non esiste in verun luogo, n?? nella natura, n?? nel cuore umano!

Lo scetticismo scientifico spinge Sully Prudhomme in questa via; ma egli ?? anche sollecitato in contrario senso dal bisogno mistico. Egli dice che, se l'universo ?? grande, pi?? grande ancora ?? l'anima che lo rispecchia; l'uomo acquista la nozione della propria dignit?? misurando l'abisso che lo separa dalla materia bruta. Non c'?? bisogno di molte parole per far notare il voltafaccia. Mentre prima egli invidiava l'animale incosciente e a pi?? forte ragione, perci??, avrebbe dovuto invidiare la materia inerte, ora afferma che tanto l'uomo vale quanto ?? lontano dalla informe materia! E la giustizia, che gli era parsa soltanto umana, ora diventa per lui divina:

????????Humaine par son but, la justice est divine
????????????M??me dans l'??me d'un mortel,
????????Par l'aveu du grand Tout dont elle est mandataire,
????????Par le suffrage entier du ciel et de la terre,
????????????Et par le sacre universel.

Ma allora, se l'anima umana, dove ha sede la giustizia, ?? mandataria del gran Tutto, non potremo pi?? dire che nel Tutto non c'?? giustizia! Finch?? il poeta considerava l'uomo come una particella infinitesimale dell'universo, come lo ??specchio?? del Nietzsche, capace semplicemente e solamente di riflettere l'universo, egli poteva dire che non c'?? in quest'universo giustizia; ma dal momento che l'uomo ?? il rappresentante della natura, questa natura che si riassume in una coscienza capace di giustizia non si potr?? pi?? accusare d'iniquit??. Ed ecco, infatti: dopo aver detto che gli esseri si dilaniano tra loro, Sully Prudhomme afferma:

La b??te h??site ?? boire un sang pareil au sien???

Il misticismo e la fede si vendicano ancora meglio, gli prendono pi?? interamente la mano. Se dalla materia inerte all'uomo c'?? un abisso; se l'uomo, per la coscienza, ?? tanto superiore ai bruti, si deve credere che egli sia il termine ultimo dell'evoluzione? Un altro passo innanzi, oltre l'uomo, non sar?? possibile? Certamente! L'umano genere ?? un termine medio, un tentativo,

????????????????????????une esp??ce ??close ?? contre-temps:
????????Tout est pr??matur?? dans ses voeux transcendants.

Quindi egli afferma che c'?? un'ascensione morale della quale i mondi sono i gradi, e che

????????La terre n'est qu'un lieu d'attente
????????O?? se fait la commune entente
????????D'une esp??ce enti??re ??migrant.

La vecchia preghiera cristiana diceva che questo nostro mondo ?? una valle di lacrime; il filosofo che ha soltanto creduto nei fatti positivamente accertati, finisce anch'egli col giudicarlo ??un luogo d'aspettazione.?? Ma egli arriva a questo giudizio per la via tortuosa che abbiamo vista. E ci dice almeno, come il Nietzsche dir?? del regno del Superuomo, in qual modo sar?? fatto il mondo migliore al quale dovremo un giorno approdare?

IV.

Eccoci arrivati al suo nuovo e pi?? lungo poema filosofico: La Felicit??. Qui certo egli si confermer?? nella soluzione ultimamente trovata, ne dar?? nuove ragioni, l'assoder??.

Svegliandosi dopo morte, Fausto, l'eroe, si ritrova in un astro pi?? bello, pi?? luminoso, pi?? ricco della terra; e mentre egli ?? ancora in preda a una incredula meraviglia, Stella, l'eroina, la donna da lui amata nel mondo inferiore, dalla quale fu crudelmente diviso, gli dice:

????????Pourquoi dans l'infini plein d'innombrables flammes,
????????????????????Parmi tant de globes mouvant,
????????N'en serait-il qu'un seul visit??, par les ??mes
????????????????????Et peupl?? de corps vivants?
????????Pourquoi seule la terre, obscure et si petite,
????????????????????Aurait-elle entre tous l'honneur,
????????De porter une argile o?? la pens??e habite????

Veramente, nel punto che due amanti separati da tanto tempo???dalla morte!???si ritrovano insieme, vi sarebbe qualche cosa di meglio da fare che discutere intorno alla pluralit?? dei mondi abitati; si potrebbe anche osservare che, mentre Stella e Fausto s'incontrano lass??, questo semplice fatto dovrebbe provare come la terra non abbia il monopolio della vita. Non pare quasi che il poeta ne sia egli stesso poco sicuro e che ne dubiti prima di noi? Non pare anche che, dubitando egli della stessa vitalit?? dei suoi redivivi protagonisti, vada in cerca di argomenti per farci credere alla verisimiglianza della finzione?

Nel nuovo mondo dove Fausto e Stella rivivono le creature non si nutrono di altre creature, come voleva la legge crudele della terra, ma di semplici frutta:

????????????????????Nul ??tre ici ne sacrifie
????????????????????Les corps pour respirer construits.
????????La dent n'attaque ici nulle sensible vie,
????????????????????Et ne mords que la chair des fruits.

Cos??, dopo la pluralit?? dei mondi e la metempsicosi, Sully Prudhomme canta il vegetarianismo o vegetarismo,???non so come si deve dire;???per?? noi potremmo chiedere al poeta se ?? ben sicuro che le piante non siano dotate di sensibilit??, che non siano anch'esse forme di vita da rispettare come tutte le altre???.

Dal pianeta infelice che i due amanti hanno lasciato si leva un coro di voci confuse, di lamenti e di bestemmie, di invocazioni al soccorso lanciate dalle anime penanti. Ma nessuno le ascolta, e Fausto e Stella si fermano ad ammirare una moltitudine di cavalieri nomadi, altra volta, quaggi??, abitatori delle rive del Nilo, dell'Eufrate e del Gange. Nel nuovo astro quei corpi, che il bastone e lo staffile martoriavano un tempo, si sono nobilmente sviluppati, e Fausto ne ammira la perfetta armonia delle linee, la serenit?? dell'espressione acquistata con la coscienza del nuovo stato libero, eternamente felice. Se il problema della felicit?? ?? cos?? risolto per i cavalieri nomadi nella nuova vita, come mai Fausto e Stella continuano a penare? Non solo i cavalieri, ma anche gli artisti, rivivendo lass??, pervengono alla piena ed incontrastata possessione del Bello: Stella medesima lo assicura a Fausto quando costui, ammirando la bellezza dei cavalieri, vorrebbe proporli come modelli ai grandi artisti della terra.

Quel mondo, tuttavia, anche per Fausto e per Stella ?? migliore del nostro. In un mattino di primavera il giovane ascolta, con indicibile delizia, il canto divino degli uccelli. Quaggi?? i gorgheggi dell'usignolo e lo stesso canto della sua compagna gli procuravano, bench?? dolcissimi, un indefinibile tormento, un'amarezza secreta; in quel nuovo mondo la soavit?? dell'armonia ?? assoluta, la voce dell'amata fa dimenticare all'amante tutto il passato, lo immerge in una beatitudine senza nome, tanto pi?? grande, quanto che Stella, lasciando la forma terrena conservata da principio per poter essere riconosciuta, prende una veste pi?? pura, pi?? bella, pi?? conveniente a quell'eliso. E allora, mentre nuove voci dalla terra chiedono invano aiuto, i due giovani cadono nelle braccia l'uno dell'altra, e la loro felicit?? non ha pi?? limite.

Ma ?? un inganno. Passa qualche tempo, e Fausto ci fa sapere che quella felicit?? non ??, come pareva, intera. Egli vive, s??, in un astro pi?? prospero della terra; ma quello che era il maggiore argomento del suo cruccio, quaggi??, sussiste ancora: come sulla terra, egli ignora anche lass?? il perch?? delle cose; anche lass??, come sulla terra, cerca invano di penetrare, di conoscere le origini e i fini dell'universo. In quel mondo, dove c'?? tanta libert?? e tanta bellezza, non si sa una sillaba di pi?? di quel che si sapeva sulla terra. Fausto, quando sente rinascere l'antica ansia, non pu?? far altro che dare una ripassata a tutte le teorie della filosofia terrestre. Naturalmente egli riconosce ancora una volta che questa filosofia ?? impotente. L'unica scienza umana era dovuta ai pazienti sperimentatori; pertanto, dopo le teorie filosofiche, l'ansioso rammenta tutti i ritrovati scientifici, per concludere una seconda volta che la scienza ??, come la filosofia, incapace di risolvere il problema delle cause finali. Ma Stella, che comincia a inquietarsi dell'agitazione dell'amante, cerca persuaderlo dell'inutilit?? di tutte quelle ricerche:

?????????? quoi bon, le regard p??niblement tendu
????????Et le front consomm?? par de st??riles fi??vres,
????????Soumettre au froid scalpel le cher tissu des l??vres
????????Quand le baiser donn?? nous est deux fois rendu?

E Fausto, subitamente convertito:

????????Tout aimer suffit pour ??teindre
????????La soif de tout savoir: aimons!

Ma ecco che ad un tratto il giovane ode finalmente quelle voci terrestri per tanto tempo perdutesi invano nell'immensit?? degli spazi; e siccome esse gli ricordano i dolori degli uomini, egli che, in conclusione, quantunque risorto in un mondo migliore, non ?? guari pi?? lieto di loro, pensa di riscendere in questo basso mondo per confortare gli antichi simili. Che specie di aiuto possa dare questo disgraziato a disgraziati suoi pari sarebbe molto importante vedere; se non che, sulla terra dove Stella vuole seguirlo e dove la Morte li ritrasporta dopo averneli tratti, non si trovano pi?? uomini: l'umanit?? ?? finita. Il contrattempo sarebbe imbarazzante senza la prontezza di spirito di Stella, la quale propone l?? per l?? a Fausto di ripopolare il deserto pianeta, di cominciare una nuova umanit??, della quale essi saranno l'Adamo e l'Eva??? Da questa intenzione l'Arbitro supremo giudica che essi hanno entrambi ben meritato, e senz'altro ordina alla Morte di ritrasportarli in un altro mondo, nel soggiorno veramente glorioso, dove si gode il riposo perfetto e si mira a faccia a faccia la Causa del tutto???.

Cos??, riprendendo la terza volta il problema che tanto lo inquieta, Sully Prudhomme non conferma l'ultima soluzione, al contrario: ne d?? una terza, diversa dalle due prime. Egli deve aver sentito che nessuna delle due poteva essere definitiva. La sola scienza, dopo il sacrifizio della fede, non gli bast??; il temperamento della scienza con la fede non deve averlo neppure persuaso, poich?? l'ultima parola di questo Bonheur ?? l'affermazione di un supremo Arbitro, di una Causa universale, di un Premio eterno.

Ma possiamo noi crederla? Egli arriva a questa conclusione attraverso le contraddizioni, le stranezze e diciamo anche le stravaganze che abbiamo viste. Non ?? questo il segno che la conclusione non ?? naturale, sincera, sicura? Dopo tanti pentimenti, non si pentir?? egli un'altra volta ancora? La sua curiosit?? non pu?? esser finita. Non vorr?? egli sapere dov'?? il soggiorno glorioso, qual ?? la causa del tutto, chi ?? l'Arbitro dell'universo? E quando vorr?? e non potr?? sapere queste cose, non ricomincer?? a dubitare?

LA FILOSOFIA DI UN POETA

Quando l'arte di Carlo Baudelaire fu detta, prima ancora che dal Nordau, oscura ed immorale, una voce potente sorse a difenderla: la voce di Vittor Hugo. Il gran poeta afferm?? che l'autore dei Fleurs du mal aveva arricchito il campo delle commozioni artistiche di un frisson nouveau. Indubbiamente altrettanto si pu?? dire di Maurizio Maeterlinck, dei suoi versi e dei suoi drammi. E se i simboli dentro i quali egli ha chiuso il proprio pensiero non sono intelliggibili ai pi??, se gli ammiratori del poeta vogliono intendere tutta quanta la sua filosofia, eccola per disteso spiegata nel suo nuovo libro: La Sagesse et la Destin??e. Questi titoli ci rammentano quelli dei poemi di Sully Prudhomme: Les Destins, La Justice, Le Bonheur. Dopo aver visto che cosa ?? la poesia di un filosofo, non sar?? fuor di luogo vedere che cosa ?? la filosofia di un poeta. Il dissidio che inquieta e contrista questo nostro secolo ci apparir?? pi?? evidente.

I.

Come la poesia di Sully Prudhomme ??, nella forma, troppo filosofica e scientifica, procede cio?? per via di definizioni e di nomenclature, cos?? Maurizio Maeterlinck significa le sue idee con forma troppo poetica, ricorrendo troppo spesso alle metafore ed ai simboli.

Un mattino, dall'alto di una collina, egli vede ??un ruscelletto cieco?? che, ??brancolando, dibattendosi, inciampando e vacillando continuamente in fondo a una valle oscura, cerca la via del lago dormiente, dall'altro lato della foresta, nella pace dell'aurora. Qui un masso di basalto lo obbliga a quattro lunghi giri, laggi?? le radici di un vecchio albero, pi?? lungi ancora il semplice ricordo di un ostacolo per sempre scomparso, lo fanno risalire verso la sorgente ribollendo invano, e lo allontanano indefinitamente dalla m??ta e dalla fortuna. Ma, in un'altra direzione, e quasi perpendicolarmente al rivolo affannoso, disgraziato ed inutile, una forza superiore alle forze istintive aveva tracciato, attraverso la campagna e le valanghe di pietre e l'obbediente foresta, una specie di lungo canale, solido, verdeggiante, noncurante, pacifico, procedente senza esitazione, con passo calmo e chiaro, dalle profondit?? di un'altra sorgente nascosta all'orizzonte verso lo stesso lago luminoso e tranquillo?????. Questo ruscello e questo canale non sono un ruscello e un canale reali, ma le immagini dei due destini offerti agli uomini.

Altrove lo scrittore paragona le ore convulsive della storia alle tempeste del mare: ??La gente viene dal fondo delle pianure, accorre sulla spiaggia, guarda dall'alto delle ripide rive, aspetta qualche cosa, interroga gli enormi cavalloni con una specie di curiosit?? puerilmente appassionata. Eccone uno pi?? alto e furioso degli altri. Si avanza come un mostro dai muscoli trasparenti. Si svolge precipitosamente dal fondo dell'orizzonte, apportatore, da quel che pare, di una rivelazione urgente e decisiva. Scava dietro di s?? un solco cos?? profondo, che riveler?? senza dubbio uno dei secreti dell'Oceano; ma, come tra le pi?? pigre ondulazioni dei giorni senza soffio di vento e senza velo di nubi, cos?? anche ora i fiotti limpidi e impenetrabili scorrono sopra i fiotti limpidi e impenetrabili. Non un essere vivente, non un'erba, non un sasso sorge?????.

Questo periodo,???stavo per dire questa strofe,????? molto significante. Il Maeterlinck ha un bel proporsi di ragionare e di discutere: il poeta si desta, suggerisce al filosofo similitudini delle quali questi potrebbe giovarsi, se non fosse che, appena una prima immagine appare, tosto un intero quadro si svolge nella fantasia del poeta, con i pi?? minuti particolari, e occupa tanto la sua attenzione, da fargli perdere di vista il punto di partenza, la dimostrazione filosofica. Noi vediamo qui un mare in tempesta, le onde verdi, le spume livide: dove sono pi?? le convulsioni della storia, le folle ribelli, le vittime sanguinose?

In un altro luogo egli paragona il saggio ad ??un povero bruscamente trasportato dal fondo della sua capanna in un palazzo immenso: svegliandosi, il povero cercava inquieto, nelle sale troppo vaste, i miserabili ricordi della sua camera angusta. Dov'erano il focolare e il letto, la tavola, la scodella e lo sgabello? Egli ritrov??, tremolante ancora al suo fianco, l'umile torcia delle antiche veglie; ma la luce di essa non arrivava alle volte altissime, e solo il pilastro pi?? vicino sembrava a quando a quando vacillare nei battimenti delle alette luminose?????. La descrizione continua: ??Ma a poco a poco i suoi occhi si abituarono alla nuova dimora. Egli percorse le sale innumerevoli, e si compiacque tanto di ci?? che la fiaccola rischiarava, quanto di ci?? che restava nell'ombra. Da principio egli desiderava che le porte fossero pi?? basse, le scale meno lunghe, le gallerie non tanto profonde che gli sguardi vi si perdessero?????. E cos?? via: noi vediamo realmente un uomo che prende possesso di un gran palazzo; non gi?? il saggio che ricerca ed ammette tutto ci?? che esiste.

Altre volte il paragone diventa una specie di parabola: l'uomo di buona fede che rientra in s?? stesso dopo gli errori e le disgrazie, ?? come ??il padre di famiglia che, verso sera, finito il lavoro, se ne ritorna a casa. Pu?? darsi che i figli piangano, che giuochino a giuochi devastatori o pericolosi, che abbiano disordinato i mobili, rotto un bicchiere, rovesciato una lampada; si disperer?? egli perci??? Certo, sarebbe stato preferibile che i figli fossero rimasti tranquilli, che avessero imparato a leggere e a scrivere; ma qual padre ragionevole, tra i pi?? acri rimproveri, potr?? trattenersi dal sorridere voltando la testa dall'altra parte? Costui non condanna le manifestazioni della vita un poco folli. Niente ?? perduto, finch?? egli tiene con s?? la chiave della casa protettrice?????.

E le immagini, anche quando non si associano in tanto numero da formare un quadro o una storia, abbondano, pullulano. ??La statua del destino proietta un'ombra enorme nella valle che sembra cos?? inondata dalle tenebre; ma quest'ombra ha contorni molto netti per coloro che la guardano dai fianchi del monte???. Coloro che non nutrono nessuna speranza generosa, imprigionano il caso come un fanciullo sparuto; gli altri gli dischiudono le sconfinate pianure che l'essere umano non ha ancora la forza di percorrere, ma non lo perdono di vista???. L'essere umano sembra grande nella sua sfera, come l'ape sembra grande nella cellula del suo favo; ma sarebbe assurdo sperare che un fiore di pi?? si schiuder?? nei campi perch?? la regina delle api ?? stata eroica nell'alveare?????. E ancora: ??L'ape che ha fame trova il miele nascosto nelle pi?? profonde caverne, e l'anima che piange disperatamente scorge la gioia che si dissimula nella solitudine o nel silenzio pi?? impenetrabile?????. Se le conquiste dello spirito ??non si riversano nella grandezza dell'anima, periscono miseramente come un fiume che non ritrova il mare?????. Appena la libert?? interiore dell'anima ?? menomata, il destino minaccia la libert?? esteriore ??come una fiera s'avvicina con lento passo a una preda lungamente aspettata??. Pi?? le illusioni cadono, ??pi?? nobilmente e sicuramente appare la gran realt??, come il sole che si scorge pi?? chiaramente tra i rami spogliati della foresta invernale??.

Con altrettanta frequenza le cose astratte diventano concrete: ??L'orizzonte della disgrazia, contemplato dall'alto d'un pensiero non pi?? istintivo, egoista e mediocre, non differisce sensibilmente dall'orizzonte della felicit?? contemplato dall'alto d'un pensiero della stessa natura, ma d'un'altra origine. Poco importa, del resto, che le nubi moventisi laggi??, ai confini della pianura, siano tragiche o leggiadre: ci?? che acqueta il viaggiatore ?? l'esser giunto a un luogo elevato, dal quale discopre finalmente uno spazio infinito?????. E le idee si personificano, si muovono, parlano, agiscono: ??La ragione, che ?? la figlia primogenita della nostra intelligenza, deve sedersi sulla soglia della nostra vita morale, dopo aver dischiuso le porte sotterranee dietro le quali sonnecchiano prigioniere le forze vive???. Il destino non resta sempre in fondo alle sue tenebre; ha bisogno, a certe ore, di vittime pi?? pure, che afferra scotendo nella luce le sue grandi mani gelate???. Il sacrifizio pu?? essere un fiore che la virt?? coglie passando; ma non per coglierlo essa si ?? posta in cammino???. L'anima non pu?? esser ferita se non dalle stesse armi che non ha ancora gittate nel gran rogo dell'amore?????.

Questa ?? poesia pura, non ragionamento. Il filosofo intende bens?? la necessit?? di essere pi?? chiaro e di definire esattamente le cose; ma il poeta non lo lascia, e la definizione poetica resta oscura, ambigua, imprecisa: ??La saggezza ?? la luce dell'amore??; ??l'amore ?? l'alimento della luce??, oppure ??il sole incosciente dell'anima.??

In verit??, noi ne sappiamo meno di prima.

II.

Accade, insomma, al Maeterlinck tutto il contrario di ci?? che abbiamo visto accadere a Sully Prudhomme: in quest'ultimo il filosofo contraria l'artista; nel Maeterlinck l'artista attraversa il filosofo. Vedremo ancora, strada facendo, altri esemp?? dello stile troppo poetico col quale egli significa le sue teorie; per il momento, lasciata da parte la quistione della forma, esaminiamo quella del contenuto. Nella forma, il Maeterlinck fa trionfare la poesia; trionfer?? la fede nella sostanza?

Egli non considera, come Sully Prudhomme, tutte le facce del problema filosofico: si restringe alla quistione morale. Sully Prudhomme ha prima negato che l'uomo abbia diritto di giudicare intorno alla natura e alla vita: cominciando col determinismo, cio?? con l'ammettere che tutto ?? disposto nell'universo secondo una legge rigorosa, ha finito col fatalismo, cio?? con l'adagiarsi in una rassegnazione passiva, in una rinunzia totale. Ma il giorno che ha considerato il problema morale, quando il dolore suo e l'altrui lo hanno turbato, quando ha sentito il bisogno di una legge di giustizia, l'ha trovata soltanto nel cuore dell'uomo, cio?? ha affermato che solo l'uomo giudica, che egli solo ha il diritto di giudicare. Il Maeterlinck invece nega questo diritto. ??Noi abbiamo un bel ragionare: tutta la nostra ragione non sar?? altro che un debolissimo raggio della natura, un'infima parte del tutto che essa si arroga il diritto di giudicare; ed ?? possibile che un raggio, perch?? faccia il suo dovere, pensi di modificare la lampada dalla quale emana???? ?? saggio pensare ed agire come se tutto ci?? che accade al genere umano fosse indispensabile??. Il dottor Pangloss diceva che tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili; il Maeterlinck afferma che, in ogni caso, ci?? che accade ?? la cosa migliore.

Egli non vuol essere pertanto confuso con i semplici rassegnati: ?? ??un fiducioso??, confida nell'idea dell'universo. Vi sono due specie di uomini: gli uni, la maggior parte, non hanno imparato a separare il loro destino esteriore dal loro destino morale; gli altri, i pochi, s??. I primi sono oppressi dagli uomini e dagli avvenimenti; gli altri, quelli che hanno una forza interiore alla quale si sottomettono non solo gli altri uomini, ma gli stessi avvenimenti, conoscono s?? stessi non solo nel presente ma anche nell'avvenire, e sono padroni del loro destino futuro. ??L'avvenimento in s?? ?? come l'acqua pura che ci versa la fontana, e da solo non ha, d'ordinario, n?? sapore, n?? colore, n?? profumo. Esso diventa bello o triste, dolce od amaro, mortale o ravvivatore, secondo la qualit?? dell'anima che lo accoglie??. Non accade agli uomini se non ci?? che essi vogliono che loro accada; non gi?? nel senso che noi possiamo influire molto efficacemente sul corso degli eventi esteriori; ma perch?? ??abbiamo un'influenza onnipotente su ci?? che questi eventi divengono dentro di noi??. Egli ci dice: ??Se voi amate, non gi?? questo amore fa parte del vostro destino, ma la coscienza di voi stesso, che avrete trovata in fondo all'amor vostro, modificher?? la vostra vita. Se siete stato tradito, il tradimento non importa; importa il perdono che esso avr?? fatto nascere nella vostra anima??. Tutto ci?? che ci accade ?? della stessa natura di noi stessi. ??Se Giuda esce stasera, andr?? verso Giuda ed avr?? l'occasione di tradire; ma se Socrate apre la sua porta, trover?? Socrate addormentato sulla soglia ed avr?? l'occasione di essere saggio???. Le vesti, le armi e gli ornamenti del destino si trovano nella nostra vita interiore. Se Socrate e Tersite perdono il loro unico figlio, la sciagura di Socrate non sar?? simile a quella di Tersite???. Pare che il dolore e la felicit?? si purifichino prima di battere alla porta del saggio, e che abbassino il capo prima di entrare in un'anima mediocre??.

Ecco perch?? la filosofia del poeta non consiste, come potrebbe parere, nella semplice rassegnazione, in una specie di fatalismo. Non che rassegnarsi al destino, il saggio, secondo lui, lo governa e lo domina. ??Vi sono rapporti incessanti fra l'istinto e il destino; ma quando noi sappiamo diminuire dentro di noi la forza cieca dell'istinto, diminuiamo nello stesso tempo intorno a noi la forza del destino. Se pure il destino ci colma di sciagure immeritate e incredibili, se pure ci obbliga a fare ci?? che non avremmo mai fatto, dopo che la sciagura ?? accaduta, dopo che l'atto ?? stato compito, dipende da noi che resti senza influenza su ci?? che accadr?? nella nostra anima. Il destino non pu?? impedire, quando colpisce al cuore un uomo di buona volont??, che la sciagura sopportata o l'errore riconosciuto dischiudano in questo cuore una sorgente di luce. Esso non pu?? impedire che un'anima trasformi ciascuna delle sue prove in pensieri, in sentimenti, in beni inviolabili. Soltanto la nostra ignoranza e la nostra indolenza chiamano fatale ci?? che la nostra energia e la nostra intelligenza debbono chiamare naturale ed umano??.

In quali rapporti stanno la ragione e la saggezza? ??La ragione schiude le porte alla saggezza, ma la pi?? viva saggezza non si trova nella ragione. La saggezza ?? pi?? un certo appetito dell'animo che non un prodotto della ragione. C'?? una gran differenza tra il dire:???questa cosa ?? ragionevole???e il dire:???questa cosa ?? saggia. Ci?? che ?? ragionevole non ?? necessariamente saggio, e ci?? che ?? saggio non ?? quasi mai ragionevole agli occhi della troppo fredda ragione??. E la gran differenza ?? questa: che nella ragione non c'?? amore, mentre ce n'?? molto nella saggezza; anzi ??la saggezza pi?? alta non si distingue da quel che vi ?? di pi?? puro nell'amore??.

Il F??nelon disse che la nostra ragione consiste nelle nostre idee chiare; per il Maeterlinck la saggezza, il meglio della nostra anima e del nostro carattere, si trova nelle nostre idee che non sono ancora chiare interamente. ??Se ci si lasciasse guidare nella vita soltanto dalle idee chiare, presto si diverrebbe degni di poco amore, di poca stima??. Le ragioni per le quali siamo buoni, giusti, generosi, sono le meno chiare di tutte. Il Maeterlinck vuole cos?? dire, senza dubbio, che il sentimento ?? pi?? importante che non l'intelligenza, che le ragioni del cuore sono pi?? gravi che non quelle della stessa ragione. ??Fortunatamente, pi?? abbiamo idee chiare, pi?? impariamo a rispettare quelle che non sono ancora tali??.

III.

Sully Prudhomme, tranne che nei rari momenti quando afferma l'onnipotenza del cuore e dell'amore e la fede in un avvenire migliore, ?? pessimista; il Maeterlinck, che all'amore crede sempre, vede ogni cosa con occhio roseo. I Destini di Sully Prudhomme sono oscuri, tragici, ineluttabili; il Maeterlinck si duole appunto perch?? alla parola destino diamo questi significati. Egli non afferma gi?? che il destino sia giusto, che premii i buoni e punisca i malvagi. Vede anch'egli l'ingiustizia che d?? tanta pena a Sully Prudhomme; ma se ne consola, perch?? sull'ingiustizia ?? fondata la bont??. ??Quale anima potrebbe ancora dirsi buona, se la ricompensa fosse sicura??? Dunque la felicit?? non ?? un premio. Per esser felice, al contrario, bisogna non cercar pi?? la felicit??. ??Sarebbe necessario, di tanto in tanto, che un uomo cui il destino ha concesso una felicit?? splendida, invidiata, sovrumana, venisse a dirci semplicemente: Io ho ottenuto tutto ci?? che voi invocate col desiderio ogni giorno; ho la ricchezza, la salute, la giovent??, la gloria, la potenza e l'amore. Oggi posso dirmi felice, non gi?? a causa dei doni che la fortuna si ?? degnata di accordarmi, ma perch?? questi doni mi hanno insegnato a mirare pi?? in alto???. Con un poco pi?? di saggezza io avrei potuto possedere tutto ci?? che possiedo, senza che fosse stato necessario ottenere tanti beni. Conosco che sono pi?? felice oggi che non ieri, perch?? so finalmente che non ho pi?? bisogno della felicit?? per liberare l'anima mia, pacificare il mio spirito e rischiarare il mio cuore??.

Bisogner?? dire, pertanto, col Buddha e con Schopenhauer, che la felicit?? consiste nella rinunzia? Il Maeterlinck se ne guarda bene; la rinunzia ?? l'essenza del pessimismo. Come egli non ha voluto che la sua filosofia riposasse sulla rassegnazione, cos?? non vuole che la sua morale sia passiva. Sully Prudhomme ha espresso un voto alla Hartmann: sentendo operare dentro di s?? l'istinto della riproduzione, e pensando alla infinita moltitudine di mali che insidierebbero la vita cui egli darebbe il varco, ha voluto frenare l'istinto, vietare alla nuova vita di nascere, non farsi complice dei futuri dolori. Per il Maeterlinck questa, come ogni altra forma di rinunzia, ?? condannevole. ??La rinunzia non ?? spesso altro che un parassita. Se anche non indebolisce la nostra vita interiore, la turba. Quando un animale straniero penetra in un alveare, tutte le api sospendono il loro lavoro; parimenti quando il disprezzo e la rinunzia ?? entrata nell'anima nostra, tutte le potenze e tutte le virt?? di essa abbandonano il loro ufficio per riunirsi intorno all'ospite singolare che l'orgoglio ha condotto fra loro. E ci?? perch??, fino a quando l'uomo sa che rinunzia, la felicit?? della sua rinunzia nasce dall'orgoglio. Ora, se si deve rinunziare a qualche cosa, conviene rinunziare prima di tutto ai piaceri dell'orgoglio, che sono i pi?? ingannevoli e i pi?? vuoti??.

Ma allora? Se le gioie non debbono essere desiderate, se non conviene neppure rinunziare ad esse, quale sar?? la via da tenere? ??Non gi?? rinunziando alle gioie che ne circondano noi diveniamo saggi; al contrario, divenendo saggi rinunzieremo senza saperlo alle gioie che non si sollevano fino a noi??. Non bisogna credere che soltanto il dolore c'insegni ad essere saggi; anzi ??l'uomo che ?? saggio per essere stato infelice, somiglia all'uomo che ha amato senza essere stato amato??. La saggezza del disgraziato nasconde ancora il desiderio di esser felice; la vera saggezza ?? quella dell'uomo felice.

Quindi il Maeterlinck non loda il pensiero inerte e triste, ma il pensiero confidente, quello che accetta allegramente le leggi inevitabili, che spinge all'azione. Sopra ogni cosa egli loda l'azione. ??Un pensiero pu?? lasciarmi sino alla morte nello stesso punto dell'universo, ma un'azione mi far?? quasi sempre avanzare o retrocedere di un grado nella gerarchia degli esseri. Un pensiero ?? una forza isolata, errante e passeggera, che si avanza oggi e che non rivedr?? forse domani; ma un'azione suppone un esercito permanente d'idee e di desider??, un esercito che ha saputo conquistare, dopo lunghi sforzi, un punto della realt????.

Gli esseri deboli dei quali ?? pieno il mondo potrebbero, dopo ci??, credere che il dovere consista nel compiere un sacrifizio. Essi s'ingannerebbero. ??No, la virt?? suprema consiste nel sapere che cosa si deve fare, e nell'imparare a scegliere per che cosa si deve dare la vita??? ??, in generale, molto pi?? facile morire moralmente, o anche fisicamente, per gli altri, che non imparare a vivere per essi??. Si dice ancora che bisogna amare il prossimo nostro come noi stessi; ma se noi ci amiamo puerilmente, stupidamente, ameremo il prossimo allo stesso modo. Il dovere della nostra anima, di ogni anima, consiste nell'essere ??tanto integra, tanto felice, tanto indipendente, tanto grande quanto ?? possibile??. Quindi non ?? vero che l'anima diventi pi?? grande sacrificandosi; ma diventando pi?? grande essa perde di vista il sacrifizio. ??Il sacrifizio ?? un bel segno d'inquietudine, ma non bisogna coltivare l'inquietudine per s?? stessa???. La forza immateriale che splende nel nostro cuore deve splendere prima di tutto per s?? stessa. A questo prezzo soltanto splender?? per gli altri. Sia la vostra lampada piccola quanto si voglia: non date mai l'olio che l'alimenta, ma la fiamma che la incorona?????.

Che faremo allora dell'altruismo? ??Certamente l'altruismo rester?? sempre il centro di gravit?? delle anime nobili; ma le anime deboli si perdono nelle altre, mentre le forti vi si ritrovano???. C'?? una bont?? che esaurisce, e un'altra bont?? che nutrisce. Non dimentichiamo che, nel commercio delle anime, quelle che credono di dar sempre non sono gi?? le pi?? generose??.

Se ci duole che la virt?? e la saggezza non siano premiate, ci?? accade perch?? noi non siamo saggi abbastanza. ??Soltanto quelli che non sanno che cosa ?? il bene chiedono il salario della bont??. L'invidia, il tradimento, tutte le armi con le quali gli altri ci offendono, non sono efficaci contro l'anima nostra, se non quando essa ha gettato via le sue proprie???. Per accorgerci dei difetti altrui dobbiamo averli un poco anche noi???. Vi ?? nel mondo un'ingiustizia irriducibile; pertanto noi diventiamo veramente giusti solo quando ci riduciamo a trovare dentro di noi il modello della giustizia??. Se la bont??, se l'amore trionfassero sempre, se vi fosse nel mondo questa giustizia, che ?? soltanto in noi, la gioia sarebbe grande; ma vi ?? una gioia anche maggiore nello scoprire la verit??, la quale ci dice che le cose vanno al rovescio. Questa verit?? non ?? amara, nessuna verit?? pu?? essere amara per il saggio. ??Tutto ci?? che esiste consola ed afforza il saggio, perch?? la saggezza consiste nel cercare ed ammettere tutto ci?? che esiste??.

La saggezza non si duole di niente, non disprezza niente. ??Disprezzare ?? facile; meno facile ?? comprendere; e nondimeno, per il vero saggio, non c'?? disprezzo che non finisca, o tosto o tardi, col mutarsi in comprensione??. Le anime ordinarie sono tormentate dal desiderio dello straordinario: ciascuno dovrebbe invece dire a s?? stesso che pi?? le cose che ci accadono ci sembrano normali, generali, uniformi, pi?? noi arriviamo a discernere e ad amare in esse le profondit?? e le felicit?? della vita, pi?? ci avviciniamo alla tranquillit?? ed alla verit?? della gran forza che ci anima???. Non bisogna credersi disgraziati perch?? si possiede una felicit?? che non sembra straordinaria a chi ci sta intorno???. ?? bene convincersi che i momenti pi?? invidiabili, in una felicit?? umana, sono i pi?? semplici??.

Sar?? pertanto da lodare la prudenza? No; o, se non altro, ?? da biasimare la prudenza bassa di chi aspetta accanto al fuoco una felicit?? che non verr??. ??Non chiamiamo saggio colui che, nel dominio dei sentimenti, non va infinitamente oltre ci?? che la ragione gli permette e che l'esperienza gli consiglia di aspettarsi. Non chiamiamo saggio l'amico che non si abbandona all'amico perch?? prevede la fine dell'amicizia, o l'amante che non si d?? interamente per paura di annichilirsi nell'amore??. Bisogna vivere, agire; ma ??la sola cosa che ci resta dopo il passaggio dell'amore, della gloria, di tutte le avventure, di tutte le passioni umane, ?? un sentimento sempre pi?? profondo dell'infinito, e se questo sentimento non ?? restato, nulla ci ?? accaduto??. Sar?? lodevolissimo fare di tanto in tanto un'azione eroica, ??ma ?? pi?? lodevole ancora, e richiede una forza pi?? costante, il non lasciarsi mai tentare da un pensiero inferiore???. ?? pi?? facile fare talvolta un gran bene che non far mai il minimo male; far talvolta sorridere, che non far piangere mai??.

IV.

Questa esposizione del pensiero di Maurizio Maeterlinck non ?? breve; tuttavia molte cose si sono dovute tralasciare. Il libro ?? composto di una serie di meditazioni apparentemente disordinate, in realt?? concatenate talmente che non ?? agevole cogliere le idee salienti; bisogna invece, come abbiamo tentato, seguire a passo a passo tutto il ragionamento. Ci?? che si ?? fin qui detto baster?? a dare un'idea del sistema; ci?? che ne diremo ancora lo spiegher?? meglio e ne mostrer?? i difetti.

Quantunque il Maeterlinck offra la sua morale come ??un bel sogno un poco indeterminato??, sono tuttavia evidenti i suoi sforzi per dare consistenza al sogno, per credere e far credere di avere con esso risolto i formidabili problemi che ha preso ad esaminare. Il difetto di tutti i sistemi ?? quello di essere troppo sistematici, di seguire troppo rigidamente certe premesse sino alle ultime loro conseguenze. Il Maeterlinck si studia manifestamente di evitarlo, a segno che scrivendo il suo libro per lodare e diffondere il bene, comincia con affermare la necessit?? del suo contrario. Il Tolstoi e il Nietzsche, nel corso dei loro ragionamenti, hanno pure riconosciuto questa necessit??, che ?? di gran peso contro i loro sistemi; Sully Prodhomme ha detto:

Le Bien et le Mal se pr??scrivent l'un l'autre;

il Maeterlinck asserisce sin dal primo principio che ??un mondo dove non vi fosse pi??, a un certo punto, se non gente occupata a soccorrersi vicendevolmente, non persisterebbe a lungo in quest'opera caritatevole???. Vi sar?? sempre un certo numero d'uomini incontestabilmente utili grazie a certi altri uomini che sembrano inutili?????. Egli nota anche come tutta la morale, tutta la virt??, tutto l'eroismo umano si riducono quasi sempre a scegliere fra due partiti incresciosi: o vivere lasciando perire la miglior parte della mente e del cuore, o perire interamente per salvare i sentimenti pi?? belli e i pensieri migliori. Non c'?? bisogno di dire che egli consiglia il secondo partito; tuttavia, quantunque insista nel senso dell'eroismo, del sacrifizio, della bont??, pure tempera quel che vi potrebbe essere di troppo rigoroso nei comandamenti di questa morale, che il Nietzsche chiamerebbe ??morale da schiavi?? e che il Tolstoi farebbe sua.

Abbiamo visto, per esempio, che il Maeterlinck loda l'altruismo; ma egli vuole l'altruismo illuminato delle anime forti, che non si perdono, che non si annichiliscono. Dice qualche cosa di pi??: ammette che ??l'egoismo d'un'anima chiaroveggente e forte ?? pi?? efficacemente caritatevole che non tutta la devozione d'un'anima debole e cieca??. Quantunque non lo nomini mai, si sente che egli vuole pi?? d'una volta correggere l'altruismo mistico del Tolstoi. ??Piangere con quelli che piangono, soffrire con quelli che soffrono, tendere il proprio cuore a tutti i passanti perch?? lo feriscano o lo carezzino??, non ??, secondo lui, il dovere per eccellenza: ??le lacrime, le sofferenze, le ferite in tanto sono salutari in quanto non scoraggiano la nostra propria vita. Non lo dimentichiamo: qualunque sia la nostra missione su questa terra, qualunque sia lo scopo dei nostri sforzi e delle nostre speranze e il risultato dei nostri dolori e delle nostre gioie, noi siamo prima d'ogni altra cosa i ciechi depositar?? della vita. Ecco l'unica cosa certa, ecco il solo punto fisso della morale umana. Ci fu data la vita non sappiamo perch??; ma sembra evidente che ci?? non sia stato per indebolirla o perderla. Noi rappresentiamo anzi una forma specialissima della vita su questo pianeta: la vita del pensiero, la vita dei sentimenti; pertanto tutto ci?? che ?? capace di diminuire l'ardore del pensiero, l'ardore dei sentimenti, ?? probabilmente immorale?????. Ma cos??, per correggere gli eccessi della morale remissiva, non rischia egli di cadere nella morale prepotente,???se pure la prepotenza si pu?? dire morale? Questa difesa gelosa, questo culto della propria vita non potrebbe, non deve, legittimare il peggiore, il pi?? feroce egoismo? La sua intenzione era quella di cercare un temperamento; ma ?? caduto in una contraddizione.

Bisogna, ha detto, che la vita del pensiero e dei sentimenti sia quanto pi?? ardente ?? possibile. Poich?? questo precetto potrebbe incoraggiare l'orgoglio, la superbia, l'egoismo e il concetto di una grande diversit?? fra gli uomini, egli soggiunge che tra chi pensa e chi non pensa ??c'?? un fosso, non un abisso??; e che ??pensare ?? spesso ingannarsi??, e che ??un mondo dove non vi fossero altro che pensatori, perderebbe forse la nozione di pi?? d'una verit?? indispensabile??. Ed ecco come dal Nietzsche egli torna al Tolstoi.

Certo egli ??, in fondo, pi?? col Tolstoi che non col Nietzsche. Del filosofo russo condivide l'idea che non bisogna punire il malvagio. Chi fa il male, dice, cerca a modo suo la felicit??. ??Perch?? punirlo? Non possiamo prendercela col povero diavolo perch?? non abita un palazzo: ?? gi?? abbastanza disgraziato vivendo in una catapecchia??. Egli afferma che ??noi abbiamo torto di cercare una giustizia esteriore, visto che non ce n'?????. Perch?? cercare la giustizia dove non pu?? essere? Esiste ella altrove fuorch?? nell'anima nostra???? L'idea alla quale l'universo pensa meno che a tutte le altre ?? quella di giustizia???. Fuori dell'uomo non c'?? giustizia?????. Queste parole sembrano di Sully Prudhomme: il poeta filosofo e il filosofo poeta si d??nno a questo punto la mano. Se non che, soggiunge il Maeterlinck, l'uomo ??deve apprendere a collocare altrove, e non in s?? stesso, il centro del suo orgoglio e delle sue gioie??. Ora, come mai si potr?? collocare fuori di noi il centro dell'orgoglio e della felicit??, se fuori di noi non c'?? giustizia? Che argomento d'orgoglio, che oggetto di gioia pu?? essere un mondo dove non c'?? giustizia? E come mai, se noi siamo una parte di questo mondo, una sua emanazione, un suo portato, possiamo avere l'idea d'una cosa che in esso non si trova????

I beni della terra, i sorrisi della fortuna, ha detto, sono necessar??, sono preferibili ai dolori, perch?? la saggezza che si acquista nel dolore ?? turbata dall'aspettazione della gioia; mentre quanto pi?? il saggio ?? felice, tanto meno ?? esigente, quanto pi?? la felicit?? si prolunga, tanto pi?? si acquista un concetto ??indipendente?? della vita. Ma, certamente inquieto per le conseguenze perniciose che si potrebbero trarre da questa affermazione, egli soggiunge che un bel destino esteriore ??non ?? indispensabile??. Egli ha lodato sopra ogni cosa l'azione, l'attivit??; ha giudicato insino preferibile agire talvolta contrariamente al proprio pensiero che non osar mai di agire secondo i propr?? pensieri. ??L'errore attivo ?? raramente irrimediabile, le cose e gli uomini s'incaricano di raddrizzarlo tosto; ma che cosa possono essi fare contro l'errore passivo che evita ogni contatto con la realt????? Ed anche questa volta si corregge: ??Ma agire??, soggiunge, ??non ?? necessariamente trionfare. Agire ?? anche tentare, aspettare, pazientare. Agire ?? anche ascoltare, raccogliersi, tacere??. Per avere ragione, estende cos?? il significato della parola, lo torce sino a includervi il significato contrario. Ma allora, per voler troppo provare, non prova pi?? nulla.

E ancora: egli ha detto che l'amore ?? ci?? che vi ha di meglio al mondo; poi dice che se il saggio, amando, raccoglie ingratitudine, non deve dolersene. ??Non ?? desiderabile che l'uomo si chiuda in qualche cosa, sia pure nel bene. L'ultimo gesto della virt?? sia il gesto d'un angelo che schiude una porta??. Allora il pensiero, la ragione, l'intelligenza varranno pi?? che la bont??? Ma non aveva egli detto prima tutto il contrario???? ??L'inutilit?? dell'amore insegna a volgere gli sguardi oltre l'amore??. Ma che cosa vi potr?? essere ancora oltre l'amore, se esso ?? ??tutto???

La sola cosa della quale noi possiamo far parte ai nostri simili, dice in un altro luogo, ?? la forza, la fiducia, l'indipendenza della nostra anima. ??Perci?? il pi?? umile degli uomini ?? obbligato di mantenere e d'ingrandire l'anima sua, come se sapesse che un giorno ella dovr?? essere chiamata a consolare o a rallegrare un Dio. Quando si tratta di preparare un'anima, bisogna prepararla per una missione divina??. Poco dopo dice tutto il contrario, loda i saggi che non escono dalla vita, che restano nella realt??: ??Non basta amar Dio e servirlo come meglio si pu??, perch?? l'anima umana si affermi e si tranquilli. Non si arriva ad amar Dio se non con l'intelligenza e i sentimenti acquistati e sviluppati a contatto degli uomini. L'anima umana resta profondamente umana. Si pu?? insegnarle ad amare molte cose invisibili, ma una virt??, un sentimento interamente e semplicemente umano la nutrir?? sempre pi?? efficacemente che non la passione o la virt?? pi?? divina??. Senza dubbio anche questa volta il pensatore si contraddice per amore della verit??, per stringere quanto pi?? da presso ?? possibile la verit??. Ragionando della perfezione dell'anima, vuole naturalmente che questa perfezione sia divina; ma poi deve rinunziare ad essa e tornare all'umile umanit??; perch??, tanto ?? vero che la perfezione pi?? perfetta ?? la divina; quanto ?? vero che all'uomo bisogna proporre una m??ta che egli possa raggiungere, cio?? umana. Questo ?? vero principalmente e sciaguratamente: che la verit?? ?? molteplice e multiforme; e che quando noi crediamo di averla afferrata, allora ci sfugge. Il Maeterlinck ne ?? pure persuaso, poich?? d?? il maggior prezzo alle intenzioni. ??Amare lealmente un grande errore vale spesso meglio che servire meschinamente una grande verit????. Se l'errore fosse errore indubitabilmente, tutta la buona volont??, tutto lo zelo che vi si portasse non servirebbero ad altro che a renderlo pi?? grave; ma forse la distinzione tra verit?? ed errore non ?? tanto sicura; e in questo senso il criterio delle intenzioni ?? da seguire. Ma di ci?? bisogna forse tener conto al Maeterlinck sopra ogni cosa: che egli stesso, sin dal principio, ci ha messi in guardia, quando ci ha detto che la saggezza si trova talvolta nel contrario di ci?? che il pi?? saggio afferma; e quando, prima ancora di ragionare tanto sottilmente intorno alla saggezza, ha avvertito che non bisogna definirla troppo strettamente per tema d'imprigionarla. ??Tutti coloro che lo tentarono fanno pensare a un uomo che spegnesse una luce per studiare la natura stessa della luce. Costui non trover?? mai altro che un lucignolo annerito e un po' di cenere??.

Anch'egli, dunque, col Tolstoi, col Nietzsche, con gli altri maestri dell'et?? presente, se ne va dietro, in conclusione, all'umile buon senso antico.

IL FEMMINISMO

Tre secoli addietro, nel 1595, a Wittenberg, furono pubblicamente sostenute cinquanta tesi per dimostrare che la donna non ?? una creatura umana. Oggi cinquantamila fra tesi, dissertazioni, conferenze, volumi e articoli di giornali attribuiscono al sesso femminile non solo le dignit?? che gli sono proprie, ma anche quelle che non gli convengono. Questa propaganda ?? uno dei segni particolari dell'et?? presente: come tale merita di fermare la nostra attenzione.

I.

I femministi cominciano col sostenere che il loro partito non chiede nulla di nuovo; che la donna gi?? esercit?? la supremazia della quale fu arbitrariamente privata ed alla quale ha nuovamente diritto. In Assiria, dicono, la madre aveva maggiori diritti del padre; ed anche oggi, fra le popolazioni turaniche, quando un figlio diffama il padre, ?? passibile di una semplice ammenda; mentre, se insulta la madre, gli si rade la testa, gli si nega la terra e l'acqua e spesso lo si chiude in prigione.

Prima di tutto ?? da osservare che questo costume significa semplicemente come alla madre si debba maggior rispetto e venerazione che non al padre, come l'insultare la madre sia un delitto tra i pi?? gravi e nefandi. Anche presso di noi, senza che si rada la testa ai figli snaturati capaci di commetterlo, tale ?? l'opinione generale. In secondo luogo, quando pure tra i costumi antichi e tra quelli dei popoli selvaggi se ne trovasse qualcuno che veramente dimostrasse la supremazia sociale della donna,???e non gi?? quella soltanto familiare della madre,???bisognerebbe forse per ci?? concludere che hanno torto la civilt?? e il secolo nostro, e che hanno ragione i tempi andati e le genti incivili? ??Dagli Sciti ai Galli, dagli Iberi ai Germani di Tacito??, dice il pi?? autorevole tra i femministi, il Bebel, ??noi vediamo la donna prendere, sin dai pi?? remoti tempi, in mezzo alla famiglia ed alla societ??, il posto eminente che ha perduto nelle et?? successive??. Vogliamo per ci?? dire che gli Sciti, i Galli, gl'Iberi e i Germani erano pi?? nel vero e nel giusto di noi? Se bisogna credere al progresso,???e i femministi debbono crederci; perch??, in caso contrario, come potrebbero sperare nei miglioramenti futuri????se veramente dobbiamo dire che la storia del genere umano dimostra un successivo nostro perfezionamento, bisogna allora anche ammettere che la supremazia della donna ?? oggi scomparsa perch?? non era ragionevole, non tollerabile, non sostenibile. Vogliamo dire che le societ?? umane, progredite per certi rispetti, sono andate indietro per altri? Questo modo di ragionare ?? pericoloso; perch?? chi distinguer?? in quali cose abbiamo peggiorato e per quali altre siamo andati avanti? A Sparta si lasciavano morire i bambini deboli e mal fatti, per la salvezza della razza; ?? preferibile l'antico costume a quello presente di sostentare finch?? ?? possibile le vite grame?

E poi: quale fu veramente questa supremazia femminile ai tempi antichi, ed in che cosa consistette? Nella medesima Sparta le fanciulle erano educate come i giovani, si addestravano nelle palestre insieme con quelli. Noi possiamo lodare l'educazione spartana: non la lodava per?? Aristotile, che poteva meglio di noi valutarne gli effetti. ??Il legislatore di Sparta??, dice lo Stagirita, ??ha ordinato le istituzioni dello Stato in modo che gli uomini siano educati conformemente alle loro attitudini; quanto alle donne, le ha molto neglette: esse vivono licenziosamente in mezzo a quel popolo guerriero??. Alla distanza di parecchie migliaia d'anni un dottore americano,???esagerando certamente, ma l'esagerazione ?? sintomatica,???cos?? descrive gli effetti dell'educazione virile delle fanciulle americane: ??Le nostre fanciulle non sono pi?? capaci di perpetuare la razza; e se si continua ad impartir loro questa educazione, fra cinquant'anni bisogner?? far venire le donne dalle altre parti del mondo??. Il Nietzsche va pi?? in l??, come abbiamo visto: giudica che per ogni dove i costumi presenti rendono la donna incapace di perfezionare la specie umana.

Ma torniamo all'argomento. Era forse segno di supremazia femminile, a Roma, la facolt?? di battere le donne con le verghe fino alla morte per il semplice sospetto d'ubbriachezza? O l'obbligarle a restare confinate nel focolare domestico, dove solo l'uomo poteva celebrare il culto degli avi? E quando le vere virt?? muliebri, la modestia, il pudore, il timore degli Dei, il rispetto filiale, tutti gli affetti familiari furono dimenticati, e le donne si emanciparono, la societ?? romana si rafforz??, oppure and?? all'ultima rovina?

Il padre Roesler, grande confutatore, nella Quistione femminista, del Bebel, giudica tuttavia che, se non nell'antichit??, almeno nel medio evo la donna fosse pi?? libera o meglio protetta che non oggi: era sovrana, dettava sentenze, impugnava le armi, sosteneva tesi giuridiche, esercitava la medicina. Questo modo di giudicare somiglia troppo a quello, tanto famoso quanto criticato, dell'Inglese a Calais: vedendo una donna con i capelli rossi, scrisse nel suo libro di viaggio: ??Le Francesi sono rosse??. Le donne, nell'et?? di mezzo, esercitarono la medicina, sostennero discussioni legali, combatterono, giudicarono? Ma quante fecero queste cose? Dieci, cento, mille? E le altre? E la pi?? gran parte? E quasi tutte? Non continuarono quasi tutte a fare ci?? che avevano fatto sempre? Secondo Gringoire e Filippo da Novara le donne dovevano filare e cucire; non leggere n?? scrivere. Lo stesso autore non avverte che Bertoldo di Ratisbona predicava: ??L'uomo per la guerra, la donna per la tessitura??? E che la parola tedesca weib, donna, ebbe la stessa origine del verbo weben, tessere? E che schwertmagen, il nome col quale si designano i parenti dal lato paterno, viene da schwert, spada, e quello della parentela materna, spillmagen, da spindel, fuso?

Ma concesso che parecchi secoli addietro le quistioni poste dal moderno femminismo fossero tutte risolte, bisognerebbe allora far voti perch?? quei tempi tornassero tali e quali: con le monacazioni pi?? o meno spontanee, con le corti d'amore pi?? o meno dissolute, con le cinture di castit?? e tutto il resto. Noi possiamo, considerando un periodo storico, lodare certi costumi e biasimarne altri; ma i costumi, le leggi e tutti i fenomeni sociali sono collegati in modo che non ?? possibile isolarli e mantenerne a piacimento alcuni ed evitarne altri. Per una logica, per una necessit?? contro la quale non possiamo nulla, un'epoca ?? quella che ??, con tutte le sue virt?? e tutti i suoi viz??; tener conto delle virt?? sole sarebbe desiderabile, ma non ?? possibile: bisogna prenderla, purtroppo, con le une e con gli altri. Ora, a questo patto, chi vorrebbe tornare addietro?

II.

Una cosa ?? certa: che, a parte alcune eccezioni episodiche, le quali in conclusione confermano la regola, in ogni tempo e in ogni luogo fra uomini e donne si ?? mantenuta la differenza imposta dalla loro organica diversit??. Occorre definire questa diversit??? ?? proprio necessario indicare quali membri e quali organi sono pi?? piccoli e deboli o pi?? forti e gagliardi in ciascuno dei due sessi? Si deve proprio percorrere la scala di tutti gli esseri viventi per dimostrare che dovunque sono sessi, sono differenze, e che pi?? si sale, pi?? queste si aggravano? Basta la diversit?? della funzione sessuale, basta l'ufficio della maternit?? assegnato alla donna, per fare di lei un essere singolarissimo, profondamente diverso dall'uomo, capace di cose alle quali egli ?? inadatto, incapace delle cose alle quali egli ?? chiamato. La maternit?? ?? la missione della donna. Le restano bens?? forze per attendere ad altre cose: ma queste forze, tanto le fisiche quanto le morali, sono molto minori di quelle dell'uomo.

I femministi, per poter dimostrare che la donna ?? capace e degna di essere interamente agguagliata all'uomo, cominciano col negare l'importanza della maternit??, con l'affermare che l'ufficio materno ?? uguale al paterno, e che, quando pure fosse diverso, la diversit?? ?? soltanto formale, trascurabile, senza conseguenze. Al congresso femminista di Parigi un'oratrice svedese ha dichiarato che ?? ora di finirla con l'esaltazione della madre. ??Alla Vergine che tiene eternamente un bambino fra le braccia io preferisco??, ha detto, ??la Venere di Milo, che ?? senza braccia??. Per fortuna, non occorre dimostrare la sciocchezza di simili proposizioni. Ma, anche tra coloro che non arrivano a questi estremi ridicoli e odiosi, molti si rifiutano di ammettere che la donna, perch?? destinata a concepire, a procreare, ad allattare e ad educare la prole, debba, pur meritando il rispetto e la protezione degli uomini, tenere un posto a parte nel consorzio umano. A costoro si pu?? rispondere ci?? che dice l'Albert nell'Amore libero. Questo scrittore, inconciliabile nemico del presente ordinamento, non solo dei rapporti dei sessi, ma di tutta quanta la vita, afferma tuttavia che ??la prima condizione di ogni superiorit?? ?? di svilupparsi conformemente alla propria natura??. L'uomo si ?? dunque sviluppato nel senso della potenza muscolare e cerebrale, che ?? la sua dote; la donna nel senso della maternit??. Per credere che le donne debbano, o soltanto possano, fare la concorrenza dell'uomo, dice egli, ??bisogna negare, o quasi, un fatto, l'esistenza e l'importanza del quale ci sembrano notorie. Questo fatto ?? lo stesso sesso, con tutte le sue conseguenze, con le sue obbligazioni, con la sua ripercussione nell'essere intero??. E ancora: ??Il principio della divisione del campo dell'attivit?? umana fra le due serie di esseri che vi si muovono ?? stato senza dubbio male interpretato, esagerato in un certo senso, disconosciuto nell'altro; ma non per ci?? vien meno la sua alta importanza, tanto a cagione della funzione materna della donna, quanto delle attitudini che ne derivano in lei. Se sarebbe assurdo respingere la cooperazione sociale della donna fuori della famiglia, cooperazione che del resto ?? sempre esistita, altrettanto assurdo sarebbe pretendere che l'attivit?? produttrice di lei, nel senso stretto di questa espressione, non debba essere limitata da lei stessa, divenuta cosciente e libera come comporta e quanto comporta la natura sua propria, e francamente subordinata all'ufficio che il sesso le assegna nella vita??. Per queste ragioni ???? nell'ordine naturale che l'uomo,???individuo o consorzio,???lavori in una certa misura al posto della donna che procrea ed alleva. E checch?? si possa dire sotto l'impero del paradosso, o per una reazione nelle idee,???reazione che del resto si spiega,???questa cooperazione, prima divisione del lavoro, ?? normale. Essa rester??, con forme e gradi diversi, secondo il diverso momento dell'evoluzione. La propaganda femminista, o piuttosto una certa propaganda, non arriver?? a sopprimerla??.

Ora, se ?? cos??, se gli uomini dedicano parte delle loro forze alle donne, se le donne debbono essere mantenute o protette dagli uomini, diremo che uomini e donne sono eguali? Egualmente necessar?? riguardo alla vita, s??; ma diseguali le une dinanzi agli altri. Come tra uomini e uomini c'?? somiglianza e diversit?? ad un tempo, cos??, anzi a pi?? forte ragione, tra uomini e donne c'?? equivalenza e diseguaglianza insieme. Dice l'Albert che ??nei primi tempi, quando la lotta per la vita era dura, l'uomo dovette imporsi alla donna come provveditore della famiglia??. Dovette imporsi: perch??? Perch??, senza dubbio, la donna, la madre, non era capace di provvedere alla famiglia, o provvedeva ad essa poco e male; e perch?? l'uomo aveva questa capacit??, o ne aveva una maggiore e migliore. Allora, continua l'Albert, ??con l'aiuto del diritto del pi?? forte e della brutalit?? antica, si stabil?? la diseguaglianza dei sessi??. Questa diseguaglianza sarebbe dunque una cosa artificiale? Ma se l'uomo esercit?? il diritto del pi?? forte, ci?? deve voler dire che egli aveva questa maggior forza; e se aveva una forza maggiore, ci?? deve importare che egli non era eguale alla donna.

La storia del genere umano dimostra da un capo all'altro del mondo questa superiorit?? virile. Tutte le mitologie, l'assira, la babilonese, l'egiziana, la greca, deificano l'uomo e la donna, ma il principio maschile ?? preminente. Giunone ?? sottoposta a Giove, Iside a Osiride, raggiante simbolo della luce. Nessuna donna pu??, in Egitto, sacrificare agli Dei n?? alle Dee: solo gli uomini sono capaci del sacerdozio. Gli uomini hanno due vesti, le donne una sola. Ecco: essi cominciano ad abusare della loro maggior forza per farsi la parte pi?? bella; ma gi?? nei papiri di ventidue secoli prima di Cristo si legge il consiglio di moderazione che oggi la nostra morale diffonde: ??Se tu sei saggio, ama la donna tua; senza discordie, senza litigi, nutriscila, adornala, rendi felici tutti i giorni della sua vita: ella ?? un bene, e il suo possessore deve stimarne il valore?????. La funzione della maternit??, la possibilit?? di dare al marito figli non suoi, rende oggi come cinque mila anni addietro l'infedelt?? della moglie pi?? grave che non quella dell'uomo: gli onori funebri resi alle donne egiziane erano proporzionati alla loro virt?? coniugale, alla fedelt?? verso lo sposo; come oggi i Turchi, cos?? un tempo gli Assiri, chiudevano le donne in un luogo della casa dove nessuno poteva penetrare. Questa era ed ?? una prepotenza; ma, per opporsi alle prepotenze assurde e ridicole, i femministi avanzano oggi pretese non meno ridicole e assurde. Le vedove non debbono essere condannate a una vedovanza eterna, come nella Grecia pi?? remota, o a morire incenerite sullo stesso rogo del morto marito, come tra gl'Indiani antichi e moderni; ma la fedelt?? della moglie sar?? sempre pi?? apprezzata, pi?? doverosa che non quella del marito. ??Se l'adulterio della donna ?? punito come una colpa grave,?? dice l'Albert, ??e se il codice scusa insino l'uccisione della colpevole in caso di flagranza, mentre l'adulterio dell'uomo ?? considerato come una bagattella, e punito soltanto in circostanze speciali difficili ad osservarsi, ci?? accade semplicemente per evitare che eredi illeggittimi s'introducano nella famiglia??. Ma il giorno che non vi sar?? pi?? n?? propriet?? n?? denaro, e che la famiglia non sar?? creata per trasmettere queste cose, anche quel giorno l'adulterio della moglie, della compagna, della donna, sar?? pi?? grave; perch?? ella potr??, come ora, concepire adulteramente, e l'attribuzione di figli non propr?? dispiacer?? all'uomo come e quanto gli dispiace ora. Se diversa dev'essere, come abbiamo visto che l'Albert vuole che sia, la cooperazione sociale dei due sessi, attesa la diversit?? delle loro funzioni, diversa sar?? anche la loro responsabilit??.

III.

Il nodo della quistione ?? questo: poich?? gli uomini sono superiori alle donne, come pi?? intelligenti, pi?? attivi, pi?? liberi, cos?? c'?? da parte loro una tendenza a trascurarle, a sottoporle, ad opprimerle, e talvolta anche a sopprimerle; ma poich?? le donne, rispetto alla specie, valgono altrettanto quanto gli uomini, e uomini e donne sono egualmente necessar?? alla continuazione della vita, cos?? c'?? un'altra tendenza a considerare nulli e vani i vantaggi maschili ed a parificare in tutto e per tutto i due sessi. In China la nascita delle femmine ?? considerata come una calamit??; spesso le figlie sono buttate via, muoiono abbandonate per le strade; cos?? pure in India: in certi villaggi indiani, non molti anni addietro, si contava una sola fanciulla sopra cento ragazzi. L'abuso della supremazia maschile non potrebbe essere dimostrato meglio che da questa infamia. Se i Chinesi e gl'Indiani riuscissero a sopprimere tutte le donne, si troverebbero in una situazione piuttosto difficile. Se volessero soltanto ridurne il numero, le difficolt?? della scelta e l'asprezza della lotta sessuale crescerebbero, e il danno sarebbe tutto loro. Da noi le bambine non si lasciano morire, ma son accolte con minor festa: come pi?? civili, noi sostituiamo ad una infamia una sciocchezza. La funzione vitale ?? ugualmente importante, la dignit?? umana ?? ugualmente grande nei due sessi; ma, se ripetiamo troppo spesso questa verit??, ecco alcune donne, e i femministi con esse, pronti ad abusarne. In ogni tempo, ma specialmente nel nostro, il pensiero umano procede in questo modo: per esagerazioni.

Nell'antico Egitto i figli maschi non dovevano mantenere i vecchi genitori; quest'obbligo incombeva alle figlie. In un gran numero di societ?? barbare e selvagge gli uomini non lavorano: obbligano le donne a lavorare per essi. Quando ci?? accade perch?? essi sostengono le pi?? gravi fatiche della guerra contro i nemici o contro le forze naturali, nulla di pi?? giusto: le cose, allora, stanno press'a poco come nelle societ?? civili, dove le donne lavorano per gli uomini in casa, e gli uomini per le donne fuori di casa, attendendo, invece che alla guerra, ai commerci, alle industrie, alle professioni. ??Non ?? il caso,?? dice l'Albert, citando l'autorit?? del Geddes e del Thomson, ??di vituperare scioccamente, come fanno la maggior parte dei femministi, il selvaggio che resta sdraiato, al sole, intere giornate, di ritorno dalla caccia, mentre la donna sua, pesantemente chinata, macina e lavora senza lamento e senza tregua; anzi, tenendo conto degli estremi sforzi che costa a lui la lotta incessante contro la natura e i propr?? simili, per il nutrimento e la sussistenza, e tenendo conto della conseguente necessit?? di utilizzare ogni occasione di riposo per rifarsi e vivere la sua vita tanto corta e precaria, ma indispensabile alla donna ed ai figli, si vedr?? che questa grossolana economia domestica ?? la migliore, la pi?? morale, la pi?? umanamente praticata, date le circostanze??. Ma dove gli uomini costringono le donne a mantenerli senza far nulla, o lavorando meno di loro, essi infrangono la legge naturale; e queste infrazioni sono, in verit??, rarissime. Poich?? l'uomo ?? pi?? forte della donna, ma la donna ?? necessaria all'uomo, la conseguenza logica e naturale ?? che egli adoperi una parte della propria forza a proteggere, a mantenere questa creatura debole della quale ha bisogno, e che a sua volta lavora un poco per lui e moltissimo per la prole comune. E, tranne le eccezioni, questa ?? veramente la regola alla quale obbedisce tutta quanta l'umanit??. Ora invece i femministi vogliono che la donna faccia la concorrenza all'uomo: cosa altrettanto innaturale ed assurda quanto la pretesa di quegli uomini che vogliono lasciar le donne macerarsi per loro.

Il cristianesimo, dice il padre Roesler, oper?? una rivoluzione nei rapporti dei sessi, conferendo alla donna una dignit?? che prima non le era attribuita, afforzando il vincolo matrimoniale, difendendo la famiglia. E il fatto non si pu?? negare; non ?? negato neppure dall'Albert, che attribuisce alla rivoluzione cristiana ??il pi?? gran progresso morale: l'amore sessuale moderno, prima sconosciuto??. Ma questa rivoluzione non fu tanto radicale quanto pare: e lo stesso padre Roesler lo riconosce, e se ne loda; perch??, infatti, la supremazia dell'uomo fu mantenuta. Ora questa soluzione pare veramente la pi?? conforme ai due fatti naturali e contraddittor??, ma certi: cio??, da una parte, l'eguaglianza dei sessi dinanzi alla specie, la loro reciproca dipendenza, l'impossibilit?? per ciascuno di essi di fare a meno dell'altro; e, dall'altra parte, la supremazia muscolare e intellettuale degli uomini. Le societ?? barbare, considerando soltanto questa supremazia, avvilirono la donna; il cristianesimo, considerando l'eguale importanza dei sessi, la sollev??; ma non oltre certi limiti, cio?? riconoscendo la naturale preponderanza dell'uomo. Noi possiamo seguire questo ragionamento in uno dei maggiori Padri della Chiesa. San Paolo dice che l'uomo ?? il capo della donna come Ges?? Cristo ?? il capo della Chiesa; che l'uomo ?? immagine della gloria di Dio, mentre la donna ?? immagine della gloria dell'uomo; e fin qui l'apostolo ragiona al modo antico; ma tosto egli soggiunge che, se la donna ?? stata tratta dall'uomo, l'uomo non esiste senza la donna, e che entrambi hanno la stessa dignit??: ??nel Cristo non c'?? differenza alcuna tra uomo e donna, perch?? entrambi egualmente partecipano ai benefiz?? della creazione e della redenzione??.

La soluzione cristiana della quistione sessuale ?? dunque un temperamento, e come tale potrebbe darsi che fosse la pi?? ragionevole, la pi?? pratica e veramente la migliore. Da principio, dovendo lottare contro l'eredit?? della morale barbara, il cristianesimo abbond?? nel senso di ci?? che oggi si chiama femminismo; il linguaggio di San Giovanni Boccadoro dovrebbe, per esempio, piacer molto ai suoi moderni campioni: ??Dio,?? dice il Santo, ??non impone sull'uomo tutto il fardello della vita, e non fa dipendere da lui solo la perpetuit?? del genere umano. Anche la donna ha ricevuto un grave ufficio affinch?? sia stimata. Iddio non le assegna un destino minore di quello dell'uomo; la Scrittura ce lo rammenta con queste parole: Diamogli una compagna simile a lui??. Ma pi?? tardi, quando l'evangelica esaltazione della donna degener?? nella goffa glorificazione che ne fece la cavalleria, una reazione in senso inverso si manifest?? con la Riforma, la quale non si oppose agl'istinti poligamici degli uomini e tolse le donne dal trono ideale dove erano state collocate, per farne semplici e troppo spesso umili massaie.

Queste fluttuazioni del pensiero e queste modificazioni del costume umano, che il padre Roesler e molti altri studiosi hanno notato, dipendono dal contrasto dei due fatti naturali dianzi definiti. Un esempio curioso della perplessit?? del giudizio lo troviamo in quella dottrina morale del Maeterlinck che abbiamo gi?? esaminata. Senza entrare direttamente nel dibattito, egli crede alla supremazia maschile quando afferma che l'uomo ?? pi?? morale: ??Tra un uomo e una donna di eguale potenza intellettuale, la donna impiegher?? sempre una parte molto minore di questa potenza a conoscersi moralmente??. Un centinaio di pagine pi?? innanzi sostiene che, nella vita ordinaria, ??la donna ?? quasi sempre superiore all'uomo che ha dovuto accettare?????. La quistione femminista ?? appunto per ci??, e sar?? sempre una quistione: perch??, quando si considera l'innegabile eguaglianza morale e ideale dei due sessi, e l'abuso sciocco o nefando della maggior forza maschile, l'esaltazione della donna sembra ragionevolissima; quando si considera la non meno innegabile loro diseguaglianza reale, specifica, e l'inferiorit?? della donna, sembra ragionevolissima la sua subordinazione.

Nel temperamento trovato dal cristianesimo c'?? un punto del quale il padre Roesler si loda moltissimo: l'istituto della verginit??, il celibato monastico. Anzi, per lui, questa ?? la vera soluzione della quistione femminista. ??I nostri padri??, dice, ??avevano dunque trovato la soluzione della quistione femminista: non solamente, tra loro, i numerosi monasteri offrivano un ritiro sicuro alle donne senza famiglia; ma le grandi anime potevano prendervi tutto il loro slancio, e la donna rimasta nel mondo godeva degli esemp?? della religiosa, come pure del rispetto col quale costei era considerata??. Per giudicare a questo modo, bisogna anche credere che astenersi dalla funzione sessuale sia meglio che compierla; e tale ?? infatti il pensiero del Roesler. Come il Tolstoi, egli giudica che il vero cristianesimo, se loda il matrimonio, gli preferisce la castit??. ??Maritarsi ?? bene??, dice con San Paolo; ??ma non maritarsi ?? meglio??. Questo giudizio, in un mistico come il Tolstoi, in un negatore dei fatti, in un nemico della scienza, ?? logico; non ?? logico nel Roesler, il quale, per stabilire razionalmente i rapporti dei sessi, ha voluto studiare la fisiologia, la biologia e la zoologia. Le scienze della natura avrebbero dovuto insegnargli che le leggi della natura non si trasgrediscono impunemente. Se i sessi sono stati creati per accostarsi, impedire i loro accostamenti ?? operare contrariamente alla loro ragion d'essere; questa non ?? una soluzione del femminismo; ?? al contrario, come nel Tolstoi, una forma di nihilismo. Che la castit?? sia possibile, in certe condizioni, per certi temperamenti, non si nega: ma la legge ?? quella della procreazione. E se i voti di castit?? furono e sono, per certe creature, facili e benefici, per moltissime altre furono e sono terribile cagione di orribili disordini. Il femminismo, non che essere risolto con la castit??, deve assicurare, al contrario, la formazione della coppia umana: esso non cerca la soluzione nel celibato, vuole anzi l'amore libero.

IV.

I critici della presente legislazione dell'amore hanno buono in mano. Tanti sono gl'inconvenienti delle leggi e dei costumi, che non occorre rappresentarli: noi tutti, giovani e vecchi, uomini e donne, celibi e coniugati, ne conosciamo per prova i danni. Al giovane, cui non ?? offerto altro appagamento del bisogno d'amore se non l'amaro e velenoso piacere che si compra; alla moglie, che non pu?? vivere insieme con chi non ama; alla sciagurata, che vive del mercato di s?? stessa; agli amanti, cui i pregiudiz?? sociali vietano di unirsi agli adulteri, che debbono nascondere l'amor loro e tremare per la loro vita, lo stato presente non pu?? piacere. Su questo punto tutti possono mettersi d'accordo. La quistione ?? un'altra, la quistione ?? questa: gl'inconvenienti lamentati sono eliminabili? Dipendono da un artifizio maligno che si pu?? combattere, o da fatalit?? naturali contro le quali siamo impotenti?

I fautori dell'amore libero accusano la societ??. Tutto il danno viene da lei. Essa, badando agli interessi materiali, cupida soltanto di denaro, contrasta l'amore, la passione pura, ideale. Questi critici non lodano gi?? lo stato di natura. Allo stato di natura, anzi, riconoscono che l'amore nel senso umano, migliore, pi?? grande ed alto della parola, non esiste: esiste l'accoppiamento. L'infima e primitiva umanit?? ?? appena capace di una scelta sessuale simile a quella che esercitano gli stessi animali; le prime coppie umane sono appena durature quanto quelle di certi uccelli e di certi mammiferi; anzi meno. L'amore, da questi germi, si ?? sviluppato a poco a poco: la facolt?? di scelta ?? divenuta passione morale, la tendenza a rendere stabile la coppia si ?? mutata nel bisogno d'un legame indissolubile, eterno.

Gi?? si potrebbe a questo punto osservare: se ci?? ?? avvenuto durante quello stesso processo storico che ha portato il mondo al presente ordinamento, possiamo dire che gli ordini attuali sono tanto contrar?? all'amore? Non potrebbe darsi, al contrario, che l'amore sia nato insieme con questi ordini, e per effetto di essi? I giovani, le fanciulle segnatamente, sono tenute nell'ignoranza delle funzioni sessuali: questo fatto ?? denunziato dall'Albert come un abuso di confidenza commesso dalla famiglia contro l'amore, come uno dei numerosi espedienti adoperati dalla societ?? moderna per impedire all'istinto sessuale di epurarsi. Non potrebbe darsi, invece, che le cose andassero al contrario? Il costume dell'ignoranza, del mistero, ?? certamente nocivo; ma, se nuoce, non nuoce appunto nel senso di far credere l'amore una cosa pi?? arcana, pi?? pura, pi?? sublime che in realt?? non ??? E dalla scienza della realt?? sessuale impartita senz'altro alle fanciulle e ai giovanetti, dalla loro libera educazione in comune, non potrebbero derivare altri inconvenienti nel senso opposto? L'Albert dovrebbe sospettarlo, egli che pur nota come una forma di prostituzione, l'etairismo, nacque dalla libert?? sessuale accordata alle giovani prima del matrimonio. La verit?? vera non ?? forse che vi sono inconvenienti in tutti i sistemi? E gl'inconvenienti non dipendono dall'ambiguit?? della natura umana, che non ?? tutta bruta n?? tutta pura, n?? tutta senso n?? tutta sentimento, n?? tutta spirito n?? tutta materia? Come ha detto Sully Prudhomme

????????Tout ce que son g??nie ouvre en haut de carri??re
????????En bas la pesanteur ?? ses pieds l'interdit???

L'amore libero dovrebbe essere fondato sull'intimit?? fisica e morale degli amanti. Ma n?? il senso e il sentimento vanno sempre d'accordo, n?? vi ?? nel genere umano, come in tutto il mondo vivente, un assortimento cos?? rigoroso delle creature, una tale convenienza fra gl'individui presi a due a due, che le coppie siano indissolubili. I pi?? nobili fautori dell'amore libero non intendono gi?? che esso debba consistere nella possibilit?? di cambiare dall'oggi al domani di amante, nel rompere e riannodare le unioni continuamente, a capriccio: vogliono tutto il contrario. L'Albert, per esempio, dice espressamente che l'unione dev'essere unica e costante, che nel reiterare le prove prima di contrarla vi sarebbe ??sciupio di forza umana e disordine nell'economia della vita??. Ma la scelta della creatura unica con la quale poter vivere eternamente ?? impossibile, perch?? la creatura unica non esiste. Si ?? riso abbastanza dell'ansiosa e patetica ricerca dell'anima sorella al tempo che il romanticismo era in voga! Se ne ?? riso perch?? l'anima sorella, l'anima unicamente conveniente all'anima nostra, non c'??. Quando abbiamo creduto di trovarla, ci accorgiamo, pi?? o meno presto, che non fa pi?? per noi come credevamo dapprima, che non ?? pi?? quella che pareva, che ve ne sarebbero molte altre migliori, pi?? convenienti, o capaci, se non altro, di ridarci, nei primi tempi, l'illusione di una assoluta convenienza; e allora vogliamo riprovare quest'illusione, che ?? molto dolce paragonatamente ai disinganni prodotti dai malintesi, dal disaccordo e dalla guerra di tutti i giorni. E se l'amore libero non deve implicare la possibilit?? di mutare continuamente di amante, non sar?? anch'esso una specie di matrimonio? Il nome, pi?? che la cosa, sar?? mutato. Nel matrimonio attuale c'?? un dovere materiale di restare accanto alla persona che abbiamo scelta; nell'amore libero ci sar?? un dovere morale; ma, oltrech?? il dovere morale dovrebbe essere pi?? rigoroso del materiale, qualunque dovere, sia materiale o morale, sia scritto o pensato, non ?? tutto il contrario del piacere? ??Non v'ha nulla che ci tenti come le cose proibite. Non vi sono persone altrettanto disposte a odiarsi e fuggirsi come quelle alle quali ?? stato comandato di restare insieme??. Parole delle quali nessuno pu?? negare la verit??: ma quando i nuovi amori, dopo la prima unione libera, saranno vietati, non pi?? dal codice, dai giudici e dai carabinieri, ma dalla nostra coscienza, dal ricordo del primo impegno, dal rimorso di annullarlo, il frutto proibito cesser?? forse di eccitare la nostra bramosia?

La societ?? moderna ?? contro l'amore, dicono, perch?? gli antepone la propriet??, il denaro, il ventre; viceversa l'amore si vendica terribilmente, producendo drammi, tragedie, rovine d'ogni sorta e affermando cos?? la propria onnipotenza. Questi sono fatti e non si possono negare. Ma che cosa significano essi? Significano che tra l'amore e l'amor proprio, fra l'istinto della conservazione individuale e quello della riproduzione della specie, c'?? un contrasto, un dissidio, un conflitto. Certo, considerati all'origine, i due istinti si possono identificare: l'individuo si conserva per riprodursi, e si riproduce per conservarsi, per non perire del tutto, per durare in un altro individuo a lui simile e da lui generato. Ma questa identit?? essenziale, filosofica e metafisica, non vieta che realmente, praticamente, nella specie umana, che i due istinti vengano in urto, e che ora vinca l'io ora l'altro o l'altra; che ora trionfi l'amore, ora il denaro; ora gridi il ventre, ora??? un altro organo. E se il ventre ha, come dicono i critici della societ?? attuale, pi?? culto ed onore che non l'amore, ci?? dipende appunto dal fatto naturale che l'istinto della conservazione, nella nostra specie, opera continuamente, incessantemente, dal primo all'ultimo giorno della vita, ed ?? assolutamente indomabile; mentre quello della riproduzione comincia ad operare un buon tratto dopo la nascita, finisce di operare prima della morte,???della morte naturale, per vecchiezza,???n?? opera continuamente, ma ad intervalli, ed ?? anche, relativamente, domabile. ??Nella sfrenata concorrenza degli appetiti,?? dice l'Albert, ??nel conflitto mortale dei bisogni, l'uomo moderno si sente perduto se si disvia dal segno al quale ?? ribadito: nutrire il proprio corpo. Egli sa inoltre che l'ebbrezza d'amore trascina lungi dai calcoli meschini e che l'amore disperde le pi?? elementari precauzioni dell'interesse personale??. ?? difficile dir meglio. S??, l'istinto della riproduzione, dal quale dipende il sentimento dell'amore, questo istinto che dovrebbe fare tutta una cosa con quello della conservazione personale, quest'amore che dovrebbe confondersi con l'amor proprio, gli si oppone, invece, terribilmente; ma non sempre: quello che opera sempre, che urla sempre, ?? il bisogno di nutrire il corpo. Ma, se ?? cos??, ?? naturale e fatale che la societ??, cio?? l'insieme degli individui umani, posponga l'amore all'amor proprio. Se ?? cos??, possiamo sperare che la passione d'amore si affrancher?? dalle passioni strettamente egoiste? Sciaguratamente, se ?? cos??, noi dobbiamo prevedere che il dissidio durer?? finch?? durer?? l'attuale costituzione organica dell'animale-uomo.

L'amore libero, dice l'Albert, dev'essere ??la vita sessuale indipendente dalla vita individuale??. Ma questa indipendenza, questa autonomia, non esiste. Prima di tutto le due vite, i due istinti operano insieme in uno stesso individuo e lo sospingono in vario senso e vengono in contrasto; poi, e qui ?? la gravit?? maggiore, mentre ciascun individuo ?? indipendente e autonomo nell'esercizio della vita sua propria, dipende strettamente dall'individuo dell'altro sesso per l'esercizio della vita sessuale. E dal contrasto appunto di questa parziale indipendenza e di questa parziale soggezione, nasce un'altra enorme serie di inconvenienti. E se pure ciascun individuo di un sesso, soffrendo del contrasto, trovasse nell'individuo dell'altro sesso un contrasto egualmente forte, meno male ancora; ma nei due sessi la forza di questo contrasto ?? diseguale. Una delle cose pi?? notevoli, nelle relazioni dei sessi, ?? questa: che mentre essi sono entrambi egualmente necessar?? a compiere l'ufficio della propagazione della vita, l'appetito dell'amore ?? pi?? gagliardo negli uomini che non nelle donne, in tutti i maschi animali che non nelle femmine. E di qui un numero infinito di altri danni.

Il padre Roesler ha lodato la verginit?? ed affermato che essa sarebbe, come fu, una soluzione della quistione femminista. Ora, se egli pu?? dire e credere questa cosa, ci?? accade perch?? la verginit??, l'astinenza, ?? nelle donne relativamente facile, mentre agli uomini ?? molto pi?? difficile. Ma poniamo che tutte le donne capaci di castit?? si ritraessero dal mondo: esse avrebbero risolto il problema per conto loro; per tutte le rimanenti e tutti i rimanenti, cio?? per il consorzio umano, la quistione si aggraverebbe; poich??, scemato il numero delle donne disponibili, la lotta sessuale diverrebbe acutissima. E quando si dice lotta sessuale, non s'intende soltanto quella che i maschi, che gli uomini concorrenti e rivali, sostengono tra loro; ma anche, e principalmente, quella tra uomini e donne. Questa lotta esiste ed ?? sempre esistita, non solamente nel genere nostro, ma anche in tutto quanto il regno organico: ai nostri giorni la biologia e la psicologia non hanno fatto altro che metterla in evidenza; nel momento che scrivo, uno studioso italiano, Pio Viazzi, ne ha fatto oggetto di un libro, intitolato appunto La lotta di sesso.

I sessi implicano diversit??; senza diversit?? essi sarebbero un controsenso. Le diversit?? non sono soltanto negli organi, ma anche nelle funzioni, negli atteggiamenti, negli appetiti. Il maschio ?? attivo e ardente; la femmina ?? passiva e tepida. Questi due esseri diversi sono destinati ad accoppiarsi, a intendersi, ad amarsi; e ci?? accade realmente, e la legge d'amore regola il mondo; ma l'intesa non si avvera semplicemente, facilmente, subito: al contrario, ?? preceduta da una contesa, e prima, durante e dopo l'amore c'?? un lievito d'odio. ??L'amore,?? dice ancora l'Albert, ???? fatto di uguaglianza??. No, purtroppo,???o per fortuna. Giacch??, se l'attrazione ?? un bene, una fonte di piacere, essa nasce dalla diseguaglianza, dalla diversit??. Ma la diversit?? non ?? cagione soltanto di attrazione, o di attrazione pura: l'avversione, fatalmente, la intorbida. ??Oggi,?? continua l'Albert, ??l'uomo e la donna stanno l'uno in faccia all'altra nella situazione di due esseri d'ineguale importanza. La nozione d'una stretta equivalenza non ha potuto ancora stabilirsi fra le due serie di esseri che collaborano per una parte eguale, sebbene in modo diverso, all'opera vitale??. S??, uomini e donne importano egualmente; ma i loro portamenti sono diversi; e la diversit?? dei portamenti non ?? piccola, lieve, trascurabile o semplicemente correggibile. In avvenire, prevede questo scrittore, in una civilt?? migliore, pi?? pura, pi?? disinteressata, veramente civile, ??l'amore non implicher?? pi??, come oggi, quella parte di odio che allontana l'idea dell'unione vera, franca e leale. Non sussister?? pi??, tra l'uomo e la donna, quel secreto pensiero d'ineguaglianza che d?? tanto spesso all'amore moderno il carattere d'una lotta snervante e subdola??. Questa cosa accadr?? se la natura degli esseri umani cambier??; finch?? saranno come sono, e come sono sempre stati, la lotta continuer??. Non ?? sempre esistita? Lo stesso Albert, che pure accusa la societ??, non dice che le diverse abitudini morali degli uomini e delle donne sono effetto ??d'una lunga tradizione e di una costante esperienza??? Ora dai fatti di esperienza costante derivano le leggi; e la lotta sessuale ?? una legge della quale possiamo dolerci, ma contro la quale la buona volont?? ?? inefficace. ??Le brutalit?? passionali, come tutte le altre, sembrano essere il risultato degli ostacoli che la societ?? oppose all'espansione degli individui??. Ma negli ostacoli opposti dall'ordinamento sociale si potr?? trovare l'occasione delle brutalit??: la loro ragione, la loro origine ?? nella inimicizia, nell'avversione che si sovrappone all'amore. Quando i maschi e le femmine animali si feriscono, si dilaniano, si uccidono, ci?? non accade per gli ostacoli frapposti dal gregge o dallo sciame; ma perch?? ?? maschi non intendono le femmine, e tanto meno le femmine intendono i maschi; e il risultato finale dell'intesa, che pure si ottiene, ?? pagato con le violenze, gli errori, gli orrori e i dolori.

La prostituzione ?? una piaga, una vergogna, un danno. Noi possiamo rintracciarne le origini sacre e le profane; possiamo denunziare e combattere le condizioni che la favoriscono, le occasioni che la provocano: ma la causa prima, la ragione essenziale che la fa sussistere ?? ancora nella diversit?? dei sessi, nel maggior prezzo che ha l'amore, la sensazione d'amore, per l'uomo; nel minor prezzo che ha per la donna: il pagamento ristabilisce l'eguaglianza: pagamento indiretto, ma pur sempre materiale, sotto forma di protezione, di aiuto, di compagnia; pagamento morale, sotto forma di gratitudine; pagamento diretto, brutale, col denaro. Quando le donne non si fanno pagare, gli uomini hanno il dovere di mantenerle, di sostenerle, o pi?? semplicemente di amarle. Il matrimonio ?? veramente molte volte una specie di prostituzione. Ma se noi sopprimeremo la societ?? attuale, col suo stato civile e con la sua moneta, i matrimon??-mercati, o per dir meglio le unioni-mercati sussisteranno, e la prostituzione con essa; perch?? noi non potremo impedire che la donna tepida o frigida calcoli e speculi sugli ardori maschili e si dia a quegli uomini dai quali crede di poter ritrarre maggiori vantaggi.

E, per concludere, l'amore libero come l'intende l'Albert, e come merita di essere inteso, ?? l'amore perfetto, l'ideale dell'amore, l'amore affrancato da tutte le soggezioni, l'amore sottratto ad ogni pericolo, l'amore garentito da ogni danno. I due istinti di conservazione e di riproduzione sono diversamente proporzionati: nell'amore libero debbono essere tutta una cosa. Fra l'autonomia e la dipendenza delle creature sessuate c'?? un contrasto: questo contrasto deve sparire. Il senso e il sentimento operano a volta a volta, o diversamente: queste alternative e queste diversit?? non debbono pi?? esistere. Ogni individuo d'un sesso pu?? amare una quantit?? d'individui dell'altro; questa possibilit?? deve finire, ci dev'essere invece un rigoroso assortimento di tutte le coppie. Uomini e donne vedono, pensano, operano diversamente: essi devono ridursi eguali in tutto??? o quasi in tutto.

Questo ?? uno dei caratteri salienti del tempo nostro: la credenza e la previsione che le fatalit?? naturali dalle quali ci vengono i danni si possano combattere, eludere e sopprimere. Ma, dall'altra parte, se non si credesse cos??, se non si nutrisse questa speranza, se tutti fossimo convinti che tutto ?? ineluttabile, che cosa faremmo????

DUE CIVILT??

Fino a pochi anni addietro, quando i sociologhi in vena di profezia si proponevano la quistione della fine della nostra civilt??,???giacch?? le civilt?? fioriscono e finiscono come tutte le altre cose di questo mondo,???i sociologhi, dico, pensavano che la civilt?? nostra soccomberebbe per opera di una nuova grande invasione barbarica, e vedevano nei Cinesi il nemico formidabile. Innumerevoli, le orde dei Gialli caudati si sarebbero rovesciate dai vergini altipiani asiatici sui vecchi paesi europei, ed avrebbero tutto abbattuto e travolto.

In pochissimo tempo non solamente l'ipotesi si ?? dimostrata fallace, ma il fatto contrario, l'invasione europea in Cina, ha cominciato ad avverarsi. Comunque, le due razze stanno per venire in urto: il caso ?? degno d'esser considerato.

I.

Gli uomini vogliono e debbono intendersi; ma non vi riescono facilmente, alla prima. La Cina ?? un paese tanto diverso dal nostro, e di accesso cos?? difficile, che i libri dei viaggiatori europei non ne danno un'idea adeguata. Posto anche che l'accesso fosse agevole, e la diversit?? non troppo grande, saremmo noi buoni giudici in casa altrui? Certo, se si trovasse un Cinese a cui la nostra civilt?? fosse familiare, costui potrebbe meglio di ogni altro svelarci il suo paese. Questo Cinese si ?? trovato, ed ?? il colonnello Tcheng-ki-tong, addetto militare durante dieci anni all'ambasciata del Celeste Impero a Parigi. Disgraziatamente lo scrittore asiatico ci rassomiglia troppo, se non altro nella pretesa di mettere il naso nelle faccende altrui; perch?? nel suo libro intitolato I Cinesi dipinti da loro stessi non tanto dipinge i suoi connazionali, quanto critica noi???

??Il carattere essenziale della civilt?? europea??, dice egli, ???? di essere invadente. Non ho bisogno di dimostrarlo. In altri tempi le orde dei barbari invadevano egualmente, non gi?? per diffondere i benefiz?? d'uno spirito nuovo, ma per saccheggiare e rovinare gli Stati fiorenti. Gl'inciviliti seguono oggi la stessa via, ma presumono d'instaurare cos?? il regno della felicit?? sulla terra. La violenza ?? il punto di partenza del progresso. Mi lusingo di poter credere che il metodo non ?? perfetto?????.

Gli daremo noi torto su questo punto? Avr?? ragione la civilt?? europea di imporsi con le cannonate? I suoi benefiz?? sono tanti da farle perdonare i mezzi cruenti? Leone Tolstoi risponderebbe subito no; Federico Nietzsche affermerebbe che il diritto del pi?? forte basta a legittimare la lotta dei popoli progrediti contro i pi?? deboli???. Certo il colonnello Tcheng-ki-tong ha ragione di dolersi perch??, dischiusi i porti cinesi ai commercianti europei, le prime cose che questi importarono furono le armi da fuoco. ??Domandate a un Cinese come chiama gl'Inglesi; vi risponder??: mercanti d'oppio. Allo stesso modo vi risponder?? dicendo che i Francesi sono missionar??. Egli non conosce altrimenti questi stranieri; e si capir?? facilmente che ne serbi un ricordo indelebile, poich?? i primi rovinano la sua salute a spese della sua borsa, e gli altri sconvolgono le sue idee. Io qui accerto soltanto il fatto; perch?? pu?? darsi, in fine dei conti, che l'oppio e le religioni nuove siano progressi straordinar???????.

L'ironia del colonnello ha ben altri soggetti intorno ai quali esercitarsi. Che la civilt?? della Cina sia antichissima ed originale, che questo popolo relegato in fondo al maggior continente, oltre i monti e oltre i mari, chiuso da una muraglia di sassi e da un'altra, pi?? salda, di idee, di giudiz?? e di pregiudiz?? tutti suoi, sia pervenuto da solo, senza sussidio straniero, a un'altezza morale e a un ordinamento sociale degni di molto rispetto, non si pu?? ragionevolmente negare. A chi lo considera come barbaro, sublimando invece le idee, le abitudini, i costumi nostri, il colonnello Tcheng-ki-tong d?? pertanto qualche lezione molto sottile.

??Gli esemp?? dei sacrifiz?? abbondano nella nostra storia nazionale. Cos?? taluno si spoglier?? del proprio vestito per darlo all'amico povero incontrato per via. Questo caso ?? molto frequente; ma i caritatevoli non sono da noi santificati come San Martino?????. Fare il bene, in Europa, ?? cosa straordinaria e meravigliosa; in Cina assistere gli amici ?? un uso, non una virt??.

??Io ho tentato di spiegare ai miei compaesani che cosa s'intende per matrimonio di convenienza; essi hanno sempre capito che fosse un atto di commercio, un affare?????. Questa botta ?? tanto pi?? felice, quanto che in Cina i matrimon?? si fanno dalle famiglie, senza che gli sposi si conoscano prima del giorno delle nozze; ma tutto lo studio dei parenti ?? di sceglier bene, badando alle qualit?? morali, e non alle doti. E i matrimon?? si fanno senza assistenza di autorit?? civili o religiose, solo dinanzi alle famiglie degli sposi, agli amici e a Dio,???quasi come vorrebbero i fautori dell'amore libero??? E i vecchi celibi e le zitellone sono d'una rarit?? straordinaria; e c'?? il divorzio, ma se la legge lo permette, l'uso lo biasima, e pochi, nei casi estremi, lo praticano. La moglie, in Europa, diventa minorenne, ?? posta sotto tutela, non pu?? disporre neanche di ci?? che le appartiene: in Cina pu?? vendere e comprare, firmare effetti di commercio, accasare i figli, dar loro la dote che crede, e via discorrendo. Esiste laggi??, ?? vero, il concubinaggio, che agli Europei non parr?? istituzione molto delicata; ma, in Europa, ??col pretesto della delicatezza, si commettono delitti pi?? grandi, quando i figli illegittimi sono buttati via?????.

Passiamo alle invenzioni, alle scoperte, che sono il vanto della civilt?? occidentale. Molti e molti secoli prima di noi i Cinesi trovarono la polvere da sparo; ma se ne servirono per tirare fuochi d'artifizio, non gi?? ??per far saltare il mondo??; e trovarono anche la stampa, ma non la impiegarono ??a corrompere gli spiriti e ad eccitare le passioni inutili??. I Cinesi non hanno accettato le ferrovie, perch?? non hanno giudicato necessario correre all'impazzata; ed anche perch??, lacerando esse la faccia della terra, passando sulle tombe, offenderebbero il sentimento di religioso rispetto che quel popolo nutre per i morti e gli antenati. ??I nostri popoli non si sono dunque ancora decisi a lasciarsi invadere dal cavallo di fuoco; e veramente non si pu?? farne loro una colpa, se si pensa che lo stesso Istituto di Francia rifiut?? di ammettere la scoperta di Fulton, relativa all'adattamento del vapore alla locomozione delle navi. Essi meritano pure altrettanta indulgenza quanta i dotti dell'Accademia..??.

Noi non staremo a confutare il bravo colonnello; ma vedete che egli ?? a giorno delle nostre cose molto meglio che noi delle sue. Quando parla dei proverb?? cinesi, concettosi e pratici, in gran parte simili agli europei,???giacch?? l'uomo, chi ben guardi, ?? sempre e dovunque lo stesso,???egli dice che ve ne sono alcuni capaci di offendere le orecchie francesi, e soggiunge che non li ha tradotti non conoscendo abbastanza il latino da poterli travestire. ??Ma forse un giorno mi decider?? a riparlarne, quando avr?? letto Rabelais?????.

Tcheng-ki-tong ha trovato i massimi soggetti di stupore in societ??, nella buona societ??. Se un attore ?? invitato in un salotto parigino, ha il posto d'onore; i gentiluomini e gli accademici passano in seconda linea. ??In Cina noi osserviamo un'etichetta rigorosa. Mi dicono che rispettarla, in Francia, non ?? ben fatto: lo credo?????. E l'assalto dei buffets, nelle grandi feste ufficiali! Un Cinese che osservasse le cose d'Europa con la leggerezza degli Europei nel giudicare quelle cinesi, potrebbe scrivere nelle sue note di viaggio: ??Le persone che compongono la classe pi?? alta, quando sono in presenza del Capo dello Stato, non si mettono a tavola, ma vi si precipitano con furia guerresca?????. In Cina le donne si riuniscono tra loro; gli uomini non possono prender parte a questi convegni. ???? probabile che i nostri legislatori, diminuendo quanto ?? possibile il numero delle occasioni che possono mettere in presenza uomini e donne, abbiano agito nell'interesse della famiglia??. E nelle conversazioni cinesi ??le persone bene educate non parlano di politica??.

Che dire dell'abito europeo? Il colonello non capisce come noi possiamo vestirci con la orribile marsina, con la marsina livellatrice, comune ai servi ed ai signori. Sar?? forse perch?? in Europa regnano i princip?? liberali e democratici? ??Io domando ancora a me stesso, dopo dieci anni di soggiorno a Parigi, dopo tanti stud?? pazienti, quale pu?? essere, nelle istituzioni del mondo occidentale, il principio veramente degno d'esser chiamato democratico e liberale. Mi hanno parlato del suffragio universale: ma ?? una rosa dei venti, un principio senza princip?????. Cosa strana: nessuno potrebbe proporre l'elezione degli accademici per mezzo del suffragio universale senza coprirsi di ridicolo; e poi si ammette che il suffragio universale debba esso scegliere i legislatori. Crederei che scegliere i legislatori sia pi?? difficile che non scegliere gli accademici?????. In Cina, invece, solo lo studio e gli esami e i concorsi che provano il profitto negli stud??, portano gli uomini a tutti i gradi della scala sociale; e tutti i cittadini, indistintamente, hanno il diritto di concorrere; e i pi?? umili, gl'infimi, possono arrivare alle pi?? alte cariche dello Stato.

??Noi siamo pi?? di 400 milioni di abitanti in Cina??, dice ancora il colonello, ??e non abbiamo n?? notai, n?? avvocati; e i titoli di propriet??, gli atti, i contratti, in una parola tutte le cose che riguardano gli affari, non sono perci?? meno regolari che in Europa??.

E nondimeno egli non chiede che i Cinesi siano lasciati a godersi questa loro civilt??; n??, tanto meno, che l'Europa prenda esempio dalla Cina; chiede soltanto, e in verit?? non potrebbe essere pi?? discreto, che, se gli Europei vogliono diffondere in Cina ci?? che hanno trovato di buono, adoperino la persuasione, e non gi?? la forza. E riferisce un aneddoto per difendere i propr?? connazionali dell'accusa di essere refrattar?? alla civilt?? europea. ??In Francia, si narra, il popolo non volle sul principio mangiar le patate, perch?? gli furono imposte. Avevano reso la patata obbligatoria; il popolo non ne volle, non volle neppure assaggiarla. Fu necessario l'esempio della Corte; fu anche necessario, se la storia non mente, proibire le patate; e allora tutti ne mangiarono. Ecco la vera civilt??, quella che si fonda sulla conoscenza del cuore umano, il quale ?? lo stesso sotto tutte le latitudini??. E il buon Cinese aggiunge un motto che dimostra come egli abbia studiato anche i per finire dei giornali spiritosi: ??Quante patate, quanti pomi di terra (ricordiamoci che scrive in francese) non ci farebbero mangiare, con le belle maniere! Ma non hanno finora importato fra noi altro che il pomo della discordia!??

II.

La vera grandezza del popolo cinese, il suo massimo titolo al nostro rispetto,???e forse anche a qualche cosa di pi??,????? la sua morale. Un libretto dove il signor di Lanessan, gi?? governatore generale dell'Indo-Cina, ha raccolto con molta pazienza ed accorgimento tutte le massime dei libri sacri del Celeste Impero e dell'Annam, riassume chiaramente il pensiero etico e filosofico della razza gialla.

La filosofia, in Cina, non ?? privilegio di pochi studiosi: per una sessantina di lauree, i candidati sono laggi?? da dieci a dodicimila. Tutti indistintamente i Cinesi ricevono un'educazione filosofica; le sentenze pi?? importanti dei libri classici sono incise con caratteri d'oro sulle pagode erette ai gen??, sulle case dei letterati; sono spiegate ai figli dei contadini come a quelli dei Mandarini, nelle scuole aperte a tutti, frequentate da tutti, nelle citt?? sterminate come nei pi?? miseri villaggi. E che dicono queste sentenze?

Dicono, prima di ogni cosa, e contrariamente alle credenze dei popoli occidentali e cristiani, che la natura dell'uomo non ?? macchiata da peccati originali. La natura umana, nativamente buona, pu?? bens?? corrompersi, e appunto perci?? occorre dirigerla e sostenerla, sin dai primi anni, con l'educazione. Chi sar?? virtuoso sar?? felice; felicit?? e virt?? sono, secondo i moralisti cinesi, tutt'uno.

N?? essi credono all'eguaglianza degli uomini, Gli uomini sono tutti originariamente buoni; ma la natura dell'uno differisce da quella dell'altro. Alcuni di essi arrivano, ??senza soccorso straniero??, senza bisogno di meditare, di riflettere lungamente, a comprendere la legge del perfezionamento umano: sono gli uomini santi. Vengono poi, in seconda linea, gli uomini, saggi, i quali hanno bisogno di studiare molto, di sforzarsi, di vegliare assiduamente su s?? stessi per comprendere ci?? che ?? bene. Saggi e santi formano insieme la categoria degli ??uomini superiori??, i quali si distinguono profondamente, anche nell'apparenza, dagli ??uomini volgari??. Ma, per la loro stessa superiorit??, essi hanno molti doveri: primo fra tutti ?? quello di servire d'esempio agli altri. ??Gli errori dell'uomo superiore sono come lo eclissi del sole e della luna: se egli commette uno sbaglio, tutti lo vedono; se si corregge, tutti lo contemplano??. E non basta neppure che egli dia il buon esempio: bisogna anche che lavori direttamente a istruire gli altri uomini. In Cina l'istruzione non ?? obbligatoria, ma l'ignoranza ?? generale argomento di sdegno e di spregio. ??Quelli che pensano soltanto a mangiare e a bere tutto il giorno, senza impiegare la loro intelligenza a qualche oggetto degno di essa, fanno piet??. Non vi ?? il mestiere di barcaiuolo? Lo esercitino: saranno saggi, a paragone di prima??? Gli uomini hanno dentro di loro il principio della ragione; ma se, soddisfacendo gli appetiti, vestendosi di panni caldi, costruendosi comode case, mancano di istruzione, allora si avvicinano ai bruti??. Cos??, per effetto della diversa istruzione, gli uomini nativamente non eguali si allontanano ancora pi?? gli uni dagli altri; ma ciascuno pu??, a forza di volont?? e di perseveranza, divenire ??saggio??, arrivare alla categoria degli ??uomini superiori??. Meng-Tseu dice: ??Chi si mette a fare una cosa somiglia a chi scava un pozzo. Se, dopo averlo scavato fino a settantadue piedi, non continua fino alla sorgente, ?? lo stesso come non averlo cominciato??. Le persone i cui stud?? progrediscono poco, i cui sforzi per migliorarsi non riescono prontamente, non debbono scoraggiarsi: ??Ci?? che gli altri farebbero in una volta, esse lo faranno in dieci; ci?? che gli altri farebbero in cento, esse lo faranno in mille??.

Questa possibilit?? dell'eguaglianza nell'istruzione, nella conoscenza dei doveri, ?? la ragione dei costumi politici della razza gialla, i quali sono pi?? democratici di quelli dei paesi pi?? democratici d'Europa e di America; con questo, per??: che la democrazia non degenera mai in demagogia. Gli uomini del popolo, sanno che, volendo, col lavoro, con lo studio, con la buona condotta, avrebbero potuto sollevarsi, prender posto tra i ??saggi,?? tra i reggitori; perci?? non li odiano, non si ribellano ad essi. La gerarchia ?? scrupolosamente osservata: ciascuno sa obbedire e rispettare i superiori, e comandare e compatire i sottoposti.

Ogni uomo deve attendere a migliorare s?? stesso; per compiere questo dovere bisogna studiare ??l'essenza delle cose?? e ??i princip?? delle azioni??; cos?? si arriva a conoscere la propria ??destinazione??. Nel Ta-Hio ?? detto: ??L'uccello giallo mien-m??n dal canto lamentoso stabilisce la sua dimora nelle folte cavit?? delle montagne. Il filosofo ha detto: nel fissar l?? la propria dimora, esso d?? prova di conoscere il luogo della sua destinazione; e l'uomo sar?? da meno dell'uccello??? La ??destinazione?? dell'uomo ?? indicata dalle inclinazioni naturali; perch?? ciascuno consegua la propria, bisogna ??non snaturare le inclinazioni rette, come quella che ci fa evitare un odore sgradevole e amare un oggetto piacevole e seducente??. E la prima inclinazione, la pi?? retta, la fondamentale, ?? quella che unisce la madre al figlio e il figlio alla madre. Tutte le madri, senza che nessuno le ammaestri, hanno gli stessi sentimenti verso la prole; tutte intendono e contentano i loro piccoli prima ancora che questi sappiano significare i loro bisogni: i cuori delle madri e dei figli sono uniti dal pi?? saldo legame. Su questo legame ?? fondata tutta quanta la morale sociale, politica e individuale dei Cinesi: i sentimenti materni e filiali si debbono estendere ai prossimi, a tutti quanti gli uomini; il principe dev'essere ??la madre?? dei suoi popoli. ??Tutti dicono: l'impero, il regno, la famiglia. La base dell'impero esiste nel regno, la base del regno esiste nella famiglia, la base della famiglia esiste nella persona??. I femministi dovrebbero esserne contenti.

III.

Questa filosofia, invece, sembrer?? troppo semplice a noi occidentali, amanti dei voli metafisici, ricercatori appassionati della quadratura del circolo. Ma il pensiero cinese ?? semplice, pratico, positivo.

Noi perdiamo il nostro tempo intorno al problema del libero arbitrio; i Cinesi si contentano di dire, con Meng-Tseu: ??La natura dell'uomo somiglia al salice flessibile, l'equit?? e la giustizia somigliano a un canestro: con la natura dell'uomo si fa l'umanit?? e la giustizia come si fa un canestro con un salice flessibile??. Da noi filosofi e teologi si accapigliano a proposito della morte, dell'anima, della divinit??: in Cina queste polemiche sono ignote o molto pi?? rare. ??Ki-Lu domand?? come bisogna servire gli Spiriti e i Gen??. Il filosofo disse:???Quando non si ?? ancora in grado di servire gli uomini, come mai si possono servire gli Spiriti e i Gen??????Permettetemi, aggiunse il primo, che ardisca domandarvi che cosa ?? la morte????Il filosofo disse:???Quando non si sa ancora che cosa ?? la vita, come si potrebbe conoscere la morte??? Pertanto la morale cinese non insegna ad aspettare il premio e il castigo delle azioni in un'altra vita, in un mondo migliore: i buoni, i laboriosi, i saggi, sono premiati in terra dall'affezione dei parenti, dalla devozione degli amici, dal rispetto dei concittadini, dalla soddisfazione della loro propria coscienza; e cos?? pure in terra sono puniti i cattivi: chi uccide provoca la vendetta, chi ?? ingordo di lucro ?? disprezzato, e chi non adempie i propri doveri non avr?? mai posto fra gli uomini superiori, non potr?? mai istruire e governare gli altri uomini, che ??, secondo i Cinesi, il massimo premio del lavoro, dello studio e della virt??.

Altra differenza col nostro modo di vedere. Secondo noi, in tutta la natura si combatte per l'esistenza; i Cinesi, quantunque vedano che gli esseri si nutriscono divorandosi scambievolmente, affermano tuttavia che non si fanno male tra loro. La lotta per l'esistenza, il cozzo degli elementi sono, secondo i Mandarini, accidenti che non infirmano le grandi armonie della vita e della natura. Come la loro filosofia ?? ottimista, cos?? la loro morale ?? altruista. Dicono anch'essi che non bisogna fare agli altri ci?? che non vorremmo si facesse a noi stessi; ma questa virt?? passiva non basta loro: soggiungono che bisogna fare agli altri ci?? che vorremmo fosse fatto a noi. ??Il filosofo disse:???Vorrei procurare ai vecchi un dolce riposo; agli amici ed ai conoscenti esser sempre fedele; ai piccoli e ai deboli prodigare cure materne??. L'egoista, chi bada soltanto al bene proprio, ?? infelice ??per una scodella di riso??.

?? curioso vedere come, nel senso della bont??, la morale cinese abbia gi?? detto ci?? che, da parte dei nostri moralisti, sembra pi?? nuovo ed ardito. Quando Meng-Tseu, per esempio, consiglia agli uomini superiori di non educare da loro stessi i figli, perch??, dovendo ricorrere alle correzioni e ai castighi, se ne potrebbero alienare gli animi, un lettore disattento del Hia-Meng potrebbe credere d'avere in mano un volume del Tolstoi. E come il Tolstoi se la prende con la giustizia, dicendola iniqua, cos?? il popolo, in Cina, ?? eccitato dai filosofi a resistere ai decreti e alle sentenze non giuste. E dove lasciamo l'avversione per la guerra? ??Se c'?? un uomo che dica:???Io so perfettamente ordinare e dirigere un esercito, io so perfettamente dare battaglia,???quest'uomo ?? un gran colpevole??. Mencio arriva sino a classificare le industrie secondo il bene o il male che i loro prodotti fanno agli uomini. ??L'uomo che fabbrica frecce ?? pi?? inumano di chi fabbrica scudi e corazze. Lo scopo di chi fabbrica frecce ?? di ferire gli uomini, mentre quello di chi fabbrica corazze e scudi ?? d'impedire che gli uomini siano feriti. La stessa differenza c'?? fra l'uomo il cui mestiere ?? di far voti di felicit?? alla nascita dei bambini, e l'uomo il cui mestiere ?? quello di costruire feretri. Bisogna perci?? stare molto attenti prima di scegliere una professione??.

Ed anche pi?? curioso ?? vedere come questa filosofia, la quale va tant'oltre nel senso della bont?? e dell'amore, racchiuda poi i germi delle dottrine ispirate da sentimenti opposti,???tanto ?? vero che la verit?? ?? complessa e sta nel mezzo. Gi?? quando i libri sacri della Cina parlano dell'??uomo superiore??, la mente ricorre subito al Superuomo del Nietzsche. Quando nel Lun-Iu si legge: ??L'uomo superiore non ?? un vano utensile impiegato agli usi volgari??? Chi non si crede incaricato di compiere un mandato, una missione, non pu?? essere considerato come uomo superiore??, pare di avere sott'occhio una pagina del Zarathustra. L'affermazione della ineguaglianza degli uomini conduce il filosofo tedesco e i Cinesi alle stesse conseguenze pratiche. Meng-Tseu dice: ??Gli uni lavorano con l'intelligenza, gli altri con le braccia. Quelli che lavorano con l'intelligenza governano gli uomini, quelli che lavorano con le braccia sono governati dagli uomini. Quelli che sono governati nutriscono gli uomini, quelli che governano sono nutriti dagli uomini. ?? la legge universale del mondo??.

Ma, fra i due estremi, fra le opposte sollecitazioni degli istinti e dei sentimenti, la morale cinese tenta una ragionevole conciliazione. E questo ?? il principale, il migliore, il pi?? invidiabile carattere alla dottrina di Confucio e di Mencio. Tra le massime pi?? concettose riferite dal Lanessan, alcune sono tanto belle, come idea e come forma, che meritano veramente di stare fra le nostre migliori.

??Chi pensa soltanto ad ammassare ricchezze non ?? umano; chi pensa soltanto a esercitare l'umanit?? non ?? ricco.

??Se siamo tre che viaggiamo insieme, trover?? necessariamente due istitutori: sceglier?? l'uomo dabbene per imitarlo, e il cattivo per correggermi.

??Non dobbiamo affliggerci di non esser conosciuti dagli uomini; ma, al contrario, di non conoscerli noi stessi.

??Amare, e riconoscere i difetti di chi amiamo; odiare, e riconoscere i pregi di chi odiamo, ?? cosa ben rara sotto il cielo.

??Fau-Tchi domand?? che cosa ?? la virt?? dell'umanit??; il filosofo disse:???Amare gli uomini. Domand?? ancora che cosa ?? la scienza; il filosofo rispose:???Conoscere gli uomini.

??Se, la mattina, avete udito la voce della ragione celeste, la sera potete morire??.

VINCITORI E VINTI

La guerra tra la Spagna e gli Stati Uniti d'America ha rivelato molte cose che non era difficile prevedere, ma che pure hanno destato qualche stupore in pi?? d'uno.

Alla stessa guerra molti non credettero, non vollero credere finch?? l'eco delle cannonate non li costrinse. Che la vecchia Spagna ingorda e prepotente fosse disposta, come in altri tempi, a menar le mani, costoro ammettevano senza difficolt??; ma che la giovane e civilissima America assalisse il popolo spagnuolo, sia pure per ??liberare?? Cuba e le Filippine, non concedevano. L'America che non aveva eserciti, che non ne aveva voluti, che si era pensatamente astenuta dalle contese politiche, che badava soltanto a s??, alla sua prosperit??, si sarebbe difesa come una leonessa se l'avessero aggredita; ma per nessuna ragione avrebbe dato l'esempio dell'aggressione. ?? vero che, qualche diecina d'anni addietro, gli Americani si erano fraternamente sgozzati tra loro; ma ci?? non era stato senza una grave ragione; e poi, tanto tempo era passato, e quella nazione aveva tanto rapidamente progredito! Essa ci era additata come maestra di tante cose, come un modello di perfezione: duole vedere, quantunque bisognasse pure ricordare, che la perfezione non ?? di questo mondo.

Scoppiata la guerra, si videro, come in tutte le altre guerre, gli spettatori tenere dagli uni o dagli altri; ma poche volte le contrarie ragioni dei belligeranti sono state sostenute con tanto calore e simpatia. Di questa discordia, e delle sue cause, non sar?? inutile dire qualche cosa.

I.

Nell'aprile del '98 Pierre Loti, il poeta del mare, il pittore dei paesaggi esotici, il romanziere delle signore, si trovava in Francia, a Hendaye, presso il confine spagnuolo, quando lesse sui fogli pubblici che gli Stati Uniti movevano guerra alla Spagna. Alla notizia dell'aggressione americana egli ebbe improvvisamente coscienza delle sue simpatie per gli aggrediti. Corse a Madrid con l'incerta speranza di poterli servire, di poter versare il proprio sangue per loro. Dissero alcuni che egli era andato per chiedere di poter fare il corsaro contro gli Americani: ??Ahim????, scrive egli, ??quanto rimpiango che non sia vero e neppure possibile!?? Non glie ne manca il desiderio, bisognerebbe per?? avere una nave da corsa che potesse filare venti nodi, almeno.

Non potendo battersi, egli manifesta come pu?? le sue simpatie per il popolo castigliano. Se, durante la guerra, gli Spagnuoli pensano a divertirsi e ad andare a spasso, dice che cos?? rivelano la loro nobile fierezza. ??Questo popolo ?? deciso e pieno di confidenza nel suo buon diritto, questo popolo ha il coraggio amabile, il coraggio allegro, la vecchia gaiezza latina,???comune agli Spagnuoli ed ai Francesi?????. Lo scrittore chiede un'udienza alla Regina reggente, e la prega di voler gradire la reverente espressione delle simpatie francesi. Nella stessa Corte, non che nel paese, egli trova ??la vera, la sana democrazia??, la democrazia che ?? sentimento della fratellanza umana. E giudica che il popolo sia pi?? sano che non in Francia, e ironicamente dice che esso ha bisogno di progresso, e dei benefiz?? dell'istruzione laica, e di molti giornali, e di meno incenso e di meno preghiere nelle vecchie chiese, per agguagliare la Francia??? E rimpiange i tempi andati, quando la Spagna avrebbe sicuramente vinto, perch?? il valore personale decideva le battaglie; mentre ora, ahim??, ??la guerra ?? divenuta brutta, putente di carbon fossile, chimicamente barbara; e i nemici d'Oltremare hanno pi?? denaro, pi?? macchine, pi?? petrolio?????. Nondimeno, nel veder sfilare i soldati spagnuoli, ??eroici sempre??, prevede che gli Americani potrebbero ancora aver la peggio, e che forse dovranno provare qualche sanguinosa sorpresa. E grida: ??Oll??, oll??, viva la vecchia Spagna, addormentata soltanto sotto la Spagna d'oggi, capace ancora di ridestarsi per una poesia, per una canzone, per una furia di chitarre?????.

Con meno eleganza di stile, le simpatie del romanziere per la Spagna furono espresse da moltissimi altri, l'anno scorso, in tutta l'Europa latina. Non furono tutte simpatie platoniche, si raccolsero anche denari: io conosco un ragazzetto di dieci anni che and?? attorno con la sua brava scheda di sottoscrizione e mand?? al ministro della guerra, a Madrid, un vaglia di dodici lire.

Molte cose spiegano questa simpatia. Tra i Latini, il sentimento dell'affinit?? di razza; tra i Latini e i non Latini la mancanza di cerimonie nella sfida americana, il presentimento che gli Spagnuoli fossero pi?? deboli, e che dovessero quindi fatalmente soccombere nella lotta ineguale; e da ultimo la secreta paura che un giorno o l'altro gli Americani possano far sentire la loro potenza al resto d'Europa.

Nel caso di Pierre Loti noi vediamo l'influenza d'un'altra causa. Come artista, egli ama e difende la vecchia Spagna pittoresca, cavalleresca e poetica, la Spagna di Cervantes e Lope de Vega, di Velasquez e di Murillo; la Spagna di Granata e dell'Escurial. Tra gli artisti come lui questo sentimento ?? generale; tanto pi?? notevole mi pare il caso d'un altro artista, latino come il Loti, che intende la forza e la grandezza americana.

II.

Quando uno scrittore riesce ad ottenere l'ammirazione universale non a grado a grado, provando e riprovando, ma d'un colpo, con un'opera singolare, il suo felice successo non ?? senza scotto; perch?? il pubblico, in ogni opera successiva, vorrebbe trovare le stesse qualit?? che lo sedussero nella fortunatissima; e non trovandole, se ne duole e quasi glie lo rimprovera. Gustavo Flaubert, dopo il trionfale incontro di Madame Bovary, ebbe un bel mettere fuori quel capolavoro di verit?? che ?? l'Educazione sentimentale, quei capolavori di fantasia e di erudizione che sono Salammb?? e la Tentazione di Sant'Antonio: i lettori lodarono moderatamente, scrollando il capo ed esclamando: ??S??, va bene; ma non ?? pi?? la Signora Bovary!????? La cosa and?? tant'oltre, che il romanziere, piccato, si mise in capo di riscattare la propriet?? letteraria di quel suo troppo fortunato volume, di ritirarne dal commercio tutti gli esemplari e di distruggerli, per non sentirsi pi?? chiamare ??l'autore di Madame Bovary??.

Io credo che un pensiero simile dov?? passare per la mente di Giuseppe Giacosa, quando gli entusiasmi eccitati dalla Partita a scacchi e dal Trionfo d'amore impedirono ai loro esclusivi e quasi gelosi ammiratori di apprezzare esattamente le diverse qualit?? delle altre opere sue. Al tenero e delicato cantore di Paggio Fernando e di Jolanda, al trovatore sentimentale, all'immaginoso evocatore del medio evo cavalleresco ed erotico, la maggior parte del pubblico, sedotta dall'arte squisita, richiese altri idill?? dello stesso carattere, evocazioni simili, versi di eguale fattura; e, non avendone, e trovandosi dinanzi a opere di tutt'altro sapore, fu ingiusto con esse.

I giudiz?? del nostro poeta sul popolo americano contribuiranno ad alienargli l'animo dei suoi primi ammiratori. Alcuni anni addietro, per assistere alle prove della Dame de Challant che Sara Bernarhdt doveva recitare in America, il Giacosa raggiunse la grande attrice agli Stati Uniti. Le sue Impressioni d'America sono il frutto di quel viaggio. Egli non parla, e non pu?? parlare della guerra; ma pochi libri spiegano meglio del suo le vittorie americane; perch?? pochi osservatori hanno saputo come lui cogliere ed esprimere ed apprezzare i caratteri essenziali del popolo e della civilt?? americana.

Leggete il capitolo su Nuova York: dalle prime righe il Giacosa fa notare come vi primeggi l'azione: ??la gran citt?? agisce prima di mostrarsi??; dalle prime pagine egli mostra la saldezza che hanno le opere umane laggi??. ??Fino dove l'occhio giunge, da ogni lato, nello spessore delle citt?? litorali, sopra l'immenso corno dell'Hudson, su pel gran braccio di mare della East River, ?? un accavallarsi di giganteschi edifiz?? che rappresentano nelle nebbiose lontananze un vario ondeggiare di colli digradanti al mare. Quelle moli hanno di lontano la gravit?? riposata delle cose eterne e sembrano sorte col suolo. Io non vidi mai in altri luoghi l'opera dell'uomo, sola, scompagnata da ogni elemento naturale, naturalizzarsi cos?? interamente e darmi un cos?? pieno inganno di paesaggio??.

Uno dei segni particolari dello spirito americano ?? l'individualismo, che spiega ad un tempo la forza e i difetti della razza yankee. Il Giacosa lo mette in evidenza e ne trova una causa nell'abitudine di operare e di attendere ai guadagni in luoghi lontani dalla casa, in quartieri che, finita la giornata di lavoro, restano vuoti, deserti. ???? certo che la casa, l'home degl'Inglesi, esercita sull'animo nostro un'azione mitigante, lo predispone e lo inclina all'esercizio delle virt?? altruistiche. Chi abbandona la mattina i dolci luoghi della vita domestica e va e rimane per traffichi fino a sera in luoghi dove non ne resta nessuna traccia, e dove non c'?? traccia nemmeno di altre vite somiglianti che gli ricordino la propria, si avvezza in breve a sdoppiare quasi interamente la propria natura, a separarne gli elementi affettivi dai volitivi ed intellettuali, lascia a casa l'umanit?? amorevole e soccorrevole per armarsi soltanto negli affari di un egoismo aspro ed ingrato??.

La permanenza dei caratteri etnici particolari alla razza nonostante l'esteriore uniformazione ai costumi europei, ?? ben dimostrata dal Giacosa nel capitolo sull'Intemperanza. ??A parole, i fashionables del caff?? Del Monico professano una estetica delicata che deve costar loro una continua autovigilanza. Quella tenuit?? di pensamenti e di movimenti, che ?? il non plus ultra della sciccheria, stride col loro fisico poderoso e bisognoso d'azione. Il formidabile individualismo onde trassero nel tempo ricchezza e grandezza, si adagia a stento nella disciplina convenzionale della nostra gente per bene. Quando si mettono per godere, vogliono godere oltre misura. Cento doganieri dell'estetica appostati sull'entrata di un salone a respingerne ogni oggetto non bollato per raffinatissimo, non possono impedire che la raccolta di troppe cose squisite esprima un gusto se non eteroclito, eterodosso. Ogni particolare della vita di quei gaudenti otterebbe l'accessit dal pi?? schifiltoso fra i dittatori della moda e della delicatezza parigina, ma il loro complesso tradisce per lo pi?? quella inclinazione a fare in grande che ?? propria degli arricchiti. Eppure esiste in America una aristocrazia plutocratica, i cui titoli nobiliari risalgono a nonni milionar??. Ma quel sottile smeriglio che ?? il milione da lungo tempo posseduto, non venne ancora a capo di levigare del tutto la ruvida scorza che sal?? dal ceppo agli ultimi rami. ?? certo che in America la lunga ricchezza non produsse ancora quello che a noi pare supremo fiore dell'eleganza spregiudicata e sicura: l'amore del semplice??.

Ma il Giacosa non augura niente affatto all'America l'estetica tradizionale; egli apprezza, al contrario, e loda quella particolare idea del bello non disturbata da preconcetti storici, quell'??estetica sociale?? adattata al benessere e confacente allo sviluppo della razza umana, che si viene formando oltre l'Atlantico ed ?? anche una delle nostre nuove inquietudini. Accortamente egli nota come una delle peggiori conseguenze del rispetto alle tradizioni, presso di noi, sia la paura del ridicolo, dalla quale invece gli Americani sono affrancati. ??Il ridicolo in America non fa presa, e dove non fa presa non esiste, perch?? non ?? che un fantasima creato dalla paura. Anche nei paesi latini, dove pu?? tanto, chi pi?? lo teme pi?? c'incappa dentro e, diciamolo, pi?? merita di incapparci. Il ridicolo ?? un prodotto delle societ?? da lungo tempo costituite, le quali finiscono sempre col chiudersi in un formalismo dommatico. Esso aiuta le serrate di classe, contrariando l'entrata d'ogni classe a chi ne sta fuori e l'uscita a chi ci ?? dentro. Cane di guardia dello statu quo, non morde mai chi si appaga a quel grado di mediocrit?? che tutti possono conseguire, ma si avventa contro i solitar?? che lo soverchiano. Educatrice a qualit?? discrete, a gentili eleganze ed a virt?? negative, la tema del ridicolo impigrisce l'esercizio delle attivit?? individuali e frena i movimenti iniziator??. Perci?? i paesi dove esso pi?? agisce sono spesso retrogradi e sempre consuetudinar??; e perci?? ivi l'eccentricit??, cio?? l'essere dissimile dai pi??, induce sempre un'idea di ridicolo. Ora se badiamo al procedere della civilt??, noi troviamo che il minor numero di uomini eccentrici s'incontra nei popoli stazionar?? e il maggiore nei progressivi. L'America informi??.

Originale, libero, pronto ad apprezzare tutto ci?? che ?? nuovo e vivo e utile, lo spirito americano si distingue ancora per quella particolare specie di scetticismo che il Giacosa definisce: ??previsione generica di doversi un giorno ricredere su tutte le cose attualmente credute?? e che non ?? ignota al pensiero europeo contemporaneo. Per??, mentre i discepoli del Renan e e gli ammiratori di Anatole France sono increduli e impotenti, l'incredulit?? degli Americani non attenua ??il consenso e la fede in quanto ?? oggi tenuto in conto di verit??;?? al contrario: ??la verit?? attuale prende nelle loro menti un carattere di tranquilla certezza e le move a praticarla con sicura energia. Solo sanno che la verit?? di oggi non ?? quella di ieri e non sar?? quella di domani. E quella di ieri fu ieri una propria e reale verit??, ed esercit?? tutti i benefici influssi che esercita la verit??, e sar?? una verit?? quella di domani, quantunque destinata a cedere il posto ad una successiva. Alle prime questo pare un linguaggio anfibologico, ma non ?? indifferente pensare che lo spirito umano proceda per via di successive verit??, piuttosto che di successivi errori. In sostanza la cosa viene a dire che i concetti di verit?? e di errore non sono assoluti, ma relativi; e negli effetti pratici se ne deduce la conclusione che ognuno deve aver fede nel tempo in cui vive e prenderlo sul serio ed agire in esso con sicurezza. Ogni verit??, anche se transitoria, ?? una forza. I dubbiosi non producono bene, perch?? agiscono tepidamente. Chi crede che l'azione che egli va compiendo corrisponda al vero, ci spende intorno la massima somma di energia ed opera senza esitazioni e senza mollezze. D'altra parte il sapere che il vero non ?? eterno n?? immutabile, rimove il pericolo degli accecamenti ostinati e dell'intolleranza. E perch?? la sicurezza ?? rasserenante e giocondatrice, questi spiriti hanno una gaia contentezza del presente ed una gaia aspettazione del futuro, e la loro ironia, scevra affatto di amarezza, si esercita tanto a spese delle fedi immobili, quanto del dubbio permanente??.

III.

Ma se all'ammirazione del Loti per la Spagna noi abbiamo potuto contrapporre quella d'un artista come il Giacosa per l'America, troviamo un altro scrittore, un sociologo, il Guyot, il quale se la piglia direttamente coi fautori dei Castigliani in un libro severo come una requisitoria: l'Evolution politique et sociale de l'Espagne.

Mentre il Loti loda la vecchia fede castigliana, il Guyot trova nella superstizione una delle maggiori cause della decadenza del popolo iberico e della perdita delle sue colonie. La superstizione si accan?? laggi?? dapprima contro gli Ebrei ed i Mori; quando li vinse, li disperse e li uccise credendo di aver fatto una gran cosa, il paese del quale questi lavoratori avevano formato la ricchezza si trov?? povero ed esangue. In ogni citt?? conquistata sui Mori un terzo delle terre apparteneva alla Chiesa. Nel principio del secolo XVII c'erano nello Stato 120 mila chiese e cappelle, 200 mila preti, 10 mila conventi popolati da 100 mila frati e monache: mezzo milione di Spagnuoli appartenevano al clero. A Salamanca quindicimila studenti non studiavano altro che Aristotile e San Tommaso. Cervantes mor?? francescano. E quando non vi furono pi?? Ebrei n?? Mori da perseguitare, l'Inquisizione perseguit?? gli stessi Spagnuoli cristiani. Essa imprigion?? gli arcivescovi, viet?? i bagni come costume pagano, si mescol?? nelle cose civili sino ad occuparsi delle riscossioni doganali. In soli trent'anni del secolo scorso condann?? quattordicimila persone e ne bruci?? vive settecentottantadue.

Nelle colonie, sino ad ieri, il regime clericale era sovrano. Le Filippine pagavano un tributo di 66 milioni allo Stato, e di 116 milioni ai preti ed ai frati. L'insegnamento, in quelle isole, era affidato ai domenicani; i quali proibivano la lettura di Paolo e Virginia. Il governatore aveva il titolo di Vice-Patrono della Chiesa. Per reazione, 25 mila persone si erano raccolte in 180 logge massoniche; una setta misteriosa, il Katipunam, si proponeva di scuotere il giogo dei frati e degli Spagnuoli. Qual era il risultato economico di tale stato di cose? Era questo: che le Filippine importavano dalla Spagna, dalla madre patria, il solo tredici per cento, e tutto il resto dall'Inghilterra e dalle colonie inglesi.

E in America? Il Messico, Cuba, tutte quante le terre occupate sul principio dagli Spagnuoli erano popolatissime. I teologi discussero se gl'Indiani pelli-rosse avevano un'anima, mezza anima, o niente anima: finirono con l'accordare loro un'anima, e questa fu la rovina degl'infelici. I Mori e gli Ebrei erano stati scacciati dalla penisola iberica; gl'indigeni furono soppressi nelle colonie. Cortes bruci?? vivi quelli che gli opponevano resistenza; Sandoval ne fece incenerire quattrocentosessanta in una citt?? sola. Las Casas dovette presentare a Carlo V una memoria sulla Distruzione delle Indie; un concilio se ne occup??, e nel 1543 fu decretata la protezione degli indigeni. Ma gl'indigeni da proteggere erano ridotti a ben pochi: un milione di essi erano stati distrutti nel Per??, a Cuba ne restavano appena quattromila. Quando non ce ne fu pi?? nessuno, i conquistatori si accorsero di aver fatto male a uccidere gli schiavi che lavoravano per loro; e allora cominciarono ad importare i Negri dall'Africa. Nel 1820 la tratta fu abolita ufficialmente, ma a Cuba continuarono ad arrivare da 30 a 60 negrieri l'anno. Nel 1885, data dell'abolizione definitiva, c'erano ancora venticinquemila schiavi. Anche qui le conseguenze di questo regime furono disastrose. Nonostante le tariffe combinate a posta per favorire il commercio della madre patria, nonostante tutti i monopol??, Cuba mandava alla Ispagna 38 milioni di franchi ogni anno, e agli Stati Uniti 340 milioni!

Un tempo, si osserver??, le cose non andarono cos??. Quando si pensa che il sole non tramontava mai negli Stati di Carlo V, quando si pensa che soltanto le colonie perdute dagli Spagnuoli durante questo nostro secolo si estendevano per sei milioni e mezzo di chilometri quadrati ed erano popolate da quaranta milioni di abitanti, si deve pur dire che, decaduta oggi, la Spagna fu strapotente in altri tempi. Il Guyot nega insino questa potenza passata. Egli riconosce che i Mori arricchirono la penisola, ma afferma che la miseria cominci?? con la loro cacciata. Il tesoro pubblico si esaur??; Alfonso X, nel 1261, coni?? monete calanti; il maestro di casa di Errico I non aveva pi?? credito a Burgos, e non sapeva come fare per nutrire il suo padrone. Scoperta e conquistata l'America, l'oro rinsangua le esauste finanze nazionali: si calcola che ne sia entrato in Ispagna per quattro miliardi, cio?? una media di quaranta milioni all'anno. Ma questo fiume d'oro serve ad alimentare la politica imperiale nei Paesi Bassi e in Germania; e le derrate crescono di prezzo, e la vanit?? e la boria nazionale aumentano, e con esse l'incapacit?? a lavorare. Invece d'un benefizio, quest'oro ?? una nuova causa di rovina. Filippo II, dopo San Quintino, non pu?? continuare la guerra per mancanza di denaro: egli batte moneta in ogni modo, insino annobilendo gli Ebrei mediante una tassa di cinquemila ducati. Filippo V vende sessantamila uffic?? municipali. Cervantes parla d'una proposta, secondo la quale ogni Spagnuolo dovrebbe essere obbligato a digiunare una volta il mese, ed a versare il prodotto di questa economia nel tesoro reale. Sotto Carlo II le difficolt?? sono senza fine maggiori: vendite di pubblici impieghi, doni imposti alle citt??, tasse straordinarie sui ricchi, diminuzione e soppressione di paghe: tutto serve a far denaro. I banchieri genovesi ne prestano al 25 e al 40 per cento. Quando il re muore, il cardinale deve fargli recitare a proprie spese le messe funebri. L'esercito si compone di ottomila soldati, dei quali met?? sono stranieri; la marina da guerra conta due soli vascelli in mediocri condizioni. La popolazione della penisola ?? ridotta a cinque milioni di abitanti, dei quali la marchesa di Villars dice che si nutrono ??fiutando il sole??.

Il quadro del Guyot ha tinte ancora pi?? fosche.

Prima delle colonie d'America, la Corona spagnuola aveva perduto i Paesi Bassi. Secondo Grozio, l'Inquisizione aveva fatto laggi?? centomila vittime. Il duca d'Alba vi port?? la strage, il saccheggio, tutti gli orrori. Appena una parte di quelle provincie si rende indipendente, tosto prospera, s'arricchisce, commercia con la Cina e il Giappone; la parte rimasta alla Spagna si trascina nella miseria finch?? non recupera anch'essa la libert??.

L'esperienza secolare non giova: Weyler, a Cuba, imita il duca d'Alba. Secondo i rapporti dello stesso governatore, nella provincia di Matanzas cinquantamila persone muoiono di fame e di miseria, centodiecimila in quella di Santa Clara, centotrentacinquemila in quella dell'Avana, ottantacinquemila in quella di Pinar del Rio; totale: trecentottantamila. Campos condanna alla deportazione, dalla quale nessuno ritorna, duemila Cubani sospetti; Weyler ottomila e quattrocento.

Fu guerra civile e fratricida quella dei Cubani e degli Spagnuoli? Ma gli Spagnuoli si sono dilaniati fra loro, nel loro stesso paese. Carlisti e Cristini hanno combattuto ferocemente durante mezzo secolo. Cabrera, dopo la battaglia di Moella, fece sgozzare cinquemila prigionieri. I ??pronunciamenti?? dei generali non si contano pi??: la parola castigliana ?? entrata nel patrimonio di tutte le lingue. Riego, Espartero, Narvaez e i loro compagni e seguaci sono a volta a volta padroni del paese, sciolgono e convocano le Cortes, fucilano le persone a centinaia senza giudizio, colmano le prigioni, vuotano il tesoro, confiscano i beni, incendiano le citt?????.

Se il Guyot rammenta e mette in evidenza tutte queste cose, egli non ?? gi?? mosso da eccessiva simpatia per gli Americani. Quando pu??, dice la verit?? anche a costoro. Le finanze spagnuole sono rovinate; ma le americane non prosperano. Per mantenere il regime protezionista ed esercitare in grande la corruzione elettorale, i governanti americani istituiscono le ??pensioni liberali??, trovano novecentomila veterani, vedove e figli di soldati della guerra di secessione; e, venticinque anni dopo che la guerra ?? finita, distribuiscono a tutti costoro le entrate delle dogane, settecento milioni di pensioni. E per proteggere i proprietar?? delle miniere d'argento, il Tesoro pubblico ?? costretto a sovraccaricarsi ogni anno di quattro milioni e mezzo d'oncie del metallo invilito! E il debito pubblico sale a pi?? di nove miliardi! E protezionisti a casa loro, questi Americani sfondano, per il vantaggio che ne sperano, le porte di Cuba tenute serrate dai protezionisti spagnuoli!

Nel dire tante amare verit?? agli ammiratori della Spagna, il Guyot ?? mosso pertanto da un altro sentimento: dal timore che la Francia sia trascinata ad una stessa sorte. Gl'Italiani che parteggiarono per il popolo iberico non avrebbero dovuto, per moderare i loro entusiasmi, temere dell'avvenire: sarebbe bastato che pensassero al passato. Il danno che noi avemmo dalla dominazione spagnuola fu tanto, che non ?? ancora cessato. Ecco un libro che lo denunzia e lo misura: la Descrizione del Regno di Napoli, composta nel 1713 da Paolo Mattia Doria, e pubblicata, dopo quasi due secoli, da Michelangelo Schipa. Per mantenere i loro domin?? tra noi, gli Spagnuoli corruppero, inquinarono, pervertirono i nostri costumi: la servit?? materiale, la schiavit??, sarebbe stata preferibile a quest'opera di dissoluzione sociale. Ma forse essi non intesero pervertirci, ci comunicarono semplicemente, naturalmente, i loro difetti e i loro viz??. E se riuscirono a comunicarceli, bisogna pure riconoscere che vi eravamo predisposti.

IL GENIO E L'INGEGNO

??A quel massimo degli umani intelletti, Paolo Sarpi, ragionevolmente parve lo straordinario ingegno una prontissima passivit?? a ricevere e riprodurre in s?? anco le minime impressioni degli oggetti o sensibili o intelligibili, e per?? non altro che una straordinaria e male invidiata malattia, la quale i moderni fisiologi nel moderno linguaggio chiamerebbero lenta encefalite??.

Queste righe di Pietro Giordani potrebbero trovar posto nei Precursori del Lombroso del dottor Antonini. Dove il prosatore piacentino diagnosticava una encefalite lenta, i filosofi contemporanei vedono, con l'autore dell'Uomo di genio, una nevrosi, una psicosi, una forma di epilessia. Max Nordau ?? stato seguace tanto fervente del Lombroso, che ha esteso la teoria oltre le intenzioni del maestro, sino a considerare la pi?? gran parte degli ingegni artistici universalmente ammirati ai nostri giorni come il prodotto di una degenerazione; e Degenerazione appunto ha intitolato il libro nel quale ha discusso l'opera del Wagner e del Baudelaire, del Nietzsche e del Verlaine, del Tolstoi e del Maeterlinck, dello Zola e dell'Ibsen, non gi?? da critico, ma da clinico; e da clinico non pietoso e neppure sereno, ma sgraziato e furioso contro i pazienti. Ora egli mette fuori un volumetto sulla Psico-fisiologia del genio e dell'ingegno, dove il lettore si fermer?? stupito a questo passo: ??Se io non dico nulla sulle cause che producono il genio, perch?? sono ancora ignote, dir?? qualche parola sulle relazioni del genio con la pazzia. Altri ha voluto assimilare le due cose. Per un gran numero di alienisti il genio ?? una nevrosi. Il mio illustre maestro Lombroso ?? pi?? preciso: il genio ?? una forma di epilessia; dunque sempre patologico, dunque sempre degenerato. Io credo che questo sia un errore?????.

?? proprio Max Nordau quello che scrive cos??? Abbiamo in mano un libro dell'autore di Degenerazione, o non piuttosto quella Fisiologia del Genio dove Giovanni Gallerani ha sottilmente confutato le affermazioni del Lombroso e della sua scuola intorno alla natura patologica delle menti sovrane?

Le parole citate sono proprio del Nordau. E se il caso d'un discepolo ribelle al maestro ?? sempre notevole, tanto pi?? notevole ?? questo, quanto che si riferisce ad una quistione palpitante, come si dice, di attualit??.

I.

Veramente il Nordau non crede di essersi ribellato al Lombroso, ed ?? sicuro di essere rimasto d'accordo con s?? stesso. Egli distingue i gen?? autentici da quelli che ne usurpano il nome ed il posto; e dice che, mentre il genio falso ?? certamente degenerato, il vero genio non ?? insano; pu?? talvolta patire gravi disordini cerebrali, ma non gi?? perch?? nativamente infermo, bens?? come scotto della rara potenza dei suoi organi. Lo scrittore crede pertanto di non lasciarsi cogliere in contraddizione: se nel suo primo libro diede nominatamente dell'idiota e del mentecatto a tanti ingegni novatori, ora li mette tutti in un fascio, biasimando che si chiami genio ??l'imbecille estatico che si atteggia a profeta o ad artista e che sbalordisce con la sua assurda stravaganza la parte pi?? disgustosa dell'esercito dei filistei: gli snobs estetizzanti?????.

Ma il tentativo del Nordau per evitare la contraddizione non ?? riuscito. Lasciamo per un momento da parte la distinzione fra gen?? autentici e pseudo-gen??, fra gen?? di primo e di ultimo ordine: consideriamo il genio cui il Nordau concede di chiamarsi tale. Come il Gallerani, egli dice che la potenza di questo spirito straordinario, non solo non dipende da una lesione, da una infermit??, ma ?? anzi l'effetto della perfezione, organica. Note anatomiche speciali egli nega al semplice ingegno; negli uomini d'ingegno non si troverebbe un sostrato organico particolare, uno sviluppo tutto proprio dei centri nervosi. Ogni uomo normalmente costituito pu?? quindi essere uomo d'ingegno e riuscire ottimamente in una disciplina qualunque. Portando alle ultime conseguenze questo suo concetto, il Nordau afferma che l'ingegno non esiste, o almeno che con questo nome non bisogna intendere nulla di specifico: le persone che emergono in una determinata scienza o arte debbono questo risultato non ad una speciale qualit?? del loro cervello, ma al caso, cio?? alle circostanze esteriori per forza delle quali furono spinte a coltivare quella scienza o quell'arte, e all'??applicazione??, cio?? alla severit??, all'assiduit??, alla coscienza con la quale la coltivarono.

Tale modo di vedere non persuader?? molti; gi?? il Sighele ha dichiarato che, senza la sua grande ammirazione per il Nordau, questa proposizione dello scrittore tedesco lo farebbe sorridere. Lo scrittore italiano giustamente osserva come tra due fanciulli posti nelle identiche condizioni, educati allo stesso modo, mandati a frequentare la stessa scuola, appariscano attitudini, vocazioni, tendenze diverse ed opposte: il fatto si ripete ogni giorno sotto i nostri occhi, e non si pu?? spiegare senza ammettere quelle doti innate, quelle capacit?? originarie che il Nordau disconosce. La vocazione per una determinata attivit?? ?? il pi?? delle volte, a suo giudizio, una cosa tutta negativa; in altre parole: un giovane si mette a studiare, per esempio, la matematica, non gi?? perch?? si senta chiamato alla scienza, ma perch?? ?? negato all'arte. Ora queste repugnanze, che sarebbero l'origine delle vocazioni, il Nordau le spiega con una deficienza organica, con una mancanza di sviluppo. Per non voler concedere un sostrato organico alle attitudini, egli lo ammette nelle inattitudini. ?? lecito dubitare dell'utilit?? di questa sostituzione e credere che sarebbe stato pi?? semplice assegnare un fondamento anatomico alle capacit??.

Negate le naturali qualit?? dell'ingegno, egli le riconosce nel genio, ed afferma che l'uomo di genio differisce dall'uomo normale per uno speciale sviluppo di due centri cerebrali: i centri del giudizio e della volont??. Ma dove siano e come siano fatti questi centri, egli non dice e non pu?? dire, perch?? ancora nessuno li ha visti. ??Quali sono??, giover?? riferire le sue stesse parole, ??questi centri, non sappiamo ancora esattamente; ma col tempo saranno scoperti??. Siamo dunque nel campo della pura ipotesi; e certo, data l'angustia dello spirito umano paragonatamente alla formidabile e paurosa grandezza dei problemi che gli sono proposti, l'ipotesi non ?? uno strumento da disprezzare; ma, prendendo le mosse da semplici supposizioni, il Nordau arriva a conclusioni troppo assolute e veramente discordi. La sua massima argomentazione contro il principio lombrosiano della patologia del genio ?? la seguente: asserito dapprima che il genio ?? evolutivo, egli stesso comincia a dubitarne, e presume soltanto che consista nella prima comparsa, in un singolo individuo, di funzioni nuove e perci?? di tessuti nuovi, o almeno straordinariamente modificati, i quali diverranno ??forse?? tipici nella intera razza; quindi chiede: ??Ora c'?? esempio che una neoplasia patologica sia evolutiva??? Egli ha gi?? dimenticato il ??forse?? di due righe prima, ha preso per un fatto comprovato ci?? che ?? e che egli stesso riconosce essere una mera ipotesi. E lasciamo anche andare che, mentre nelle operazioni del genio assegna una parte minima al caso, vuole poi che questo caso sia arbitro dei destini dell'ingegno; e lasciamo anche andare che, dopo aver fatto dipendere l'ingegno, oltre che dal caso, anche dall'??applicazione??, la quale non ?? altro che volont??, sostiene poi che solo nel genio il centro della volont?? ?? straordinariamente sviluppato, mentre nell'ingegno resta assolutamente eguale a quello di tutti gli uomini normali.

Si dovr?? pertanto affermare quel che il Nordau nega, cio?? che il genio e l'ingegno differiscono in quantit??, non mai in qualit??? La conclusione non ?? questa. Tra la costituzione fisiopsicologica dell'uomo comune e dell'uomo d'ingegno, di un qualunque militare, per esempio, e di un buon condottiere, non ?? possibile che non vi sia differenza alcuna, n?? di qualit??, n?? di quantit??; si potr?? tutt'al pi?? concedere che la differenza sia soltanto di quantit??; ma quella che passa tra un buon condottiere e Napoleone ?? senza fine maggiore, cos?? profonda e radicale, che Napoleone, l'uomo di genio, pare veramente d'un'altra tempra. Il concetto lombrosiano secondo il quale la diversit?? consisterebbe in una anomalia, ha fautori convinti ed avversar?? vivaci: certo ?? per?? che il Nordau, dopo averlo seguito, lo nega senza suggerirne uno pi?? soddisfacente.

II

Ora, come si spiega il mutamento dello scrittore tedesco?

Questa teoria lombrosiana ha suscitato, specialmente negli ultimi tempi, vivaci opposizioni; ma esse procedono da ragioni che non possono essere quelle del Nordau. Ha principalmente nociuto al concetto del Lombroso l'abuso che se n'?? fatto. Molti studiosi che lo condividono, e lo stesso maestro che lo ha formulato, ne hanno cercato e addotto nuove prove; ma le prove, certune almeno, si sono ritorte contro di esso.

Per esempio: Cesare Beccaria avrebbe patito di megalomania, perch??, come scrive il Verri, ??quando ?? lodato ?? pazzo di vanit??, ha dello spirito, ?? brillante. Fate che si cominci a trascurarlo, ch'egli per lo stesso principio vi abbandona e mette la coda in mezzo alle gambe come un bambino??. Ma ci?? accade non soltanto al Beccaria, sibbene a tutti i filosofi e ad ogni semplice mortale: la lode solletica e la trascuraggine umilia. ?? questo un sintomo patologico, o non piuttosto il giuoco naturale delle passioni, la legge eterna dell'umana natura? Il grado, l'intensit?? di questa reazione potrebbe dimostrarne la gravit??, il carattere morboso; ma noi non possiamo misurare le reazioni avvenute in chi non ?? pi??, sulla fede di ci?? che ne scrisse un amico, il quale per suo proprio conto obbediva alla stessa legge delle stesse passioni. La megalomania, da un'altra parte, pare che dovrebbe essere quella di chi ha un concetto di s?? troppo grande e sproporzionato alle reali sue qualit??; quindi il genio non potrebbe essere, per definizione, megalomane. E, per considerare un altro caso, tutte le volte che l'uomo si propone il problema metafisico, l'ignoranza e il dubbio lo inquietano e turbano: questo ?? un effetto naturale, non gi?? follia. Tanto pi?? che, dove manca il dubbio, dove si trova una fede cieca, la scuola antropologica vede un'altra follia, una monomania. In tutti questi casi, e negli altri simili, volendo trovare le prove morali della degenerazione e della pazzia, bisognerebbe procedere con somma prudenza; perch?? i giudiz?? sui fatti morali sono molto difficili, e discutibili, e discussi; e perch??, adducendo tutte le passioni e tutti i sentimenti come altrettante prove di pazzia, si potrebbe estendere il giudizio e considerare, secondo ha fatto un certo grossolano buon senso, tutto quanto il mondo una gabbia di matti, e per conseguenza non trovare in nessun luogo l'uomo sano o, come si dice, normale. Quindi, lasciate da parte le prove mal sicure, bisognerebbe cercare le valide e innegabili; invece, l'accumulazione delle prove dubbie d?? argomento di critica agli oppositori.

Ma questa non pu?? essere la ragione del mutamento del Nordau. Perch??, non solamente egli non s'inquieta dell'ambiguit?? delle prove; ma, al contrario, non ha proceduto, nella sua Degenerazione, se non per via di interpretazioni abusive, di esagerazioni arbitrarie, di deduzioni temerarie.

Un'altra ragione per la quale l'affermazione della nevrosi del genio dispiace e suscita opposizione ?? relativa all'importanza pratica della nuova teoria. Vi sono molti che la condividono, che la credono ormai innegabilmente dimostrata. Ma questi, pure riconoscendo che l'insistenza dei suoi propugnatori ?? legittimata dagli attacchi degli avversar??, pensano che le prove dubbie possano essere accettate ed accumulate per eccesso di zelo, e ne domandano naturalmente il perch??. La verit?? ?? sempre amabile in s?? stessa, anche quando non ?? feconda di conseguenze utili, di pratici adattamenti; ma naturalmente, umanamente, il maggior zelo si rivolge alla difesa delle verit?? utili; ora, quando si sar?? dimostrato a tutti, e insegnato anche nelle scuole, che i gen?? sono alienati e degenerati, qual ?? la conseguenza pratica e dov'?? l'utilit??? Si metteranno al manicomio, o si sopprimeranno, come a Sparta i deboli e contraffatti? No, certamente. Si cureranno le malattie delle quali sono infermi? Neanche, se le malattie sono lo scotto e la condizione del genio, se sono lo stesso genio. Allora, che cosa si far??? Niente, o ben poco. I gen?? non saranno soltanto ammirati, ma anche compatiti; non soltanto lodati per la loro grandezza, ma anche biasimati per le debolezze e gli errori; la qual cosa, in verit??, si ?? fatta sempre. Alcuni, tuttavia, combattono la teoria del Lombroso perch?? temono precisamente che sia diretta, o possa portare a comprimere, a deprimere i sentimenti d'ammirazione che il genio eccita nella mediocre e infima umanit??, e a scemarne l'importanza sociale. E ci?? che dice, per esempio, il Roncoroni, potrebbe avvalorare il timore. Questo studioso, che il Lombroso cita a titolo di lode, afferma che il genio, il genio quale si ?? manifestato finora, ??non ?? la pi?? elevata espressione della specie. Infatti, in esso si trova un grande sviluppo di alcuni elementi psichici che, per quanto elevatissimi, non sono, per le necessit?? del consorzio civile, e conseguentemente per il progresso della specie, cos?? necessar?? come quegli elementi, filogeneticamente pi?? evoluti, che in lui vediamo alterati??. Ci?? significa che la grandezza del genio ?? poco importante, ?? poco utile, mentre utilissime e importantissime sono le qualit?? che a lui mancano? La proposizione sarebbe innegabile se tutti i gen?? fossero grandi per un verso e deficienti per un altro; ma non pare che le cose stiano a questo modo; perch?? noi vediamo, a cagion d'esempio, un genio grandissimo per i sentimenti egoisti, come Napoleone, e un altro grandissimo nel senso diametralmente opposto, come Francesco da Assisi; la stessa opposizione vediamo tra il genio filosofico del Nietzsche e quello del Tolstoi; vediamo ancora altri gen?? grandi per la forza della fede, ed altri per la forza del dubbio, e via discorrendo. E se le buone qualit?? sono scontate dalle cattive, se le qualit?? buone non sono buone del tutto, e viceversa, i benefici effetti del genio compenseranno i perniciosi; i gen?? non saranno considerati n?? come indispensabili n?? come inutili al procedere dell'umanit??; e quella del compenso e dell'equilibrio parr?? veramente una delle maggiori leggi al mondo.

Ora, per tornare al Nordau, qui pare che sia propriamente l'origine del suo dissidio con la scuola italiana. Tutta la sua ipotesi dello sviluppo speciale di speciali centri nervosi tende a stabilire una gerarchia dei gen??, e delle facolt?? dalle quali dipendono, gerarchia in forza della quale la sensibilit?? e il sentimento sarebbero inferiori al raziocinio ed alla volont??. Le produzioni artistiche lo fanno sorridere perch??, derivando soltanto da una speciale potenza sensoria e sentimentale, eccitano commozioni, ma non suggeriscono pensieri. Volentieri egli ripeterebbe con un antico matematico al finire di una sinfonia: Qu'est-ce que cela prouve? Nulla, evidentemente: la Nona Sinfonia non prova nulla, ma il Binomio di Newton non fa nulla provare. Tuttavia tale distinzione non dev'essere tanto radicale, se ?? vero ci?? che alcuni matematici moderni vengono affermando e che il visconte d'Adh??mar ha ultimamente esposto in uno studio pubblicato nella Revue des deux mondes. Questi matematici, adunque, sostengono che con i loro lavori non pensano tanto di raggiungere certi risultati positivi, quanto di procurarsi una commozione estetica; e la geometria e l'algebra e tutte le scienze esatte non sarebbero soltanto fonti di un godimento artistico, ma anche supreme forme dell'arte. Se questo agguagliamento della scienza all'arte si deve giudicare effetto di una esagerazione, non meno esagerato in senso contrario ?? il concetto del Nordau, secondo il quale fra arte e scienza c'?? un abisso, e tutto il credito ?? da accordare alla scienza e l'arte ha un valore infimo. Un pianista come Listz ?? per lui altrettanto geniale quanto un perfetto ballerino: in entrambi l'eccellenza dipende dallo sviluppo dei centri di coordinazione dei movimenti. Il solo senso del colore produce un Mackart, cio?? un uomo che sa combinare abilmente le tinte piacevoli come le sanno combinare il clamidodera, il ptilonorinco ed altri uccelli australiani costruttori di pergole multicolori. Un Beethoven o un Raffaello egli concede che si distinguano dai cani ammaestrati: ma saranno da considerare come veri gen??? No. ??Se il genio ?? giudizio e volont?? a un grado di perfezione straordinario, che cosa far?? dei gen?? emozionali, dei poeti e degli artisti? Ho ancora il diritto di ammettere che i poeti e gli artisti possano essere gen??? Ebbene: questo diritto mi pare per lo meno contestabile?????. I gen?? di prim'ordine, i soli veramente degni del nome sono i grandi capitani, i grandi legislatori, i grandi ordinatori degli Stati: con la massima lucidit?? di giudizio essi hanno una volont?? talmente forte da sottoporre e disciplinare tutti gli altri uomini. Poi vengono i grandi inventori e scopritori, nei quali la volont?? ?? meno geniale, perch?? non lotta contro le vive forze dei simili, ma contro le resistenze passive della natura. In terzo luogo vengono i gen?? di solo giudizio, senza corrispondente sviluppo della volont??, cio?? i pensatori, i filosofi. Finalmente, nella quarta categoria, quasi come una concessione, il Nordau comprende i poeti e gli artisti. ??Questa gerarchia ?? la sola naturale, perch?? poggiata su basi organiche??, perch?? determinata ??dalla dignit?? dei tessuti e degli organi??; in altre parole: perch?? le facolt?? del giudizio e della volizione che formano i gen?? delle tre prime classi sono facolt?? esclusivamente umane, senza riscontro nell'inferiore mondo dei bruti; mentre i gen?? di quarto ordine, i poeti e gli artisti, riconoscono la loro eccellenza dalle facolt?? sensitive, le quali non sono del tutto nostre, ma comuni a noi ed agli animali.

Ora, prima di ogni altra cosa, un evoluzionista come il Nordau si vanta di essere pu?? sostenere senza contraddizione che il giudizio e la volont?? appartengano esclusivamente all'uomo, che siano apparsi in lui di punto in bianco, che non si riscontrino in grado embrionale, rudimentale, infinitamente piccolo anche nei bruti? Vuol egli mettere da parte tutta una scienza, la psicologia comparata? Certo, la distanza tra le facolt?? mentali degli uomini e quelle dei bruti ?? enorme; ma altrettanto enorme ?? la distanza dalle facolt?? sensitive e sentimentali nostre a quelle degli animali. Nessuno ancora ha visto un animale piangere o ridere; e l'artista che eccita in noi questi moti non li eccita automaticamente; anch'egli si serve del giudizio e della volont??. Certo le capacit?? si diversificano, si sviluppano variamente e si specificano in un senso o nell'altro; non abbiamo bisogno di ripetere ci?? che gi?? dicemmo ragionando dei rapporti della scienza e dell'arte; ma, perch?? esse sono distinte, diremo che l'artista non ha nessuna delle facolt?? umane dello scienziato, e viceversa; mentre sappiamo che sapienti e poeti furono un tempo, da Empedocle a Leonardo, e possono ancora essere, sebbene troppo raramente, un genio solo? Diremo, col Nordau, che il genio artistico ??non ?? altro che un organetto?? capace solo di ripetere meccanicamente certi pezzi di musica, mentre il genio scientifico crea liberamente? Dice egli sul serio quando afferma che il genio scientifico, filosofico, politico ?? ??affrancato?? dalle commozioni, dai sentimenti? Dove sono queste separazioni cos?? profonde tra uomini ed uomini? Non sar?? creazione, se il Nordau non vuole, quella del poeta; ma allora chi al mondo ha creato mai nulla? C'?? qualcosa di nuovo sotto il sole? La creazione, se questa parola si pu?? adoperare, non ?? tanto degli ordinatori di popoli, quanto degli speculatori di dottrine, quanto dei trovatori di immagini?

La classificazione dei gen?? non si deve pertanto fondare sulla ??dignit???? dei loro diversi attributi, i quali sono tutti degni egualmente; potr?? solo dipendere dall'utilit?? delle loro opere. Un legislatore sar?? maggiormente venerato che un filosofo, perch?? l'opera sua maggiormente importa alla maggior parte degli uomini; uno scienziato avr?? pi?? lodi che un artista, perch?? le sue scoperte sono pi?? feconde di risultati positivi. Ma l'artista non lavora proprio ad altro che a procurarci un momento di piacere? Non pu?? anch'egli parlare al nostro giudizio? E dato pure che non produca null'altro che sensazioni piacevoli, queste sono del tutto sterili e senza importanza notevole? La poesia non ha la sua utilit?? nella vita; non ??, a giudizio di tanta parte del genere umano, ci?? che le d?? sapore e prezzo? Dice il Nordau: ??Se in una trib?? di Pelli Rosse sorgesse un Descartes o un Newton, sarebbe considerato come un membro inutile all'orda: ogni fortunato cacciatore d'orsi, ogni guerriero che porti gi?? le cuti di molti cran?? di nemici alla cintura, gli sar?? anteposto??. Certamente; ma questo esempio ha un significato contrario a quello che il Nordau gli vuole attribuire. In mezzo a Pelli Rosse non sorgono e naturalmente non possono sorgere altro che cacciatori e guerrieri; lo stesso autore ha bene osservato che in una citt?? abitata tutta quanta da ciechi un solo veggente chiederebbe invano che si illuminassero di sera le vie. Ora, se le strade sono illuminate in tutte le citt?? del mondo, ci?? accade perch?? la gente non ?? cieca; e se gli artisti che il Nordau tratta con tanta irriverenza sono apprezzati ed amati, ci?? accade precisamente perch?? la gente ?? capace d'intenderli. Essi non ci sono gi?? piovuti dalla luna; escono anzi dalle vive viscere di questa nostra societ?? dove non usa pi?? portare alla cintura il cuoio capelluto dei nemici uccisi in guerra, ma si provano nuovi bisogni morali che chiedono urgentemente di essere appagati. E se lo stesso Nordau riconosce che soltanto per un ricordo dei tempi selvaggi e barbari si accorda anche oggi ??il posto supremo al soldato??, come poi vuole che Alessandro e Cesare e Bonaparte siano da chiamare gen?? pi?? alti, pi?? puri, pi?? esclusivamente umani di Platone, di Dante, di Shakespeare? Non si potrebbe sostenere con fortuna precisamente l'opposto?

E la stessa idea di questa classificazione, di questa gerarchia, non ?? poco felice? Se il paragone non fosse, come dice il motto, odioso, non sarebbe inutile? Quando avremo dimostrato che Washington vale pi?? di Vittor Hugo, forse non leggeremo pi?? la Leggenda dei Secoli, o dovremo mettere la statua del suo autore sopra un piedistallo dieci centimetri pi?? basso? E se, per confessione del Nordau, i filosofi dell'avvenire non stimeranno le dottrine del Darwin ??pi?? di quanto noi stimiamo oggi le teorie filosofiche di Parmenide o d'Aristotile??, se il tempo distrugge le leggi come i quadri, le statue come i regni, le dottrine come gli edifiz??, se tutte le cose umane sono egualmente caduche, perch?? queste distinzioni?

Ma io dimentico che uno dei libri pi?? singolari di Max Nordau porta un titolo molto significante. Si chiama Paradossi, e da quanto pare non ?? ancora finito.

CRITICA E CREAZIONE

Nemico dell'arte, Max Nordau non si contenta di fare il critico, il sociologo, il filosofo, il polemista; egli fa anche l'artista. Il caso ?? ancora pi?? notevole che dapprima non paresse.

Dei suoi romanzi di un tempo non mette conto parlare; bisogna invece leggere l'ultimo, quello che egli ha pubblicato dopo la Degenerazione e la Psico-fisiologia del genio, cio?? dopo i libri dove ha peggio trattato gli artisti e la stessa arte.

I.

Il nuovo romanzo di Max Nordau, che nella traduzione italiana s'intitola Battaglia di Parassiti, porta nell'originale tedesco il titolo di Drohnenschlacht, che vorrebbe pi?? precisamente significare battaglia di fuchi, e alluderebbe ai maschi delle api, i quali sono uccisi quando la loro funzione ?? compita. Uno dei principali personaggi, Augusta Hausblum, chiarisce questa allusione. Rovinata da un giovanotto scapestrato quando era una modesta e zelante istitutrice, spinta al suicidio, salvata contro sua voglia, caduta nell'abbiezione, ella si ?? lasciata sposare da un vecchio banchiere straricco, il barone Agostini; in questa nuova situazione dichiara all'avventuriero Henneberg: ??L'uomo ha voluto perdermi: gli render?? la pariglia. Sono rimasta gi?? troppo a lungo operaia. Ora voglio diventare regina, e i fuchi debbono lavorare e morire per me??.

Pare cos?? che il Nordau abbia voluto discutere nel suo libro la quistione sessuale, il problema dell'amore, la dottrina del femminismo. Questa medesima baronessa Agostini dice alla giovanetta Elsa Koppel, anima d'artista, essere una strana aberrazione nelle donne il correre dietro alla gloria. ??Ella non conosce ancora l'ufficio della donna, n?? segnatamente i suoi diritti. Tendere alla gloria, signorina, equivale a voler piacere agl'indifferenti. Ora bisogna fare il contrario. Gl'indifferenti debbono affaticarsi per piacere a noi. Noi non concorriamo alle corone, le dispensiamo altrui. Nel torneo della vita non siamo i giostranti, siamo i giudici del campo sotto il baldacchino di velluto. Gli uomini debbono sudare per essere lodati da noi. Noi li eccitiamo a farsi animo e a dimostrare il meglio che sia in loro. Qualche volta veramente anche il peggio. Ma ci?? dipende in molte guise da noi. Se non li spronassimo continuamente, gli uomini poltrirebbero e diventerebbero brutti e sudici animali, buoni solo a rimpinzarsi, a fumare e ad accopparsi l'un l'altro??.

Se questa ?? veramente la tesi che il romanziere ha voluto studiare, bisogna dire che l'ha smarrita per via, oppure che ne ha derivato conclusioni molto diverse dalle previste; perch?? nella sua battaglia di fuchi non periscono i fuchi soltanto, ma la stessa regina; e peggio ancora, lo scopo della lotta, la conservazione della specie, la continuazione della vita, non ?? ottenuto.

Henneberg ha incontrato Augusta quando costei era ridotta a vivere vendendosi, e con lei ha passato qualche settimana piacevolmente nelle isole Hy??res. La disgraziata, dopo il primo tentativo di suicidio, ne medita un secondo; ma, confortata dall'affetto che Henneberg le dimostra, si riaffeziona alla vita, e spera che egli la redima, sposandola. Henneberg ricusa. Il barone Agostini le offre invece il proprio nome. Ella accetta. Diventata baronessa Agostini, rientrata nella legge, restituita all'onor civile, amata cecamente dal vecchio marito, ella intende serbarglisi fedele. E come Henneberg, al contrario, pretende riaverla, ella gli resiste strenuamente. Allora quest'uomo che non ha voluto sposarla quando era libera, aspetta che il vecchio Agostini muoia per sposarla da vedova!??? Frattanto specula alla Borsa, mette su banche, societ??, sindacati, per far denaro, per mantenere un lusso smodato, per assicurare una gran sostanza alla donna che aspetta di far sua. Il barone Agostini ?? associato alle sue imprese. La fortuna sorride lungamente agli speculatori; un brutto giorno le cose cominciano ad andar male e rapidamente precipitano. Agostini, quando si vede ridotto sul lastrico, minacciato della prigione, d'un processo infamante, si uccide. Henneberg corre da Augusta e le propone di fuggire con lui: egli vuol mettersi al sicuro per evitare le responsabilit?? del fallimento, lasciando cadere nel baratro quanti hanno avuto fiducia in lui, i suoi soc??, i suoi azionisti, i suoi amici. La baronessa, misurando a un tratto la vilt?? di quest'uomo, lo discaccia. Egli si prepara a fuggir solo; ma, vinto, accasciato, perduto, si uccide anch'egli. E Augusta impazzisce.

Qual ?? la moralit?? della favola? Agostini si ?? portato con Augusta da galantuomo: l'ha desiderata, l'ha sposata, l'ha riscattata, ha lavorato per lei. E quando non le pu?? dare la ricchezza e l'onoratezza del nome, preferisce sparire. Che la donna salvata e redenta cagioni la rovina del suo redentore non pare una conclusione molto morale. Agostini ha il torto d?? essersi unito con una donna molto pi?? giovane di lui. Max Nordau ha voluto forse dimostrare che i vecchi non debbono prender moglie, o non la debbono prendere troppo giovane???? Un altro torto di Agostini consiste nell'avere intrapreso speculazioni non troppo chiare: vuole forse l'autore dimostrarci che la farina del diavolo se ne va tutta in crusca???? Queste conclusioni sono bens?? morali, ma non riescono molto nuove.

Henneberg, per conto suo, ha ottenuto i favori di Augusta quando costei li accordava facilmente. La sua funzione di fuco ?? stata esercitata. Egli potrebbe avere gran torto nell'ostinarsi a riottenere questa donna proprio quando, dopo averla rifiutata come moglie e spinta ad accettare un altro partito, ragionevolmente e doverosamente ella non vuol pi?? saperne di lui. Nondimeno, dopo il suicidio di Agostini, egli la otterrebbe, se non rivelasse troppo brutalmente la bruttezza dell'animo suo. Ella ne ?? naturalmente nauseata. Ma lo sciagurato paga con la morte le sue brutture; dimostra, morendo, di non essere tutto orribile come pareva. E la donna che voleva esercitare una specie di potere sovrano, che voleva essere come la regina dell'alveare, quando vede morire uno dopo l'altro questi due uomini, questi due fuchi, non ammette pi?? che dovessero morire, non riconosce nella catastrofe il compimento della legge alla quale si appoggiava e della quale si faceva banditrice; ma perde la ragione, come al quarto atto di un melodramma. Allora dove se ne va il concetto della battaglia degli uomini per l'amore, per l'acquisto della donna, per la continuazione della specie? Agostini e Henneberg lottano e muoiono per niente. Augusta, che voleva fare la forte, che voleva sostenere l'impassibilit?? e la supremazia del suo sesso, ?? vinta a sua volta.

Qual ?? dunque il significato, il perch?? di tutte queste cose?

II.

Nel romanzo del Nordau non il solo amore ?? lo scopo della lotta; ma anche, e principalmente, il denaro. Parassiti non sono soltanto i fuchi, gli amanti, ma anche gli speculatori, i giocatori in Borsa, gli adoratori della faccia di Mammone. Henneberg e Agostini hanno intorno una folla avida, cupida, rapace. Anche le brave persone sono invase dalla febbre dell'oro. Koppel, ottimo insegnante, integerrimo padre di famiglia, smentisce tutta una tranquilla vita di lavoro, tradisce i princip?? socialisti un tempo professati, per buttarsi a capo fitto nella speculazione. Ed all'amico Henneberg che gli rimprovera il voltafaccia, che lo accusa di essersi messo dalla parte di quelli che prima giudicava parassiti, risponde: ??Valersi ai propri fini della folla senza nome non mi pare una definizione molto calzante del parassitismo.?? Gioca pertanto sui titoli russi, sulle azioni del Mercurio: una grande impresa nella quale ?? mescolata un'infinit?? di gente: il generale Zagal, il conte di Beira, il Kohn, avventurieri scaltri, poveri illusi che sognano e quasi raggiungono la fortuna, ma che un triste giorno, alla catastrofe della Societ??, si trovano con un pugno di mosche in mano, pieni di debiti, con l'usciere e i gendarmi alle costole.

Ora chiunque legge queste pagine ricorda necessariamente un altro gran romanzo straniero: l'Argent di Emilio Zola. Certo non si pu?? dire che la favola messa insieme dal Nordau o i personaggi da lui presentati somiglino alla favola ed ai personaggi del romanzo francese???quantunque un'attenta analisi potrebbe scoprire certe affinit??. Per esempio: tanto nella Battaglia di Parassiti come nell'Argent assistiamo al rapido crescere ed al precipitare di una grande impresa bancaria; come si uccide Agostini nella Battaglia, si uccide il povero Mazaud nell'Argent; lo Zola ha contrapposto ai loschi affaristi la figura di Sigismondo, il sognatore di una nuova ??ra liberata dalla nefanda guerra per il lucro, e Max Nordau contrappone ai propr?? imbroglioni la figura di Klein, una specie di filosofo, di stoico, che muore, come Sigismondo, architettando certe sue teorie incomprensibili ai pi??. Ma, ripeto, nonostante questi punti di confronto, favola e personaggi sono, nei due romanzi, diversi. L'argomento, invece, la tesi, il fenomeno sociale studiato ?? lo stesso. Ora il paragone tra le due opere ?? inevitabile. Se pure il Nordau non si fosse mai occupato dello Zola, si potrebbe anche giudicare il suo libro senza far paragoni, senza dar peso alla identit?? dei due argomenti. Noi potremmo credere che lo scrittore tedesco ignorasse il romanzo parigino; potremmo ammettere che, conoscendolo, abbia voluto riprenderne il soggetto, per quella libert?? che ha lo scrittore di scegliere i soggetti che pi?? gli piacciono, non importa se trattati bene o male da altri. Ma non ha il Nordau espresso un giudizio intorno allo Zola? Non ha egli dato a questo scrittore del degenerato e del mentecatto? Non ha detto che l'arte sua ?? la negazione della verit??, della verisimiglianza, della naturalezza? Non ne ha enumerati ad uno ad uno tutti i difetti? Non ne ha disconosciuti tutti i pregi? Allora ?? naturale, ?? necessario che la critica e il pubblico domandino:???O vediamo un poco che cosa ha saputo fare il Nordau, sano ed accorto, equilibrato e prudente, abile ed oculato, al posto di quel povero Zola, matto, incosciente e mediocrissimo!???

III.

La Battaglia di parassiti, cos?? com'??, pu?? piacere. Non vi mancano le osservazioni sottili ed acute, vi si trovano alcuni caratteri bene studiati, una certa logica nello svolgersi degli avvenimenti, qualche felice nota umoristica???come quella dei banchieri Zeil, ebrei che prestano denaro al Papa, e degli Agostini, cattolici che aiutano il Gran Turco. Ma quando si paragona il romanzo del Nordau a quello dello Zola, tutt'altro ?? il giudizio: l'opera dello scrittore tedesco appare povera e scolorita. Tra Saccard e Gundermann, nell'Argent, si combatte una battaglia veramente epica: quei due tipi hanno un rilievo straordinario, sono di statura gigantesca. Intorno a loro formicola tutto un mondo, una umanit?? piena di vita, indimenticabile. Chi ha scordato Busch, il sozzo affarista riscattato dal cieco amore che porta al fratello, a quel povero tisico che muore sognando una societ?? rigenerata, in quella stessa casa dove si ordiscono i pi?? immondi ricatti? Chi ha scordato quella M??chain che va attorno col sacco pieno di polizze scadute, di cambiali protestate, di titoli avariati, e che raccatta per pochi soldi un mucchio di azioni della Banca Universale, una sola delle quali valeva un tempo pi?? di tremila lire? E i due sposini Jordan, poveri e sereni e felici, immuni dal contagio in mezzo a tanti dannati, a tante vittime della cupidigia? E l'ingenuo e illuso ingegnere Hamelin; e sua sorella, la povera signora Carolina; e la folle baronessa Sandorff, e le disgraziate contesse di Beauvilliers, e le povere orfanelle cui ?? stato insegnato a pregare il buon Dio perch?? aiuti il signor Saccard, e che continuano a recitare l'innocente preghiera dopo che lo sciagurato ha rovinato mezza Parigi; e l'accecato Dejoie, che perde per lui i denari e la figlia, e nondimeno crede ancora in lui e prega il giudice di liberarlo per potergli affidare una seconda volta la fortuna, la vita e l'onore????

Questo non ?? il luogo di giudicare l'opera di Emilio Zola, di additarne le esagerazioni e i difetti; ma con tutti i suoi difetti e le sue esagerazioni non mette egli in piedi creature di carne e ossa, non le anima d'un soffio possente, non rende il colore, il calore, il movimento della vita? Max Nordau gli rimprovera la mancanza di proporzione, l'accumulazione di troppi fatti; dice che i suoi romanzi sono, perci??, ??mostruosamente e visibilmente falsi??. Soggiunge che ??egli esercita continuamente, nel modo pi?? esteso ed intenso, quell'antropomorfismo e simbolismo atavistici che sono conseguenza di una mente non sviluppata, o misticamente confusa, naturale nei selvaggi, mentre nei degenerati di tutte le categorie costituisce una forma retrograda dell'intelletto??? Egli vede qualunque fenomeno straordinariamente ingrandito, misteriosamente minaccioso, ributtantemente sfigurato???. La critica, senza comprendere l'importanza psichiatrica di tale carattere, ha gi?? da lungo tempo rilevato che in qualunque romanzo di Zola predomina un fatto, sotto forma di idea incoercibile, formante il perno dell'opera, e influente come simbolo terribile sulla vita e sulle azioni dei personaggi????? Queste osservazioni sono giuste in parte, e si adattano specialmente all'Argent Ma il giorno che Max Nordau ha ripreso il tema dello Zola, che altro ha fatto se non seguirne l'esempio? In questa Battaglia non ?? accumulata una gran quantit?? di osservazioni, di casi, di episod?? relativi alla febbre del denaro? La Borsa, il Giuoco, la Speculazione non ?? uno dei personaggi principali del romanzo, non vi agisce, non vi ordisce le sue seduzioni, i suoi raggiri, le sue perfidie? La differenza ?? questa: che lo Zola, esagerando, ingrossando, calcando la mano, ci persuade, ci scuote, ci trascina; mentre il Nordau ci lascia freddi e indifferenti.

La teoria dell'ambiente, dalla quale lo Zola prende le mosse, riesce efficace, secondo il Nordau, in antropologia e in sociologia; ma in arte ?? ??un pervertimento, una confusione??. E non ha scritto egli un romanzo d'ambiente? Il suo Koppel, che pareva un uomo sano, non ?? travolto dall'esempio, non respira il contagio con l'aria, non resta soggiogato dalle circostanze? Lo Zola, ??che ride degli idealisti, scrittori dell'eccezionale e dell'inverisimile, ha preso per oggetto dell'opera sua ci?? che di pi?? eccezionale si pu?? trovare: un gruppo di degenerati, di maniaci, di deliquenti, di donne perdute e di mattoidi, i quali per la loro morbosa costituzione sono fuori della specie, non appartengono alla societ?? normale, ma ne restano esclusi e sono con essa in lotta continua; estranei al tempo e al paese nel quale vivono, per la loro natura non sembrano neppure membri di un qualche popolo civile del presente, bens?? un'orda di selvaggi primitivi, dei pi?? remoti secoli??. Ma forse che Henneberg e Zagal e il re di Laos e Pfister e la famiglia Rigalle sono stinchi di santi, gente per bene, tipi ordinari? ??Il campo nel quale si muove lo Zola ?? quello del romanzo popolare a fascicoli, vale a dire di un romanticismo deperito, che non svolge i suoi sogni nei palazzi come il romanticismo gi?? in voga, ma nelle taverne, nelle carceri, nei manicom??, e si tiene tanto lontano dallo strato medio della vita normale quanto gi?? il romanticismo antico in direzione opposta??. Ma crede forse il Nordau di essersi per proprio conto tenuto nello ??strato medio della vita normale??? Crede che storie di fortune e di rovesci, di suicid?? e di pazzie come quelle narrate nella sua Battaglia accadano tutti i giorni? Egli che se la prende non solo con lo Zola, ma anche con gli altri naturalisti; che accusa il Goncourt di farci ??ballare dinanzi agli occhi tipi senza carne, composti di fumo e di nebbia,?? ?? poi sicuro di non aver composto con la stessa ricetta qualche personaggio del suo romanzo, come Henneberg, ribaldo capace di pagare con la vita le sue ribalderie; o meglio come l'Augusta, angelo caduto nel fango, mercantessa di baci che diviene poi moglie esemplare, spirito emancipato e ribelle che si mostra poi ligio a quanto credeva pregiudizio? Egli che accusa e deride gl'impressionisti alla Daudet non si ?? proprio ricordato, sia pure inconsciamente, di nessun personaggio del Daudet, quando ha descritto la famiglia Masmajour e il re di Laos e il generale Zagal????

Lo Zola ha pi?? volte dichiarato di aver fatto, coi suoi romanzi, altrettanti esperimenti scientifici. Tutto ci?? che il Nordau dice di questo preteso romanzo sperimentale, ingiurie a parte, ?? giusto. Il romanziere non fa esperimenti, propone a s?? stesso e risolve a modo suo i casi umani e i problemi sociali; ma se l'affermazione d'aver fatto opera di scienza ?? da parte di Emilio Zola insostenibile, crede forse il Nordau di aver fatto opera di clinica quando ha affibbiato allo Zola, al Wagner, al Tolstoi, al Maeterlinck, all'Ibsen e a tanti altri una quantit?? di malattie, di manie, di psicopatie, sulla fede degli aggettivi e degli avverb?? che questi scrittori hanno adoperati?

Criticare, da che mondo ?? mondo, ?? stato sempre facile. Difficilissimo ?? mettersi al posto del criticato e fare meglio di lui. Finch?? Max Nordau scriveva libri come la Degenerazione, poteva esser creduto molto abile; questa Battaglia di Parassiti ?? stata un'imprudenza.

LA TIMIDEZZA

Quando si studiano i sinonimi, i primi e quasi direi classici esemp?? che i maestri ne d??nno sono coraggio e temerit??, timidezza e paura. Fra questi moti dell'animo passano differenze che ciascuno di noi sa valutare, per averle direttamente provate, dentro di s??. Fanciulli, se non potevamo entrare di notte in una stanza buia, eravamo paurosi; se invece, sapendo benissimo la nostra lezione, la presenza del signor ispettore, in iscuola, ci imbarazzava, eravamo timidi. Con gli anni, se la paura cessa???o per meglio dire cambia d'oggetto; perch?? i pi?? bravi ne conoscono, dinanzi a certi spettacoli o a certe idee, i freddi sudori???la timidit?? inceppa troppe volte chi sembra pi?? sicuro di s??.

Questa incapacit?? di vivere merita di essere studiata, perch?? ?? uno dei caratteri del nostro tempo. Il ??male del secolo??, la malinconia romantica il pessimismo filosofico ne sono altrettante manifestazioni. Pare che la volont??, l'energia operosa e la stessa attivit?? vitale vadano di giorno in giorno scemando. A vantaggio del pensiero? Pu?? darsi. A scapito della salute fisica e morale senza dubbio.

I.

Il pensiero contemporaneo ha, come abbiamo visto, andamenti scientifici. L'invasione della scienza nel campo che ora esaminiamo si ?? manifestata con la riduzione di tutti quanti i fatti morali ad altrettanti casi clinici. Il genio non ?? sano, paga con incapacit??, disequilibri e infermit?? la sua forza; ma ogni sentimento forte, ogni vivace passione dei gen?? e dei non gen?? sono considerati come patologici. Veramente il fatto, riguardo alle passioni, non ?? del tutto nuovo, visto che passione viene appunto da patire; ma oggi noi tutti abbiamo una tendenza ad aggravare la cosa.

Dell'amor proprio e dell'ambizione diciamo che sono megalomania; la cautezza ?? abulia o follia del dubbio; chi opera risolutamente ?? invece impulsivo. La vaghezza del nuovo ?? neofilismo, la predilezione dell'antico ?? misoneismo o archeofilismo. Ogni tanto accade, non solo ai profani, ma anche agli studiosi, di imbattersi in una parola nuova che occorre interpretare con l'aiuto del greco. E siccome il vocabolario greco ?? molto ricco, e le combinazioni di parole sono infinite, cos?? noi potremo dare nomi ellenicamente scientifici a tutti quanti i sentimenti e le cose. Gi?? in una fabbrica milanese la cioccolatta ?? diventata teobroma.

Il Dugas, che ha preso a studiare la timidezza, non propone un nome scientifico per essa; ma la considera come una vera malattia, come un vero disordine delle diverse facolt?? psichiche: della volont??, dell'intelligenza e dei sentimenti. Come disordine della volont??, soggiunge, la timidezza si pu?? chiamare pi?? propriamente goffaggine, ed ?? una specie di paralisi o scompiglio dei movimenti, per cui noi restiamo inerti o siamo incapaci di atteggiarci e di muoverci bene. Come disordine dello spirito, la timidezza si pu?? chiamare attonitaggine o assenza: essa si rivela con l'impossibilit?? di seguire i ragionamenti altrui, o con l'incapacit?? di ordinare i nostri; sarebbe, in altre parole, ii contrario della presenza di spirito. Finalmente, come disordine affettivo, la timidezza si pu?? chiamare stupore, e consiste nella perdita o nella confusione dei sentimenti. ??Mi sembra??, dice l'Amiel, che conobbe troppo bene questa particolare variet??, ??mi sembra di esser divenuto una statua sulle rive del fiume del tempo. Mi sento anonimo, impersonale; ho l'occhio fiso come un morto, lo spirito perplesso e universale come il nulla o l'assoluto; sono in sospeso, sono come se non fossi????? E il male ?? che tutti e tre questi stati dell'animo sono coscienti. Esser goffo o attonito senza saperlo non ?? esser timido; timido ?? chi sa di dover essere, in certe occasioni, attonito e goffo.

Il Dugas, se ammette che il male dipende quasi sempre da speciali condizioni organiche, riconosce pure che ?? determinato da cause esteriori; non lo considera soltanto da scienziato, ma anche da filosofo, da moralista. L'origine morale del consorzio sociale, egli dice, ?? la simpatia, intesa in senso largo, cio?? come corrente nervosa che si propaga da un individuo all'altro e fa che ciascuno di noi tenda ad uniformarsi istintivamente a coloro tra i quali vive, a imitare i loro atti, a condividere le loro idee, a partecipare ai loro sentimenti. Il timido-nato ?? incapace assolutamente di questo adattamento; i timidi, che chiameremo intermittenti, o d'occasione, sono tali quando si trovano in presenza di gente nuova, di persone con le quali non hanno dimestichezza, o dalle quali, per una ragione o l'altra, repugnano. Mettete un uomo cordiale insieme con un individuo chiuso e freddo: sar?? subito intimidito; intimidito sar?? un uomo di spirito dinanzi ad uno stupido. In tutti questi casi la timidit?? dipende da vera e propria antipatia, dall'impossibilit?? della simpatia. E, a guardarla per il sottile, bisognerebbe dire che antipatia e timidezza sono universali e fatali. Se noi siamo veramente inaccessibili gli uni agli altri; se, come aveva gi?? detto il Taine, ??nessuna creatura umana ?? mai compresa da nessuna creatura umana??, la simpatia, e perci?? l'adattamento, riescono impossibili. Ma le cose non vanno fortunatamente cos??: nella maggior parte del casi antipatia e simpatia operano insieme; mentre una corrente respinge, un'altra corrente di egual forza attrae: pi?? che dal soppravvento dell'antipatia, come vuole il Dugas, la timidezza nasce appunto da questo contrasto.

Avvicinate un uomo comune, mediocre, ad un genio: osserverete subito nel primo confusione ed impaccio; ma possiamo dire che dipendano soltanto dall'antipatia? Certo, quando l'uomo comune pensa alla sua mediocrit??, alla distanza che lo separa dalle vette del genio, si sente tanto umiliato da provare avversione; ma egli prova pure, nello stesso tempo, ammirazione per la magnificenza del genio e gratitudine per le commozioni ineffabili che questo gli ha procurate; e l'ammirazione e la gratitudine che tendono ad esprimersi sono forme di simpatia grande e vivace: la timidezza dura quanto il contrasto.

Il Dugas avrebbe potuto scrivere un bel paragrafo intorno alla timidezza sessuale. Fra uomini e donne, con l'istinto e col bisogno della simpatia e dell'accordo, vi sono differenze organiche, intellettuali e morali che producono, in un grado pi?? o meno forte, e per un tempo pi?? o meno lungo, freddezza ed ostilit??; anche qui la timidit?? nasce dal dissidio.

II.

Molto acute sono le osservazioni dell'autore intorno al sentimento di vergogna che accompagna la timidit??: i timidi si guardano dalla gente dalla quale temono di essere scoperti; ma se la pigliano anche con loro stessi, per l'incapacit?? di fare come gli altri. ??La timidezza??, ha detto Benjamin Constant, ??ricaccia nel nostro cuore le impressioni pi?? profonde, snatura sulla nostra bocca tutto ci?? che tentiamo di dire e ci consente di esprimerci soltanto con parole ambigue, o con un'ironia pi?? o meno amara, come se noi volessimo vendicarci sui nostri sentimenti del dolore di non poterli manifestare??. Ma se la timidezza ?? spesso una falsa vergogna, essa ?? anche una specie di pudore. Dinanzi a certi spettacoli che li commuovono sino alle intime fibre, i timidi restano muti; quantunque sappiano che i loro sentimenti, se li significassero, sarebbero approvati e lodati, essi tacciono per discrezione, per rispetto di s?? stessi, per non scemare e disperdere i sentimenti loro, comunicandoli. Un poco d'egoismo non si trova in fondo a questo stato d'animo che il Dugas approva?

Un appunto che non si pu?? tralasciare di fargli ?? il seguente: assegnando come causa della timidezza una sensibilit?? eccessiva, egli dimentica di notarne un'altra, che ?? la smodata immaginazione. Se i timidi sono impressionabilissimi, se non credono di essere indifferenti a nessuno, se dovunque vedono testimon?? intenti a spiare e a giudicare i loro atti e i loro pensieri, questo effetto ?? in gran parte dovuto a un'immaginazione vivace e incapace di sottoporsi alla realt??. I maggiori timidi che il Dugas cita ad esempio nel suo libro si trovano fra i romantici, a cominciare dal Rousseau; ora i segni particolari dei romantici sono la sensibilit?? troppo acuta e l'immaginazione disordinata. Il Dugas si accosta anch'egli a questo giudizio, ma per altre vie, quando osserva che nei timidi, con l'esaltazione e la sottigliezza dei sentimenti, si produce la coscienza d'essere originali, la presunzione d'essere rari ed unici; coscienza e presunzione che sono comuni a tutti i romantici.

Da questa idea della propria singolarit??, i timidi sono spinti ad isolarsi; e la solitudine, se da una parte genera egoismo, procura dall'altra aspirazioni nobili ed alte. Giacch?? la timidezza ha del buono e del cattivo: ?? una disposizione morbosa, ma anche una crisi normale, e pertanto pu?? essere incoraggiata e combattuta, secondo i casi. Come difficolt?? di adattamento, essa ?? un fatto ordinario. L'uomo non nasce con la scienza della vita; questa scienza dev'essere appresa a poco a poco: tutte le volte che noi abbiamo il sentimento della nostra imperizia siamo intimiditi, la qual cosa, naturalmente, ci accade molto pi?? spesso nella fanciullezza che non nella maturit??. E come stimolo a vincere le difficolt?? che ci si presentano, a riflettere sui nostri atti, a saperli adattare al conseguimento dei fini, la timidezza ?? giovevole. Il timido non ?? sempre inventivo; ma chi non prova mai difficolt?? di sorta ?? sempre un mediocre imitatore degli altri. Esser sicuri di s?? stessi ?? senza fine preferibile ad esser timidi; ma la sicurezza vera e degna dell'uomo non ?? quella che dipende dalla cecit?? mentale o morale, o della presunzione; sibbene quella che proviene dalla timidezza superata e vinta. Ma quando la timidezza ?? tale che, invece di stimolarci a trionfarne, ci accascia e confonde, allora ?? di grave danno.

Anche in tali casi, tuttavia, essa pu?? avere qualche vantaggio. L'incapacit?? di adattarsi alla vita pratica, che ?? dei timidi nati ed ostinati, spinge alla vita speculativa o immaginativa, alla scienza o all'arte. Il Wagner ha detto: ??Se noi avessimo la vita, non avremmo l'arte. Se io potessi ritrovare la mia giovent??, la salute, la natura, una donna veramente amante, guarda: darei tutta l'arte mia.?? E i difetti del timido nella vita, la sua smania di originalit??, il suo scrupolo di perfezione, sono altrettante qualit?? del timido che si d?? all'arte. Ci?? ?? vero tuttavia sino a un certo segno. Lo sviluppo delle doti artistiche non ?? sempre agevole nel temperamento timido; alle volte anzi ?? del tutto impedito, come nell'Amiel, il quale diceva di s?? stesso: ??Tu hai lasciato, per timidit??, l'intelligenza critica divorare dentro di te il genio creatore??. E se il troppo ricercare la perfezione riduce all'impotenza, il troppo compiacersi nella singolarit?? conduce alla stravaganza, che ?? forse peggio.

III.

Per concludere: l'educazione deve saper discernere ci?? che nella nativa timidezza di ogni uomo ?? qualit?? favorevole, da ci?? che ?? pericoloso; e moltiplicare lo condizioni vantaggiose e combattere le funeste.

Le pagine che il Dugas dedica a questo punto del problema morale sono fra le pi?? belle. Il mezzo migliore per vincere la timidit?? perniciosa, per acquistare la fidente padronanza di s?? stessi ?? il medesimo, egli dice, che il Pascal suggerisce agli scettici perch?? credano: fare come se si credesse. Il timido deve agire e parlare come se non fosse tale, dimenticando le proprie repugnanze, addomesticandosi con le persone e le cose dalle quali vorrebbe star lontano. I pi?? timidi fra i timidissimi si trovano pure a loro agio in molte occasioni: da che cosa viene questa loro sicurezza? Dall'assuefazione. Bisogna dunque mutare in abituale tutto ci?? che incute timidit??.

Questa educazione morale, sulla quale torneremo or ora, ?? un mezzo di riuscita molto pi?? sicuro che non il rimedio fisico adoperato da un timido degno di passare alla storia. Costui ricorreva??? alla cocaina. Siccome la cocaina ha la virt?? di rendere l'occhio momentaneamente immobile, cos?? egli ne prendeva una buona dose per poter guardare in faccia i propr?? interlocutori e non esserne sgominato!

LA VOLONT??

In verit?? questo secolo, se non fosse il secolo della scienza, sarebbe quello della critica. L'occupazione prediletta, non solamente dalla folla incapace di far altro, ma anche dalle persone illuminate, ?? quella di criticare uomini e cose. Certo il fenomeno si spiega con la grande facilit?? della critica paragonatamente alla difficolt?? della creazione; ma poich?? esso, quantunque antichissimo, pure si ?? tanto aggravato ai nostri giorni, conviene vedere se non c'?? un'altra ragione, presente, attuale, che spieghi la recrudescenza.

La ragione c'?? ed ?? grave, e consiste nell'infiacchimento delle volont??. La timidezza della quale abbiamo ragionato ne ?? un semplice caso.

I.

I libri sacri dicono che l'uomo fu condannato, per non aver osservato la legge divina, a guadagnarsi il pane col sudore della fronte. Sar?? forse per il fallo antico; ma quello di guadagnarsi il pane, come ogni altro lavoro, attento, paziente, continuato, fu ed ?? tuttavia considerato, da tutti quanti gli uomini, come una pena. Dai selvaggi ai fanciulli, che sono i selvaggi delle societ?? civili, mettersi a fare qualche cosa che richieda attenzione e perseveranza, ?? difficile e repugnante. Ci?? accade anche agli uomini ragionevoli. Il pi?? gran numero delle persone che finiscono gli stud?? conseguendo una laurea o un diploma, spendono nel rimanente della loro vita la scienza acquistata in giovent??, giudicandola sufficiente, rinunziando ad accrescerla. I pi?? forti lavoratori, quelli cui pi?? sorride il premio delle fatiche scientifiche, letterarie o artistiche, conoscono quell'istinto d'inerzia, quel senso di fastidio, d'anticipata stanchezza e di sfiducia che bisogna ordinariamente superare prima di mettersi all'opera.

Questa universale indolenza non impedisce gli scatti dell'energia. Se di tanto in tanto gli uomini non fossero capaci di risoluzioni e d'azioni, perirebbero certo in poco tempo tutti quanti. Quando gli istinti gridano, quando i bisogni urlano, la volont?? opera; ma, ottenuto l'appagamento necessario, lo sforzo cessa, e il dolce far niente torna ad essere lo stato prediletto. L'uomo ?? tanto superiore al bruto, possiede tante facolt?? alte e nobili che sono la sua forza e il suo orgoglio; pure, nella maggior parte dei casi, la sua attivit?? tende a manifestarsi come quella degli animali, a scatti, volta per volta, secondo che la necessit?? del momento richiede. Lo sforzo ?? penoso; senza immediato bisogno non si affronta. Il bisogno, la necessit??, che sono per conto loro altrettante pene, lo fanno accettare come il solo mezzo adatto ad acquetarle; durante lo stato penoso determinato dal bisogno, la pena dello sforzo passa inavvertita, assorbita dalla pena maggiore. Le facolt?? intellettuali, che sono privilegio degli uomini, dovrebbero, facendo antivedere i futuri bisogni, dandoci coscienza delle molte e continue difficolt??, persuaderci della convenienza dello sforzo continuato, dell'energia costantemente sostenuta, dell'attenzione sempre vigile; ma queste cose repugnano. Se gli uomini ne fossero capaci, se ne fossero capaci tutti, chi pu?? dire che cosa sarebbero la scienza e la civilt???

Uno psicologo francese, Giulio Payot, facendo queste osservazioni nell'Educazione della volont??, crede, col Ribot, che i primi sforzi di attenzione volontaria furono dovuti alle donne delle trib?? selvagge, costrette, per evitare le bastonate, a un lavoro regolare, mentre i loro uomini si riposavano beatamente. Questo giudizio, fra parentesi, potrebbe far credere che l'autore sia femminista; ma, se egli trova la capacit?? riflessiva nelle donne selvagge, dice pure che le nostre donne sono altrettante marionette?????marionette artificiosamente composte, e coscienti senza dubbio, ma col principio di tutti i loro movimenti nella regione dei desider?? involontar?? e delle suggestioni esteriori??; e che si ha un bell'impartir loro gli alti insegnamenti: ??esse non arrivano alla solida cultura. Possono mandare a memoria una quantit?? di cose; ma non aspettate da loro nessuno sforzo d'immaginazione creatrice. Difficilmente si ottiene che esse abbiano una personalit??; e il Manuel, da lunghi anni presidente della Giuria d'aggregazione delle signorine, lo accerta in molti dei suoi rapporti annuali??.

Ma lasciamo stare il femminismo, del quale abbiamo gi?? tenuto troppo lungo discorso, e torniamo alla volont??. Il Payot d?? un buon esempio storico dell'indolenza abituale e degli impeti momentanei di tutto un popolo. ??Gli Arabi??, dice, ??hanno conquistato un vasto impero. Essi non lo hanno conservato perch?? ?? loro mancata la costanza degli sforzi con la quale si ordina l'amministrazione di un paese, si fondano le scuole, si creano le industrie??. Un esempio pi?? semplice, ma pi?? vicino a noi, ?? quello offerto dal novanta per cento degli studenti, che tutti gli anni, d'estate, insaccano scienza per passar l'esame, e che, ottenuta la promozione, tornano all'ozio consueto. Un certo numero di essi studenti stanno di mezzo tra gli oziosi e i diligenti: il Payot li dice intenti ad un ??lavoro ozioso:??. Sono quelli la cui attivit?? manca di direzione; ??poich?? l'energia della volont?? si rivela non tanto negli sforzi molteplici, quanto con l'orientazione verso un medesimo fine di tutte le potenze dello spirito. Ecco qua un tipo di ozioso molto frequente: ?? un giovane vivace, gaio, energico. Resta di rado senza far nulla. Durante il giorno ha letto qualche trattato di geologia, un articolo di Bruneti??re su Racine, sfogliato alcuni giornali, riletto qualche nota, abbozzato uno schema di dissertazione, tradotto alcune pagine d'inglese. Non un solo istante egli ?? rimasto inattivo. I suoi compagni lo ammirano per la potenza del lavoro e la variet?? delle occupazioni. Per lo psicologo, c'?? in questa molteplicit?? di lavori soltanto l'indizio d'una attenzione spontanea abbastanza ricca, ma non ancora divenuta attenzione volontaria. Cotesta pretesa potenza di lavoro svariato non rivela se non una gran debolezza di volont????.

Fermiamoci qui un momento. Il Payot se la piglia legittimamente contro questo tipo di studente che chiama sparpagliato; ma non pensa che la colpa non ?? tutta imputabile all'infelice. L'attivit?? dello studente si sparpaglia perch?? egli non ?? capace di concepire e di porre in esecuzione un piano di stud??; ma a produrre quest'effetto non ha anche contribuito l'eterogenea molteplicit?? delle cose che gli hanno dato da studiare? Il Payot parla della geologia, della letteratura e della lingua inglese; ma bisogna mettere nel conto la fisica e la geografia, la chimica e la storia, la filosofia e la botanica, il latino e la zoologia, la statistica e il greco. Diremo noi, come il Payot inclina a credere, che la colpa sia di chi ha compilato i programmi degli stud??? La riforma dei programmi eviter?? mai questo prodigioso cumulo di discipline? Non dipende esso dal prodigioso accumularsi del sapere umano? E che diremmo di programmi i quali trascurassero la diffusione di parte del sapere? Ecco qua: mentre scrivo, Errico Panzacchi pubblica un articolo, che ?? molto lodato, per dimostrare la necessit?? d'impartir nelle scuole l'insegnamento della storia dell'arte, e Ugo Ojetti lo approva, notando come un caso scandaloso che uno studente di lettere ignorasse dove ?? posta e da chi scolpita la statua di San Giorgio. Non ?? veramente scandaloso? Non bisogna istituire il nuovo insegnamento? La storia dell'arte, necessaria agli artisti, non ?? utilissima a ognuno? E, con la storia dell'arte, non vi sono tante altre cose non meno utili e necessarie a sapersi? Tutte le volte che il patrimonio intellettuale si accresce,???e questo fatto accade tutti i giorni,???non ?? naturale che le nuove nozioni siano partecipate agli studiosi, a tutti gli studiosi? E il patrimonio intellettuale non ?? di tanto cresciuto, che abbiamo visto la necessit?? di creare nuove scienze, di conferire la dignit?? di discipline indipendenti ai rami delle antiche discipline? Non abbiamo creato la psicologia, la statistica, la fisiologia, la sociologia, la biologia, la chimica organica, l'antropologia, la psichiatria, e via discorrendo? Se i cervelli non ci resistono, se le attenzioni pi?? deboli si sparpagliano, la colpa non ?? tutta loro; la colpa ?? anche del tempo troppo sapiente, della civilt?? troppo progredita in mezzo alla quale sono nati. L'avvocato, il medico, il professore hanno una biasimevole tendenza a vivere della scienza acquistata bene o male durante gli stud??; ma, se anche essi volessero, potrebbero seguire tutto quanto il movimento delle loro discipline? Non avrebbero, in verit??, neppure il tempo di sfogliare quel che si stampa. Il progresso della scienza ?? dovuto agli specialisti, a quelli che scelgono un capitolo, un paragrafo, un comma del gran libro dello scibile, e che dimenticano interamente il resto. Dall'altra parte stanno i volgarizzatori enciclopedici, quelli che sanno di tutto un poco e niente a fondo. Noi parlavamo, iniziando questi nostri ragionamenti sopra alcuni caratteri del tempo presente, della rarit?? delle opere di lunga lena, organiche, metodiche. Guardiamoci intorno: quali sono le pubblicazioni pi?? copiose? Sono le memorie e i giornali. La memoria, che in poche pagine presenta il frutto di anni e anni di ricerche sopra un punto particolarissimo della scienza; il giornale, che sfiora la sociologia, la statistica, l'etnografia, la psicologia, la storia, la letteratura, la biologia, tutte quante le scienze. Il Payot nota bens?? il danno prodotto dal giornale; ma non pensa che il giornale prospera appunto perch?? soddisfa un bisogno della nostra societ??; e il bisogno di tutti quanti noi ?? quello di far presto; ai nostri giorni si corre, bisogna correre, sui tranvai, sulle ferrovie, sui piroscafi o sulle biciclette; bisogna volare col pensiero sui fili elettrici e sulle colonne del giornale. Presto e bene raro avviene, dice il motto; e la mediocrit?? ?? naturale conseguenza della fretta. Il trionfo delle velleit?? sulle volont??, l'esaurimento delle energie ne ?? un'altra.

II.

E il Payot non tiene conto di un'altra fatalit?? del nostro tempo, dalla quale anche dipende l'abulia, l'incapacit?? di volere e di agire. Questa fatalit?? ?? il trionfo dell'analisi.

La psicologia dimostra che un atto concepito ?? un atto cominciato, che fra l'idea dell'atto e l'atto stesso non c'?? differenza essenziale. Dobbiamo concluderne che pensiero ed azione sono tutt'uno? In fisica abbiamo un certo numero di forze: la luce, il calore, l'elettricit??. Uno studio attento ha portato ad affermare che esse non sono tanto diverse quanto sembrano, che anzi l'una si pu?? mutare nell'altra, e che insomma la forza ?? unica e varie ne sono soltanto le manifestazioni. Ma che cosa importa questa nozione? Perch?? l'elettricit?? ?? o pu?? essere calore, diremo noi ad un assiderato di prendere in mano i fili di una corrente elettrica per riscaldarsi? Perch?? il calore ?? luce, consiglieremo a chi non ha candele di mettersi a scrivere dinanzi alla bocca di un forno? Nel mondo delle forze vi sar?? unit?? fondamentale; ma le manifestazioni dell'unica forza sono tanto diverse come se dipendessero da forze realmente diverse. Cos?? nel mondo della materia. Abbiamo in chimica una quantit?? di sostanze che si possono considerare come risultanti dal diverso aggruppamento molecolare di una sostanza unica, elementare, primordiale; ma il fiele ed il miele, l'acqua e la pietra saranno perci?? la stessa cosa?

Altrettanto dicasi del mondo morale. Vedemmo gi?? che la riflessione dalla quale dipende la scienza, e l'ispirazione dalla quale nasce l'arte, sono in fondo tutt'uno: ma vedemmo pure che arte e scienza, non che confondersi, si sono sempre pi?? distinte. L'energia vitale ?? una sola: non si pu?? agire senza pensare, non si pu?? pensare senza agire; ma ci?? non vieta che questi due modi dell'attivit?? umana si distinguano sino ad opporsi e ad escludersi. Chi si butta a capo fitto in una pugna, e d?? e riceve colpi mortali, non pu?? risolvere casi di coscienza. Archimede che medita sopra un problema, non solo non fugge all'avvicinarsi del nemico, ma non lo sente neppure avvicinarsi. Ora l'abito di riflettere continuamente, assiduamente, troppo, impedisce, od ostacola la capacit?? di risolversi, di agire; viceversa l'azione incessante diffusa, febbrile, non ?? compatibile con la meditazione. Per crederle compatibili, il Maeterlinck ha dovuto dire che agire ?? ??aspettare, tacere e raccogliersi??. Appunto uno dei caratteri del nostro secolo, di questo tempo progredito, sapiente, cosciente, troppo cosciente, ?? la preminenza del raccoglimento, dell'analisi di coscienza, dell'esame interiore, del pensiero speculativo. Quella stessa moltitudine di cognizioni che disvoglia tanti dallo studio per la sua troppa variet??, invoglia altri allo studio; e che altro ?? lo studio se non riflessione ed analisi? E gli uomini di studio non sono, per l'esperienza che ogni giorno ne vediamo, tutto il contrario degli uomini d'azione? L'infiacchimento della volont?? operosa, fattiva, non ?? soltanto effetto del pensiero riflessivo; ma anche causa. Noi non operiamo molto perch?? pensiamo troppo; e pensiamo troppo perch?? operiamo poco. I due fenomeni sono ad un tempo causa ed effetto l'uno dell'altro. La guerra contro i simili e contro la natura ?? la dura legge dei popoli selvaggi: essi non hanno dimora stabile, errano di luogo in luogo come un gregge, si riparano, combattono, agiscono; non pensano, o pensano quel tanto che bisogna per agire. Le societ?? civili, che non emigrano pi??, che non si dilaniano pi?????o quasi???che sono assicurate quanto ?? possibile dai nemici naturali, studiano, meditano, pensano. Cercate un Amiel tra gli Unni: sar?? alquanto difficile trovarlo; viceversa gli Attila sono???almeno per ora???scomparsi. Noi non abbiamo grandi cose da fare, perci?? pensiamo; e quanto pi?? pensiamo, tanto meno capaci diventiamo di operare.

Il Payot, mettendo come condizione della volont?? operosa la riflessione meditativa, nega che tra le due vi sia antinomia. Egli dice che il concetto dell'incompatibilit?? dipende da una confusione. Azione e riflessione sono incompatibili, spiega, se si confondono gli agitati con gli uomini d'azione veramente degni del nome. ??L'agitato ?? il contrario dell'uomo d'azione. L'agitato ha bisogno d'agire: la sua attivit?? si manifesta con l'azione frequente, incoerente, fatta giorno per giorno. Ma siccome nella vita, in politica, etc., si riesce soltanto per mezzo della continuit?? dello sforzo in una stessa direzione, quest'agitazione sussurrona fa molto rumore, ma poco o punto profitto. L'attivit?? orientata, sicura di s?? stessa, implica la meditazione profonda. E tutti i grandi attivi, come Errico IV e Napoleone, hanno, prima d'agire, lungamente riflettuto??. Alle quali osservazioni si risponde che la distinzione fra agitazione e attivit?? ?? giusta, ma non prova nulla, o ben poco. Certo: fra il pensiero profondo e l'agitazione scomposta e pazzesca c'?? opposizione evidente; ma ci?? non vuol dire che tra riflessione indefessa e attivit?? fruttuosa vi sia identit??. In alcuni grandi uomini, molto rari, che sono per ci?? oggetto di tanta ammirazione, pensiero ed azione possono darsi la mano; ma, se ?? vero che essi sono eccezioni, non bisogna addurli come prova della regola. Il gas d?? luce e calore insieme, ma ci?? non vuol dire che non vi siano calori oscuri e luci fredde. E poi, se la grandezza dell'azione implica la grandezza del pensiero, la reciproca non ?? altrettanto vera. Per fare grandi o anche piccole cose, bisogna certo aver pensato poco o molto; ma si pu?? pensare moltissimo senza far quasi nulla. E questo ?? appunto il pericolo, anzi l'inconveniente lamentato. Suggerire di meditare per agire ?? inutile, se non dannoso. Non il pensiero ci fa difetto; al contrario: noi pensiamo troppo. A chi affoga non pare che sia da offrire un bicchier d'acqua.

?? vero che il Payot consiglia la riflessione meditativa come mezzo di affrancarsi dai pregiudiz??, di confutare i luoghi comuni del pensiero volgare, pigro e fiacco, di eccitare nell'animo gagliardi impulsi e vivaci repulsioni. Non ?? possibile, in questo senso, negare l'efficacia dell'abito riflessivo. I cretini e gli apati non riescono a far niente. La grandezza del pensiero interiore ?? condizione delle grandi cose, dei grandi fatti; ma il pensiero pu?? esaurirsi sterilmente, inutilmente; e l'abuso ?? da evitare.

Altro punto della quistione. L'energia della volont?? non ?? possibile in un corpo debole: l'educazione dev'essere dunque non soltanto intellettuale e morale, ma anche fisica. E questa cosa ?? certa. Certa cosa ?? pure, come nota il Payot, che non bisogna confondere la salute con la forza muscolare, e che gli eserciz?? violenti in onore presso gl'Inglesi e gli Americani sono tanto criticabili quanto lodevoli i razionali eserciz?? ginnastici ai quali si d?? la giovent?? svedese. ??Le grandi vittorie umane non si guadagnano pi?? in nessun luogo coi muscoli, bens?? con le scoperte, con i grandi sentimenti, con le idee feconde: e noi daremmo i muscoli di cinquecento lavoratori della terra, pi?? quelli totalmente inutili di tutti gli uomini sportivi, per la poderosa intelligenza di un Pasteur, di un Amp??re o di un Malebranche??. Ma la quistione ?? appunto questa: che il numero dei pensatori, o pi?? semplicemente degli individui pensanti, tende sempre a crescere; e se i Pasteur, gli Amp??re, i Malebranche sono rari, numerosissimi sono invece gl'infelici che pagano col nervosismo, con la neurastenia, con la rovina della salute, l'abuso delle facolt?? intellettuali. ???? cosa evidentissima??, dice il Payot, ??che l'ufficio della forza muscolare diminuisce di giorno in giorno, poich?? l'intelligenza la sostituisce con le forze incomparabilmente pi?? potenti delle macchine; e da un'altra parte la sorte degli uomini dotati di muscoli possenti ?? di essere assimilati sempre pi?? alle macchine?????. Ma, se l'ufficio della forza muscolare diminuisce di giorno in giorno, diminuisce per conseguenza la stessa forza: un organo non adoperato s'indebolisce, una forza non esercitata si perde. E questo ?? il danno del quale siamo spettatori: nelle vene della classe pensante e dirigente scorre un sangue pallido; i suoi muscoli sono flaccidi, i suoi nervi troppo impressionabili. Non ?? sempre vero, come afferma il Payot, che ??la debolezza corporea va accompagnata con la fiacchezza della volont??, con la brevit?? e il languore dell'attenzione??. Se ci fosse bisogno di addurre esemp?? per dimostrare come una mente altissima, un'intelligenza sovrumana, un'anima miracolosa possano sussistere in un corpo stremato ed agonizzante, basterebbero gli esemp?? del Leopardi e dello Spinoza. La sensibilit??, l'immaginazione, tutte le facolt?? che dipendono dal sistema nervoso, sono grandi, squisite, straordinarie, a costo troppo spesso del sistema nervoso, del suo equilibrio, della sua salute. Questo fatto d?? appunto ragione della teoria lombrosiana sulla nevrosi del genio. Vedete: ci?? che si chiede ?? una generazione capace di volere, di volere fortemente, indefessamente; orbene: Vittorio Alfieri, per aver voluto in questo modo, ?? stato ascritto, forse non senza ragione, tra i psicopatici.

Ma, lasciando stare i gen?? e la psicopatia, guardando la media umanit??, noi vediamo che l'abuso delle facolt?? mentali corrisponde alla depressione della volont?? e allo squilibrio nervoso. Dallo scoppio dell'epidemia romantica sino ai nostri giorni il danno ?? andato crescendo. Esso ?? fatale, ?? lo scotto che bisogna rassegnarsi a pagare.

III.

La qual cosa non vuol dire che i tentativi per ottenere qualche temperamento siano biasimevoli. Il Payot avverte accortamente che un grande ostacolo all'impresa dell'educazione della volont?? ?? nelle teorie del determinismo e del libero arbitrio. Esse sono diametralmente opposte, ma fanno male egualmente. I deterministi, sostenendo che l'uomo non ?? capace di fare ci?? che vuole, o meglio che egli vuole ci?? che deve volere, che la sua libert?? ?? illusoria, che tutti i suoi atti e tutti i suoi pensieri sono rigorosamente prescritti, alimentano la sfiducia generale, una sfiducia fatale. Bisogna negare questo determinismo per poter attendere ad affrancare, a liberare la volont??. Cos?? noi abbiamo veduto che Sully Prudhomme, determinista, finisce con l'essere fatalista; mentre il Maeterlinck espressamente afferma che ??il carattere ?? ci?? che pi?? facilmente si modifica in un uomo di buona volont????. Ma se l'opera della padronanza di noi stessi ha fondamento sul concetto del libero arbitrio, questo pu?? riuscirle, e le riesce infatti pericolosissimo, facendola credere troppo facile, semplice e naturale. ??Alla formula del Fouill??e??, dice il Payot ??secondo la quale l'idea della nostra libert?? ci fa liberi, il Marion oppone precisamente questa affermazione pi?? praticamente vera ed utile: che, stimandoci liberi, noi omettiamo di assicurarci di quale e quanta libert?? possiamo godere??? La libert?? morale, come quella politica, come tutto ci?? che ha qualche valore in questo mondo, dev'essere conquistata lottando, e continuamente difesa. Essa ?? la ricompensa dei forti, degli abili, dei perseveranti. Nessuno ?? libero se non merita di esser libero. La libert?? non ?? n?? un diritto, n?? un fatto; ?? una ricompensa, la ricompensa pi?? alta, la pi?? feconda di felicit???????.

Abbiamo detto nel precedente capitolo come il Dugas consigli di combattere il vizio dei timidi; la conquista della libert?? morale, l'educazione della volont?? ?? un'impresa molto simile e per certi rispetti quasi identica. Questa ?? la ragione per la quale il Payot consiglia lo stesso metodo del Dugas a coloro che egli chiama abulici, e che noi diremo svogliati, nolenti. Come quel timido che ricorreva alla cocaina per dar fermezza al proprio sguardo, chi vuol vincere il torpore fisico o intellettuale, o domare le eccitazioni dei sensi, pu?? adoperare qualche farmaco; ma su questi mezzi fisiologici il Payot riconosce che non vale la pena di fermarsi. Egli si ferma sui mezzi morali, e ricorre, come il Dugas, all'autorit?? del Pascal, non che di Ignazio di Loiola, i quali raccomandano gli atti esteriori della fede come espedienti molto adatti a far nascere nell'animo il sentimento corrispondente. Tuttavia a questo processo il Payot non attribuisce un'efficacia unica e illimitata. Noi non possiamo qui seguirlo in tutta l'esposizione dei mezzi diretti a compiere l'affrancazione della volont??. Egli comincia col dimostrare la qualit?? sentimentale della facolt?? volitiva, quindi afferma la necessit?? di coltivare gli stati affettivi; enumera poi i benefici effetti dell'attenzione e dell'azione che, con l'aiuto del tempo, diventa consuetudine; non che gli effetti funesti delle illusioni, dei sofismi. Abilmente espone tutte le difficolt?? che si oppongono all'educazione della volont??, ma spiega come si possano vincere, e come le nostre stesse disfatte non siano inutili, poich?? ci scottano, ci ammaestrano e ci preparano ad ulteriori trionfi. Le sue dimostrazioni, se anche non fossero feconde di pratici risultati, sono almeno confortatrici; se non ci d??nno la possibilit?? di affrancarci, ce ne d??nno l'illusione e la speranza. E in questo nostro tempo di colore oscuro, pieno di gemebondi predicatori della sciagura universale e irreparabile, di cogitabondi solutori di problemi insolubili, di critici dilettanti ed impotenti, non ?? piccola cosa.

FINE.

BIBLIOGRAFIA

=Edouard Rod=: Nouvelles ??tudes sur le XIX si??cle. Parigi,
Perrin.

=Fierens-Gevaert=: La tristesse contemporaine. Parigi, Alcan.

=Ossip-Louri??=: Les pens??es de Tolstoi. Parigi, Alcan.

=Henri Lichtenberger=: La philosophie de Nietzsche. Parigi,
Alcan.

=Sully Prudhomme=: Les Destins, La Justice, Le Bonheur.
Parigi, Lemerre.

=Maurice Maeterlinck=: La sagesse et la destin??e. Parigi,
Fasquelle.

=P. Augustin Roesler=: La question f??ministe. Parigi, Perrin.

=Charles Albert=: L'amour libre. Parigi, Stock.

=Pio Viazzi=: La lotta di sesso. Palermo, Sandron.

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=J. L. de Lanessan=: La morale des philosophes chinois.
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=Pierre Loti=: Reflets sur la sombre route. Parigi, Calmann
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=Giuseppe Giacosa=: Impressioni d'America. Milano, Cogliati.

=Yves Guyot=: L'??volution politique et sociale de l'Espagne.
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=Paolo Mattia Doria=: La descrizione del Regno di Napoli.
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=Max Nordau=: Psycho-Physiologie du g??nie et du talent.
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=Max Nordau=: Degenerazione. Milano, Dumolard.

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=Cesare Lombroso=: Genio e degenerazione. Palermo, Sandron.

=Scipio Sigheio=: Mentre il secolo muore. Palermo, Sandron.

=Robert d'Adh??mar=: Art et Science. Revue des deux mondes, 1900.

=L. Dugas=: La timidit??. Parigi Alcan.

=Jules Payot=: L'education de la volont??. Parigi, Alcan.

INDICE DEI NOMI PROPRII

????????Alba (duca d') pag. 193.
????????Albert: 128-132, 134, 135, 141-143, 145, 146, 148, 149, 151.
????????Alessandro: 216.
????????Alfieri: 265.
????????Alfonso X: 192.
????????Amiel: 239, 245, 261.
????????Amp??re: 264.
????????Antonini: 199.
????????Archimede: 260.
????????Aristotile: 123, 189, 217.

????????Baudelaire: 91, 200.
????????Bebel: 122, 125.
????????Beccaria: 206.
????????Beethoven: 212.
????????Bernhardt: 182.
????????Bertoldo: 125.
????????Bourget: 23.
????????Bruneti??re: 13, 19, 255.
????????Buddha: 104.

????????Cabrera: 194.
????????Campos: 194.
????????Carlo II: 192.
????????Carlo V: 190,91.
????????Cesare: 35, 216.
????????Cervantes: 181, 189, 192.
????????Chateaubriand: 16.
????????Comte: 17.
????????Confucio: 172.
????????Cortes: 190.
????????Constant: 242.

????????Dante: 216.
????????Darwin: 217.
????????Daudet: 23, 233.
????????De Maistre: 16.
????????Descartes: 215.
????????Doria: 195.
????????Dugas: 239-43, 246, 267.

????????Empedocle: 214.
????????Errico I: 192.
????????Errico IV; 262.
????????Espartero: 194.

????????F??nelon: 102.
????????Fouillet: 13.
????????Fierens-Gevaert: 15, 22, 24.
????????Filippo da Novara: 125.
????????Filippo II: 192.
????????Filippo V: 192.
????????Flaubert: 181.
????????Fogazzaro: 13.
????????Fouill??e: 14, 266.
????????Fourier: 17.
????????Fourni??re: 14.
????????France: 187.

????????Gallerani: 200, 202.
????????Geddes: 134.
????????Giacosa: 182-83, 188.
????????Giordani: 199.
????????Goncourt: 233.
????????Gringoire: 125.
????????Grozio: 193.
????????Guizot: 17.
????????Guyot. 188, 189, 191, 193-95.

????????Hartmann; 18, 21, 104.
????????Hennequin: 12, 13.
????????Hugo: 11, 91, 216.

????????Ibsen: 200, 234.
????????Ignazio di Loiola: 267.

Kant: 16.

????????Las Casas: 190.
????????Lanessan: 163, 172.
????????Leonardo: 214.
????????Leopardi: 16, 18, 19, 265.
????????Lichtenberger: 45
????????Listz: 211.
????????Lombroso: 199-201, 206, 209.
????????Lope de Vega: 181.
????????Loti: 23, 178, 181, 189.

????????Mackart: 212.
????????Maeterlinck: 91-93, 98, 99, 102, 105, 110, 111, 114, 117,
????????????????137, 200, 234, 260, 266.
????????Malebranche: 264.
????????Manuel: 254.
????????Marion: 266.
????????Meng-tseu (Mencio) 165, 168, 170, 172.

????????Napoleone: 16, 18, 205, 210, 262.
????????Narvaez: 194.
????????Newton: 211, 215.
????????Nietzsche: 16, 45, 46, 48, 52-57, 72, 80, 82, 110, 111,
????????????????113, 117, 124, 157, 171, 200, 210.
????????Nordau: 91, 200-206, 208, 210-217, 221, 226-228, 231-234.

????????Ojetti: 256.
????????Ossip-Louri??: 29, 38.

????????Panzacchi 256.
????????Parmenide: 217.
????????Pascal: 246, 267.
????????Pasteur: 264.
????????Payot: 253-256, 258, 261, 263-268.
????????Platone: 216.

????????Rabelais: 20.
????????Racine: 255.
????????Raffaello: 212.
????????Renan: 187.
????????Ribot: 253.
????????Riego: 194.
????????Rod: 10, 13, 24.
????????Roesler: 124, 135, 137-139, 147.
????????Roncoroni: 209.
????????Rousseau: 16, 243.

????????Saint-Simon: 17.
????????San Francesco: 210.
????????San Giovanni: 187.
????????San Paolo: 136, 139.
????????San Tommaso: 189.
????????Sarpi: 199.
????????Schipa: 195.
????????Schopenhauer: 17-20, 23, 53, 104.
????????Shakespeare: 216.
????????Sighele: 202.
????????Spencer: 21.
????????Spinoza: 68, 265.
????????Sully Prudhomme: 61, 63, 65-70,
????????75, 77, 80-83, 87, 91, 92,
????????98, 103, 111, 114, 142.
????????Sta??l 18.

????????Taine: 12, 241.
????????Tcheng-ki-tong: 156, 158, 160.
????????Thomson: 134.
????????Tolstoi: 20, 29, 32-36, 38, 40, 45-48, 53, 55, 56, 63, 72,
????????????????110-113, 117, 139, 157, 170, 200, 210, 234.

????????Velasquez: 181.
????????Verlaine: 200.
????????Verne: 15.
????????Viazzi: 148.
????????Villars: 193.

????????Wagner: 19, 53, 200, 234, 245.
????????Washington: 216.
????????Weyler: 193, 194.

Zola 200, 227-234.

INDICE DEI CAPITOLI

????????Il secolo agonizzante Pag. 7
????????Il tolstoismo ?? 27
????????Il superuomo ?? 43
????????La poesia di un filosofo ?? 59
????????La filosofia di un poeta ?? 89
????????Il femminismo ?? 119
????????Due civilt?? ?? 158
????????Vincitori e vinti ?? 175
????????Il genio e l'ingegno ?? 197
????????Critica e creazione ?? 219
????????La timidezza ?? 235
????????La volont?? ?? 249

MILANO???REMO SANDRON, Editore???PALERMO

Biblioteca di scienze sociali e politiclie

1. *Guyot Y.* La tirannide socialista L. 1 50

2. *???* I princip?? dell'89 e il socialismo ?? 1 50

3. *Marx C.* Il Capitale. Estratti di P. Lafargue con introduzione critica di Vilfredo Pareto e replica di P. Lafargue, con ritratto, 3^a ediz. ?? 2 ???

????4. *Colajanni N.* Gli avvenimenti di Sicilia e le loro
????????????cause
, 2^a ediz. ?? 2 ???

????5. *Morselli E.* La pretesa ??Bancarotta della scienza??
????????????(Una risposta) ?? ??? 50

6. *Tarozzi G.* La vita e il pensiero di Luigi Ferri (esaurito) ?? ??? ???

????7. *Tangorra V.* Gli eccessi di produzione in Giammaria Ortes
????????????(esaurito). ?? ??? ???

????8. *Ferri E.* Discordie positiviste sul Socialismo (Ferri
????????????contro Garofalo) 2^a edizione ?? 1 ???

????9. *Virgilii F.* Il problema agricolo e l'avvenire sociale.
????????????2^a edizione notevolmente accresciuta ?? 4 ???

10. *Zerboglio A.* Il socialismo e le obiezioni pi?? comuni ?? 2 ???

????11. *Starkenburg H.* La miseria sessuale dei nostri tempi.
????????????Trad. pref. e note di L. F. P. 2^a ediz. ?? 1 50

????12. *Lafargue P.* L'origine e l'evoluzione della propriet??,
????????????preceduta da un'Introd. di Achille Loria ?? 2 ???

13. *Ferrari C.* La nazionalit?? e la vita sociale. ?? 3 ???

14. *De Greef G.* Regime parlamentare e regime rappresentativo ?? 1 ???

15. *Lombroso C.* La funzione sociale del delitto. 2^a ed. ?? ??? 50

16. *De Marinis E.* Le presenti tendenze della societ?? e del pensiero e l'avvenire, 2^a ediz. ?? 1 ???

17. *Ferraris C. F.* Il materialismo storico e lo Stato ?? 3 ???

18. *Spencer H.* Istituzioni domestiche ?? 3 ???

19. *Niceforo Alfr.* La delinquenza in Sardegna, con pref. di E. FERRI (Note di sociologia criminale) ?? 2 ???

20. *Spencer H.* Istituzioni cerimoniali ?? 3 ???

21. *Novicow G.* Coscienza e volont?? sociali ?? 4 ???

????22. *Niceforo Alfr.* L'Italia barbara contemporanea.
????????????Stud?? ed appunti sull'Italia del Sud ?? 2 ???

????23. *Sombart W.* Socialismo e movimento sociale nel secolo XIX.
????????????Traduz. autoriz. e rived. dall'A. ?? 1 50

????24. *Lerda G.* Influenza del Cristianesimo sull'Economia.
????????????Note ed appunti ?? 1 ???

25. *Ferraris G. F.* Teoria del dicentramento amministrativo L. 1 50

26. *Morasso M.* Contro quelli che non hanno e che non sanno ?? 4 ???

????27. *Labriola A.* La teoria del valore di C. Marx. Studio
????????????sul III. libro del ??Capitale?? ?? 3 ???

????28. *Tambaro I.* Le incompatibilit?? parlamentari, 2^aedizione
????????????interamente rifatta ?? 1 50

????29. *Gatti G.* Agricoltura e Socialismo. (Le nuove correnti
????????????dell'economia agricola) ?? 4 ???

????30. *Engels F.* La rivoluzione scientifica del signor Eugenio
????????????D??hring
(in lavoro) ?? ??? ???

????31. *Giudice A.* Il Valore o Le fondamenta scientifiche del
????????????Socialismo
?? 2 ???

????32. *Croce B.* Materialismo storico ed economia marxista.
????????????Saggi critici ?? 3 ???

????33. *Modigliani Gius. Em.* La fine della lotta per la vita
????????????tra gli uomini
. Saggio. ?? 2 ???

????34. *Restivo F. E.* Il socialismo di Stato dal punto di
????????????vista della Filosofia giuridica
?? 3 ???

????35. *Nasi N.* Politica estera.???Commissariato civile in
????????????Sicilia
. Discorsi ?? 1 ???

36. *Renda A.* La questione meridionale. Inchiesta ?? 2 ???

BIBLIOTECA "SANDRON" DI SCIENZE E LETTERE

1. *Lombroso C.* Genio e Degenerazione. Nuovi stud?? e battaglie L. 4 ???

2. *Taormina G.* Ranieri e Leopardi. Osservazioni e ricerche con documenti inediti ?? 1 50

3. *Sergi G.* Leopardi al lume della scienza. ?? 3 ???

4. *Sighele S.* Mentre il secolo muore. Psicologia contemporanea ?? 3 ???

5. *Patrizi M. L.* Nell'estetica e nella scienza. Conferenze e polemiche ?? 4 ???

6. *Fornelli N.* L'opera di Augusto Comte ?? 3 ???

7. *Viazzi P.* La lotta di sesso ?? 3 50

8. *Piazza G.* L'arte nella folla ?? 4 ???

9. *Marchesini G.* La teoria dell'utile. Princip?? etici fondamentali e applicazioni ?? 3 ???

10. *De Roberto F.* Il colore del tempo ?? ???

11. *Morello V. (Rastignac)*. Nell'arte e nella vita ?? 4 ???

12. *Caselli C.* La lettura del pensiero. Memorie ed appunti di un esperimentatore

13. *Gentile*. L'insegnamento della Filosofia. Saggio pedagogico

End of Project Gutenberg's Il colore del tempo, by Federico De Roberto

*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK IL COLORE DEL TEMPO ***

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Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of electronic works in formats readable by the widest variety of computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.

Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Its 501(c)(3) letter is posted at http://pglaf.org/fundraising. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S. Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered throughout numerous locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email business@pglaf.org. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation's web site and official page at http://pglaf.org

For additional contact information:
??????????Dr. Gregory B. Newby
??????????Chief Executive and Director
??????????gbnewby@pglaf.org

Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide spread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit http://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: http://pglaf.org/donate

Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For thirty years, he produced and distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.

Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper edition.

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This Web site includes information about Project Gutenberg-tm, including how to make donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.

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https://gutenberg.classicistranieri.com

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Debito formativo
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