Quando cominciai a lavorare nel laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT nel 1971, entrai a far parte di una comunità in cui ci si scambiavano i programmi, che esisteva già da molti anni. La condivisione del software non si limitava alla nostra comunità; è un cosa vecchia quanto i computer, proprio come condividere le ricette è antico come il cucinare. Ma noi lo facevamo più di quasi chiunque altro.
Il laboratorio di Intelligenza Artificiale usava un sistema operativo a partizione di tempo (timesharing) chiamato ITS (Incompatible Timesharing System) che il gruppo di hacker (1) del laboratorio aveva progettato e scritto in linguaggio assembler per il Digital PDP-10, uno dei grossi elaboratori di quel periodo. Come membro di questa comunità, hacker di sistema nel gruppo laboratorio, il mio compito era migliorare questo sistema.
Non chiamavamo il nostro software “software libero”, poiché questa espressione ancora non esisteva, ma si trattava proprio di questo. Quando persone di altre università o di qualche società volevano convertire il nostro programma per il proprio sistema ed utilizzarlo, erano le benvenute. Se si vedeva qualcuno usare un programma sconosciuto ed interessante, si poteva sempre chiedere di vederne il codice sorgente, in modo da poterlo leggere, modificare, o prenderne alcune parti per creare un nuovo programma.
(1) L’uso del termine “hacker” nel senso di “pirata” è una confusione di temini creata dai mezzi di informazione. Noi hacker ci rifiutiamo di riconoscere questo significato, e continuiamo ad utilizzare la parola nel senso di “uno che ami programmare, e a cui piaccia essere bravo a farlo”. Leggete il mio articolo A proposito dell’Hacking.
Tratto da: http://www.controversi.org
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