Pekhon – La notte scorsa alcuni razzi e proiettili di armi pesanti sparati dai soldati dell’esercito birmano hanno colpito la Cattedrale cattolica del Sacro Cuore, nella diocesi di Pekhon, situata nella parte meridionale dello Stato Shan, nel Myanmar orientale. Come riferisce all’Agenzia Fides p. Julio Oo, sacerdote della diocesi di Pekhon, “è un atto esecrabile, da condannare”. “Il complesso della chiesa – riferisce p. Julio – è un luogo di rifugio e sicurezza nell’instabilità generalizzata di un conflitto violento, dato che, mentre vi sono combattimenti nella zona, centinaia di persone del posto si stanno rifugiando nel complesso della Cattedrale”.
Mentre le milizie locali della resistenza stanno combattendo l’esercito a 8 miglia dalla città, “tali atti di violenza gratuita sui civili e sui luoghi di culto aumentano la frustrazione e la protesta giovanile contro l’esercito. Siamo preoccupati: per le forze militari le chiese stanno diventando sempre di più gli obiettivi di attacchi”, ha aggiunto il sacerdote.
Secondo fonti locali nella comunità cristiana, l’esercito potrebbe prendere di mira le chiese appositamente perché “esse sono il nucleo della comunità, distruggendole, i soldati vogliono distruggere la speranza della gente”. La popolazione nella diocesi di Pekhon è di circa 340mila abitanti e i cattolici sono circa 55mila.
In ai separati episodi, nei giorni scorsi i militari del Myanmar hanno devastato e bruciato le case e una chiesa battista nel villaggio di Ral Ti della municipalità di Falam nello stato birmano di Chin. Nel ripulire le macerie, un Pastore battista del villaggio e i membri della comunità hanno ritrovato miracolosamente intatti la Bibbie e il libro degli inni.
L’esercito ha anche bruciato 134 case nella città di Thang Tlang, sempre nello stato Chin, dando alle fiamme ae due chiese cristiane, una presbiteriana e una battiste, per rappresaglia contro i ribelli locali. Un fedele cristiano locale, Lian Hmung Sakhon dice a Fides: “Con tale violenza, distruggendo e bruciando case e chiese, l’esercito non vincerà, ma creerà ancora maggiore ostilità e ribellione tra la popolazione civile e i giovani”
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bookmark_borderASIA/TERRA SANTA – Chiese cattoliche di Terra Santa confermano la propria “ospitalità eucaristica” verso i battezzati delle Chiese orientali non cattoliche
Gerusalemme – Un sacerdote appartenente a una delle comunità cattoliche presenti in Terra Santa può amministrare i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi anche a cristiani appartenenti a Chiese ortodosse e orientali non cattoliche, se costoro lo richiedono spontaneamente, di loro iniziativa, “e sono adeguatamente preparati”. E’ questa la disposizione più esemplare contenuta nel testo delle “Direttive pastorali ecumeniche” per le Chiese cattoliche, appena emanato in lingua araba, dall’Assemblea dei Vescovi ordinari cattolici di Terra Santa.
Il documento fornisce orientamenti e anche disposizioni vincolanti in merito a questioni cruciali per la vita spirituale dei cristiani appartenenti alle tante comunità ecclesiali presenti nella regione. Le direttive pastorali mirano a “illuminare, stimolare e orientare le relazioni ecumeniche della Chiesa cattolica in Terra Santa” applicando all’attuale contesto ecclesiale locale l’insegnamento e gli orientamenti seguiti in materia sacramentale dalla Chiesa cattolica.
Le direttive si applicano a tutte le Chiese cattoliche in Terra Santa , coinvolgono comunità cattoliche latine, maronite, melkite, caldee, sire, armene e copte, e riguardano in particolare la partecipazione alla vita sacramentale, questione cruciale e di grande interesse per la vita ordinaria e la testimonianza comune dei battezzati nelle terre in cui è nato, vissuto, morto e risorto Gesù Cristo. Ae questioni – come la formazione ecumenica nelle scuole e la promozione di iniziative caritative condivise tra comunità ecclesiali cattoliche e non cattoliche – verranno affrontate in futuri pronunciamenti dall’Assemblea dei Vescovi ordinari cattolici di Terra Santa.
Nella prima parte delle direttive, si delinea in sintesi la particolare valenza assunta dalla “questione ecumenica” nel contesto della Terra Santa, dove da sempre convivono riti e tradizioni ecclesiali molteplici. Questa diversità, nel corso della storia, invece di essere riconosciuta e accolta come una ricchezza, è stata ridotta spesso a mero strumento di differenziazione identitaria nelle divisioni contrapposizioni dottrinali, giurisdizionali e di potere che hanno lacerato la comunione tra i cristiani.
Il documento di orientamento diffuso dai Vescovi cattolici di Terra Santa, riconosce che ora la situazione è “completamente diversa”. Il cammino ecumenico promosso con forza dopo il Concilio Vaticano II, gesti come il pellegrinaggio di Papa Paolo VI in Terra Santa nel 1964 e anche le difficili condizioni politiche e sociali vissute in Terra Santa negli ultimi decenni, hanno contribuito ad avvicinare le Chiese, che hanno assunto insieme anche l’impegno recente dei restauri nella Basilica del Santo Sepolcro.
I cristiani di Terra Santa, pur appartenendo a comunità diverse – sottolinea il documento con annotazioni preziose ed eloquenti – vivono “fianco a fianco”, e riconoscono la comune vocazione a confessare insieme la fede in Cristo nell’attuale contesto della Terra Santa, segnato da conflitti, sofferenze e opposti integralismi. I matrimoni misti, tra coniugi cristiani appartenenti a confessioni diverse, sono ormai un tratto costante della vita familiare di tutti i battezzati dell’area, i quali “a volte arrivano persino a dire che loro sono in piena comunione, e che la divisione è solo una questione che riguarda il clero”.
La convivenza quotidiana porta i battezzati a non dare troppo peso ai confini confessionali tra una comunità ecclesiale e l’aa, anche per quanto riguarda la vita liturgica e la pratica sacramentale. I battezzati “si identificano spontaneamente come cristiani, mentre i sacerdoti tendono a definirsi secondo standard confessionali”. Questo processo spontaneo si è confrontato negli ultimi anni e “in alcuni luoghi”, con una certa “tendenza a riaffermare l’identità settaria”, segnata a volte anche da un atteggiamento di chiusura e di ostilità verso ae comunità cristiane.
Le disposizioni dei Vescovi cattolici di Terra Santa richiamano esplicitamente come proprie fonti di ispirazione gli enunciati essenziali della dottrina cattolica in materia ecumenica, facendo riferimento ai documenti del Concilio Vaticano II e al Piano pastorale emanato dal Sinodo diocesano delle Chiese cattoliche in Terra Santa nel 2000. Tutti i battezzati cattolici vengono richiamati a rispettare “fedelmente” le disposizioni concrete che emanano da quei testi magisteriali. Riguardo alla vita sacramentale e liturgica, si ribadisce che occorre tenere presenti i diversi gradi della “comunione imperfetta” condivisa dai cattolici con i cristiani di ae Chiese e comunità ecclesiali, e per questo vanno sempre distinti i rapporti che si possono avere con le Chiese ortodosse e orientali da quelli che possono essere sperimentati con le Chiese e i gruppi scaturiti in vario modo dalla Riforma.
Nella terza sezione si definiscono in maniera dettagliata criteri e direttive che devono orientare i cattolici – clero e laici – nella condivisione della vita sacramentale con battezzati di ae confessioni cristiane.
In primis, il documento di orientamento incoraggia i credenti “a praticare la loro fede e la vita sacramentale nelle proprie chiese”, e ad evitare ogni atteggiamento di sciatto indifferentismo nei confronti della disciplina ecclesiale in merito alle celebrazioni liturgiche e all’amministrazione dei sacramenti. Si ribadisce che “ogni cristiano ha il diritto, per motivi di coscienza religiosa, di decidere liberamente la propria appartenenza ecclesiastica”. E si riafferma la “distinzione permanente e chiara tra la partecipazione al culto liturgico non sacramentale e la vita dei sacramenti, in particolare dell’Eucaristia”.
A seguire, il documento fornisce le linee guida relative alla condivisione della vita sacramentale con i figli delle Chiese orientali o delle Chiese ortodosse orientali. Si ribadisce in maniera esplicita che i sacerdoti cattolici sono autorizzati a concedere i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi ai fedeli delle Chiese orientali, se questi lo richiedono e sono adeguatamente preparati. Nel contempo, si chiarisce che ai cristiani ortodossi e delle antiche Chiese d’Oriente non cattoliche è richiesto di rispettare la disciplina e le consuetudini con cui i sacramenti vengono amministrati nella Chiesa cattolica. Viene chiarito che un battezzato appartenente alle Chiese ortodosse e orientali non cattoliche può svolgere il ruolo di padrino o madrina, insieme a un padrino o a una madrina cattolici, nel battesimo di un cattolico. Allo stesso modo, un cristiano appartenente a una Chiesa orientale può essere testimone di un matrimonio in una Chiesa cattolica.
In continuità con gli orientamenti già definiti dalla grande disciplina della Chiesa cattolica, si ripete anche che, in situazioni di pericolo di morte, «i sacerdoti cattolici possono amministrare i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi a membri di ae Chiese o gruppi ecclesiali», quando costoro non possano ricorrere a sacerdoti o ministri del culto appartenenti alla propria comunità ecclesiale, a patto che chi chiede tali sacramenti lo faccia di propria iniziativa e in piena libertà, esprimendo la propria fede nel sacramento che riceve.
bookmark_borderAFRICA/TOGO – Chiese chiuse fino a metà ottobre ma i missionari non fermano la solidarietà
Kolowaré – La conferenza episcopale del Togo ha chiesto in questo mese del Rosario di accendere una candela il 7 ottobre, giorno della Madonna del rosario, davanti alle porte chiuse di tutte le chiese parrocchiali.
Nonostante l’imposizione della chiusura delle chiese nel Paese africano l’impegno dei missionari non si arresta. “Eccomi di nuovo a Kolowaré. Sono rientrato il 16 settembre dopo il mio consueto soggiorno annuale a Genova presso la Casa Provinciale della Società per le Missioni Africane italiana.” Padre Silvano Galli, sacerdote della Società per le Missioni Africane, missionario in Togo, ha raccontato all’Agenzia Fides il suo rientro nella terra di missione che lo accoglie da 17 anni, dopo 22 trascorsi in Costa d’Avorio. “Partito da Genova con p. Ceferino Cainelli, Provinciale della provincia italiana della SMA, arriviamo a Lomé mezz’ora prima del previsto – scrive. Dopo tutti i controlli arrivo alla dogana. Lo scanner per i bagagli è guasto, e fanno aprire le valigie. Mi avvicino al capo dei doganieri, saluto con un convinto Salam Aleikoum, poi due parole in kotokoli, spiego che sono il padre di Kolowaré e, con un sorriso, mi fanno passare. L’autista Bassarou di Kolowaré mi aspetta per andare alla Maison Régionale.”
Il missionario spiega che questa ‘casa regionale’, nel quartiere di Beh a Lomè, è il punto di riferimento per tutti i padri della SMA operanti in Togo. “Diventerà un centro per accogliere la Propedeutica, con i giovani che desiderano entrare nella nostra comunità, nella quale sarò anch’io presente a partire da gennaio quando lascerò Kolowaré.”
“Il giorno dopo siamo ripartiti e abbiamo fatto una sosta a Amakape dove ci hanno offerto diversi pacchi di medicinali per il dispensario di Sokodé – riprende il suo racconto p. Silvano. All’entrata di Sokodé un poliziotto ci chiede cosa ci fosse nei pacchi. ‘Medicinali per il Dispensario di Kolowaré’, rispondo. Il poliziotto si illumina: ‘Ma io sono andato a scuola a Kolowaré, abitavo dietro la vecchia chiesa’. Arrivati alla missione scarichiamo le medicine davanti al magazzino delle suore visto che le chiese qui sono chiuse fino a metà ottobre. Il giorno dopo, presto al mattino, si succedono un po’ di visite: arriva un gruppo di ragazzi con i loro allenatori, Charles, con un pollo, Jean con verdure dell’orto, Celine con una caraffa di birra locale, e poi il gruppo di bambini venuti con ceste di letame per l’orto. Hanno saputo del mio arrivo, ed eccoli! Questi piccoli missionari mi hanno fatto sentire di nuovo a casa” conclude p. Galli.
bookmark_borderASIA/MYANMAR – Chiese e monasteri rifiutano i finanziamenti della giunta militare; la resistenza proclama la “guerra difensiva”
Hakha – La giunta militare del Myanmar ha disposto una donazione in denaro ai Pastori cristiani e ai leader buddisti in tutte le città dello stato di Chin, attraverso i comandanti dell’esercito locale. I militari hanno convocato pastori e parroci delle chiese e monaci buddisti dei monasteri, per donare loro un contributo di 18.000 kyat birmani , al fine di utilizzarli nelle loro chiese, ma quasi tutti i leader religiosi hanno rifiutato il denaro. “Non vogliamo essere comprati né considerati organici o vicini all’esercito”, rileva a Fides un Pastore battista tra i circa 3.000 Pastori protestanti battisti dello stato Chin, chiedendo l’anonimato per motivi di sicurezza. “Tuttavia per evitare ritorsioni contro la nostra famiglia o la nostra comunità, abbiamo partecipato all’incontro con i comandanti militari, restituendo garbatamente il denaro offerto” informa.
“Nei giorni scorsi – riferiscono fonti di Fides nella diocesi di Hakha – l’esercito ha cercato e compilato un elenco dei leader religiosi di chiese e monasteri come destinatari della donazione, ma la maggior parte dei leader cristiani e buddisti non ha voluto fornire i propri nomi. Molti leader religiosi hanno affermato che invece di donare del denaro, l’esercito dovrebbe proteggere gli edifici religiosi che sono stati colpiti, danneggiati, sequestrati o devastati” .
Intanto la giunta militare birmana ha rilasciato il controverso monaco buddista Ashin Wirathu, noto per la sua retorica nazionalista anti-musulmana, dichiarando decadute tutte le accuse a suo carico. Il monaco era stato accusato di sedizione dal precedente governo civile del Myanmar. Noto per il suo sostegno all’esercito, Wirathu ha più volte pronunciato discorsi di istigazione all’odio verso i musulmani Rohingya, animando il “Movimeno 969” di matrice nazionalista-buddista. Negli ultimi anni aveva promosso discorsi nazionalisti, criticando l’allora leader Aung San Suu Kyi e il suo governo della Lega Nazionale per la Democrazia. Nel 2019 è stato imputato per incitamento a “odio e disprezzo” contro il governo civile. Fuggito, si era arreso alle autorità nel novembre del 2020, ed era in attesa di giudizio.
A livello di resistenza popolare, il governo di unità nazionale del Myanmar , composto da politici e leader sociali a favore della democrazia, ha ufficializzato il 7 settembre una “guerra difensiva” contro la giunta militare. “Durante questa rivoluzione popolare, tutti i cittadini del Myanmar devono ribellarsi in tutto il paese contro la giunta militare, guidata dal generale Min Aung Hlaing”, afferma il NUG. “Sono passati mesi di crudeli omicidi, torture e arresti da parte dei militari. Tutti conoscono i continui atti disumani perpetrati dai soldati quando occupano case, edifici religiosi, ospedali e scuole”, ha detto Duwa Lashi La, politico di etnia Kachin, attualmente presidente ad interim del NUG.
Il governo ribelle, che resta fedele al movimento democratico e alla leader Aung San Suu Kyi, ha creato proprie milizie, le Forze di Difesa Popolari, per combattere l’esercito del Myanmar. In un messaggio pubblico, il NUG chiede a soldati e poliziotti di disertare dai ranghi ufficiali e di unirsi alla resistenza. Chiede inoe il sostegno ai guerriglieri dei diversi eserciti che da decenni combattono Tatmadaw per una maggiore autodeterminazione per le loro regioni. Il governo-ombra si dice impegnato a costruire una democrazia federale che protegga tutti i cittadini allo stesso modo.
Almeno 1.046 persone hanno perso la vita a causa della violenta repressione dell’esercito, che ha sparato sui partecipavano a manifestazioni pacifiche mentre, secondo l’Associazione per l’assistenza dei prigionieri politici, sono detenuti oe 6.000 oppositori.
bookmark_borderASIA/MYANMAR – Militari dell’esercito birmano occupano e profanano due chiese
Hakha – L’esercito birmano ha requisito e profanato due chiese, la chiesa cattolica di San Giovanni e una chiesa battista, nel villaggio di Chat, nel comune di Mindat, nello stato birmano di Chin, in Myanmar occidentale. Come confermano all’Agenzia Fides fonti nella ecclesiali nella diocesi di Hakha, dove si trova Mindat, l’aggressione è avvenuta ieri, 31 agosto 2021. I militari del Myanmar hanno sequestrato gli edifici di culto e creato un loro quartier generale all’interno delle due chiese.
Il parroco cattolico della Chiesa di san Giovanni, padre John Aung, scacciato, esprime a Fides tutto il suo sdegno: “E’ esecrabile. I militari hanno requisito la chiesa per loro uso. Hanno aperto il tabernacolo, hanno preso le ostie consacrate e le hanno buttate a terra, calpestando e saccheggiando. Hanno distrutto tutti gli armadi chiusi a chiave. L’esercito dovrebbe sapere rispettare gli edifici religiosi e non dovrebbe toccare nulla all’interno della chiesa. Condanniamo l’aggressione e la violenza gratuita e la profanazione della nostra chiesa, con la palese violazione della libertà di culto”. Nel villaggio di Chat vi sono 68 case, 42 delle quali sono di famiglie cattoliche. Tutta la parrocchia abbraccia 20 villaggi dell’area. All’arrivo dei militari, che nell’area si sono scontrati con alcuni militanti delle forze di resistenza locali, il parroco è fuggito nella foresta con gli abitanti del villaggio.
Riferisce Shane Aung Maung, uno dei fedeli cristiani battisti del villaggio: “I soldati hanno distrutto le nostre bibbie, gli arredi sacri, i generatori elettrici e l’amplificatore dei suoni. Bevono alcolici all’interno dell’edificio della Chiesa. Macellano il bestiame e cucinano carne nella chiesa”. “Tatmadaw sta destabilizzando il Paese, colpendo persone e proprietà delle Chiese cristiane, uccidendo civili disarmati e pacifici e bruciando villaggi e case. Siamo davvero sconcertati”, aggiunge.
Commenta a Fides il sacerdote cattolico locale p. David Hmun: “Siamo scioccati. E’ davvero impensabile. I militari del Myanmar non sono più un esercito popolare ma diventano così un gruppo militante terrorista, che compie violenza sul popolo, su civili innocenti”.
L’occupazione della chiesa da parte dell’esercito è avvenuta quando i combattimenti tra i militari e i gruppi di resistenza civile si sono intensificati nello stato di Chin, area prevalentemente cristiana. L’Institute of Chin Affairs, ente non profit creato da leader di etnia Chin, attualmente con base in India, ha condannato gli atti di violenza compiuti dalle truppe durante l’occupazione delle chiese. “L’occupazione della chiesa e la devastazione delle proprietà della chiesa è una violazione della Convenzione di Ginevra. Chiediamo la fine immediata di atti contro il diritto internazionale umanitario e contro i diritti umani”, afferma l’Istituto in un comunicato pervenuto a Fides. L’Istituto condanna l’uccisione di centinaia di civili Chin nei mesi scorsi e segnala che, come effetto del colpo di stato militare del 1° febbraio, “il paese sta scivolando in una guerra fratricida che conduce alla rovina”. Data la reazione “intraprendente e resiliente della popolazione, il golpe è fallito”, si afferma, notando la formazione e la tenacia delle “Forze di difesa popolare” in tutta la nazione.
bookmark_borderAFRICA/EGITTO – Sale a 1958 il numero di chiese e edifici ecclesiastici “condonati” dal governo egiziano
Il Cairo – A cavallo tra i mesi di luglio e agosto 2021, il governo egiziano ha riconosciuto la piena conformità di ae 76 chiese e costruzioni di proprietà ecclesiastica alle disposizioni che regolano l’edificazione dei luoghi di culto cristiani e degli immobili di servizio ad essi collegati. Nel dettaglio, stavolta la dichiarazione di conformità ha riguardato 27 luoghi di culto cristiani e 49 fabbricati ad essi annessi, Il nuovo elenco di chiese e edifici ecclesiastici “condonati” è stato pubblicato sulla Gazzetta uffiiciale. La nuova certificazione di conformità ha riguardato nel dettaglio 27 chiese e 49 edifici di servizio ad esse collegati, ed è stata approvata dal Primo Ministro Mostafa Madbouly, sulla base del lavoro di verifica realizzato dal Comitato governativo costituito ad hoc per realizzare la complessiva sanatoria edilizia di luoghi di culto cristiani e fabbricati ad essi collegati, edificati nei decenni scorsi senza le dovute autorizzazioni governative e amministrative. Il Comitato incaricato aveva reso noto lo scorso 25 luglio il suo responso in merito alla conformità legale delle chiese e degli edifici appena condonati. La delibera del Consiglio dei Ministri che “legalizzato” in via definitiva tali fabbricati è arrivata il 9 agosto. Sale così a 1958 il numero di chiese e edifici di servizio ausiliari che sono stati condonati da quando è iniziato il processo di “legalizzazione” dei luoghi di culto cristiani costruiti in passato senza i permessi richiesti. Il processo di verifica e regolarizzazione è iniziato a partire dall’approvazione della nuova legge sulla costruzione e la gestione dei luoghi di culto, ratificata dal Parlamento egiziano il 30 agosto 2016. Da allora, il Comitato governativo costituito ad hoc si è riunito 20 volte per dare in ogni occasione il proprio nulla osta alla regolarizzazione legale di chiese e immobili di pertinenza ecclesiastica finora considerati in tutto o in parte abusivi dal punto di vista legale. Il precedente “placet” del Comitato governativo alla regolarizzazione legale di chiese, cappelle e proprietà ecclesiastiche era arrivata lo scorso 12 aprile, e aveva riguardato 82 fabbricati tra luoghi di culto e edifici di servizio annessi.
Le chiese sottoposte al vaglio del Comitato governativo competente sono soprattutto quelle costruite prima che entrasse in vigore la nuova legge sulla costruzione degli edifici di culto cristiani. Il Comitato è incaricato di verificare se migliaia di chiese e luoghi di preghiera cristiani, costruiti in passato senza le autorizzazioni richieste, rispondano agli standard stabiliti dalla nuova legge. La verifica si risolve ordinariamente nella regolarizzazione dei luoghi di culto.
Nei decenni scorsi, molte chiese e cappelle erano state costruite in tutto il territorio egiziano in maniera spontanea, senza tutte le dovute autorizzazioni. Ancora oggi tali edifici, tirati su dalle comunità cristiane locali senza permessi legali, continuano di tanto in tanto ad essere utilizzati come pretesto dai gruppi di facinorosi per fomentare violenze settarie.
La legge sui luoghi di culto dell’agosto 2016 ha rappresentato per le comunità cristiane egiziane un oggettivo passo avanti rispetto alle cosiddette “10 regole” aggiunte nel 1934 alla legislazione ottomana dal Ministero dell’interno, che vietavano tra l’ao di costruire nuove chiese vicino alle scuole, ai canali, agli edifici governativi, alle ferrovie e alle aree residenziali. In molti casi, l’applicazione rigida di quelle regole aveva impedito di costruire chiese in città e paesi abitati dai cristiani, soprattutto nelle aree rurali dell’Alto Egitto.
bookmark_borderAFRICA/CONGO RD – Chiese profanate a Mbujimayi e assalito l’arcivescovado di Kinshasa: la condanna dei Vescovi
Kinshasa – “Sono atti deliberati di dissacrazione, atti spregevoli e particolarmente rivoltanti”. Così Sua Ecc. Mons. Bernard-Emmanuel Kasanda Mulenga, Vescovo di Mbujimayi, ha qualificato la profanazione di una decina di chiese nella sua diocesi, che si trova nel Kasai, nel centro della Repubblica Democratica del Congo.
Tra queste c’è la cattedrale Saint Jean-Baptiste de Bonzola de Mbujimayi, e le parrocchie di Saint Amand, Sainte Bernadette di Nkolongo, Saint Vincent de Paul de Nkuadi, Christ Roi di Kansansa e ae ancora.
Mons. Kasanda ha chiesto la pronuncia di condanne “estremamente esemplari, ferme e rapide” contro gli autori. Da quasi quattro mesi i luoghi di culto del Kasai, regione da cui proviene il presidente congolese Félix Tshisekedi, subiscono “una progressiva e sistematica dissacrazione”: “tabernacoli, vasi sacri, pietre e tovaglie d’altare, cibori, mobili e statue del Sacro Cuore di Gesù e della Vergine Maria sono rubati” denuncia il Vescovo.
Un portavoce del governo provinciale ha affermato che Mons. Kasanda ha fornito alle autorità di polizia alcune informazioni per cercare di ritrovare gli oggetti sacri trafugati, indicando sia in gruppi “devianti” interni alla Chiesa, sia “chi è nel mondo feticista pensa di consolidare il proprio pseudo potere dotandosi delle cose sacre della Chiesa cattolica” i possibili autori delle profanazioni.
Sullo sfondo rimangono le tensioni tra la Chiesa cattolica e il governo per la mancata elezione del Presidente della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente , che deve essere nominato dalle principali confessioni religiose congolesi. Il 23 luglio don Donatien Nshole, portavoce delle confessioni religiose aveva denunciato “pressioni, intimidazioni e le minacce di ogni tipo di cui sono vittime alcuni membri della piattaforma delle confessioni religiose per impedirci di svolgere liberamente il nostro lavoro”
La Conferenza Episcopale e l’Église du Christ au Congo si oppongono alla candidatura di Denis Kadima, proposte da ae sei confessioni religiose perché considerato troppo vicino al Presidente Félix Tshisekedi.
Domenica 1° agosto alcuni dimostranti hanno assalito tirando sassi l’Arcivescovado di Kinshasa. “Un gruppo di persone non identificate si è presentato presso l’arcivescovado di Kinshasa e presso la residenza del Cardinale Fridolin Ambongo, intonando canti e frasi ingiuriose e commettendo atti violenti”, ha denunciato p. Georges. Njila, Cancelliere dell’arcidiocesi di Kinshasa.
bookmark_borderASIA/IRAQ – Incontri ecumenici per rilanciare il Consiglio dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese presenti in Iraq
Erbil – Una delegazione della Chiesa caldea, guidata dal Patriarca e Cardinale Louis Raphael Sako, ha realizzato a Erbil una serie di incontri con rappresentanti di ae Chiese e comunità ecclesiali presenti in Iraq, nel tentativo di avviare un processo volto a riqualificare e rilanciare strumenti di contatto e organismi ecumenici “congelati” da anni in uno stato di sostanziale inerzia.
Il Patriarca Sako, con alcuni suoi collaboratori, ha incontrato tra gli ai Mor Nicodemus Daoud Matti Sharaf, Arcivescovo siro ortodosso di Mosul, l’Arcivescovo Nathanael Nizar Samaan, alla guida della diocesi siro cattolica di Hadiab e rappresentanti della Chiesa Assira d’Oriente. Negli incontri – riferiscono le fonti accreditate del Patriarcato caldeo – gli esponenti delle diverse Chiese si sono soffermati in particolare sulla necessità di trovare nuove vie di cooperazione fraterna, alla luce delle tante emergenze che affliggono il popolo iracheno e rappresentano il contesto reale in cui le comunità ecclesiali sono chiamate a confessare la stessa fede in Cristo.
Gli incontri hanno rappresentato un primo passo del processo volto a rilanciare il ruolo del Concilio dei Capi delle Chiese presenti in Iraq, organismo ecumenico costituitosi a partire dal 2006, che negli ultimi anni è entrato in una fase di sostanziale afasia e latitanza.
A giugno, come riferito dall’Agenzia Fides , il Patriarca Sako aveva pubblicato un intervento centrato sulle relazioni ecumeniche in cui sottolineava tra l’ao che il cammino per ricomporre la piena unità tra Chiese e comunità ecclesiali “non è così facile come qualcuno immagina”. In quel testo, il Porporato iracheno riconosceva che la questione del cammino per ricomporre la piena unità sacramentale tra i battezzati rappresenta una “questione complessa” che non può essere trattata con supponenza o sentimentalismo. Le Chiese e le comunità ecclesiali – riconosceva il Patriarca – non possono essere unificate in maniera forzosa, e non possono nemmeno essere spogliate delle loro singole identità “per decreto”, perché “la Chiesa non è una mera entità amministrativa”, ma una realtà intimamente connotata dalla sua propria, inconfondibile natura spirituale. Il modello storico e ideale a cui guardare – sottolineava Sako, proseguendo la sua riflessione – rimane quello della Chiesa nascente, raccontato negli Atti degli Apostoli. In quell’inizio – faceva notare il Cardinale iracheno – l’unità dei battezzati era non un obiettivo ideale da raggiungere attraverso sforzi e stratagemmi umani, ma fioriva come effetto gratuito della fede e della carità che animavano i cuori raggiunti dalla grazia di Cristo. Nel suo intervento, il Patriarca caldeo aveva anche deplorato l’immobilismo che, a suo giudizio, connota gli organismi ecumenici e i contatti inter-ecclesiali nel suo Paese, chiamando in causa proprio la stagione di appannamento attraversata negli ultimi anni dal Consiglio dei patriarchi e dei capi delle Chiese in Iraq, resa evidente anche dal paragone con la vivacità operativa di organismi analoghi presenti in Egitto, Giordania e Libano.
bookmark_borderAFRICA/ESWATINI – In una situazione sociale ed economica preoccupante, le Chiese al lavoro per dialogare con tutti
Mbabane – Continuano le violenze nel piccolo Stato dell’Africa Australe di eSwatini. A innescare le proteste di migliaia di cittadini, settimane fa, era stato l’omicidio, nel maggio scorso, di un giovane studente della facoltà di legge, Thabani Nkomonye, per mano della polizia. Ma al di là del triste episodio, a scatenare le imponenti proteste che hanno raccolto migliaia di manifestanti dalla fine dello scorso mese, è stata la situazione di duro regime cui la popolazione è sottoposta da tempo. Il re Mswati III, infatti, è accusato di opprimere i poco più di un milione di abitanti e di non volere favorire il processo democratico del Paese. Alle manifestazioni il re ha risposto bloccando Internet, imponendo il coprifuoco e dispiegando le forze armate. Sono molti, secondo gli attivisti, i morti e i feriti. La situazione è ormai prossima al caos, come testimonia una dichiarazione dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu che, il 6 luglio, ha parlato di “profonda preoccupazione”.
Raggiunto al telefono, con qualche difficoltà, il Reverendo Zwanini Shabalala, Segretario Generale del Consiglio delle Chiese dello Swaziland, ha così commentato all’Agenzia Fides il difficile momento del piccolo Paese. “Da quando il Primo Ministro Themba Masuku ha bandito la possibilità di consegnare petizioni, abbiamo visto la situazione precipitare di giorno in giorno. La cosiddetta ‘strategia delle petizioni’ era l’unico modo per il popolo di esercitare il proprio diritto costituzionale di espressione nel modo più formale e corretto: chiedendo, cioè, ai centri di potere dei distretti e ai parlamentari di ascoltare le istanze della popolazione. Il governo ha inizialmente mostrato tolleranza e, sebbene le petizioni fossero in chiaro contrasto con la politica dell’esecutivo, ha permesso almeno un punto di incontro tra potere e popolo. Ma alla prima accondiscendenza ha fatto seguito un annuncio di chiusura emanato il 24 giugno scorso, che ha disturbato la pace del nostro Paese, frustrando specialmente le speranze dei giovani. Negli ultimi giorni di giugno, infatti, quando la petizione che stava presentando il parlamentare Mduduzi Simelane – uno dei politici che chiedono l’elezione del primo ministro, venne vietata, la situazione è precipitata e ci sono stati scontri, saccheggi, incendi da parte dei manifestanti in ogni parte del Paese. Da quel momento il dispiegamento delle forze armate – non bene addestrate per questo tipo di situazioni – è stato massiccio e con esso è salito il timore che eSwatini si trasformi in breve in uno Stato militare con legge marziale. Il fatto che in alcuni casi le forze armate abbiano assicurato alla giustizia alcuni elementi deviati che volevano avvantaggiarsi del caos, non deve trarre in inganno e far pensare che la situazione sia tornata sotto controllo. Dopo i primi giorni, internet è stato ripristinato ma tutti i social sono tuttora bloccati. Ad oggi i morti sarebbero più di 50 anche se i numeri, in una tale situazione, sono difficili da verificare”.
Da tempo il piccolo Stato dell’Africa meridionale, vive in una situazione di emergenza aggravata, perao, dall’alto numero di vittime dell’Aids. Negli ultimi tempi, la popolazione, vessata da una prolungata crisi economica inasprita dall’arrivo del Covid che nel vicino Sud Africa si è fin dall’inizio dimostrato particolarmente virulento a differenza di ai Paesi africani, e soffocata da misure poco democratiche, ha voluto far sentire in modo massiccio la propria voce.
“La pandemia ha peggiorato tutto. Molti hanno perso il loro lavoro ed il livello di povertà nel Paese è salito. Per i giovani le opportunità formative e di lavoro sono scemate e quando i ragazzi non vedono futuro, la situazione si fa incandescente. Ma il Covid ha colpito una condizione economica già precaria e molte imprese hanno dovuto chiudere a seguito delle restrizioni imposte che hanno limitato mobilità e commercio e al salire della povertà abbiamo registrato un aumento di violenze, specie di genere: molti abusi sono stati commessi nei nuclei familiari e tante ragazze hanno dovuto lasciare la scuola perché incinte.
Ma oe a questo tipo di violenze, si sono moltiplicati gli abusi da parte della polizia o di ae forze e la gente ha perso la fiducia verso le agenzie di sicurezza. A questo si deve aggiungere un debolissimo sistema di sanità nazionale, assenza di vaccini, scarsità di medicine così come una rete di infrastrutture deficitaria, messa a dura prova anche dai cicloni ricorrenti.
Per tutti questi motivi, il nostro Paese, rinomato per il livello di pace, è sprofondato nella violenza, la cittadinanza chiede che almeno i servizi minimali siano garantiti. L’allarme per una deriva autocratica lo lanciano da tempo alcuni gruppi politici appartenenti al fronte progressista o pro-democrazia che vengono spesso silenziati: il nostro modello di governo non permette ai partiti politici di prendere parte al sistema elettorale e quelli eletti al parlamento vengono nominati su base di meriti personali nei 59 collegi. Per questo negli ultimi tempi si sono moltiplicate le petizioni, in particolare da parte dei giovani che consegnavano ai rappresentanti in parlamento dei rispettivi collegi, in cui, tra le tante cose, richiedevano un primo ministro eletto democraticamente. Le ae istanze prendevano di mira i servizi ridotti al minimo, l’alto tasso di disoccupazione e la brutalità della polizia”.
In tale situazione, la posizione delle Chiese diventa fondamentale. Con il richiamo alla pace e al dialogo, fondato su una lunga tradizione di presenza e attivismo all’interno della società swazi, le Chiese tutte hanno voluto far udire la propria voce.
“Il Consiglio delle Chiese dello Swaziland continua a richiamare alla calma e richiede che tutte le parti si seggano pacificamente attorno a un tavolo e parlino. Sappiamo che non sarà facile ma anche che è l’unica via possibile e la strada che Dio vuole che promoviamo come Chiesa. In questo senso ci siamo impegnati a dialogare con tutti gli attori di questo fase del Paese e stiamo già raggiungendo alcuni di loro, come il governo, le strutture politiche tradizionali e la società civile. Stiamo anche attivando i nostri organismi ecumenici regionali come la Fellowship of Christian Councils in Southern Africa, All Africa Conference of Churches e il World Council of Churches, perché mettano pressione all’Unione Africana, alla Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale , e all’Onu perché la situazione in eSwatini sia una priorità”.
bookmark_borderASIA/MEDIO ORIENTE – Il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente invita a unirsi alla consacrazione della regione alla Sacra Famiglia: la nostra terra “attrae” le guerre, chiediamo aiuto al Salvatore
Beirut – Il Medio Oriente è diventato uno spazio geopolitico ottimale per scatenare “guerre per procura” che si trasformano in una sorta di “massacro a rotazione” per le popolazioni locali, vittime d conflitti “che si spengono in un posto per riaccendersi da qualche aa parte” della regione mediorientale. Un flusso ininterrotto di dolore, lutto e miseria alimentato dallo stesso modello di sviluppo moderno, col suo bisogno insaziabile di fomentare nuovi conflitti per tenere alte le prestazioni dell’industria delle armi che foraggia la globalizzazione tecnologica. Davanti a questi scenari, l’opzione più realistica è quella di “rivolgerci al Salvatore”, riconoscendo che “solo la misericordia di Dio, il Creatore, può salvarci”. E’ questo lo sguardo e il giudizio sulle vicende mediorientali che ha spinto il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente a lanciare un appello per invitare tutti gli abitanti della regione, cristiani e non cristiani, a unirsi all’iniziativa promossa dalle Chiese cattoliche presenti nell’area, che domani, domenica 27 giugno, celebreranno la prima giornata della pace per l’Oriente e consacreranno il Medio Oriente alla Sacra Famiglia di Nazareth .
Il cristiano greco-ortodosso Michel Abs, attuale Segretario generale del MECC, prende spunto dall’iniziativa inedita delle Chiese cattoliche del Medio Oriente per proporre una analisi severa e realista delle radici reali dei conflitti che da decenni dilaniano quella parte del mondo, seminando senza tregue morte e distruzione tra le popolazioni inermi. “La guerra – fa notare l’economista Abs – è la benvenuta nella società moderna”, la società dell’iper-produzione industriale “che ragiona seguendo slogan tipo “ ‘Se non fosse stato per la distruzione, tu non avresti vissuto nella produzione’: ossia, distruggiamo la tua società, poi la ricostruiamo e ti portiamo anche il conto, sotto forma di debito nazionale, sovranità limitata, dipendenza e persino schiavitù”. La mioderna società tecnologica – incalza il Segretario genedele del MECC “vive solo di guerra”, e fa apparire saggio “colui che impara la lezione e allontana la guerra dalla propria società, dirottandola verso ae società”, incaricando ai “di condurre le sue guerre per procura e di aumentare così i fatturati delle sue fabbriche di armi e munizioni, oe a quelli delle industrie di prodotti che la guerra ha distrutto, che vanno dalle attrezzature per le infrastrutture fino ai mobili per la casa”. Le guerre prosegue Michel Abs “avvengono oggi attraverso intermediari”, e chi ha bisogno di questo stato di guerra continua non esita a destabilizzare Paesi anche inventando “accuse di produzione nucleare o chimica per invaderli, distruggerne la stabilità, e poi magari scusarsi con il suo popolo” ostentando lacrime di coccodrillo le moltitudini di vittime massacrate nei conflitti. In Medio Oriente – insiste il messaggio del Segretario del MECC – “le guerre finiscono in un posto per accendersi in un ao” in quello che viene definito come “massacro a rotazione”. E questo avviene perché “la nostra posizione geografica ci rende un luogo ‘attraente’ per le guerre, e lo sono anche le nostre risorse”. Una spirale che provoca anche una condizione di crescente perdita di sovranità, con le leadership locali in costante balìa dei giochi di forza regionali e globali. Proprio l’aver subito “destabilizzazioni, catastrofi e disastri – prende atto Michel Abs nella parte finale del suo intervento può far riconoscere “che solo la misericordia di Dio, il Creatore, può salvarci. Non siamo più in grado di far fronte ai nostri disastri e alle nostre tragedie, e possiamo solo rivolgerci al Salvatore”, visto che “tutte le soluzioni tentate dagli uomini si sono rivelate insufficienti”.
bookmark_borderASIA/MEDIO ORIENTE – Le Chiese cattoliche si preparano a consacrare il Medio Oriente alla Sacra Famiglia di Nazareth
Nazareth – Le Chiese cattoliche presenti nei Paesi della regione mediorientale si preparano a celebrare domenica 27 giugno la prima “Giornata della pace per l’Oriente”, che quest’anno sarà connotata anche da uno speciale atto di consacrazione del Medio Oriente alla Sacra Famiglia di Nazareth. L’iniziativa di celebrare d’ora in poi una “Giornata annuale della pace per l’Oriente” è stata promossa in principio dal Comitato episcopale ‘Giustizia e Pace’, organismo collegato al Consiglio dei Patriarchi cattolici del Medio Oriente, in concomitanza con il 130° anniversario della Rerum Novarum, l’enciclica emanata da Papa Leone XIII il 15 maggio 1891 sui ‘Diritti e doveri del capitale e del lavoro’.
Nel quadro della prima edizione della “Giornata della pace per l’Oriente”, una liturgia eucaristica verrà celebrata in ciascuno dei Paesi su cui il Consiglio dei Patriarchi cattolici del Medio Oriente esercita la sua opera di coordinamento.
Il Patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa compirà l’atto di consacrazione del Medio Oriente alla Sacra famiglia durante la liturgia eucaristica da lui presieduta a Nazareth, presso la Basilica dell’Annunciazione, a partire dalle ore 10 di domenica 27 giugno. Durante la concelebrazione, verrà benedetta un’icona della Sacra Famiglia, appositamente dipinta e intarsiata con reliquie custodite nella stessa Basilica. L’icona riproduce l’immagine della Sacra Famiglia raffigurata sopra l’altare della chiesa di San Giuseppe, a Nazareth, dove, secondo la tradizione, si trovava la casa dello Sposo di Maria. “Una volta benedetta” ha spiegato lo stesso Patriarca Pizzaballa nel suo messaggio di presentazione dell’iniziativa, “l’Icona sarà portata in pellegrinaggio, partendo dal Libano, verso i paesi dell’Oriente, fino al suo arrivo a Roma verso la fine dell’anno di San Giuseppe, l’8 dicembre 2021. Da Roma, l’Icona farà il suo viaggio di ritorno in Terra Santa”. Anche Papa Francesco, domenica 27 giugno, impartirà da Roma la sua speciale Benedizione apostolica per la “Giornata della Pace per l’Oriente”.
In Iraq, il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako celebrerà la messa e compirà l’atto di consacrazione del Medio Oriente alla Sacra Famiglia da Baghdad, durante la celebrazione eucaristica da lui presieduta alle ore dieci di domenica 27 luglio nella Cattedrale caldea di San Giuseppe, nel quartiere di Karrada. Nella stessa data, e alla stessa ora, ogni Vescovo delle diocesi caldee sparse nel Paese si unirà all’atto di consacrazione durante la liturgia eucaristica da lui presieduta nella rispettiva Cattedrale.
In Libano, il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï celebrerà la divina liturgia a Diman, sede della residenza patriarcale estiva. Nei giorni scorsi, durante una conferenza stampa di presentazione dell’evento, il dottor George Bitar, Sottosegretario Generale del Comitato episcopale “Giustizia e Pace” del Consiglio dei Patriarchi cattolici ha sottolineato la novità dell’iniziativa, che non ha precedenti nella storia delle Chiese d’Oriente, confermando che domenica 27 giugno tutte le Chiese cattoliche presenti in Libano si uniranno all’inedito atto di consacrazione “corale”.
In Libano, tale iniziativa si intreccia con le attese che circondano l’imminente incontro tra i Capi delle Chiese e comunità ecclesiali libanesi convocati a Roma da Papa Francesco il 1° luglio per pregare e riflettere insieme sui tanti fattori di crisi che attanagliano il Paese dei Cedri. In Libano sono attualmente in corso il Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco-cattolica melchita, presieduto dal Patriarca Youssef Absi, e il Sinodo dei Vescovi della Chiesa armena cattolica, chiamato a eleggere il nuovo Patriarca, dopo la scomparsa di Bedros Ghabroyan.
In Egitto, il Patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak si unirà all’iniziativa della Giornata della pace per l’Oriente e all’atto di consacrazione del Medio Oriente alla Sacra Famiglia durante la divina liturgia da lui presieduta nel pomeriggio di domenica 27 luglio presso la chiesa del Sacro Cuore, nel distretto cairota di Heliopolis.
bookmark_borderAFRICA/EGITTO – Le Chiese copte partecipano alle sottoscrizioni per le celebrazioni di Eid al Adha, la Festa islamica del Sacrificio
Il Cairo – La convivenza quotidiana tra comunità musulmane e cristiane nei Paesi a maggioranza islamica è spesso segnata da problemi e incidenti, ma è anche disseminata di gesti di generosità vicendevole e di usanze codificate che esprimono attenzione e rispetto, soprattutto in concomitanza con le rispettive festività religiose. Anche quest’anno – informano i media egiziani come il sito web Copts United – diverse parrocchie copte, ortodosse e cattoliche, hanno partecipato simbolicamente all’acquisto di alcune “obbligazioni” offerte dal Ministero delle Dotazioni religiose in vista della “Festa del sacrificio” , la festività islamica che quest’anno viene celebrata il 21 luglio. In particolare, nella provincia di Minya, quattro parrocchie hanno acquistato 13 quote delle “obbligazioni sacrificali” presso la sezione provinciale del Dicastero per le dotazioni religiose, per un valore di 26mila lire egiziane.. A sottoscrizioni analoghe hanno aderito la parrocchia copta ortodossa della Vergine Maria ad Abu Kabir, nel Governatorato di Sharkia, e una parrocchia copta cattolica sul Mar Rosso.
La festa di Eid al Adha vuole commemorare la prova di obbedienza a Dio resa da Abramo, mostratosi pronto a sacrificare la vita del figlio Isacco, se ciò corrispondeva al volere di Dio. Il sacrificio rituale che si pratica nel corso della festività ricorda il sacrificio sostitutivo effettuato con un montone da Abramo/Ibrāhīm, del tutto obbediente al disposto divino di sacrificare il figlio a Dio, prima di venire fermato dall’Angelo. Nelle comunità islamiche, da tempo immemore, si sono sviluppate varie forme di raccolta di offerte per consentire di partecipare alla Eid al Adha anche alle famiglie che non possono permettersi di acquistare l’animale da sacrificare secondo le usanze rituali.