AFRICA/MOZAMBICO – Ripresa degli assalti dei terroristi nel nord ma con un nuovo “modus operandi” volto a ingraziarsi una parte della popolazione

Maputo – Si intensificano gli attacchi dei terroristi della Ahl al-Sunnah wa al-Jamma’ah affiliati all’ISIS nel provincia di Pemba nel nord del Mozambico. Nei giorni scorsi la piccola città di pescatori del Mozambico di Quissanga, a circa 65 km a nord della capitale provinciale di Cabo Delgado e della città portuale di Pemba, è stata invasa e occupata dai terroristi islamici.
Gli abitanti riferiscono che i terroristi hanno adottato un nuovo modus operandi. Invece che uccidere i civili, questi vengono “tassati” per preservare le proprie vite e i propri beni. Chi è musulmano viene incoraggiato a restare e invitato ad unirsi a loro nella preghiera comunitaria del venerdì.
Il 12 febbraio era stata assalita la cittadina di Mazeze, nel distretto di Chiúre, dove i terroristi hanno distrutto importanti infrastrutture come l’ospedale, il mercato e la a missione cattolica di Nostra Signora d’Africa. Un fatto ricordato da Papa Francesco dopo l’Angelus di domenica 18 febbraio. “La violenza contro popolazioni inermi, la distruzione di infrastrutture e l’insicurezza dilagano nuovamente nella provincia di Cabo Delgado, in Mozambico, dove nei giorni scorsi è stata anche incendiata la missione cattolica di Nostra Signora d’Africa a Mazeze. Preghiamo perché la pace torni in quella regione martoriata” ha detto il Pontefice.
Nonostante le distruzioni arrecate alle infrastrutture, anche a Mazeze sembra che i terroristi non abbiano provocato vittime anche se diverse persone sono state costrette a fuggire.
La nuova ondata di assalti giunge dopo che a fine 2023 sembrava che le autorità mozambicana con l’aiuto delle truppe ruandesi e di un contingente militare della SADC avessero messo sotto controllo l’insurrezione jihadista. Secondo l’esercito mozambicano a metà dicembre la sicurezza era stata ristabilita in circa il 90% della provincia di Cabo Delgado. Ma diversi esperti indipendenti avevano avvertito che i terroristi, lungi dall’essere definitivamente sconfitti, avevano ridotte le loro azioni, mischiandosi in mezzo ai civili, per tornare a colpire al momento opportuno. Ora questo momento sembra arrivato dopo che è iniziato il ritiro del contingente della SADC, che sarà comunque completato nel luglio 2025, mentre la compagnia francese Total sta ripensando di riprendere il progetto di costruzione di un impianto di liquefazione del gas nel bacino di Rovuma, dopo che era stata costretta ad abbandonare i lavori nel marzo 2021, con la presa della città di Palma da parte dei terroristi.

ASIA/SIRIA – Aperto a Raqqa un ufficio per “proteggere” le proprietà dei cristiani nel nord-est siriano

Raqqa – A Raqqa, la città divenuta dal gennaio 2014 all’ottobre 2017 roccaforte e capitale siriana dell’autoproclamato Stato Islamico , è stata appena aperta una filiale dell’Alto Comitato per le Proprietà incaricata di inventariare e “proteggere” da illegittimi espropri i beni immobiliari di proprietari cristiani che hanno lasciato la regione durante gli anni del conflitto siriano.

Interpellato dalla testata online SyriacPress, il Segretario dell’Alto Comitato per le proprietà Fadj Jajo ha rimarcato l’importanza dell’iniziativa, presentandola come un esempio delle politiche di tutela dei diritti delle minoranze messe in atto dalle forze che attualmente esercitano il potere in quell’area.
L’iniziativa appare di rilievo proprio perché avviene nell’area della Siria da tempo non controllata dal governo di Damasco.
Proprio Raqqa fu bombardata a tappeto nell’intervento militare della coalizione anti-Daesh volto a piegare la resistenza delle milizie jihadiste. A liberare la città furono le Forze Democratiche Siriane appoggiate e armate dagli Stati Uniti. Da allora, l’area del nord-est siriano è controllata dalla “Amministrazione autonoma democratica della Siria nord orientale , entità autonoma de facto , non ufficialmente riconosciuta da parte del governo siriano, dominata da forze curde e sostenuta militarmente dagli USA.
La filiale del Comitato istituita ad hoc – ha sottolineato Jajo – avrà il compito di censire in maniera meticolosa i beni immobili – case e terreni – appartenenti a proprietari cristiani armeni, siri, assiri – con l’obiettivo primario di garantire restituire loro anche i beni espropriati in maniera illegale, approfittando del loro esodo forzato.
Armin Mardoian, funzionario amministrativo del Comitato, ha affermato il suo impegno nel “salvaguardare le proprietà e i luoghi sacri dei popoli siriaco e armeno”. Ha sottolineato gli sforzi di collaborazione con l’Amministrazione autonoma del Nord Est siriano per assicurare la restituzione delle proprietà ai legittimi proprietari.
L’intento dichiarato della politica ispirata dalla entità politica che de facto controlla l’area è quello di facilitare il rientro dei cristiani delle comunità autoctone espatriati nei lunghi anni del conflitto che ha dilaniato la Siria. L’Amministrazione autonoma del nord est siriano, non riconosciuta a livello internazionale, punta a accreditarsi come garante di una politica attenta alle istanze delle comunità di fede minoritarie.
Proprio a Raqqa, il modus operandi messo in atto dalle forze che controllano la regione nei confronti delle comunità cristiane autoctone è emerso anche nella vicenda della ricostruzione della chiesa dei Martiri, che era stata ridotta in macerie durante la guerra.
Il luogo di culto, appartenente alla Chiesa cattolica armena, era stata per lungo tempo in mano ai miliziani dello Stato islamico, che l’avevano trasformata in tribunale, e anche da lì dettavano legge e imponevano la loro “giustizia” jihadista. Poi era stata devastata dai bombardamenti a guida occidentale, che hanno raso al suolo buona parte del centro urbano, quando si doveva espugnare la capitale siriana del Califfato nero. Negli ultimi anni, come ha documentato l’agenzia Fides , la chiesa dei Martiri è stata ricostruita come nuova da un singolare movimento para-militare, i Free Burma Rangers, formatosi nei conflitti tra milizie etniche e esercito birmano, per iniziativa del pastore evangelico statunitense Dave Eubank, educato al Fuller Theological Seminary e nel contempo ex Ufficiale delle forze speciali dell’esercito USA.
La chiesa è sata ricostruita senza che dalla Chiesa armeno-cattolica sia giunto alcun segnale di consenso o di apprezzamento per l’iniziativa. All’interno, non c’è l’altare, ma un ambone per la predicazione, in accordo con il modello prevalente nei luoghi di culto delle comunità evangeliche.
Dopo l’inaugurazione, le poche decine di cristiani presenti a Raqqa vengono invitati a recarsi nella chiesa ricostruita. Ma non si celebra nessuna messa. «Dicono che è la nostra chiesa, che l’hanno ricostruita per i cristiani di Raqqa» confidava nel febbraio 2022 all’Agenzia Fides l’Arcivescovo armeno cattolico Boutros Marayati «ma noi non ne sappiamo niente. L’iniziativa punta a lanciare un messaggio: ricostruiamo chiese, e difendiamo i cristiani. Ma noi non c’entriamo con operazioni di questo tipo». .

ASIA/BAHRAIN – L’opera “sinfonica” dei catechisti di Awali

Awali – “Il ministero del catechista nella nostra Cattedrale è come una sinfonia ben orchestrata, in cui ogni membro ha un ruolo cruciale nell’armonizzare la crescita spirituale della nostra comunità”. Rogy Joseph è il Coordinatore dei Catechisti della cattedrale di Nostra Signora d’Arabia, Awali, Bahrain. In una conversazione con l’Agenzia Fides condivide il grande impegno che il variegato gruppo di catechisti porta avanti con migliaia di fedeli che frequentano questo luogo sacro del Vicariato Apostolico di Arabia del nord, retto dal Vescovo Aldo Berardi, O.SS.T.

“Immaginate la Cattedrale come un grande palcoscenico dove i catechisti sono gli interpreti impegnati a condividere con passione gli insegnamenti della fede. I nostri incontri, – prosegue Roji – non sono semplici riunioni, ma momenti di ispirazione e collaborazione durante i quali ci scambiamo idee, condividiamo esperienze e traiamo forza l’uno dall’altro, creando un’atmosfera di sostegno che favorisce la crescita. Quando i catechisti entrano nel loro ruolo, non si limitano ad essere semplici insegnanti, essi sono mentori e guide in un viaggio sacro. Affrontano i loro compiti con un profondo senso di responsabilità, consapevoli dell’impatto che hanno sulla crescita spirituale di coloro che li seguono.”

“La comunicazione è fondamentale in questo ministero. Lavoriamo in squadra, imparando gli uni dagli altri e crescendo insieme. Il buon funzionamento è dovuto anche all’incrollabile sostegno della direzione della cattedrale. L’incoraggiamento del vescovo Aldo Berardi, del Rettore p. Saji Thomas, ofm cap., e del Direttore del Catechismo, p. Nelson Lobo, ofm cap., le loro risorse e il loro riconoscimento alimentano la passione dei catechisti, rafforzando l’importanza del loro ruolo nella vita spirituale dei bambini.”

“E’ una chiesa molto viva, e il nostro ministero alterna momenti di studio e approfondimento, di giochi con i ragazzi del catechismo, cerimonie. Cerchiamo di trasmettere loro la fede e il credo e chiediamo di portarla avanti e di guidarla con la stessa fede e lo stesso amore per Dio. L’iconica visita di Papa Francesco in Bahrain è stata un’esperienza da conservare per tutta la vita, un momento memorabile per il ministero e per un gruppo di studenti selezionati per l’incontro dei giovani presso la Scuola del Sacro Cuore di Isa Town.”

Roji è originario di Edathua, Kerala, India. E’ arrivato in Bahrain 24 anni laureato in Fisica, con un Master in Economia e Finanza, è tecnico informatico. “Nel 2000 sono arrivato da solo per lavorare presso la Bank of Bahrain and Kuwait . Nel 2001 mi ha raggiunto la mia famiglia e dal 2001 lavoro come specialista di software nel settore governativo. Dal 2009 sono nel Ministero dei Catechisti di Awali, e attualmente sono membro del Consiglio della Cattedrale OLA. A nome del Ministero dei Catechisti, desideriamo ringraziare il nostro Vescovo, Aldo Berardi, e il Rettore, p. Saji Thomas, ofm cap., per il loro costante sostegno, la guida e le preghiere”, conclude il Coordinatore.

L’anno catechistico 2023-24 della Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia è iniziato il 29 settembre e registra un numero totale di 559 studenti, 31 catechisti e 4 persone che seguono le questioni amministrative.

AFRICA/NIGERIA – Arrestato un presunto rapitore dei due padri Claretiani

Abuja – Arrestato un presunto rapitore dei due padri Claretiani rapiti la notte del 1° febbraio nello Stato del Plateau nella Nigeria centrale e poi rilasciati l’8 febbraio .
Il comando della polizia di stato di Ogun ha annunciato di aver arrestato Christopher Yaro, sospettato di far parte della banda che ha rapito i due religiosi, P. Ken Kanwa C.M.F., parroco della chiesa St. Vincent De Paul Fier, diocesi di Pankshin dello Stato di Plateau, e il suo assistente p. Jude Nwachukwu C.M.F.
Le indagini della polizia si sono concentrate su persone membri della stessa parrocchia dove operavano i due religiosi.
Una portavoce della polizia ha affermato che l’uomo arrestato ha dichiarato di essere fuggito da Pankshin per paura che i membri della comunità potessero attaccarlo dopo aver scoperto che era coinvolto nel rapimento dei due preti.
La portavoce ha detto: “Nel pomeriggio del 12 febbraio abbiamo ricevuto informazioni secondo cui un sospetto rapitore Christopher Yaro, era fuggito a Ijebu-Ode dopo essere stato accusato di aver tramato con un altro membro della chiesa e altri cinque uomini per rapire i due Rev. Padri nell’area di Pankshin nello Stato di Plateau”.
Si noti che l’arresto è stato effettuato nello Stato di Ogun, dove il sospetto aveva cercato rifugio, e non in quello di Pleateau, dove è avvenuto il rapimento. La Nigeria, Stato federale, ha un problema di coordinamento tra le forze di polizia locali e federali. Un fattore che rende più facile a chi commette un crimine sfuggire alle maglie della giustizia. In questo caso il coordinamento ha funzionato.

AFRICA/SENEGAL – Ancora scontri per il rinvio del voto. Il Consiglio dei laici cattolici: “Rischi di destabilizzazione”

Dakar – Tre morti e oltre 250 arresti. È questo il bilancio degli scontri avvenuti lo scorso fine settimane in Senegal contro il rinvio delle elezioni presidenziali in Senegal, deciso il 3 febbraio dal Presidente Macky Sall . Le votazioni dovevano tenersi il 25 febbraio ma dopo l’annuncio del loro rinvio a data da destinarsi da parte del Presidente, l’Assemblea Nazionale ha deciso di posticiparle al 15 dicembre.
Nella capitale Dakar le forze di sicurezza i hanno lanciato gas lacrimogeni e usato granate assordanti contro i manifestanti nella capitale.
Mentre a Dakar sembra essere tornata la calma gli scontri sono proseguiti a Ziguinchor, capitale della Casamance, contrapponendo decine di giovani, alle forze di sicurezza, che hanno formato posti di blocco e lanciato pietre.
Oltre ai partiti d’opposizione, anche diverse organizzazioni della società civile hanno espresso il loro rifiuto per la posticipazione del voto. Tra queste c’è il Consiglio Nazionale del Laicato del Senegal che in una dichiarazione esprime “con amarezza e rammarico, tutto il suo dissenso per questa decisione le cui conseguenze possono condurre il Senegal verso un domani incerto”.
“Questa decisione inedita- prosegue il CNL- in contraddizione con la tradizione democratica leggendaria del Senegal comporta rischi reali d’instabilità e costituisce per la nostra organizzazione una forte preoccupazione”.
“Fedele ai suoi valori di pace e fraternità e nell’interesse superiore della Nazione, il CNL invita il Presidente della Repubblica come tutte la parti politiche al rispetto scrupoloso del calendario elettorale. Le CNL esorta lo Stato e tutte le parti coinvolte nel processo elettorale, in particolare i partiti politici, a lavorare per la pace e la stabilità del Senegal trovando il primo possibile le soluzioni necessarie per organizzare un’elezione trasparente, inclusiva, pacifica e democratica”.

ASIA/INDIA – Al progresso si accompagni l’unità della nazione: l’appello dei Vescovi indiani

Bangalore – L’India, con i suoi 1,4 miliardi di abitanti, ha fatto “enormi progressi” negli ultimi decenni ma, in questo cammino di crescita, è importante che lo sviluppo sia inclusivo, che non benefici solo “una piccola percentuale di gente” mentre il resto della popolazione, soprattutto nelle zone rurali vive in miseria; è cruciale mantenere realmente l’unità nazionale e tutelare le istituzioni democratiche. E’ quanto auspicano i 170 Vescovi indiani a conclusione della loro assemblea annuale che ha riunito fino al 7 febbraio i Vescovi delle comunità dei tre riti presenti in india .
Nel testo rilasciato a conclusione dell’assemblea, si rileva “la percezione diffusa che le importanti istituzioni democratiche del nostro Paese si stiano indebolendo, che la struttura federale sia sotto stress e che i media non svolgano il loro ruolo di quarto pilastro della democrazia”. I Presuli esprimono il timore che “discorsi di odio e movimenti fondamentalisti erodano l’etica pluralistica e laica che ha sempre caratterizzato il nostro Paese e la sua Costituzione. I diritti fondamentali e i diritti delle minoranze, garantiti dalla Costituzione, non dovrebbero mai essere indeboliti”, si afferma. Nella società, si osserva, “c’è una polarizzazione religiosa che sta danneggiando la tanto amata armonia sociale nel nostro Paese e mettendo in pericolo la stessa democrazia”.
Il monito di Vescovi si rivolge alla nazione che nella prossima primavera del 2024 terrà le elezioni generali, in cui il primo ministro Narendra Modi, al governo dal 2014, membro del partito nazionalista Bharatiya Janata Party si candida per un terzo mandato,.
La CBCI si dice preoccupata per la crescente intolleranza nella società indiana, stigmatizzando le aggressioni che si registrano “contro il personale che presta servizio nelle istituzioni educative e sanitarie con false accuse di conversione” verso i cristiani, circa il 2,3% della popolazione, tra i quali un terzo – oltre 20 milioni di persone – sono cattolici. La dichiarazione giunge pochi giorni dopo che la polizia ha arrestato p. Dominic Pinto, sacerdote cattolico della diocesi di Lucknow, con cinque pastori protestanti e un laico nello stato di Uttar Pradesh con l’accusa di aver cercato di convertire al cristianesimo alcuni fedeli indù, imputazioni del tutto smentite dalla Chiesa locale.
Il testo cita la situazione nello stato di Manipur, in India nordorientale, dove è il corso un conflitto tra la popolazione di etnia Meitei, a maggioranza indù, e la popolazione di etnia Kuki, a maggioranza cristiana . “Sconcertati dal prolungato conflitto”, che ha provocato “un’enorme perdita di vite umane e di mezzi di sostentamento”, i Vescovi invocano lo sforzo congiunto di tutte le componenti civili e religiose per avviare un serio processo di riconciliazione e di pace.
Sempre mirando al bene comune della nazione, la Conferenza esorta i leader politici indiani a “preservare la struttura di base della Costituzione, in particolare il preambolo che dichiara l’India una repubblica democratica, laica, socialista impegnata nella giustizia, nella libertà, nell’uguaglianza e nella fraternità”.

EUROPA/UNGHERIA: “La sinodalità è il modus operandi della Chiesa”. Le parole chiave dell’incontro dei direttori europei delle Pontificie Opere Missionarie

Budapest – Si è concluso la sera di giovedì 8 febbraio con la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo Michael Wallace Banach, Nunzio Apostolico in Ungheria, l’annuale incontro dei direttori europei delle Pontificie Opere Missionarie , che quest’anno si erano dati appuntamento a Budapest .
“Abbiamo un forte spirito di solidarietà tra di noi e un’apertura generosa a condividere esperienze e risorse. I momenti di preghiera e l’Eucaristia quotidiana ci fanno ritornare alla sorgente del nostro impegno missionario” ha spiegato padre Antony Chantry, direttore nazionale delle POM di Inghilterra-Galles e coordinatore continentale dell’Europa. “Quest’anno” ha sottolineato padre Anthony “abbiamo accolto tra noi anche il Presidente delle POM e i Segretari Generali della Pontificia Opera della Propagazione della Fede e della Pontificia Unione Missionaria che hanno arricchito i nostri confronti più locali e rappresentano il collegamento con le altre direzioni del mondo”.
Identità, carisma e ruolo delle POM sono i concetti al centro della relazione di padre Tadeusz Nowak OMI, segretario generale della POPF, che è intervenuto nella terza giornata dei lavori esortando i Direttori nazionali a soffermarsi su alcuni elementi-chiave, comuni al lavoro missionario di ogni direzione. Tra essi l’universalità del mandato missionario, la promozione e l’animazione dello spirito missionario nella Chiesa locale, la preghiera, prima “opera” della missione, la comunicazione e l’informazione delle attività delle POM alla Chiesa locale, a partire dai Vescovi ed infine il rispetto del ruolo del direttore nazionale delle POM. “Siamo al servizio della Chiesa locale. Siamo presenti per assistere il Vescovo, il clero, i religiosi e i laici della Chiesa locale nell’animare, promuovere e formare uno spirito missionario più robusto nei cuori dei fedeli. È importante che si esprima e si manifesti un desiderio reale di aiutare la Chiesa locale in questo compito: il servizio per l’evangelizzazione” ha evidenziato Padre Nowak.
L’impatto della sinodalità nel rinnovo delle POM è stato il cuore della relazione di ieri, con annesse domande e risposte, a cura di Padre Din Anh Nhue Nguyen OFM Conv, segretario generale della PUM. Con alla mano una ricca bibliografia Padre Nguyen ha dapprima spiegato il “kairós” della sinodalità nella Chiesa e ha passato in rassegna la differenza tra sinodo e sinodalità spiegando come il fatto che “questa novità linguistica necessiti di un attento chiarimento teologico, è segno di qualcosa di nuovo che è andato maturando nella coscienza ecclesiale a partire dal Magistero del Vaticano II, e dall’esperienza vissuta dalle Chiese locali e dalla Chiesa universale dall’ultimo Concilio fino ad oggi”. Il segretario generale della PUM ha poi aggiunto “la sinodalità è il modus vivendi et operandi specifico della Chiesa, Popolo di Dio, che rivela e concretizza il suo essere comunione quando tutti i suoi membri camminano insieme, si riuniscono in assemblea e prendono parte attiva alla sua missione evangelizzatrice. Realizzare, pertanto, una Chiesa sinodale è precondizione indispensabile per un nuovo slancio missionario che coinvolga l’intero Popolo di Dio”. Padre Nguyen ha infine sottolineato la presenza del concetto di sinodalità negli ultimi messaggi del Papa per la Giornata Missionaria Mondiale e per l’Assemblea generale delle POM ed infine nella parte dedicata alle domande e alla discussione ha lanciato alcuni elementi di provocazione e confronto pratico sulla sinodalità e la missionarietà a partire dal lavoro di ogni giorno negli uffici delle Direzioni delle POM.

OCEANIA/AUSTRALIA – Integrazione dei bambini aborigeni: il contributo della scuola dopo la ferita del referendum

Sydney – L’integrazione degli aborigeni nella società australiana e la riconciliazione sociale, culturale e spirituale nella nazione passano attraverso la scuola: con questa convinzione a Sydney è attivo e opera da 10 anni il Redfern Jarjum College , istituto cattolico gestito dai Gesuiti australiani, che offre un’istruzione ai bambini aborigeni che vivono in città o a quelli delle isole dello Stretto di Torres che non partecipano o non riescono a integrarsi nelle scuole primarie tradizionali a causa della povertà e delle condizioni familiari. La scuola accoglie bambini e bambine di età compresa tra i 4 e i 13 anni, garantendo un’istruzione del tutto gratuita.
“Jarjum” è una parola aborigena locale che significa “giovane/bambino”, mentre Redfern è il quartiere in cui si trova la scuola. Lo stemma del College racconta molto dello spirito che si vive: i colori dello stemma si basano su quelli della bandiera aborigena, sottolineando il legame della scuola con la popolazione aborigena locale. Al centro, c’è una croce cristiana con le lettere IHS che fa parte del monogramma della Compagnia di Gesù, il cui spirito e i cui valori sono alla base del progetto. In un secondo cerchio vi sono raggi di sole, che rappresentano la fiducia del personale nelle speranze e nei sogni degli studenti, aperti verso la comunità più ampia a cui appartiene il Jarjum College. Il motto della scuola è “Gili”, che significa “brillare” nella lingua degli indigeni gadigal.
La direttrice del college, Katherine Zerounian, rimarca che “il Redfern Jarjum College è stato fondato come scuola cattolica nella tradizione dei gesuiti. Qui la spiritualità ignaziana, caratterizzata dal ‘trovare Dio in tutte le cose’, viene arricchita dal rispetto e dall’esplorazione della spiritualità aborigena”. L’istruzione, dice, “è ispirata dalle ‘Preferenze apostoliche universali’ della Compagnia di Gesù, a partire dal ‘Camminare con gli esclusi’, dato che ci si occupa di bambini di famiglie povere ed emarginate”, seguendo i piccoli ma anche le famiglie stesse nel percorso di integrazione nel tessuto sociale.
L’opera risulta tanto preziosa in quanto il processo di integrazione delle comunità aborigene nella società australiana ha registrato una battuta di arresto nell’autunno 2023, quando gli australiani hanno rifiutato di concedere agli aborigeni il riconoscimento costituzionale e maggiori diritti, bocciando una proposta di referendum. La consultazione popolare – promossa dal partito laburista, al governo dal 2022 – è avvenuta 235 anni dopo l’insediamento britannico, 61 anni dopo che agli aborigeni australiani è stato concesso il diritto di voto e 15 anni dopo le storiche “scuse” espresse pubblicamente dal governo australiano alle comunità indigene, per i danni causati da decenni di politiche governative, incluso l’allontanamento forzato di bambini dalle famiglie aborigene. Oltre il 60% degli elettori ha votato “no” alla proposta di riconoscere gli abitanti originari del paese nella Costituzione del 1901, e ha respinto la creazione di un consiglio consultivo che, in Parlamento, avrebbe dato voce agli indigeni sulle questioni che li riguardano direttamente.
Secondo una coalizione di associazioni per i diritti degli aborigeni, gli elettori australiani hanno perso un’opportunità importante per la riconciliazione nazionale: i sostenitori del “sì” consideravano il referendum un modo per unire il paese e sanare le ferite inflitte ai popoli indigeni all’epoca della colonizzazione. La campagna elettorale e il voto hanno invece evidenziato le profonde divisioni che ancora attraversano la società australiana.
Allo scopo di contribuire a sanare queste ferite, i Vescovi cattolici australiani hanno pubblicato nel 2023 la dichiarazione intitolata “Listen, Learn, Love: A New Engagement with Aboriginal and Torres Strait Islander Peoples”, ispirata dal cammino sinodale in corso nella Chiesa cattolica universale. I Vescovi invitato i cattolici australiani ad un nuovo impegno con i “Primi Popoli”, per superare insieme l’ingiustizia attraverso l’amore, al centro del messaggio di Gesù.
Gli aborigeni e gli indigeni dello stretto di Torres sono 984mila, pari al 3,8% della popolazione australiana.

EUROPA/UNGHERIA – ”L’annuncio del Vangelo genera la Chiesa”: incontro dei Direttori europei delle Pontificie Opere Missionarie

Budapest – Missionarietà e sinodalità fatta di passi concreti per un nuovo annuncio del Vangelo nel Continente europeo. E’ stata questa l’esortazione del Presidente delle Pontificie Opere Missionarie , S.E. Mons. Emilio Nappa, che martedì 6 febbraio ha aperto la seconda giornata dei lavori dell’incontro dei direttori europei delle POM in corso di svolgimento in questi giorni a Budapest. L’incontro, iniziato lunedì con la celebrazione eucaristica e l’introduzione generale, si svolge ogni anno in un differente Paese; lo scopo è quello di condividere esperienze e “imparare e sostenerci a vicenda nella nostra missione comune di incoraggiare uno spirito missionario in tutta Europa” commenta padre Antony Chantry, direttore nazionale delle POM di Inghilterra-Galles e coordinatore continentale dell’Europa. All’incontro, organizzato dal direttore delle POM ungheresi, padre Remis Tete, e che si concluderà venerdì, stanno prendendo parte i rappresentanti delle POM di 24 Paesi Europei.
Ieri dopo i saluti dell’Arcivescovo Michael Wallace Banach, Nunzio Apostolico in Ungheria e del Presidente della Conferenza Episcopale ungherese, il Vescovo Veres András, l’Arcivescovo Nappa si è rivolto ai direttori con una presentazione basata sull’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, tanto nella prima parte introduttiva sulla missione che nella seconda sul ruolo delle POM nel contesto dell’opera apostolica oggi in Europa.
“L’evangelizzazione fa la Chiesa, la costituisce, la genera – ha affermato il Presidente delle POM -. Al di là dei diversi slogan che si sono alternati in questi anni, possiamo parlare di una Chiesa in uscita, che sia dialogica e missionaria al tempo stesso: una Chiesa non autoreferenziale, una comunità tutta proiettata nell’evangelizzazione, che ha nel dialogo la sua forma propria di espressione”.
In questo orizzonte la realtà delle POM per l’evangelizzazione in una Europa sempre più secolarizzata ma nella quale “la Chiesa Cattolica è un’istituzione credibile davanti all’opinione pubblica, affidabile per quanto concerne l’ambito della solidarietà e della preoccupazione per i più indigenti. ” è innanzitutto un impegno a camminare con e nella Chiesa, sostenendo le Chiese di prima evangelizzazione, aiutandole a fortificarsi nella fede, stimolando un nuova stagione dell’azione missionaria delle comunità cristiane.
“In questo stesso orizzonte sinodale è possibile comprendere il compito che ci attende nel rilanciare il ruolo e il coinvolgimento delle POM nell’operato complessivo del Dicastero per l’evangelizzazione: il cammino missionario sinodale a partire da noi stessi «in casa»”: ha concluso l’Arcivescovo Nappa, che ha proposto tre passi concreti: il coinvolgimento dei diversi livelli con il rinnovo degli Statuti; l’organizzazione, secondo i gruppi linguistici, dei vari eventi di animazione/formazione missionaria, soprattutto nelle terre “fredde” alla fede; l’istituzione o lo sviluppo delle POM nei Paesi europei, dove esse mancano o sono ancora ad uno stadio iniziale.
Oggi, mercoledì 7 febbraio, l’incontro dei direttori europei prosegue con la presentazione di padre Tadeusz Nowak. Segretario generale della Pontificia Opera della Propagazione della Fede.

VATICANO – “Per non diventare come lupi”. L’intervento del Cardinale Tagle alla Conferenza per la formazione permanente dei sacerdoti

Città del Vaticano – Per non diventare “lupi”, i pastori della Chiesa “devono vigilare su se stessi o prendersi cura di sé e della propria fede. Si tratta di una formazione permanente”. Con queste parole, riecheggiando l’Apostolo Paolo, il Cardinale Luis AntonioTagle ha ricordato in maniera sintetica e efficace che ogni autentica vita sacerdotale rappresenta un cammino di formazione mai concluso, sempre aperto a essere plasmato e nutrito dal lavoro della grazia.
Il Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione ha offerto spunti di riflessione preziosi aprendo col suo intervento la Conferenza internazionale per la formazione permanente dei sacerdoti, iniziata oggi, martedì 6 febbraio, in Vaticano.

La fermazione permanente dei sacerdoti – ha sottolineato il Cardinale Taglie, liberando tale espressione da ogni interpretazione riduttiva in chiave intellettualistica – ha a che fare innanzitutto con l’umiltà. “C’è stata una tendenza, che persiste tuttora” ha ammesso il Pro Prefetto “a pensare alla ‘formazione’ come limitata alla formazione in seminario. Questo ha creato l’idea errata che l’ordinazione segni il traguardo della formazione. Una volta ordinato, un ministro non ha più bisogno di formazione. ‘Sono stato ordinato perché ero già formato’, dicono”. In tale concezione fuorviante – ha proseguito il Cardinale Taglie “l’ordinazione significa niente più studio, niente più preghiera, niente più direzione spirituale, niente più guida, niente più stile di vita semplice, niente più disciplina. ‘Queste cose sono solo per i seminaristi. Io sono già ordinato’ ”. In realtà, la condizione sacerdotale non è un “possesso” acquisito per sempre. E o sacerdoti ordinati – ha sottolineato il Cardinale nel suo intervento hanno bisogno di continuare a essere formati proprio nella loro condizione di ministri ordinati: “Proprio perché siamo ordinati al servizio di Dio e della Chiesa, abbiamo bisogno di essere continuamente formati. Credo che questa umiltà aiuterà i ministri ordinati a recuperare nuove energie e a evitare un falso senso di superiorità e di ‘diritto acquisito’. Anche la Chiesa riceverà il servizio di qualità che merita”. Il Cardinale filippino ha ripreso al riguardo le parole di San Paolo ai presbiteri di Efeso riportate negli Atti degli Apostoli: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse”.. Per non diventare come “lupi” ha commentato il Cardinale Tagle . “i pastori devono vigilare su se stessi o prendersi cura di sé e della propria fede. Si tratta di una formazione permanente”.

Nel suo intervento, il Pro.Prefetto del Dicascero per l’Evangelizzazione ha fatto riferimento anche a alcune urgenze che possono essere affrontate con efficacia solo con percorsi di formazione permanente dei sacerdoti. Fenomeni come la “tendenza ad assolutizzare e glorificare la propria cultura, con la conseguenza di essere ostili e persino violenti nei confronti di coloro che appartengono ad altre culture. Purtroppo” ha notato il Cardinale Tagle “vediamo questo atteggiamento in alcuni ministri ordinati che rifiutano vescovi, colleghi sacerdoti, religiosi e fedeli laici solo perché provengono da un gruppo etnico o da uno strato sociale diverso”. Una “contro-testimonianza del Vangelo e uno scandalo per un mondo in cerca di unità” che rende evidente l’urgenza si una formazione permanente per aiutare i ministri ordinati a riconoscere che, come insegnava San Paolo nella Lettera ai Galati, “non c’è Giudeo né Greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. “Abbiamo bisogno di formazione e conversione continue” ha sottolineato il Cardinale Taglie “per diventare agenti credibili ed efficaci di comunione tra persone culturalmente diverse”.

Molti ministri ordinati – ha sottolineato il Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione – vivono il loro ministero “vicini alle persone che soffrono, soprattutto alle vittime di pregiudizi, discriminazioni, guerre, traffico di esseri umani e rifugiati”. Molti di loro, nella condizione in cui si trovano, sperimentano essi stessi la perdita di membri della famiglia a causa di conflitti armati. Alcuni sono diventati rifugiati. Alcuni sono stati traumatizzati da guerre e discriminazioni. Alcuni portano nel loro corpo il ricordo vivo della brutalità umana”. Anche per costoro, “la formazione permanente deve affrontare le ferite e i dolori che potrebbero facilmente portare al sentimento di vendetta, al cinismo e all’odio. Come possiamo” si è chiesto il Cardinale Taglie “aiutare i feriti a diventare operatori di perdono e riconciliazione quando le loro stesse ferite desiderano vendicarsi? San Paolo ci sfida quando dice: ‘ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni che escono dalla vostra bocca… Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di pazienza’ ”.
Il Convegno Internazionale per la Formazione Permanente dei Sacerdoti, sul tema “Ravviva il dono di Dio che è in te” , è stato promosso dal Dicastero per il Clero, in collaborazione con il Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per la prima Evangelizzazione e le nuove Chiese particolari, e il Dicastero per le Chiese Orientali. Il lavori della Conferenza si svolgono da dal 6 al 10 febbraio presso l’Auditorium Conciliazione. A ispirare I lavori della Conferenza è in passaggio della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis: “La bellezza di essere discepoli oggi. Una formazione unica, integrale, comunitaria e missionaria”.

ASIA/PAKISTAN  – Elezioni tra crisi economica, tensioni politiche, tutela dei diritti

Islamabad – La popolazione del Pakistan va alle urne l’8 febbraio per eleggere il Parlamento federale, chiamato Assemblea nazionale, e le assemblee legislative di quattro province. I votanti sono 128 milioni di cittadini al di sopra di 18 anni, su una popolazione di 241 milioni. In lizza vi sono 5.121 candidati per l’organismo federale e 12.695 per le assemblee province. Nell’Assemblea nazionale, composta da 336 seggi, 266 vengono decisi tramite voto diretto il giorno delle elezioni, mentre 70 seggi riservati – 60 per le donne e 10 per le minoranze religiose non musulmane – vengono assegnati in base alla percentuale ottenuta da ciascun partito alla Camera. Una volta eletta e costituita, l’Assemblea Nazionale voterà il Primo Ministro che deve ottenere la maggioranza semplice della Camera. Un processo simile viene seguito a livello provinciale per scegliere il primo ministro e il governo di ogni singola provincia.
A livello federale, nei 44 partiti politici che si presentano, tra i principali candidati figurano due ex primi ministri e un terzo ex premier che è in prigione. Magnate degli affari, multimilionario e tre volte premier, Nawaz Sharif, della Lega musulmana del Pakistan, proviene da una delle famiglie che hanno dominato la politica pakistana per decenni. Imran Khan, il trionfatore delle elezioni del 2018, del partito Pakistan Tehreek- e-Insaf, è l’ ex Primo ministro in carcere da agosto 2023, condannato a varie pene detentive nell’ultima settimana. Vi è poi Shehbaz Sharif, 72 anni, fratello minore di Nawaz Sharif, succeduto a Imran Khan come primo ministro nell’aprile del 2022. Infine un quarto candidato, Bilawal Bhutto, 35enne figlio di Benazir Bhutto, la leader assassinata nel 2007, si presenta per il Partito popolare del Pakistan.
Sono diverse le sfide che dovrà affrontare il governo nella nazione dell’Asia meridionale negli ultimi anni attanagliata da una grave crisi economica. La scorsa estate il Pakistan ha evitato il default attraverso un piano di salvataggio di 3 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale , ma il sostegno termina a marzo, dopodiché la nazione avrà bisogno di un nuovo programma di aiuti. “Negoziare un nuovo programma, e in tempi rapidi, sarà fondamentale per il nuovo governo, che prenderà il controllo di un’economia afflitta da un’inflazione record e da una crescita lenta”, nota il missionario australiano p. Robert Mc Culloch, della Società di San Colombano, per oltre trent’anni missionario nel paese, tuttora presidente del Consiglio amministrativo del St. Elizabeth Hospital, ospedale cattolico di Hyderabad, struttura di eccellenza nel Pakistan meridionale.
“Il nuovo esecutivo dovrà percorrere un sentiero stretto verso la ripresa, ma che limiterà le opzioni politiche per fornire sollievo a una popolazione profondamente frustrata e impoverita; d’altro canto cercando di dare un impulso alle industrie per stimolare la crescita”, rileva. Nel paese, riferisce il missionario, “le tensioni politiche sono state elevate nel periodo precedente alle elezioni, soprattutto a causa di ciò che l’ex primo ministro Imran Khan ha definito ‘un giro di vite’ nei suoi confronti e nel suo partito”.
Un altro tema sempre importante è quello relativo al ruolo dell’esercito sulla scena politica, formalizzato negli ultimi anni anche nell’ambito economico con la presenza di esponenti militari nel “Special Investment Facilitation Council”, organismo avviato sotto la guida dell’ex primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif con l’obiettivo di attirare investimenti stranieri e stimolare la crescita economica della nazione. Va notato che, in passato, i governi eletti sono stati estromessi dall’intervento militare , o dalla pressione indiretta dei generali.
D’altro canto attacchi di militanti e gruppi islamisti sono aumentati negli ultimi 18 mesi: tali gruppi – in particolare il Tehreek-e-Taliban Pakistan – si sono riorganizzati dopo che in Afghanistan i talebani sono tornati al potere nel 2021, effettuato una serie di attacchi di alto profilo su suolo pakistano. Qui si innesta anahce l’insurrezione etno-nazionalista in Belucistan, provincia del Sudovest, che prende di mira anche gli interessi dell’alleato chiave del Pakistan, la Cina, che ha promosso investimenti strategici nel porto di Gwadar per il progetto della “Via della Seta”.
Nella società pakistana, infine, rileva padre Mc Culloch, resta aperto il tema delle discriminazioni di natura culturale, etnica e religiosa, che gruppi e comunità non musulmane hanno riproposto nell’agenda pubblica alla vigilia del voto, auspicando che “tutti i partiti politici inseriscono nel loro programma politico il tema della tutela dei diritti delle minoranze e del loro benessere” e ricordando che “i cittadini non-musulmani, a partire dalla nascita del Pakistan, nel 1947, hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo, nella prosperità e nella fioritura economica, sociale e culturale del Pakistan”.

AFRICA/NIGERIA – Rapiti due religiosi nello Stato di Plateau: in Nigeria ci si interroga sulle complicità nel settore bancario per il pagamento dei riscatti

Abuja – Due missionari Claretiani sono stati rapiti la notte del 1° febbraio nello Stato del Plateau nella Nigeria centrale da alcuni uomini armati.
Si tratta di p. Ken Kanwa CMF, parroco della chiesa St. Vincent De Paul Fier, diocesi di Panshin dello Stato di Plateau, e del suo assistente p. Jude Nwachukwu C.M.F.
Da tempo la piaga dei rapimenti a scopo di estorsione è diventato endemica in tutta la Nigeria. Sacerdoti e religiosi vengono sequestrati come pure tanti altri normali cittadini.
Secondo quanto riporta la stampa nigeriana tra luglio 2022 e giugno dello scorso anno, 3.620 persone sono state rapite in 582 episodi di sequestro. Si calcola che siano stati chiesti complessivamente almeno 5 miliardi di naira di riscatti dei quali sono stati effettivamente pagati almeno 302 milioni di naira Tuttavia, questa cifra potrebbe essere più elevata perché non tutti i sequestri sono stati denunciati alle autorità.
Un fenomeno criminale che ha complicità di alto livello nelle banche attraverso le quali la maggior parte dei riscatti vengono pagati. Come riporta un articolo di The Nation in Nigeria vi sono 133 milioni di titolari di conti bancari, di cui cinque milioni sono falsi.
Le banche utilizzano carte d’identità rubate di persone morte per aprire conti che vengono utilizzati dai rapitori per ricevere i pagamenti dei riscatto.