Niamey – “Venti nel doppio senso. Perché le ultime due settimane nel Niger sono state ancora più tragiche del solito. Qualche giorno fa i massacri di almeno 60 contadini e di una decina di militari nella zona chiamata delle ‘tre frontiere’ e dopo solo un paio di giorni la notizia di un duplice vento di morte. I bambini da un lato e i grandi dall’ao, come per ‘saldare’ il dramma con un ao. Tra la cenere dei bambini delle classi che una volta di più sono bruciate, alla sabbia che ha ricoperto per sempre i minatori in cerca d’oro.” A parlare con l’Agenzia Fides è padre Mauro Armanino, sacerdote della Società per le Missioni Africane, missionario nel Paese, il quale prosegue aggiungendo che già qualche mese fa una simile tragedia si era verificata nella capitale Niamey. “Bimbi e bimbe, in buona parte sotto i tre anni di età, che hanno perso la vita in un analogo incendio non lontano dal nuovo aeroporto internazionale Diori Hamani. Stavolta – prosegue il missionario – è stato nella capitale economica Maradi, che dista a quasi 700 chilometri da Niamey, non lontano dalla frontiera con la Nigeria. I venti di morte continuano a soffiare nel Paese assieme al vento dell’Harmattan, del deserto.” “A Niamey si calcola che le classi di ‘paglia’, siano oe un migliaio e lo stesso numero dovrebbe riprodursi a Maradi e, in minore misura aove, soprattutto in zona rurale. Le risorse economiche dirottate in ambito militare per contrastare l’accerchiamento djihadista, l’incuria del settore educativo e la crescita demografica, sono fattori che, messi assieme, hanno creato le numerose aule all’aperto in materiale infiammabile. Ed è stato così che, lunedì 8 novembre fine mattinata, nella scuola chiamata AFN perché adibita nei locali della locale Associazione delle Donne Nigerine, sono morti almeno 26 bimbi nell’incendio sviluppatosi per motivi a tutt’ora sconosciuti. Sono stati sepolti in una fossa comune mentre ai si trovano in gravi condizioni nell’ospedale della città.” “La domenica precedente, nella zona aurifera di Garin-Liman nella stessa regione di Maradi, è crollata una delle numerose miniere artigianali. I venti di morte sono passati da loro prima di raggiungere i bambini. Tra sabbia, cenere e fango – conclude p. Mauro – si è creata una grande tomba che tutto ha sepolto meno il dolore e la vergogna di una classe politica che ha pensato ad accumulare ricchezze più che garantire dignità ai poveri.”
Giacarta – Si intensifica in Indonesia la campagna per l’abolizione della pena di morte, avviata dalla società civile e sposata dalle Chiese e organizzazioni cristiane. Diverse organizzazioni della società civile indonesiana hanno chiesto al governo di rimuovere la pena di morte dal sistema legale del Paese, rilevando che vi sono prove sul fatto che “questa forma di omicidio legale sia in grado di dissuadere le persone dal commettere reati”. Inoe, affermano i gruppi impegnati a tutela dei diritti umani, esiste l’alto rischio di un’ingiusta condanna che possa perfino privare della vita persino una persona innocente. Tuttavia, nonostante la pandemia, la magistratura indonesiana continua a comminare la pena capitale con prove che vengono valutate in “teleconferenza”: si tratta di una sistema che mette a rischio la conduzione del processo in maniera giusta ed equa, rilevano le organizzazioni. Secondo i dati raccolti dall’organismo di vigilanza sui diritti umani “Imparsial”, 129 detenuti sono stati condannati alla pena capitale tra marzo 2020 e settembre 2021. Attualmente ci sono oe 350 detenuti nel braccio della morte in Indonesia, di cui i trafficanti di droga condannati rappresentano circa il 60%. Il numero di condanne a morte emesse dai tribunali indonesiani nel 2020 è aumentato del 46% rispetto all’anno precedente, afferma Amnesty International Indonesia. Nell’anno 2020, infatti, sono state emesse 117 condanne a morte, rispetto alle 80 del 2019, si nota nell’ultimo rapporto sulla pena di morte pubblicato il 21 aprile. Secondo l’Ong, 101 delle 117 condanne a morte sono state comminate in casi di droga, mentre le ae 16 sono state condannate per omicidio. Il tema coinvolge le Chiese cristiane in Indonesia: padre Aegidius Eko Aldianto, segretario esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale indonesiana, ha affermato che “la Chiesa cattolica ha espresso rammarico per l’aumento del numero delle condanne”. La Chiesa cattolica indonesiana “è da sempre attenta al rispetto della dignità umana”, conferma all’Agenzia Fides il Gesuita padre Ignatius Ismartono SJ, direttore di “Sahabat Insan”, organismo dei Gesuiti indonesiani che si occupa dei lavoratori migranti e delle vittime della tratta di esseri umani. “Ho appena finito di partecipare a un webinar su questo argomento, in cui si è ricordato bene l’insegnamento ufficiale della Chiesa in materia di pena capitale che si basa sull’assoluta sacralità e sulla inviolabilità della vita umana. Per noi, poi, in particolare, la principale preoccupazione riguarda il caso di lavoratori migranti condannati a morte”. La campagna abolizionista è in atto da mesi. Già nel giugno scorso una ricerca sugli orientamenti dell’opinione pubblica dell’Università di Oxford riferiva che, benché la maggior parte del popolo indonesiano sia a favore della pena capitale, il sostegno diminuisce man mano che si apprende di più su quanto significhi esattamente “l’omicidio di Stato”, in particolare quando vengano mostrate circostanze specifiche come i processi condotti senza garanzie. La ricerca dell’Università di Oxford – condotta nel 2019-20 in collaborazione con “Universitas Indonesia” e lo studio legale “LBH Masyarakat” che fornisce servizi legali pro bono – evidenzia che il pubblico indonesiano non è generalmente a conoscenza della pena di morte. Su oe 1500 intervistati, il 69% si era detto inizialmente favorevole al mantenimento della pena di morte, sebbene solo il 35% percento si sentisse “fortemente” a favore della pena; solo il 2% si considerava “molto ben informato” e solo il 4% si dichiarava “molto preoccupato” per la questione. Come ha spiegato la professoressa Carolyn Hoyle della “The Death Penalty Research Unit” dell’Università di Oxford, il ruolo dei leader religiosi è fondamentale: quasi il 40% dei sostenitori della pena di morte infatti accetterebbero di cambiare idea se i leader religiosi di riferimento mostrassero sostegno alla sua abolizione. Le ultime esecuzioni capitali in Indonesia sono state portate a termine nel luglio 2016, quando quattro trafficanti di droga condannati, tra cui i quali cittadini stranieri, sono stati fucilati. Il Codice Penale indonesiano prevede la pena di morte per una serie di reati come omicidio, terrorismo, traffico illegale relativo alle armi e alla droga, corruzione, rapina aggravata, tradimento, spionaggio e una serie di reati militari.
Lahore – Un tribunale di primo grado di Lahore il 27 settembre ha condannato una donna musulmana alla pena di morte e alla multa di 50.000 rupie per violazione della legge sulla blasfemia. Secondo l’accusa, la donna, Salma Tanveer, si è “proclamata Profetessa” e avrebbe negato la profezia del Profeta Maometto, usando commenti dispregiativi nei suoi riguardi. Cinquantenne, Salma Tanveer era Preside di una scuola privata a Lahore, lavoro che ha svolto fino all’anno 2013, quando è stata arrestata. È stata accusata di aver distribuito fotocopie dei suoi scritti nei quali sarebbe incorsa nel reato di blasfemia, rivolgendo a se stessa il titolo “Misericordia per tutti i mondi”, attribuito nel Corano al Profeta Maometto, e compiendo vilipendio verso il Profeta. La polizia ha registrato una denuncia contro la donna il 2 settembre 2013, ai sensi dell’art. 295 C del Codice penale del Pakistano , sulla base della denuncia di Qari Iftikhar Ahmad Raza, imam presso la moschea locale. L’art. 295 C punisce l’utilizzo di osservazioni dispregiative nei confronti del Profeta Muhammad con parole pronunciate o scritte, o mediante rappresentazione visibile o con qualsiasi insinuazione, diretta o indiretta, che offende il nome del Profeta Maometto. Prevede la pena di morte, o la reclusione a vita, e una sanzione pecuniaria. Il caso è stato rinviato e discusso solo otto anni dopo i fatti, dato che l’avvocato della donna ha presentato una perizia medica che dichiarava l’imputata mentalmente instabile e con malattia psichiatrica. Ai sensi dell’articolo 84 del Codice penale, un reato è nullo se commesso da persona che, al momento del compimento, a causa di infermità mentale non è in grado di conoscere la natura dell’atto, o non può comprendere che sia contrario alla legge. Il giudice Mansoor Ahmed Qureshi di Lahore nel verdetto ha dichiarato: “È provato oe ogni ragionevole dubbio che la donna accusata abbia scritto e distribuito gli scritti che sono dispregiativi nei confronti del profeta Maometto e non è riuscita a dimostrare che il suo caso rientra nell’eccezione prevista dalla sezione 84 del PPC”. Il giudice ha notato che un rapporto medico del Consiglio di amministrazione del Punjab Institute of Mental Health ha definito l’imputata “idonea a subire un processo giudiziario”. Il giudice ha osservato che fino al momento del suo arresto la donna gestiva la scuola, quindi non è possibile che fosse malata mentalmente. Sabir Michael, leader cattolico e impegnato nella difesa dei diritti umani, parlando all’Agenzia Fides, commenta: “È preoccupante che un’aa cittadina pakistana venga condannata a morte ai sensi della legge sulla blasfemia. Nel rispetto della inalienabile dignità umana e dei diritti umani, ci opponiamo alla pena di morte in ogni caso. Anche nei casi di blasfemia, l’imputato non mette in pericolo la vita di ae persone. Pur constatando che i sentimenti religiosi sono feriti, la condanna a morte sembra un provvedimento troppo grave, che può essere ripensato”. E aggiunge: “Succede spesso che le leggi sulla blasfemia siano usate in modo improprio, per rancori personali: sono sorpreso di come una donna che è un’educatrice possa essere coinvolta in tali questioni”. Sabir Michael conclude: “Dal 1987, in base alle leggi sulla blasfemia, oe 1.800 persone sono state condannate e la maggioranza di queste sono musulmane. Attualmente vi sono più di 80 persone nel braccio della morte o che stanno scontando l’ergastolo per blasfemia. Tra loro sono anche 24 detenuti cristiani in Pakistan, accusati in 21 casi di blasfemia”. Un mese fa una donna cristiana, Shagufta Kiran, residente a Islamabad, è stata accusata di blasfemia per aver semplicemente inoato un messaggio su WhatsApp che includeva contenuti ritenuti blasfemi. Secondo un rapporto del febbraio del 2021 del “Centre for Social Justice”, Ong con sede a Lahore, guidata dal cattolico Peter Jacob, le condanne e gli abusi della legge di blasfemia stanno crescendo in modo esponenziale in Pakistan, in un trend molto preoccupante e che meriterebbe maggiore attenzione dalle autorità civili. Organizzazioni della società civile, leader cristiani, indù e musulmani, stanno sollevando la annosa questione che costituisce un tasto dolente per il Pakistan, che prevede nel suo ordinamento pene tra le più dure al mondo per reati di blasfemia verso l’islam.
Niamey – “Nella regione del Niger di Tillabéri, un’intera generazione sta crescendo circondata da morte e distruzione” denuncia Matt Wells, vice direttore di Amnesty International per la risposta all’emergenza. Tillabéri è un’area di 100 mila chilometri quadrati del Niger occidentale che confina con Mali e Burkina Faso. “I gruppi armati hanno ripetutamente attaccato scuole e riserve alimentari, e stanno prendendo di mira i bambini per il reclutamento” afferma il responsabile della Ong, che mette sotto accusa due organizzazioni jihadiste: lo Stato Islamico del Grande Sahara e il gruppo Jama at Nusrat al-Islam wal-Muslimin , affiliato ad al-Qaida. “L’area delle ‘tre frontiere’ è tra le più pericolose del Sahel” conferma da Niamey all’Agenzia Fides p. Mauro Armanino, missionario della Società delle Missioni Africane . P. Armanino cita un anziano abitante della zona di Dolbel, il quale dice che “si vive di paura. La gente si mette all’ascolto del possibile rumore delle moto che solo i jihadisti cavalcano impuniti a piacimento”. “Un paio di giorni fa, secondo il suo racconto – continua p. Armanino – un centinaio di moto hanno attraversato i villaggi vicini a Dolbel e Fantio, seminando terrore e obbligando contadini e allevatori a pagare loro le tasse “dovute”. Non si dorme la notte e di giorno si va ai campi non troppo presto e si torna prima di sera, per evitare di farsi sorprendere dai ‘banditi’”. “Non sono solo i cristiani ad essere il loro bersaglio preferito, anche se le comunità cristiane della regione hanno sospeso ogni preghiera e riunione pubblica” afferma il missionario. P. Armanino conferma che il clima di terrore ha un impatto devastante sulle vite degli abitanti locali, soprattutto sui giovani. “Si prega in famiglia perché la notte passi in fretta e non ci siano incursioni inaspettate. I giovani studenti non se la sentono di rimanere nei villaggi. I ragazzi e i bambini potrebbero essere arruolati tra i combattenti e le ragazze obbligate ad una vita matrimoniale prima del tempo voluto”. Secondo il database sui conflitti armati , citato nel rapporto di Amnesty, le violenze contro i civili in Niger hanno provocato 544 morti tra il 1 gennaio e il 29 luglio 2021, contro i 397 del 2020. Una sessantina di bambini sono stati uccisi nella parte nigeriana delle tre zone di confine, aggiunge Amnesty, che cita diverse testimonianze di adolescenti sopravvissuti.
Bissau – L’Imam Ustas Aladji Bubacar Djalo di Mansoa, ieri 19 agosto improvvisamente ci ha lasciati. Una grande perdita per l’Islam in Guinea Bissau e anche per la Chiesa Cattolica, era un uomo di pace e di dialogo. La Chiesa cattolica, nella figura di Mons. Lampra Ca, Amministratore Apostolico della Diocesi di Bissau e p. Lucio Brentagni, Amministratore diocesano di Bafatá, cosí ha scritto: “Abbiamo appreso con grande tristezza che la notizia della morte dello stimatissimo Ustas AladjiI Bubacar Djaló, Imam di Mansoa e Presidente dell’Unione Nazionale degli Imam della Guinea Bissau. La comunità cattolica ha un legame molto forte con l’Imam Ustas, e in questo momento si unisce al grande dolore con la famiglia e con tutta la comunità islamica di Mansoa e della Guinea, Il suo desiderio di pace era conosciuto da molti, il suo impegno per il dialogo fraterno tra le religioni non potrà essere dimenticato. Fin dall’inizio della Radio Sol Mansi, emittente della Chiesa cattolica, è stato presente con un programma, intitolato “Voce dell’Islam”. La sua fedele presenza fino agli ultimi suoi giorni è stato un segno della sua grande fede nell’unico Dio e del suo desiderio che le religioni fossero al servizio della Pace e del Bene per tutti. La collaborazione tra la Radio Sol Mansi e la Radio Scuola Coranica di Mansoa rimane nella storia della Guinea Bissau ed è stato presentato come esempio altamente positivo in vari luoghi del mondo e nei mezzi di comunicazione sociale dell’Europa e dell’Africa. Per gli alunni del liceo Padre Leopoldo Pastori in Bafatà, a giugno ha dato un valoroso intervento sul valore del dialogo tra i fedeli delle diverse religioni, parlando del grande documento: “La fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam de Al-Azhar Ahmed Al-Tayyib nel 2019. Durante l’incontro con gli alunni ha richiamato la loro attenzione sul pericolo di fanatismo religioso che si sta diffondendo nel mondo e nella mostra subregione, e ha condannato la strumentalizzazione della religione a fini politici”.
Il capo indigeno Aruká Jumá, l'ultimo uomo del suo popolo
Il capo indigeno ricevette un “trattamento precoce”, con farmaci non raccomandati dalla OMS | Foto: Gabriel Uchida/Amazônia Real
Questo testo[pt, come tutti i link successivi salvo diversa indicazione] di Luciene Kaxinawá è stato pubblicato originariamente nel febbraio 2021 e viene riprodotto grazie a una collaborazione tra Global Voices e l’agenzia Amazônia Real.
“Nostro padre ha lottato a lungo, era un guerriero e noi continueremo la sua lotta”. Questo è stato il messaggio di Borehá, Maitá e Mandeí a suo padre, il capo indigeno Aruká Juma, morto di COVID-19 il 19 febbraio 2021.
La famiglia e gli amici del villaggio juma pensano che Aruká avesse tra gli 86 e i 90 anni; non si conosce esattamente la sua età perché non aveva un certificato di nascita. Il territorio del popolo juma si trova nella parte meridionale dello stato di Amazonas, in Brasile, una zona forestale fortemente minacciata dalla deforestazione.
“Il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (Coiab) e l'Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (Articulación de los Pueblos Indígenas de Brasil – APIB) hanno evidenziato che i popoli indigeni contattati recentemente correvano un rischio estremo. L'ultimo superstite del popolo juma è morto. E di nuovo, il governo brasiliano si è dimostrato negligente e incompetente in modo criminale. Il governo ha ucciso Aruká”, disse una nota firmata dalle organizzazioni indigene, quali il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (Coiab), l'Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (Articulación de los Pueblos Indígenas de Brasil – APIB) e l'Osservatorio dei Diritti Umani dei Popoli Indigeni Isolati e di Recente Contatto (Observatorio de Derechos Humanos de Pueblos Indígenas Aislados y de Reciente Contacto – OPI).
Secondo il bollettino della Coiab, fino alla fine di maggio 2021 la pandemia aveva colpito 152 popoli indigeni nell'Amazzonia brasiliana, con 38 848 casi confermati e 946 morti registrate. Solo nello stato di Amazonas ci sono stati 9 637 casi e 318 morti.
Apib ha documentato, fino al 24 giugno, più di 55000 casi confermati e 1124 indigeni morti in tutto il paese. In tale data, il pannello della SESAI (Secretaría Especial de Salud Indígena – Segreteria Speciale della Salute Indigena, ufficio legato al governo federale) registrò più di 50.000 casi e 728 morti.
Coiab supervisiona i casi dal 19 marzo 2020, quando fu registrata la morte di un’indigena borari, nello stato di Pará. Ma SESAI considera come prima morte di un indigeno in relazione alla COVID-19 in Brasile quella di ragazzo yanomami di 15 anni, avvenuta il 9 aprile 2020 a Roraima. In entrambi i casi gli stati si trovano nel nord del Brasile.
La morte di Aruká per insufficienza respiratoria acuta causata dal nuovo coronavirus è avvenuta in un ospedale da campo, a Porto Velho, capitale dello stato di Rondônia, che fiancheggia l'Amazzonia. Il trasferimento in un ao stato, e non a Manaus (capitale dello stato Amazonas), fu una conseguenza della distanza tra le due zone, tenendo conto delle caratteristiche geografiche della regione.
I trattamenti incoraggiati dal governo del presidente Jair Bolsonaro, che comprendono l'uso di ivermectina e azitromicina, sono considerati inefficaci contro questa malattia dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La Casa per la Cura della Salute Indigena (Hogar de Atención a la Salud Indígena – Casai) di Humaitá (stato di Amazonas), organismo del ministero della Salute, rivelò all'agenzia Amazônia Real il trattamento prescritto a Aruká, che soffriva di ipertensione.
I componenti della famiglia di Aruká sono considerati gli ultimi rappresentanti del popolo juma, etnia del ceppo linguistico tupi kagwahiva, al quale appartengono anche ai popoli, come i uru-eu-wau-wau, con rappresentanti dei quali si sposarono le figlie di Aruká per evitare l'estinzione del loro popolo.
Da giovane, Aruká assistette a un grande massacro ai danni del suo popolo che lottava per difendere il territorio dall'invasione, negli anni '60 del secolo scorso, dei cercatori di gomma e dei commercianti di noci del Brasile. I primi resoconti sugli juma, risalenti al XVIII secolo, indicavano che il popolo era composto da circa 15.000 persone.
A seguito di successivi massacri, già negli anni '40 il loro numero si ridusse a 100. Infine, dagli anni '60, a causa di nuovi attacchi di invasori, si ridussero ulteriormente fino alla quasi completa estinzione.
Ad inizio gennaio, Aruká Juma presentò i sintomi della COVID-19 insieme ad ai 12 membri della famiglia che vivevano con lui nel territorio indigeno. Il 17 gennaio, fu ricoverato all'Ospedale Sentinela, nel municipio di Humaitá, presso Canutama; questo fu l'inizio di una serie di ricoveri e dimissioni dall'ospedale.
Il 2 febbraio, Aruká Juma peggiorò, venne intubato e fu necessario trasferirlo in un ao ospedale, dato che quello nel quale si trovava, il secondo in cui fu ricoverato, non aveva letti in terapia intensiva. Organismi pubblici e organizzazioni per la difesa dei popoli indigeni si mobilitarono per salvargli la vita. Nonostante il trasferimento all'ospedale da campo di Porto Velho, morì.
Per tutto il periodo nel quale fu ricoverato in gennaio e febbraio, l'agenzia Amazônia Real sollecitò bollettini medici sullo stato di salute di Aruká Juma e informazioni sui trattamenti da lui ricevuti.
Per WhatasApp, una professionista di Casai Humaitá, organo della Segreteria Speciale della Salute Indigena, dichiarò che, nell'Ospedale Sentinela di Humaitá, il capo indigeno ricevette medicinali come l'azitromicina, l'ivermectina e la clorochina.
Consultato per il reportage, Aurélio Tenharim, assessore del Consiglio Distrettuale Indigeno del Ministero della Salute, disse che, quando il capo si contagiò con il virus, ricevette anche il “trattamento precoce”, confermando la somministrazione di questi farmaci, incluso all'anziano juma. “Assunse lo stesso medicamento che presi io, lo prescrisse [il trattamento precoce] il medico”, affermò.
Le figlie di Aruká Juma, Borehá, Maitá e Mandeí, affermano che non furono informate del trattamento prescritto al padre, la cui efficacia non è stata scientificamente provata.
Crisi sanitaria
L'11 gennaio, l'allora ministro della Salute, il generale Eduardo Pazuello (in carica fino a marzo), andò a Manaos e, in occasione dell'avvio del Piano Strategico per la Lotta alla COVID-19 nello stato di Amazonas, raccomandò pubblicamente il “trattamento precoce”.
Amazonas stava affrontando il collasso del sistema sanitario con scarsità di letti in terapia intensiva e di ossigeno negli ospedali.
“Non stiamo discutendo se questo o quel professionista è d'accordo. Il comitati sanitari federali e regionali hanno già preso posizione e sono favorevoli al trattamento precoce e alla diagnosi clinica. Ho parlato personalmente, in videochiamata, con tutti”, disse in un'occasione.
“La diagnostica spetta al professionista medico. Il trattamento spetta al professionista medico. L'orientamento è prematuro. (…) Non ucciderà nessuno, ma salverà in caso di COVID”, aggiunse.
Per il reportage di Real Amazônia si è cercato di contattare la Segreteria Municipale della Salute di Humaitá, responsabile dell'Ospedale Centinela, e la Segreteria Speciale della Salute Indigena (SESAI) del ministero della Salute per ricevere commenti sul “trattamento precoce” prescritto a Aruká Juma, ma non si è ricevuta alcuna risposta.
SESAI ha divulgato una nota di condoglianze attraverso il Distretto Sanitario Speciale Indigeno (DSEI) di Porto Velho. “Il DSEI ha utilizzato tutti i mezzi possibili per prendersi cura del paziente e continua ad assistere la famiglia. (…) SESAI e il DSEI Porto Velho esprimono le proprie condoglianze per la morte di questo grande guerriero e capo”, recita il testo.
Lutto per amoim (nonno)
La storica Ivaneide Bandeira Cardozo, dell'organizzazione Kanindé, alleata dei popoli Uru-Eu-Wau-Wau e Juma, ha sottolineato che, per la salute indigena dei popoli dell'Amazzonia, il momento è critico.
È venuta a conoscenza della morte di Aruká Juma proprio mentre stava seguendo la vaccinazione contro la COVID-19 del popolo uru-eu-wau-wau, nello stato di Rondônia.
“Si deve capire che gli indigeni del Brasile e dell'Amazzonia vivono la situazione sanitaria con molta pressione, con un'intensa invasione delle loro terre e con la precarietà dell'assistenza sanitaria”, dice.
Il Ministero Pubblico Federale di Rondônia ha emesso un comunicato nel quale si lamenta la morte di Aruká Juma. Nel testo si legge: “A metà degli anni '60 il popolo juma fu sul punto di estinguersi a causa dei massacri che i suoi componenti subirono da parte di cercatori di gomma e di legname e di pescatori nel territorio lungo il rio Assuã, a Canutama, Amazonas. Aruká fu uno dei sopravvissuti della sua etnia”.
Funerale di un guerriero Juma
Il funerale di Aruká ha avuto luogo il 18 febbraio nel villaggio di Juma, nel municipio di Canutama, nella parte meridionale dello stato di Amazonas. Furono invitate su un ponte numerose personalità a rendere omaggio al capo, prima che il corteo funebre si dirigesse nel territorio indigeno Juma.
Mandeí Juma, una delle figlie del guerriero, disse al giornalista che tutte le decorazioni e gli ornamenti che appartenevano al guerriero sarebbero stati sepolti con lui.
La figlia maggiore del capo, Borehá Juma, affermò che, da quel momento in poi, intendeva seguire le orme del padre: “Voglio arrivare ad essere come mio padre e lottare come lui. Mio padre era un vero guerriero. È stato un capo, io sono stata un capo e ora la stirpe si è interrotta”, dice.
Oe alla sue tre figlie, Aruká ha lasciato 14 nipoti, bisnipoti e una figlia da una relazione con una donna indigena uru-eu-wau-wau. I nipoti di Aruká sono figli degli indio uru-eu-wau-wau (il cui territorio si trova nello stato di Rondônia, che confina con quello dello stato di Amazonas), con cui si sposarono Borehá, Maitá e Mandeí. A causa del suo sistema patrilineare, i suoi nipoti e figli sono considerati ugualmente uru-eu. Aruká fu l'ultimo del suo popolo.
Manila – “Ogni persona è preziosa in quanto creata a immagine e somiglianza di Dio. Pertanto, ci opponiamo fermamente e inequivocabilmente ai tentativi dell’attuale Congresso di ripristinare la pena di morte nel nostro sistema giudiziario. Riteniamo che la pena di morte violi la dignità intrinseca della persona. Nessuna persona, per quanto possa essere percepita come malvagia, è fuori della possibilità di redenzione”: lo afferma un messaggio della Commissione per la Pastorale delle carceri nella Conferenza episcopale cattolica delle Filippine unendosi alla “Coalizione contro la pena di morte” nel celebrare il 15° anno dell’abolizione della pena di morte nelle Filippine. Il messaggio, diffuso oggi, 24 giugno e inviato all’Agenzia Fides, è firmato dal Vescovo Joel Baylon, Vescovo di Legazpi e Presidente della Commissione per la pastorale delle carceri. Nel testo si rimarca: “Sosteniamo che per nessuna persona è impossibile una revisione di vita. Ogni persona merita una seconda possibilità per correggere i propri errori. Papa Francesco, nei suoi insegnamenti, ha costantemente sottolineato che il togliere la vita è inammissibile”. Opponendosi al progetto di riammettere la pena capitale nel sistema giudiziario filippino, il testo nota che “la pena di morte colpirà principalmente solo i poveri. Le esperienze passate mostrano che la maggior parte di coloro che hanno ricevuto la pena di morte erano individui indigenti e poveri, che semplicemente non potevano permettersi una rappresentanza legale di qualità per difenderli davanti ai tribunali”. La pena di morte, prosegue il messaggio, “non può funzionare in un sistema giudiziario imperfetto come il nostro. Una volta eseguita, la condanna a morte è irreversibile e non vi è alcuna possibilità di rettificare una sentenza errata”. La Chiesa cattolica continua ad affermare “l’opzione fondamentale per la vita e chiediamo a gran voce allo Stato di approvare leggi che rendano il sistema di giustizia penale orientato in senso più riparatore e non semplicemente punitivo”. In vista delle elezioni generali del prossimo anno, la Commissione rimarca: “Invitiamo gli elettori, in particolare i nostri giovani, a eleggere persone che servano la nazione secondo giustizia, difendendo la causa della vita e combattendo l’attuale cultura della morte”. Le Filippine sono state il primo paese asiatico ad abolire la pena di morte nella Costituzione del 1987, ma il provvedimento venne reintrodotto nel 1993, durante l’amministrazione del presidente Fidel Ramos per far fronte all’aumento del tasso di criminalità. Una nuova abolizione venne approvata nel 2006, quando l’allora presidente Gloria Macapagal-Arroyo firmò una legge che prevedeva l’ergastolo come la pena massima dell’ordinamento. Tuttavia, dopo la sua elezione, nel maggio 2016, il presidente Rodrigo Duterte ha dato sostegno pubblico alla reintroduzione della pena di morte. Il 7 marzo 2017, la Camera dei rappresentanti ha votato a larga maggioranza a favore di un disegno di legge in tal senso. In Senato, però, il disegno di legge si è arenato per l’opposizione dei senatori. Il governo filippino non ha abbandonato l’idea e ha continuato a considerare le proposte di legge per ripristinare la pena di morte. Nel 2020 Il presidente Rodrigo Duterte ha usato il suo “Discorso sullo stato della nazione” per chiedere la pena capitale con iniezione letale per i reati di droga o per i crimini più efferati, e il dibattito sulla possibile reintroduzione è tuttora in corso. Va notato che le Filippine hanno ratificato sia la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici nel 1986 sia il suo Secondo protocollo opzionale volto all’abolizione della pena di morte nel 2007.
Marco Revelli scrive su il Manifesto del 25 maggio: “Si chiamava Moussa Balde, veniva dalla Guinea, il 29 luglio avrebbe compiuto 23 anni. E la sua morte pesa come un macigno su tutti noi. Perché era una vittima – il giovane senza nome, appunto, di cui le cronache si erano occupate quando il 9 maggio era stato aggredito e massacrato di botte da tre energumeni a Ventimiglia, per il solo fatto che era lì, sulla strada – e invece è stato trattato da colpevole, imprigionato in un vero e proprio lager sotto la minaccia dell’espulsione. Segregato quando ancora le ferite del corpo e dell’anima non si erano rimarginate, abbandonato alla propria disperazione, offerto al sacrificio da una società che ha perduto se stessa e per questo non sa più salvare nessuno. Era un uomo, ed è stato trattato come una cosa”.
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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
EText-No. 22772 Title: Camões e o amor – no aniversario 304 da morte do poeta Author: Pires, Ernesto, 1857-1884 Language: Portuguese Link:cache/generated/22772/pg22772.epub
EText-No. 22772 Title: Camões e o amor – no aniversario 304 da morte do poeta Author: Pires, Ernesto, 1857-1884 Language: Portuguese Link:2/2/7/7/22772/22772-h/22772-h.htm
EText-No. 22772 Title: Camões e o amor – no aniversario 304 da morte do poeta Author: Pires, Ernesto, 1857-1884 Language: Portuguese Link:cache/generated/22772/pg22772.mobi
EText-No. 22772 Title: Camões e o amor – no aniversario 304 da morte do poeta Author: Pires, Ernesto, 1857-1884 Language: Portuguese Link:2/2/7/7/22772/22772-h.zip
EText-No. 22772 Title: Camões e o amor – no aniversario 304 da morte do poeta Author: Pires, Ernesto, 1857-1884 Language: Portuguese Link:2/2/7/7/22772/22772-8.zip
EText-No. 31696 Title: Morte de Yaginadatta – Episodio do poema epico – O Ramayana Author: Figueiredo, Cândido de, 1846-1925 Language: Portuguese Link:cache/generated/31696/pg31696.epub
EText-No. 31696 Title: Morte de Yaginadatta – Episodio do poema epico – O Ramayana Author: Figueiredo, Cândido de, 1846-1925 Language: Portuguese Link:3/1/6/9/31696/31696-h/31696-h.htm
EText-No. 31696 Title: Morte de Yaginadatta – Episodio do poema epico – O Ramayana Author: Figueiredo, Cândido de, 1846-1925 Language: Portuguese Link:cache/generated/31696/pg31696.mobi
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EText-No. 31696 Title: Morte de Yaginadatta – Episodio do poema epico – O Ramayana Author: Figueiredo, Cândido de, 1846-1925 Language: Portuguese Link:3/1/6/9/31696/31696-8.zip
EText-No. 23110 Title: A Morte de D. Ignez de Castro – Cantata por Manoel Maria Barbosa du Bucage; A Que Se Ajunta o Episódio, Ao Mesmo Assumpto, do Immortal Luiz de Camões Author: Camões, Luís de, 1524?-1580;Bocage, Manuel Maria Barbosa du, 1765-1805 Language: Portuguese Link:cache/generated/23110/pg23110.epub
EText-No. 23110 Title: A Morte de D. Ignez de Castro – Cantata por Manoel Maria Barbosa du Bucage; A Que Se Ajunta o Episódio, Ao Mesmo Assumpto, do Immortal Luiz de Camões Author: Camões, Luís de, 1524?-1580;Bocage, Manuel Maria Barbosa du, 1765-1805 Language: Portuguese Link:cache/generated/23110/pg23110.html.utf8
EText-No. 23110 Title: A Morte de D. Ignez de Castro – Cantata por Manoel Maria Barbosa du Bucage; A Que Se Ajunta o Episódio, Ao Mesmo Assumpto, do Immortal Luiz de Camões Author: Camões, Luís de, 1524?-1580;Bocage, Manuel Maria Barbosa du, 1765-1805 Language: Portuguese Link:cache/generated/23110/pg23110.mobi
EText-No. 23110 Title: A Morte de D. Ignez de Castro – Cantata por Manoel Maria Barbosa du Bucage; A Que Se Ajunta o Episódio, Ao Mesmo Assumpto, do Immortal Luiz de Camões Author: Camões, Luís de, 1524?-1580;Bocage, Manuel Maria Barbosa du, 1765-1805 Language: Portuguese Link:2/3/1/1/23110/23110-8.txt Link:cache/generated/23110/pg23110.txt.utf8
EText-No. 23110 Title: A Morte de D. Ignez de Castro – Cantata por Manoel Maria Barbosa du Bucage; A Que Se Ajunta o Episódio, Ao Mesmo Assumpto, do Immortal Luiz de Camões Author: Camões, Luís de, 1524?-1580;Bocage, Manuel Maria Barbosa du, 1765-1805 Language: Portuguese Link:2/3/1/1/23110/23110-8.zip
EText-No. 35324 Title: Isabel d’Aragão a Rainha Santa – Historia sucinta da sua vida, morte e excelsas virtudes Author: Anonymous Language: Portuguese Link:3/5/3/2/35324/35324-h/35324-h.htm
EText-No. 35324 Title: Isabel d’Aragão a Rainha Santa – Historia sucinta da sua vida, morte e excelsas virtudes Author: Anonymous Language: Portuguese Link:3/5/3/2/35324/35324-h.zip
EText-No. 35324 Title: Isabel d’Aragão a Rainha Santa – Historia sucinta da sua vida, morte e excelsas virtudes Author: Anonymous Language: Portuguese Link:3/5/3/2/35324/35324-8.zip
EText-No. 28403 Title: Racconti umoristici – In cerca di morte re per ventiquattrore Author: Tarchetti, Iginio Ugo;1869;Tarchetti, Igino Ugo;1841 Language: Italian Link:cache/generated/28403/pg28403.epub
EText-No. 28403 Title: Racconti umoristici – In cerca di morte re per ventiquattrore Author: Tarchetti, Iginio Ugo;1869;Tarchetti, Igino Ugo;1841 Language: Italian Link:2/8/4/0/28403/28403-h/28403-h.htm
EText-No. 28403 Title: Racconti umoristici – In cerca di morte re per ventiquattrore Author: Tarchetti, Iginio Ugo;1869;Tarchetti, Igino Ugo;1841 Language: Italian Link:cache/generated/28403/pg28403.mobi
EText-No. 28403 Title: Racconti umoristici – In cerca di morte re per ventiquattrore Author: Tarchetti, Iginio Ugo;1869;Tarchetti, Igino Ugo;1841 Language: Italian Link:cache/generated/28403/pg28403.txt.utf8
EText-No. 28403 Title: Racconti umoristici – In cerca di morte re per ventiquattrore Author: Tarchetti, Iginio Ugo;1869;Tarchetti, Igino Ugo;1841 Language: Italian Link:2/8/4/0/28403/28403-h.zip
EText-No. 28403 Title: Racconti umoristici – In cerca di morte re per ventiquattrore Author: Tarchetti, Iginio Ugo;1869;Tarchetti, Igino Ugo;1841
Morte col fiero stral sè stessa offese,
Quando oscurar pensò quel lume chiaro,
Ch’or vive in cielo, e qui sempre più caro,
Chè ‘l bel morir più le sue glorie accese.
Onde irata vêr me l’arme riprese;
Poi vide essermi dolce il colpo amaro,
Nol diè; ma col morir vivendo imparo
Quant’è crudel, quando par più cortese.
S’io cerco darle in man la morta vita,
Perchè di sua vittoria resti altera,
Ed io del mio finir lieta e felice;
Per fare una vendetta non più udita,
Mi lascia viva in questa morte vera.
S’ella mi fugge or che sperar mi lice?