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bookmark_borderASIA/INDIA – Il Gesuita premiato: “Intolleranza e insicurezza per le minoranze religiose, la politica agisca”

New Delhi – “La violenza sociale a danno di cristiani e musulmani in India è preoccupante e va perseguita. Il governo federale non ha fatto abbastanza per fermare l’incitamento all’odio contro i cristiani e le altre minoranze”: lo dice all’Agenzia Fides padre Cedric Prakash, sacerdote e Gesuita indiano, giornalista, divulgatore e scrittore, appena insignito di un premio assegnato dalla Indian Catholic Press Association . Il 1° dicembre l’Associazione gli conferirà il prestigioso “Louis Careno Award for Excellence in Journalism”, apprezzando i suoi audaci scritti contro la violenza inter-comunitaria e il fondamentalismo, che guadagnano terreno nel subcontinente indiano. Prakash, fondatore ed ex direttore di “Prashant”, Centro culturale con sede ad Ahmedabad che sensibilizza sui temi legati a diritti umani, la giustizia e la pace, “nei suoi scritti incisivi e stimolanti su vari argomenti sociali, politici e religiosi ha aperto nuove strade. La sua analisi tagliente di questioni socio-culturali e politiche, ha generato dibattiti profondi nella società civile e nel mondo laico”, spiega una nota inviata a Fides dalla ICPA.
Rileva il Gesuita in un colloquio con Fides: “Da quando il Bharatiya Janata Party si è insediato al governo dell’India nel 2014, le minoranze religiose nel paese, soprattutto musulmani e cristiani, sono state oggetto di continue aggressioni. Sono intimidite, minacciate, discriminate, incarcerate illegalmente. Nel 2021 si registrano più di 300 aggressioni ai cristiani in tutta la nazione”:
Padre Prakash ricorda la triste vicenda del suo confratello Stan Swamy, arrestato ingiustamente nell’autunno 2020, e deceduto in ospedale a luglio scorso a causa del degrado della sua salute. Negli ultimi anni, osserva, i gruppi radicali legati che promuovono un nazionalismo religioso indù, fautori di violenza e intolleranza, “godono di maggiore impunità”, grazie a coperture nella politica, nella magistratura e nelle forze dell’ordine.
Spesso gli autori della violenza, spiega, “in modo falso e pretestuoso, accusano i cristiani o i missionari di convertire gli indù al cristianesimo tramite lusinghe, tramite il denaro o altre forme di aiuto”. Seguendo tale ideologia, otto Stati indiani hanno emanato leggi anti-conversione , provvedimenti che, “mirano a impedire agli indiani di abbracciare il cristianesimo o l’islam”. Questo approccio, aggiunge il sacerdote, viola la Costituzione indiana che sancisce libertà di predicare, praticare e professare la propria religione per tutti i cittadini.
Nella cerimonia di conferimento del Premio della ICPA, padre Prakash parlerà “dell’urgenza di tutelare a libertà religiosa, anche pensando al messaggio che il Primo Ministro Modi ha rivolto a Papa Francesco nel loro recente incontro in Vaticano, quando lo ha invitato a visitare il nostro paese”, dice, segnalando che questo è un “tema cruciale per la vita dei cristiani in India”.

bookmark_borderASIEN/PAKISTAN – Zwangskonversionen: “Ein schwerwiegendes Problem für religiöse Minderheiten“

Lahore – “Das Problem der Zwangskonversionen ist heute eine große Sorge der religiösen Minderheiten in Pakistan, insbesondere für Christen und Hindus, aber es scheint am politischen Willen zu fehlen, wenn es darum geht dieses schwerwiegende Problem zu lösen. Dies könnte auf politische Instabilität und den Druck extremistischer religiöser Gruppen zurückzuführen sein; all dies führt aber zu ernsthaften Schwierigkeiten für religiöse Minderheiten”, so Nasir Saeed, Direktor der Nichtregierungsorganisation „Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement“ gegenüber Fides. Die Ablehnung eines Gesetzesvorschlags, mit dem das Phänomen der Entführung und Konvertierung minderjähriger christlicher und hinduistischer Mädchen zum Islam eingedämmt werden sollte, hat die Debatte im Land erneut angefacht .
“Es gibt keine schnelle Lösung für die Probleme der Minderheiten“, so Nasir Saeed weiter, „weil die Regierung ihnen nicht die nötige Aufmerksamkeit schenkt, egal ob es um Diskriminierung in Schulen und Universitäten, Arbeit, Heirat und Scheidung, Missbrauch des Blasphemiegesetzes oder Zwangskonvertierungen geht”.
Unterdessen haben auch der Rat für Islamische Ideologie und das Ministerium für religiöse Angelegenheiten die eine negative Stellungnahme zu dem Gesetzentwurf abgegeben. “Das bedeutet, dass das Thema lange Zeit nicht vor das Parlament gebracht werden kann, und leider werden christliche und hinduistische Minderjährige weiterhin leiden und zur Zielscheibe werden, und es wird keine Gerechtigkeit geben”, so der Direktor von CLAAS.
Auch die von pakistanischen Gerichten unter Einfluss der islamischen Gesetze der Scharia ausgesprochenen Urteile „ermutigen die Täter, nicht-muslimische minderjährige Mädchen zu entführen“. Nach Ansicht des CLAAS-Direktors “ist es ein gefährlicher Trend, wenn Richter des Obersten Gerichtshofs von der Scharia beeinflusste Urteile fällen, anstatt das geltende Recht des Landes, wie das Gesetz zur Beschränkung der Kinderheirat , das die Heirat von Mädchen unter 16 Jahren unter Strafe stellt, aufrechtzuerhalten. Auf diese Weise ignorieren die pakistanischen Gerichte weiterhin selbst internationale Standards”.
“Andere Fraktionen in der pakistanischen Gesellschaft haben die gleiche Überzeugung und Mentalität, und die Mehrheit der Muslime ist gegen die Festlegung eines Mindestalters für den Übertritt zum Islam, weil sie glauben, dass ein Gesetz gegen Zwangskonvertierung gegen den Koran und die Sunna verstößt und zu sozialen Unruhen führen könnte”, beklagt er. Saeed schließt mit den Worten: “In einer so schwierigen Situation müssen wir für Gerechtigkeit und Veränderung kämpfen, wir müssen unabhängig arbeiten und alle Plattformen und Bündnisse auf nationaler und internationaler Ebene nutzen. Es ist sehr wichtig, dass wir Pakistan weiterhin an seine internationalen Menschenrechtsverpflichtungen erinnern, insbesondere gegenüber Kindern, Frauen und Minderheiten”.

bookmark_borderASIA/PASKISTAN – Conversoni religiose forzate: una questione grave per le minoranze religiose

Lahore – “La questione delle conversioni religiose forzate è oggi fonte di grande preoccupazione per le minoranze religiose in Pakistan, soprattutto per cristiani e indù, ma sembra mancare della volontà politica di risolverla. Ciò può essere dovuto all’instabilità politica e alla pressione di gruppi religiosi estremisti; tutto ciò sta creando gravi difficoltà alle minoranze religiose”: lo dice in un messaggio inviato all’Agenzia Fides Nasir Saeed, Direttore della Ong CLAAS . Il recente rigetto di una proposta di legge, tesa a frenare il fenomeno del rapimento e della conversione all’islam di di ragazze minorenni cristiane e indù, ha suscitato nella nazione dibattito e proteste .
Prosegue Nasir Saeed: “Non c’è una soluzione rapida ai problemi delle minoranze poiché il governo non presta loro adeguata attenzione, sia che si tratti di discriminazione nelle scuole e nei programmi universitari, sia che si parli di lavoro, matrimonio e divorzio, abuso della legge sulla blasfemia o conversioni e forzate”.
La questione della conversione forzata delle minorenni cristiane e indù è diventata molto più complicata dopo che la Commissione parlamentare ha bocciato un apposito disegno di legge presentato in Commissione per essere poi discusso in Parlamento. Il Consiglio dell’Ideologia Islamica e il Ministero degli Affari Religiosi hanno già espresso parere negativo. “Ciò vuol dire che la questione non potrà essere portata in Parlamento per molto tempo e purtroppo le minorenni cristiane e indù continueranno a soffrire e ad essere prese di mira e non ci sarà giustizia”, nota il Direttore di CLAAS.
La speranza di ottenere giustizia è dunque nella mani dei tribunali che, però, “stanno emettendo sentenze influenzate dalla sharia” , rileva. Nel recente caso di una ragazza cristiana, la 14enne Chashman , l’Alta Corte di Lahore ha affermato che non esiste un’età minima per la conversione nell’Islam e che né il Sacro Corano né alcun Hadith del Profeta stabiliscono un età minima per convertirsi all’Islam. Ha inoe affermato che i giuristi musulmani considerano la capacità mentale di un bambino di importanza cruciale per la questione della conversione religiosa. Secondo il giudice, l’età del discernimento è generalmente considerata come l’età in cui si raggiunge la pubertà.
“Tali osservazioni e i giudizi delle Corti incoraggiano gli autori dei rapimenti di ragazze minorenni non musulmane. Questo non è il primo giudizio del genere da parte dei giudici dell’Alta Corte. Ce ne sono molti ai, come quelli sui casi di Maira Shahbaz, Huma Younis, Nayab Gill o Shakina, 14enne che è ancora sotto la custodia dei suoi rapitori”. Secondo il Direttore, “è una tendenza pericolosa soprattutto quando i giudici dell’Alta Corte emettono sentenze influenzate dalla Shariah, invece di sostenere la legge prevalente del paese, come il Child Marriage Restraint Act che criminalizza i matrimoni di ragazze sotto i 16 anni. In tal modo i tribunali pakistani continuano a ignorare anche gli standard internazionali”.
Inoe, rileva, “ae fazioni della società pakistana hanno la stessa convinzione e mentalità e la maggioranza dei musulmani è contraria a definire un’età minima per la conversione all’Islam poiché crede che una legge contro la conversione forzata sarebbe contro il Corano e la Sunnah e potrebbe creare disordini sociali”.
Conclude Saeed: “In una situazione così difficile, occorre lottare per la giustizia e il cambiamento, bisogna lavorare sodo in modo indipendente, utilizzando tutte le piattaforme e le alleanze a livello nazionale e internazionale. È molto importante continuare a ricordare al Pakistan i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani, specialmente nei confronti dei bambini, delle donne e delle minoranze”.

bookmark_borderASIA/PAKISTAN – Conversioni religiose forzate: una questione grave per le minoranze religiose

Lahore – “La questione delle conversioni religiose forzate è oggi fonte di grande preoccupazione per le minoranze religiose in Pakistan, soprattutto per cristiani e indù, ma sembra mancare della volontà politica di risolverla. Ciò può essere dovuto all’instabilità politica e alla pressione di gruppi religiosi estremisti; tutto ciò sta creando gravi difficoltà alle minoranze religiose”: lo dice, in un messaggio inviato all’Agenzia Fides, Nasir Saeed, Direttore della Ong CLAAS . Il recente rigetto di una proposta di legge, tesa a frenare il fenomeno del rapimento e della conversione all’islam di ragazze minorenni cristiane e indù, ha suscitato nella nazione dibattito e proteste .
Prosegue Nasir Saeed: “Non c’è una soluzione rapida ai problemi delle minoranze poiché il governo non presta loro adeguata attenzione, sia che si tratti di discriminazione nelle scuole e nei programmi universitari, sia che si parli di lavoro, matrimonio e divorzio, abuso della legge sulla blasfemia o conversioni forzate”.
La questione della conversione forzata delle minorenni cristiane e indù è diventata molto più complicata dopo che la Commissione parlamentare ha bocciato un apposito disegno di legge presentato in Commissione per essere poi discusso in Parlamento. Il Consiglio dell’Ideologia Islamica e il Ministero degli Affari Religiosi hanno già espresso parere negativo. “Ciò vuol dire che la questione non potrà essere portata in Parlamento per molto tempo e purtroppo le minorenni cristiane e indù continueranno a soffrire e ad essere prese di mira e non ci sarà giustizia” nota il Direttore di CLAAS.
La speranza di ottenere giustizia è dunque nella mani dei tribunali che, però, “stanno emettendo sentenze influenzate dalla sharia” , rileva. Nel recente caso di una ragazza cristiana, la 14enne Chashman, l’Alta Corte di Lahore ha affermato che non esiste un’età minima per la conversione nell’Islam e che né il Sacro Corano né alcun Hadith del Profeta stabiliscono un’età minima per convertirsi all’Islam. Ha inoe affermato che i giuristi musulmani considerano la capacità mentale di un bambino di importanza cruciale per la questione della conversione religiosa. Secondo il giudice, l’età del discernimento è generalmente considerata come l’età in cui si raggiunge la pubertà.
“Tali osservazioni e i giudizi delle Corti incoraggiano gli autori dei rapimenti di ragazze minorenni non musulmane. Questo non è il primo giudizio del genere da parte dei giudici dell’Alta Corte. Ce ne sono molti ai, come quelli sui casi di Maira Shahbaz, Huma Younis, Nayab Gill o Shakina, 14enne che è ancora sotto la custodia dei suoi rapitori”. Secondo il Direttore, “è una tendenza pericolosa soprattutto quando i giudici dell’Alta Corte emettono sentenze influenzate dalla Shariah, invece di sostenere la legge prevalente del paese, come il Child Marriage Restraint Act che criminalizza i matrimoni di ragazze sotto i 16 anni. In tal modo i tribunali pakistani continuano a ignorare anche gli standard internazionali”.
Inoe, rileva, “ae fazioni della società pakistana hanno la stessa convinzione e mentalità, e la maggioranza dei musulmani è contraria a definire un’età minima per la conversione all’Islam poiché crede che una legge contro la conversione forzata sarebbe contro il Corano e la Sunnah e potrebbe creare disordini sociali”.
Conclude Saeed: “In una situazione così difficile, occorre lottare per la giustizia e il cambiamento, bisogna lavorare sodo in modo indipendente, utilizzando tutte le piattaforme e le alleanze a livello nazionale e internazionale. È molto importante continuare a ricordare al Pakistan i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani, specialmente nei confronti dei bambini, delle donne e delle minoranze”.

bookmark_borderAMERICA/CILE – I religiosi e le religiose cileni: i candidati alle prossime elezioni siano all’altezza della situazione

Santiago – “Stiamo vivendo un tempo di crisi, che provoca grande incertezza, in vari ambiti: mancanza di sicurezza, violenza e instabilità della vita sociale. Ogni trasformazione e cambiamento della realtà porta in sé la sensazione di non avere il controllo degli eventi che si verificano. Per questo è necessario e urgente rimanere fermi in ciò che è essenziale, la nostra identità di esseri umani creati per amare e convivere con Dio, con noi stessi, tra di noi e con il Creato”. Lo afferma la Conferenza dei Religiosi e delle Religiose del Cile, in vista delle elezioni del 21 novembre, in un comunicato pervenuto a Fides.
Esprimendo la loro preoccupazione per le prossime elezioni presidenziali e parlamentari, i Religiosi e le Religiose cilene lanciano un appello ai candidati, perchè siano all’altezza della situazione, che “richiede leader che abbiano il bene comune come fondamento del loro servizio a tutte le persone, senza distinzione, e la cura della Casa comune”. Inoe devono essere disponibili all’incontro e al dialogo, per stabilire ponti che costruiscano la pace e la convivenza fraterna tra tutti I cileni, riconoscendo la nostra diversità culturale. In particolare devono avere “braccia aperte e senza frontiere per accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli immigrati; raggiungere la giustizia attraverso l’equità per una vita dignitosa, che permetta di vivere in pace le relazioni reciproche”.
Il comunicato auspica condizioni di vita che favoriscano la libertà, il rispetto reciproco, la cura della natura cercando una relazione sostenibile nell’economia, attraverso leggi che si occupino e proteggano dallo sfruttamento e dallo sterminio di tutte le forme di vita e di cultura.
I Religiosi e le Religiose del Cile concludono il loro messaggio “ponendo la nostra speranza nel Dio della Vita”, e rinnovando quindi la convinzione che “il Vangelo porta la Buona Novella di uno stile di vita che ci libererà dalla schiavitù delle false idolatrie che costruiscono muri e creano divisioni, portando luce alla nostra mente e al nostro cuore per vedere, valorizzare e prendersi cura di tutti, perché siamo tutti fratelli”.
Il Cile sta ancora vivendo un lungo periodo di crisi e incertezza in tutti i campi – politico, economico, sociale ed ecclesiale – iniziato nell’ottobre 2019, con la mobilitazioni contro il carovita e la corruzione. Violenze e scontri non hanno risparmiato i luoghi di culto. Il plebiscito del 25 ottobre 2020 ha sancito l’inizio del processo per l’elaborazione di una nuova Costituzione, la cui stesura è stata affidata ad una “Convenzione Costituente”, i cui membri sono stati scelti alle elezioni del 15 e 16 maggio 2021 . Preoccupati per il clima di violenta polarizzazione della vita politica, specialmente nella campagna elettorale, i Vescovi cileni hanno pubblicato un loro messaggio, ad un mese dalle elezioni presidenziali, parlamentari e regionali del 21 novembre, intitolato “Per vivere il processo elettorale nella pace e nella concordia cittadina”. I Vescovi invitano tutti “ad agire in modo responsabile”, sottolineando che “per chiunque verrà a governare il Paese nel prossimo periodo, il compito sarà difficile e complesso” .

bookmark_borderAMERICA/CILE – I religiosi e le religiose cileni chiedono che i candidati alle prossime elezioni siano all’altezza della situazione

Santiago – “Stiamo vivendo un tempo di crisi, che provoca grande incertezza, in vari ambiti: mancanza di sicurezza, violenza e instabilità della vita sociale. Ogni trasformazione e cambiamento della realtà porta in sé la sensazione di non avere il controllo degli eventi che si verificano. Per questo è necessario e urgente rimanere fermi in ciò che è essenziale, la nostra identità di esseri umani creati per amare e convivere con Dio, con noi stessi, tra di noi e con il Creato”. Lo afferma la Conferenza dei Religiosi e delle Religiose del Cile, in vista delle elezioni del 21 novembre, in un comunicato pervenuto a Fides.
Esprimendo la loro preoccupazione per le prossime elezioni presidenziali e parlamentari, i Religiosi e le Religiose cilene lanciano un appello ai candidati, perché siano all’altezza della situazione, che “richiede leader che abbiano il bene comune come fondamento del loro servizio a tutte le persone, senza distinzione, e la cura della Casa comune”. Inoe devono essere disponibili all’incontro e al dialogo, per stabilire ponti che costruiscano la pace e la convivenza fraterna tra tutti i cileni, riconoscendo la nostra diversità culturale. In particolare devono avere “braccia aperte e senza frontiere per accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli immigrati; raggiungere la giustizia attraverso l’equità per una vita dignitosa, che permetta di vivere in pace le relazioni reciproche”.
Il comunicato auspica condizioni di vita che favoriscano la libertà, il rispetto reciproco, la cura della natura cercando una relazione sostenibile nell’economia, attraverso leggi che si occupino e proteggano dallo sfruttamento e dallo sterminio di tutte le forme di vita e di cultura.
I Religiosi e le Religiose del Cile concludono il loro messaggio “ponendo la nostra speranza nel Dio della Vita”, e rinnovando quindi la convinzione che “il Vangelo porta la Buona Novella di uno stile di vita che ci libererà dalla schiavitù delle false idolatrie, che costruiscono muri e creano divisioni, portando luce alla nostra mente e al nostro cuore per vedere, valorizzare e prendersi cura di tutti, perché siamo tutti fratelli”.
Il Cile sta ancora vivendo un lungo periodo di crisi e incertezza in tutti i campi – politico, economico, sociale ed ecclesiale – iniziato nell’ottobre 2019, con la mobilitazioni contro il carovita e la corruzione. Violenze e scontri non hanno risparmiato i luoghi di culto. Il plebiscito del 25 ottobre 2020 ha sancito l’inizio del processo per l’elaborazione di una nuova Costituzione, la cui stesura è stata affidata ad una “Convenzione Costituente”, i cui membri sono stati scelti alle elezioni del 15 e 16 maggio 2021 . Preoccupati per il clima di violenta polarizzazione della vita politica, specialmente nella campagna elettorale, i Vescovi cileni hanno pubblicato un loro messaggio, ad un mese dalle elezioni presidenziali, parlamentari e regionali del 21 novembre, intitolato “Per vivere il processo elettorale nella pace e nella concordia cittadina”. I Vescovi invitano tutti “ad agire in modo responsabile”, sottolineando che “per chiunque verrà a governare il Paese nel prossimo periodo, il compito sarà difficile e complesso” .

bookmark_borderEUROPA/ITALIA – Le congregazioni religiose accolgono i profughi afgani

Rom – “Poter accogliere due famiglie di profughi afgani rappresenta per noi il dono più grande che potessimo ricevere: è come avere qui Gesù. Lo stiamo accogliendo, lo stiamo curando, è il nostro ospite d’onore. All’arrivo erano stanchi, sofferenti: nei quattro giorni in cui tentavano di fuggire hanno combattuto paura, fame, freddo. Non avevano la possibilità di lavarsi e non avevano cambi, perché sono dovuti scappare senza poter portare nulla con sé. Adesso, però, sono rilassati, felici, gioiscono di tutto e si sentono al sicuro. Uno di loro, qualche giorno fa, ci ha detto che gli sembra di essere in paradiso”. E’ quanto racconta all’Agenzia Fides Suor Gloria Lopez, religiosa delle Suore Missionarie della Consolata di Nepi. La congregazione, come diversi ai istituti religiosi in Italia, a partire dalla metà di metà agosto, quando la crisi afgana ha raggiunto l’apice, non ha esitato ad aprire le porte della propria casa e ad accogliere due famiglie afgane, in fuga per aver collaborato con un’associazione cattolica italiana che a Kabul si occupava di dare istruzione a bambini disabili.
Si tratta, in particolare, di undici persone – 4 adulti e i loro 7 bambini – che sono state accolte con calore anche dagli abitanti del piccolo centro nel Lazio. Racconta a tal proposito la suora: “La gente continua a donare abiti, cibo, offerte di ogni tipo. Abbiamo anche professionisti che offrono gratuitamente i propri servizi, come le insegnanti di lingua italiana, un dentista e un parrucchiere. Ognuno fa o porta quello che può. Tutti questi aiuti sono per noi una meraviglia, un dono, e al tempo stesso ci danno la possibilità di fare apostolato tra gli abitanti della zona, ora che vengono a trovarci così spesso per lasciare le proprie offerte”.
L’accoglienza ha permesso ai rifugiati di ricominciare una nuova vita in un paese straniero, con fiducia e speranza per il futuro. “Riceviamo ogni giorno tanto supporto e ci sentiamo così fortunati ad essere qui che questo ci rende fiduciosi per il domani” racconta uno di loro a Agenzia Fides, e aggiunge: “Vedo molti cambiamenti in noi stessi, per esempio posso vedere il sorriso sul viso dei miei figli: è un sorriso vero, e sento che ora sono finalmente felici e sereni. Abbiamo una nuova vita e possiamo dire di essere come rinati. Prima del ritorno dei talebani conducevamo una buona vita, ma dall’annuncio della data ufficiale di ritiro delle truppe americane, del giugno 2021 abbiamo capito che la situazione sarebbe precipitata. Quando abbiamo ricevuto la notizia che saremmo stati evacuati dal governo italiano, abbiamo rivisto la luce nel momento più buio e difficile della nostra vita”.

bookmark_borderAMERICA/CILE – Le confessioni religiose chiedono che la nuova Costituzione garantisca la libertà religiosa senza distinzioni

Villarrica – “La nuova Costituzione deve garantire ampiamente la libertà religiosa di tutte le persone, senza distinzioni di alcun tipo, e anche delle confessioni religiose in quanto tali, cioè la libertà di svolgere la propria missione e di svolgere le proprie attività, sia pubbliche che private, avendo come limiti l’ordine pubblico, la moralità e i buoni costume”. Lo sottolinea Sua Ecc. Mons. Francisco Javier Stegmeier, Vescovo di Villarrica, commentando la recente dichiarazione dei rappresentanti di undici confessioni religiose, che indica gli aspetti da considerare nella nuova Costituzione perchè venga assicurato il diritto umano di esercitare il proprio credo religioso, senza impedimenti o obblighi da parte dello Stato.
“La persona è per sua natura religiosa e allo stesso tempo è un cittadino, chiamato ad adempiere sia ai suoi doveri religiosi e morali, sia ai suoi doveri sociali, economici e politici” afferma il Vescovo di Villarrica, che elenca tre diritti fondamentali che devono essere garantiti: il diritto di ogni confessione religiosa a regolare il matrimonio dei suoi membri; l’educazione dei figli è responsabilità
dei genitori; il diritto a promuovere iniziative sociali coerenti con la rispettiva missione religiosa: scuole, università, ospedali, media, case per bambini e anziani, ecc.
Il 19 ottobre i rappresentanti di undici confessioni religiose presenti in Cile hanno consegnato al Vicepresidente aggiunto della Convenzione, Rodrigo Álvarez, un documento intitolato “Considerazioni e proposte di contenuto sulla libertà religiosa nella nuova Costituzione”, dove sono raccolti alcuni elementi considerati essenziali e comuni a tutte le grandi espressioni di fede presenti nel paese, i quali dovrebbero essere considerati nell’attuale dibattito per l’elaborazione della nuova Costituzionale.
Sua Ecc. Mons. Juan Ignacio González, coordinatore di questa istanza interreligiosa, ha evidenziato: “È un documento comune, relativamente ampio, in cui vengono espressi gli elementi centrali della libertà religiosa, tra cui la libertà di educazione, la libertà di insegnamento, la libertà di matrimonio, tra le ae cose”. Il Vescovo ha anche ricordato che la libertà religiosa è presente in ae costituzioni moderne, aggiungendo che per “poter regolare il fenomeno religioso come fattore sociale molto importante nella vita di un Paese libero, pluralistico e democratico come il nostro”, è necessario non dipendere dalle concessioni dello Stato per lo sviluppo dell’azione religiosa, aspetto che dovrebbe essere considerato nella discussione costituente.

bookmark_borderAMERICA/BOLIVIA – Tre religiose muoiono di Covid-19 nel loro servizio di assistenza agli anziani abbandonati

Oruro – Suor María Hilda Arteaga Flores, sour María Isabel Agip Sánchez e sour Asunción Bravo Rivas, della Congregazione delle Hermanitas de los Ancianos Desamparados , sono morte a causa del Covid-19, virus che hanno contratto nell’esercizio del loro lavoro missionario, prendendosi cura degli anziani ospiti della Casa “La Sagrada Familia”.
Come informa la nota della Conferenza episcopale, suor Asunción Bravo Rivas è morta il 22 settembre, mentre suor María Hilda Arteaga Flores e sour María Isabel Agip Sánchez sono morte il 29 settembre. Giovedì 30 settembre, nella Cattedrale di Oruro, Mons. Krzysztof Bialasik, Vescovo di questa Chiesa locale, ha presieduto la Messa esequiale per le religiose, chiedendo per loro al Signore il premio della vita eterna, per la loro attenzione disinteressata ai fratelli della terza età.
Le Hermanitas de los Ancianos Desamparados sono una congregazione religiosa di Diritto pontificio fondata il 27 gennaio 1873 a Barbastro dal venerable Saturnino López Novoa e da Santa Teresa Jornet. Il loro fine specifico è l’esercizio costante della virtù della carità cristiana verso gli anziani più vulnerabili, accogliendoli in un ambiente familiare e provvedendo a tutte le loro necessità, materiali, affettive e spirituali. Attualmente circa 2.000 religiose sono presenti in 204 case di 19 paesi. Le ultime fondazioni sono state in Mozambico, Filippine, Guatemala, Paraguay e El Salvador.

bookmark_borderVATICANO – Il Papa: preghiera e digiuno per l’Afghanistan; le congregazioni religiose pronte all’accoglienza dei profughi

Roma – Papa Francesco, esprimendo la sua vicinanza al popolo afghano, all’Angelus di domenica 29 agosto ha detto: “Partecipo alla sofferenza di quanti piangono per le persone che hanno perso la vita negli attacchi suicidi avvenuti giovedì’ scorso, e di coloro che cercano aiuto e protezione. Affido alla misericordia di Dio Onnipotente i defunti, ringrazio chi si sta adoperando per aiutare quella popolazione così provata, in particolare le donne e i bambini”. Il Pontefice ha chiesto al mondo di “continuare ad assistere i bisognosi e a pregare perché il dialogo e la solidarietà portino a stabilire una convivenza pacifica e fraterna e offrano la speranza per il futuro del Paese”. In un momento come questo, aggiunge, non si può rimanere indifferenti”
“La storia della Chiesa – ha proseguito Papa Francesco – ce lo insegna, come cristiani, questa situazione ci impegna per questo rivolgo un appello a tutti, a intensificare la preghiera e a praticare il digiuno, preghiera e digiuno, preghiera e penitenza, questo è il momento di farlo. Sto parlando sul serio, intensificare la preghiera e praticare il digiuno, chiedendo al Signore misericordia e perdono”.
P. Matteo Sanavio, sacerdote dei Rogazionisti, Consigliere generale per il Servizio della Carità e Missione, e presidente della associazione intercongregazionale “Pro Bambini di Kabul” , che operava dal 2006 in Afghanistan, dice all’Agenzia Fides: “Ci uniamo con tutto il cuore al messaggio del Papa. Ci sentiamo profondamente interpellati a pregare e digiunare per l’Afghanistan e a mettere a disposizione le nostre risorse ed energie per l’accoglienza dei profughi. Oggi notiamo con preoccupazione la grande sofferenza del popolo afgano. La nazione ha bisogno di pace e di misericordia”.
L’associazione, riferisce il sacerdote, gestiva nella capitale afghana il Centro Diurno “Pro Bambini di Kabul” che accoglieva circa 50 bambini disabili. Il Centro era gestito da religiose missionarie di diverse congregazioni e da un nutrito gruppo di collaboratori e personale locale, anch’esso espatriato grazie al ponte aereo organizzato dal Ministero degli Esteri italiano. Il Centro ora ha chiuso. “Le persone afgane giunte in Italia saranno accolte da diverse congregazioni religiose su tutto il territorio italiano, che hanno dato la loro disponibilità. Vi sono anche 14 bambini disabili gravi, che a Kabul erano curati e seguiti dalle Missionarie della Carità. Sono anch’essi in Italia con le suore che li avevano adottati. Sono i più poveri tra i poveri e i più vulnerabili, gli scartati. Siamo pronti ad accoglierli, accudirli, amarli”.

bookmark_borderAMERICA/COLOMBIA – Violenza in Antioquia: le comunità religiose chiedono di rispettare il diritto alla pace

Antioquia – Mettere in guardia sugli effetti dell’aggravarsi del conflitto armato, mentre è sorta una disputa territoriale tra l’Esercito di Liberazione Nazionale e le Forze di Autodifesa Gaitanista della Colombia ; rispettare il diritto internazionale umanitario e “il diritto alla pace”: è quanto chiedono i missionari della Rete di solidarietà interreligiosa nelle zone di conflitto in Colombia, dopo una segnalazione lanciata dalle Missionarie di Madre Laura della Provincia di Medellín. L’appello urgente, rivolto alle autorità, rimarca la difficile situazione delle comunità indigene, afroamericane e contadine nell’ovest del dipartimento di Antioquia, Colombia. Nella testo presentato, inviato all’Agenzia Fides, i missionari notano, tra i problemi principali, il reclutamento di minori, l’installazione di mine antiuomo, le minacce ai leader e alle comunità, omicidi selettivi, sfollamenti, confinamento e abusi sessuali contro i civili.
Le organizzazioni della Rete chiedono l’Esercito di Liberazione Nazionale e ai diversi attori armati rispettino il Diritto internazionale umanitario e pongano fine all’installazione di mine antiuomo, date le gravi conseguenze che ciò comporta per le vittime di questi ordigni. Nella comunicazione si annuncia la creazione di una apposita missione umanitaria che inizierà nei comuni di Dabeiba e Frontino, con l’obiettivo di ascoltare, accompagnare e fornire sostegno morale alle comunità di fronte alla crisi che stanno attraversando. Per fare ciò, i missionari richiedono la presenza di organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani, come l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e la Missione di verifica dell’Accordo di pace delle Nazioni Unite in Colombia.
La situazione in Antioquia sembrava calmarsi, invece negli ultimi tempi si è incrementata la violenza. La Chiesa cattolica in molti occasioni ha chiesto alle autorità una presenza effettiva in questa zona, come ha fatto Mons. César Alcides Balbín Tamayo, Vescovo della diocesi di Caldas en Antioquia , oppure come hanno fatto all’inizio della Settimana Santa 2021, i Vescovi delle diocesi di Quibdó, Istmina-Tadó e Apartadó .
In quella Settimana Santa, i Vescovi avevano chiesto ai gruppi criminali di cogliere un appello alla pace, in modo da fermare omicidi, ferimenti, sequestri, estorsioni, reclusioni, sfollamenti, reclutamenti di minori, minacce e disordini che colpiscono proprio le comunità indigene, afro-discendenti e contadini. “Le istituzioni – hanno scritto i Presuli – devono rispondere efficacemente al grido della cittadinanza che esige diritti, sicurezza e dialogo, e la società civile deve rinunciare a qualsiasi atteggiamento di indifferenza e di conformismo per contribuire in modo costruttivo alle soluzioni richieste”.

bookmark_borderASIEN/USBEKISTAN – Neues Gesetz über “Gewissensfreiheit und religiöse Vereinigungen” definiert das Konzept “Mission” neu

Taschkent – Das am 7. Juli in Usbekistan verabschiedete neue Gesetz “Über die Gewissensfreiheit und religiöse Vereinigungen” hat viele positive Auswirkungen. Dieser Ansicht sind Pater Jerzy Maculewicz, der Apostolische Administrator von Usbekistan, und Pater Ariel Alvarez Toncovich, Priester des Instituts des fleischgewordenen Wortes und Pfarrer von Samarkand.
„Dieses Gesetz, das alle Religionsgemeinschaften in Usbekistan betrifft, schützt die Gewissensfreiheit: Jeder kann sein eigenes Glaubensbekenntnis wählen. Zu beachten ist, dass das Land säkular ist und es eine klare Trennung zwischen Religion und Staat gibt“, erklärt Pater Toncovich. Anschließend erklärt der Priester, wie das neue Gesetz dazu beiträgt, ein wichtiges Hindernis für Missionare auf usbekischem Territorium zu überwinden: „In diesem Teil der Welt wird das Wort ‚Mission‘ nicht positiv verstanden, sondern als Zwang, als erzwungene Auferlegung von Glaubensüberzeugungen, die darauf abzielt, Gläubige anderer Konfessionen abzuwerben. Dieses neue Gesetz hat den Verdienst, klarzustellen, was in Usbekistan unter den Begriffen „Mission“ und „Proselytismus“ zu verstehen ist, und legt fest, dass gerade die Ausübung von Druck auf den Einzelnen zum Religionswechsel verboten ist“. Dies sei der Bitte des Apostolischen Administrators Pater Jerzy Maculewicz zu verdanken, der zusammen mit anderen führenden usbekischen Religionsvertretern an einem der Treffen der vorbereitenden Treffen für die Ausarbeitung des Gesetzestextes teilgenommen hatte.
Ein weiterer wichtiger Aspekt, so der Pfarrer von Samarkand, sei, dass die Reform Kindern nicht den die Teilnahme an Veranstaltungen religiöser Organisationen verbiete, sofern die Mitgliedschaft spontan erfolgt und die Zustimmung der Eltern vorliege: “Sicher können wir im Allgemeinen sagen, dass es sich um eine Maßnahme handelt, die uns erlaubt, in Ruhe zu arbeiten und die uns keine weiteren Grenzen auferlegt “, schließt Pater Toncovich.
Auch aus bürokratischer Sicht lassen sich Verbesserungen absehen, wie Pater Jerzy Maculewicz erklärt: „Um eine neue Pfarrei anzumelden, war es in der Vergangenheit notwendig, mindestens hundert Unterschriften von Personen zu sammeln, die sich für eine Gemeindemitgliedschaft interessiert hatten, und es war notwendig, die Zustimmung der Einwohner der Region einzuholen. Mit der neuen Gesetzgebung müssen die Unterzeichner nur noch fünfzig sein und die Zustimmung der Bevölkerung ist nicht mehr erforderlich. Darüber hinaus wird es endlich möglich sein, die Unterlagen elektronisch einzureichen: Die Antwort muss innerhalb präziser Fristen erfolgen und im Falle einer Ablehnung immer mit einer Begründung versehen sein“, erklärt der Apostolische Administrator.
Usbekistan beschreitet seit 2016, nach dem Tod des autoritären Präsidenten Islom Karimov, einen langsamen Weg der Öffnung im Rahmen der so genannten „Strategie 2017-2021“, die auch „interethnische Harmonie und religiöse Toleranz“ als „Priorität“ der staatlichen Intervention vorsieht. Wie der Apostolische Administrator mitteilte, hat die Regierung die führenden Vertreter aller in Usbekistan anwesenden Religionen um eine Stellungnahmen zu der Reform gebeten und dies in einem Land, in dem es aufgrund seiner Natur als Scharnier zwischen zwei Welten ein ausgeprägtes Bewusstsein für Ökumene gibt. Geschichtlich gesehen, so der Franziskaner, “hat die Seidenstraße die Besonderheiten dieses Landes stark geprägt: Reisende, die die Straße von Europa nach China bereisten, machten hier oft Halt”.
Die Koexistenz zwischen Kulturen und Religionen geht jedoch auf viel ältere Zeiten zurück: In Buhara gibt es eine mindestens 600 Jahre alte Synagoge. Nach Aussage der jüdischen Gemeinde reichen deren Wurzeln in die Zeit vor etwa 2000 Jahren zurück. Im 8. Jahrhundert n. Chr kamen die ersten Muslime in die Region und bis zum 13. Jahrhundert lebte hier eine große Gemeinschaft nestorianischer Christen. Darüber hinaus begünstigte die sowjetische Vorherrschaft die Ankunft und Vermischung verschiedener Nationalitäten. Oftmals zogen die in die Gulags Sibiriens geschickten Polen nach der Zeit der Zwangsarbeit aufgrund des günstigen Klimas und der Anwesenheit vieler anderer Landsleute nach Usbekistan.
Nach Angaben des usbekischen Parlaments „gibt es heute auf dem Territorium der Republik 2.277 Organisationen von 16 verschiedenen religiösen Konfessionen“, darunter insgesamt 2094 islamische Gemeinden mit Sitz in 2067 Moscheen und 166 christliche religiöse Organisationen, 8 jüdische Gemeinden, 6 Bahà’í-Gemeinden, eine Hare-Krishna-Gesellschaft, ein buddhistischer Tempel. Es existiert im Land auch eine Interreligiöse Bibelgesellschaft. Derzeit hat die kleine usbekische katholische Gemeinde mit etwa 3.000 Mitgliedern insgesamt fünf Pfarreien im ganzen Land: Neben den etwa 700 Gläubigen Taschkents gibt es kleine Gemeinden in Samarkand, Buchara, Urgench und Fergana. In Angren, wo demnächst eine neue Kirche gebaut werden soll, gibt es 25 Gläubige.

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