Ebooks, Audobooks and Classical Music from Liber Liber
a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z




Amazon - Website


Audiobooks by Valerio Di Stefano: Single Download - Complete Download [TAR] [WIM] [ZIP] [RAR] - Alphabetical Download  [TAR] [WIM] [ZIP] [RAR] - Download Instructions

Audiobooks by Valerio Di Stefano: Single Download - Complete Download [TAR] [WIM] [ZIP] [RAR] - Alphabetical Download  [TAR] [WIM] [ZIP] [RAR] - Download Instructions

CLASSICISTRANIERI HOME PAGE - YOUTUBE CHANNEL
SITEMAP
Make a donation: IBAN: IT36M0708677020000000008016 - BIC/SWIFT:  ICRAITRRU60 - VALERIO DI STEFANO or
Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions

Web Analytics Made Easy - Statcounter

Che cosa ? l'amore? by Alfredo Panzini -- a Project Gutenberg eBook /head>

Questo sito usa dei cookie per migliorare la vostra esperienza di navigazione. Continuando la navigazione accettate l'uso dei cookie (Altre informazioni)

Donazioni

Home Page  - Autori - Audioletture a cura di Valerio Di Stefano - Concordanze - DVD-ROM
 Aree linguistiche: Italiano - English - French - Deutsch - Spanish - Portuguese
 Miscellanea: Appunti di informatica libera - Punch, or the London Charivari - Holy Bible
Linux Guides - GNUtemberg  - Liber Liber - Wikipedia for Schools - Biblioth?que Lisieux - OldSoftware

 










The Project Gutenberg EBook of Che cosa ? l'amore?, by Alfredo Panzini









This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with




almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or




re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included




with this eBook or online at www.gutenberg.org














Title: Che cosa ? l'amore?









Author: Alfredo Panzini









Release Date: November 26, 2011 [EBook #38140]









Language: Italian









Character set encoding: ISO-8859-1









*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CHE COSA ? L'AMORE? ***
























Produced by Valentina, Rory OConor, Carlo Traverso and the




Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net




(This file was produced from images generously made




available by The Internet Archive)


































CHE COSA ? L'AMORE?

CHE COSA ?
L'AMORE?

Novelle di

ALFREDO PANZINI

logo

MILANO

Societ? Editoriale Italiana

 


Diritti letterari ed artistici riservati per tutti i paesi alla Societ? Editoriale Italiana—Milano


Copyright 1912, by Societ? Editoriale Italiana—Milano.


 

A Titirit?

INDICE

I.—Che cosa ? l'amore?Pag.9
II.—Le olimpiadi e la signorina Olimpia?21
III.—Abito nero e abito bianco?33
IV.—Le mosche e la Polonia?47
V.—La busecca?59
VI.—Ahi, quel povero colonnello!?71
VII.—La bambola fatale?85
VIII.—Vuoi sapere come ho fatto il milione??97
IX.—Un piccolo bacio, qui!?107
X.—Giacominus Giacomini?119
XI.—Come la lingua della signora si calm??133
XII.—La morte di un re?145

 

CHE COSA ? L'AMORE?

Il signor Aurelio, uomo di abitudini mentali alquanto filosofiche, e perci? mediocre accumulatore di denaro, viaggiava in uno scompartimento di terza classe.

D'estate si viaggia meglio in terza classe che in prima, specialmente oggi che la democrazia ha attaccato dei carrozzoni belli e inverniciati di terza ai diretti, cos? che poveri e ricchi hanno la soddisfazione fraterna di trovarsi a breve distanza, trascinati dalla stessa forza; e pi? specialmente si viaggia bene in terza classe quando non si gode di nessun diritto a biglietti gratuiti, come era il caso del signor Aurelio.

La campagna, verde e rosea, fuggiva davanti al finestrino, e quel movimento di tutte le cose suggeriva al signor Aurelio quest'idea peregrina: ?tutto ? mobile in questo mondo.? Ma poi considerando che gli oggetti si movevano soltanto nell'apparenza, medit? quest'altra idea, anche pi? peregrina: ?tutto ? stabile ed immobile in questo mondo. Dormi, Pina, Pinuccia bella! s?, il lacu...?

[10]

Il signor Aurelio non viaggiava solo, ma con una sua bambina, gracilina e bionda come l'oro. L'aveva posta a giacere sopra un cuscino: aveva steso un lenzuoletto candido per evitare il contatto coi microbi: ma la non voleva dormire. Oltre che gracilina, nervosa, eccitabile! Dio, che disgrazia essere nati da un padre di abitudini filosofiche!

?S?, cara, il lacu!? Ella aveva un suo linguaggio, tutto fatto di strane analogie, che lui solo, il padre, intendeva. Ogni corso d'acqua era lacu, cio?, lago. Ogni oggetto, fuori del finestrino, destava in lei enorme meraviglia. ?Eppure un poco di ricchezza e di propriet? per queste povere creaturine, non ? mica un delitto!? (Il signor Aurelio gi? pensava alle teorie collettiviste che oggi sono cos? in vista sull'orizzonte umano, e per le quali egli simpatizzava un giorno s?, e un altro giorno no).

***

Cadeva il vespero; ed una grande citt? sfumava enorme, rossiccia, turrita in fondo al piano: il diretto vi si approssimava rapidamente.

—Ci fermeremo qui—pens? il signor Aurelio dopo molte considerazioni.—Proseguire col treno della notte e col freddo che fa alla notte, non conviene.

Lungo la notte fredda vegliano le bronchiti, le[11] polmoniti, ed altre cose feroci che la Natura sparge e contro cui la sua povera mimma aveva le pi? limitate difese.

Per tutte queste ragioni il signor Aurelio institu? questo bilancio, se era pi? dispendioso proseguire, mutando la terza in una seconda classe, o pernottare in un albergo molto pulito, quasi in un h?tel, non per s?—si intende—ma per la Pina; un h?tel dove i microbi fossero meno visibili. Vinse la scelta dell'h?tel, anche perch? si correva il rischio di trovare una seconda classe piena zeppa di gente, e allora la Pina? Non dobbiamo meravigliarci di questi dubbi, considerando che il signor Aurelio aveva per le altre questioni un colpo d'occhio fulmineo, ma per le piccole operazioni quotidiane era spesso impicciato in una maniera troppo vergognosa per un uomo della sua barba, della sua et?.

Scese, dunque, e si fece condurre in un albergo dove i camerieri hanno l'abitudine di portare la camicia bianca e si assicura che la biancheria del letto ? di bucato. Il naso del signor Aurelio fece, tuttavia, parecchie esperienze.

Disse il babbo alla sua mimma:

—Una felice idea, adesso, Pina. Andiamo fuori di porta io e te. Troviamo un bel restaurant, e facciamo un bel pranzo.

E richiam? alla Pina tutte le cose che le piacevano: latte, pur?e, pappa, e le fragole rosse, queste soltanto da vedere e da ammirare.

[12]

—Ah! s?!—faceva la Pina con gran seriet? e convinzione.

Ma poi, lavata che ebbe la sua mimma, un grave pensiero si affacci? alla mente del signor Aurelio: ?Le metter? il berretto di lana o il cappellino di velo?? Il pomeriggio era tiepido, ma calato che fosse il sole, probabilmente l'aria si sarebbe fatta fredda. Dunque mise alla Pina il cappello di velo, e nella tasca si tenne la berretta di lana e sul braccio prese la mantellina di lei.

Usc?: il corso era tutto elegante, fastoso, signorile, nella rossa luce del tramonto, che stendeva come un pulviscolo di porpora fra la gente, ed anche di microbi.

?Oh, io prendo la mia Pina in braccio, e chi vuol guardare, guardi?, cos? deliber? il signor Aurelio.

Pensare che vent'anni addietro, quando lui abitava in quella citt?, da studente, si sarebbe messo a ridere vedendo un uomo con la barba come lui ora aveva, andare, a modo di una balia, con una mimma in braccio!

Fece il corso. Giunse nella piazza dove erano i tram. Scelse un tram che conduceva verso la collina, fuori di porta. Si attravers? un altro gran corso, poi con diletto si vide che le case diradavano, ed i pioppi sorgevano verdi con un fremito gi? di frescura vespertina. Il tram correva oramai per la campagna, nella bianchezza[13] della via, tagliata netta, ai margini, dal verde dei campi. Il tram cominci? a salire verso i primi colli, e quando fu giunto ad un piccolo alberghetto o ristorante, quivi le rotaie finivano ed il tram si ferm?.

L'alberghetto era pulito, ed aveva una bella cucina. La padrona, in bel grembiale bianco vi troneggiava fra i fornelli e le casseruole, e due minuscoli garzoncelli, in berrettino bianco, la aiutavano a sbucciare pisellini e tagliare una gran spoglia gialla e grande come luna nascente.

—Buona sera, signore—e—oh, che bella mimma—disse la padrona venendo incontro agli ospiti.—Vuol restare servito qua? o vuole invece andar di sopra, che c'? una bella terrazza? C'? pronta una minestrina di pasta battuta coi piselli che ? una bont?, e dei maccheroncini che aspettano che l'acqua bolla: poi ci sono bistecche, costolette. Oh, vuole un mezzo pollastrino alla diavola? E da bere desidera vino o birra?

Anche qui non era facile decidere: ma quanto alla terrazza, s?, fu deciso: per il resto avrebbe pensato poi, ma certamente, intanto, una minestrina minuta, e ben cotta per la mimma.

—E il brodo leggero, leggero, quasi acqua, mi raccomando!

—Per questo non dubiti, Signore—disse l'ostessa.

Sal? dove c'era la bella terrazza.

Essa era rossa di gerani in gran fiore e pun[14]teggiata di campanelle che gi? chiudevano i loro petali iridescenti. La sera imminente alitava la sua pace e la sua frescura, oramai, nell'aria calda del giorno.

La Pina vide le belle tavole preparate, e fece un ?oh? di felicit?.

—Guarda, nei campi, mimma—disse il babbo sollevandola—, ecco il grano. Esso ? biondo oramai. Guarda sopra la collina quei bei draghi e serpenti grandi d'oro che vi si posano: le nuvole. Vedi come si rompono, come si snodano; dileguano, impallidiscono! E vedi tutti quei cipressi neri come una processione? Oh, ma quelli non li guardare!

—Oh, la luna!—fece la mimma che aveva scoperto anche la luna, una falce pallida, pallida di luna nel cielo d'oriente.

—Gi?, anche la luna: tutto tuo, mimma!

—Oh s?, e la pappa...

***

Parlavano forte il babbo e la fanciullina perch? nella terrazza non c'era alcuno.

Ma no! Nella stanzetta che precedeva la terrazza, c'era un giovane: un elegante aitante giovane di primo pelo. Pareva solo: ma anche uno meno distratto del signor Aurelio, subito si sarebbe accorto che non era solo. Egli stava dritto e guardava i due nuovi venuti, mentre con una mano accarezzava una rotondit? pro[15]vocante che terminava in due scarpette alte e lucide. Era una grisette graziosa, nascosta dalla figura del giovane ed appoggiata al davanzale. Si volt?: apparve un volto birichino di giovanetta, con un nasetto all'ins?. Curva sul davanzale, la cara fanciulla si lasciava lisciare molto dilettosamente.

?Anch'io, se ben mi ricordo, vent'anni fa devo aver fatto qualcosa di simile—pens? senza rancore il barbuto signore—e certamente era una cosa molto piacevole. Anzi si pu? affermare che le osterie suburbane sono una succursale del paradiso; ed un'ostessa che tiene pronte le tagliatelle e delle uova e delle bistecche, l'estate specialmente che fa gonfiare i papaveri, ella ? una benemerita del genere umano; e tutte quelle buone cose da mangiare in due, fra il verde, rappresentano come degli zeri aggiunti all'esponente ben miserabile della felicit?.?

Queste cose pens? il signor Aurelio mentre la Pina contemplava nella sua innocenza un piccolo gnomo di terracotta, che la guardava dalla sua gran faccia di satiro ridente.

?—La presenza delle terze persone—continu? il signor Aurelio—non ? piacevole, e noi certo non siamo piacevoli e bene accetti a quei due innamorati?.

Per questa ragione, dopo aver disegnato sulle labbra un garbato sorriso, il signor Aurelio non esit? a parlare cos?:

[16]

—Proseguano pure le loro occupazioni, come se noi non ci fossimo: la piccina, come ben vedono, ? ancora innocente; e, per conto mio, ci? che non fa male alla piccina, non mi disturba affatto.

Disse ci? da filosofo e insieme da persona educata: cos? come si suole dire per cortesia: ?Seguiti, o signore, a fumare lo stesso! A me non disturba il fumo, anzi...?

Probabilmente i due innamorati avrebbero seguitato a fumare, anche senza permesso.

La ragazza sorrise, cio? distese in su le estremit? delle rosse labbra e socchiuse i suoi grassi occhietti. Il giovane, invece, aggrott? le ciglia, e parve pensare se quelle parole contenevano l'offesa di una ironia. Ma no! Allora sorrise anche lui, e ringrazi?.

Poi si stabil? un certo scambio di parole fra le due coppie di commensali.

Aspettando che il cameriere portasse in tavola, la ragazza fece conoscere meglio alla mimma quei gnomi di terracotta che ornavano la terrazza, in figura di vecchietti ridenti, barbuti ed incappucciati; e le spieg? che quei coboldi incappucciati non mangiano le bambine, n? buone n? cattive; ed infine le mostr? l'imagine sua di angeletta deformata nelle spere di vetro. Ci? fece molto ridere la mimma. E il signor Aurelio fu molto riconoscente alla graziosa grisette.

Poi vennero i maccheroncini fumanti nel po[17]midoro nuovo e nel burro: venne la minestrina leggera per la mimma, ed allora ognuno bad? ai fatti suoi.

Ma poi accesa la sigaretta, lui e anche lei, lui, il bel giovane, disse al signor Aurelio:

—Eppure, veda, caro signore, vi sono dei brontoloni, specie certi vecchi barbogi e puritani, che in una sala di albergo si scandalizzano se trovano una coppia, cos? come noi, t?te-?-t?te, che fa all'amore. ? invidia. Creda, tutto invidia.

—Certo ? invidia, invidia dormente—rispose l'uomo filosofico.—Io per? non la provo affatto. Io provo un altro ben diverso sentimento quando vedo due giovani, come voi due, avidi,... avidi di confondere il loro essere in un essere solo.

—Mi piace la frase—disse il giovane.—Ma tu, Argia, non ne hai capito niente, vero?

L'Argia sosteneva che aveva capito benissimo, e poi, disse:

—Il sentimento, mi dica il sentimento che lei, signore, prova quando vede due giovani che si vogliono bene.

L'uomo filosofico medit? e poi disse:

—Oh, una gran cosa, sublime e terribile! Veda, signorina, comunemente il pubblico, quando osserva due amanti camminare su e gi? per i luoghi solitari; o, a tavola, negli alberghi, come pu? essere qui, li vede alternare un boccone e un sospiro; e lasciare in pace la bistecca per appiccicarsi per mano; e fare sbocciare piccoli[18] baci dalle labbra socchiuse, ebbene allora il pubblico grossolano crede e giudica che ci? sia cosa immorale. Ma niente affatto...

—Ma sicuro...—disse l'Argia con molta approvazione.

—Adagio: la mi lasci finire, signorina. Per me i due innamorati non sono due che si divertono; ma due meschinelli, due inconsapevoli lavoratori e servi di quella grande autocrate che si chiama Natura, i quali, poveretti, ubbidiscono a certe leggi che impone questa fatal Natura. A me ? accaduto lo stesso come accade a voi. Ho amato, ho baciato e poi..., e poi e poi ? nata quella l?. Allora ho sentito la mia giovinezza morire, ed ho sentito che la mia vita non aveva pi? altro ufficio che quello di difendere questo piccolo debole fiore delle mie carni.

L'uomo filosofico prese la Pina sulle ginocchia e la guard? con grandi occhi, umidi e dolci; e domand?:

—Lei non ha mai pensato a queste cose, signorina?

La graziosa Argia questa volta non rise.

Ma il giovane, recingendo alla sua bella amica il fianco, disse:

—Lei deve essere filosofo, caro signore. Ma in verit? ella ? troppo filosofo, e perci? non ? pi? filosofo. Anch'io sono filosofo e come studente di medicina, ? quasi un dovere essere tale. Certamente io convengo che la natura imponga queste[19] leggi. Ma il nostro dovere di uomini civili ? di non pigliarlo sul serio il codice semi-barbaro della natura. Frodarle fin dove si pu? queste leggi! Questo s? ? il segreto della vita!

—E se non si pu??—richiese il signore.

—Se non si pu?—disse in tono di suprema rassegnazione il giovane,—si ? dei deboli, cio? bisogna accettare di essere infelici. Ecco tutto. Ma bisogna potere! Pensi, caro signore: non abbiamo mica noi, nascendo, approvato, firmato e sottoscritto il contratto feroce che la Natura ci ha imposto! ? lei che ce lo ha imposto. Chi non lo sa? ? una delle prime nozioni di fisiologia: alla natura brutale niente importa di noi, ma la conservazione di noi come specie. Invece a me importa moltissimo di me e niente affatto della conservazione della specie. Io perci? come persona intelligente, mi ribello ai decreti imperiali della natura, o quanto meno cerco di raccogliere le rose e buttare via le spine. L'Argia, quest'amabile fanciulla, possiede anche lei un'intelligenza filosofica istintiva e condivide queste mie idee; e perci? tutti e due facciamo un amore facile, piacevole, direi cos?, sportivo; e molti giovani fanno come noi, e fanno saviamente. E lei che mi risponde ora, caro signore?

L'uomo chin? il capo.

—Lei ? destinato ad essere pi? felice di me, e perci? a vivere di pi?—disse e guard? a lungo la sua piccola Pina.

[20]

Poi sospirando aggiunse:

—Tutto il mio mondo ? qui, in questi quattordici chili di carne! Qui stanno tutte le leggi della vita, per me!

Era sera oramai.

Mise alla Pina la berretta di lana e la mantellina.

***

Altre coppie intanto dall'amore ?sportivo? cominciavano ad occupare rumorosamente qua e l? i tavoli. Col nascere delle tenebre cominciava la giornata gaia del piacere per gli amanti pi? saggi. Per lui si chiudeva.

***

Ricondusse la Pina all'albergo, volt? la chiave della luce elettrica, e la bella stanza si illumin? di bianchezza con gran piacere della Pina.

Il signor Aurelio le tolse poi le vestine, e la mise sotto le coltri; dicendole che stesse buona e dormisse.

Ella dormiva. E lui guardava con occhi di infinita domanda quella strana imagine che era sopra il letto: Maria Vergine, vestita di azzurro, con gli occhi in su, sopra un arco di stelle!

—Quella l?—mormor? il signor Aurelio—? destinata a correggere i tremendi decreti di Dio o della Natura. Ma che ne sai tu, povera imagine?

 

[21]


LE OLIMPIADI E LA SIGNORINA OLIMPIA.

—Lei faccia i suoi libri e vada via!—scoppi? a dire il signor professore contro di me.—E via subito, subito, subito. Fuori da quest'aula!

E la mia giovinezza fu tutt'ad un tratto investita, assalita da quell'uomo congestionato in faccia, che mi respingeva con parole di minaccia, coi gesti, con la persona, finch? l'uscio della scuola fu ribattuto contro di me.

E ancora sento e vedo lo stupore e il silenzio dei miei compagni. Ma che misfatto mai avevo commesso? Quale malefizio avevo mai perpetrato contro quell'uomo? Quale lebbra era apparsa in me, giovinetto, per essere espulso a quel modo?

Io mi trovai solo, nella strada, coi miei libri di greco: le tempie che mi martellavano, il pensiero che non si fissava pi? se non in un'unica idea: la licenza liceale perduta, il mio avvenire distrutto, il mio povero babbo... E allora cominciai a lagrimare.

E cos? lagrimando mi accorsi che non ero pi?[22] tra le vie tumultuose della citt?; ma seduto su di una banchetta solitaria dei giardini pubblici, e sopra di me i tronchi protesi e neri di un'antica pianta si aprivano pudicamente, meravigliosamente con le loro infinite gemme di petali rosa, e pi? sopra ancora splendeva l'azzurro del cielo.

Era il dolce maggio.

Ma quale misfatto avevo io commesso?

Lo dir? candidamente ora che la tranquillit? ? ritornata nel mio spirito, e molto tempo ? trascorso.

Io avevo allora diciotto anni ed ero un buon scolaro di greco e di latino. Ero ossequiente alla mitologia greca, credevo alle virt? dei Greci e dei Romani. Credevo, senza che il mio pensiero avesse sino allora sollevato alcun dubbio, in Giove Tonante, nei Titani, nelle Muse, nelle regole di grammatica e di retorica. Ero, insomma, un bravo figliuolo, un buon figliuolo, ed anche un gentile ingenuo figliuolo.

Ma il vero ? che in quel giorno io avevo inconsapevolmente offeso il mio professore di greco in ci? che di pi? delicato e sensibile ha l'uomo, cio? nella sua vanit?.

Ma quale colpa ne avevo io se ignoravo nella mia candida anima l'esistenza di questo punto vulnerabile nell'epidermide coriacea dell'uomo? Se lo studio delle virt? greche e romane mi avevano quasi instillato la convinzione che dire la[23] verit? fosse il miglior modo di mettere in pratica quelle illustri virt??

Dunque in quel giorno si spiegava un passo di autore greco e vi si trattava delle Olimpiadi. Io sostenevo che le Olimpiadi erano uno spazio di quattro anni nel complicato Calendario dei Greci; il professore sosteneva che esso era di cinque anni. E certo io avevo pi? ragione di lui! Ma poi la disputa si inacerb? e, non so come, mi vennero fuori queste vere ma infelici parole, cio? che anche i professori di greco si preparano sulle versioni letterali dal greco.

Non l'avessi mai detto!

Quel maestro di umanit? perdette d'un tratto ogni sua umanit?, divenne furente e mi scacci?, come ho detto.

***

Dunque io lagrimavo silenziosamente sulla banchetta dei giardini pubblici, sotto quella dolce fiorita di rose, e un cantare lontano di uccelletti pareva come aiutasse le timide gemme a sbocciare.

Allora mi accorsi di non essere solo sulla banchetta.

Una giovane donna sedeva presso di me.

Io fino a quel giorno avevo conosciuto, anzi avevo combattuto con i tre generi, maschile, femminile e neutro; ma ignoravo che cosa fosse quel[24]l'essere delizioso e perfidamente saggio che ? la femmina.

Era bella? era elegante colei che sedeva presso di me? Io ben sentivo il languore di due grandi pupille nere che sempre pi? si venivano scostando da un fine libro e si posavano, quasi avvolgendomi, sulla mia giovinezza lagrimante.

Alla fine udii una voce pietosa e quasi materna che mi rivolse queste parole:

—Perch? piange, se ? lecito domandare?

Cos? cominciammo a parlare, ed io raccontai tutta la mia disavventura, dalla questione delle Olimpiadi a quell'espulsione feroce, la prima grande sventura della mia vita.

Ella ascoltava. Un grazioso sorriso di meraviglia e di piet? balenava sulle sue labbra. Il volto, un po' chinato, mi si faceva sempre pi? da presso: un volto pallido, ambrato, fine, strano, delimitato da un velo nero che si inarcava sulla fronte: perch? all'infuori di quel volto bianco, di due nude bianche mani, tutto era nero: tutta chiusa ella era in una veste nera. Ma non ne emanava alcun fantasma di morte o di lutto; ma come un profumo esotico e forte.

A quel profumo anzi io sentivo sobbalzare l'anima mia stranamente, e quasi sbocciare come sbocciavano le gemme della pianta che si allargava sopra il mio capo. E ci? mi dava un senso di nuovo piacere, che nasceva dal mio dolore.

Diceva ella ogni tanto:

[25]

—Oh, che roba! Che orrore! Pauvre enfant!

Poi con volubilit? che quasi mi offese, mi preg? che le spiegassi quella storia delle Olimpiadi.

Che cosa le potevano interessare le Olimpiadi?

—Cos?—disse con un sorriso ambiguo—, ? perch? anch'io mi chiamo Olimpia.

Allora io cominciai a raccontare.

—Ella deve sapere, signora—dissi—che nell'anno 776 avanti Cristo, cio? 23 anni prima del 753, anno della fondazione di Roma...

A queste mie parole la signora strabili?, e inarc? le grandi ciglia.

—E lei, cos? giovane,—disse—deve ricordare tutte le cose dai secoli delle Olimpiadi sino ad oggi? Ma se io non ricordo pi? nemmeno quello che ? avvenuto ieri! Ah, pauvre enfant!

E mi guard? con intensa piet?.

Io andai avanti e le spiegai tutta la storia dei giuochi Olimpici: cominciando da quel re briccone di Enomao, che sfidava alla corsa dei cocchi tutti i pretendenti alla mano della bella sua figlia Ippodamia,—ma siccome l'asse dei cocchi era di cera, veda, signora, cos? tutti cadevano vinti.

—Oh, che birbante!—disse la signora Olimpia.—Ma oggi sarebbe squalificato quel signore!

—Ma un bel giorno—proseguii—nella terra Apia arriv? Pelope, figlio di Tantalo.—La storia di Pelope e dei suoi cavalli fatati interess? moltissimo la signora, specialmente quando impar?[26] la sua vittoria su Enomao, il suo sposalizio con Ippodamia.—E da queste nozze poi nacque Atreo, che fu padre di Agamennone e di Menelao.

—Oh, guarda—disse la signora Olimpia, e sorrise in modo che mi sconcert?.

—Ho detto qualche sciocchezza forse, signora?

—Ma niente del tutto—e rideva gaiamente.

Ma poi si fece seria e mi domand?:

—E lei deve sapere tutte queste cose?

—Ah s?, e altre ancora.

La signora si strinse le tempie con le mani, come fosse stata colta da un accesso improvviso di emicrania.

Domand?:

—E cosa prendono di paga i vostri professori, che insegnano tutte queste cose?

—Due o tremila lire, credo, signora.

—All'anno?

—S?, signora, all'anno.

La signora parve sbalordire.

—E anche lei, se volesse fare il professore, prenderebbe lo stesso?

—Cos? credo—risposi.

I grandi occhi della signora Olimpia espressero una grande piet?.

Disse:

—Ma se io ne spendo quasi altrettanto per le calze...!

Allora stupii io:

—Per le calze, signora?

[27]

—S?, calze e accessori—si affrett? correggendo. Ma poi parve pentita delle sue parole.

Domand? di vedere i miei libri greci: li gir? in alto, in basso come una cosa nuova.

Dissi io allora:

—Anche lei leggeva, signora.

—Ah, il mio libro non si pu? vedere: e sigill? il libro, posando sulla busta di cuoio la mano.

Io non insistetti e tacqui.

Ma dopo un poco mut? pensiero.—Guardi—mi disse audacemente.

Guardai. Era un libro francese, un romanzo. Non lo avevo mai letto; ma il titolo non mi era nuovo. Poi ricordai. Ricordai che un giorno mio padre, parlando con un magistrato di quel libro, aveva detto: ?Finch? non riuscirete a togliere dalla circolazione questo genere di libri, le vostre leggi non rappresenteranno che un'ipocrisia sociale di pi??.

—Non ha letto mai questo libro?

Io arrossii grandemente.

Per me? per lei arrossii che leggeva quel deplorevole libro? Non so: mi sentivo un gran calore nelle vene.

—Davvero non l'avete mai letto?—chiese socchiudendo maliziosamente le sue grandi pupille.

—Davvero!—e arrossivo anche di pi?.

Mut? discorso.

—Dunque il vostro caso ? disperato?

—S?, signora.

[28]

—Ma io non credo—disse ad un tratto assumendo un'aria ben strana di seriet?.—Anzi ? un affare rimediabile. Dunque il greco, voi dite, ? molto difficile. E deve essere cos?! E voi assicurate che anche i professori si aiutano con le traduzioni?

—S?, signora, con le traduzioni letterali dal francese. Io non dico che tutti i professori facciano cos?, ma il mio fa cos?.

—E voi gliel'avete detto?

—Pur troppo, signora—sospirai—, e magari potessi rimediare al malfatto!

—Semplice—disse.—Carta, penna e calamaio. Vi detto io.

***

Ora io non ricordo pi? come avvenne, ma so per certo che per trovare carta, penna e calamaio, io salii con lei, da lei, nel suo appartamento.

Venne ad aprire una cameriera. Non ricordo l'appartamento. Mi parve strano e diverso da quello di casa mia. Perch? diverso, non so.

La camera da letto dove mi introdusse, era misteriosamente elegante, con un lettuccio piccolo, grazioso, tutto a trine.

Ma non conservo percezioni nette; soltanto ricordo che un brivido morboso si veniva impadronendo di me, mentre ella con calma esacerbante si toglieva, allo specchio, tutti quegli strani armamenti della testa.

[29]

Mi pareva che qualcosa di inusitato, di enorme dovesse fra poco succedere.

—Ma sapete—disse—che l'abito nero d? un bel caldo! Deve essere caldo, oggi.

—S?, caldo!—dissi, e ricordai non so quanti gradi di temperatura.

—Oh, anche di pi?!—disse ridendo.—Permettete?

Usc?. Rimasi solo. Rientr? poco dopo. Era uscita dalla guaina nera: era tutta vestita di una gran veste rosea. Mi parve pi? magnifica. Stupii come sotto quelle maniche dell'abito nero ci fossero state nascoste due braccia cos? bianche! Ebbi l'impressione di una energia occulta e deliziosa in quelle braccia nude.

—Oh, che cattiveria, che cattiveria, che cattiveria—disse ridendo e venendomi sempre pi? vicino, quasi rasente—tormentare col greco e con tutti quei libracci un povero bambino!—e cos? dicendo crollava la testa, e si appressava di pi?.

—Povero bamboccione—disse d'un tratto, e mi prese con le due mani adunche per i capelli ed accost? il mio volto alle sue grosse labbra.

Io impallidii. Ella parve godere del mio pallore. Non parlava pi?.

Probabilmente la mia faccia era diventata una mela o una pesca di luglio: una pesca sugosa e fresca che ben si morde.

[30]

***

—Ora, ragazzo, s'il te plait, torniamo alle Olimpiadi e al tuo professore—disse.

A me parve come di essere desto dal sogno in cui il Veglio della Montagna immergeva coloro che gli dovevano essere devoti sino alla morte.

Io non ne volevo pi? sapere n? di Olimpiadi, n? di scuole.

—Voi siete ben goloso, mon petit. Torniamo alle Olimpiadi.

In quell'ampia vestaglia ella si era rannicchiata in fondo ad una poltroncina.

—Mettetevi l?, e buono. Gi? bisogner? fare cos?!—Prese un tavolino e lo colloc? fra la sua persona e la mia a guisa di bastione.—Posso offrirvi?

Mi porse una sigaretta: ne accese una per s?.

Devo confessare che la mia mente era cos? annebbiata che se colei mi avesse detto: ?manda i padrini al tuo professore, e battiti a duello?, io avrei trovato il consiglio naturalissimo.

Invece il suo consiglio fu molto savio e rivel? molto acume. Aggrott? le ciglia e disse:

—Tu capirai che lui dovr? pensarci due volte prima di formulare l'atto di accusa contro di te. In fondo ? un atto di accusa contro di s?.

—To', ? vero!

—Ma non basta: la sua rabbia ? appunto in relazione alla impossibilit? in cui l'hai messo di punirti...

[31]

—To', ? vero! Ma pu? vendicarsi—aggiunsi.

—Perfettamente. Ma tu prendi dal ?secr?taire? carta e busta e scrivi. Scrivi: detto io. No, quel foglio l?.—Guardai il foglio. Vi era impresso in azzurro, ?Olympie?.

Oh, Olimpia, dolce pingue nome! Tutto azzurro, tutto fresco come la grande acqua del mare.

—Su, andiamo, scrivi! Eri cos? ?savio? poco fa.

Io scrissi: ?Signor Professore, in un momento di vera aberrazione mentale ho osato formulare contro di lei un'accusa che tanto pi? mi tormenta di rimorso quanto pi? riconosco la sua dottrina e il suo sapere. Come posso rimediare se non facendo piena dichiarazione della mia colpa e supplicandola di volermi perdonare??

—? tutta una bugia—dissi.

—E la bugia si trova dentro la vita o fuori della vita?—mi chiese l'adorabile Olimpia.

? vero: la menzogna ? nella vita. E allora perch? soffrire per combattere quello che ? nella vita, che ? la vita?

Guard? l'orologio.

—Presto, p?rtala subito al tuo professore.

***

O me, miserabile! Mi feci quasi scacciare da quella stanza da cui non volevo pi? uscire.

[32]

***

Il giorno dopo il professore annunzi? la mia lettera alla scolaresca; la lesse anzi; poi pronunci? un discorso di elogio alla mia persona. Ma io rimasi molto indifferente.

***

Dopo due mesi ero in possesso della licenza, ma senza troppo studiare. Me ne era andata via la voglia di studiare. Mio padre forse se ne accorse, specialmente quando gli manifestai la intenzione di darmi a tutt'altri studi che quelli classici.

Abbandonai le Olimpiadi per sempre e tutti i secoli di cultura classica prima di Cristo e tutti quelli dopo Cristo, fino ai tempi nostri.

Bisogna conquistare la vita, e non servire ai morti.

E se i Greci avessero dovuto studiare il greco, e i Romani studiare il latino, quei due popoli non sarebbero stati i grandi popoli che furono.

Di questa semplice verit? io devo la conoscenza alla signorina Olimpia, artista di caff?-concerto e stella di prima grandezza.

 

[33]


ABITO NERO ED ABITO BIANCO.

—Ecco, veda, io non domando di far carriera: io domando, prima che questa barba diventi grigia, di poter respirare un poco d'aria igienica.

E il signor Foresti mi presentava sul dorso della mano, dall'alto della sua statura atletica, la sua barba, dove il grigio gi? minacciava una invasione generale: ed io credo che fosse questo grigio, in aumento, combinato con la speranza, sempre pi? in diminuzione, di potere respirare ?un poco d'aria igienica?, che rendeva il signor Foresti piuttosto irritabile, anzi molto irritabile, nel suo ufficio di capo-stazione della piccola stazione di S... Egli era capace di avvertire dal suo buco di distribuzione dei biglietti: ?Questa bottega ? diversa dalle altre: meno avventori vengono, pi? piacere mi fanno!?; era capace di dire, percorrendo il treno con le braccia aperte e con un sorriso tremendamente ironico: ?Ma quei baci, ma quei saluti, ma se li distribuiscano prima!? Capace, nella spedizione delle merci, di attaccarsi a tutti i rampini di quei regolamenti che odiava di un odio cos? profondo.

[34]

Un orco! La pi? docile ed umile pasta di questo mondo: tanto ? vero che non aveva fatto carriera. Certo, in quei momenti, era bene non avvicinarlo, non parlargli.

Ma io avevo trovato un mezzo per esasperarlo in modo soave ed atroce. Chiudevo le pupille dolcemente, dicevo con voce sentimentale:

—Ecco qui il suo piccolo giardino, i garofani, l'insalata; ecco la sua piccola stazione, beata come un eremo, baciata dal primo raggio del sole e salutata dalle rondini... Ah, se io fossi come lei, capo-stazione, come lo terrei coltivato, inaffiato, fiorito, il piccolo giardino: e come ci farei una capannetta per leggere, per istudiare...

—Badi bene come parla, sa! Non si prenda mica giuoco di me!...

—Scusi, capo, io dico sul serio. Per me, costretto a vivere in una grande citt?, questa vita idillica sarebbe l'ideale... Lei qui, intanto, ? padrone assoluto...

In verit?, in verit?, era un reclusorio quella piccola stazione: e lui, il capo, un coatto, costretto a vivere fra un disco al nord e un disco al sud; giacch? l'amministrazione lo aveva bens? elevato al grado di signore assoluto, essendo egli, bigliettaio, spedizioniere, telegrafista; ma non aveva chi lo sostituisse o lo aiutasse fuorch? uno scambista e un facchino.

—Quanto ai libri da leggere, eccoli qui!—e prese un ammasso enorme di libri e carte. Io[35] temetti che me li scaraventasse sulla testa: si accontent? di accatastarmeli davanti: erano regolamenti, circolari, istruzioni.

—Questa ? la mia letteratura!—Aveva gli occhi feroci.—Creda—mi diceva poi acquietandosi con la subitaneit? della sua indole buona—io odio questo sole, io odio quest'aria balsamica; io, democratico, considero questa sudicia umanit? di campagna come una razza inferiore. Persino le donne, capisce lei? persino le donne non mi sembrano donne!

L'aria balsamica, l'aria igienica pel signor capo era quella che si respira nel fondo di quei pozzi grigi che sono le vie, le piazze di una grande citt?.

?Ah, a mezzanotte—sospirava—un teatro illuminato! per le vie lucide dei tram lucidi! uomini col colletto pulito, donne all'ultima moda; donne autentiche, lavate; bars, buvettes, scintillanti di luce elettrica, vetrine messe con gusto: lavorare s? anche, ma almeno potere un'ora al giorno sedere entro un caff?, godere lo spettacolo dell'umanit? che passa davanti al vostro tavolino, al vostro calice di birra autentica! Macch? sole, macch? mare, macch? alberi, fiori, verdura, insalata, garofani!?

Oh, allora s?, il signor capo si sarebbe ?arrangiata? la barba che oramai diventava grigia, ed avrebbe speso allegramente il capitale esuberante della salute che rifioriva nel suo corpo.

[36]

Da anni ed anni tempestava la direzione per un trasferimento in una citt? grande: era l?, rimaneva l?, e non aveva pi? altra speranza che quella di ammalarsi sul serio e poter ottenere un congedo.

Ma come fare ad ammalarsi? In quella piccola stazione dall'aria balsamica, la gente ci veniva per salute all'estate, ed egli aveva la soddisfazione di vedere bens? in quel tempo aumentato il suo lavoro, ma senza potere avere la consolazione di ammalarsi.

***

Una mattina di luglio, una ben calda e serena mattina, io presenziavo l'arrivo di un piccolo treno, che usurpa il nome di diretto.

Il signor Capo, tra spedizione merci e spedizione viaggiatori, ne aveva sino oltre al berretto paonazzo. Tempo di villeggiatura per la restante umanit?! Un piccolo rossore alla fronte, un parlar secco allo sportello dei biglietti, un saluto glaciale a me, mi avevano fatto capire che quella mattina la caldaia cerebrale del signor Capo era in uno stato di ebollizione pericolosa.

Il treno si era appena fermato che un piccolo signore, da uno scompartimento di prima classe, si era affrettato a chiamare:

—Aprite, presto, presto!—Poi si era calato da s?, come se la carrozza fosse in fiamme: ma un po' impediva il ventre che sporgeva dagli svolazzi[37] di un giacchetto di orl?ans nero; un poco era colpa delle gambine esili, che non riuscivano a toccare il predellino.—Dove sono i carabinieri? i due carabinieri regolamentari?

Le guardie del treno, la gente si affoll? subito d'intorno a quel signore, invocante l'intervento di quegli uomini neri e rossi, i quali, bench? siano da alcuni considerati come un arcaismo nella societ? moderna, tuttavia costituiscono la pi? visibile manifestazione della giustizia umana. Essi per? erano assenti.

—Ma non si faccia compatire; ma non faccia ridere il pubblico—gli gridava dal treno, come dall'alto di una tribuna, un giovane signore, tutto vestito di bianco che pareva un sorbetto vanigliato.

—Lei ha violato la mia personalit?! Quel signore ha violato la mia personalit?!—denunciava il piccolo signore nero con gli occhi fuori dalla testa, con una voce cos? irosa, che guai per l'elegante giovinotto se il vecchiotto avesse avuto il resto del suo fisico cos? bellicoso come la voce.

Un professionista del furto nei treni? Mai pi?! L'elegantissimo giovane scese anche lui per dare spiegazione al pubblico che si affollava.

Semplicemente uno che voleva chiuso il finestrino. Invece il vecchio signore lo voleva aperto.

—Soffro d'asma!—diceva, e questo era evidente, ch? pareva minacciato da una congestione.

[38]

—E se soffre d'asma? Io non posso mica sacrificare il mio vestito e il mio panama (il panama che il giovane aveva in testa era veramente bellissimo ed immacolato) alla sua asma!

Cos? si riaccese la disputa l? sul marciapiede, con l'intervento giuridico dei signori ferrovieri e dei signori viaggiatori. La questione giuridica sui finestrini aperti o chiusi fu dibattuta con quell'entusiasmo del tutto italico per le questioni bizantine. ?Esiste un articolo del regolamento...!? ?Non esiste niente, invece! Chi ? immediatamente vicino al finestrino, ? padrone del medesimo?. ?S?, ma i finestrini laterali sono piombati. Esiste solo il finestrino di mezzo. Quello di mezzo ? collettivo!? ?Ma nel caso specifico erano due soli nello scompartimento e perci? non si poteva invocare l'appello alla collettivit?.? ?Esisteva per? sotto la vecchia Mediterranea un articolo che dava diritto di chiudere dalla parte del vento!? ?Ma oggi la Mediterranea ? scomparsa: non esiste che lo Stato.? ?Le ferrovie di Stato hanno creato un subbisso di regolamenti: ma nessuna regola specifica oggi esiste in relazione ai finestrini aperti o chiusi.?

L'elegantissimo giovane con calma imperturbabile dimostrava la assoluta inferiorit? delle ferrovie di Stato italiane, rispetto alle ferrovie estere. ?Chi ha viaggiato all'estero, sa che nei vagoni-salons ? diffusa l'abitudine di tenere chiusi i finestrini in qualunque stagione; e se quel si[39]gnore non sa fare a viaggiare...? ?Io non so fare a viaggiare? ? il mio mestiere viaggiare...—fremeva il vecchio signore.—Del resto, qui ? unicamente questione di essere gentiluomini o mascalzoni?.

—Be'—disse il capo-stazione intervenendo—a che punto siamo? Sciocchezze, sciocchezze! Capo-treno, dia la partenza.

—Io rimango—disse il vecchio, immobile, l?, coi suoi occhietti irosi fissi sull'avversario.

—Io parto—disse il giovane, arrampicandosi, ma con la testa rivolta all'avversario.—Del resto, sa, se vuole riparazione...

Squill? la cornetta; e il treno si mosse; e il vecchio signore gi? emetteva, con tutto il suo fiato disponibile: ?Prepotente!?, quando l'elegante giovane signore fu colto da un fremito di spavento. Che era accaduto?

Il suo abito candido, il suo cappello splendido non erano pi? bianchi che davanti.

L'uomo era diventato bicromatico.

Durante la sosta e la disputa, la macchina, seccata, aveva fumato vigorosamente, e tutto il fumo aveva investito in modo irreparabile l'abito bianco.

Non era il giovane signore pi? presentabile alla prossima stazione balnearia, dove era diretto e dove probabilmente gli stava a cuore di giungere perfettamente candido.

Gi? il treno era in moto, ed egli, aperto lo[40] sportello, era balzato a terra con la sua valigetta.

Il vecchio signore, all'improvvisa discesa del suo avversario, galopp?, come pot? veloce, nella sala d'aspetto. Senonch? il giovane non lo insegu?. Affront? alteramente il capo-stazione Foresti, dicendo:

—Favorisca presentarmi il libro dei Reclami.

—Cosa vuol reclamare?—domand? il Capo, con un certo fare un po' bonario, un po' canzonatorio all'aspetto bicromatico del signore.—Io piuttosto potrei reclamare contro di lei che ? sceso dal treno in moto.

—La sua macchina mi ha rovinato!—esclam? il giovane con voce esasperata.

Il capo-stazione lo guard?: le sue labbra sorrisero, tutta la barba sorrise.

—Infatti—disse—? un pochino sudicio.

—E lo dice in questo tono?

—Pretende forse che mi metta a piangere?

—Pretendo che lei faccia il suo dovere. Intendo elevare formale reclamo contro la sua macchina, intendo domandare risarcimento del danno sub?to... Esiste un articolo del regolamento ferroviario che vieta alle macchine di fare fumo...

—Infatti—disse il signor Capo—articolo decimo, paragrafo sesto delle Istruzioni pel servizio dei macchinisti e fuochisti: ?i macchinisti devono astenersi da qualsiasi operazione che possa[41] produrre fumo, o, comunque, riuscire molesta od incomoda ai viaggiatori, come...?

—Perfettamente, e allora perch? lei rifiuta di accogliere il mio reclamo?

—Perch? ? stupido—disse il capo-stazione accendendo in tutta pace una sigaretta.

—Ma chi, stupido?

—Il reclamo, il regolamento, la causa per il risarcimento dei danni... Il mondo ? pieno di cose stupide...

—Ma io le posso citare—disse il giovane signore eccitandosi visibilmente—il caso del barone Y..., segretario dell'ambasciata germanica, mio buon amico, che fece causa ed ottenne un risarcimento dignitoso dallo Stato perch? una macchina aveva, come nel caso mio, rovinato una toilette della sua signora...

—Ma cosa vuole che me ne importi del suo barone, della toilette di quella signora? Bella novit? che lo Stato paga! Non paga mica, per?, chi dovrebbe essere pagato! Oh, vada a farsi benedire e favorisca di lasciarmi libero...

Il giovane signore, invece, gli sbarr? il passo e con voce insolente esclam?:

—E chi crede di essere lei? Un tirapiedi del Governo, forse?

La parola ?tirapiedi? ebbe la virt? di trasformare il signor Foresti.

—Le pare che io abbia una faccia di tirapiedi?

[42]

Si era drizzato sulla persona, aveva buttato via la sigaretta.

—Tirapiedi del Governo,—conferm? il giovane signore andandogli col viso contro il viso—la metter? io a posto!

—Ma non lo dica neanche per ridere!...—e proferendo queste parole, distese quella sua larga mano, prese tutto il disgraziato signore per l'abito e con violenza inaudita lo tir? a s?; poi lo allontan? usando del braccio come fosse stato un'asta di stantuffo; quindi lo proiett? sconciamente lontano.

Per sua mala sorte l? presso c'era un carretto delle merci, e il giovane vi urt? in malo modo, cadendo.

Sanguinava.

Il facchino accorse e lo rizz? a stento.

Fu condotto al pozzo: rimase l? un po', fra un secchio d'acqua e un asciugamano.

—La caserma dei carabinieri? dov'? la caserma dei carabinieri?—domandava angosciosamente.

Gli fu indicata. Due chilometri di distanza.

Il signor Capo, intanto, aveva riaccesa la sigaretta: andava fra un disco e l'altro: la sua galera.

—Ci rivedremo in tribunale!—gli disse il gentiluomo salendo in una carrozzella.

Il Capo non volt? nemmeno la testa. Ma vide me che attendevo, e allora, un po' ridendo, un po' fremendo:

[43]

—Bel mestiere il capo-stazione!—disse.

—Bravo Capo! Bel colpo! Ma lei ha una forza...

—Da facchino, caro. Doveva vedermi dieci anni fa! Povero giovane, mi dispiace, ma che vuole? Ho perso il lume degli occhi. Mi poteva dire tutte le brutte parole che voleva: ? un corollario del mestiere: non ci bado pi?. And? proprio a trovare quella parola tirapiedi. Io tirapiedi del Governo! Io che per dire a tutti, superiori e inferiori, quello che va detto, ho fatto questa bella carriera dopo venti anni di servizio! Adesso il meno che mi possa capitare ? una sospensione.

***

Ma non fu propriamente cos?.

Mezz'ora dopo, il signor Capo stava consumando la sua modesta colazione fra un treno e l'altro, in una piccola osteria, vicina al disco, quando precipit? nella stanzetta quel signore vestito di nero. Il suo aspetto era esilarante, luccicante: saltellava sulle piccole gambe.

—Ah, finalmente la ritrovo! Ma dove ? il signor Capo, quell'egregio signor Capo, quel grande uomo del signor Capo? ho chiesto e mi hanno indicato qui. Permetta che io stringa quella valorosa mano! Lei ? la perla dei funzionari dello Stato!

[44]

—Grazie—disse il signor Capo, Foresti—? la prima volta che mi sento fare un simile elogio. Peccato che lei non sia un ispettore dello Stato.

Il piccolo signore sorrideva con aria olimpica; volle nelle sue piccole mani prendere la grossa mano del signor Foresti; la volt?, la rivolt?, la esamin?.

—Una mano simile—disse con profonda convinzione—vale tutto un codice di legislazione sociale. Pensi che questa mano mi ha risparmiato un mezzo accidente. Io schiattavo dalla bile. Pensi che in treno quel prepotente si ? permesso di fermarmi il braccio che voleva tirare il campanello di allarme: il suo vestito bianco gli premeva pi? della mia soffocazione! Io voglio proporre per una ricompensa quell'egregio macchinista che alimentava cos? vigorosamente il fuoco, che usava con tanta opportunit? il soffiante... Ma lei, lei poi come ha risposto bene, che dignit?, che correttezza! Oh, se tutti i funzionari dello Stato sentissero la responsabilit? del proprio ufficio; considerassero lo Stato come, come dire? come la rocca Capitolina delle istituzioni sociali, e non come la vacca da mungere...! Ma che cosa posso fare io per lei? Mi esprima un suo desiderio, io sarei ben lieto, ben onorato...

Il signor Capo aveva smesso di levare la pelle a certe infami fette di mortadella e fissava il suo interlocutore. Il suo aspetto era molto autorevole.

[45]

—Oh, io—disse quell'incognito autorevole signore—proporr? per prima cosa tutto un regolamento sull'uso dei finestrini: infatti la legislazione delle ferrovie dello Stato ? muta a questo proposito. E lei, scusi, mi viene un'idea splendida, possederebbe per caso una qualche laurea in legge? No? Peccato! Io la proponevo subito all'Ufficio centrale per le contestazioni legali...

—Ma scusi—fece molto turbato il capostazione Foresti—lei chi ??

—Chi sono? Ah, s?, chi sono?—e trasse e present? al capo-stazione il suo biglietto da visita: Cav. Comm. X. Y.—Ispettore capo delle Ferrovie dello Stato.

***

E fu cos? che il signor capo-stazione Foresti fu trasferito in una grande citt?, dove pot? respirare l'aria balsamica dei grandi corsi, l'aria igienica dei teatri scintillanti, dei caff?-concerto; dove i suoi occhi poterono contemplare delle donne pulite, autentiche, all'ultima moda; dove pot? consumare tutto il suo capitale di salute prima che la barba diventasse totalmente grigia.

[46]

 

[47]


LE MOSCHE E LA POLONIA.

Non mi accusate di essere positivista, scettico o come meglio vi piace chiamarmi. Io, alla vostra et?—parlavo con un giovane amico—ero terribilmente romantico ed idealista. Combattere per la infelice Polonia era il mio sogno...

—Non per il Proletariato?

—No, mio giovane amico; allora non era ancora di moda quella cosa che voi dite.

—Non c'era il Socialismo ai vostri tempi?

—S?, c'era; ma era—come dire?—ancora a balia: un grosso, tozzo marmocchio di una voracit? incredibile che lasciava indovinare uno sviluppo prodigioso: un po' bruttino, sia espresso col dovuto rispetto, ma marmocchio ancora, come vi dicevo. Ah, morire con una palla in fronte e il sole polacco davanti agli occhi, centuplicava l'ebbrezza della mia giovent?! La mia giovent? ? fiorita agli ultimi bagliori del Romanticismo. Ma anche senza Romanticismo, sta il fatto che pei giovani la Morte spesso si presenta come una forma eroica di Vita. Se la natura non ci usasse questo lugubre scherzo, le guerre sarebbero finite[48] da un pezzo! Ma io non voglio tediarvi con la filosofia. Vi dir?, dunque, che allora vi erano comitati per la Polonia, conferenziere polacche, come oggi vi sono le suffragette. Sapete chi mi ha guarito della mia malattia romantica? Le mosche!

—Le mosche?

—S?, come ho il piacere di dirvi: se non c'erano le mosche, io sarei rimasto—forse—ancora romantico ed idealista, e non avrei fatto la discreta carriera politica che voi, bont? vostra, esaltavate poco fa. Quel lurido e petulante animale mi ha inoculato il virus del positivismo. Una reazione, quasi fulminea, ? sopravvenuta, ed improvvisamente la mia vita ha deviato come un treno, a cui lo scambista toglie, con un colpo di leva, la direzione: d? un sobbalzo e poi fila, precipita verso nord invece che verso sud. Vi pu? interessare?

Il mio giovane amico rispose gentilmente:

—Moltissimo.

Io allora gli offersi una sedia, una sigaretta e, richiamando alla memoria cose antiche, proseguii. Alla vostra et? io amavo una signora polacca, di Varsavia, anzi di Varsov?, come ella diceva in un suo gergo, mescolato di polacco, di francese e di italiano.

—Ci siamo col solito amore!—disse l'amico.

—Ma, benedetto Iddio, questo dovreste saperlo: senza l'amore e senza la donna non esi[49]sterebbe n? romanticismo, n? positivismo, n? lirica, n? epopea, e tutto questo bench? la donna sia un fenomeno triste. Ricordate la conclusione dei Nibelunghi?

—Nemmeno per sogno.

—? un'espressione notevole. I Nibelunghi terminano con queste parole: ?perch? l'amore porta in fine disgrazia?.

—Era questa vostra signora una conferenziera Pro-Polonia?

—Mai pi?. In che lingua doveva conferire? Era una splendida, lattea, placida creatura bionda, di quel biondo tenero come di spiga non baciata bene dal sole; anzi vi dir? che quella bellezza nordica aveva cos? conquistato il mio animo che non soltanto il color bruno ardente delle bellezze nazionali, ma lo stesso color falbo delle nostre donne, mi pareva un'imperfezione di natura. Ella era inoltre cos? squisitamente monda e detersa che dalle sue carni lattee io sentivo esalare un perpetuo profumo di pervinca e di mughetto; e gli occhi suoi grandi, quasi squarciati, di un azzurro dolcissimo, sotto due archi di ciglia perfetti ed evanescenti, mi immergevano nello stupore di un sogno, da cui uscivo talora fremente e con queste terribili domande: ?E come finir? questo amore? Come far? io a palesarle il mio affetto? E palesato pur anche il mio amore, dopo che avverr???

—Allora un amore ideale...

[50]

—Altro che ideale, romantico, vi dico: anzi nessuna dichiarazione d'amore era avvenuta. Ella era donna per bene, madre di due graziosi bambini a cui io facevo da bambinaio, perch? la servetta era una smemorata, un'arfasatta, come sovente sono nei nostri paesi.

Suo marito, uomo di molti affari, viaggiava per l'Europa, ed aveva lasciata la sua signora a curarsi in una piccola, modesta stazione balnearia, dove ella aveva preso a pigione una villetta solinga presso il mare, e dove io l'avevo, naturalmente, seguita. Permettete che continui la descrizione: Il suo mento era di un ovale perfetto e la sua piccola bocca, a cuore, era la sola cosa rosea in quel volto. Il naso, quello s?, era poco perfetto: un piccolo nasetto rivolto in su, ma vi dir?: i nasi aquilini e forti delle nostre donne, con sopra le dense corrusche ciglia nere, spesso congiunte, che sono cos? caratteristiche fra noi, mi spiacevano tanto al confronto che mi chiamavano in mente il becco delle civette e le ciglia dei bachi da seta.

—Parlavate della Polonia?

—Mai pi?: ella era una donna placida, come vi dissi, e si parlava di cose placide: delle mie cacce, dei bagni, di cose da mangiare, tanto pi? che io la aiutavo nelle compere presso gli avidi e zotici nostri rivenditori, che avevano, anche allora, l'abitudine di mettere sugli stranieri una tassa di soggiorno mediante un sovrapprezzo sui[51] commestibili. Del resto, la cucina italiana le gradiva moltissimo, e se ne parlava. I pr?coli (broccoli) fritti le piacevano assai. I nostri vini leggeri, razzanti, erano una deliziosa p?pita (bibita). Sospirava Napoli dove era stata parecchio tempo. A Naple semper trovate tante buone gente. Ma le pizze di Napoli la turbavano, al ricordo.

Ella mi affidava il suo portmon? (portamonete), e andavamo coi bimbi a far la spesa. Si comperava la pulpa di manzo per fare il buglione (brodo); e trasaliva di gioia con tutta la chioma flava, come una fanciullina, quando vedeva nei panieri: Keste pikkel cose fini fini (queste piccole cose fine fine), le ziligi (ciliege).

—Dio, come era volgare!

—Tutto ? relativo; e poi a quel tempo non era di moda l'estetica. Vi ho detto che era placida, ma aveva anche lei i suoi momenti di lagrime e di commozione: per esempio quando il marito la avvertiva che lui non poteva tornare, perch? era chiamato per affari a Parigi. Lambiva con le belle mani i suoi piccini: ?Povres enfants! Kante (quando) un ome (uomo) promette, deve mantenire? (mantenere). E diceva ci? assai gravemente.

Aveva molti scatti di sdegno contro la fanticella tr?s-laide, e peggio: ch?, spesso di giorno, spesso anche di notte, era trovata assente, sotto il pretesto delle danze campestri al lume della luna. Le diceva sempre: Vergognati gli occhi fuori[52] della testa! Doveva essere una espressione polacca.

Per conforto io dovevo cantare.

—Voi cantavate?

—Certo, come italiano io avevo il dovere di sapere cantare e cantare canzoni napoletane.—Canta, bell'italiano!—diceva.

—Anche ?bello? vi diceva?

Era nient'altro che un epiteto ornativo: tutto ci? che era in Italia godeva di questo aggettivo, eccezione fatta dei bottegai. Povera e buona signora! Del resto io ero assai bello, n? mi vergogno, oggi, di dirlo: bello di quella bellezza maschile, forte, che io non so se l'esotismo della moda, oppure il positivismo hanno fatto perdere a voialtri, giovani moderni. Concedetemi la divagazione: voi moderni siete brutti: la virt? fisica maschile ? appena sostenuta oggi dagli ufficiali; e quelle signore che oggi sono cos? fiere propagandiste dell'antimilitarismo, dovranno creare, forse, un militarismo pacifico ed artificiale in omaggio alla bellezza virile. Ma sapete che siete ben goffi, ben menci coi vostri abiti razionali? Noi, romantici, eravamo belli. Alto io ero, nerboruto, con due calzoni assaettati, stretti s? che i muscoli delle cosce guizzavano: voi oggi portate le gonnelle, non i calzoni, e qual meraviglia se le donne vogliono adottare i calzoni? Portavo io, allora, coturni da cacciatore, feltro grigio, giacca stretta al busto e cos? cantavo,[53] come potevo, ed ella diceva: Canta, canta, mio core mi fa male! tanto dispecere col core malato!

Ma il cuore, malato veramente, era il mio.

***

Avevo cantato tutta quella mattina stringendo appena la sua pallida mano, odorante di giunchiglia, fresca della sua primavera. Avevo mangiato un boccone all'osteria; mi ero chiuso nella mia stanza. Era un giorno ardente, e il sudore, con la passione, grondava dalla mia fronte. Come concludere quell'amore? Rapirla, e poi? E dove andare? Come vivere? E quei figli? Sappiate che io ero povero, allora. Volli almeno, qualunque fosse stato il nostro destino, che ella sapesse almeno tutto il mio amore. Non ci saremmo, forse, mai pi? riveduti, ma del mio amore ella doveva avere notizia certa e memoria perpetua.

Per tutto questo, bench? mi paresse cosa disonesta ed audace rivolgere dirette e vere parole d'amore a donna che apparteneva ad altro uomo, pure la passione vinse e scrissi. Timidezze dei venti anni!

Suo marito, forse—io pensavo—mi avrebbe ucciso. Ebbene? Non ero gi? io disposto a dar la vita per la Polonia? Guardai per la misera stanza d'albergo: non c'era calamaio n? penna, istrumenti poco usati nelle locande campestri, anche oggi che siamo cos? evoluti. E poi, che calamaio, che penna! Trassi il coltello, mi denudai il brac[54]cio, vi immersi la punta della lama. Pi? profondamente premetti che non fosse necessario; ed un forte rivoletto di sangue, del mio sangue, rutil?. Lo contemplai con occhi sbarrati: scendeva gi? per l'avambraccio, scuro, e si veniva grumando nella mano. Poi che l'ebbi deterso alquanto, scrissi col mio sangue. Che cosa scrissi? Non ve lo saprei ripetere. Poche parole, ma parole di sangue; ma degne di essere scritte col sangue. Poi mi si appann? la vista; mi parve che un'aria, quasi gelida, asciugasse il sudore della fronte. Un gran languore mi colse. Caddi riverso sul letto, e mi addormentai profondamente.

***

Cadeva il vespero quando i miei occhi si riapersero. I bagliori sanguigni del tramonto sereno entravano nella stanzetta muta. Mi ricordai. Balzai per prendere il foglio dove avevo consegnato al mio sangue la confessione del mio amore.

Il foglio era scomparso!

V'erano bens? sul pavimento due o tre fogli del mio taccuino, ma quello con la lettera era scomparso.

Qualcosa di terribile balen? allora nel mio cervello. Io non vi ho detto di alcune gelosie che nutrivo in segreto per la bellissima donna. Ella ne era del tutto innocente: ma un barbuto signore del luogo, assai prepotente e ricco, e di sospetti costumi, troppo spesso e troppo da vi[55]cino, e con aria troppo beffarda soleva passare presso di noi, lungo la spiaggia del mare. Io vi assicuro che pi? volte ero stato preso da un impeto folle di affrontarlo, e soltanto per riguardo alla dama me ne era trattenuto, per timore che egli beffardamente mi dicesse: ?E lei chi ?? che c'entra?? Ora il sospetto che colui, o altri per lui, avesse, durante il mio sonno, fatto rapire il foglio, mi si present? come cosa certa, per effetto dell'immaginare mio fallace; tanto pi? che l'uscio della stanza era rimasto aperto. Misi in tasca il coltello, stavo per lanciarmi fuori, quando rassettando rapidamente le cose mie e raccogliendo quei fogli sparsi, m'avvidi con stupore profondo di una cosa non sospettata.

Ecco: durante il mio sonno, le mosche avevano fatto colazione con la mia lettera. Avevano mangiato col sangue le mie parole d'amore.

Il foglio non era stato rapito; era stato succhiato dalle mosche. Ecco perch? esso era tornato bianco come prima. Quali pensieri mi germogliarono in mente, non vi saprei dire: ma ricordo che guardai le molte mosche appollaiate sui vetri: esse parevano godere di una eccellente digestione. La mia idealit? era stata divorata dalle mosche!

Allora avvenne quel disorientamento nel mio spirito di cui vi parlavo in principio; o se vi pare, un nuovo orientamento.

—Avete rifatta la lettera con l'inchiostro?

[56]

—N? con l'inchiostro, n? col sangue: avevo trovato la soluzione semplice, naturale del problema che mi tormentava. Il violino dell'oste faceva gi? zin-zin e un contrabbasso faceva zun-zun: le danze sotto l'imminente luna erano cominciate.

Attesi: Quando fu notte alta, vidi fra le ballerine apparire la servetta della mia signora polacca a cui la frase, vergognati con gli occhi fuori della testa, non produceva alcun effetto morale.

La Polonia, dunque, era sola in casa.

Allora mi avviai, ed ero ben risoluto: il cancelletto era aperto e la sabbia del viale non produceva alcun rumore.

Povera e buona signora! Me ne rimorde un po' ancora il cuore: ella aveva messo a letto i suoi piccini e si preparava in abito molto notturno a seguirli, dolce, placida, indifesa e per nulla presaga dell'avvenire di quella strana notte. Quando mi vide scavalcare la finestra a piano terreno mand? un grido...

—Di paura o di piacere?

—Chi se ne ricorda pi?? Ricordo che rimase immobile, paralizzata. Io ero ben gagliardo allora, e le mie braccia e tutto il mio essere si affond? in quella profumata tenerezza bianca della Polonia.

La sentii pi? tardi mezza dormiente sussurrare alle mie orecchie:—Da quanto tempo ti aspettavo bell'italiano!—E la mattina mi diceva quasi[57] piangendo: Mon Dieu, come mi potevo difendere? Voi siete entrato come un v?ritabile brigante et une femme quand est en toilette de nuit ne peut absolumment se d?fendre.

Non mi rimase che l'ufficio di confortare la sua coscienza, assicurandola che la colpa non era sua, ma della toilette che vestiva in quell'ora.

***

Il d? seguente io mi ricordo che ebbi una discussione con l'oste e con alcuni avventori di campagna. Le mosche erano a nembi per la cucina in quella mattina d'estate; e quella gente ragionava, per effetto di quella disposizione filosofica che ? connaturata nell'uomo, sui misteri della Creazione.

Essi sostenevano, ad esempio, la inutilit? assoluta delle mosche nella economia della vita.

Io ero di opinione contraria.

Sventuratamente non potevo spiegarmi, se non col dire che anch'esse erano creature di Dio. Certo io ero guarito dell'orgasmo della mia passione. Avevo trovato quella base morale che Archimede, come sapete, propone come giusto fulcro delle operazioni umane, nessuna esclusa. Sono diventato positivista; ho abbandonato la Polonia al suo destino storico; mi sono dato anch'io al Proletariato, del quale, come esempio vi dimostra, si vive, ma non si muore.

[58]

 

[59]


LA BUSECCA.

Vedi questa mia barba selvatica? Vedi queste mie scarpe e questi calzoni inconciliabili nemici di ogni elementare eleganza?

E d'altra parte vedi quella automobile laccata di verde con quella bella signora? con quei due bambini, compresi gi? della loro posizione privilegiata? Vedi quella governante che conserva tutta la dignit? della razza britannica a dispetto della bianca cuffia servile? Vedi tutto questo?

—S?, vedo, ma andiamo oltre.

Il mio amico pittore—artista molto delicato e fine, ma pur troppo, oramai fallito per la gloria—si trovava in quell'ora del pomeriggio nel suo stato abituale di saturazione lucida di assenzio.

—Niente affatto ?andiamo oltre?, rimaniamo qui. Contempla soprattutto quella signora. Ti pare bella, s? o no?

—S?, bella, ma andiamo oltre.

—Niente ?oltre?, perch? tu devi sapere che io, se non fossi nato imbecille, potrei essere seduto su quella limousine: quei figliuoli, cio? no quei[60] figliuoli, insomma alcuni figliuoli li avrei potuti fare io, cio? lei; lei ed io in marital nodo congiunti. Tu ne dubiti? tu credi ad una mia allucinazione verde? Guarda! Sono stato avvistato. La signora ha dato ordine al meccanico di allontanarsi.

La signora, infatti, volgendosi a caso verso di noi, ci aveva scorti: aveva fatto un impercettibile segno di spiacevole sorpresa e poco dopo la automobile si allontanava per il viale del Parco.

L'amico pittore continu?:

—Ci credi ora? Vuoi sapere la storia? Vuoi venire a casa mia a vedere i documenti? no? Bene, paga un assenzio e ti racconto la storia inverosimile. Essa ? fatta di niente.

? il dramma psicologico di un cretino: e il cretino, lo intuisci subito, sono io. Credi tu che uno, perch? ? artista, non possa essere profondamente cretino? Credi tu che uno, perch? ? pittore e sente il colore, non possa essere un cieco della vita reale?

Io sono un cieco della vita. Ascolta.

Dieci anni addietro questa barba orribile non era nata: fra le mie scarpe ed i miei calzoni esisteva un'intesa di eleganza e la mia cravatta svolazzante era come una bandiera di giovinezza. Ero astemio. I miei capelli fiorivano sul mio capo dolcemente al tepore della mia anima sciocca, ma sensitiva. Io giungevo per la prima volta a Milano cos? sicuro di essere accolto nel Grande[61] H?tel della gloria, come il mio primo quadro era stato accolto all'Esposizione di Brera: le poche centinaia di lire che avevo in tasca, mi parevano un capitale a fondo illimitato, come si legge nelle Societ? di banca, ?capitale a fondo illimitato?. La prima impressione di Milano non fu piacevole. Era un mattino grigio di febbraio; e gi? quel verde crudo della campagna sotto il cielo basso che gemeva di pioggia, mi pareva un colore stonato, disteso da un cattivo pittore. Le case, le strade, tutto mi pareva precipitare verso una tinta unica: un grigio caff? e latte. Perch? uno ? imbecille? Perch? ha i sensi che fanno vedere e sentire tutto falso.

Era il mattino. Avevo negli occhi il risveglio nel mattino della mia Venezia, in piazza San Marco. San Marco balena d'oro; ? tutto animato come una trireme antica in voga piena. Poi abituato al fetore delle alghe e di altre cose stagnanti, l'assenza di quel profumo mi pareva rendere l'atmosfera priva di un elemento necessario alla respirazione. Vi sentivo invece un indistinto lezzo di coloniali, droghe, zafferano; come un odore dell'anima mercantile della citt?. Il dialetto, questo terribile dialetto lombardo con quelle desinenze cupe, in oeu, u, uh, uuh, mi scoteva i nervi, e mi pareva che tutti si fossero divertiti a rivolgermi delle parole scortesi. Oh, invece, il risveglio della mia Venezia! batter di zoccoletti, scandere di parole cadenzate, musicali, come su di[62] un'antica spinetta. Provai un bisogno di fuggire ancora, di imbarcarmi sul primo treno in partenza. Ma poi pensai: E la conquista della gloria? e il mio quadro all'Esposizione?

Avevo una fame da poeta; e proprio in quell'ora un ristorante si apriva.

—Avete niente di pronto?

—La busecca.

—Ah s?, la busecca!

Mi stava in mente l'idea che la busecca fosse una sorta di manicaretto raro; un cibreo delicato, aristocratico, asciutto, finamente rosato, servito in un piattino, o tegamino di bel metallo.

Mi vidi portare davanti una tazza da brodo, soverchiata da un liquido giallastro purulento. Dentro vi nuotavano delle anse intestinali lardacee. Ne concepii un terrore macabro.

Guardai il cameriere: esso stava col naso in su, soddisfatto di s?, intento alla disinfezione mattutina del detto naso. Questa non ? una specialit? milanese, ma dei lavoratori della mensa in genere. Ma allora mi parve una specialit? milanese, come la busecca. Uscii naturalmente senza toccare cibo.

***

Girai tutto il giorno per trovare una stanza d'affitto che non avesse l'apparenza atroce di essere io in bal?a di un'affittacamere. Ebbi la fortuna di trovare una cameretta pulita, in una via[63] relativamente silenziosa. La mia finestra dava in un cortile grigio, quadrato. Quattro pareti grige, ma pulite, si innalzavano per altri tre piani e sprofondavano per altri due. In fondo, alcune piante di bamb? si allungavano nella nostalgia dell'azzurro. Io le guardai con un affetto fraterno.

***

Passavo lunghe ore alla finestra a dipingere, ed ero cos? assorto nel mio lavoro che non mi accorsi che di fronte a me, a venti metri di distanza, una figura di giovinetta passava, ripassava, era intenta a fissarmi. La guardai anch'io. Essa si era messa con la testolina appoggiata sulle palme della mano, e mi pareva che le sue labbra mormorassero: ?Cattivo, non vi accorgete che da tanti giorni vi guardo??

Certamente—pensai—? una cameriera, una sartina, una ballerina, io non so bene. Ma qualcosa di volgare deve essere per fissarmi con tanta insistenza.

Risposi tuttavia al saluto. Un giorno mi fece un cenno vivace, come a dire: ?Abbiate la cortesia di aspettare?.

Aspettai.

Scomparve un momento, riapparve: diede una occhiata rapida per osservare se dalle altre finestre poteva essere scorta, se vi era qualcuno;[64] poi rapida, risoluta, graziosissima, sollev? un foglio grande come quelli da disegno. Se lo colloc? davanti alla faccia.

C'era disegnato in nero un gran V geometrico.

Subito il V ? buttato via; ed ? sollevato un altro foglio con un I della stessa proporzione.

Segu? un breve cenno molto calmo, molto grazioso con la testa, come a chiedere: ?Avete capito? Quello che vi ho fatto vedere ? un VI. Ora attento.?

Ed allora sfilarono fulmineamente tre lettere, sostenute da un colossale ammirativo: esse formavano la parola Amo! Vi amo!

E rimase l? imperterrita. Io rimasi l?. La rivedo ancora fare un gesto cos? grazioso, cos? disperato di impazienza! Certo deve aver detto: Dio, come l'? bell, ma come l'? stupid. El capiss no!?

Allora io, cretino, meditai come avrei dovuto fare per comunicarle la risposta, che era questa: ?Io sono straordinariamente stup?to?.

Mi posai la mano sulla fronte, e la allontanai con un gesto melodrammatico. ?Ah! Ah, io sono straordinariamente stup?to?.

Lei, la cara fanciulla, interpret? quel gesto come un'espressione romantica, come avessi detto: ?Il vostro amore mi d? alla testa, e mi toglie la facolt?, per ora, di rispondervi.?

Parve soddisfatta; prese dalle sue labbra un bacio e me lo consegn? deliziosamente.

Scomparve.

[65]

***

Noi abbiamo tenuto corrispondenza epistolare per quasi un mese. Le sue lettere erano scritte tutte con alti caratteri in punta; esatte, regolari, e contenevano un loro profumino delicato, e la loro immancabile enorme viola fresca del pensiero, fermata con uno spillo e un nastrino all'angolo superiore sinistro. La sua ortografia era precisa, la sua prosa non priva di fioriture letterarie, nate non da lei, ma appiccicatele dalla maestra di letteratura. Le espressioni sue, sue di lei, invece balzavano fuori da quelle convenzionali, misurate, calme, positive, concludenti: tutto il contrario di quello che si poteva supporre dopo quell'assalto di torpedine: Vi amo!

La prima lettera fu naturalmente la sua, ed il ragionamento, cos? della prima come delle seguenti, seguiva questa linea di logica: ?Voi—parliamoci chiaro—non mi amate se non forse un pochino per vanit?. Io vi amo invece davvero, e ve l'ho dichiarato. Per quante prove io vi portassi che sono una signorina per bene, voi non ci credereste: non negate. ? una disgrazia; ma mi crederete in seguito. Siete disposto a sposarmi? I miei genitori sono molto severi, ma mi vogliono anche molto bene. Io ho ventidue anni, ma non intendo di fare niente senza l'approvazione dei miei genitori. Potete dare, come non dubito dal caro volto che avete e che amo tanto, buone re[66]ferenze di voi? Se s?, ditelo presto e l'affare ? fatto?.

Era stata allieva di qualche scuola di ragioneria, la signorina, per trattare l'amore cos? alla spiccia?

La signorina era carina: e ti confesso che se l'avessi veduta su di un balcone di marmo a Venezia, intenta a interpretare l'azzurro interminabile della laguna, io mi sarei chiamato felice di una cos? rara ventura. Invece io la vidi un giorno, quasi da vicino, in un grande negozio: slanciata, bella, elegante in un grembiuletto di seta, tutto quello che vuoi; ma ritta accanto ad un libro mastro. Era il negozio paterno. Esso era immenso, pieno di commessi, e ne esalava quell'odore di droghe, caucci?, medicinali che mi pareva l'odore di Milano. Il sorriso, che lei mi lanci? dietro il libro mastro, si impregn? di drogheria, di ragioneria. Ma che importa la ricchezza! Che importa la miseria!—dissi fra me—Non ? la Miseria la divina introduttrice nel vestibolo della Gloria? Almeno cos? avevo imparato nei romanzi e anche nei libri di scuola.

Allora avrei dovuto lasciarla: una bella lettera d'addio, e tutto finito. Ma io, uomo inconcludente, oltrech? cretino, non sapevo decidermi. Non per amore, sai, ma cos?, per quella impotenza morale, che ho alfine riconosciuta come mia propriet? inalienabile: e un po' per egoismo, perch? mi confortava il sapere che, nella citt? tu[67]multuosa e grande, esisteva un piccolo cuore che palpitava per me; fosse pure un cuore di ragioniera.

Un giorno mi scrisse e diceva cos?: ?Sentite, per lettera vedo che non c'intendiamo. Proviamo ad intenderci a voce: mi vedrete cos? anche da vicino. Alle ore sette trovatevi nella chiesa di via X***. Entrate in chiesa: a quell'ora la chiesa ? deserta; potremo parlare.?

***

Un piccolo raggio di sole si riverberava sulle alte cime delle piante allora rifiorenti nei giardini pubblici per cui lei doveva passare per recarsi in quella chiesa. La vidi arrivare in fatti. Era in compagnia di una sua governante o domestica che fosse. Vestita di scuro con una veletta scura sul volto: dietro turgeva la massa bionda dei capelli. Mi vide. La sua testolina si inchin? insensibilmente, ed un piccolo cenno della mano mi fece capire: ?Seguitemi a distanza?. Le sue scarpette facevano scricchiolare i sassolini dei viali, deserti a quell'ora.

Allora vidi bene i suoi piedi. Io, l'essere pi? sprovvisto di fondamento, avevo delle idee estetiche assolute, sui piedi delle donne. Io pensavo ai piedi di lei e ad un'altra cosa che mi si era fissa in mente.

?Piedi troppo lunghi—sospirai—: irremissi[68]bilmente piedi troppo lunghi. ? orribile: queste donne lombarde hanno tutte i piedi lunghi.?

Ella scomparve dietro la portiera della chiesa.

Io entrai.

La chiesa era deserta, infatti. Lei mi affront?. Due bianche belle mani sollevarono la veletta.

—Voi non mi avete veduta mai da vicino—disse.—Voi siete artista e questo pensiero mi turba un po'. Sono quello che sono, cos?: guardatemi. Vi piaccio?

Dio, che caro volto, che tremore nelle pupille, che candore nei denti! Ma io pensavo a quei piedi, e poi aveva quell'altra idea fissa in testa. Vedi, quando io ricordo tutte queste cose, io corro alla buvette a bere assenzio e domando:

?Un assenzio per questo cretino.?

—E la voce?—io domandai.

—Ma deliziosa, amico mio: tutto delizioso.

—E cosa ti disse?

—Cosa vuoi che possa ricordarmi io che vivevo dentro un'idea fissa? Mi fece, ecco, capire che bisognava che mi decidessi: o prendere o lasciare. Quella insistenza mi turbava. Io mi ricordo che sentivo il suo piccolo tacco battere impazientemente come tu faresti se fossi un maestro di musica e udissi delle stonature.

—Ma di positivo che cosa hai detto tu?

—Di positivo? ho domandato: Signorina, lei mangia la busecca?

Mi guard? trasognata.

[69]

Io ripetei imperterrito la domanda.

—Ma certamente—rispose.—Il sabato ? d'uso, in casa, fare la busecca: a pap? piace tanto. Perch??

Vedi, amico, allora l'idea di sposare una donna che mangiava la busecca, mi incuteva un senso di orrore!

***

Poi non ricordo pi? nulla.

La rividi attraversare ancora i giardini. Aveva la testa abbassata, come se una ferita la avesse offesa nel petto.

Le sue finestre non si aprirono pi?.

La grande Arte non mi apr? nemmeno l'anticamera del suo palazzo; e l'Arte del tanto per cento mi scacci? a calci nel sedere.

Ma nelle trattorie di infimo ordine sono felice oggi quando mi annunciano che c'? una busecca con cui riscaldarmi e sfamarmi con poco prezzo. Allora penso: Cretino, che ti era capitata una donna col cervello sano e forte, col cervello di ragioniera, che avrebbe pensato anche per te... E tu...! Via, via, amico, pagami l'assenzio.

[70]

 

[71]


AHI, QUEL POVERO COLONNELLO!

Polifemo—come sanno quasi tutti—era un mostro della specie oggi scomparsa dei Ciclopi, cio? che avevano un solo grand'occhio tondo in mezzo la fronte.

Questo Polifemo era innamorato di Galatea, la quale era una bella ninfa del mare, bella e bianca come il latte. Aveva un solo occhio, Polifemo, ma le lagrime che pioveva per la passione di Galatea non erano per ci? meno abbondanti, e i sospiri che mandava su la zampogna silvestre facevano tremare le foreste dell'Etna.

Ma Galatea veniva su dal mare e gli faceva, maramao! e poi con le compagne vezzosamente rideva del rozzo amatore, e tratta dai delfini, gli facea davanti scorribande pel glauco mare.

Queste cose, assai vecchie, sono consegnate nei libri degli antichi poeti.

Ma i poeti hanno trascurato di dirci che guai per Galatea se fosse giunta a tiro di mano di Polifemo!

[72]

Per troppa furia d'amore se la sarebbe messa in bocca come un fondant e se la sarebbe ingoiata, per goderne tutto il sapore.

***

Ebbene, qualche cosa di simile accadde tra il signor conte Guido Ubaldo e la signora Fanny, o donna Fanny, come ella amava chiamarsi; perch? ella era una dama molto aristocratica. ?A Roma—e sospirava—andavo ai balli di Corte!?

Ci fu un giorno che il signor conte si trov? al contatto della mano della signora Fanny, e dopo la mano venne il braccio e dopo il braccio venne il resto, finch?... ?Finch? il signor conte ingoi? cos? come stava la signora Fanny...?? Per l'appunto: finch? la spos?, cos? come stava.

***

Ma non bisogna dimenticare che le mani della signora Fanny erano deliziose e rare; e un po' i profumi, un po' la pelle, un po' lo splendore languido delle turchesi e degli anelli, accoppiato col pallido corallo delle unghie, fatto ? che quelle mani esercitavano una tale seduzione, che il signor conte fu pi? che scusabile se ne sub? il fascino irresistibile.

Gentiluomo campagnolo, il signor conte, bruciato dal sole, riarso dalla vita faticosa dei campi e della caccia, col sangue grosso e caldo di un uomo che—quando arrivava a sedere nel tinello[73] della sua villa—li faceva suonare s? gli ossicini dei pollastri, e un fiasco di vino della sua vigna (oh che vino!) gli andava gi? come ridere; un uomo—dico—in quelle condizioni, al posar le sue grosse e arse labbra su quelle mani, aveva provato l'impressione indimenticabile di ingoiare un sorbetto di vaniglia o di ananasso.

Ora, tutto il resto della signora Fanny era—almeno per gli occhi e pei sensi del signor conte—nella relazione di quella mano: una donnina profumata, signorile, languida, che pareva avesse la virt? di attaccare alle vesti la emanazione carnale di se stessa. Ora se una mano soltanto dava questa sensazione di piacere, che cosa avrebbe dato l'intera signora Fanny?

Il signor conte si ammal? di questa malattia di assaporare la signora Fanny per intero, e l'infezione giunse a tal punto che fu necessario l'intervento del matrimonio.

Ma ci furono dei guai seri e delle difficolt? da superare.

Il signor conte, ohim?! rasentava il peso di un quintale: ora appariva da molti segni poco probabile che la signora Fanny volesse accettare il matrimonio con un uomo di quelle proporzioni. Inoltre il signor conte portava le camicie di flanella coi colletti rovesciati: aveva l'antiestetica abitudine di legare le mutande su le calze, per modo che bene spesso si scorgevano gi? pendere i legacci: ignorava—almeno a giudicar dall'e[74]sterno—l'uso degli stiracalzoni; e non soltanto fumava degli orribili mezzi toscani, ma, quel che ? peggio, giungeva al punto di tagliuzzare con un coltello da tasca un mezzo toscano, ne imbottiva la pipa e fumava come un plebeo.

Aveva altre abitudini rozze e contadinesche, che non concordavano niente con la sua nobilt?. Per esempio, fra le otto e le nove del mattino, dopo tre o quattro ore di caccia o di sorveglianza ai lavori agricoli, era per lui un gran piacere far colazione, all'ombra se era estate, al sole se era inverno, nelle pi? umili osteriuzze di campagna in cui s'imbatteva, e mangiava quello che c'era, come un muratore: quattro soldi di tonno cosparso di pepe e un mazzo di cipolline fresche, e, se v'erano operai, manovali, carrettieri, villani, parlava con loro da pari a pari, tranne che a lui aggiungevano un signor conte, ma un signor conte cos? alla buona e consuetudinario che passava inavvertito. E d'altronde se quel tonno con la cipolla piaceva tanto a lui come a quegli altri, che bisogno c'era di far tante distinzioni anche nel resto?

Nella casa del signor conte non esisteva una table ? the, anzi credo che quanto al t? preferisse una buona tazza di camomilla; e infine attorno alla sua mensa non girava nessun muto e impassibile cameriere, ma la stessa cuciniera si staccava dai fornelli per mettere in tavola, cos? com'era, con il grembiule. Ed essendo oramai solo[75] e senza nessuno, arrivava d'estate al punto da mangiare anche in maniche di camicia.

Per? di tutte queste ultime cose la signora Fanny non aveva che un lontano sospetto, come ignorava la predilezione di lui per la minestra di fagiuoli col lardo; o di ceci, con i quadrettoni di cruschello ben grossi, che si sentono sotto i denti.

La signora Fanny era in quell'estate ospite in villa di una cospicua famiglia, la quale era in buoni rapporti di vicinato e confinante per propriet? coi beni del signor conte; e per tal modo si erano conosciuti.

La signora Fanny aveva appena da un anno smesso l'abito di lutto per il suo primo marito: anzi si pu? quasi assicurare che era stato lui, il signor conte, a farla sorridere la prima volta dopo quella gran disgrazia; lui, con quel suo fare bonario, semplice, con quel suo largo riso sano e felice, con quei suoi occhi celesti, senza ombre e senza malizie.

—Pare un grosso bambino, ed ha la barba che qua e l? ? grigia—aveva detto agli ospiti la signora Fanny.

—Un uomo felice—avevano detto gli ospiti.

***

La signora Fanny non aveva appetito, perch? aveva troppo sofferto per la morte del suo povero colonnello, ch? tale era il grado del defunto[76] consorte. Ma ci pens? lui, il conte, a stuzzicarglielo l'appetito, ch? da un laghetto sull'Alpe lontana faceva venir gi? certe trotelle, certi panierini di fragole selvatiche, certi formaggi che fanno i pastori, certi funghi...! Tutta roba che si trova sul remoto Appennino, e non ? facile conoscere la via, i mezzi, il tempo per acquistarla. Ma il signor conte, gran cacciatore, conosceva la montagna a palmo a palmo, e sapeva in quale gorgo di fiume matura la trota, in quale selva cresce il lampone e la fragola.

E che dire della caccia? O, quanti pennuti, gi? felici fra i ginepri e le forre montane, quante gallinelle, quante starne, quante quaglie furono dal micidiale piombo del conte sottratti alla libert? ed alla vita e presentati come omaggio alla inappetenza della signora Fanny!

Fu cos? che la signora Fanny cominci? ad acquistare l'appetito; ma il signor conte cominci? a perderlo.

Un giorno gli caddero molte lagrime sopra due quaglie, le cui compagne erano state consegnate alla cuoca della signora Fanny, e allora pens?:

—Ma perch? piango io, sciocco che sono mai? Se quel povero colonnello fosse in vita, allora s? avrei da disperarmi; ma poich? il colonnello ? morto..., io ben la posso sposare.

Pensar questo fu cosa facile.

Ma se il conte ci riusciva ad offrire le quaglie e le starne, ad offrir se stesso non ci riusciva:[77] trattare con donna Fanny era per lui un'impresa seria: si imagini come offrire la scomposizione e ricomposizione di un orologio alle dita di un carrettiere. Ne parl? ai comuni amici, i quali ne parlarono alla signora Fanny.

—Rimaritarmi, io?

La signora Fanny non faceva questione del conte o di altri: faceva questione semplicemente del verbo rimaritarsi. Come ? naturale, donna Fanny faceva presente l'ombra di Sicheo, voglio dire del defunto colonnello, il quale era inutile che fosse stato cos? buono, cos? cavaliere, cos? compiacente di morire, se la vedova si doveva legare con altri. Il vero ? che lei non vedeva nessuna necessit? di queste seconde nozze. Sarebbe come offrire una seconda licenza ad uno scolaro: ma ? la prima quella che ? necessaria, il porro unum della carriera.

Cos? per le donne: ? il primo marito che ? necessario.

E poi quel dover rinunciare alla pensione che quel povero colonnello le aveva lasciata, a lei pareva quasi un delitto di ingratitudine.

E infine, perch? non dirlo? Il suo primo marito era stato troppo buono, troppo cavaliere, troppo delicato in tutto, cos? che lei si sentiva come un pochino viziata.

—No, amico, credetelo, vi farei infelice—diceva al conte.

Ma se tutti gli impedimenti erano questi, egli,[78] il conte, poteva garantire che sarebbe stato tanto buono, tanto docile, tanto delicato anche lui.

—S?, ma poi voi siete troppo colossale, mio Dio! Vi pare che staremmo bene vicini l'una all'altro?

A questa terribile domanda, il povero conte non sapeva che rispondere; ed era tanta la desolazione che si dipingeva sul suo viso, che donna Fanny ridea di gusto, e da allora cominci? a pensarci su. Le donne—come ? ben noto—hanno l'istinto della redenzione, e fu appunto per questo che nel cervello della signora Fanny entr?, non l'amore propriamente, ma l'idea di redimere quel povero conte: compiere come una missione di bene.

Senza cominciare da Beatrice Portinari, che gett? nella mente del suo pallido amico l'idea della Divina Commedia, quante donne potrebbe registrare la storia che furono cagione dell'opera egregia di tanti uomini illustri!

Ora la signora Fanny non si proponeva certo di far comporre al conte una Divina Commedia, e nemmeno di iniziarlo alla vita politica. Ma le pareva opera degna della sua muliebre intellettualit? e di quell'istinto materno che fu depositato dalla natura nel segreto di ciascuna discendente di Eva, richiamare alla vita quel disgraziato conte.

Perch? io non ho detto tutto: ma il vero ? che il conte Guido Ubaldo portava un bel nome sto[79]rico, che il suo patrimonio era cospicuo, e il castello che abitava era stato testimone di antiche storie. Con questi requisiti, un uomo si doveva seppellire in campagna? vestire a quel modo? condurre l'esistenza di un fattore?

?Ma salva e redimi quell'infelice nostro discendente?, pareva dicessero alcuni ritratti antichi a donna Fanny, il giorno che il conte la condusse a visitare il castello.

Fu cos? che donna Fanny si decise, perch? oltre a richiamare il conte Guido Ubaldo a vita conforme al proprio grado, c'era tutto il castello e le sue adiacenze da riformare.

Riformare la mobilia, se non in tutto almeno in parte: tutte quelle sale tetre con quei mobili neri, roba d'altri secoli, consunti dai tarli, roba da antiquari, sostituirli con aerei, azzurri, rosei mobili di stile floreale; e bianco e oro alle pareti; e su la spianata invece di quei funebri cipressi, spianarvi un lawn-tennis, e perch? no? sostituire il vecchio e geometrico giardino all'italiana con tutti quei vasi di limoni, con tutti quei corridoi di verdura, con un vago e vario giardino all'inglese.

C'era insomma da consumare l'attivit? di una donna anche meno intraprendente della signora Fanny. Ma pi? che il castello, stava a cuore a donna Fanny di riaprire e rimodernare il palazzo comitale di citt?; e pi? che il castello e pi? che il palazzo, le stava a cuore di rimodernare e[80] aprire alla vita il suo volonteroso secondo consorte.

***

Cos? adunque vennero celebrate le nozze.

Gli sposi partirono, e si racconta che, nei primi tempi, molto viaggiassero, e in grandi citt? facessero loro dimora.

Se non che, dopo qualche anno, ritornarono al castello perch? il povero conte non istava proprio bene. Infatti non si riconosceva pi?.

Lasciamo stare l'abitudine delle minestre col cece e delle colazioni da cacciatore con il tonno, il pepe e la cipolla: ma voglio dire che lui non si conosceva pi?. Era diventato di un colore che ricordava il grano che ? cresciuto in cantina; e, mentre prima stava ritto, ora era tutto cascante, e quella sua barba veramente fiorita, in cui i fili d'argento gi? facevano bizzarro contrasto con il color primitivo del rame, era stata trasformata in una barbetta in punta, d'un colore tutto eguale, un colore sporco fra il cenere e il biondo.

Parlava mansuetamente e assicurava tutti che stava bene di salute; ma quel suo sorriso stirato, dava a vedere che non lo diceva con convinzione.

Anche l'aria nativa non gli giov?: e come molti avranno osservato che gli uomini prima di impazzire, prima di ammalarsi di incurabili mali, ovverosia prima di morire, mettono fuori certi loro sentimenti sigillati nel cuore da anni ed[81] anni, cos? si racconta che il povero conte esclamasse una volta:

—Ah, perch? ? morto quel povero colonnello!

***

Quando anche il conte mor?, fu osservato che la sua barba era tutta bianca e cos? i capelli; e cos? si osserv? che il suo volume e il suo peso non erano diminuiti.

Ahi, come si dolse donna Fanny della morte del povero conte! Dopo il colonnello ella credeva impossibile di trovare un uomo pi? cavaliere, pi? gentile. Eppure ella lo aveva trovato nella persona del conte Guido Ubaldo; ed era morto!

Tutto ella aveva fatto per lui: lo aveva abituato a portare i colletti alti; a gustare il t?, che prima non poteva soffrire, a fumare le sigarette invece dei toscani. Aveva smesso l'abuso dei farinacei, del fiasco di vino; s'era adattato benissimo ai ricevimenti del venerd?, a coricarsi dopo il teatro, a stare in letto al mattino sino alle otto per lo meno: insomma, in tutto si era incivilito, dirozzato quel povero conte; in una sola cosa non era riuscita donna Fanny: nel farlo dimagrare. Perch? quello di ridurlo magro era stato il principale pensiero di donna Fanny. Ma invano!

Cure sopra cure, aveva fatto: non vino rosso, non farinacei di cui era s? ghiotto; molto t?,[82] molto digiuno, massaggio, cura elettrica ad alta frequenza, idroterapia, cura di Montecatini, di Carlsbad, tabloidi di tiroidina. Macch?! Diventava pallido, ma magro niente!

Cos?, ma molto pi? in lungo spiegava donna Fanny al dottore, il vecchio dottore di condotta, che la stava ad ascoltare a fronte bassa e con gli occhi chiusi dalla mano.

—Pensi—seguitava donna Fanny—che vedendo l'impossibilit? di ottenere alcun dimagramento, mi sono raccomandata ad un celebre specialista omeopatico, il quale mi consigli? come infallibile una cura assai rara e costosa, fornitami—noti bene—da quella stessa casa—una delle case pi? accreditate—da cui io da anni faccio venire i miei articoli da toilette.

A questo punto il vecchio dottore si tolse la mano dagli occhi, e, levando il volto, affiss? attentamente il volto della contessa Fanny, ch? tale ora si poteva a buon diritto chiamare; e poich? qualche cosa era necessario rispondere, cos? il dottore disse:

—Io sono della vecchia scuola, signora contessa; ma io credo che chi ? nato grasso e grosso non potr? mai diventare snello e magro. Credo piuttosto che una vita libera ed all'aperto, piena di attivit?, quale era quella che spontaneamente conduceva prima il defunto signor conte, avesse virt? di mantenere l'equilibrio organico meglio che le cure specifiche escogitate al proposito e[83] a cui ella test? mi accennava. La ragione ci consiglia spesso di violentare la natura, ma una pi? acuta ragione ci avverte che ? bene usare le maggiori cautele in quest'opera di violenza.

Cos? parl? il vecchio dottore.

Ma alla sera, avendo osservato il volto imbiutato e lisciato di cosmetici della signora contessa—cosa di cui forse il conte Guido Ubaldo non si era mai interamente accorto—scrisse in un suo libro di memorie mediche, accanto al nome del defunto, questa nota in latino, come soleva:

E le parole sono queste:?Ex eodem unguentario unde causas nuptiarum, idem, miser comes Guidobaldus, mortis emit causam.? (Dal medesimo venditore di cosmetici, da cui il misero conte Guidobaldo tolse la causa del matrimonio, comper? pure la causa della sua morte.)

[84]

 

[85]


LA BAMBOLA FATALE.

Pat?! Canca Imma.

—Cosa vuol dire pat??

Pat? vuol dire, in braccio. E canca vuol dire, che Irma ? stanca.

La prese in braccio.

Dopo un po' egli disse:

—Ma, cara mia, capirai che valigia, pastrano, ombrello e la bambina, anche, per giunta... ? impossibile.

La signora, allora, lo allegger? della valigia, una di quelle valigette di cuoio, leggere leggere; poi gli prese anche il pastrano e l'ombrello, e non gli rimase che la mimma.

—Auf!—soffi? ancora il giovane.

—Ti pesa?

—Piuttosto: ma vedremo di rimediare. Di'? tu, oil?, vuoi andare pi? in alto, al terzo piano, che ti porto meglio?

T?!—rispose la piccola mimma con quella sua languida voce di cantilena.

T? lo capisco: vuol dire s?—disse il babbo.

[86]

—Eppure pesa cos? poco, pesa: magari pesasse di pi?—disse la madre.

Il babbo sollev? la bambina sua al terzo piano: cio? a cavalluccio sopra le spalle.

***

Il babbo e la mamma erano assai giovani: lei una donna scialba, delicata, lunga, troppo lunga. Doveva essere stata vezzosissima pochi anni prima: ma la maternit? intensa aveva fatto quasi repentinamente sfiorire la sua giovinezza; aveva deformata la sua persona. Le mani erano lunghe, trasparenti: le orecchie, il naso mostravano le cartilagini. Lui, s?, era un bruno, aitante, esuberante, forte maschio. Pareva che la sua giovinezza fosse ancora sorpresa del laccio ineffabilmente tenue e infrangibile del matrimonio, rappresentato da quella mimma esile come la mamma, da quella sposa patita. Eleganti erano l'uno e l'altra: ma di diversa eleganza: in lui era l'eleganza che cerca il piacere, in lei l'eleganza che non va oltre il decoro e la nettezza.

Dunque la sollev?, la sua mimma, sulle spalle, al terzo piano.

Pimpala, Imma!—fece la bimba spaurita.

—Cos'ha, adesso, con questo pimpala?—chiese lui alla moglie.

Pimpala—spieg? ancora la moglie con una sua voce di rassegnazione—vuol dire che l'Irma cade, che lei cade.

[87]

—Ma dio—disse lui alla bimba—dammi le manine. Con tutte le cose che hai in mano!...

Ed egli prese le cose che aveva nelle sue mani di giglio, e se le pose in tasca; poi strinse l'una e l'altra mano dell'Irma; e ci stavano per intero, la manina ed il piccolo braccio della bimba, nella sua forte mano.

Oh, lul?, lul?!—esclam? ad un tratto gioiosamente la bimba, dondolando con la voce la testa e le chiome.

Lul?, vuol dire?—chiese lui.

Lul? vuol dire il lago.

—Perch??

—Mah! lei dice cos?.

Infatti, dall'alto del terzo piano anche lei, la piccola mimma, vedeva il lago.

***

I giovani sposi con la loro bambina scendevano verso il lago. Il paesaggio era immobile nella lucidit? del mattino di giugno: il lago giaceva laggi? cos? in fondo che i battelli bianchi a vapore che lo attraversavano, parevano balocchi.

Al di l? dei muriccioli di pietra che costeggiavano il sentieruolo, si occultavano le villette; e qua e l? tutti i fiori, tanto quelli dalle aiuole ben rasate delle villette, quanto quelli dalle rocce e dai dirupi erbosi, si occhieggiavano nella rivista del sole: bocche di leone, giaggioli, rose,[88] viole, contesse e duchesse della specie, pettinate dal giardiniere, fiori aristocratici, insomma; e poi umili fiori di campo.

—Bella mattina, eh, Irma?—domand? il babbo.

La bambina non rispose niente.

Da due mesi erano brutte mattine per lei: non si destava pi? ridendo e gorgheggiando, ma tediata e piangente. Perch? prima il riso ed ora il pianto, ella non sapeva. Lo sapevano i genitori ed il medico. Per ci? era stata condotta sul lago, fuori della citt? afosa. Era pallida pallida; era magra, non pesava pi? nulla. La pelle le cadeva gi? per le coscie come due borse vuote: il collo era uno stelo venato d'azzurro. Piangeva spesso per niente. Ora per? si veniva rimettendo in meglio, ed i suoi genitori spiavano il suo volto, il suo colore, il suo appetito, il suo umore ed altre cose, come i marinai fanno col cielo quando temono la burrasca.

***

—Ma ha un bel colorito stamane, vero?—chiese lui.

—Non c'? male.

—Irma, mi vuoi bene, oh Irma, dimmi, mi vuoi bene?—chiese lui.

—S?, tanto, pap?.

La voce veniva da sopra il suo capo, dal terzo piano. Ma che voce! Accorata, profonda. Pareva[89] venisse come da un mondo crepuscolare, ove non ? lago, non sono fiori, non ? sole. Un mondo crepuscolare ove abitano quelli che furono, ove abiteremo noi, che siamo.

Sorrise a quel—s? tanto;—lo fece ripetere e disse:

—Ah, questo s?, Irma, ? un linguaggio chiaro.

E poi, come... come non so, la tolse dal terzo piano, la accost? alle labbra, la baci?.

—To'! e tu perch? piangi?—domand? alla moglie.

—Perch? non ci vuoi bene a questa povera bimba. Ogni momento tu te ne vai via.

—Ma, amica mia, sii ragionevole; gli affari in prima linea, dopo voi altre, si intende! Sto fuori, qualche volta mi assento. Ma che vuoi? Un artista ? come un uomo politico: non pu? allontanarsi dalla societ?. Son capaci di dire: ?Lo scultore Taliedo com'? che non si vede? Mah! ? ammalato, ? neurastenico, ? etico, non pu? pi? lavorare. Che peccato, un artista cos? bravo!? Ora io non voglio dare queste soddisfazioni ai miei amici. Per esempio, l'affare per cui vado oggi a Genova mi ? venuto d'embl?e, al Grand H?tel Excelsior a Roma. Senti, ? buffa: un americano ? venuto in Italia per farsi fare la statua di sua moglie morta. Egli ? felicissimo che sua moglie sia morta, ma vuole eternare in marmo la sua gratitudine.

Il giovane scultore Taliedo parlava cos? con[90] volubilit? allegra, ma la giovane donna ascoltava come fossero cose estranee e lontane: la piccina aveva reclinata la testa bionda sull'esile stelo del suo collo esangue.

***

Un'ora dopo il giovane scultore Taliedo correva in diretto—ben rincantucciato e accomodato—verso Genova.

La felicit? della vita consiste, come tutti sanno, di diversi capitali, come la salute, i denari, il buon umore; ma consiste anche nel sapere mutare, nel cinematografo del cervello, la serie delle imagini.

Un'imagine ? lugubre, per lo meno sconsolante? Sostituiamola con un film tutto da ridere.

Mentre il treno correva, lo scultore Taliedo faceva passare con vertiginosa rapidit? le ultime imagini di sua moglie: ?Cara, brava, buona, virtuosa, tutto quello che volete: ma ? strano come con l'apparire delle virt? morali, siano scomparse le virt? corporali. Poverina, non ? colpa sua, ma ? troppo lunga, troppo affilata: troppe cartilagini visibili.?

Lo scultore Taliedo era pienamente giustificato davanti ai suoi occhi se lasciava il lago e correva a Genova in un treno diretto.

—Mia moglie—proseguiva dal delizioso angolo ove stava rincantucciato—andrebbe bene come modello per Maria Vergine! Ma non se ne[91] fanno pi? ordinazioni di Marie Vergini in questi tempi sacrileghi; e quei positivisti di parroci le comprano gi? bell'e fatte, inverniciate e vestite, dalle case di commercio. Ah, poveri artisti!

Per? l'idea di modellare sua moglie con Irma in braccio lo seduceva: una visione soave. Irma che ride, pargoletta, dalle braccia materne: una visione secolare: la maternit? e il figlio o la figlia, cio? il germe della vita!

? il grande motivo dell'arte che fu. E Taliedo vide, nel corso dei secoli, artefici canuti e barbuti che gareggiavano nell'esprimere sulla tela o con la creta il tema meraviglioso della Donna vergine e madre; e di mano in mano che creavano, adoravano la loro creazione.

S?, ma erano tutte cose che si potevano fare al tempo di Giotto e del Beato Angelico, perch? ? un fatto che nell'evo medio a Venere erano riusciti a dare una bella batosta. Un po' con l'asperges, un po' col vade retro, Satana, l'avevano spaventata, povera Venere! Ah, l'evo medio aveva ridotto Venere in uno stato ben deplorevole. Una et? senza bagni in casa, senza calze di seta, senza saponi, senza tela batista. Imaginare Beatrice con una camicia storica color Isabella; Laura con un paio di calze di bigello affezionate alle gambe per delle settimane; madonna Isotta con le unghie non spazzolate! Che orrore! La volutt? era allora condita in salsa naturale, come quella che gli offriva sua moglie.

[92]

***

La dama che lo attendeva a Genova pareva invece avere la specialit? delle salse pi? rare e raffinate. Non le aveva ancora assaggiate, ? vero: ma se il treno fosse arrivato a Genova, tutto, tutto dava a credere che le avrebbe assaggiate.

Era una dama americana. Gli era stata presentata ad un grande albergo in Roma. Lui le era stato di guida in qualche gita artistica ed ella si era persuasa che lui solo aveva le qualit? richieste per eseguire il busto del suo defunto marito, da collocare onoratamente nel cimitero di***. A Genova, diceva lei di avere alcuni ritratti del morto: ripassando per Genova avrebbe telegrafato a Taliedo. Cos? avvenne: cos? egli era partito.

Dopo tutto Taliedo non aveva mentito a sua moglie che nel genere: un'americana, invece di un americano.

Il treno arriv?.

La dama attendeva.

Anch'ella era magra come sua moglie, ma di una magrezza diversa e provocata da ben altro genere di sofferenze.

Si parl? molto del defunto marito: un uomo pieno di capacit? e di ragionevolezza, come dimostravano i suoi ritratti. Egli aveva provato tutte le gioie del matrimonio e perci? Dio lo aveva fatto morire a tempo. Non era stato un re dell'ot[93]tone, o del ferro, o del grano; ma un onorevole vassallo al servizio di un re del petrolio: tuttavia un uomo di grande valore. Si trattava di far rilevare, nel monumento funebre, i simboli del suo commercio.

—Sempre felice con lui: mai divorziata—ella diceva.

Anche questo doveva apparire dal monumento.

—Come, voi non avete ancora legge del divorzio in Italy?—ella chiese.

Taliedo atteggi? il volto alla pi? infantile meraviglia: non conoscendo il matrimonio, come poteva conoscere il divorzio?

Cos? conversando del defunto marito, quella dama magra e ardente gli si era venuta accostando, da buona compagna, l?, sul sof?.

La sua toilette da casa era in quel caldo giorno il perfetto contrario dell'infagottamento rigoroso e sudicio in cui erano imprigionate le Laure, le Beatrici e le Isotte del tempo antico.

Ridendo gaiamente delle virt? del defunto marito, le parti molli del suo lungo corpo, parevano sussultare di gioia. I denti erano lupigni. Un braccio pallido, terminava in una deliziosa mano rapace. Taliedo se lo sent? svolgere dietro le sue spalle: apparire dall'altra parte della sua testa, dietro la spalliera del divano.

Che enorme caldo! Egli era assai pallido, come avviene nei casi di insolazione. Era il momento di reagire: egli lo intu?.

[94]

Mosse per levare il fazzoletto di tasca ad asciugarsi il sudore gelido.

—Oh, Taliedo, cosa avete l??

—Dove l??

—In vostra tasca.

Taliedo non ebbe il tempo di guardare che cosa avesse in tasca, che la dama con l'altra sua mano rapace gli aveva estratto, per la testolina sporgente, una piccola bambola.

Essa, la pupa, non era scostumatamente in camicia, come sogliono essere le pupe che si espongono e si fanno comperare nei negozi; ma era rigorosamente e virtuosamente vestita come le Laure, le Isotte antiche.

Aveva le calze, le scarpe, le doppie sottane con la cintura, un giubboncino: tutto in regola.

Era la pupa di Irma che Taliedo si era messa in tasca quando aveva elevata la sua mimma al terzo piano.

Si era dimenticato di renderla alla mimma: gli era rimasta in tasca.

—Oh, a little doll!—fece la dama accostandola molto da vicino ai suoi grandi occhi miopi.

—Date qui—disse Taliedo di scatto—? un piccolo regalo, un piccolo modello...

—Oh no!—disse la dama come non rispondendo a lui,—oh no!

—Molto pretty, very pretty—diceva intanto lei, gravemente.

—Gi?, molto pretty. Piccolo modello artistico.

[95]

—Oh, no.

—Dico di s?, modello artistico. Date qua, via.

—Niente dare qua, niente modello, niente via.

—Giuro!

Ella fece una brutta, severa smorfia a quel ?giuro?.

—Avete visto? Vi piace? Adesso datemi il mio piccolo modello.

—No, non dare.

—Io non capisco cosa vi troviate di straordinario...

Ella guardava ora non pi? la pupa, ma gli abiti, le cuciture: le faceva passare al contatto delle sue lucide unghie crudeli.

—Dove vendono in Italy le poup?es cos? vestite?—domand?, seccamente.

—In tutti i magazzini.

—Falso!

—Giuro.

—Falso!

Taliedo comprese che il suo volto tradiva che realmente egli diceva il falso: infatti la vestizione della pupa era stata opera paziente di sua moglie, sotto le pi? precise ed esigenti indicazioni di Irma.

—A me non piacere uomini maritati: uomini senza dedizione assoluta—disse ella infine come ritraendosi, come rimettendosi nella credenza tutte le salse che aveva preparato, compresa la deliziosa mano rapace.

[96]

—Ma io non capisco, scusate.

—Voi capite benissimo.

—No!

—Voi avere moglie e little baby.

—Giuro di no!

—Allora lasciate fare cos?!

Prese la pupa e fece atto di collocarla sotto il nero, americano tallone della perfetta sua scarpa.

—Ah, no!—fece Taliedo balzando.

—Non bambola italiana io: donna americana—disse la dama levandosi in piedi e restituendo la pupa con disprezzo.

***

E fu cos? che, per colpa di quella malaugurata pupa, dimenticata l? in tasca, Taliedo perdette l'occasione di guadagnare una bella somma facendo il monumento a Mister George Paddy, mercante defunto di petrolio, e anche—ci? che gli lasci? una grande amarezza, un vuoto strano—l'occasione di gustare quella salsa esotica di cui aveva gran desiderio.

 

[97]


VUOI SAPERE COME HO FATTO IL MILIONE?

Eravamo nel palco: io, Ballesio, l'universale Ballesio, il famoso Ballesio il cui nome ? da per tutto, il cui ritratto onora persino le scatole dei cerini, la cui r?clame splende, scintilla dalle quarte pagine dei giornali alle proiezioni luminose sui tetti; e con noi c'era il colonnello, personaggio assai decorativo, e infine la signora dell'immortale Ballesio.

La signora dell'immortale Ballesio sedeva al parapetto con la guardia d'onore del colonnello.

Io non conosco di preciso l'et? della signora Ballesio, ma certamente fra i quaranta ed i cinquanta: per? si pu? dire di lei ?? ancora una bella donna?. Ma il cav. Ballesio afferma invece che la sua signora ?, tuttora, la pi? bella donna della citt?. Esagerazioni! Certo ? che a teatro tutti gli occhi girano, e poi si fermano su di lei. Perch?? Perch? ? la moglie dell'immortale Ballesio? Perch? osa esporre, contro la maldicenza, uno scollato autentico ed inaudito in un teatro[98] di provincia? Perch? i due solitari che le adornano gli orecchi sono calcolati a lire diecimila l'uno?

Il cav. Ballesio mi disse piano:

—Senti: ho sonno, e poi mi annoio. Sono stanco di Vedova allegra. Vieni con me a prendere un altro caff?? Permetti, cara?—chiese alla signora.

—S?, caro.

E ci allontanammo.

—Questa sera tua moglie ?, come dire?, superlativa,—dissi versando il caff? all'amico.

—Questa sera? Puoi dire ?sempre?, mia moglie, la Trebbiatrice.

—Perch? la chiami cos??

—? un vezzeggiativo. Non hai mai visto le trebbiatrici? Ingoiano tutto. Cos? mia moglie, in fine d'anno, ha il coraggio di trebbiare dalle venti alle trentamila lire per le sue spese personali. A Parigi, a New York sarebbe un'inezia; ma qui in provincia, bada che ci vuol del genio per trebbiare trentamila lire l'anno! Mia moglie ? straordinaria! Ma come fai ad ingoiare tanti biglietti da mille? le domando. ? un suo segreto! Capisci tu? Ma sta sicuro che li ingoia.

L'immortale Ballesio, quando ha mangiato e bevuto bene—quella sera egli aveva onorato il colonnello con un magnifico desinare—non si riconosce pi?: non ? pi? la solita mutria: parla, ha dello spirito. Capace poi, domani, di negare[99] villanamente tutto quello che si ? lasciato sfuggire: ma per quella volta, parla.

—Cos? che, cos? che—chiesi io—la tua casa privata ti porta ad una spesa equivalente ad un milione circa di capitale. Non ? cos??

—Un piccolo milionario—rispose Ballesio—un modesto milionario... Il milione, vedi, sar? in avvenire come quel tale pollastro che quel Re di Francia voleva nella pentola dei pi? poveri fra i suoi sudditi. L'avvenire della societ? ? sbalorditivo...

—E tu intanto principi...

—Bisogna ben dare l'esempio...

—A parte gli scherzi—dissi,—ma spiegami come va questa faccenda; come va che tu che sei un modello di esosit?, spendi, senza protestare, ventimila lire e pi? per la tua signora...

—Mettiamo le cose a posto: prima di tutto, modello s?, ma non di esosit?. Quanto alla mia signora, ? evidente; io devo tutta a lei la mia fortuna. Lei non lo sa, ma ? cos?!

—Ma se non ti ha portato un centesimo di dote!...

—Ti sbagli: mi port? il padre, la madre e quattro fratelli da mantenere, che oggi sono tutti impiegati nell'azienda.

—E allora?

—? un problema psicologico. Tutti i problemi umani hanno un fondamento psicologico occulto. Senti il mio: ma prima di tutto guardami bene[100] in faccia: non quale mi vedi nelle fotografie, nei quadri, nei tabl?; ma quale sono realmente: sono bello o brutto?

Esitai.

—Di' pure brutto, piccolo, rincagnato, pelato fino dalle origini, e senza l'onor del mento. Ma devi aggiungere che a ventidue anni, quando la sposai, ero anche pi? brutto: lo dico io, e mi puoi credere. Mi sono fatto un po' bello in seguito. Immagina invece che cosa doveva essere mia moglie allora! Tu dirai: Una dea! Io aggiungo: Una carica di cavalleria! Dopo la quale tu non sapevi pi? in che mondo eri. Sono cose che a dirle non ci si crede. Bisogna provarle.

—Provare per credere—dissi io—come per le tue pillole.

—Precisamente—disse con gravit? Ballesio.—Senonch? Mariuccia allora non era Giunone; era Ebe; Giunone, quale tu la ammiri adesso, divent? un poco per volta. Ebbene io, a differenza di molti uomini, inconsapevoli della verit?, intuii subito che avrei fatta una deplorevole fine nella mia qualit? di marito. Bada bene per?, e vedi di non confondere: mia moglie era, come ? adesso, l'esemplare delle mogli; ma tu devi sapere che le facolt? ragionative della donna non hanno sempre la stessa sede di quelle dell'uomo. Supponi, per modo di dire, che in mia moglie le facolt? ragionative risiedano nell'epidermide, e che la sua epidermide dicesse allora: ?io ho bisogno[101] di vestirmi—quando mi vesto—di seta e di pietre preziose?, e poi di' quale doveva essere la mia sorte che non potevo comperarle che un abito di cotonina! Io sentivo la necessit? di diventare ricco appunto per non diventare un marito, come dire? infelice. Ma come si faceva a diventare ricco? Lo sai tu?

Io sospirai.

L'immortale Ballesio mi spieg? e disse:

—La donna ? la glandola della ricchezza. Pare un assurdo, ma ? cos?. La donna ? come la pituitaria, la tiroide, la surrenale, glandole superflue in apparenza. Ma tu portale via, e l'uomo diventa l'ombra di un uomo. Sopprimi la donna, e tu hai l'uomo che ritorna allo stato selvaggio e cretino.

Dopo ci? Ballesio bevve un cognac, e seguit?:

—A quei tempi io reggevo una farmacia a Montefalco. Guarda che per andare giovane di farmacia in quel paese bisogna essere morti di fame. In una settimana tu non fai cinque lire di banco. Il mio predecessore era scappato via per disperazione, portando con s? quel po' di chinino che c'era e una mezza dozzina di barattoli antichi.

Io, appena arrivato lass?, avevo messo fuori un gran cartello: Farmacia uso Roma. Sai tu cosa vuol dire farmacia uso Roma? Io no. Probabilmente era uno sfogo di quel genio della r?clame che mi si svilupp? in seguito. Una sera[102] d'inverno, dopo l'avemaria, stavo al buio pensando al mio avvenire di marito infelice. Sentivo nella stanza di sopra, ogni tanto, il passo di Mariuccia. Ella bubbolava dal freddo, poverina! e doveva tenere sotto le sue adorabili sottane un vile scaldino di carbonella. Sai tu quali orrendi pensieri devono passare per la mente di una bella giovane costretta a bubbolare dal freddo in un paese come Montefalco? Io sentivo gi? i brividi sul mio capo. O Mariuccia—esclamai—o io morir?, o tu avrai un camino grande come una fornace; e quando vorrai andare a spasso, avrai una carrozza con quattro cavalli che ti tireranno dove vuoi. Allora, capirai, di automobili non si parlava dalle nostre parti; non esistevano le mie pillole; il termosifone era una cosa sconosciuta.

Ed ecco che un Marcantonio di montanaro, grosso e alto come la bottega, mi spalanca la vetrina, entra e butta sul banco una cosa, e dice con disprezzo:

—Questa tientela per te.

Guardo. Era una carta senapata.

—Non ha fatto effetto, galantuomo?—dico io.

—E che effetto vuoi tu che abbia fatto?—mi dice. Non mi ha grattato nemmeno la pelle.—Ora, prosegue l'ineffabile Ballesio, tu sai la storia dell'uovo di Colombo, della lampada di Galileo, del pomo fradicio di Newton! Ebbene, quell'uomo ? stato la mia lampada, il mio uovo, il mio pomo[103] marcio. Sentii, come farti capire? una luce trapassare la mia mente, un lampo; ma avevo trovato!

—Amico—dissi con effusione a quel villano—vieni fra due ore e avrai, ti giuro, il cerotto che tu vuoi e che ti guarir?.

Due giorni dopo l'uomo torn?. Mi mostr? la sua schiena che era tutta una piaga; ma lui era esultante: era guarito!

Io avevo inventato il famoso cerotto di Sant'Antonio. Nelle nostre campagne chi non conosce adesso il cerotto di Sant'Antonio? I farmacisti delle citt? avevano dimenticato la esistenza dei forti lavoratori della terra, la cui epidermide, perch? sa—come si dice oggi—il lavoro dei campi, ? insensibile ai comuni revulsivi. Avevano dimenticato questa elementare psicologia della medicina popolare che un farmaco ? creduto tanto pi? efficace quanto pi? si sente e fa male.

—Ma tu dici delle bestialit?, Ballesio.

—Mai pi?! ? affare di autosuggestione. Il villano si sente bruciare e pensa: ?ecco, io guarisco!? Pensare di guarire spesso vuol dire guarire. Aggiungi poi dietro il cerotto l'imagine di Sant'Antonio, del grande taumaturgo, e tu hai la spiegazione dell'immenso successo del mio specifico. Devi poi notare che nelle nostre campagne c'? ancora un po' di religione e i parroci, con una piccola percentuale sulle vendite, hanno fatto una r?clame strepitosa a questo revulsivo che cura[104] sciatiche, lombaggini, raffreddori e, dopo usato per l'uomo, tu non lo butti via, ma ne incolli la immagine nelle stalle per la protezione delle bestie.

Dopo il cerotto di Sant'Antonio, la via era aperta. Un giorno contemplando la mia signora che si svestiva allo specchio, esclamai: ?Dio, che tesori! ma perch? devono esistere fanciulle clorotiche, smunte, senza l'onore di quel seno e perci? prive della venerazione degli uomini e della santa gioia della maternit??? Pensare questo ed inventare le mie pillole fu un attimo. Ah, tu ridi? saresti buono anche tu di far le mie pillole, eh? Ma di persuadere l'umanit? che con le mie pillole si guarisce, fui capace io solo.

E Ballesio assunse la sua aria di grand'uomo. E aggiunse gravemente:

—Al bene di tutte le classi sociali io ho provveduto: ai neurastenici, agli stitici, agli ipocondriaci; e poi mi chiamano—qui in quest'idiota paese—avaro, esoso, tirchio; imbecille mi chiamano anche! pucinella politico, perch?, ora—dicono loro—sto coi preti, ora sto coi socialisti. Io sto con chi soffre, e il mio nome ? universale: Vos omnes qui laboratis et ?ammalati? estis, venite ad me! Questa ? la mia divisa. Non vi sono che i medici ed i preti che preferiscono la percentuale sui miei specifici agli specifici medesimi: ma si tratta di una classe, direi quasi cinica, senza fede, destinata a scomparire. Ma tutto il[105] resto del mondo ? basato sulla fede! Come ha progredito il Cristianesimo? Con la fede. Come progredisce il Socialismo? Con la fede. Che cosa ? il sole dell'avvenire che gli increduli deridono? Una forma allotropica della fede. Come si diffondono per il mondo le mie boccettine, le mie scatoline? Con la fede. La fede ? l'ossigeno della vita. La fede genera il dogma: il categorico imperativo di Massimiliano Kant. Chi non crede al dogma, anathema sit! Scomunic? la Chiesa, quando pot?! Scomunico io chi non crede a me! Ti pare? Senza fede, che cosa hai? Hai la ribellione, hai la critica, hai individui pallidi, stitici, dolorosi, senza vigore di volont?; hai degli irregolari della vita. Ora—sta bene attento—dall'incontro di un atomo di fede negli altri con un atomo di genio tuo, si ottiene il protoplasma intorno a cui si verr? poi innucleando il milione. Hai capito adesso come si fa a diventare milionari?

—Ma tu hai fede nei tuoi specifici?—chiesi io.

—Immensa! Essi valgono quello che valgono gli altri specifici. Tieni bene a mente: nel campo terapeutico, tranne l'olio di ricino, il chinino per la malaria, il bicarbonato pel bruciore di stomaco, tu non hai che dei medicamenti illusori: bastoncini di carta su cui l'ammalato si appoggia disperatamente per passare dallo stato egrotante a quello di sanit?. La sola terapia vera ? l'igiene, l'aria, il sole e, moralmente, essere un poco be[106]stia. Ma che colpa ne ho io se l'uomo non pu? e non potr? mai essere uomo igienico? se la sua anima non ? sempre bestiale?

***

E quell'imbecille di Ballesio chi sa per quanto avrebbe durato, se in quel punto il rumore del pubblico non avesse avvertito che la Vedova allegra era finita.

Ballesio corse a prendere la sua signora: giacch? questo onore egli non lo cede a nessuno.

Sar? ridicolo questo minuscolo uomo, in grande sparato bianco, dare maestosamente il braccio alla giunonica sua signora; ma ? uno spettacolo che tutti ammirano.

Quella sera la signora aveva un manto di ermellino arrivato da Parigi.

Si pu? chiamarlo imbecille finch? si vuole, ma bisogna fargli largo. La sua automobile ha l'ordine di rombare spaventosamente, ed i suoi fari devono essere i pi? luminosi. La luce ed il suono tengono viva la fede. Ammirabile uomo, dopo tutto, che conserva inalterabile, assoluta la fede, anche nella sua signora.

 

[107]


UN PICCOLO BACIO, QUI!

—Riservato per dame?—domand? la dama al conduttore indicando l'interno di uno scompartimento di seconda classe, dove otto corpi di grosso sesso maschile si stavano pigiati.

—Viaggiamo in condizioni eccezionali, signora.

—Ah!—fece la dama—e le sue pupille grige sotto il velo rialzato, e che scendeva gi? da una gran falda di cappello, fulminarono gli otto grossi corpi; fulminarono il conduttore, e con lui il suo colletto un pochino lercio, le sue mani quasi nere; fulminarono il treno in disordine, la stazione in disordine; e, pi? largamente, fulminarono l'Italia e le ferrovie in disordine: anzi in quel giorno in completa disorganizzazione per effetto della neve; una neve enorme, paurosa, strana, la quale pareva avesse un suo linguaggio di morte, come dire: io ti voglio coprire, congelare, vecchio mondo!

—Venga con me, signora: la metter? in prima—disse il conduttore, e precedette la dama at[108]traverso un ingombro immenso del treno: bagagli, gente.

—Qui ? interamente vuoto—disse infine, indicando uno scompartimento di prima classe.

—Se permette, ci sono io—disse al conduttore un signore che era l?, in piedi, nel corridoio; ed indic? il suo grosso sciallo buttato nell'angolo.

***

Questo signore era piccolo, anzianotto, sbarbato e fiorito nel volto: per? aveva un bellissimo naso grosso, ed un bellissimo ventre, sporgente da un bellissimo pastrano da viaggio. La sua testa pelata era difesa da un cupolino di seta. Egli stava a guardare dietro la grossa lastra di cristallo ci? che avveniva nella stazione, e con una mano grassoccia, adorna di un pesante anello, fumava un vile toscano: da che si poteva arguire che quel signore era italiano, non straniero.

All'avvicinarsi della dama egli ritir? con bel garbo il ventre, e la dama pass?; pass? perch? era sottile, ma la si contorse come per evitare il contatto di quel ventre, di quel naso, di quel puzzo di vile toscano. Ma per entrare, la sua alterezza dovette piegarsi da una banda perch? il cappello non entrava.

Tranne il cappello, che fra veli e piume e spilloni, era di una complicazione ammirabile, tutto il resto era semplice: una gonna nera, un'ampia giacca di lontra, nel cui mezzo era po[109]sato un cespuglio di violette finte: finte, ma non importa! Tutta la leggiadra creatura odorava di viva viola, di fresco mughetto, di pura lavanda. Ma le narici del suo nasetto impertinente si dilatarono e parvero aspirare in quello scompartimento come un malvagio odore: le delicatissime labbra si storsero: poi si sedette come rassegnata. Lentamente, con due sottili mani inguantate, alti i cubiti, si toglieva veli, spilloni, cappello, come fosse una funzione sacra. Apparve allora una leggiadra testa dai capelli cinerei. Con un rapido moto trasse poi da una borsetta uno zendado, vi ravvolse in un attimo il capo nella foggia languida in cui ? effigiata Beatrice Cenci; distese sul velluto un gran lino bianco; vi si adagi? con la testa; vi si immobilizz?: forse dormiva se non fosse stato un piccolo piede a dichiarare che ella era pur desta.

Il grosso signore si rivolt? ancora, lui e il suo naso, contro la stazione. Era interessante guardare quello che vi succedeva. Un grigio enorme, un umidore intenso, una folla sconvolta era sotto la tettoia: ogni tanto passava qualche macchina fumida, gemebonda che trainava vagoni lenti grondanti da una impellicciatura mostruosa di neve: dentro si vedeva sfilare un ingombro di umanit?.

Si va? si sta? cosa si fa? chi lo sa? Dall'interno del treno immobile, dal di fuori giungeva un ininterrotto suono di voci:

?Ritardo di due, sei, dieci ore! La neve! mac[110]ch? la neve: il ?sabotaggio?. Ci vuole un ferroviere impiccato per ogni stazione! Ma si impicchi lei per primo! Le ferrovie ai ferrovieri! Alle societ? private le ferrovie. Senti il compare! ? un deputato forse lei? Vi sono delle donne, dei bambini nelle sale d'aspetto che strillano, che si disperano, che hanno fame.?

Il vecchio signore faceva: up, l?! sollevandosi ritmicamente sulle punte dei piedi, poi ricadendo sui talloni. Ad un tratto abbass? il vetro: un signore era uscito dall'ufficio del capostazione; agitava furibondo le braccia; dietro di lui erano altri signori furenti; dietro, due capo-aggiunti, ma avviliti, poveretti; la barba di tre giorni, i baffi in gi?, il bavero in su, l'orgoglioso berretto color granata, pesto, avvilito anche lui. Quel signore aveva tutta la bocca aperta e le sue parole dovevano essere terribili: ma non si sentivano: ecco perch? il vecchio che faceva up, l?! aveva abbassato il vetro.

Allora si ud? la voce di quell'energumeno che urlava:

—Ma dove ? quel capostazione? Ha finito il suo turno ed ? andato a casa? Gi? loro signori capi non sanno niente, loro non capiscono niente, tutto un giuoco a scaricabarile. Al telegrafo, al telegrafo! Mangiapani a tradimento. Vi concio io, ora! Un dispaccio al ministro.

Chi poteva essere quell'autorevole e furibondo personaggio?

[111]

Tutta la folla si volta, al galoppo, verso il telegrafo, e dietro corrono le lucerne di due carabinieri. Ma tornano tutti subito indietro. Una imprecazione collettiva, enorme: Il telegrafo non funziona pi?!

Ma che succede adesso? Un altro signore rompe la calca, affronta l'energumeno e strilla come un'aquila:

—Prima di tutto, lei che grida tanto, fuori il biglietto!

Era il pi? bello della scena, quando la dama, levando appena il dito, disse laconicamente:

—Prego, chiudere.

Il vecchio grasso gentiluomo ud?, si volt?, guard? la dama. Ella diceva proprio a lui. Lui parve meditare: dopo tutto la signora di seconda classe era come sua ospite nel compartimento di prima.

—Prego chiudere—ripet? la signora in tono che non era affatto di preghiera.

Allora il signore alz? lentamente e come a malincuore il cristallo.

Intanto un lento moto avvertiva che il diretto, forse, stava per partire: usc? dalla tettoia, infatti. Allora brill? una gran luce: ma non dal cielo uniforme di piombo scendeva quella luce; ma dalla immensa candidezza della terra, e fuori di quel candore, tutto era ugualmente plumbeo: le fiumane, le piccole case, disperse, livide, sepolte: un paesaggio immobile, desolato, bianco[112] su cui avanzava, quasi immersa, la linea nera del convoglio.

***

Per? era oramai mezzogiorno e il signore si prepar? a far colazione: l'apparecchio o viatico che lev? da una cestina e dispose bene bene, rivelava l'esistenza di un cuoco di casa, o forse anche di una di quelle mogli rare e preziose che preparano tutto per il marito che viaggia. Quel viatico rivelava inoltre che egli era un buongustaio e anche uno stomaco solido. Guard? con occhio commosso un'anca di cappone a lesso; pallida, piena, gelatinosa, accuratamente priva di bordoni e di piume, oh non come sono le ali e le ?nche scheletriche nei disingannevoli cestini da viaggio! Guard? un bellissimo, brunito, rosato, profumato arrosto di filetto, disposto in ordinate fette. Esit?: finalmente prese delicatamente una fetta d'arrosto, aperse la bocca, mise un po' fuori la lingua... In quel punto la dama fece una smorfia di supremo disgusto.

Il signore fiss?: depose la fetta su le altre, non sulla lingua, e in tono di persona seccata disse:

—Oh, senta, cara signora, che lei mi voglia impedire di fumare, vada anche, bench? questo ? scompartimento per fumatori; che non mi permetta di aprire il finestrino per un momento, sia pure; ma mangiare, ah, mangiare...

[113]

—Non parlare con voi.

—Allora io parlare con voi... oh, corpo di Bacco! E dire che quando noi andiamo all'estero, stiamo, si pu? dire, col cappello in mano; e questa razza prepotente quando viene in Italia...

Ma la signora con una mossa sdegnosa, appena detto ?non parlare con voi?, si era rifugiata nell'angolo opposto, e d'altra parte, quell'arrosto era cos? buono, cos? persuasivo che pareva dire: ?Perch? ti vuoi guastare la digestione?? Le fette sparivano tranquillamente, alcuni panini scricchiolarono, una bottiglia nera vers? una volta e due il suo contenuto luminoso gi? per la gola dell'amabile signore. Non rimaneva che la frutta, e questa era rappresentata da grossi mandarini dalla buccia ben sciolta.

A questo punto il treno, che gi? andava lento, rallent?: la macchina mand? un gran sbuffo, poi un sibilo flebile, lugubre, morente: il treno si ferm?. Un silenzio profondo, poi un'agitazione paurosa per tutto il treno. Il treno era sotto la neve. Stazione vicina? No. In aperta campagna. Si sentivano sportelli e vetri aprirsi. Un individuo o due saltarono gi?. Rimasero confitti come cialdoni nel lattemiele: la neve rasentava la banchina. Terrapieno, siepe, tutto era livellato in una desolazione bianca: la macchina—la si scorgeva in curva—era quasi tutta immersa. Nevicava ancora.

La signora si scosse.

[114]

—Cosa succede?—chiese voltando la testa verso il compagno di viaggio.

—Probabilmente bloccati.

—Ah! Verranno a sbloccare.

—Speriamo bene, signora.

Pu? fare sempre piacere ad un filosofo il constatare che la piccola graziosa neve ha forza di arrestare una macchina enorme e nera, simbolo del progresso; come la pudica acqua di affondare un transatlantico; come un microbio invisibile di uccidere un uomo: ma ? bene non trovarci in simili casi.

La verit? cruda non tard? a farsi strada: treno bloccato in aperta campagna: avanzare e retrocedere impossibile: segnalazioni insufficienti: telegrafo rotto: macchina spenta.

Prospettiva certa: cinque ore di blocco, almeno, cio? il tempo da permettere alle guardie di percorrere i venti chilometri lungo la linea sino ad arrivare alla stazione da cui erano partiti: poi aspettare la locomotiva liberatrice. Altra prospettiva molto pi? probabile: la notte in treno, senza calore e senza luce perch? la caldaia era gi? spenta.

Quando la signora seppe questo, fece anche lei come tutti nel treno: protest?: il treno era un coro di proteste. La signora aggiunse la sua voce esotica al coro, con speciale sintesi diffamatoria verso l'Italia.

—Viaggiato molto—diceva—ma mai visto[115] qualche cosa cos? orribile. Russia, Norway, Svizzera, paesi avanzati avere puf, uf (soffiava). Avere, come dicete voi? Avere rotery-snow-plough per soffiare via neve.—E con la manina vorticosa faceva un molinello che buttava via tutta la neve.

—Vuol dire—spiegava il capotreno ai circostanti, un giovanotto quasi elegante—che all'estero adoperano un tipo nuovo di spazzaneve a ventilatore per liberare i binari. Qui siamo ancora al vecchio tipo che non ? buono se non a buttare la neve da un binario sull'altro; e poi con una neve come questa non va.

La signora, dopo avere protestato, si dovette anche lei adattare al fatto reale; aspettare, pazientare, tacere.

Passava, interminabile, il tempo.

Quando la superba umanit? intuisce una forza che non pu? vincere, con cui non pu? lottare, si abbatte avvilita, muta. I carrozzoni, specie quelli di terza classe, potevano richiamare in mente certi carri-bestiame, pieni di corpi immoti, attoniti.

Ma i bambini si udivano gemere: qualche donna piangeva. La fame! Qualche vigoroso, qualche ardito discese: dal casello vicino, da una cascina si pot? avere un poco di pane: ma era una disputa feroce: la si intravvedeva nei vagoni di testa.

Calava la sera.

[116]

—Signora, posso offrire?

La signora pareva sofferente: era scossa come da brividi.

Il signore aveva tolto dalla grossa valigia di cuoio una fialetta di essenze.

—Veda, signora—disse—quando io viaggio, ho l'abitudine di prevedere tutto. Ecco qui, oltre al resto, una candela: ? probabile che fra poco torni a proposito.

—Grazie, ma avere anch'io petit flacon. Piuttosto ho fame.

—Ah—fece il signore—e presa la cestina, ne trasse ancora quella deliziosa anca di cappone. Poi fiss? la signora: sorrise dolcemente con i suoi denti bianchi nella faccia rubiconda, un po' ironica, e senza muoversi punto, appena movendo le labbra:—S?—disse—ma pagare!

?No, no denaro—disse fermando il gesto della signora.—Soltanto un piccolo bacino, qui!?

E indic? la punta del grosso naso.

—Ah!... Fy, old satyr!

—Niente, vecchio satiro, madam. Ho dato addio da tempo alla carne: non per? alle ?nche di cappone. Ma quest'oggi mi sento americano anch'io, cio? molto originale—e cos? dicendo fece atto di riporre la preziosa anca superstite.

Allora con un moto rapido, la dama si appress?: il signore sent? cose molli, profumate, deliziose appressarsi a lui: la lontra, le viole.

I labbruzzi di lei sfiorarono il suo grosso naso.[117] Poi tutta si ritrasse indietro, coprendosi il volto per non vedere quella orribile cosa che aveva baciata.

***

—Dire—ruminava tra s? il signore allontanandosi nel corridoio, e riacceso un toscano per lasciare che la dama affondasse in pace i suoi dentini in quella anca rosata—dire che circa vent'anni fa questa triste avventura della neve poteva essere fra i pi? saporiti ricordi della vita!

Un mezzo toscano ? spesso una grande consolazione, nella miseria.

[118]

 

[119]


GIACOMINUS GIACOMINI.

Quella volta la mamma, per quanto pietosa, non pot? nascondere il grave fallo di Giacomino: il babbo venne, seppe, e quella sera grandin?.

Una grandine alla vigilia di Natale?

S?, una grandine di busse, ma non sui campi: bens? sulla persona di Giacomo Giommi, ovvero Giacominus Giacomini, come lo chiamavano beffardamente i compagni di scuola, figlio legittimo ed unico del signor cav. Antonio e della signora Palmira, scolaro ginnasiale scioperatissimo.

La signora Palmira conosceva del non egregio suo Giacomino tutte le prodezze: dalla vendita della grammatica latina per acquistare il diritto di copiare i problemi, alle lezioni marinate con superba disinvoltura; sapeva perch? diminuiva lo zucchero ed aumentava in modo anormale la lista del calzolaio e del sarto. Il padre, cav. Antonio, ignorava tutte queste cose: prima perch? nessuno gli diceva niente, secondo perch? dalle sette del mattino—ora in cui si levava—a mezzanotte e anche all'una talvolta—ora in cui rincasava—non compariva nel domestico foco[120]lare che per le due ore del pranzo. Per? se ignorava l'analisi, intuiva la sintesi:

—Quel ragazzo non ha voglia di far niente di bene!

—Ha ingegno, e far? bene—risponde la signora Palmira che pi? si avvicinava alle nozze d'argento e meno veniva dividendo le idee del marito.

—Ingegno a dir le bugie, ingegno a sgraffignare se trova, ingegno ad inventare tutte le scuse per faticare meno che si pu? e godersela pi? che pu?. Credete che io non me ne accorga?

—E anche in ci? si richiede ingegno—rispondeva la signora Palmira, la quale si riserbava almeno il diritto di parlare sempre per ultima.

Chi possedeva l'analisi e la sintesi sul conto di Giacomino era la donna di servizio: ella sapeva tutti i progressi fatti da lui nel folklore delle ingiurie plebee ad una umile fantesca: da servaccia, sguattera sino a certe parole che offendevano la dignit? del sesso. Ella aveva anche imparato la differenza che passa tra l'impressione di una scarpa coi chiodi e un'altra senza chiodi: i modi con cui Giacomino comandava potevano ricordare un linguaggio non pi? ammesso dalla democrazia. Vero ? che, quanto a termini ingiuriosi, la domestica disponeva di un vocabolario ricchissimo. In questi casi Giacomino, leso nel suo onore, riferiva alla mamma.

La mamma allora interveniva come giudice e[121] diceva: ?Mettiamo bene le cose a posto. Tu sei la serva e lui ? il padroncino, tu sei una donna fatta e lui ? un bambino ancora ingenuo.?

?Per me l'? un barabba!? diceva con profonda convinzione la donna, e allora Giacomino assisteva ad un'altra variet? di diverbio, quello fra la donna di servizio e la mamma: diverbio molto pi? clamoroso e lungo perch? la donna di servizio si credeva in diritto di pretendere per s? l'ultima parola.

Dunque quella antivigilia di Natale la signora Palmira aveva dovuto recarsi alla direzione del Ginnasio, chiamatavi d'urgenza da un laconico biglietto del signor Direttore.

Veramente il biglietto era per il padre e non per lei.

Il signor Direttore, anzitutto rilevata questa sostituzione, accolse la signora Palmira con un contegno cos? solenne ed enigmatico che la detta signora perdette la sua abituale sicurezza.

—Abbia ad ogni modo la bont? di accomodarsi.

?Non avr? mica ammazzato qualcuno!? pens? la signora Palmira.

Il signor Direttore torna a sedere sul suo seggiolone: preme il bottone elettrico: compare il bidello: ordine di far comparire Giacomino Giommi, e Giacomino compare.

?Povero figlio mio—palpit? la signora Palmira come lo vide con un aspetto cos? compunto[122] come mai gli era accaduto—questa volta ne hai fatto una grossa!?

Il Direttore con una crudele lentezza estrasse un foglietto e lo present? alla signora.

—? questo—domand?—il carattere del suo signor consorte?

—Veramente...—disse la signora.

—Questo ? un falso; ieri il suo signor figliuolo ha presentata questa giustificazione. Del resto guardi—e col dito fulmin? lo scolaro—habemus confitentem reum!—Per tutto questo ed altro io desidero la presenza del padre.

—Ma...—obbiett? la signora Palmira.

—Assolutamente: intanto la avverto che il suo figliuolo, per deliberato consiglio dei professori, ? sospeso dalle lezioni. Questo come preavviso: il resto verr? poi!

Il signor Direttore fece capire che non aveva altro da esporre, almeno a lei, signora Palmira.

La signora Palmira inchin?, usc?, con Giacomino dietro.

?Si pu? essere pi? imbecilli? E si pu? essere pi? villani con una signora? Un falso! a quell'et?!? e rideva verde: tuttavia come giunse a casa, ordin? con un cenno al rampollo di seguirla. La signora elev? il tu alla potenza del lei.

—Ha inteso, bel signorino?

—? stato Finotti...!—rispose Giacomino con un tono che non avrebbe per nulla indicato quel nobile sentimento ?che fa l'uom di perdon[123] talvolta degno?: indi dirotto pianto, ma di rabbia.

—Finotti a far che? a scriver la lettera?

—No, a dirmi come si doveva fare la scusa. La fanno tutti, mica io soltanto! Il direttore l'ha su con me, e mi castiga solamente me—cos? rispose Giacomino.

—Va bene: lei vada intanto nella sua stanza.

Giacomino non domandava di meglio e si rifugi? nella sua stanza dove tutto serbava traccia delle sue imprese: la tappezzeria stracciata per ornare il palazzo della regina nel teatrino dei burattini: le sedie adattate a biciclette e ad automobile: il lume meccanicamente contorto per costituire il fanale della detta automobile: le quali cose insieme a molte altre, se davano alla stanza un disordinatissimo aspetto, provavano le disposizioni congenite del giovanetto alla meccanica.

Ma quel triste vespero Giacomino entr? assai turbato nella sua stanza: il gatto che lo vide—al rumor della porta aveva levato la pupilla dal suo vigile sonno—come saetta fugg?: negli esperimenti meccanici di Giacomino, o nelle rappresentazioni dei burattini, egli—onesto micio—era forzato a fare delle parti repugnanti alla sua indole tranquilla.

***

Proprio in quell'ora il signor cav. Antonio tornava a casa.

[124]

L'abitudine nei paterfamilias ? cos? forte che essi ricasano anche quando la dimora non ? pi? asilo di pace.

Il signor Antonio era bens? cavaliere per ragione del suo grado ufficiale, ma viceversa doveva sgobbare come un somiere. Giacch? se lo stipendio governativo era sufficiente per una famiglia di abitudini modeste, diveniva inadatto a sopperire al treno di casa quale era imposto dall'esempio delle altre famiglie e dalla filosofia della signora Palmira, la quale soleva dire: ?Si vive una volta sola e perch? ci dovremo privare di qualche piccolo benessere?? Per soddisfare questo piccolo benessere, il cav. Antonio doveva ?arrotondare? il suo stipendio.

Questa necessit? dell'arrotondare degli stipendi spesso rappresenta uno sgonfiamento del denaro pubblico, e qualche volta ha il suo epilogo nelle aule dei tribunali. Ma ? proprio vero che il signor Antonio arrotondava onestamente, cio? lavorando di pi? col tenere alcune amministrazioni private.

Per? con questa vita da bue lavoratore portare il titolo di cavaliere, ? una ironia! Ma il cavalier Antonio non si accorgeva oramai pi? di questa ironia: il mondo era divenuto per lui un immenso cartafaccio con colonne di numeri lunghe lunghe da sommare, e non finivano mai, e non lo avrebbero mai abbandonato: lui s? avrebbe abbandonate le formiche delle cifre il d? della[125] morte, ed esse—le cifre—sarebbero state prese sotto tutela da qualche altro: ma suo figliuolo—Giacomino—sarebbe divenuto non un impiegato, ma un libero professionista! ed ecco perch? Giacomino era entrato in Ginnasio e nella casa del cav. Antonio era entrato Rosa Ros?, genitivo e dativo, Fedro e la grammatica dello Schultz: arnesi di pensieri, dei quali il pi? domestico e perito era, a tutto dire, Giacominus ipse!

Il povero signor Antonio si confortava di respirare la libert? futura che avrebbe goduta il suo figliuolo, dottore, ingegnere, avvocato! Di altre soddisfazioni non ne aveva. Il th? che la sua signora offriva alle amiche nel giorno di ricevimento, aveva per lui un sapore di amarezza stant?a: e quanto al buon gusto della sua signora nel vestire egli era forse il solo a non apprezzarne tutta la finezza. Tuttavia anche lui aveva le sue oasi, rappresentate dalle rare e necessarie vacanze, e fra queste la pi? dilettosa e lunga era quella del Natale. ?Tre giorni di pace in casa!?—pensava il signor Antonio rincasando—e passando dal pasticcere ha ordinato un dolce di vaste proporzioni: dal pollivendolo un tacchino, due capponi e tre dozzine di uova, dal droghiere, marsala e liquori. Con queste liete disposizioni di spirito il cav. Antonio entra nel lare domestico.

—Oim?! cos'? quest'aria di mistero? Perch? tutti si rimpiattano? dove ? Giacomino?

[126]

***

La signora deve pur raccontare.

Il volto del cav. Antonio si offusca: insolitamente balena e lampeggia. La signora Palmira non ha mai assistito ad una burrasca di suo marito pi? improvvisa di quella. ?Oh! come diventano neurastenici questi uomini! e poi chiamano isteriche, noi, donne!?

Il cav. Antonio entra nella stanza di Giacomino.

Giacomino lo sbircia.

Svelto come uno scoiattolo, ha presentito la caccia e la tempesta. Cerca di fuggire, ma la porta ? chiusa.

Caccia, nella stanza, all'uomo, anzi a Giacomino!

Giacomino salta sul letto, s'appiatta, s'arrampica. Ma il terrore di quell'uomo che non ha mai visto cos? adirato, paralizza la velocit? delle sue gambe.

Giacomino, infine, come un volgare malfattore, ? preso da quell'uomo e per qualche tempo una grandine di pugni cade su di lui senza riguardo ad una parte piuttosto che ad un'altra della sua persona.

Finalmente la grandine cess?.

Al molto rumore di grida e di mobili smossi ? successa una gran calma.

Il bruciore dei pugni pass? in breve. Giaco[127]mino mette fuori la punta di un occhio: sbircia, e torna ancora a nascondere la testa fra le braccia. S?, perch? quell'uomo ? ancor l?, anzi era lui—quell'uomo—che faceva quel curioso rumore—e non sapeva prima quello che fosse—col fiato. Giacomino non si muoveva perch? aspettava che quell'uomo andasse via; e torna a sbirciare con la coda dell'occhio: guarda meglio, e lo vede finalmente alzarsi, e andar via.

Ma dietro la porta chiusa c'era la mamma che invano aveva forzato di aprire. E come i due si incontrarono, si appiccicarono: e Giacomino sent? che si dicevano fra loro quelle brutte parole che a lui erano interdette e per cui—per l'appunto—la serva lo chiamava barabba.

Ma il babbo, a differenza della mamma e della serva, non ci doveva tenere al diritto della parola per ultimo, perch? poco dopo fu un gran silenzio e non si mosse pi? nulla.

Per? qualche piccola, impercettibile cosa si mosse. Dove? Dentro di Giacomino.

La mamma aveva detto che lui, quell'uomo, lo voleva ammazzare con tante busse, ma Giacomino non ne sentiva pi? nemmeno l'indolitura.

I pugni che pigliava talvolta, come incerto delle sue monellerie, da qualche condiscepolo, pi? robusto ed anziano, lasciavano un'impressione molto, oh molto pi? durevole. Eppure il babbo ? molto pi? grosso di coloro!

E allora perch?? Perch? ha meno forza? E per[128]ch? ha meno forza? perch? ha la barba quasi bianca? Sono i vecchi che hanno la barba quasi bianca.

Dunque il babbo ? vecchio!

***

In quel punto la stanza si illumin? ma nessuno aveva portato il lume: era la lampada nella strada e la stanza appariva chiara, pi? chiara che mai, perch? oltre alla luce della lampada c'era la luce del tramonto, un tramonto di una luminosit? trasparente e grande come suole d'inverno talvolta, con dei riflessi azzurrini.

Le altre volte che Giacomino era stato messo agli arresti di rigore nella sua stanza, come si era fatto certo di esser ben solo, obliava il suo fallo, obliava il rimprovero, obliava la lieve percossa ricevuta, e levati alcuni ferri dal comodino, si sfogava esercitando l'arte del meccanico con ingiuria dei mobili, ovvero insegnava la parte di elefante al gattuccio quando doveva comparire su la scena dei burattini. Cos? operando, tutto facilmente obliava.

Ma quella sera i mobili godettero della loro pace, e il micio—prudente—non c'era. In vece Giacomino pens?.

Che cosa pensasse, non ? facile a dire: ma qualche cosa pens?: non alla mancanza della scuola, oh no davvero!

[129]

Ma il babbo, quell'uomo che vedeva cos? di rado; quell'uomo che per aver dato pochi pugni leggeri leggeri, tirava il fiato sul letto, poco fa; quell'uomo che la mattina si alzava col lume, e via; che la sera col boccone ancora in bocca, pioggia o bel tempo, inverno o estate, neve o afa, si alzava e via; quell'uomo che poco fa aveva detto ?vergogna!? gli stava davanti: penosamente davanti.

Oh, bella! anche il direttore aveva fatto la voce terribile e aveva detto a Giacomino ?vergogna!? eppure quella stessa parola ?vergogna!? detta dal babbo gli faceva un altro effetto: gli faceva un'impressione pi? dolorosa che i pugni che aveva presi.

Giacomino voleva un gran bene alla sua mamma, mentre col babbo non aveva avuto mai gran relazione. Se ne riconosceva l'autorit?, ci? era per il fatto che doveva dire ?buon giorno, buona sera?, per il fatto che era lui che metteva fuori i denari, era lui che per fare certe spese tirava fuori dal portafogli certi biglietti grossi che Giacomino avrebbe mutato cos? volentieri in tanti dolciumi; era lui, sempre lui.

Se non che la gran differenza tra prima e adesso era questa: prima gli pareva una cosa naturale che tutto ci? dovesse avvenire per parte del babbo, nel modo medesimo che ? naturale che colui il quale ha sete va al caff? e ordina il gelato: chi ha fame va al ristorante e ordina un bel[130] piatto di maccheroni: chi ha freddo va presso alla stufa: chi vuol fare un viaggio monta in treno: chi vuol vivere in montagna, prende in affitto una villetta sui monti nel tempo dell'estate, ecc. Ora tutte queste cose cos? naturali e cos? semplici, anzi cos? abituali, erano abituali semplici e naturali perch? c'era quell'uomo che vi pensava: quell'uomo che si alzava al mattino col lume, che la sera andava via col boccone in bocca, che poco fa ansimava per aver dato a lui Giacomino, due piccoli pugni, che avea detto ?vergogna!? e avea la barba quasi bianca.

***

Congiunte queste due cose che prima erano disgiunte, Giacomino cap? che aveva fatto male, molto male! Male a far la firma falsa? No. Ma se lo fanno tutti! Male a fare una cosa che dava dispiacere al babbo.

E siccome questo dispiacere che dava dispiacere al babbo, dava anche un certo non so che a Giacomino che gli faceva venire la voglia di piangere, cos? Giacomino si mosse in punta di piedi alla ricerca del babbo. Giacomino sa camminare, quando vuole, con la prudenza di un pellirosso: esce di stanza, fiuta e, naturalmente, s'avanza verso il tinello. No, il babbo e la mamma non pranzano, come credeva. La tavola ? bens?[131] apparecchiata, anzi c'? in mezzo la zuppiera. Ma nessuno dei due l'ha toccata.

Le posate sono al loro posto: sul canterano sono gli involti intatti dei doni di Natale.

Giacomino sbircia: la mamma, seduta su la poltrona, legge il giornale.

E il babbo?

? andato via anche quella sera che ? l'antivigilia del Natale? Io non saprei proprio dire se Giacomino ebbe la visione dolorosa di tante belle serate con dolci, castagne, panna levata e cialdoni, forse anche con teatro, andate maledettamente a male per colpa del direttore; certo ebbe il sentimento che nessuno pi? del babbo soffriva per la sua mancanza.

***

C'era il lume nella stanza da letto. Giacomino spinse l'uscio. ? il babbo che va a letto.

Giacomino non si ricorda pi?—perch? adesso ? diventato un giovanotto serio e bravo—non si ricorda pi? quello che disse, per? si ricorda che il babbo, quando lo vide con quelle disposizioni, fu molto buono con lui: lo perdon? subito subito e diceva:—Non mi darai pi? dispiaceri, vero?—e lui Giacomino rispondeva di no! con una convinzione insolita, e il babbo non gli diede nessun bacio, ma con la mano gli toccava i ca[132]pelli, e ci? gli faceva un gran piacere, e quando il babbo gli disse: ?Adesso va a mangiare, che avrai fame!? Giacomino non and? a mangiare, ma prima and? nella sua stanza e acceso certo suo candeliere, cominci? a scrivere una lettera al babbo. La lettera fu tanto lunga che nessun compito raggiunse mai, a memoria di Giacomino, una cos? spontanea prolissit?.

Scritta la lettera, Giacomino la colloc? in luogo tale che il babbo al mattino la scorse prima di ogni altra cosa.

Di fatto il babbo la scorse, la apr?, la lesse e riconobbe che il suo Giacomino ha cominciato a pensare. Ah, se il signor Antonio sapesse il latino, come si rallegrerebbe ripetendo il motto di Cartesio: cogito ergo sum, cio? non pi? Giacomino birichino, ma homo sum!

 

[133]


COME LA LINGUA DELLA SIGNORA SI CALM?.

La signora entr? in casa, si gett? sul sof?, tacque, cio? no; si prepar? a parlare: invoc? il nome di Dio—riservato cos? spesso, ohim?! per gli attacchi d'emicrania—si lev? di scatto, spalanc? due o tre porte a vetri, e si precipit?, cio? scoppi? nello studio di suo marito.

—Io non ne posso pi?, pi?, pi?! Capisci tu? intendi? fai il sordo? l'oca? lo stupido? il superuomo? Io soffro, ho dei dolori atroci, mi sento come svenire; non mangio pi?, non dormo pi?, non digerisco pi?. Sono diminuita di tre chili e mezzo. Capisci tu cosa vuol dire diminuita di tre chili e mezzo? Ho delle vampe, delle fiamme; poi un gran freddo, un gran gelo; poi tutto un formicol?o; il cuore si ferma, d? dei colpi, poi mi sfugge, non lo sento pi?, lo sento in gola: mi chiude, mi soffoca! Ho un vizio di circolazione, l'arteriosclerosi, capisci? ? orribile l'arteriosclerosi, capisci? Orribile! E quest'uomo,[134] questo marito, questo esseraccio spregevole che si chiama marito, si riempie l'epa, beve come un facchino, dorme come una talpa, va a spasso, digerisce stupendamente e non s'accorge d'una povera donna che soffre, che sta male, che muore; una donna tanto gentile, elegante, fine, buona, intelligente, s?, intelligente per un uomo che mi sappia intendere, una donna che avrebbe fatta la felicit? di qualunque altro che non si chiamasse Marx Giraldi! Ah, la mia personalit?, il mio io, ah, questo voi vorreste distruggere, annientare, calpestare; voi mi vorreste ridurre alla moglie che bada al soffritto e sorveglia i buchi delle vostre calze e serve per gli usi intimi! L'avete trovata, il mio uomo, la donna che si lascia calpestare! Vendicatevi, ora, fate la mummia, il papa di gesso, l'indifferente. Vi sveglier? io, vi sveglier?! Mi voglio distrarre, capite? Distrarre! Aspettate, aspettate che stia un po' meglio! Intanto fuori i soldi: cento lire! Chi rompe paga. Domani altra visita. Il professor Marchi non visita per meno. Se mi volete accompagnare, ? al Grande H?tel, se pure non riparte stasera.

Qui si ferm?, e allora una voce rispose dietro i cumuli delle carte della scrivania:

—Io credo che cinquanta lire siano sufficienti.

—Le figure grette, meschine, esose, le lascio tutte a voi.

Allora si ud? una chiavetta aprire un cassetto ed una mano porse un biglietto da cento lire.

[135]

—Imbecille!—e la mano della signora prese il biglietto e rovesci? tutte le carte.

Dietro di esse apparve un uomo di mezza et?, barbuto, con la fronte posata in calma sulla mano: il marito.

La signora usc? sbattendo l'uscio.

Allora, dietro una specie di paravento, venne fuori un omarino mezzo spelato e con barbetta caprina, il quale subito si rivelava come appartenente alla nobile, antica classe degli scrivani, che le macchine da scrivere e le dattilografe vanno distruggendo in modo spietato.

Pareva abituato a questa specie di cicloni familiari, perch? si mise senz'altro a raccogliere le carte e i libri.

—Per un uomo d'affari per?—osservava—? grave questo modo di sfogarsi con le carte. Pare, vero signor Giraldi? che vi sia nella signora una specie di crescendo. Ogni parola si accumula con l'altra, come in una pila elettrica, finch? avviene l'esplosione.

—State buono—rispose il signore, aiutando anche lui a raccogliere le carte—oggi ? andata abbastanza bene. ? quando comincia dalle origini, dai tempi precedenti il matrimonio, quando prende a rivangare i vivi ed i morti. A proposito, cos'ha nominato? il prof. Marchi? Grande H?tel? Che sia il Marchi, professore dell'Universit? di...? Voi che avete la specialit? dei nomi, ve ne ricordate?

—S?, certo: Gian Franco Marchi, specialista[136] per le malattie del cervello. Deve essere venuto qui apposta per un consulto al senatore X***. Sar? una visita in extremis, ma era d'obbligo.

—Allora—disse il signore—noi ci siamo conosciuti, e molto bene, in collegio. Egli era di due corsi avanti di me. Un giovane di valore, ricordo benissimo: uno dei pochi che si son fatti strada senza ciarlataneria. Sapete, amico mio, che ? una cosa curiosa?—e pareva un po' rasserenato.—Noi nella vita moderna ci perdiamo spesso di vista, di nome, di tutto, peggio che nel deserto. Accade poi, un bel giorno, di vedere nel giornale un necrologio e allora diciamo: Io l'ho conosciuto quell'uomo! Ma non siamo pi? a tempo per andare a stringergli la mano.

—Lo dica a me che sono rimasto solo come un fungo...; e non me ne pento ormai pi?—sorrise fra s? l'omarino.

—Vi dispiacerebbe di portare, ma subito, un biglietto al Grande H?tel? Se il Marchi non c'?, aspettate. Se domattina presto non pu?, mi fissi a che ora vuole, stasera, un appuntamento.

Il signore si mise a scrivere.

L'omarino si lev? la manica di lustrino e and? ad infilare il vecchio pastrano a pipistrello e ad avvolgere il collo, le orecchie, la nuca nella fascia di lana.

—Si trova da per tutto quest'accidente! io domando come si fa a non avere male di testa con quest'accidente!

[137]

Lo prese con delicatezza, come fosse stata una macchina infernale, diabolica.

—Un chilo e mezzo deve pesare!

Era il cappello della signora.

***

Alle ore undici, nel Grande H?tel, il prof. Gian Franco Marchi parlava ancora con la signora Giraldi. La signora si veniva riallacciando l'abito con mano tremante. Era una cosa terribilmente piena di mortificazione per la signora: quell'uomo, il prof. Marchi, gelido, meccanico, irreprensibile nel vestito, aveva esercitato su di lei un'impressione di paura, di soggezione e di ammirazione insieme. Eppure quell'uomo aveva parlato sempre con una voce soavissima, musicale, con un bellissimo accento italiano: appena, appena una sfumatura di amabile ironia. Aveva trattato con la verecondia di un asceta, con la delicatezza di una suora di carit?. Oh, nulla di brutale, come certi medici; e nulla nemmeno di manierato, di dolcificato come altri medici alla moda. La signora Giraldi ne aveva fatti passare ormai parecchi di medici, e invano! Ma era quella specie di gelidezza interiore ad ogni influsso di passione, che la soggiogava.

La signora, nei preliminari della visita, aveva cercato, come soleva, di celiare un po'. Bella donna, elegante, donna di spirito, poteva conce[138]dersi questo privilegio. ?Non so, come chiedere: Lei ha moglie, dottore? ha provato mai questi incomodi? ha avuto casi consimili?? Ma poi le si congel? la voce e si trov? paurosamente nello stato di materia inerte nelle mani del prof. Gian Franco Marchi.

La signora si veniva, dunque, riallacciando. Le stanze dell'H?tel scintillavano di lampadine elettriche, perch? il sole esisteva forse ancora, bench? vedendo la citt? fasciata tuttora dalla caligine del dicembre, se ne potesse dubitare.

Il dottore aveva escluso in modo assoluto l'arteriosclerosi, il vizio valvolare, il diabete, l'appendicite, il verme solitario ed altri mali proposti dalla signora.

—Isterismo allora, come dice mio marito?

Il dottore fece un nobile gesto per allontanare questa parola, ?isterismo? ed anche ?marito?.

—Ma allora cos'? il male che io ho? Almeno sapere il male che io ho. Perch? io sono ammalata, vero?

Il dottore si fece serio, terribilmente serio.

—Non mi guardi cos?! no! Mi fa paura! Devo forse morire?

Finalmente il dottore domand? con voce lenta:

—La signora ha paura di morire?

La signora impallid?...

—Quando penso che anch'io dovr?, molto probabilmente, morire... Ah, no, signore! E lei ride?...

—Sorrido, signora.

[139]

—Agli Stati Uniti—disse la signora—i medici vietano assolutamente di pensare a morte, a disgrazie, a malattie; ma assolutamente. Ecco perch? le Americane sono sempre belle, allegre, piene di vitalit?.

—E invecchiare, signora, ? anche questo un pensiero che la turba?—domand? ancora il dottore, senza tener conto dell'America.

Un fremito scosse la signora:

—Mi pare impossibile di dovere invecchiare! Ogni sera, a letto, mi viene questo pensiero; ed allora il cuore comincia a precipitare. Faccio la luce: prego,—noti bene, prego—mio marito di sentirmi il cuore. Si rifiuta! Un brutale, mio marito!

—I mariti sono quasi sempre brutali—sentenzi? gravemente il dottore.

—Ah, ecco un medico che capisce!—esclam? la signora.

—Lei, invece—prosegu? il dottore—? di indole dolce, amabile, ma ha la sua personalit?...

—Il mio io... Certamente!

—Ella vede, per esempio, suo marito che divora beato una bistecca, mentre lei non pu? digerire, e allora in un impeto di giustificabile rivolta, scaglia la tovaglia per terra...

—Come fa a saperlo?

—Il suo male, signora—disse blandamente il dottore, e prosegu?:—Lei deve possedere una memoria di ferro e quindi deve ricordare, enu[140]merare tutti i torti di suo marito. Questo elenco, fatto quasi ogni giorno, supponiamo, porta all'autosuggestione, all'esacerbazione della voce, agli atti—diremo cos?—incoscienti. Poi segue un abbattimento, nausee, palpiti, cefalee...

—Ah, s?, mio marito ? la causa di tutto!—esclam? la signora.—Oh, come capisce, dottore! Ecco, bisognerebbe che lui si sopprimesse.

—? un consiglio che non so se vorr? accettare, ed intanto veda, osservi gli effetti di questa iperestesia del suo ?io subcosciente?.

—Ha detto?...

—Oh, non importa che lei impari il nome! Osservi gli effetti! La pupilla ha gi? acquistato una disposizione strabica; le corde laringee per lo sforzo abnorme della voce, stanno producendo le matasse del collo; il quinto paio nervoso stira le labbra fuori della linea normale e produce le cos? dette rughe; la digestione, resa impossibile, genera macchie, acni, rossori.

—Orribile! Ma quale il rimedio?

—La calma assoluta e perci? il silenzio, signora. L'assoluto silenzio.

—Allora, abolito l'?io?, la personalit?, la volont?, la libert?, tutto... In politica, in morale, in arte, nell'economia della casa non dovr? pi? avere le mie idee?

—S?, signora. Ma noi ne modifichiamo semplicemente le manifestazioni. Per esempio, invece di dire: Il giornale! il giornale! il giornale! lei[141] dice: Favorisci il giornale? Invece di ricordare i torti passati di suo marito, lei ricorda soltanto i torti presenti. Anzi, faccia di meglio: glieli presenti in iscritto. Invece di dire: Voglio andare a teatro, lei dice: Avresti voglia questa sera, amico mio, di condurmi a teatro?

—Anche ?amico mio??

—Ma s?! Dopo tutto lo fa per la sua salute. Invece di domandare al cameriere: C'? lui? lei domanda: Mio marito, oppure Giulio, Jacopo, come si chiama?

—Marx... pur troppo!

—Ebbene, lei chiede: Marx ? in casa? Invece di dire: ?Ah, lo hanno impiccato quell'infame di... Cos? dovrebbero fare anche di te!? Lei si limita alla prima frase. Quanto alla politica, non se ne preoccupi. Io, per esempio, non me ne occupo affatto.

—Allora tutta grazia, tutta gentilezza con un rospaccio, con un istrice, con un orso, un villanaccio di quella sorta.

—Ecco, veda, troppe parole! rospetto, villanello tutt'al pi?. Si guardi come subito le rughe tirano in gi? il labbro. Che cosa ? la vecchiezza? Sono gli anni? Mai pi?! Sono i nervi che subiscono una lenta, irreparabile alterazione.

—Allora io dovr? essere una moglie come una di quelle che esistevano prima della proclamazione dei diritti della donna?

—Ecco, lei provi: e pensi che lo fa per suo[142] bene e non per riguardo al marito: ma silenzio, assoluto silenzio. E come cura, moto, aria aperta, passeggiate in campagna, alla buona. Lei dice: Marx, mi conduci a spasso?

—Ma se non ? buono di cogliere un fiore, di aiutare a passare un fosso...

—Glielo insegni, signora. La donna in queste cose ? nata maestra.

Sommessamente intanto il paggetto dell'h?tel aveva avvertito che l'automobile era pronta. Pian piano, garbatamente, gi? per le belle scale di marmo, l'illustre dottore accompagn? la signora sino al vestibolo, assicurando la pi? completa guarigione. Fuori rombava l'automobile.

La signora estrasse la busta col denaro.

—S?, va bene—disse il dottore—ma faremo tutto un conto. Io devo ripassare fra un mese; e respinse la busta con gesto che non ammetteva replica.

***

Alla stazione, sotto la tettoia, era un grigio che mal si vedeva d'intorno: le macchine vi immettevano getti di fumo come nell'ultimo atto della Valchiria. Il dottore, in piedi, presso il montatoio di una vettura a letto, pareva in attesa di qualcuno.

Un uomo si precipit?.

[143]

—Ebbene?

—Niente di grave, caro Giraldi; vizio organico nessuno: si tratta di difetti funzionali dovuti a forme isteriche, tipiche, ma di cui io ne so quanto te. Bada per? che il non sapere o il non trovare noi, cos? detti scienziati, la causa del male, non vuol dire esclusione del male: il male esiste, ricordatene!

—Allora i pi? grandi oratori—disse il signor Giraldi—devono essere stati tutti degli isterici perch? l'eloquenza di mia moglie ? senza limiti.

—Lascia le facezie: anzi abolisci assolutamente con tua moglie ogni genere di facezia, di ironia, sopra tutto abolisci il silenzio; parlale molto, molto, di molte cose buone ed allegre. ? donna, cio? un essere meravigliosamente fine e complesso, che noi altri uomini, occupati negli studi o negli affari, giudichiamo spesso con una semplicit? di criteri che ci fa veramente torto. Tienti a mente questa cosa, caro Giraldi: tu essendo freddo, sgarbato con tua moglie, commetti il delitto medesimo che molti commettono essendo crudeli verso i bambini, cos? detti cattivi. Sono bambini infermi! E non dimenticarti anche questo: la donna ? un'infante di cui possiamo avere bisogno supremo. Il nostro orgoglio maschile ci nasconde questa verit?. Ma se tale sventura dovesse avvenire, tu baceresti piangendo quella mano che ora allontani da te.

[144]

—Ma quella spaventosa eloquenza..., quella lingua che non tace mai!...

—Credo di averla curata o, almeno, mi lusingo. Basta, tu me ne scriverai...

In quel punto il diretto si mise in moto.

—Dimenticavo una cosa—aggiunse il dottore sforzando la voce,—se la conduci a spasso in campagna, misura il tuo passo col suo e qualche volta prendila per la vita; e se di notte vuol farti sentire il suo cuore, e tu sentilo. Esiste realmente un po' di cardiopalmo.

 

[145]


LA MORTE DI UN RE.

Quando io avevo dieci anni, o gi? di l?, giocavo coi re, e fu il solo tempo in cui vissi in dimestichezza con gente di gran paraggio. Li avea fatti io stesso di cartone e dipinti di rosso e di azzurro con elmo e spada. L'ho a mente quella stanzaccia a soffitta, diroccata, con un odor di topi. L? i miei re conducevano un'esistenza da fare invidia ai veri re della terra. Si cavavano tutte le voglie, i miei nobili re. Ma in fondo ero io che mi cavavo simbolicamente le mie: ed era certamente per questa specie di incantamento che io non mi stancavo mai dal giocare a quel giuoco silenzioso e calmo, ma pieno di terribili cose: giacch? vendicarsi, sterminare i nemici e farne strage, e poi riportarne il trionfo era il pi? grande de' miei piaceri.

Allora non era convinto amico della Societ? per la Pace e gli istinti atavici parlavano potentemente in me: ma forse pi? che atavici erano malvagi istinti naturali, che troviamo in tutti i bambini.

I miei di casa si meravigliavano come io po[146]tessi stare per ore ed ore con un pupazzo in una mano e un pupazzo nell'altra, e non capivano che era un re che parlava ad un altro re suo rivale, vinto, stretto in catene davanti a lui.

Ma in simili casi la concione avrebbe potuto durare delle giornate, tanti erano gli argomenti che il trionfatore avea a sua disposizione per ischiacciare e vilipendere il vinto re! Io non ero malvagio, ma i miei re erano terribilmente feroci, e inesorabili. Quali diritti esercitavano mai!

Un'altra cosa ricordo ancora, cio? che i miei re riposavano delle fatiche belligere in grandi e sontuosi pranzi, i quali corrispondevano a punto a quelli che non si facevano a casa mia, ma erano bens? nel mio desiderio. Sua maest? di cartone era un principe molto vendicativo, ma era anche un goloso eminente.

***

Un bel giorno, non ricordo da chi n? come, mi venne regalato un piccolo falco; un falchetto.

Ora quando venne il falco, i re furono messi in riposo, anzi furono dimenticati. La polvere cadde su di loro; lo scudiero non venne ad avvertire i nobili signori che gi? il sole era levato e illuminava la nera foresta sonora; e i palafreni bardati scalpitavano e i mastini odoravano la caccia.

Il senso di profonda soddisfazione che mi invase[147] al nuovo possesso, evidentemente doveva provenire da questo: cio? che ora possedevo un re autentico, non di cartone, ma vivo; un re dell'aria; un re anzi prepotente e crudele, ma che adesso si trovava sotto la mia giurisdizione assoluta, astretto in catene e sul quale io certamente avrei avuto finale vittoria. Era il medesimo giuoco che continuava, soltanto che la finzione aveva una parvenza di realt?.

***

Li avea visti spesso nel cielo i falchi o, pi? esattamente, me li avevano indicati.

Nel cielo lucido del mattino aveva visto certi uccelli che un pi? trionfal giro volgevano nel cielo: poi si libravano in alto e disparivano nella superba profondit? dell'azzurro. Ne avea chiesto ai villani e quelli, sospendendo il placido lavoro della vanga:—Son falchi!—dicevano,—tutta l'aria ubbidisce a loro: quando ci sono quei signori lass?, non vedrai altri uccelli volare e cantare.

Ora un falco stava in mia bal?a e lo contemplavo con avida curiosit? per iscoprire il segreto della sua potenza. Lo avrei pensato pi? grande, come un tacchino almeno o un pavone. Era un piccolo re, grosso come una colomba. ?Sei un piccolo re!? gli dissi.

Piccolino era infatti, liscio, grigio, con due[148] zampe aduste come due ferri da calza; immobile, con la testa piatta ritirata fra le penne. Immobile come una mummia, supremamente indifferente alle mie ispezioni.

—Dico a lei, signor falco, ha inteso? le ho detto che lei ? un piccolo, anzi ridicolo re!—e siccome quegli pareva non tener conto alcuno delle mie parole, tanto mi accostai col dito che lo toccai. Non lo avessi mai fatto! Quel re disprezzava le parole, ma non ammetteva scherzi di mano. Fulminee vidi aprirsi due alacce smisurate che pareva impossibile dovessero star rinchiuse in quel piccolo corpo, e in pari tempo mi ritrassi con la mano ferita; il dosso della mano portava l'impronta di cinque scalfitture, dove il sangue segn? cinque tracce di avvertimento. Come ebbi a lungo contemplata la mia ferita, mi riaccostai al falco, ma con molta prudenza, e lo vidi con regale solennit? immobile come prima: solo l'ala rientrava come da per s? quasi serpe che rimbuca, e quattro lunghi e sottili aghi adunchi si ritraevano nei loro alveoli.

I suoi occhietti gialli, tondi, si movevano solo essi, e seguivano ogni mio gesto, come l'immagine nello specchio segue chi vi si affaccia, e col muover delle pupille si moveva un becco breve ma uncinato, di cui prima non mi era accorto, e dava alla fisionomia un aspetto grifagno.

Compresi allora come il piccolo animale, uguale nell'aspetto agli altri uccelli, ne fosse diverso per[149] certe qualit? segrete che prima non avea sospettate.

Pensieri di rappresaglia si agitavano nel mio cervello.—Io ti punir? di morte,—dissi con voce di giudice che sentenzia, ma la mia voce rison? a vuoto nello stanzone melanconico, ma era una voce dolce la mia: egli invece mi aveva colpito senza emettere un suono.

Gli enumerai con persuasione tutti i suoi torti:—Voi siete un violento, un rapace, un masnadiero dell'aria, voi avete, signor falco, spogliato tanti nidi, lacerato e ucciso tanti innocenti augelletti i quali cantavano la gloria del Signore e provvedevano il vitto ai loro piccini! Gran perfidia fu la vostra, signor falco, ma ora siete in mia bal?a e ne sconterete bene la colpa senza alcuna remissione o piet?.

Cos? fermato il proposito della pena, dopo essermi assicurato che il falco era ben legato, corsi in cerca di un bastoncello e feci per colpirlo.

Ma il falco stette: solo si contorse nell'atto superbo e magnifico con cui sogliono effigiarsi le aquile negli stemmi dei re e le pupille perforanti saettarono un senso:—Vile!

Ed io non lo percossi.

***

Come la mia piccola anima si mutasse, io non so. Ma ricordo che, dopo essermi aggirato due[150] o tre volte per la stanzaccia, sentii nascere in me per il prigioniero una grande piet? e una viva ammirazione; ma sopra tutto un indistinto desiderio di farmelo amico, di allearmi a quella sua indomita fierezza, a quella sua forte malvagit?.

—Ti faccio grazia della vita per ora, e ti porter? da mangiare,—gli dissi.

E con tale proponimento mi recai da un certo tale, esperto di cacce con l'archibugio e con le panie, e gli richiesi quale fosse il nutrimento dei falchi.

—Cuore e fegato,—mi fu risposto.

Cuore e fegato ebbe, e ben lo seppero i polli della cucina che in quel giorno vennero trovati privi delle interiora, con gran dispetto della fantesca e sorpresa del gatto—un onestissimo e moderatissimo gatto—che mi guardava con le sue fosforescenti pupille come a dire:—ecco un altro che usurpa il mio mestiere di rubare!

Corsi in soffitta e presentando quella superba imbandigione, mi lusingavo di ottenere almeno un cenno di ringraziamento. Non fu cos?.

Non si degn? nemmeno di chinarsi per toccare quei cibi.—Quando avrai fame mangerai e quando avrai sete berrai,—dissi allora.

***

Era azzurro il cielo fuori della finestra; un cielo fondo, pieno di libert? e di silenzi. Ma il falco[151] aveva abbassato sulle terribili pupille le due palpebre gialle e grinzose e rimaneva ritto, rigido. Lo contemplai: non un atto per istrappare la catena!

Piano piano, me gli accostai.—Povero falco,—dissi,—vuoi la libert??—e feci per lisciarlo.

Fu, come prima, un istante: si volt?, si rabbuff?, le ali si spiegarono, le cortine delle pupille si alzarono e folgorarono le pupille. Questa volta la mia mano portava, oltre ad un'altra copia di solchi, uno strappo sanguinoso. Mi aveva ferito col becco, in modo che mi fece subito conoscere senza aiuto di storia naturale quale differenza interceda tra il becco degli uccelli di rapina e gli altri suoi pennuti fratelli. La notte dormii con la mano fasciata, e al mattino corsi su in soffitta a vedere che ne fosse del falco.

Il falco non aveva mangiato; il cuore e il fegato imputridivano ai suoi piedi.

—Tu vuoi morire, bestiola mia, se non mangi,—gli dissi, ma ogni mia esortazione cadde a vuoto. Le palpebre gli si chiudevano con una non so quale solennit? e pareva ed era immobile. Molta tristezza vinse la mia piccola anima infantile e quel d? non giocai.

Andai nell'orto a trovare dei lombrichi i quali strisciavano i loro umili anelli sulla terra; presi larve di insetti, bachi, piccole lucertole, che godevano sul muricciuolo il dolce sole, e fatto di questi innocenti animaluzzi un cibreo che giudi[152]cai appetitoso, lo offersi al mio falco. Non mangi? nemmeno allora.

***

Al mattino seguente era ancora l?, rigido, fermo. Ne ebbi piet? e gli dissi:—Vedi che ti voglio bene e solo desidero che tu ti faccia buono e che noi diventiamo amici!

Ma poi vedendo che non dava alcun segno, e meravigliandomi come potesse vivere senza cibo, ne ebbi alquanto sgomento.

E l'Ave Maria del terzo giorno cantava melanconicamente nel vespero dall'alto di un campanile, quando il falco cadde di botto; le gambe sottili non sorressero pi? l'esile corpo, e l'esile corpo si era rovesciato all'improvviso. Corsi e con trepidanza paurosa lo toccai; strinsi sotto le piume quel piccolo corpo che non si scosse. Era morto.

Egli, il re dell'aria, aveva vinto su di me.

Allora mi accostai alla finestra col falco fra le mani e, alla luce che ancor pendeva nell'aria, a lungo cercai tra quelle penne di scoprire il segreto della sua ferocia, come fanno i bimbi che cercano nei balocchi infranti il segreto del loro moto; ma non ve lo trovai, e da allora ne ebbi grande tristezza.

Fine delle Novelle.
Estate 1912.—Laus Deo.

[153]

 

Nota del Trascrittore:

Le variazioni ortografiche sono state mantenute.






























End of the Project Gutenberg EBook of Che cosa ? l'amore?, by Alfredo Panzini









*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CHE COSA ? L'AMORE? ***









***** This file should be named 38140-h.htm or 38140-h.zip *****




This and all associated files of various formats will be found in:




        http://www.gutenberg.org/3/8/1/4/38140/









Produced by Valentina, Rory OConor, Carlo Traverso and the




Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net




(This file was produced from images generously made




available by The Internet Archive)














Updated editions will replace the previous one--the old editions




will be renamed.









Creating the works from public domain print editions means that no




one owns a United States copyright in these works, so the Foundation




(and you!) can copy and distribute it in the United States without




permission and without paying copyright royalties.  Special rules,




set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to




copying and distributing Project Gutenberg-tm electronic works to




protect the PROJECT GUTENBERG-tm concept and trademark.  Project




Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you




charge for the eBooks, unless you receive specific permission.  If you




do not charge anything for copies of this eBook, complying with the




rules is very easy.  You may use this eBook for nearly any purpose




such as creation of derivative works, reports, performances and




research.  They may be modified and printed and given away--you may do




practically ANYTHING with public domain eBooks.  Redistribution is




subject to the trademark license, especially commercial




redistribution.



















*** START: FULL LICENSE ***









THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE




PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK









To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free




distribution of electronic works, by using or distributing this work




(or any other work associated in any way with the phrase "Project




Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project




Gutenberg-tm License (available with this file or online at




http://gutenberg.org/license).














Section 1.  General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm




electronic works









1.A.  By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm




electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to




and accept all the terms of this license and intellectual property




(trademark/copyright) agreement.  If you do not agree to abide by all




the terms of this agreement, you must cease using and return or destroy




all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your possession.




If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a Project




Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound by the




terms of this agreement, you may obtain a refund from the person or




entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8.









1.B.  "Project Gutenberg" is a registered trademark.  It may only be




used on or associated in any way with an electronic work by people who




agree to be bound by the terms of this agreement.  There are a few




things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works




even without complying with the full terms of this agreement.  See




paragraph 1.C below.  There are a lot of things you can do with Project




Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this agreement




and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm electronic




works.  See paragraph 1.E below.









1.C.  The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the Foundation"




or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection of Project




Gutenberg-tm electronic works.  Nearly all the individual works in the




collection are in the public domain in the United States.  If an




individual work is in the public domain in the United States and you are




located in the United States, we do not claim a right to prevent you from




copying, distributing, performing, displaying or creating derivative




works based on the work as long as all references to Project Gutenberg




are removed.  Of course, we hope that you will support the Project




Gutenberg-tm mission of promoting free access to electronic works by




freely sharing Project Gutenberg-tm works in compliance with the terms of




this agreement for keeping the Project Gutenberg-tm name associated with




the work.  You can easily comply with the terms of this agreement by




keeping this work in the same format with its attached full Project




Gutenberg-tm License when you share it without charge with others.









1.D.  The copyright laws of the place where you are located also govern




what you can do with this work.  Copyright laws in most countries are in




a constant state of change.  If you are outside the United States, check




the laws of your country in addition to the terms of this agreement




before downloading, copying, displaying, performing, distributing or




creating derivative works based on this work or any other Project




Gutenberg-tm work.  The Foundation makes no representations concerning




the copyright status of any work in any country outside the United




States.









1.E.  Unless you have removed all references to Project Gutenberg:









1.E.1.  The following sentence, with active links to, or other immediate




access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear prominently




whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work on which the




phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the phrase "Project




Gutenberg" is associated) is accessed, displayed, performed, viewed,




copied or distributed:









This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with




almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or




re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included




with this eBook or online at www.gutenberg.org









1.E.2.  If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is derived




from the public domain (does not contain a notice indicating that it is




posted with permission of the copyright holder), the work can be copied




and distributed to anyone in the United States without paying any fees




or charges.  If you are redistributing or providing access to a work




with the phrase "Project Gutenberg" associated with or appearing on the




work, you must comply either with the requirements of paragraphs 1.E.1




through 1.E.7 or obtain permission for the use of the work and the




Project Gutenberg-tm trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or




1.E.9.









1.E.3.  If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted




with the permission of the copyright holder, your use and distribution




must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any additional




terms imposed by the copyright holder.  Additional terms will be linked




to the Project Gutenberg-tm License for all works posted with the




permission of the copyright holder found at the beginning of this work.









1.E.4.  Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm




License terms from this work, or any files containing a part of this




work or any other work associated with Project Gutenberg-tm.









1.E.5.  Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this




electronic work, or any part of this electronic work, without




prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with




active links or immediate access to the full terms of the Project




Gutenberg-tm License.









1.E.6.  You may convert to and distribute this work in any binary,




compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including any




word processing or hypertext form.  However, if you provide access to or




distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format other than




"Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official version




posted on the official Project Gutenberg-tm web site (www.gutenberg.org),




you must, at no additional cost, fee or expense to the user, provide a




copy, a means of exporting a copy, or a means of obtaining a copy upon




request, of the work in its original "Plain Vanilla ASCII" or other




form.  Any alternate format must include the full Project Gutenberg-tm




License as specified in paragraph 1.E.1.









1.E.7.  Do not charge a fee for access to, viewing, displaying,




performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works




unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.









1.E.8.  You may charge a reasonable fee for copies of or providing




access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works provided




that









- You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from




     the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method




     you already use to calculate your applicable taxes.  The fee is




     owed to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he




     has agreed to donate royalties under this paragraph to the




     Project Gutenberg Literary Archive Foundation.  Royalty payments




     must be paid within 60 days following each date on which you




     prepare (or are legally required to prepare) your periodic tax




     returns.  Royalty payments should be clearly marked as such and




     sent to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation at the




     address specified in Section 4, "Information about donations to




     the Project Gutenberg Literary Archive Foundation."









- You provide a full refund of any money paid by a user who notifies




     you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he




     does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm




     License.  You must require such a user to return or




     destroy all copies of the works possessed in a physical medium




     and discontinue all use of and all access to other copies of




     Project Gutenberg-tm works.









- You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of any




     money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the




     electronic work is discovered and reported to you within 90 days




     of receipt of the work.









- You comply with all other terms of this agreement for free




     distribution of Project Gutenberg-tm works.









1.E.9.  If you wish to charge a fee or distribute a Project Gutenberg-tm




electronic work or group of works on different terms than are set




forth in this agreement, you must obtain permission in writing from




both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and Michael




Hart, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark.  Contact the




Foundation as set forth in Section 3 below.









1.F.









1.F.1.  Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable




effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread




public domain works in creating the Project Gutenberg-tm




collection.  Despite these efforts, Project Gutenberg-tm electronic




works, and the medium on which they may be stored, may contain




"Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate or




corrupt data, transcription errors, a copyright or other intellectual




property infringement, a defective or damaged disk or other medium, a




computer virus, or computer codes that damage or cannot be read by




your equipment.









1.F.2.  LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right




of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project




Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project




Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project




Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all




liability to you for damages, costs and expenses, including legal




fees.  YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT




LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE




PROVIDED IN PARAGRAPH F3.  YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE




TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE




LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR




INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH




DAMAGE.









1.F.3.  LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a




defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can




receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a




written explanation to the person you received the work from.  If you




received the work on a physical medium, you must return the medium with




your written explanation.  The person or entity that provided you with




the defective work may elect to provide a replacement copy in lieu of a




refund.  If you received the work electronically, the person or entity




providing it to you may choose to give you a second opportunity to




receive the work electronically in lieu of a refund.  If the second copy




is also defective, you may demand a refund in writing without further




opportunities to fix the problem.









1.F.4.  Except for the limited right of replacement or refund set forth




in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS' WITH NO OTHER




WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT LIMITED TO




WARRANTIES OF MERCHANTIBILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.









1.F.5.  Some states do not allow disclaimers of certain implied




warranties or the exclusion or limitation of certain types of damages.




If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the




law of the state applicable to this agreement, the agreement shall be




interpreted to make the maximum disclaimer or limitation permitted by




the applicable state law.  The invalidity or unenforceability of any




provision of this agreement shall not void the remaining provisions.









1.F.6.  INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the




trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone




providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in accordance




with this agreement, and any volunteers associated with the production,




promotion and distribution of Project Gutenberg-tm electronic works,




harmless from all liability, costs and expenses, including legal fees,




that arise directly or indirectly from any of the following which you do




or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm




work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any




Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.














Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm









Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of




electronic works in formats readable by the widest variety of computers




including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists




because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from




people in all walks of life.









Volunteers and financial support to provide volunteers with the




assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's




goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will




remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project




Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure




and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.




To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation




and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4




and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.














Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive




Foundation









The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit




501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the




state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal




Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification




number is 64-6221541.  Its 501(c)(3) letter is posted at




http://pglaf.org/fundraising.  Contributions to the Project Gutenberg




Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent




permitted by U.S. federal laws and your state's laws.









The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.




Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered




throughout numerous locations.  Its business office is located at




809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email




business@pglaf.org.  Email contact links and up to date contact




information can be found at the Foundation's web site and official




page at http://pglaf.org









For additional contact information:




     Dr. Gregory B. Newby




     Chief Executive and Director




     gbnewby@pglaf.org














Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg




Literary Archive Foundation









Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide




spread public support and donations to carry out its mission of




increasing the number of public domain and licensed works that can be




freely distributed in machine readable form accessible by the widest




array of equipment including outdated equipment.  Many small donations




($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt




status with the IRS.









The Foundation is committed to complying with the laws regulating




charities and charitable donations in all 50 states of the United




States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a




considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up




with these requirements.  We do not solicit donations in locations




where we have not received written confirmation of compliance.  To




SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any




particular state visit http://pglaf.org









While we cannot and do not solicit contributions from states where we




have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition




against accepting unsolicited donations from donors in such states who




approach us with offers to donate.









International donations are gratefully accepted, but we cannot make




any statements concerning tax treatment of donations received from




outside the United States.  U.S. laws alone swamp our small staff.









Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation




methods and addresses.  Donations are accepted in a number of other




ways including checks, online payments and credit card donations.




To donate, please visit: http://pglaf.org/donate














Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic




works.









Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm




concept of a library of electronic works that could be freely shared




with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project




Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.














Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed




editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.




unless a copyright notice is included.  Thus, we do not necessarily




keep eBooks in compliance with any particular paper edition.














Most people start at our Web site which has the main PG search facility:









     http://www.gutenberg.org









This Web site includes information about Project Gutenberg-tm,




including how to make donations to the Project Gutenberg Literary




Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to




subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.














Static Wikipedia 2008 (no images)

aa - ab - af - ak - als - am - an - ang - ar - arc - as - ast - av - ay - az - ba - bar - bat_smg - bcl - be - be_x_old - bg - bh - bi - bm - bn - bo - bpy - br - bs - bug - bxr - ca - cbk_zam - cdo - ce - ceb - ch - cho - chr - chy - co - cr - crh - cs - csb - cu - cv - cy - da - de - diq - dsb - dv - dz - ee - el - eml - en - eo - es - et - eu - ext - fa - ff - fi - fiu_vro - fj - fo - fr - frp - fur - fy - ga - gan - gd - gl - glk - gn - got - gu - gv - ha - hak - haw - he - hi - hif - ho - hr - hsb - ht - hu - hy - hz - ia - id - ie - ig - ii - ik - ilo - io - is - it - iu - ja - jbo - jv - ka - kaa - kab - kg - ki - kj - kk - kl - km - kn - ko - kr - ks - ksh - ku - kv - kw - ky - la - lad - lb - lbe - lg - li - lij - lmo - ln - lo - lt - lv - map_bms - mdf - mg - mh - mi - mk - ml - mn - mo - mr - mt - mus - my - myv - mzn - na - nah - nap - nds - nds_nl - ne - new - ng - nl - nn - no - nov - nrm - nv - ny - oc - om - or - os - pa - pag - pam - pap - pdc - pi - pih - pl - pms - ps - pt - qu - quality - rm - rmy - rn - ro - roa_rup - roa_tara - ru - rw - sa - sah - sc - scn - sco - sd - se - sg - sh - si - simple - sk - sl - sm - sn - so - sr - srn - ss - st - stq - su - sv - sw - szl - ta - te - tet - tg - th - ti - tk - tl - tlh - tn - to - tpi - tr - ts - tt - tum - tw - ty - udm - ug - uk - ur - uz - ve - vec - vi - vls - vo - wa - war - wo - wuu - xal - xh - yi - yo - za - zea - zh - zh_classical - zh_min_nan - zh_yue - zu -

Static Wikipedia 2007 (no images)

aa - ab - af - ak - als - am - an - ang - ar - arc - as - ast - av - ay - az - ba - bar - bat_smg - bcl - be - be_x_old - bg - bh - bi - bm - bn - bo - bpy - br - bs - bug - bxr - ca - cbk_zam - cdo - ce - ceb - ch - cho - chr - chy - co - cr - crh - cs - csb - cu - cv - cy - da - de - diq - dsb - dv - dz - ee - el - eml - en - eo - es - et - eu - ext - fa - ff - fi - fiu_vro - fj - fo - fr - frp - fur - fy - ga - gan - gd - gl - glk - gn - got - gu - gv - ha - hak - haw - he - hi - hif - ho - hr - hsb - ht - hu - hy - hz - ia - id - ie - ig - ii - ik - ilo - io - is - it - iu - ja - jbo - jv - ka - kaa - kab - kg - ki - kj - kk - kl - km - kn - ko - kr - ks - ksh - ku - kv - kw - ky - la - lad - lb - lbe - lg - li - lij - lmo - ln - lo - lt - lv - map_bms - mdf - mg - mh - mi - mk - ml - mn - mo - mr - mt - mus - my - myv - mzn - na - nah - nap - nds - nds_nl - ne - new - ng - nl - nn - no - nov - nrm - nv - ny - oc - om - or - os - pa - pag - pam - pap - pdc - pi - pih - pl - pms - ps - pt - qu - quality - rm - rmy - rn - ro - roa_rup - roa_tara - ru - rw - sa - sah - sc - scn - sco - sd - se - sg - sh - si - simple - sk - sl - sm - sn - so - sr - srn - ss - st - stq - su - sv - sw - szl - ta - te - tet - tg - th - ti - tk - tl - tlh - tn - to - tpi - tr - ts - tt - tum - tw - ty - udm - ug - uk - ur - uz - ve - vec - vi - vls - vo - wa - war - wo - wuu - xal - xh - yi - yo - za - zea - zh - zh_classical - zh_min_nan - zh_yue - zu -

Static Wikipedia 2006 (no images)

aa - ab - af - ak - als - am - an - ang - ar - arc - as - ast - av - ay - az - ba - bar - bat_smg - bcl - be - be_x_old - bg - bh - bi - bm - bn - bo - bpy - br - bs - bug - bxr - ca - cbk_zam - cdo - ce - ceb - ch - cho - chr - chy - co - cr - crh - cs - csb - cu - cv - cy - da - de - diq - dsb - dv - dz - ee - el - eml - eo - es - et - eu - ext - fa - ff - fi - fiu_vro - fj - fo - fr - frp - fur - fy - ga - gan - gd - gl - glk - gn - got - gu - gv - ha - hak - haw - he - hi - hif - ho - hr - hsb - ht - hu - hy - hz - ia - id - ie - ig - ii - ik - ilo - io - is - it - iu - ja - jbo - jv - ka - kaa - kab - kg - ki - kj - kk - kl - km - kn - ko - kr - ks - ksh - ku - kv - kw - ky - la - lad - lb - lbe - lg - li - lij - lmo - ln - lo - lt - lv - map_bms - mdf - mg - mh - mi - mk - ml - mn - mo - mr - mt - mus - my - myv - mzn - na - nah - nap - nds - nds_nl - ne - new - ng - nl - nn - no - nov - nrm - nv - ny - oc - om - or - os - pa - pag - pam - pap - pdc - pi - pih - pl - pms - ps - pt - qu - quality - rm - rmy - rn - ro - roa_rup - roa_tara - ru - rw - sa - sah - sc - scn - sco - sd - se - sg - sh - si - simple - sk - sl - sm - sn - so - sr - srn - ss - st - stq - su - sv - sw - szl - ta - te - tet - tg - th - ti - tk - tl - tlh - tn - to - tpi - tr - ts - tt - tum - tw - ty - udm - ug - uk - ur - uz - ve - vec - vi - vls - vo - wa - war - wo - wuu - xal - xh - yi - yo - za - zea - zh - zh_classical - zh_min_nan - zh_yue - zu -

Sub-domains

CDRoms - Magnatune - Librivox - Liber Liber - Encyclopaedia Britannica - Project Gutenberg - Wikipedia 2008 - Wikipedia 2007 - Wikipedia 2006 -

Other Domains

https://www.classicistranieri.it - https://www.ebooksgratis.com - https://www.gutenbergaustralia.com - https://www.englishwikipedia.com - https://www.wikipediazim.com - https://www.wikisourcezim.com - https://www.projectgutenberg.net - https://www.projectgutenberg.es - https://www.radioascolto.com - https://www.debitoformtivo.it - https://www.wikipediaforschools.org - https://www.projectgutenbergzim.com

/body>