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Antonio Canova, di Adolfo Venturi /head>

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The Project Gutenberg EBook of Antonio Canova (1757-1822), by Adolfo Venturi









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almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or




re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included




with this eBook or online at www.gutenberg.org/license














Title: Antonio Canova (1757-1822)




       La vita italiana durante la Rivoluzione francese e l'Impero









Author: Adolfo Venturi









Release Date: July 9, 2013 [EBook #43171]









Language: Italian









Character set encoding: UTF-8









*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK ANTONIO CANOVA (1757-1822) ***
























Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara




Magni and the Online Distributed Proofreading Team at




http://www.pgdp.net (This file was produced from images




generously made available by The Internet Archive)


































LA

VITA ITALIANA

DURANTE LA

Rivoluzione francese e l'Impero


Conferenze tenute a Firenze nel 1896

DA

Cesare Lombroso, Angelo Mosso, Anton Giulio Barrili, Vittorio Fiorini, Guido Pompilj, Francesco Nitti, E. Melchior de Vog????, Ferdinando Martini, Ernesto Masi, Giuseppe Chiarini, Giovanni Pascoli, Adolfo Venturi, Enrico Panzacchi.

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1897.


PROPRIET?? LETTERARIA


Riservati tutti i diritti.

Tip. Fratelli Treves.


[485]

ANTONIO CANOVA
(1757-1822)
E L'ARTE DE' SUOI TEMPI


CONFERENZA

DI

Adolfo Venturi.

[487]

L'arte italiana, verso la met?? del secolo XVI, era stata vinta dall'antichit?? classica; e la sua natura male traspariva sotto il peso delle corazze e degli elmi, il viluppo delle clamidi e dei pepli. Non parlava pi?? nell'idioma di Dante, non diceva nella lingua del popolo; perch?? dai f??ri, dai templi, dalle terme una folla di statue era uscita come una fuga di bianche ombre a inaridire il suolo toccato dai loro calzari. La tradizione cristiana e le forme neo-latine cessarono; e l'imitazione dell'antico determin?? un'arte tutta a formule grammaticali, entro cui pi?? non era l'anima illuminata dalla fede, lo spirito della vita nuova. Passarono il nuovo Achille chiomato, coi muscoli gonfi, la testa incassata nell'elmo; Ercole poderoso e Bacco ubbriaco, ma tutti quegli eroi, quei Semidei e quegli Dei rivissero in una cerchia angusta, senz'aria. Il popolo li aveva dimenticati, elaborando le immagini della Vergine, del Cristo e dei Santi; e l'umanesimo che li aveva scavati, non s'era accorto di dare alla luce mummie, non corpi vivi.

[488] La maschera antica rimase confitta sulla faccia dell'arte lungo il secolo XVII, bench?? i barocchi ne torcessero in un ghigno le labbra, e la sciupassero ognor pi?? nelle loro gazzarre carnevalesche. La maschera apparve tra i blocchi di marmo, i dirupi di macigno e i torrenti di bronzo; e intanto nelle magnifiche pompe, ne' meravigliosi apparati da festa, nell'aggrovigliarsi di giganti, nel ritorcersi de' colonnati dei curvi edifici, non v'era rifugio per l'anima in cerca di pace e di affetti. Giunto il secolo XVIII, l'arte si immiserisce, si gingilla, prende gaie proporzioni minori, si attorciglia com'edera, si volve a mo' di chiocciola, si rompe in ischegge, esce in isprizzi, si riversa nelle cascatelle d'Arcadia. E le figure umane perdono le ossa, e si sprigionano con le chiome al vento, e le braccia in atteggiamento sgangherato o convulso, da enormi cappe di marmo, o tra roccie e nuvoli. Allora fu che l'antichit?? classica attrasse di nuovo, come sirena a' suoi amplessi, l'artista moderno. Benedetto XIV dal trono bandiva la crociata per il classicismo; e Winckelmann suonava a raccolta intorno ai simulacri greco-romani. Tutta l'arte ricadde nell'imitazione! Quando, verso la met?? del secolo XVI, era avvenuto lo stesso fenomeno del sopraccaricarsi dell'antico sul nuovo, l'arte, gi?? arrivata al massimo grado di sviluppo e prossima [489] a ingrandire e a gonfiare, pareva continuare le forme precedenti, pure impregnandosi delle forme romane imperiali; ma nel secolo XVIII l'antico entra bruscamente in mezzo alla folla de' cicisbei. L'allegria era finita, il chiasso e le monellerie dovevano cessare, perch?? s'avanzava con grave cipiglio, severo, altezzoso il vecchio tiranno. Proprio allora che l'arte, senza idealit??, si volgeva alla vita sociale, rifacendone le smorfie, ripetendone gli scrosci di risa, riflettendone la caricatura, ma pure trovando un tesoro di osservazioni e di verit?? tra le mani di Watteau, dei Longhi e di Chodowjecki, di Leon Ghezzi, di Hogarth e Goya, sopraggiunsero l'erudizione, la filosofia, la scienza ad arrestare l'arte che dalla natura traeva nuove forze e fiori di bellezza. Il grave Mengs richiam?? in onore i princip?? dei Carracci; e Winckelmann col suo entusiasmo ideale per la bellezza antica, stringeva tutti in ammirazione innanzi alla civilt?? che a Pompei, ad Ercolano risorgeva come fenice dalle ceneri.

Allora fu che il Canova (nato l'anno 1757), moveva i primi passi nell'arte, e meditava sui gessi cavati da opere d'arte greca e romana nella galleria Farsetti a Venezia; e sentiva come lo studio del nudo fosse per la scultura la rigenerazione. Il giovinetto per??, come un uomo del Medioevo, [490] a cui la bellezza ignuda era causa di terrore e di scrupolo, opera dello spirito del male, scrive sotto l'Euridice studiata dal vero: memento mori! La mano di una Furia esce dalle vampe che si innalzano ai piedi della figura, e le afferra la destra per trarla nel Tartaro. Cos?? l'arte voleva spiegare ci?? che un antico non aveva d'uopo, e svelava l'allegoria, senz'accorgersi che, tolto il velo, doveva ricorrere, come nel Medioevo, ai cartellini, ai nastri con le scritte, ai segni ideografici, ai simboli. L'imitazione dell'antico non poteva farsi senza commenti e dilucidazioni, perch?? il pubblico, non avvinto dalla tradizione alla classica civilt?? tanto differente dalla sua, non la capiva pi??. Vero ?? che il Canova fu aiutato dal senso vivissimo della realt??, dalla sincera natura di veneto, nel tradurre, e specialmente in giovinezza, i soggetti mitologici; e se nel suo primo lavoro dell'Orfeo e Euridice, compiuto a sedici anni, traspaiono la titubanza e l'inesperienza dell'adolescente, nel successivo gruppo d'Icaro e Dedalo ?? una vivezza naturalistica tutta nuova. Dedalo sta per annodare un'ala al figlio giovinetto, ad Icaro, e gli raccomanda con paterno amore di tenersi lontano dai vapori delle onde e dal sole cocente, e lo fissa ansioso in volto; ed egli abbassa gli occhi, quasi per nascondere il desiderio di sollevarsi a volo audace. Tuttavia anche [491] qui il Canova volle indicare con diligenza il modo di allacciatura dell'ala, le corde, gli strumenti fabbrili, tutto il meccanismo dell'operazione di Dedalo. Sempre cos?? tra i moderni, quando l'arte esprime idee de' tempi lontani dalla nostra vita materiale, intellettuale e sociale, e, nonostante tutti quei particolari a schiarimento della rappresentazione e i richiami simbolici, non riesce a raccontare ai molti, e ai retori parla, e coi retori vive. Mentre nel Rinascimento, dopo la grande diffusione della cultura classica per opera degli Umanisti, era possibile innanzi alle forme ricavate dall'antico che arte e pubblico si intendessero, nella seconda met?? del secolo XVIII non era possibile pi??; perci?? l'arte andava perdendo il suffragio popolare, e si rivolgeva ai pochi che vivevano nelle biblioteche. E come smarriva il suo fine, perdeva pure il suo fondamento e il punto d'appoggio nell'architettura. Quei gruppi, quelle statue, che si reggono artificialmente, fuori dalle nicchie e dagli intercolonn??, dagli edific?? e dalle piazze, sembrano mancare di tetto, di parenti, di patria. Quando l'arte era il frutto spontaneo della civilt?? italiana, serviva sempre agli usi della vita, al decoro della casa, del palazzo signorile, della chiesa e del comune, e aveva la sua destinazione pratica, coordinata ad altre cose belle e grandi. Sul limitare del secolo [492] nostro invece ogni arte vive a s??, senza il suo sfondo naturale, separata da ci?? che l'attornia, nell'astrazione. La formula dell'arte per l'arte, formula di collettori egoisti e di spiriti gretti e sterili, gi?? si determina, e spezza l'armoniosa unit?? delle arti. In quel tempo di disgregamento nelle forme e di sfacelo negli ideali, il Canova si afferr?? all'antico, come ad ??ncora di salvezza, illuso come gli altri del suo tempo, anzi pi?? d'ogni altro, che si potesse ridare la vita ad una salma. Per raggiungere il suo scopo di sollevare a dignit?? l'arte, egli agognava di recarsi a Roma, e vi si rec?? infatti a ventidue anni. Alla sua immaginazione di artista, le rovine di Roma, opera di giganti, gli archi sotto cui passavano nelle quadrighe i trionfatori, i colossi che sembrano come atlanti sollevare la terra, esercitarono un influsso potente, un imperio, come e pi?? che sugli altri artisti di ogni et??. Il Canova rimaneva lungamente innanzi ai Dioscuri del Quirinale, forte animatissima riproduzione romana di un gruppo greco, e all'Apollo del Belvedere, buona copia d'un bronzo antico, che Winckelmann additava, come esemplare solenne della bellezza classica. Quelle traduzioni e copie, e le altre di opere greche eseguite in Roma, dopo l'ultimo secolo della Repubblica, non potevano fornire un vero saggio della idealit?? e del [493] purissimo sentimento della bellezza greca, perch?? erano come studiate pagine di prosa traducenti un canto immortale. E quelle pagine erano anche guaste, e cio?? i restauri avevano falsato il carattere di quei marmi, e la tarda levigazione ne aveva sfiorata la modellatura. Da quelle statue dei Dioscuri e dell'Apollo era possibile ricavare de' canoni, come fece il Canova, e non penetrare nell'intimit??, nel carattere della forma, nell'anima dell'arte greca, e discoprire il diapason pi?? perfetto della bellezza. Le copie, anche fedeli ed antiche, mancano del sentimento dell'opera originale, ne rendono le proporzioni, non tutto lo spirito del suo creatore, non il vivo tocco della sua mano, non la diretta e pronta osservazione della natura e della vita. Oltracci?? nella copia traluce sempre il carattere dell'esecutore, e si manifestano le abitudini della sua mano e le predilezioni del suo gusto. Nelle copie romane di opere greche la fattura ?? meno sottile, il costume pi?? pomposo, la ricerca del particolare pi?? insistente. E quante idealit?? dovettero venir meno nelle copie, quanti segni che sembrarono insignificanti, ed erano invece i segni delle aspirazioni di un popolo! Chi direbbe, ad esempio, che l'artista il quale dia alla Vergine neri e non biondi i capelli, distrugge l'idealit?? bionda della bellezza muliebre nel mondo classico; la idealit?? [494] della bellezza di Afrodite, bionda come il fulgore dell'aurora rappresentata dalla dea? Non si tratta di sottigliezze, no! Un'opera d'arte non si rif??, non si traduce, senza scemarne l'essenza e farne svanire il profumo. D'altronde innanzi al Canova erano principalmente copie romane, le libere patetiche figure della decadenza ellenica, e quelle dell'epoca alessandrina in cui la grandiosit?? della forma muscolare, la complessa ingegnosit?? della composizione, la violenza della espressione, non avrebbero dovuto servire di modello alle generazioni nuove. Tutta l'arte del Cinquecento stette attonita innanzi al gruppo rodiese del Laocoonte, lo copi??, ne fece suo sangue; e la Decadenza si affrett??. E l'arte che stava innanzi ai Dioscuri e all'Apollo del Belvedere nella seconda met?? del secolo XVIII doveva preferire i Caracci al Mantegna, le opere dell'inoltrato Rinascimento alle pi?? gentili creazioni, alle pi?? ingenue e candide forme del secolo decimoquinto. Innanzi ai Dioscuri ed all'Apollo, il Canova disconosceva i suoi Veneziani, che, a suo dire, avrebbero pensato e composto meglio se fossero stati a Roma, quasi che Gian Bellino e Giorgione, Tiziano e Paolo non giungessero nella forma alle maggiori altezze, e quasi che, col guardare all'antico, Pietro Lombardo, nella scultura, avesse guadagnato di cavalleresca eleganza nel rappresentare i zentilomeni [495] della Serenissima e Alessandro Vittoria di energia nel rendere i veneziani lupi di mare. Ma il Canova aveva detto a s?? medesimo che conveniva vedere ???la natura con l'occhio dell'antico???, mentre non era possibile veder bene a traverso quella lente d'ingrandimento e per soprappi?? impura. A persuaderlo tuttavia di guardare a quel modo concorse Gavino Hamilton di Scozia, a cui il Canova, che lo incontr?? a Roma, port?? affetto e stima come a Mentore suo. Eppure quando si vedono nel museo della Villa Borghese le pitture di Gavino Hamilton vaporose, violacee, false, non si riesce a comprendere quale strana aberrazione di idee e di gusto fosse a Roma nell'anno di grazia 1780. Forse la mano dell'Hamilton non era docile al pensiero, e questo era assai pi?? libero e giusto di quella, a giudicare dall'opera Schola pictur?? italic??, ove l'Hamilton raccolse, bench?? con criteri eclettici, molti capilavori dell'arte italiana. Avesse o no l'Hamilton un influsso sullo spirito del Canova, egli ?? certo che, nonostante le regole che si imponeva e gli esempi anche non buoni sotto gli occhi suoi, e mentre l'arte del suo tempo pareva distruggere i corpi, il Canova d'un tratto, come per incanto, diede alle sue figure un'apparenza logica e ritmica; una forma, non pi?? a strappi e a spezzature, ma svolgentesi, disegnantesi nello [496] spazio in una linea continua. Cos?? nel monumento di papa Clemente XIV ai Santi Apostoli in Roma; il quale quantunque ispirato ai mausolei de' pontefici in San Pietro, in ispecial modo a quello di Alessandro VIII, ha una linea che gira naturalmente, nobilmente dall'alto della piramide del monumento gi?? per le cornici dell'urna e i corpi della Temperanza e della Mansuetudine. La Temperanza si china in atto di abbandono sulla tomba papale, immagine del dolore che il Canova figur?? sulle sue stele sepolcrali, segno della malinconia dell'anima sua. Il dolore della terra circonda le tombe e i mausolei da lui scolpiti, non la speranza del cielo. La Mansuetudine stessa con le mani incrocicchiate e china la testa, medita sul triste destino, che tolse dalla terra il pontefice venerato. Sempre nei monumenti sepolcrali ed onorar?? del Canova, sembra che il fato persegua il mortale, e non gli dia che eredit?? di dolori e di lagrime. La immagine della Piet??, sculta dal Canova, ?? quella di una madre addolorata, con le braccia cadenti, tutta avvolta nel velo; in un'altra statua della Mansuetudine si vede una giovane meditabonda, accasciata, quasi orba di affetti. In un gruppo Venere si strugge di dolore appoggiata alla spalla di Adone; il genio funebre della tomba di papa Rezzonico esala l'anima dagli occhi; passano, in [497] un bassorilievo, in lugubre ammanto Ecuba e le venerande donne di Troia; in un gruppo Amore si abbandona sull'omero di Psiche tristemente; e nella tomba dell'Alfieri piange l'Italia, in forma di Cibele, madre dei numi; si recano lagrimanti al mausoleo di Cristina d'Austria arciduchessa, le Vestali e le Et??; portansi i drappi ai volti o le mani alla fronte le fanciulle allegoriche dei monumenti di Volpato, di Falier, del conte di Souze, del principe di Orange, della contessa d'Haro, dei Mellerio, del conte Tadini, ecc. Mai sulle tombe aleggia la speranza; il dolore copre di funebre manto i freddi marmi, e circonda la salma dei defunti: dolore pacato per??, blanda costernazione, lagrime tranquille, melanconia diffusa nel marmo. Non roteano alle fanciulle gli occhi per ispasimo sotto le palpebre, come ne' monumenti sepolcrali dei barocchi; ma nelle tonde loro orbite cadono le ombre di lutto dalle sopracciglia. Clemente XIV ?? in cattedra, stende il braccio e la mano protettrice sui fedeli. Similmente, in molti mausolei papali del quattrocento in poi, il pontefice appare anche nei sepolcri, fastoso come se fosse portato sulla cattedra in trionfo, in pontificali paludamenti, con la tiara, e in atto di benedire l'orbe cattolico; ma il Canova, a cui l'idea del fasto, dell'impero parve non propria in un mausoleo, si attenne [498] nel monumento di papa Rezzonico al tipo di quello che si vede in San Pietro di Alessandro VII, raffigurato in ginocchio come innanzi a un altare o alla maest?? dell'Eterno. Ed ecco il capolavoro del Canova, Papa Rezzonico che mormora con tremule labbra la preghiera, tutt'assorto in Dio, mentre due leoni posano nel basso, custodi della tomba sacra: l'uno con gli occhi spalancati sembra mandare dalle aperte fauci un ruggito, l'altro china la testa e chiude nelle grotte degli occhi le pupille di fuoco. Il Genio antico con le ali di cigno tiene la face riversa; e la Religione, con la croce nella destra s'avanza, e poggia la sinistra sul coperchio dell'urna. Qui pienamente si manifesta la forza del Canova nella figura del Papa e nei due leoni, mentre nel Genio funebre e nella Religione fu schiavo delle convenzioni del tempo. La Religione sembra una fantasima dalla smisurata fronte traforata da spilloni, col manto che come un baldacchino la ricopre e con la veste pesante come un materasso e la sottoveste per giunta. Quanto lontana l'allegoria dalla Religione che il Canova vide nel quadro di Tiziano al palazzo ducale in Venezia, giovane, ardente, con le auree chiome sparse, nel fulgore della luce! La sua ?? invece sopraccarica di simboli, reca una scritta sulla benda che le traversa la fronte, un'altra sulla cintura, i raggi sul capo [499] come la figura del Sole nel medioevo, la croce come una Sant'Elena. Anche negli antichi monumenti vi furono figure allegoriche, pazientemente elaboratesi nei secoli, come le Arti liberali e le Virt??; ma i loro simboli erano nel comune linguaggio, e non erano d'impaccio all'artista nel rendere l'espressione delle figure, mentre l'allegoria nuova non dall'intimit?? del sentimento, ma dall'apparenza traeva il valore, la ragione d'essere, epper?? rimaneva un logogrifo scolpito. In altro modo si allontanano dall'arte moderna il genio funebre con la face riversa, la Speranza e la Carit?? in veste romana, a bassorilievo nell'urna di Papa Rezzonico: esse appartengono a un mondo immaginario, lontano da quello ove il Papa rivolge il pensiero al cielo, e sono fuor di posto in quel luogo sacro alla fede.

Questi errori si dimenticano, quando si guardi Clemente XIII nel raccoglimento della preghiera, nell'augusta solennit?? pontificale e nella semplicit?? dell'anima pia, e quando si scorga lo studio posto dal Canova nell'opera. Vi ?? l'accuratezza straordinaria dell'artefice che rende il lustro piviale di broccato, le pieghe fitte del camice, il manto serico del genio e le sue ali leggiere di cigno, la criniera arruffata del re della foresta e i suoi unghioni lucenti e il pelo del corpo e le narici umide e fumose. Gli scalpelli, i trapani, [500] le gradine gareggiano nel rendere al vero le superfici dolci o scabre, opache o lucenti; e nel tempo in cui la scultura pareva rendere i corpi di bambagia o di porcellana, il Canova, col variare dei mezzi tecnici e degli effetti, secondo la natura e la scorza e il carattere delle cose, segna il principio di un'??ra nuova.

Ma il connubio dell'antico col nuovo, al limitare del secolo XIX, era fantasia di eruditi, non una pratica ricerca. Il genio funebre del mausoleo di Papa Rezzonico riapparir?? nei monumenti Mellerio, Stuart e in altri; la Carit?? e la Speranza scolpite in bassorilievo sull'urna papale, ingrandiranno e sul lectus, sulla sella, sul bisellium classici diverranno i prototipi delle canoviane rappresentazioni; ma il nuovo sparir?? sempre pi??. La mescolanza ineguale dell'antico col nuovo, che forma la figura della Religione, finir?? col predominio dell'antico in un tutto pi?? finito e pi?? equilibrato, ma anche pi?? materiale e pi?? gelido.

Il mutarsi delle condizioni sociali e dei costumi favor?? il predominio. I nomi degli eroi di Plutarco erano sulle labbra dei cittadini; Bruto riviveva nella rettorica repubblicana; le dame vestivano archeologicamente con le vesti alla Diana, le tuniche alla Minerva, i veli alla Vestale. Chaussard poteva descrivere l'Olimpo pagano [501] disceso al parco di Bagatelle, seguire i passi di Ebe, cadere in ginocchio innanzi a Venere, adorare le Grazie, ammirare Giunone, sfogliare le rose di Flora. L'arte romana e l'arte greca erano di moda dovunque, trionfavano col David in Francia, nel 1783 al Salon, col quadro degli Orazi, nel 1789 coi quadri di Bruto e di Paride con Elena; si affermavano con lo scultore Julien, autore della Galatea e del Gladiatore morente, e con Moitte, Roland e Chaudet. Il David ed il Canova, capi riconosciuti del movimento artistico, non vedono altro che gli eroi e gli Dei del mondo antico, e non trattano soggetti cristiani. Uno solo di questi piacque invero al Canova, che pi?? volte lo ripet??, la Maddalena penitente, ma perch?? si prestava allo studio del nudo che il Cristianesimo in genere voleva bandito. Nel panteon della storia il David come il Canova scelsero le figure e le gesta dei Grandi da scolpire: Luigi David talora per adombrare in esse gli uomini l'opera della Rivoluzione francese, Antonio Canova per ricordare i canti di Omero o per onorare la virt??. I bassorilievi rappresentanti la morte di Priamo, Socrate che prende congedo da' suoi, Socrate che beve la cicuta, Telemaco che ritorna ad Itaca, ed altri, si compongono di figure tutte tagliate di profilo e rigide; nelle statue invece Canova talora ricorda [502] la grazia vaporosa, la dolcezza molle dei decadenti del secolo XVIII in quella specie di abbandono, di stanchezza, di floscezza del marmo levigato. La sensualit?? sua si esprime, pi?? che in altra opera, nell'Amore e Psiche, gruppo composto nel 1787. Amore solleva Psiche nelle braccia, con una mano le regge il seno e con l'altra carezzosamente la testa, la quale indietro si riversa, e volgesi con occhi d'amore, con mormorii e baci a Cupido, mentre gli stende le braccia intorno al capo a mo' di ghirlanda. Cupido avvicina le labbra alle labbra di Psiche, e sospende il volo come farfalla sul calice d'un fiore.

Come si vede, il corpo nell'opera del Canova si disgombra dal carico delle vesti e dalla soma dei drappi, secondo le teoriche del Mengs che il nudo fosse il linguaggio proprio della scultura. Tanto parve naturale quell'abbandono d'ogni spoglia nel marmo che al Denon, il quale accusava lo scultore di aver effigiato nudo Napoleone, rispose Ennio Quirino Visconti che il nudo meglio risveglia l'idea dell'eternit??, non essendo mutabile come il vestimento, e che sotto la forma angolare delle nostre vesti il nudo non pu?? indicarsi, come gi?? si indic?? sotto le pieghe del pallio greco e della toga romana. Il nudo esce tornito, liscio, accarezzato dalle mani del Canova, non sodo, senza vene ed arterie sotto l'epidermide, [503] e non libero come ne' tempi antichi, ma con la pudica cura d'involarsi agli sguardi, tanto che la Venere di Canova della galleria Pitti potrebbe sembrare Susanna che voglia nascondersi agli occhi dei Vecchioni.

L'alabastrina trasparenza dei corpi si assoggetta ai canoni del Winckelmann nel profilo con la linea diritta della fronte e del naso, nella fronte brevis di Marziale o tenuis di Orazio, nei capelli ad arco concorrenti a formare l'ovale del volto, nelle ciglia sottili e nel mento di rotondit?? graziosa. La fronte doveva essere uguale alla lunghezza del naso e all'altro tratto, dalla estremit?? del naso al limite del mento; e cos?? via tutto il corpo umano era stretto nelle formule, e intanto il carattere sotto quell'algebra del bello sparisce.

Beatrice ritratta dal Canova sembra un'imperatrice velata. Laura ed Eleonora nei busti che le raffigurano potrebbero sembrare merveilleuses del Direttorio, come Calliope, Erato, Elena, Corinna, pure scolpite in busto dal Canova, e come quelle teste ideali di donna che egli invi?? in dono al conte Sommariva, al Quatrem??re de Quincy, al duca di Wellington e ad altri, tutte con un'acconciatura del capo studiatissima, tale che la Albrizzi lodava l'opera particolare del maestro nel condurre in marmo la chioma d'una sua figlia ideale, appunto perch?? l'aveva dedicata alla Francia [504] nella quale ?? s?? ingegnoso lo studio del calamistro. Ma niuna si distingue per alcun tratto fisionomico o iconografico, per una particolare impronta o per espressione nelle orbite ovali. Sono teste muliebri, alla romana o alla greca, con le guance ammorbidite e i piani del volto tondeggianti e lisci, con riccioli sulla fronte e le treccie ben pettinate e annodate; ma non respirano e stanno in un'atmosfera fredda senza lampi di pensiero.

Il Canova nello scolpire ritratti dal vero, nello studio delle fisonomie tanto varie e mobili, avrebbe richiamata la forza naturalistica della sua tempra veneziana; ma egli rifugg?? dal ritratto. ???Si ricus?? per quanto pot??, cos?? scrive Antonio d'Este suo discepolo, di fare ritratti, e se ne modell?? o scolp?? fu mosso sempre dall'affezione o da gravi motivi.??? Come uno scultore degli Augusti, egli diede a' suoi personaggi l'aspetto eroico o divino, ch?? i Romani avevano ridotta la Divinit??, cos?? altamente ideale con Fidia, a prendere l'aspetto dei mortali. E quindi Ferdinando I prese nell'opera del Canova le vestimenta di Marte, l'elmo laureato, la corazza e il paludamento; Giorgio Washington, ???l'amico del genere umano,??? sembr?? Cesare intento a scrivere i suoi commentarii; l'imperatrice Maria Luigia divenne l'immagine della Concordia diademata, con lungo scettro [505] nella destra e una patera nella sinistra; Leopoldina Esterhazy si atteggi?? come una Musa sul Parnaso, Paolina Borghese in guisa di Venere vincitrice, Maria Elisa, principessa di Lucca, come la Musa Polinnia; Letizia Bonaparte ricord?? Agrippina, e Napoleone I parve Cesare Augusto con asta nella destra e il globo sormontato dalla Vittoria alata.

Due grandi specie formano, all'infuori de' ritratti e de' monumenti sepolcrali, le opere del Canova: le une erano una reminiscenza di Arcadia, e rappresentano immagini gi?? preferite nell'adornamento di salotti, di alcove e di giardini, e quindi Danzatrici, Grazie, Veneri, Endimioni; le altre, grandi esercitazioni accademiche, ricercano la forza dei Dioscuri del Quirinale, e sono le figure tragiche dell'Ercole che scaglia Lica, Perseo, Ettore, Aiace, Damosseno e Grengante, Teseo vincitore del Centauro. Le due specie di opere esprimono le due tendenze dell'arte al principio del secolo XIX, l'una si ispira alla molle grazia dei barocchi; l'altra alla forza guerresca che per le vittorie napoleoniche balenava sulla terra. Ma le une e le altre opere non avevano sale di terme o di palazzi imperiali da adornare, n?? teatri e circhi e fori ove campeggiare, n?? aria, come al tempo antico, nei cortili e porticati e bagni della casa. Era tutta [506] un'arte che doveva finire nei musei, perch?? al di fuori lo spazio doveva essere conteso dalla popolazione in aumento e spinta innanzi in fretta, sempre pi?? in fretta, dai bisogni della vita, dell'industria, de' commerci e dalla commozione economica che scuote sempre pi?? forte la societ?? moderna. E quando come a Monaco di Baviera, si trov?? per caso strano, un re, Luigi I, che con animo romano trasform?? la citt?? sua, i suoi edifici, le statue dello Schwanthaler all'antica si posero in contrasto con le selve d'abeti del luogo, con le tradizioni dell'arte locale tutta irta di punte, le necessit?? e i sentimenti della vita moderna. L'arte non ?? buona che quando nasce nei luoghi che adorna. L'arte antica ?? un albero fossile che non pu?? pi?? dar fiori, non rallegrare di sua ombra gli uomini; e cercare innesti a quell'albero fu vano tentativo, perch?? le linfe vivificanti non vi scorrono pi?? per entro da secoli.

Invano si tent?? di costruire nuovi archi di trionfo e basiliche e teatri di forma romana, come la Madeleine, la Bourse, l'arco di trionfo del Carrousel: manc?? la opulenza, e pi?? il senso romano dell'imperio. Le parti degli edifici corrisposero forse per misure, calcoli, segni di compasso e di squadra all'antico; ma il tutto risult?? meccanico, materiale, scialbo, freddo. Tutto l'ornato gir?? in volute alla romana; ma non ebbe [507] colore, e cadde in forme identiche, calligrafiche, mancanti di sentimento architettonico. E la pittura decorativa dell'Appiani a Milano tent?? richiamare in vita le grottesche delle terme romane e delle case di Pompei; ma rimase pedantesca e senza significato nella sua convenzionale eleganza. Tutta quell'arte doveva passare come una cometa che abbia impedito di vedere il sole e di scaldarsi al sole; e lasci?? lunghi strascichi in una produzione artistica che mai la pi?? misera, della prima met?? del secolo, tutta di manichini in vestiarii di latta e di cartone. A chi guardi quell'arte tagliata nel legno o fusa nello stagno, vedr?? anche estollersi di lontano il Canova pieno di slancio per la bellezza antica, lo vedr?? meditare nei musei di Roma, patrocinarne i diritti innanzi a Napoleone che li aveva impoveriti, cercare il riscatto delle opere d'arte tolte dalla patria. Nel disfacimento dell'arte, la grande anima sper?? nell'antico, ed inizi?? uno dei tanti ritorni verso le civilt?? passate che dal secolo XVI in poi sembrano fatali, ineluttabili. Di quando in quando nel nostro mare le onde s'innalzano, e corrono impetuose alle antiche rive, ove non sono pi?? n?? le Sirene, n?? i Tritoni, n?? le Nereidi, n?? i velli d'oro; e quelle onde s'acquetano e tacciono in una morta gora. ?? fatale, e cos?? sar??, fino a che l'arte avr?? strumenti logori e mezzi insufficienti [508] e incerti ideali; l'arte classica apparir?? coi suoi esemplari eterni in un'aureola di luce. Primo tra i suoi contemporanei il Canova vide quella luce, e ne fu abbagliato. Quando alla fine del 1815, lo scultore, riscattati a Parigi i tesori d'Italia, visit?? Londra, e si vide innanzi i marmi del Partenone, le trionfali feste Panatenaiche di Fidia e della sua scuola, ove l'ideale avvolge la realt?? e la bacia, il Canova sospir?? come se avesse veduto sulla scala del bello, pi?? in alto, pi?? in alto l'arte. Come Giacobbe, egli vide quella scala diritta al cielo. Tardi, esclam??, troppo tardi! quando ebbe la visione olimpica. Ma non tardi mai, perch?? il sacrificio della sua vita doveva sollevare a maggiori idealit?? l'arte; e a' suoi sforzi due generazioni gi?? unirono i loro; e il secolo che sta per finire guarda all'antesignano, che lo ha iniziato gloriosamente. Il venerato patriarca non vide la terra promessa, ma altri nell'avvenire da lui generato vedr?? per la scala, da lui intravveduta come in un sogno tra le nebbie di Londra, salire, salire al sommo il genio dei tempi nuovi.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, cos?? come le grafie alternative (edifici/edific?? e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.






























End of Project Gutenberg's Antonio Canova (1757-1822), by Adolfo Venturi









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