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In questo capitolo vengono descritti gli aspetti nella gestione dei terminali a carattere che riguardano un utilizzo un po' più evoluto rispetto al normale. La tabella 63.1 elenca i programmi e i file a cui si accenna in questo capitolo.
Le console virtuali, che normalmente utilizzano schermi VGA, possono essere configurate in modo da utilizzare un insieme di caratteri differente da quello standard (il famigerato CP437) e anche per permettere la visualizzazione di più righe e più colonne.
Nei sistemi GNU/Linux è stato usato il programma setfont, (1) ora sostituito con consolechars, (2) per l'impostazione dei caratteri da mostrare sullo schermo di una console:
setfont [opzioni] file_di_configurazione |
consolechars [opzioni] |
È molto importante l'uso di setfont o di consolechars quando si decide di utilizzare un insieme di caratteri esteso, come ISO 8859-1 o meglio ancora come ISO 10646, per poter visualizzare caratteri come le lettere accentate maiuscole, che non fanno parte della codifica standard di un'interfaccia video a caratteri tipica.
Per ottenere il risultato, questi programmi si avvalgono di file di definizione dei caratteri, collocati nella directory /usr/share/consolefonts/
.
L'esempio seguente, visto sia per setfont, sia per consolechars, serve a ottenere la visualizzazione di caratteri utili nelle lingue europee, incluso l'arabo e l'ebraico, in uno schermo composto da 25 righe.
#
setfont /usr/share/consolefonts/LatArCyrHeb-16.psf
[Invio]
#
consolechars -f /usr/share/consolefonts/LatArCyrHeb-16.psf
[Invio]
Eventualmente, se la dimensione dei caratteri non è quella desiderata, si possono provare altri file della famiglia LatArCyrHeb-*.psf
.
Per approfondire la sintassi di questi programmi, si veda la pagina di manuale setfont(8) oppure consolechars(8).
Per i sistemi GNU/Linux esiste anche un altro programma che, oltre a definire l'insieme di caratteri, consente di sfruttare le caratteristiche della grafica VGA per ridimensionare lo schermo, allo scopo di consentire la visualizzazione di più righe e colonne:
SVGATextMode [opzioni] [Voce_di_configurazione] |
SVGATextMode, (3) per funzionare, non richiede il riavvio del sistema, interviene su tutte le console virtuali, però può entrare in conflitto con altri programmi che accedono direttamente alla gestione dell'adattatore grafico VGA. Sotto questo aspetto, sarebbe bene limitare l'uso di questo programma ai sistemi in cui non si usano programmi che richiedono la grafica o che emulano altri sistemi operativi.
È necessaria la configurazione con il file /etc/TextConfig
, piuttosto complesso. Generalmente, questo viene fornito già pronto per essere utilizzato con un adattatore grafico VGA standard, con un insieme di caratteri ISO 8859-1 normale.
Questa configurazione potrebbe andare bene, se non fosse che la codifica scelta non permette la visualizzazione dei caratteri pseudo-grafici utilizzati per le cornici nei programmi a tutto schermo come Midnight Commander (mc). Sarebbe il caso di modificare il file di configurazione in modo che contenga le righe seguenti, in pratica ritoccando quelle corrispondenti della configurazione originale.
|
Più avanti, nello stesso file di configurazione sono elencate le varie risoluzioni video a cui si può fare riferimento quando si vuole utilizzare SVGATextMode.
|
In base a quanto mostrato, si può tentare di visualizzare una schermata di 80 caratteri per 30 righe, con il comando seguente:
#
SVGATextMode 80x30x8
[Invio]
In generale, non è conveniente modificare la definizione delle risoluzioni disponibili; tuttavia, per approfondire il significato delle righe che compongono l'esempio di configurazione mostrato poco sopra, occorre conoscere in che modo si configura XFree86, in particolare la sezione Monitor.
Per approfondire l'uso di questo programma, si vedano le pagine di manuale SVGATextMode(8) e TextConfig(5).
Il mouse, in un terminale a caratteri, non è una cosa tanto comune. È normale in un ambiente grafico, ma nel caso di GNU/Linux c'è la possibilità di usarlo anche nelle console virtuali. Per gestire un mouse in questa situazione è necessario un demone che si occupi di seguirlo e di fornire ai programmi le informazioni sulle azioni del mouse stesso. Si tratta in pratica di un servente per la gestione del mouse. Trattandosi di un servente, i programmi con cui si può interagire con il mouse sono dei clienti e dipendono dal servente per il tipo di comunicazione che tra loro deve instaurarsi.
Il servente utilizzato normalmente per GNU/Linux è il demone gpm, il quale ha in particolare il vantaggio di essere utile anche con i programmi che non sono fatti per il mouse, per copiare e incollare del testo.
In alcune situazioni, la gestione del mouse può diventare conflittuale, per esempio quando si utilizza un cosiddetto mouse bus (bus-mouse). In questa situazione non è possibile avere più programmi che leggono contemporaneamente il dispositivo corrispondente al mouse; in pratica non ci può essere in funzione il demone gpm assieme al sistema grafico X (a meno che X si avvalga proprio di gpm) e nemmeno possono essere messi in funzione più sistemi grafici contemporaneamente. Il demone gpm è in grado di risolvere il problema occupandosi da solo del mouse e passando a tutte le altre applicazioni eventuali le informazioni sulle azioni compiute con il mouse stesso.
Per convenzione, il file /dev/mouse
dovrebbe corrispondere al dispositivo del mouse. In pratica, si crea un collegamento simbolico con questo nome che punta al dispositivo corrispondente al mouse utilizzato effettivamente. Di solito è lo stesso programma di installazione delle distribuzioni GNU/Linux a farlo.
Nel caso particolare dei mouse seriali, cioè di quelli connessi a una porta seriale, sono stati usati in passato i dispositivi /dev/cua*
. Attualmente, questi sono diventati obsoleti e al loro posto si fa riferimento ai corrispondenti /dev/ttyS*
.
Quando la lettura di questo dispositivo può essere solo esclusiva, a causa della sua natura, per evitare conflitti tra i programmi nel modo descritto in precedenza, si può creare il file FIFO /dev/gpmdata
. Questo viene gestito dal demone gpm allo scopo di fornire a tutti gli altri programmi che accedono direttamente al mouse le informazioni sulle azioni compiute con lo stesso.
#
mknod /dev/gpmdata p
[Invio]
Il comando appena mostrato è ciò che serve per creare questo file nel caso non sia già disponibile. Per fare in modo che gpm gestisca questo file e di conseguenza si occupi del mouse in qualunque situazione, deve essere utilizzata l'opzione -R. Inoltre, se si utilizza il sistema grafico XFree86 è necessario modificare manualmente la sua configurazione (il file /etc/X11/XF86Config
) nella sezione Pointer, come si vede nell'esempio seguente:
|
Se si usano programmi che si avvalgono di SVGAlib, conviene configurare il file /etc/vga/libvga.config
con le direttive seguenti:
|
In pratica, per il sistema grafico X e per qualunque altro programma che dovesse accedere al dispositivo del mouse direttamente, si deve fare riferimento al tipo di mouse IntelliMouse, utilizzando il file di dispositivo /dev/gpmdata
.
|
Il programma mdetect (4) è in grado di individuare un mouse che non è già utilizzato in qualche modo. Il risultato della scansione può essere usato per configurare gpm, o anche XFree86. Generalmente, quando si avvia mdetect è bene muovere il mouse in modo da facilitarne l'individuazione.
mdetect [opzioni] |
Segue la descrizione di alcuni esempi.
#
mdetect
[Invio]
Scandisce le porte che potrebbero ospitare un mouse e genera un risultato che dovrebbe essere adatto alla configurazione di gpm, per esempio come quello seguente:
|
Come si vede, si tratta di un mouse PS/2, corrispondente al file di dispositivo /dev/psaux
.
#
mdetect -x
[Invio]
Scandisce le porte che potrebbero ospitare un mouse e genera un risultato adatto al file di configurazione di XFree86 versione 4.*. Se si trattasse del mouse descritto nell'esempio precedente, il risultato sarebbe quello seguente:
|
#
mdetect -x -v
[Invio]
Come nell'esempio seguente, ma alla fine dà un pezzo di codice da inserire direttamente nel file di configurazione di XFree86 versione 4.*:
|
Per la precisione, la parte di codice da inserire è esattamente questa:
|
Il programma gpm (5) è un demone in grado di permettere operazioni di copia-incolla con i programmi normali e di fornire a quelli predisposti l'accesso a tutte le funzionalità del mouse. Può essere messa in funzione una sola copia del programma alla volta, di conseguenza è normale che gpm venga avviato una volta per tutte attraverso la procedura di inizializzazione del sistema.
gpm [opzioni] |
A meno di fare uso di opzioni particolari, gpm si aspetta di trovare il collegamento /dev/mouse
che punti al file di dispositivo corrispondente al mouse effettivamente a disposizione.
Se gpm viene utilizzato con l'opzione -R, allora si abilita la gestione del file FIFO |
|
|
Il funzionamento è relativamente semplice. Quando il mouse è riconosciuto dal programma che si sta utilizzando, dipende da questo il modo di gestire e interpretare le azioni compiute con il mouse. Quando il programma non è in grado di controllare il mouse, è possibile utilizzare il supporto alle operazioni di copia-incolla.
Si seleziona una zona dello schermo premendo il primo tasto e trascinando fino alla posizione finale. Per incollare si può cambiare console virtuale, raggiungendo così l'applicazione all'interno della quale incollare il testo, quindi si preme il secondo tasto, o in mancanza il terzo. Il testo viene inserito come se fosse digitato, di conseguenza occorre che il programma lo permetta.
Il terzo tasto, quando non dovesse servire per incollare, permette di estendere una selezione già iniziata e non completata.
L'opzione -S permette di definire tre comandi, separati con il simbolo due punti (:), da eseguire in occasione di un clic triplo con il primo e il terzo tasto. In pratica, si tiene premuto il primo o il terzo tasto, mentre con l'altro (il terzo o il primo rispettivamente) si esegue un clic triplo in rapida successione. Se entro tre secondi dal rilascio dei tasti viene premuto uno dei tre tasti, viene eseguito uno dei comandi indicati nell'argomento di questa opzione.
Per esempio, se si utilizza l'opzione -S "echo ciao:echo hello:echo bye" e si preme un clic triplo, del tipo descritto, seguito dalla pressione del primo tasto, si ottiene l'esecuzione di echo ciao, cioè viene visualizzata la parola ciao. Se invece alla fine si seleziona il secondo tasto, si ottiene la parola hello. Infine, se si tratta del terzo tasto, si ottiene bye.
Questo sistema potrebbe essere particolarmente utile per definire un comando per il riavvio del sistema, quando per qualche motivo non si può usare la tastiera per farlo e non si rendono disponibili altre alternative.
Segue la descrizione di alcuni esempi.
#
gpm -t imps2
[Invio]
Avvia gpm predisponendolo per utilizzare un mouse PS/2 a tre tasti con rotellina (va bene anche se la rotellina non c'è e se i tasti sono solo due).
#
gpm -R -t imps2
[Invio]
Avvia gpm predisponendolo per utilizzare un mouse PS/2 a tre tasti con rotellina, abilitando la gestione del file /dev/gpmdata
. Il sistema grafico X e altri programmi che dovessero accedere direttamente al dispositivo del mouse, dovrebbero essere istruiti a utilizzare il file /dev/gpmdata
, corrispondente a un mouse MouseSystems.
#
gpm -t imps2 -m /dev/psaux -R ms3
[Invio]
Come nell'esempio precedente, avvia gpm predisponendolo per utilizzare un mouse PS/2 a tre tasti con rotellina, abilitando la gestione del file /dev/gpmdata
; in particolare viene specificato il file di dispositivo del mouse e il tipo di protocollo da usare per la comunicazione attraverso il file /dev/gpmdata
.
#
gpm -S "shutdown -h now:shutdown -r now:init 0"
[Invio]
Avvia gpm definendo i comandi speciali da eseguire in caso di un clic triplo. Se dopo il clic triplo si preme il primo tasto, si conclude l'attività del sistema; se si preme il secondo, si riavvia; se si preme il terzo, si conclude l'attività, ma attraverso una chiamata diretta all'eseguibile init.
Si è accennato al fatto che il demone gpm venga avviato normalmente dalla procedura di inizializzazione del sistema, nel modo già stabilito dalla stessa distribuzione GNU/Linux che si utilizza. Se si vogliono gestire funzionalità speciali di gpm, come per esempio il file FIFO /dev/gpmdata
, cosa che si ottiene con l'opzione -R, occorre intervenire nello script che avvia questo demone.
Alcune distribuzioni, prevedono un file di configurazione contenente l'assegnamento di variabili di ambiente che poi vengono incorporate e utilizzate nello script di avvio del servizio gpm. Tuttavia potrebbe non essere stata prevista la possibilità di aggiungere delle opzioni ulteriori; in tal caso si deve intervenire direttamente nello script.
In particolare, la distribuzione Red Hat gestisce il servizio attraverso lo script /etc/rc.d/init.d/gpm
, mentre la distribuzione Debian usa il file /etc/init.d/gpm
. Inoltre, la distribuzione Debian mette a disposizione lo script gpmconfig per facilitare l'intervento nel file di configurazione, corrispondente a /etc/gpm.conf
.
L'attività svolta durante una sessione di lavoro attraverso un terminale potrebbe essere registrata volontariamente in modo da annotare le operazioni svolte, eventualmente anche a titolo di prova, come potrebbe essere l'esecuzione di un test di esame.
In aggiunta, le console virtuali di GNU/Linux possono essere osservate attraverso dei dispositivi appositi: /dev/vcs*
.
Il programma script (6) permette di registrare la sessione di lavoro svolta attraverso un terminale a caratteri. Si avvia il programma e questo avvia una copia della shell predefinita; da quel momento, tutto ciò che viene digitato ed emesso attraverso il terminale viene memorizzato in un file. Il file può essere indicato nella riga di comando, altrimenti viene creato il file typescript
nella directory corrente.
script [-a] file |
L'opzione -a permette di continuare la registrazione in un file già utilizzato in precedenza, senza cancellarlo inizialmente.
Per terminare l'esecuzione della registrazione della sessione di lavoro, basta concludere l'attività della shell avviata da script; di solito si tratta di utilizzare il comando exit.
I file di dispositivo /dev/vcs*
, definiti Virtual console capture device, possono essere usati per visualizzare lo schermo di una console particolare. Il meccanismo è estremamente banale, in quanto basta leggere il loro contenuto: in ogni momento, il risultato che si ottiene da questa lettura è l'immagine dello schermo di quella console particolare che quel dispositivo rappresenta.
#
cat /dev/vcs1
[Invio]
L'esempio mostra la visualizzazione del contenuto dello schermo della prima console virtuale, corrispondente al dispositivo /dev/tty1
, dell'istante in cui si esegue il comando.
In particolare, il dispositivo /dev/vcs0
fa riferimento alla console virtuale attiva, mentre i file contrassegnati da un numero finale (diverso da zero) corrispondono alle rispettive console virtuali, identificate in modo preciso tramite quel numero.
Le console virtuali di GNU/Linux sono gestite normalmente attraverso la configurazione del file /etc/inittab
, in cui, a seconda del livello di esecuzione, si attivano diversi programmi Getty abbinati ad altrettanti terminali o console virtuali. Generalmente, in questo modo, non vengono utilizzate tutte le console virtuali possibili, pertanto quelle rimanenti potrebbero essere sfruttate per altri scopi.
Le console virtuali disponibili possono essere utilizzate per visualizzare in modo continuo informazioni utili sul funzionamento del sistema, come per esempio quelle provenienti da un file per le registrazioni del sistema (log).
#
tail -f /var/log/messages > /dev/tty10 &
[Invio]
L'esempio mostra l'utilizzo di tail per visualizzare la fine del file /var/log/messages
e tutte le righe che gli vengono aggiunte successivamente. Invece di impegnare il terminale dal quale viene avviato, il comando viene messo sullo sfondo (&) e l'output viene emesso attraverso la decima console virtuale (che si presume sia disponibile).
Il programma open (7) permette di avviare un comando in una nuova console virtuale (non utilizzata precedentemente). Per distinguere il comando dalle opzioni di open si utilizza un trattino doppio (--) per segnalare l'inizio del comando stesso.
open [opzioni] [--] comando [opzioni_del_comando] |
|
Segue la descrizione di alcuni esempi.
#
open bash
[Invio]
Avvia l'eseguibile bash nella prima console virtuale libera.
#
open -l bash
[Invio]
Avvia l'eseguibile bash nella prima console virtuale libera, trattando il processo relativo come una shell di login.
#
open -c 10 -l bash
[Invio]
Come nell'esempio precedente, utilizzando espressamente la decima console virtuale.
#
open -- ls -l
[Invio]
Esegue il comando ls -l utilizzando la prima console virtuale libera. In questo caso, dovendo indicare un comando con argomenti, è stato inserito il trattino doppio per segnalare l'inizio del comando stesso.
Il programma switchto (8) permette di selezionare una console virtuale particolare. Può essere utile in uno script.
switchto n |
L'esempio seguente mostra il passaggio all'undicesima console virtuale:
#
switchto 11
[Invio]
È già stato descritto più volte il funzionamento delle console virtuali di GNU/Linux, che, attraverso una sola console fisica, permettono la gestione di più sessioni di lavoro differenti, a cui si accede generalmente con le combinazioni di tasti [Ctrl Fn], oppure [Ctrl Alt Fn]. Un effetto simile si può ottenere attraverso dei programmi, che possono essere utilizzati anche quando non si dispone di una console GNU/Linux.
Un programma che svolga questo compito non è così comodo da utilizzare come può esserlo una console virtuale, però può offrire delle possibilità in più. Per esempio, potrebbe trasferire il terminale virtuale su un altro terminale fisico, senza dover sospendere, né interrompere, il lavoro che si stava svolgendo. In pratica, l'unico programma che si utilizzi per questo scopo è Screen, (9) che permette di fare una quantità di cose, anche il trasferimento di un terminale virtuale a un altro utente (consentendo a questo di continuare il lavoro).
Lo studio di Screen è impegnativo come lo è l'approfondimento di una shell sofisticata. Qui si vogliono mostrare solo i rudimenti, trascurando volutamente funzionalità che, se utilizzate, richiederebbero attenzione per ciò che riguarda la sicurezza.
Screen è un programma (in pratica si tratta dell'eseguibile screen) che si interpone tra una shell (o un applicativo diverso) e il terminale utilizzato effettivamente. In pratica, si tratta di un gestore di finestre a caratteri che, tra le altre cose, permette di aprire più sessioni contemporanee utilizzando un solo terminale fisico.
Ogni terminale virtuale, ovvero ogni finestra, mette a disposizione le funzionalità di un terminale VT100 con delle estensioni di vario tipo. Per ogni finestra viene conservato uno storico delle ultime righe visualizzate, permettendo lo scorrimento all'indietro e la copia di porzioni di questo all'interno dello standard input della stessa o di un'altra finestra.
Come si può intuire, per accedere alle funzionalità offerte da Screen occorre utilizzare dei comandi composti da combinazioni di tasti che vengono intercettati da questo, senza essere passati all'applicazione sottostante, provocando così un'alterazione del comportamento normale di queste applicazioni.
Spesso, viene attivato il bit SUID al binario screen, assieme all'attribuzione della proprietà all'utente root. Ciò permette a Screen di fare una serie di cose molto comode, ma richiede attenzione nella sua configurazione, perché ciò potrebbe tradursi in un pericolo in più per chi lo utilizza. Se non si vuole approfondire tanto l'uso di Screen, sarebbe meglio togliere tale permesso.
#
chmod ug-s /usr/bin/screen
[Invio]
Se Screen è in condizione di poterlo fare (di solito solo se è attivato il bit SUID per il binario screen e questo appartiene all'utente root), aggiorna il file /etc/utmp
, cosa che consente di tenere traccia anche di tutti i terminali virtuali aperti attraverso di esso.
Per poter funzionare, Screen deve creare una pipe con nome, ovvero un file FIFO, per ogni gruppo di finestre aperto, cioè per ogni terminale fisico a cui è connesso effettivamente. Tale file viene definito socket da Screen e dalla sua documentazione. Questo file può essere creato in varie posizioni, a seconda di come sono stati compilati i sorgenti. Se il binario screen è stato previsto con il bit SUID attivo, questo file FIFO potrebbe essere creato nella directory /tmp/screens/S-utente/
, oppure, più utilmente, potrebbe essere creato nella directory ~/.screen/
. È da ritenere che questa ultima scelta sia la migliore; volendo, si può utilizzare la variabile di ambiente SCREENDIR per indicare il percorso della directory che Screen deve usare per i file FIFO.
Il nome utilizzato per il file FIFO serve a identificare una particolare sessione di lavoro di Screen, assieme a tutte le finestre gestite attraverso questa. Di solito, si tratta di un nome articolato secondo il modello seguente:
pid.terminale.nodo |
Per esempio, 123.tty4.dinkel è il modo con cui si identifica la sessione di Screen che ha il numero PID 123, utilizza il terminale corrispondente al dispositivo /dev/tty4
, sul sistema chiamato dinkel.
Una sessione di Screen, quando è in funzione regolarmente, è attaccata al terminale fisico che si utilizza effettivamente (questo terminale fisico può anche essere una console virtuale di GNU/Linux). La sessione può essere distaccata e successivamente riattaccata altrove, presso un altro terminale fisico. Le applicazioni in funzione nelle varie finestre di una sessione distaccata, continuano a funzionare regolarmente. Di solito, a meno di modificare la configurazione predefinita, un segnale di aggancio (SIGHUP), che generalmente si ottiene disconnettendo la linea attraverso cui è collegato il terminale, provoca solo il distacco della sessione, senza coinvolgere le applicazioni.
Screen può essere controllato attraverso file di configurazione, la cui collocazione può essere varia. Potrebbe trattarsi di /etc/screenrc
per la configurazione globale e di ~/.screenrc
per la personalizzazione di ogni utente. Le direttive di questi file non vengono mostrate qui; eventualmente si può consultare la documentazione originale: screen(1).
Screen imposta automaticamente la variabile TERM al valore screen, in modo da informare opportunamente le applicazioni di adattarsi alle sue caratteristiche.
Quasi tutti i comandi che possono essere impartiti a Screen sono prefissati dalla combinazione [Ctrl a], alla quale segue poi una sequenza di caratteri o di altre combinazioni di tasti, che ovviamente non vengono passati all'applicazione sottostante. Se però si vuole passare proprio la combinazione [Ctrl a] all'applicazione, si deve usare la sequenza [Ctrl a][a].
A volte, Screen ha la necessità di fornire delle indicazioni. Ciò viene fatto sovrascrivendo parte della finestra in uso, di solito nell'ultima riga. Dopo pochi secondi, i messaggi vengono rimossi, ripristinando il testo precedente.
Screen si compone in pratica dell'eseguibile binario screen. Come accennato in precedenza, viene predisposto spesso in modo da avere il bit SUID attivo e da essere proprietà dell'utente root. Se non si richiedono funzionalità particolari a questo programma, non è necessaria tale politica.
screen [opzioni] [comando [argomenti_del_comando]] |
Il programma screen può essere avviato per iniziare una sessione di lavoro attraverso cui gestire delle applicazioni contenute in finestre differenti, oppure per altre funzionalità descritte in occasione della presentazione delle opzioni. Quando si avvia screen in modo normale, si può aggiungere l'indicazione di un comando (con i suoi argomenti), che si vuole avviare all'interno della prima finestra. Se questo comando non viene specificato, screen avvia una shell (quella indicata nella variabile di ambiente SHELL, oppure /bin/sh
in sua mancanza).
Quando un programma ospitato all'interno di una finestra di screen termina di funzionare, la finestra relativa si chiude. Quando una sessione non ha più finestre, termina di funzionare anche il processo screen relativo.
|
Segue la descrizione di alcuni esempi.
$
screen
[Invio]
Avvia una sessione di Screen sul terminale da cui si esegue il comando, aprendo la shell predefinita nella prima finestra.
$
screen -U
[Invio]
Come nell'esempio precedente, richiedendo espressamente l'uso della codifica UTF-8 per il terminale.
$
screen mc
[Invio]
Avvia una sessione di Screen sul terminale da cui si esegue il comando, avviando il programma mc, senza argomenti, nella prima finestra.
$
screen -ls
[Invio]
Elenca le sessioni aperte dall'utente.
$
screen -d tty2
[Invio]
Distacca la sessione in funzione sul terminale identificato dal dispositivo /dev/tty2
(in pratica, la seconda console virtuale). Non vengono indicate altre informazioni per il nome della sessione, perché probabilmente l'informazione del terminale è sufficiente e non crea ambiguità.
$
screen -d
[Invio]
Distacca la prima sessione attiva appartenente all'utente stesso.
$
screen -r tty2
[Invio]
Attacca, sul terminale da cui si dà il comando, la sessione che in origine è stata avviata sul terminale /dev/tty2
e successivamente distaccata.
$
screen -r
[Invio]
Attacca la prima sessione libera che trova.
$
screen -d -r tty2
[Invio]
Distacca la sessione in funzione sul terminale identificato dal dispositivo /dev/tty2
, riattaccandola sul terminale da cui si dà il comando.
$
screen -d -r
[Invio]
Distacca la prima sessione attiva che trova e la riattacca sul terminale da cui si dà il comando.
Una volta avviato l'eseguibile screen, si può interagire con questo attraverso una serie di comandi composti da combinazioni di tasti. Nella maggior parte dei casi si tratta di sequenze iniziate dalla combinazione [Ctrl a].
Per motivi di compatibilità, spesso sono disponibili diversi tipi di sequenze per lo stesso risultato. Nella tabella 63.16 vengono elencate solo alcune di queste sequenze; per un elenco completo occorre leggere la documentazione originale, costituita dalla pagina di manuale: screen(1).
|
Le operazioni più complesse sono quelle che riguardano la copia e l'inserimento di testo che proviene da quanto visualizzato attualmente, o nel testo precedente. Infatti, per ogni finestra viene conservato uno storico delle righe visualizzate, che può essere rivisto e dal quale si possono prelevare delle parti, inserendole in una memoria tampone (la documentazione screen(1) parla di paste buffer).
Con il comando [Ctrl a][Esc] si inizia la modalità di scorrimento e copia, cosa che blocca il funzionamento dell'applicazione che utilizza la finestra attiva. Da quel momento, si possono usare i tasti freccia e pagina per spostare il cursore; eventualmente si possono usare i tasti [h], [j], [k] e [l], come si fa con VI. Si possono anche fare delle ricerche nello stile di VI, con i comandi [/] e [?].
Quando si raggiunge il pezzo che si vuole copiare nella memoria tampone, lo si deve delimitare. Ciò si ottiene normalmente premendo il tasto [barra spaziatrice] nel punto di inizio, quindi si fa scorrere il cursore nel punto finale e si preme nuovamente la [barra spaziatrice] per concludere. La selezione del testo coincide anche con la conclusione della modalità di scorrimento e copia, cosa che dopo poco fa riprendere il funzionamento del programma.
È possibile anche la selezione di testo in modo rettangolare. Per questo, dopo aver premuto la [barra spaziatrice] per indicare il punto di inizio, si deve aggiungere anche il tasto [c], a indicare un bordo sinistro, oppure [C] a indicare un bordo destro. Successivamente, quando si raggiunge anche il punto finale, si preme nuovamente [C], oppure [c] (a seconda di come si è iniziato) prima della [barra spaziatrice].
Infine, il comando [Ctrl a][]] inserisce il testo, accumulato precedentemente nella memoria tampone, nello standard input dell'applicazione contenuta nella finestra attiva.
Il programma Screen consente di definire la sua configurazione attraverso i file /etc/screenrc
e ~/.screenrc
(il primo per tutto il sistema; il secondo per ogni utente). In alternativa, attraverso l'opzione -c si può indicare un file differente.
Il contenuto del file di configurazione si compone di commenti, preceduti dal simbolo #, righe vuote, righe bianche e direttive. Le informazioni utili sono costituite soltanto dalle direttive, che sono istruzioni semplici, disposte normalmente su una sola riga.
A ogni terminale a caratteri gestito presso il proprio elaboratore, corrisponde un file di dispositivo, che di norma si individua con il programma tty:
$
tty
[Invio]
/dev/tty5 |
Il risultato del comando tty è relativo all'elaboratore presso il quale si sta operando, pertanto, se si tratta di un accesso remoto, il file di dispositivo riportato è inteso essere quello corrispondente nell'elaboratore remoto. Si cerchi di seguire l'esempio seguente, dove dall'elaboratore «A» ci si collega all'elaboratore «B», con l'aiuto di un programma appropriato:
A$
tty
[Invio]
Ci si trova seduti davanti alla console dell'elaboratore «A» e si controlla quale file di dispositivo corrisponde alla propria console; si suppone si tratti della quinta console virtuale di un sistema GNU/Linux:
/dev/tty5 |
Con l'aiuto di un programma appropriato, ci si collega all'elaboratore «B» (che ha indirizzo IPv4 172.17.1.2):
A$
ssh 172.21.1.2
[Invio]
Password:
digitazione_all'oscuro
[Invio]
Last login: ... from ... |
B$
A questo punto, pur essendo seduti davanti alla console dell'elaboratore «A», si sta lavorando nell'elaboratore «B». Si verifica il file di dispositivo corrispondente al terminale usato:
B$
tty
[Invio]
/dev/pts/2 |
Nonostante questo, rimane il fatto che il terminale usato presso l'elaboratore «A», ovvero quello locale, è /dev/tty5
; attraverso tale terminale si accede all'elaboratore remoto «B»; presso l'elaboratore «B» il terminale usato è /dev/pts/2
.
Se presso l'elaboratore «A» un programma fosse in grado di controllare il file di dispositivo |
Questa premessa è necessaria per comprendere il funzionamento del programma pconsole, (10) con il quale è possibile inviare un comando simultaneamente a più terminali, utilizzando i file di dispositivo locali:
pconsole |
Il programma pconsole si usa senza argomenti, con i privilegi dell'utente root, ma dopo l'avvio gli si devono impartire dei comandi:
#
pconsole
[Invio]
pconsole WJ101 pconsole command mode |
>>>
Con il comando help è possibile ottenere il riepilogo dei comandi disponibili:
>>>
help
[Invio]
help Give help about the available commands ? short-cut for 'help' version Display version information echo Turn echo on or off attach Attach to a tty device detach Detach from a tty device list Show devices currently attached to connect Leave command mode quit Exit pconsole exit Exit pconsole |
>>>
quit
[Invio]
Il programma ha due stati di funzionamento: la modalità di comando, corrispondente a quella mostrata negli esempi; la modalità di invio. La modalità di comando serve, evidentemente, per impartire dei comandi, mentre l'altra modalità consente di passare all'inserimento di testo da inviare ai terminali che risultano attaccati. In pratica, prima ci si attacca a dei terminali, ovvero ai file di dispositivo corrispondenti, quindi si passa in modalità di inserimento e ciò che si scrive, viene eseguito in tutti i terminali relativi; quello che non si può fare attraverso pconsole è di «vedere» ciò che accade presso i vari terminali.
Per passare alla modalità di comando, si usa il codice <SOH>, ovvero <^a>, che normalmente si ottiene con la combinazione [Ctrl a]; per passare alla modalità di invio, si usa il codice <EOT>, ovvero <^d>, che normalmente si ottiene con la combinazione [Ctrl d].
È abbastanza difficile mostrare un esempio completo di utilizzo del programma pconsole; per capire ciò che si vuole sintetizzare nei comandi seguenti richiede una buona dose di intuito. Per cominciare, si suppone di avere aperto diversi terminali; in particolare interessano la console virtuale corrispondente al file di dispositivo /dev/tty3
e un terminale grafico corrispondente al file di dispositivo /dev/pts/4
. Presso un altro terminale libero (una console virtuale o un terminale grafico, senza che ciò faccia differenza) si avvia pconsole e ci si «attacca» ai due terminali già nominati:
#
pconsole
[Invio]
pconsole WJ101 pconsole command mode |
>>>
attach /dev/tty3
[Invio]
attaching /dev/tty3 : Ok |
>>>
attach /dev/pts/4
[Invio]
attaching /dev/pts/4 : Ok |
Con il comando list si può vedere quali terminali risultano attaccati:
>>>
list
[Invio]
Currently attached to: /dev/tty3 (device no 4, 3) /dev/pts/4 (device no 136, 4) |
Si decide di passare alla modalità di inserimento:
>>>
[Ctrl d]
Press <Ctrl-A> for command mode |
>
Come si può osservare, invito assume una forma più breve, per ricordare che ci si trova nella modalità di inserimento. Da qui si vuole semplicemente impartire il comando ls, che viene eseguito in pratica nei due terminali controllati da pconsole:
>
ls
[Invio]
Dal terminale dove si sta usando pconsole, non si vede alcun risultato; per sapere cosa è successo effettivamente, occorre invece passare agli altri terminali.
Al termine, si torna alla modalità di comando:
>
[Ctrl a]
pconsole command mode |
>>>
A questo punto si può chiudere:
>>>
quit
[Invio]
detaching from /dev/tty3 : Ok detaching from /dev/pts/4 : Ok |
Per concludere, c'è da osservare che la documentazione di Pconsole suggerisce di attribuire al programma i permessi SUID-root, per consentire a tutti gli utenti di usarlo; tuttavia, ciò è sicuramente sconsigliabile per motivi di sicurezza.
Chris Bagwell, The Linux busmouse HOWTO
<http://www.linux.org/docs/ldp/howto/HOWTO-INDEX/howtos.html>
Appunti di informatica libera 2006.01.01 --- Copyright © 2000-2006 Daniele Giacomini -- <daniele (ad) swlibero·org>, <daniele·giacomini (ad) poste·it>
1) Linux console font and keytable utilities dominio pubblico, salva la licenza particolare di alcuni tipi speciali di carattere
2) Linux console tools GNU GPL
3) SVGATextMode GNU GPL
4) mdetect In parte QPL 1.0 e in parte GNU GPL
5) General purpose mouse interface utility GNU GPL
Dovrebbe essere possibile fare riferimento a questa pagina anche con il nome utilizzo_piu_evoluto_del_terminale_a_caratteri.htm
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