Edizione di riferimento
Giacomo Leopardi, Tutte le opere, Introduzione di Walter Binni, a cura di Walter Binni, con la collaborazione di Enrico Ghidetti, Firenze 1989
Giacomo Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, edizione integrale, Newton, Roma 1997
Là del Giordan su l'arenosa sponda
Vasta pianura i suoi feraci stende,
Ameni campi cui la limpid'onda
Irriga, ed il terren fertile rende,
Terren, su' cui con dominante impero
Stende lo scettro il Moabita altero
Quivi di forze, e ardire alto portento
Il popol d'Israello arresta il passo,
E qual procella, o vorticoso vento,
O qual veloce smisurato masso,
Che orrendo cade da la cima alpina
Solo strage promette, e sol ruina
Erge il suo volo al ciel d'alto terrore
Nunzia la fama, e a ognun dipinge il volto
Di tristezza, di lutto, e di pallore;
Si trema, e piange, e in nere spoglie avvolto
Chi straccia il crine, e chi percuote il petto,
Celer fugge da lor calma, e diletto
Balac il rege pensieroso, e incerto
Impallidisce anch'esso, il popol mira
Oppresso dal timore, e quasi certo
Il suo perir; già furibonda l'ira
Tutta gli turba l'agitata mente,
E vicino il nemico e vede, e sente
Mentre dubbioso pende, almo pensiero
Gli si presenta alfin; tale in procella
Orrida, e nera il provido nocchiero
Mira ricomparir l'amica stella,
Che fra l'oscuro, turbinoso velo
Il tremulo fulgor spande nel cielo
Lungo la riva de l'ondoso Eufrate,
Sol mascherato di pietà l'aspetto
Fra le deserte selve inabitate
Ha l'empio Balaamo umil ricetto,
Che Profeta creduto, in ozio lento
Mena la vita a gl'incantesmi intento
In maledir possente, e d'onor vago,
De l'oro amico, e d'alterigia pieno,
Ipocrita maligno, ignoto mago,
In sorte amica ognor lieto, e sereno,
Squallido ne l'avversa, e pien di sdegno;
Eletto vien liberator del regno
Questi, è colui, che ad Israel cotanto
Danno apportò con gli empj suo consiglj,
Quegli ch'ottenne l'esecrato vanto
I più fieri aumentar neri periglj,
Quei, che solo inspirò spavento, e orrore
A l'esercito altero, e vincitore
E già del Rege al cenno imperioso,
Aurati doni, e gemme in man recando,
Cinti da popol folto, e numeroso
Se n'escono ubbidienti al rio comando
Da la patria region, dai campi aprici
A l'empio Balam Messaggeri amici
Già d'Aram la città l'albergo umile
Scorgon vicin, su' cui quercia frondosa
Stende i suoi rami, appiè del tronco il vile
Terreo tugurio stassi infra l'ombrosa,
Ampia selva, che il cinge d'ogni intorno,
E toglier sembra a lui l'amico giorno
Ansiosi il passo ad affrettar si danno,
Gioia, e timor fansi ad ognun presenti;
Forse per questi libere saranno
Le nostre mura, e i gravi mali, e i stenti
Forse per lui lungi scacciar potremo,
E fors'anche tornar mesti dovremo
Così dicean del sospirato evento
Dubbiosi, e incerti, ed a le rozze mura
Giungono alfin; dal vil tugurio a stento
Balam se n'esce in pensierosa cura,
E agl'incantesmi intento, ognor tenendo
Fissi gli occhi nel suol, d'aspetto orrendo
Al volto truce, al tuon grave, e feroce
Attonito ognun resta, e umil si tace;
Rompe il silenzio alfin supplice voce:
O Profeta t'invìa salute, e pace
Il nostro Rè, che da sventure oppresso,
Tutto ti affida il regno suo, e se stesso
Nemiche turme a la città tremante
Vengono ad apportar morte, e ruina;
Supplichevoli siamo a te d'innante,
Onde vogli impiegar l'opra divina
Le nostre a liberar paterne mura,
Nè senza premio andrà simile cura
E in così dire offron preziosi doni,
Onde i lor voti ascolti, e non isdegni
Le patrie liberar care magioni,
Per cui sol pace, e contentezza regni:
E disperso Israel nemico, e fiero,
Libero sia de gli avi lor l'impero
Incerto Balam la rugosa fronte
Pensieroso si liscia, e il grave mento;
Del cupo, ignito, Averno, e d'Acheronte
I Numi invoca, e alfine a grave stento
Onde scacciar da voi, dice, il periglio
Chieder voglio dal ciel saggio consiglio
Ma già stende la notte il nero manto
Già s'ascondon del sol le ardenti ruote,
Tace de gli altri augelli il dolce canto,
Esprime l'usignuol musiche note,
E i lung-urlanti gufi a lui fann'eco
Dal lor profondo tenebroso speco
Balam rinchiuso il ciel, l'Averno invoca,
Ora con alto tuono incantatore,
Ed or con voce supplicante, e roca,
Consiglio chiede al Rè del cupo orrore,
E al Dio possente; quando alta, e severa
Ode una voce imperiosa, e fiera
Balam gli dice al cenno mio sovrano
Pronto ubbidisci; il popol valoroso
Di me protegge la possente mano,
Maledizion non teme, il poderoso
Mio braccio vendicar saprà l'offese,
Se l'audace tuo labbro a lui le tese
Confuso ci resta, e di pallor dipinto,
I ricchi doni, il lusinghiero onore
Incerto mira, ma ogni dubbio, è vinto
Da quel, che mostra il cielo alto furore,
E di lasciar risolve il campo aperto,
E i doni rifiutare, e l'oro offerto
E già dal Gange oriental sorgendo
Sferza i cavalli la nascente aurora,
E di più viva luce il sol splendendo,
L'alte cime de monti intorno indora,
E al mattutino albor lucido, e vago
Scioglie la voce sua l'augel presago
Ansiosi, e incerti i messaggeri amici
Sorgono al par del giorno; odon tremanti
Il van Profeta... ahimè figli infelici,
Infelice region! mesti, ed ansanti
Dunque passar dovrem la debil vita?...
E tu crudele ah non ci porgi aita?
Così diceano a la città volgendo
Lo stanco passo ognor mesti, e gementi;
Balam il Rege ancor sedea temendo
De l'evento il successo: alfin con stenti
Giungono i Messagger, lutto, e squallore
Portando in volto, e doglia sol nel cuore
Rege essi dicon d'Israello al brando
Dovrà vinto cadere il nostro impero;
Così decise il si fatal comando
Di quel Dio, che protegge il popol Sero.
Paventa Balam di recargli offesa;
E da chi aver potrem forte difesa?
Confusione, terror, spavento, e lutto
Si mesce incerto al femminil lamento,
Ma di speme non perde il popol tutto,
E d'oro carchi, e lusinghiero argento
Parton di nuovo i Messaggeri ansiosi,
Fra speranza, e timor mesti, e dubbiosi
A riveder tornan di nuovo il bosco,
Ove co' stesi rami ombri-frondosi
Il luogo rende intorno oscuro, e fosco
E il suol ricuopre di cespugli erbosi,
Affrettan ver colà veloce il piede,
E il tugurio primier da lor si vede
Mirano ancor con palpitante cuore
Il bramato da lor Profeta indegno,
Offrono i ricchi doni, e fra il terrore
Baciano il suol di riverenza in segno,
Avido Balaam gli alza, ed al Nume
Promette dimandar soccorso, e lume
Tutto già ricuopria l'oscuro velo,
Tacea de l'aspre belve il fier ruggito,
Folte le stelle risplendean sul cielo:
Quando un parlare in fermo tuon sentito
Forte l'orecchio di Balam percuote
Con queste ben intese, amiche note
Vanne, è ben pronto il desiderio appaga
Di Lui, che ti cercò con sì gran cura,
Vanne a le rive, che il Giordano allaga;
Ma per difender l'orgogliose mura
Non trasgredire i miei comandi, e l'acque
Del mio voler sian testimonj: e tacque
Balam giocondo col nascente giorno
Sorge; i messaggi la sua voce amica
Odono, ed eccheggiar s'ascolta intorno
Pei lieti evviva la campagna aprica,
Esulta ognuno, e giubilante mira
L'avversa sponda fra il contento, e l'ira
Tripudi invano, o Moabita altero,
Che regna in ciel l'Onnipossente Dio,
Nò, non è salvo il tuo superbo impero,
Nò, nulla puote l'empio Mago, e rio,
Ei non paventa la superna mano,
Ma protegge Israello il Dio Sovrano.
Vana ambizion, stolto, fallace orgoglio
Ah dove fermi il vacillante piede?
Cade a un cenno Divin l'aurato soglio,
Su cui tu fondi la superba sede;
Cadono i Regi, e cade insiem la umana
Alterigia infedel, ricchezza vana<div class="blocco-versi">
Invan porgesti il mal sicuro braccio
A l'empio Balaam, che in te si affida.
Cadde egli è vero a l'ingannevol laccio,
Che tese a lui l'ambizione infida,
Ma presto egli vedrà con suo gran danno
Quanto mal contro lor gl'empj si fanno
Già dignitoso, e ad arte umile affrena
Vile giumento, al di cui tardo corso
Rattengono i destrier l'ardente lena,
Dei quali premon rispettosi il dorso
Gli alteri Moabiti, in cui l'evento
Insiem mesce la gioja, e lo spavento
S'avvanzano del pari, ed egli intanto
Ne la mente ravvolge i ricchi doni,
Di liberar l'amico impero il vanto,
E da l'ampie scacciar, meste regioni
Le numerose turme, il popol fiero;
Pungono insieme il cuor, l'animo altero
Mira fra se de' Moabiti il duolo,
Il mesto pianto, ed il bramato onore
Veder gli sembra ancor prostrati al suolo
I messaggeri star fra lo squallore,
E l'esercito ormai esser vicino;
Ma ben rammenta il cenno, ancor, Divino
Quand'ecco d'improviso il vil giumento
Fermo si arresta, e quindi un lieve salto
Spicca veloce a l'aria, in sella a stento
Rattiensi Balaamo, e balza in alto
Il profetico pallio, e ognor feroce
Segue il giumento il corso suo veloce
Così talor de' flutti alti, e nembosi
Scherzo, e ludibrio intorno erra, e si aggira
Nave irrequieta per gli spazj acquosi,
De l'Oceano infra lo sdegno, e l'ira,
E giuoco di procelle furibonde
Le vele sono tra il fragor de l'onde
Le braccia ergendo, e il noderoso legno,
L'innocente animal Balam percuote,
E pinto in volto di furor, di sdegno
Il capo minaccioso, e crolla, e scuote,
E la sferza, che orrenda alto-rimbomba
Più volte sul giumento irata piomba
Tal fra tempeste, e folgori tuonanti
Cruda grandin flagella il verde suolo,
E spinta ognor da gli austri rimugghianti
Empie ogni intorno di lamento, e duolo,
E s'ode crepitar sul lungo solco,
Ed atterrar la speme del bifolco
Erra la bestia or con piè giusto, e lento,
Ed ora inaspettata, ed improvisa
Veloce fugge, i Moabiti a stento
Pongono a fren l'involontarie risa
L'irrequieto al mirar, furioso corso,
E vacillare Balaam sul dorso
Stanco il giumento, e pel terror smarrito
Trabocca alfine, e Balaamo altero
Cade ancor egli, e il fiero orgoglio ardito,
E il venerando aspetto, e il tuon severo
Schernito mira, e l'ambizioso volto
A ne la polve, e ne l'arena avvolto
Tosto sorge d'intorno un mormorìo,
E un misto sussurrar, basso, e indistinto,
Ma già s'erge dal suolo il Mago rio
Di rabbia, e di rossore il volto pinto,
Ambe le mani furibondo innalza,
E l'animal: co le percosse incalza
Qual furioso lion d'aspra ferita
Piagato il fianco, inferocito corre
Onde inseguir la turma sbigottita,
Mentre frattanto il caldo sangue scorre;
Tal da gli occhi spirando ira, e livore
Si accresce in Balaam l'alto furore
Quando, oh portento!, la turbata testa
Volge il giumento, e tosto le cadenti
Pelose orecchie scuote, ognun si arresta,
E ad osservar tutti già sono intenti;
L'asino alfin gli parla, e sì gli dice:
T'adiri invan, più oltre andar non lice
Dipoi sen tacque, ma il Profeta ardito
Non si rattien da l'impeto sdegnoso,
E più che mai vedendosi schernito
Con rabbia scuote il manto polveroso,
E intanto il furibondo alto-fischiante
Legno volteggia tra il fragor rombante
Come se a fiamma ognor focosa, e ardente
Esca si aggiunga, l'ampia, ignita luce
Più viva spande; tal bieco, e furente
Balam d'aspetto spaventoso, e truce
Del giumento al parlar vieppiù feroce
Di colpi grandinava un nembo atroce
Quando improviso il nuvoloso velo,
Che a gli occhi l'ascondea del Mago insano
Squarcia lo Spirto del stellato cielo,
La spada fiammeggiante avendo in mano,
E a lui la volge, che vieppiù infierisce,
E il lampo gli occhi, e il cuor pronto ferisce
Al colpo inaspettato egli atterrito
Resta, e coperto di pallor le gote,
Si confonde, si arresta, e sbigottito
Esprimer s'ode fra il timor tai note:
Signor che vuoi?... il tuo voler mi spiega
E palpitante al suolo umil si piega
L'Angelo allora in tuon severo, e grave
Vanne, gli dice, ma il Divin comando
Pronto eseguisci, e guai per chi non pave
Questo del cielo onnipossente brando;
Fra l'orror proverà d'avversa sorte
Lo strazio orrendo d'esecrata morte
Vana speranza, lusinghevol cura
Delusa fosti. Pallido, e tremante
Balam ritorna a le assediate mura:
Balac esulta, e il ferro alto-fischiante
Del ciel non ode, che al cadente impero
La ruina minaccia, e al regno intero.
Moabbo, invan di trionfanti allori
Cingi la fronte a gl'impotenti Numi,
Vedrai ben tosto tra i funesti orrori
Tinti del sangue tuo scorrere i fiumi,
E su gli estinti corpi, e sul tuo regno
Vincitor mirerai del ciel lo sdegno
Squallido Balaam già la cittade
Mira vicina, e tosto alto spavento,
E gioia insiem d'ognun l'animo invade,
Ora il terror succede, ora il contento;
Incerto fra il timor v'è là chi pende,
E v'è chi lieto al ciel le mani stende
Già da l'alta città Balam altero
Lieto sen esce di veder pensando
Vinto omai d'Israello il popol fiero,
Esce ubbidiente ancora al suo comando
La numerosa turma incerta, e ansante,
Il campo ingombra il cavaliere, e il fante
Giunge Balam alfine: i lieti evviva
S'alzano tosto al cielo, echeggia intorno
La valle, e il monte, e del Giordan la riva.
Giungesti alfine, o sospirato giorno;
Balac esclama; in cui mi sia concesso
Il nemico veder vinto, ed oppresso!
Son pronto, o Rege, il cenno tuo sovrano
Ad eseguire; il Regnator del cielo
Scagliar dovrà con la possente mano
Di sua vendetta il sanguinoso telo
Contro il popol crudel, che lutto, e morte
A te minaccia, e spaventosa sorte
Sì dice Balaamo il popol tutto
Applaude lieto, e dal suo cuore ansioso
Il duolo scaccia, lo spavento, e il lutto;
Gioisce ognun non più mesto, e dubbioso,
E il primiero obbliando, inquieto affanno
Balac il Rege a seguitar si danno
Al cielo ergea le rilevate spalle
Erta montagna, e da la cima alpestre
Scorgeasi intorno ne la bassa valle
E le nemiche turme, e il campo equestre
Ingombrar la pianura, e ferrea messe
Scuopriasi d'armi ammonticchiate, e spesse
Quivi Balac ascende; ha seco a lato
L'empio Profeta maestà spirando,
S'ergon l'are del Mago desiato
A l'imperioso cenno, al rio comando,
Le vittime son pronte; il regno intero
Pende dal labbro del Profeta altero
L'olocausto sostien, Balac; ei dice;
Finchè mi porga il ciel saggio consiglio,
Onde dal popol tuo mesto, e infelice
L'imminente scacciare, aspro periglio.
Sì dice, e parte: ansioso ognuno aspetta
Contro il fiero Israel cruda vendetta
Ed ecco tosto rabbuffato, e ardente
Sen torna Balaam, da le pupille,
E da l'incantator volto, furente
Escon di vivo fuoco acre scintille,
Ognun si arresta, ed a gli orecchi attenti
Corre l'alma ad udir gli ansiosi accenti
Popolo di Moabbo il Dio Celeste
Benedisse Israello, egli mi vieta
Le turme di scacciar cotanto infeste
A la vostra regione or non più lieta,
Ceder essa dovrà del popol fiero
A l'impeto possente, al ferro altero
Come lion, che da l'opaco bosco
Esce furente ad atterrar le belve,
O come serpe col mortal, rio tosco
Le fiere uccide ne le ombrose selve;
Tale Israello il Moabita impero
Abbatterà furioso, e il regno intero
Qual cacciator, che ne la valle oscura
Mentre si vede d'ogn'intorno cinto
L'unico scampo, e insiem la via sicura
Mira rinchiusa, di pallor dipinto,
Da cruda belva, che l'unghiuta zampa
Erge, e di sdegno, e di furore avvampa:
Non altrimenti di terror, di lutto
Chiusa ogni via di libertà mirando
Intorno si riempie il popol tutto,
Che mesto geme al ciel = pietà = gridando,
E fra le vampe di furioso sdegno
Freme il Rege in veder perduto il regno
S'ergon di nuovo invan gli amici altari,
Fermo, ed immoto Balaam sen resta;
Solcan d'ognun le gote i pianti amari,
Fra il lutto, e la tristezza orrida, e mesta,
Rammentan tutti e la magione, e i figli
Esposti al duol funesto, ed ai perigli
Balam allora; udite, esclama, udite;
Impieghin col nemico e vezzi, e amori
Lo sdegno ad ammollir le Madianite,
E adorne vadan di olezzanti fiori
Finchè indotti da lor non sian con arte
Ad adorare i vostri Numi: e parte
Come nocchier, che mentre erra, e si aggira
Per il vasto Ocean, mesto, ed ansante;
Inaspettato alfine il porto mira,
Infra il furor de l'Austro sibilante:
Così tai detti udendo amica calma
Torna a Moabbo, e batte palma a palma
Si eseguisce il consiglio; al dolce aspetto,
Ai lusinghieri volti, oimè, già vinto
Cade il nemico, e dal guerriero petto
Il valoroso scaccia, antico istinto,
Ai feminili vezzi al sesso imbelle
Non resiste il temuto, aspro Israelle
Moabbo, esulti invano, invan d'argento,
O Rege, carchi il Mago incantatore,
Invan scacci da te l'alto spavento,
Ed il guerriero, bellicoso orrore,
Invan feroce miri il campo aprico
Ove le tende alzò fiero il nemico
L'Erebo ignito, ed il fumante averno
Giacerà vinto, e insiem l'altero orgoglio
Cadrà al voler del sommo Nume Eterno,
Che saggio regna in sul celeste soglio
Cadrà, e cadendo al Moabita altero
Del Nume mostrerà l'eccelso impero.
© 1996 - Tutti i diritti sono riservati Biblioteca dei Classici italiani di Giuseppe Bonghi Ultimo aggiornamento: 01 febbraio 2010 |