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Jacopo Allighieri Alighieri - La Comedìa Commedia - La Morte

JACOPO ALLIGHIERI

La Commedia

La morte

Edizione di Riferimento

Rime di Cino da Pistoia e d’altri del secolo XIV, a cura di Giosue Carducci, Istituto editoriale italiano, s.d. (che riproduce l’edizione per la collezione Diamante Barbera del 1862)

(Dalle antiche stampe della Divina Commedia,

e fu confrontato alla lezione che ne dette G. Manzi

nel volume V del Dante della Minerva, 1822.)

I

Questo capitolo fece Jacopo figliuolo di Dante Alighieri di Firenze,

il quale parla sopra tutta la Commedia.

O voi che sete del verace lume

Alquanto illuminati nella rasente,

Ch’è sommo frutto dell’alto volume;                                                3

Perchè vostra natura sia possente

Più nel veder l’esser dell’universo,

Guardate all’alta Commedìa presente.                                              6

Ella dimostra il simile e ’l diverso

Dell’onesto piacere, e ’l nostro oprare,

E la cagione che ’l fa bianco o perso.                                                9

Ma, perchè più vi debbia dilettare

Della sua intenzion entrar nel senso,

Com’è divisa in sè vi vo’ mostrare.                                                    12

Tutta la qualità del suo immenso

E vero intendimento si divide

Prima in tre parti senz’altro dispenso.                                              15

La prima, viziosa dir provvide;

Però che prima e più ci prende e guida.

E già Enea con Sibilla il vide.                                                            18

E questa in nove modi fu partida,

Sempre di male in peggio, fino al fondo

Dove il maggior peccato si rannida.                                                 21

Con propria allegoria formata è ’n tondo,

Sempre scendendo e menomando il cerchio,

Come conviensi all’ordine del mondo.                                              24

Sopra di questi nove, per coperchio,

Sanza trattar di lor, fa divisione

Di quei che son nel mondo senza merchio.                                      27

Poscia nel primo, sanz’altra cagione

Che d’ordine di fè, mostra dannati

Quei che hanno l’innocente offensïone:                                            30

E quei che son più dal voler portati

De’ lor disii che da ragione umana,

Son nel secondo per lei giudicati:                                                      33

Nel terzo quella colpa ci dispiana

Con propri segni, c’ha dal gusto inizio,

Da cui ogni misura sta lontana;                                                        36

E l’altredue opposizioni in vizio

Nel quarto fa parer per giusto modo,

Che rifiutò il buon roman Fabrizio:                                                  39

Nel quinto l’altre due che son nel nodo

Del male incontinenti, ci fa certi

Con accidioso ed iracondo brodo:                                                     42

E quei che son della malizia aperti

Con lor credenze eretiche e fiammace,

Nel sesto dona lor simili merti:                                                          45

Seguendo, la bestial voglia fallace

Nel settimo la pon divisa in trèe:

La prima vïolenza in altrui face,                                                       48

E la seconda offende pur a sèe,

La terza pur a Dio porge dispregio;

E Sodoma e Gomorra con esse èe                                                     51

Nell’ottava conclude il gran collegio

Della semplice frode, che non taglia

Però la carta al fedel previlegio;                                                        54

E questo in diece parti cerne e vaglia,

Ruffiani lusinghieri e simonìa,

E chi di far fatture si travaglia,                                                          57

Barattieri ed ipocrita eresia,

Ladroni e frodolenti consiglieri,

Commettitor di scismatica via,                                                          60

Con quei che fanno scandal volentieri,

Falsator d’ogni cosa in fare e ’n dire,

Figurandoli a modi aspri e leggeri:                                                   63

Nel nono quella froide fa seguire

Che rompe fede; ed in quattro il diparte:

La prima chiama Caina, tradire;                                                      66

Quei che la patria tradiscono o parte.

Nel secondo li mette, in Antinora;

E nel terzo chi serve e fa tal arte,                                                       69

Chiamando Tolomea cotal dimora;

E la quarta, Giudecca, che riceve

Qualunque trade chi ’l serve ed onora.                                             72

Questo è il fondo d’ogni vizio greve,

Da lui chiamato inferno e figurato.

E qui fo punto per parlar piú breve.                                                 75

 

Nella seconda parte fa beato,

Purgando, per salire in fino al sito

Che fu al nostro antico poco a grato.                                                78

Ed ha in sette parti ancor sortito

Cotai salire in forma di un bel monte.

Ma fuor di loro in cinque è dipartito;                                                81

Però che cinque cose turba ’l ponte

Over la scala da iure a purgarsi,

Cioè diletto violenza ed onte;                                                             84

Onde convien di fuor da’ sette starsi :

Con queste infine al termine lor posto

I negghïenti officïal trovarsi.                                                              87

Nel primo ci dimostra esser disposto

Prima a purgarsi sotto gravi pesi

Quel superbir che ’n noi s’accende tosto;                                         90

E propriamente nel secondo ha lesi

Gl’invidïosi con giusta vendetta;

Nel terzo gl’iracondi fa palesi;                                                           93

Nel quarto ristorar fa con gran fretta

L’amor del bene scemo; ed entro al quinto

Con gran sospiri gli avari saetta:                                                       96

E l’appetito nostro ha sì distinto

Ciò che dimostra poi nel sesto giro,

Che il vero è quasi da tal forma vinto:                                              99

Nell’infiammato settimo martiro

Ermafroditi Soddoma e Gomorra

Cantar dimostra il loro aspro desiro:                                                102

Là su di sopra, perch’altri vi occorra,

Della felicità dimostra i segni

A cui la sua scrittura non abhorra.                                                   105

Ma or, per seguitare i suoi contegni,

Dir mi convien dell’opera divina :

E voi assottigliate i vostri ingegni.                                                     108

 

La terza parte con alta dottrina

In nove parte figurata prende,

Simil al ben che da nove declina.                                                      111

La prima con quella virtù risplende

Che con freddezza d’animo è eccellenza,

Che carità di spirito s’intende:                                                           114

E la seconda celestial semenza

Al governo del mondo cura e guarda,

Secondo il senso della sua sentenza :                                                117

La terza par che ’n foco d’amor arda :

Nella quarta risplende tanta luce,

Che sapienza a suo rispetto è tarda :                                                120

La quinta con feroce ardire adduce

Tanta virtù e forza corporale,

Che solo il militar prende per duce :                                                 123

D’ogni grandezza e d’animo reale

La terza par ch’a suo parere impronti

La mente ’dove sua virtute cale :                                                       126

E la settima par che si contenti

A castità in sacerdotal manto;

E ciò dimostran ben suoi argomenti :                                               129

D’ogni virtù e d’ogni abito santo

L’ottava e d’ogni ben fa esser madre

Per le virtù che ella ha in sè cotanto:                                                 132

la nona conchiude come padre

Mobile più che alcun moto celeste,

E questa inchiude sincera e leggiadre.                                              135

Poscia di sopra tutte quante queste

Vede l’essenza del primo fattore,

Che l’universa macchina riveste :                                                      138

In lei discerne del nostro colore;

Per dimostrar che sola nostra vista

Sensibil può veder il suo amore.                                                        141

Però vedete omai quanto s’aquista

Studiando d’alta fantasia profonda,

Della qual Dante fu comico artista :                                                 144

Vedete come ’l suo dir si profonda

Nel bene universal per nostro esemplo,

Acciò che ’n noi il mal voler confonda.                                             147

Mettete l’affezione a tal contemplo,

Non vi smarrite per lo mal cammino

Che vi distoglie dallo eterno tempio;                                                 150

Nel quale ei fu smarrito pellegrino,

Finché dal ciel non gli fu ’dato aita,

La qual gli venne per voler divino,

Nel mezzo del cammin ’di nostra vita.                                     154

II

Questi sono i versi della morte, compilati

e fatti da messere Jacopo, e secondo altri da messere Piero,

figliuoli di Dante poeta fiorentino.

Io son la Morte, principessa grande,

Che la superbia umana in basso pono :

Per tutto ’l mondo ’l mio nome si spande.                                        3

Trema la terra tutta nel mio suono :

Gli re e gran maestri in piccol’ora

Per lo mio sguardo caggion del suo trono.                                       6

La forza giovenil non vi dimora,

Che subito non vada in sepoltura

Fra tanti vermi, che così ’l divora.                                                     9

Soldato, che ti vale tua armadura,

Che la mia falce non ti sbatta in terra,

Perché non facci la partenza dura?                                                  12

Che n’arai poi di questa tua guerra,

Se non tormenti guai e gran tristezza?

E forse mancherai a mezza serra.                                                     15

E tu che credi aver la gentilezza

Per esser nato di gran parentato

E per aver del corpo la bellezza,                                                       18

Peggio che porco nato nel contato,

Il gran macello con disio t’aspetta,

Se non sarai di virtù ornato.                                                              21

O giovinetto della zazzeretta,

Che non conosci li tuoi gran perigli

E ’n quanti modi puoi morire in fretta,                                            24

Se tu sapessi quanti e quali artigli

Apparecchiati son per la tua vita,

Seguiteresti gli divin consigli.                                                            27

E ben che paia la tua età fiorita,

Presto si secca questo verde fiore,

Se l’alma tua non sta con Dio unita.                                                 30

Guardami in faccia, o ladro giucatore,

Che ti sconfonda ’l nostro gran spavento;

E piú a te che se’ bestemmiatore.                                                      33

Oh quanti son che si pascon di vento

Per seguitar gli onori e le ricchezze,

Che mai si trovan poi alcun contento!                                              36

Vana speranza con molte sciocchezze

Parte da Dio la mente di costoro,

E fagli perder l’eternal bellezze;                                                        39

Per desiderio del marcibil oro

Perde lo  tempo ch’è si cara cosa

E guarda in terra dov’é ’l tesor loro.                                                 42

La mente dell’avar non ha mai sposa

Né mai si sazia, e poi tutto abbandona

Con gran tormento e pena angosciosa;                                            45

Dannasi l’alma e perde la persona,

Perde la gloria e perde bene eterno,

Perde celeste e trïonfal corona.                                                          48

Oh sodomita erede dell’inferno,

Putrido nella clòaca puzzolente,

Da Dio dannato al fuoco sempiterno!                                               51

E tu lussurïoso, sei fetente,

Che di porcina schiatta pari uscito

Che di broda e di fungo sempre sente!                                             54

La donna che consente a suo marito

Con offesa di Dio e sua vergogna,

Varïando per tempi modo e sito!                                                       57

L’eterno Dio di sopra già non sogna,

Ma vede sempre tutto vostro male

E quanto sete mersi in la carogna;                                                    60

E nel giudizio suo universale

Vostre vergogne fien tutte palese

A tutto ’l mondo: nullo aiuto vale.                                                    63

Vostre preghiere non saranno intese

Ma riprovate in gran confusïone,

Nè mai per voi si faran difese.                                                           66

Da poi mandati all’infernal prigione,

Ove fia ’l vostro pianto senza fine,

Lamento grande e lugubre il sermone;                                            69

Ivi nell’aspre ed orride sentine

Da orribili ministri e furiosi

Che brancheran le vostre miserine;                                                   72

Poi per l’inferno tutti smaniosi

Senza pietade vi strascineranno

Come ribaldi tristi e viziosi,                                                               75

Nè mai di tormentar si stancheranno :

Anelerete di voler morire,

E lor più freschi nel punir saranno.                                                   78

Me chiamerete, e non porrò venire :

Così morendo sempre viverete,

E vostra vita non porrà finire.                                                           81

Delle gran pene mai non mancherete,

Perchè offendeste lo ’nfinito Dio;

Però infinitamente là starete.                                                             84

Or dite quel che vuol vostro disio

E tutto ’l spiacer ch’avete nel mondo

Per contentare il vostro corpo rio!                                                     87

Sopra di voi portate sì gran pondo

Che vi traboccherà in precipizio;

Niente troverete esser giocondo :                                                      90

Ed io non mancherò dal mio uffizio,

Darovi presto lo mortal flagello:

Punir conviensi ciascun vostro vizio.                                                93

E non vedete sotto il mio mantello

Quanti falcioni i’ ho per ammazzarvi?

E ancora porrò far senza coltello.                                                      96

E mille modi i’ ho per aggrapparvi :

Scampar per alcun modo non potrete :

Per tutti ho dato il modo a sotterrarvi.                                             99

È pur vana speranza che v’avete

Di dir mia colpa ed esser perdonati,

Quando che più peccar voi non possete!                                          102

O ver che della fede abbandonati,

Dell’altra vita non credete niente

E sempre siete in vizi relassati.                                                          105

Sappiate questa volta certamente

Che quel che vuol trovar da Dio mercede

Convien che senza vizio sia sua mente :                                           108

E quel che vive senza tanta fede

Ritroverassi alla pelliccerla,

Di Pluto e di Proserpina erede.                                                          111

Or tu che credi stare in goderla,

Apparecchia la biada al mio ronzino;

Chè presto vengo alla tua osteria;                                                     114

E mangierai con meco nel catino

L’ultima tua vivanda amaricata

Giacendo nella tomba a resupino:                                                    117

E l’alma tua sempre fia dannata :

Per un po’ di dolcezza temporale

Perde la gloria e la vita beata.                                                           120

Ma quello che in virtude sempre sale,

Disprezza ’l mondo e fugge suo veleno,

Cercando Dio lascia l’opere male,

Starà nel ciel perpetuo sereno.                                                   124

(Da Rime e prose del buon secolo della lingua, tratte da mss., Lucca, Giusti, 1852.)

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Biblioteca dei Classici italiani di Giuseppe Bonghi

Ultimo aggiornamento: 03 ottobre 2007