Edizione di riferimento
Fiore di leggende, cantari antichi, editi e ordinati da Ezio Levi, serie prima, cantari leggendari, Gius. Laterza & figli Tipografi—Editori—Librai, Bari 1914
I prego voi che ciaschedun m’intenda,
però che questo è il fior della leggenda.
Reina d’Oriente, c. iii, ott. 1
Edizione di riferimento
Fiore di leggende, cantari antichi, editi e ordinati da Ezio Levi, serie prima: cantari leggendari, Gius. Laterza & Figli, tipografi-editori-librai, Bari 1914
La Regina d’Oriente si legge in un numero notevole di manoscritti.
K. — Codice Kirkup. Manca il primo fascicolo del codice, sicché il cantare si inizia al quinto verso della ix ott. del secondo cantare. La perdita di quelle 16 cc. deve essere assai antica, poiché due diverse mani del Quattrocento notarono in alto alla c. 17 A: « Chomincia i chantari della reina d’oriente ». Il resto segue fino a c. 24 a: sono omesse due ottave, la ix e la x del terzo cantare. Per la sua compiutezza, questo codice del Trecento che, unico, raccoglie insieme le sparse opere pucciane, e per altre ragioni, che sono state messe in evidenza dal Morpurgo, deve ritenersi assai prossimo all’autografo. Naturalmente l’ho tenuto a fondamento di questa edizione, senza per ciò obbligarmi ad una fedeltá pedissequa e cieca, perché in molti luoghi la sua lezione è meno limpida di quella di altri manoscritti, o si rivela addirittura errata.
E.— Cod. Moreniano-Bigazzi CCXIII, c. 91 B « Qui incomincia la reina d’oriente ». Le pagine 100-104, mutile, sono state restaurate dal moderno legatore e poi completate col testo dell’edizione Bonucci.
M. — Biblioteca Marucelliana di Firenze, cod. C. 265.Grosso volume cartaceo, di cc. 182, racchiuso in una dozzinale, ma an-tica legatura di cuoio e di assicelle di legno. Fu messo insieme o almeno acquistato nel Quattrocento da un amatore, nonché della letteratura leggendaria, anche del vino: da Baldese di Matteo « vinattiere alla Nave » in Firenze. La Regina d’Oriente comincia, senza titolo alcuno, a c. 49, e, a tre ottave per pagina, occupa le cc. 49-80 n; dopo di che è l’e_iplicit: « Finissi questo libro ». Pel tipo della composizione, questo volume si avvicina e si rassomiglia a quello Moreniano-Bigazzi, che pur contiene l’Apollonio e poi la Reina d’Oriente. E anche per la lezione gli si affratella; cfr., per esempio, IV, I ; V, 2 ; VI, 5-7 ; II, 3; IX, 2-3-6-7 ;X, I, 5-6-7, ecc. Sono omesse le ottave xxii e xxv del IV cantare e vi sono parecchi errori di scrittura e di interpretazione.
U. — Cod. 158 della Bibi. Univ. di Bologna. Bel vol. di pergamena del sec. xiv, scritto a due colonne, con rubriche, illustrato da F. Zambrini nella Prefazione al Libro della cucina del sec. XIV, Bologna, 1863, Scelta di curiosità letter., disp. XL), e più sommariamente dal Mazzatinti (Inv. dei mss. delle biblioteche d’Italia, xv, 156). Appartenne al pontefice Benedetto XIV. La Regina d’Oriente vi occupa 9 C. e una col. della 10a (c. 86-95 A) con circa cinque ottave per colonna: manca la fine del terzo cantare (xxxviii-l) e il principio del quarto (i-xxiii, v. 5), in tutto 35 ottave, le quali dovevano occupare per intero due carte, tra l’attuale c. 93 e la 94. Oltre questa grande lacuna, dovuta alla perdita delle due cc., il testo e mancante dell’ott. xix del terzo cantare. Questo ms. è indicato dal Bonucci col nome di « Veggettiano XV », nome che non gli appartenne mai, se non per questo che esso ebbe dal bibliotecario Liborio Veggetti la nuova segnatura 158 (e non 15) in luogo d’un’altra più antica.
Panc. — Cod. Panciatichiano XX, del sec. xv, c. 82. Contiene, anepigrafe, solo le prime 4 ottave.
T. — Cod. Tosi, del quale non conosco il destino. Questo ms., che conteneva la Sala di Malagigi e la Regina d’Oriente, dopo esser passato per le mani del bibliografo Tosi « attraverso le Alpi e la Manica, andò a cascare Dio sa dove », scrive il Rajna.
L. — Ms. posseduto dal cav. Fortunato Lanci di Roma e da lui trasmesso al Bonucci, il quale se ne servi specialmente nelle 35 ottave mancanti in U. Non so se questo testo fosse copia di un codice antico o un codice antico esso stesso, e di quale secolo, nulla dicendo il Bonucci.
Le stampe popolari della Regina d’Oriente sono così nume-rose che non spero che l’enumerazione, che ora segue, possa essere compiuta:
I (1483). — LA REYNA D’ORIENTE. — In fine: « Finita la reyna doriente adj 2 guiugno (sic) Mcccclxxxiii, In Firenze » . — In 40, 3 quad. (reg. a-b-c) caratt. tondo, 4 ottave per pagina: cfr. MOLINI, Operette bibliografiche, p.114.
II (1485). — Ediz. s. a. n. 1., in 4°, « carattere rotondo, che ha del nostro corsivo », mancante di virgole, numeri e richiami. Un esemplare fu rinvenuto alla metà del Settecento, a Napoli, da S. M. di Blasi (Continuazione della lettera del padre d. Salvatore Maria di Blasi intorno ad alcuni libri di prima stampa, negli Opuscoli di autori siciliani, t. xx, Palermo, 1778) in un ricco volume miscellaneo di stampe popolari del Quattrocento.
III (sec. xvi). — LA REGINA D’ORIENTE (gotico). — Segue un intaglio in legno, che rappresenta una regina in orazione; indi le tre prime strofe. Inc.: « Superna maestá da cui procede » Fin. alla c. lo n, seconda col., 1. 44 : « la historia è finita al vostro onore ». IL FINE. — s. I. n. a. n. t., in-40, car. romani con seg. e cust., senza num. di pagine. Le ottave sono 194, le figure 10. È posseduta dalla Bibl. di Wolfenbüttel, Miscell. n. XIV.
IV (sec. xvi). — Edizione identica alla precedente, ma posteriore; è posseduta dalla Bibl. Magliabechiana.
V (1587). — LA REGINA D’ORIENTE — In fine: In Firenze, appresso Francesco Tosi, alle Scale di Badia, 1587. In 40 di 12 cc. non numerate (Reg.: A, Aij, Aiij, B 2, A 5, A 6) a due coll., car. tondi. — Reca cinque stampe: la prima, nel frontespizio, rappresenta la regina che prega; la seconda (c. B 2 recto) la celebrazione del matrimonio; la terza (c. 6 recto) un giardino, dove il Re e la principessa si tengono per mano; la quarta (c. 9 r) e la quinta (c. io r rappresentano una battaglia di cavalleria. Le ottave sono 194: fin.: « Al vostro honor Anton Pulci I’ ha fatto ». — È nella Bibl. Palatina di Firenze.
VI (1628). — LA REGINA D’ORIENTE — In fine: In Firenze, Rincontro a Sant’Aftolinari, 1628. Con Licenza di Superiori. In-4o, di 10 carte non num. (Reg.: A-A5), a due colonne, caratt. tondo. Dopo il titolo, la medesima stampa che è nell’ediz. V, ma con diverso contorno. Un esemplare è nella Palatina.
VII (sec. xvit ex.). — Historia della Regina d’oriente, dove si tratta di molti apparecchi, trionfi e feste tra valorosi cavalieri, Bologna, Pisani, s. a., in-120. Questa edizione fu riprodotta piú volte, nel sec. xvii e xviti, s. a.: cfr. G. LIBRI, Catalogo del 1847, n. I 106; BRUNET, Manuel, IV, 957.
Moltissime sono le edizioni popolari del sec. XVIII e XIX. « Di questo poemetto cavalleresco popolare — scrive lo Zambrini, Opere volgari, col. 848 — si sono fatte in ogni tempo, e quasi direi, in ogni cittá d’Italia edizioni per uso del popolo, ma grandemente sfigurate e ridotte in tutto alla moderna dicitura ».
Oltre le numerose edizioni popolari, ne abbiamo due, che vorrebbero essere critiche e filologiche:
VIII (1862). — Historia della Reina d’Oriente di Anton (sic) Pucci | Fiorentino Poema cavalleresco del xiii° secolo pubblicato e restituito | alla sua buona primitiva lezione su testi a penna | dal dottore Anicio Bonucci. Bologna, 1862 (disp. XLI della Scelta di curiosità letterarie). — Il titolo è lungo e contiene moltissime promesse, delle quali, con mirabile sfrontatezza, nessuna è mantenuta nel libro. Il testo non è per nulla rivisto sui « testi a penna », ma è condotto sul cod. U fino al cant. III. ott. 17. Per le 35 ottave mancanti in U e per il cant. IV, ott. 23-24, l’edizione è dedotta dal testo del cav. Fortunato Lanci. Con questo pasticcio, il Bonucci si illudeva di aver scoperte le «auguste virginali bellezze » della poesia antica ; ma gli spropositi, che gli piovvero tra le carte da ogni canto, sono così numerosi e piramidali, che quella edizione resterá per un pezzo un monumento di cieca ridicolaggine. Del resto, tutti riconobbero subito di qual pregio fosse il libro del Bonucci e non gli risparmiarono rimproveri; ma egli soleva giustificarsi, dicendo che si era fatto correggere le bozze dalla serva. E qualche anno più tardi mise fuori una nuova Regina d’Oriente.
IX (1867). — Historia della Bella (sic) Reina d’Oriente, poema romanzesco di Antonio Pulci fiorentino, poeta del secolo di Dante, novellamente ristampato ed a miglior lezione ridotto sopra un testo a penna Marucelliano, in Bologna, 1867, in-8 0 , di pp. xvi-64. In fine: « In Bologna, fatta stampare dal bibliofilo Anido Bonucci, nelle case di Costantino Cacciamani D. — Ma questa edizione « riveduta » non riuscì meglio della prima e, se quella fu corretta dalla serva, « v’è da dubitare diceva argutamente lo Zambrini — non le bozze stavolta fossero rivedute dal guattero »!
Preparando questa mia edizione, le due bonucciane non potevano in alcuna maniera servirmi, se non per rappresentare, chi sa come trasfigurate, le varianti del testo Lanci, del quale ignoro la sorte ; e perciò mi sono valso senz’altro dei quattro manoscritti: K, M, E, U.
Subito la concordia nelle lezioni e negli errori tra U ed E mi avvertì che essi formano una famiglia distinta. Dove gli altri mss. hanno « ed ella fa’ » (I, 30, 7), U ed E recano insieme « appresso fa» ; — dove: « non ne pensate d’aver» (II, 33, 3) E « non v’è mestier », ed U « non vi fará mestier »; — KM « paresse » EU « tornasse » (II, 36, 7) ; — KM che fïgliuol era » _ EU « chi ’l signor era » (II, 37, 7) ; •— KM « l’ha fatto » = EU « lo fece » (II, 4o, 6) ; — K ~I « prima che ’l v’ entrasse » = EU « parea che tremasse » (III, 2. 7). — E l’ enumerazione potrebbe continuare all’ infinito.
M aderisce per alcuni tratti ad E e per altri si mostra tributario di K. Nel cant. IV 16, 7, E reca « e poi col re si mosse »; K sopprime I’« 1 », come sempre, per un vezzo di pronuncia, a e poi core si mosse »; M, malamente interpretando l’ inesatta grafia di K, storpia cosí il v.: « e poi a correre si mosse ».
K naturalmente ha un testo buono, ma non impeccabile. Molte volte la lezione si rivela una corruzione di quella data da E e M, che il senso e la rima accertano esatta: E « crescendo » = K « che sendo » (II, 29, 5); — E « s’ ella » = K « sole » (II, 43, 3); — EM « la possa » = K « la poscia » (III, r, 5); — EM « nolle » = K « nulla» (III, 28, 8); — ENI « avere isposo » = K « vero sposo» (III, 28, 7); — EM «ove il cor pogno = K «ove il compagno» (IV, 1, 6), ecc.
Abbiamo dunque tre tradizioni, quella di K, quella della famiglia EU e quella di M, il quale è nei passi prima arrecati tributario di K e in questi ultimi è invece da lui indipendente
Superna Maiestá, da cui procede
ciò che nel mondo dá ogni sustanza,
e sei cortese a chiunque ti chiede
divotamente con fede e speranza;
umilemente ti chieggio mercede
che doni grazia a me, pien d’ignoranza,
ch’io rimi sí la presente leggenda,
che tutta gente diletto ne prenda.
Avendomi io, signor, posto nel core
di non perder piú tempo a far cantare,
un libro, che mi par degli altri il fiore,
cosí leggendo mi fe’ innamorare.
Poi che rimato l’ho per vostro onore,
pregovi che vi piaccia d’ascoltare,
però ch’io credo che a la vostra vita
sí bella istoria non avete udita.
Trovo che la reina d’Oriente
fu senza pari al mondo di sapere,
e non fu mai da Levante al Ponente
donna che fusse di sí gran podere.
El suo marito era vecchio e da niente,
ond’ella si facea molto temere:
era giovane e bella oltra misura,
più ch’a quel tempo fosse creatura.
Questa reina di grande eccellenzia
era devota ed amica di Dio,
vivea casta e facea penitenzia
secretamente e senza nessun rio,
e digiunava con gran riverenzia,
perché del paradiso avíe disio.
Ma, se al mondo avea alcun diletto,
costei li volea tutti al suo cospetto,
siccome s’eran canti di vantaggio
ed istormenti d’ogni condizione,
con cento damigelle d’un paraggio, [1]
cantavan e suonavan per ragione.
Ell’eran tanto belle nel visaggio,
che agnoli parean piú chepersone.
Questo facevan quand’ella mangiava,
quando dormía e quando si levava.
Per guardia avea l’altissima reina
mille buon cavalier pien d’ardimento,
e mille turchi, gente palladina,
ch’eran più neri che carbone spento.
Con questa forza e con la sua dottrina,
facea sí grande e giusto reggimento,
che simil nol fe’ mai signor né dama,
si che per tutto ’l mondo avea gran fama.
Quando lo ’mperador di Roma intese
le sue bellezze e ’l senno, ch’avea tanto,
subitamente del suo amor s’accese,
e pensò d’accusarla al Padre santo,
acciò che a Roma andasse a far difese
per ubbidienza del papale ammanto,
dicendo: — S’ella viene in mia balia,
quel ch’io vorrò pur converrá che sia.
E disse al papa: — In cotal parte regna
una che fa del mondo paradiso;
e, fòr di questa, ogni altra vita sdegna,
mondan diletti vuol per non diviso [2].
Se questo è vero, ella è di morte degna,
e tutto ’l suo reame esser conquiso:
però richieder la fate in persona
che vegna finanzi a voi, Santa Corona. —
E ’l papa fu con tutti i cardinali,
e comandò che ella fusse richesta:
che comparisse in cento dì, fra’ quali
fatta avesse sua scusa manifesta,
gravandola [3] con scritte e con segnali,
acciò che del venir fusse più presta:
che, a pena del fuoco, si movesse,
come ’l suggel papal veduto avesse.
E ’l messo cavalcò tanto che puose
a la reina in man quella ambasciata.
Ella la lesse, e poi sí gli rispuose:
— La tua richesta fia ben osservata,
però che sopra tutte l’altre cose
ho disiato di far questa andata,
per veder Roma e le reliquie sante,
e baciar dove il papa pon le piante.
Quando si partí ’l messo, un palafreno
donar gli fece con cento once d’oro;
ed ei, contento più ch’altr’uom terreno,
al papa ritornò senza dimoro [4],
raccontò dello stato sereno
de la reina e del suo gran tesoro,
la risposta ched ella avea fatta.
E ’l papa disse: — Questa non è matta. —
Lo ’mperadore, ch’avea gran vaghezza
d’udir parlar di lei, mandò pel messo,
e domandolli della sua bellezza.
Rispuose il saggio messaggiere ad esso:
— Non domandate della sua adornezza,
ché non è lingua che ’l dicesse a presso:
di nobil baronaggio e dell’avere
non ha nel mondo pari, al mio parere. ‑
Quando egli udiva sua biltá contare,
gli crescea voglia di vederla al core,
e spesso andava al papa a ricordare
che li facesse il termine minore.
— E s’ella vien, faretela scusare;
se non ha colpa, faccialesi onore;
ché molti giá son stati accagionati,
che sanza colpa si son poi trovati. —
Il papa, udendo li suoi prieghi adorni,
félli un comandamento via piú forte
che comparisse: infra cinquanta giorni,
a pena della vita, fosse a corte;
e, se piú tempo vien ch’ella soggiorni,
fará bandir lo stuol per darli morte.
Ond’ella, udendo ciò, per ubbidire,
molta sua gente a sé fece venire,
fra’ quali aveva principi e marchesi,
duchi, conti, baroni e castellani,
cavalieri, mercatanti e borghesi,
ed altri gentiluomini cattani; [5]
donne e donzelle, che di lor paesi
il signoraggio avean tralle lor mani,
vedove donne, rimase [6] contesse,
ed altre marchisiane e principesse.
E, ragunato ch’ebbe il parlamento,
l’alta reina in piè fússi levata,
e lesse, dopo il bel proponimento,
la lettera che ’l papa avea mandata.
Poi lesse l’altro gran comandamento
che in breve tempo fosse apparecchiata
dicendo: — Consigliate che vi pare. —
E dopo lei un conte andò a parlare,
e disse: — Alta reina, perch’io sono
un de’ minor del vostro baronaggio,
duomila cavalier profero e dono
per la difesa di cotanto oltraggio.
Ma, s’ io fallasse, chieggiovi perdono:
lasciate fare a noi questo viaggio.
e voi vi state con diletto e gioia.
Chi contro a ciò vuol dir, dico che muoia. —
Disse un marchese, che si levò poi:
— Per Dio non si sostenga tal vergogna!
Io vi vo’ dar, per difesa di voi,
tremila cavalier senza menzogna.
Dama, lasciate far la scusa a noi:
le spade acconceran ciò che bisogna.
Quand’ebbe detto, scese il parlatore.
E montò suso un grande barbasore, [7]
il quale stava al fine d’Oriente,
campion de’ ner gioganti [8], s’ io non erro:
e disse: — Io vi darò della mia gente
duomila turchi con baston di ferro,
e vo’ morir con tutti lor presente,
se dieci tanti di lor non disserro.[9] —
E dopo costui molti altri baroni
li proferían cavalieri e pedoni.
Ed ella ringraziò in lor presenza,
baroni e donne col viso giocondo,
dicendo: — Poi ch’io so la vostra intenza
lo ’ntendimento mio non vi nascondo.
Io son pur ferma di far l’ubbidienza
del papa, che è vicario di Dio al mondo:
però mi date quella compagnia,
che a voi par ch’onorevole mi sia. —
La gente sua, vedendola sí magna,
l’un più che l’altro andava volentieri.
ma della sua partenza ognun si lagna.
Piangon le donne, baroni e scudieri.
E ordinaron che avesse in sua compagna
ad elmo diecimilia cavalieri,
che la metá di lor fosson gioganti
dell’Oriente, neri tutti quanti.
L’alta reina si levò e disse:
— Grazia ne rendo alla vostra bontade:
poi comandò che, infin ch’ella redisse,
stessono in pace ed in tranquillitade.
Appresso comandò che si partisse
ciascuno e ritornasse in sue contrade;
sí che si dipartiron lagrimando,
e la reina si venne acconciando.
Io vo’, signor, che voi siate avvisati
che quella donna di sua terra mosse
con diecemila cavalieri armati,
che per tre tanti non temean percosse,
di pedon sanza numero pregiati
menò con seco molte schiere grosse,
mille dottor con batoli [10] di vaio,
vestiti d’un color allegro e gaio.
Appresso si menò mille donzelle,
di seta d’un color tutte vestite,
di musica maestre e tanto belle,
ch’allor parean del paradiso uscite;
e mille donne per guardia di quelle,
da cui la notte e ’l di eran servite;
e mille carra coverte a scarlatto,
ch’andavano, a lor modo, piano e ratto.
Li carri, ch’io vi dico, eran tirati
ciascun da due destrieri ambianti [11] e forti;
per due maestri turchi eran guidati,
attenti a’ loro uffici e bene accorti;
presso alla donna andavano ordinati
con canti e suon perch’ella si conforti;
sopra ogni carro aveva la bandiera,
lá dove l’arme di quella donna era.
Appresso un carro v’era d’oro fino,
tratto da dieci grossi palafreni,
lattati e bianchi quanto l’ermelino,
e d’oro aveano tutti quanti i freni;
sopra ciascuno avea un saracino,
perché soavemente il carro meni,
il qual di perle e gemme avea cortina,
e dentro si posava la reina.
Or chi potrebbe raccontar le some
de’ muli a campanelle d’ariento,
che ben valeano più di sette Rome?
Del trionfante e magno fornimento
se avete voglia di sapere il come,
io vel dirò, per far ognun contento,
com’ella potea far più ch’ io non dico,
se vero è ciò che conta il libro antico.
Per lo reame suo correva un fiume
ch’uscia del paradiso deliziano,
e pietre preziose per costume
menava, ed oro ed ariento sovrano.
Non era fiumicel, ma di vilume, [12]
per la larghezza un miglio intero e sano,
e per lunghezza tenea trenta miglia:
se questo è ver, quel non è maraviglia.
E, quando a Roma giunse quella donna,
che mille turchi menava d’intorno,
e sopra al capo, in sur una colonna,
aveva uno istendardo molto adorno,
veracemente ben parea madonna
di ciò che ’n questa vita fa soggiorno;
e tutta Roma correva a furore
dicendo: — Chi sará questo signore? —
Quando la gente la donna vedia
piú rilucente che non è il cristallo,
e riguardò la sua gran baronia,
ch’eran con lei a piede ed a cavallo,
e le donzelle, che venían per via,
agnoli le credeano sanza fallo;
diceva l’uno a l’altro de’ romani:
— Di vero quelli non son corpi umani! —
E, dismontata al palagio papale,
l’alta reina, siccome saputa,
mille turchi menò su per le scale,
ché a torto non volía esser tenuta:
e, quando vide il papa naturale,
con riverenzia lo inchina e saluta;
poi disse in ginocchion con umiltade:
— Che mi comanda Vostra Santitade? —
Il papa disse: — Tu mi se’ accusata
di questo mondo paradiso fai,
e l’altra vita in tutto hai disprezzata
e ne’ mondan diletti sempre stai.
— Ed ella disse: — Io sono accagionata,
Padre, di cosa che ma’ non pensai,
ch’io credo in Dio e vita eterna spero:
chi altro dice non vi porge il vero.
Diletto prendo per considerare
eternal vita che mai non ha fine,
e penso, udendo mie dame cantare,
che debbian esser le voci divine!
E, disiando udirle, star mi pare
in questo mondo tra pungenti spine.
Di questa vita non curo una fronda;
ma, sperando aver l’altra, sto gioconda. —
Appresso disse: — Acciò ch’io non v’inganni,
fate cessar tutta la gente vostra. —
Quando con lui fu sola, alza li panni,
una camicia di setole mostra,
e dice: — Padre santo, quindici anni
fatto ho con questa col Nimico giostra. —
Poi mostrò un ferro in sulle carni cinto;
laonde il papa disse: — Tu m’ hai vinto. —
Levossi ritto e presela per mano,
dicendo: — Donna santa, grazia chiedi; —
ed ella, lagrimando umile e piano,
disse: — Per quello Iddio a cui mi diedi,
vi priego, Padre mio, Pastor sovrano,
che m’assolviate innanzi a’ vostri piedi. —
E poi che l’ebbe di tal voglia sazia,
ed ella disse: — Io voglio un’altra grazia.
Voglio, Santa Corona, che vi piaccia
di pregare il Signor che mi conceda,
ch’un figliuolo col mio marito faccia,
che del tesoro mio rimagna reda. —
Il Padre santo disse: — Va’, procaccia,
ché ’l ventre tuo avrà di corto preda. —
Ed ella se ne andò con gran letizia
ad albergo, al Castel della milizia.
Quando l’ imperadore ebbe spiato
ch’ell’era sciolta sanza suo pregare,
subitamente a caval fu montato
ed all’albergo l’andò a visitare.
E la reina l’ebbe ringraziato,
ed e’ si parte sanza dimorare,
e manda alle milizie pel maestro
de’ cavalier, sempre alla guardia presto.
E disseli: — Tu hai molto fallito,
che la reina ha’ messa in tal fortezza;
ma guarda pur che tu non sie tradito,
ch’ella vuol prender la romana altezza;
ché seco ha gente per cotal partito
la piú fiorita che sia di prodezza,
e Roma vuol, per aver lo papato
e per signoreggiare lo ’mperiato. —
Disse il maestro: — Tal cosa m’è nuova.
Ma non temete per cotal cagione;
ché, se di ciò si metterà alla prova,
farò sonare ad arme lo squillone.
Quando suona al bisogno, si ritrova
trenta milizie d’uomini in arcione,
cento legion di popol franco,
che a sua difesa non si vede stanco.
Le milizie sapete sono tante,
centosessanta con mille ducento,
e le legion di populi altrettanto,
sí che saria si grande assembramento,
che, se costei n’avesse sei cotanto,
di sua venuta arebbe pentimento.
Ma priego voi che, a sí fatto periglio,
mi diate il vostro discreto consiglio. —
Ed e’ rispose: — Fa’ che a’ suoi cavagli
sien tolti tutti e’ freni e’ loro arnesi.
Appresso, lo squillon fa’ che battagli,
e’ traditori saran morti e presi. —
Disse il maestro: — Io temo non v’abbagli
altro pensier che sopra a ciò vi pesi:
che vogli alquanto procurar sua vista,
ché mal per voi, se tal briga s’acquista! —
Mentre che ’l maestro tai parole dice.
a quello ’mperador venne un presente,
un altro alla sua madre imperadrice
da parte della donna d’Oriente.
Quel de lo ’mperador fu sí felice,
ch’una cittá valeva certamente;
onde e’ disse: — Piú son che ’n prima preso. —
Quel maestro di botto l’ebbe inteso,
e disse: — Se di donna sí gentile
amor v’ha preso, non so ch’io mi dica,
ch’ io non ne vidi mai una simile,
con tanti buon costumi si nutrica.
Se di lei volete esser signorile,
]a ’mperadrice vi fia buona amica:
manifestate a lei vostro talento,
ed ella vi fará di lei contento. —
Lo ’mperador, per seguitar sua voglia,
a la sua madre il fatto ebbe contato,
dicendo: — Madre, io mi moro di doglia
per la reina, che m’ha inamorato.
Se le potessi far passar la soglia
d’esto palagio, ben saria sanato. —
Ed ella, udendo allora il suo volere,
disse: — Io anderò per lei, e non temere. —
E l’altro dí in persona andò per lei:
e settanta reine menò seco,
e ringraziolla. Poi disse: — Io vorrei
nel mio palagio alquanto esser con teco:
non mel disdir, ch’ io non mi partirei
se ’n prima mossa non fussi con meco. —
E la reina sospettò nel core;
ma pur disse: — Io verrò per vostro amore. —
Poi ordinò che mille turchi armati
la seguissen vestiti come donne;
alli altri disse: — State apparecchiati
a seguitarmi, se bisogno avronne; —
e molto ammaestròe turchi velati,
e poi con quella ’mperadrice andonne,
e portò sotto una spada forbita,
che a qualunque feria, toglie la vita.
E, giungendo al palagio imperiale,
lo ’mperador incontro se li fece,
e per man prese la donna reale,
che di color nel viso si disfece.
La ’mperadrice, ch’era accorta al male,
menolla dentro, dove più le lece;
e poi disse al figliol: — Fa’ ciò che déi; —
e volle serrar dentro lui e lei.
E quelle donne turchie non lasciaro
serrar la porta, ch’érno ammaestrate:
apresso loro stavano a riparo,
e preso avean prima tutte l’entrate.
I baron del signor allora andáro,
e ispinsono le donne piú fiate,
ma no’ che le smagliassin [13] d’ in sull’uscio,
ch’a petto loro non valeano un guscio.
Disse lo imperador: — Tre donne quinci
non potrete cacciar, tristi baroni!
Non fia nessun di voi che incominci
a dar lor delle pugna e de’ bastoni? —
Allor vi trasser gli scudieri e i princi,
dando e togliendo su per li gropponi:
correndo la reina a tale offesa,
e quella ’mperadrice l’ebba presa.
E la reina in su quella fu presta,
e mise mano a la spada attoscata,
e die’ alla ’mperadrice in sulla testa
tal colpo, ch’ella cadde stramazzata.
Nel secondo cantar si manifesta
come vi fu battaglia ismisurata,
e chi ne scampò allora in su quel tratto.
Antonio Pucci al vostro onor l’ ha fatto.
Celestiale, eterna Maiestade,
che senza la tua luce mai non veggio,
s’ io sperdo il tempo in queste vanitade,
perdona a me, ch’io ’l fo per non far peggio.
Ma perch’i’ ho da me poca bontade,
della tua fonte tanta grazia chieggio
ch’io possa seguitar il convenente
di quella alta reina d’Oriente.
Io vi contai come lo ’mperadore
in camera era con quella reina;
e come a la sua gente con dolore
le donne turchie davan disciplina;
e come quella donna di valore
la ’mperadrice uccise la mattina:
or seguirá che diece cameriere
uccise poi per sí fatto mestiere.
Quando lo ’mperadore i suoi soccorse,
di sei baruni l’ un non trova sano:
e la reina fuor la zambra corse,
dicendo alla sua gente: — Ora partiáno!
E, quando la brigata sua s’accorse
ch’avea la spada sanguinosa in mano,
mison mano alle lor, ché colle pugna
infino allor battuta avean la sugna. [14]
E quella donna co’ turchi velati
tornò al suo albergo sanza dimorare;
e trovò tutti gli altri apparecchiati
di ogni arnesi acconci a camminare;
e disse: — Poi che siete tutti armati,
partianci quindi, se voglián campare;
ché, se ci suona adosso lo squillone,
a rischio tutti sián de le persone. —
E come fu partita dal Castello,
l’alta reina al papa mandò a dire
che li piacesse rimediare a quello
che non potesserla impedimentire.
Allor suonò lo squillone a martello,
e ’l papa disse: — Ah! le convien morire,
però che questa gente son sì cani,
che duro fia campar dalle lor mani. ‑
E poi le scrisse: « Reina, di saldo a rischio
se’ con quanta gente hai teco,
perché lo ’mperador si è molto caldo,
e gente senza numero ha con seco.
Ma prendi vestimento di ribaldo
e torna indietro, e saraiti con meco,
tanto che sfoghi alquanto l’ira sua:
poi ti potrai tornare a casa tua ».
E la reina discreta ed accorta
immantanente disse: — A Dio non piaccia
che questa gente, che m’ha fatto scorta,
abbandonata sia dalle mie braccia:
’nanzi voglio esser io la prima morta,
poi che di loro ho guidato la traccia. —
E la sua gente gridava: — Campate —
alla reina, — e di noi non curate ! —
Disse un de’ savi suoi: — Di questa offesa,
de’ due partiti l’un convien pigliare:
o noi ci apparecchiam per la difesa
in ogni modo e ’l me’ che possián fare;
o disarmati, senza far contesa,
incominciamo mercé a domandare;
ché io son certo ch’e’ roman saranno
pietosi sí che ci perdoneranno. —
E la reina disse: — Al mio parere,
meglio è a fare una morte che cento;
ché, se noi ci arrendiamo al lor volere,
ne le prigioni ci faran far stento. —
E confortò la gente e fe’ le schiere,
dicendo: — Cavalier pien d’ardimento,
vogliate innanzi morire ad onore
che viver con vergogna e disinore. —
Lo ’mperador correndo uscí di Roma,
dicendo a la sua gente: — Siate accorti
di prender la reina per la chioma,
la strascinate insin dentro le porti;
e ciaschedun che sua gente si noma,
pedoni e cavalier sien tutti morti;
le dame ignude tutte le ispogliate,
e incontanente a Roma le menate. —
Quando la donna piena di bontade
vide venir lo ’mperador possente,
guardando intorno, da tutte contrade
premer si vide addosso molta gente;
ond’ella, sospirando con pietade,
iscese da caval subitamente,
e cogli occhi levati, inginocchiata,
si fu di cuore a Dio raccomandata,
dicendo: — O Dio, pietá di me ti prenda,
ché ciò m’avvien per voler viver casta;
ond’ io ti priego che tu mi diffenda
da quello ’mperador, che mi contrasta,
sì che di mille dame non si offenda,
la lor virginitade e non sia guasta.
Soccorrimi, Signor celestiale,
che per ben fare io non riceva male. —
E l’agnol, poi che l’orazione ha detta,
li apparve e disse: — Non ti sgomentare:
perché istata se’ da Dio diletta,
mandato m’ ha per non ti abbandonare. —
E poi li disse: — To’ questa bacchetta;
fra tuoi nemici sì la va a gittare,
dicendo: — Gite come fumo al vento; —
e lo tuo cor di lor sará contento. —
E dipartita quella santa boce,
l’alta reina a caval fu montata,
fecesi il segno de la santa croce.
e contra e’ suoi nemici ne fu andata
Quando fu presso a !or, molto feroce
la bacchetta tra loro ebbe gittata,
dicendo come l’agnol detto avia,
e tutta quella gente si fuggia.
E in isconfitta a Roma se n’andâro,
non aspettando lo padre il figliuolo,
e settemilia e piú ne trafeláro
a piede ed a caval di quello istuolo,
e de’ maggior baron pochi campáro.
Di che lo ’mperador n’ have gran duolo;
e que’ de la reina molto arnese
de li roman portarno in lor paese.
Sentendo la sconfitta, il Padre santo
andò al palazzo dello ’mperadore,
e in camera il trovò far sì gran pianto,
che somigliante mai nol fe’ signore.
E disse: — Dimmi il fatto tutto quanto. —
Ed e’ rispuose con molto dolore:
— Il fatto è gito come voi voleste,
quando la falsa reina assolveste.
I’ vo’ che voi sappiate, santo Padre,
ch’ella è maestra di diabolica arte,
e le ricchezze sue tanto leggiadre
tutte le vengon da sì fatta parte;
e per tal modo uccise la mia madre
con dieci cameriere po’ in disparte;
e ora senza combatter mi sconfisse
con parole e mal cose ch’ella disse. —
E ’l papa, che la cosa tutta quanta
sapeva, disse: — Non mi ti scusare.
Tu m’accusasti quella donna santa,
poi la volesti qui vituperare;
perch’ella si difese, tu sai quanta
crudeltá inverso lei volesti fare.
Dio ne fe’ uno miracol manifesto,
e la reina non ha colpa in questo.
E poi che l’ebbe molto predicato,
lo ’mperadore tornò a coscienza,
ed a’ suoi piè, di lagrime bagnato,
s’inginocchiò con molta riverenza,
dicendo: — Padre, i’ ho molto fallato,
ond’io mi pento e cheggio penitenza.
E ’l papa l’assolvette d’ogni rio,
e benedisselo e poi si partio.
Appresso scrisse alla donna reale
in Oriente come il fatto istava.
Quando ella lesse la scritta papale,
fu molto lieta di ciò che contava,
perché aspettava l’oste imperiale,
de la qual cosa molto dubitava.
Quando sua gente la novella intese,
facean gran festa per tutto il paese.
La sera la reina di biltade
suo debito richiese al suo marito.
Rispuose il re: — Perché tal novitate?
Non mostri [15] sanza quel tale appetito;
ché sián tant’anni stati in castitade
e or mi richiedi a sí fatto partito. —
Ed ella disse: — Io ’l fo, perché di noi
nasca un figliuol che signoreggi poi. —
Udendo il re cosí buona ragione, rispuose:
— Tu di’ bene, al parer mio.
Giacque collei, si ch’ella ingravidòne
in quella notte, come piacque a Dio.
E la reina poi il fatto contòne
a’ suoi baron, che n’aveano disio:
— D’un figliuol maschio io sono ingravidata;
onde di ciò si fe’ grande armeggiata. —
E poco istante il re si fu ammalato
e in brieve si partí di questa vita.
Di ciò si fe’ lamento smisurato,
e gran gente di brun si fu vestita;
e non si vide mai corpo onorato
come fu quel d’adornezza infinita.
Po’ che fu soppellito, di presente,
l’alta reina amaestrò sua gente,
dicendo: — Ciascun sia come fratello,
e niuno faccia ad alcun altro torto;
ché a doppio punirò qual sará quello
che faccia peggio perché ’l re sia morto.
Non dubitate, ché signor novello
so veramente ch’avrete di corto,
il qual sará bilancia di giustizia.—
E tutta gente n’andò con letizia.
Ed una ch’avea nome donna Berta,
sua segretiera istata sempre mai,
disse: — Reina, come se’ tu certa
di figliuol maschio aver, che ancor no’ l’ hai?
Iscandal nascerá di tal proferta
fra la tua gente, se femina fai! —
E la reina disse: — Tu di’ vero: ripara tu,
che ha ’l senno tutto intero. —
Appresso di dolore fu gravata
l’alta reina sopra a partorire;
e donna Berta savia ed insegnata [16]
celato un fanciul maschio fe’ venire,
e in camera con quel si fu serrata,
ch’altra persona non vi pote’ gire.
Ed ella partorí quando gli lece:
or vi dirò che donna Berta fece.
La donna partorí una fanciulla,
che di bellezza fu maravigliosa;
e donna Berta no’ ne disse nulla,
ma fuor l’ebbe mandata alla nascosa,
e con quel maschio in collo si trastulla.
Gridando, aprí la camera gioiosa:
— Venite dentro, ché ’l signore è nato,
piú bel figliuol che mai fosse portato. —
E delle donne fu la calca grande
a visitar la donna lor maggiore.
Quando la boce tra’ baron si spande
che gli era nato il lor novel signore,
tutti armeggiâr con sopraveste e bande,
piú volte il giorno mutando colore:
e ciaschedun crede che maschio sia
quel che regger dovea la signoria.
Levandosi del parto la reina,
fece lattar quel maschio nel palagio.
E donna Berta facie la fantina
celatamente star senza disagio;
e po’, crescendo, a foggia mascolina
la faceva vestire e stare ad agio;
sí che maschio pareva veramente
piú bel ch’altro bellissimo e piacente.
E quando di sett’anni fu in etade,
e la reina a donna Berta disse
che rimandasse il maschio in sue contrade,
siccome ella ordinò che vi venisse.
E poi che fatta fu suo volontade,
sí che non fu persona che ’l sentisse,
ed ella fe’ tornare la figliuola
siccome maschio, per mandarlo a scuola.
E disse a donna Berta: — E’ ti conviene
andar con questa fanciulla a Bologna,
però ch’io temo ch’essa sanza tene
non ricevesse biasimo o vergogna:
teco non potre’ stare se non bene.
Prendi tesoro quanto ti bisogna,
e la non dir chi sia: fálla studiare:
s’ io non mando per te, giá non tornare. —
Ed ella si parti con molto avere
valsene a Bologna quando puote.
Quando fu giunta, ella volle sapere
chi di scienza sape’ me’ le note.
Fu col maestro, e disseli: — Messere,
con voi vo’ porre questo mio nipote,
ché l’amo piú che mio figliuolo assai,
e qui da lui non mi partirò mai.
E se farete si ched egli appari
tanto che basti come voi sapete,
non ne pensate d’avere denari,
ch’io ve ne darò quanti vorrete;
si che, se non aveste più scolari,
co’ sol costui ad agio ne starete. —
Disse il maestro, udendo tal sermone:
Io ’l faro savio piú che Salamone. —
E poi che la fanciulla fu avviata,
ella imprende’ ciò che vedea d’inchiostro.
Se la reina n’era domandata
da’ suoi baroni: — Ch’è del signor nostro?—
ella dicea: — Ene bene — ogni fiata,
— però che studia nel servigio vostro;
e spero in Dio che tornerá sí saggio,
che di scienza non ará paraggio. —
quando la fanciulla fu cresciuta
tanto, era in etá di quindici anni,
e in quel tempo suo par non fu veduta
maestra di scienza sanza inganni:
da tutta gente maschio era tenuta
per atti, per sembianti e per li panni;
e di bellezze tante in sé avea,
che molte donne innamorar facea.
Ed in quel tempo la reina scrisse
a donna Berta che s’apparecchiasse,
che di Bologna in breve si partisse
e come re la figliuola menasse;
e d’ un color cento donzei vestisse,
e gente a piè ed a caval soldasse,
sí che paresse bene accompagnato
il re novello d’oro incoronato.
E donna Berta fece incontanente
ciò che da quella lettera comprese:
vestí donzelli e soldò molta gente,
e some fe’ di molto bello arnese;
e da’ signor de la cittá presente
prese comiato, e fece allor palese
che figliuol era: donde i cittadini
l’accompagnâro più che a lor confini.
E, cavalcando poi, ogni cittade
gli fece onor quanto li convenia.
La madre, che sapea per veritade
la sua tornata, fece ambasceria
a tutti i suoi baron di nobiltade
ch’ognuno andasse a farle compagnia;
onde marchesi, barvasori e conti
con altra gente a caval furon pronti.
Poi la reina fe’ per suo contado
tutta la strada, dove dé’ passare,
quaranta miglia coprir di zendado,
e poi la piazza, ove dovia smontare,
di drappo d’oro coprir, che di rado
sí bel si vede mai adoperare.
Giunto ch’è il re, la festa e l’allegrezza
fu tal, che a dire mi sare’ gravezza.
Ma, poi che ’l fu ne la sedia reale,
parlamentò sí ben, che ognun da canto
diceva: — Il nostro signor naturale
parla per bocca di Spirito santo.
E certi sián che ’l Re celestiale
colla sua man l’ha fatto tutto quanto,
però ch’uscito par del paradiso. —
E ciascun si partí con giuoco e riso.
E lo re poi, per più chiaro mostrare
che ’l fosse maschio com’era tenuto,
apparò di schermire e di giostrare,
ed in ciascuno fu ardito e saputo.
Cantar sapeva e stormenti suonare,
di gran vantaggio l’arpa ed il liuto:
sí che di sua virtù per ogni verso
fama n’andò per tutto l’universo.
Ed in quel tempo avia lo ’mperadore
una figliuola grande da marito;
e disse al papa un dì: — Santo pastore,
mia figliuola vorrebbe anello in dito;
ond’ io ne sto in pensiero a tutte l’ore,
poi che non so chi sia di tal partito:
se ne sapete alcun, che a lei si faccia,
di maritarla priego che ’l vi piaccia. —
Sapendo il papa la magnificenza
de lo re d’Oriente e sua vertute,
disse a lo ’mperador la convenenza.
— Questi sará di tua figlia salute:
però che, s’ella ha bella appariscenza,
odo ch’egli ha tutte virtù compiute:
da lui ’n fuor, non sa in cristianitade
chi degno sia di tanta nobiltade. —
Lo ’mperador ne fu molto contento.
e lettere fûr fatte e suggellate,
e per ambasciador di valimento
a lo re d’Oriente fûr mandate.
E lo re l’accettò di fin talento;
poi disse a que’ messaggi: — Or m’aspettate;
e poi le lesse in zambra [17] saviamente,
con donna Berta e la madre presente.
Quando leggendo intende la scrittura,
come lo ’mperador gli vuol dar moglie.
non sentendosi maschio di natura,
egli e la madre parean pien di doglie.
E donna Berta s’ impromette e giura
di riparare a ciò, sed e’ la toglie;
dicendo: — Scusa parrebbe disdegno,
onde distrutto saria questo regno. —
E lo re fe’ chiamar l’ambasceria,
e disse lor: — Signori, in veritade,
che tutto ’l tempo della vita mia
promesso aveva a Dio verginitade;
sí che per tal cagion grave mi fia
offender la divina Maestade:
ma, per aver con lui perfetta pace,
son per far ciò ch’allo ’mperador piace.
E fece ragunar sua gente apresso,
e in parlemento fe’ dir l’ambasciata,
e tutta la sua gente gridò ad esso:
— Facciasi ciò che dice la mandata. —
E, fatto nel Consiglio il compromesso,
per cavalcar si fe’ l’apparecchiata.
Quando il re fu per mover la mattina.
s’inginocchiòe e disse alla reina:
— Forse che più non mi rivedi mai;
ond’io ti cheggio la tua benezione. —
E la reina allor mise gran guai,
e cadde in terra per quella cagione.
E donna Berta le disse: — Dove hai,
reina, il senno e il core di lione? —
E la reina disse: — Omè! non dire,
ch’io veggio andar la mia figlia a morire.
Perch’io uccisi, donde son corrucciosa,
la madre di colui che ’l mondo regge.
Se il nostro re si spoglia con la sposa,
e’ non fia quel che ’l matrimonio legge,
se torna in palese questa cosa,
ad aspra morte il condanna la legge! —
Rispose donna Berta: — Non dottare,
ché il re con lei qui san credo menare. —
E la reina allor l’ha benedetto,
ed el con donna Berta fu partito,
e cogli ambasciator di tale effetto,
e con altri baron, che l’ han seguito.
Nel terzo vi dirò come nel letto
la moglie molto lusingò il marito,
pognam che poco valse il lusingare.
Al vostro onore Antonio fe’ ’l cantare.
Io prego Iddio, che ’nfino a qui m’ ha dato
lo ’ngegno di rimar sí bella storia,
che non guardi secondo il mio peccato,
e doni grazia nella mia memoria,
sí ch’io possala, come ho incominciato,
a tutta buona gente far notoria;
e priego voi che ciaschedun m’intenda,
però che questo è ’l fior de la leggenda.
Signori, i’ dissi nel cantar secondo
come lo re si mosse d’Oriente:
or mi convien seguir come giocondo
a Roma giunse con tutta sua gente,
ché ’l non fu mai signore in questo mondo,
che comparisse tanto adornamente:
ché tutta Roma, prima che ’l vi entrasse,
dalli stormenti parea che ’ntronasse.
Il papa, e’ cardinali, e’ gran prelati
e tutta baronia imperiale
incontr’ a quel signor ne fûro andati
con allegrezze e festa generale.
E, quando insieme furon iscontrati,
ismontar vuole quel signor reale
a piè del padre santo; ond’egli disse:
— Sta’ su, figliuolo! — e poscia il benedisse.
Entrato in Roma, tutte le persone
si maraviglian della sua bellezza,
dicendo: — Questi è piú bel che Assalone,
ed angiol par de la divina Altezza. —
E ’l santo papa seco nel menòne
al suo palagio, ché ne avea vaghezza;
e, dismontato, sempre donna Berta
vuol presso a lui, perché di senno sperta.
E, poi che il re si fu posato alquanto
ragionato col sommo pastore,
quando fu tempo, disse al padre santo:
— Andiamo a corte dello ’mperadore. -
E fûrsi mossi e cavalcaron tanto,
che giunti fûro al palazzo maggiore;
isceson da caval, salîr la scala,
lo ’mperador trovâro in su la sala.
E lo re corse e gitòlisi a’ piede,
e salutollo da parte di Dio.
Lo ’mperadore, che sí bello il vede, disse:
— Ben sia venuto ’l figliuol mio!
Poi ch’è piaciuto al papa, sua mercede,
se se’ contento tu, son content’ io. —
Rispose il re: — Santissima Corona,
io sono vostro in avere e in persona. —
Lo ’mperadore allor chiamò la figlia,
e dimandolla se per sposo il vuole.
Ella, che inver’ di lui alzò le ciglia,
e rilucente il vide piú che ’l sole,
rispose, tutta di color vermiglia:
— O padre mio, perché tante parole?
poiché a voi piace, ed io ne son contenta.
Ma lo ’ndugiare è quel che mi tormenta. —
Il padre tenne il dito a la donzella,
presente molti re, conti e marchesi ;
e lo re la sposò con cinque anella
più rilucenti che carboni accesi,
e valean più di quindici castella,
de le miglior di tutti que’ paesi ;
e se ne fece festa in tutta Roma,
tal che per tutto il mondo ancor si noma.
El papa fu partito di presente,
da poi che vide la donna sposata.
Il nuovo sposo poi celatamente
madonna Berta a sé ebbe chiamata;
e’ ragionò della sera vegnente, dicendo:
— Poi che qui sono arrivata,
come farò con quella, che nel letto
stasera aspetta aver di me diletto? —
Ed ella disse: — Quando se’ alle prese,
lussuria spregia, loda virginitade;
il matrimonio, di’, fatt’ hai palese
per non aver col padre nimistade;
forma di maschio mostri in tuo paese,
per me’ signoreggiar le tue contrade.
E sappi tanto dir, che la converta
teco a tener virginitá coperta. —
La sera, poi che ’l re ebbe cenato,
le donne si ’l pigliâro senza posa;
l’ebber di peso in camera portato,
dove aspettava con desio la sposa.
E poi che dentro fu con lei serrato,
ed ella disse alquanto vergognosa:
— Spogliatevi, messer, ché vi posiate
prima che a noi le donne sian tornate. —
E lo re disse: — Va’ inanzi a dormire,
però ch’ a Dio vo’ fare orazione. —
E poi s’inginocchiò e prese a dire:
— O Signor mio, — con gran divozione, —
poi che per questo mi convien morire,
alla mia gente campa le persone:
poi ch’io virginitade t’ ho servata,
l’anima mia ti sia raccomandata. —
E poi, tremando tutto di paura,
da l’altra parte si fu coricato.
E quand’ella fu assai stata alla dura,
disse: — Messer, molto avete fallato.
Per tener questi modi non si giura
il matrimonio, da Dio comandato
anzi per generare e far figliuoli. —
E ’l re piangendo disse con gran duoli:
— Tu se’ figliuola peggio maritata
che niun’altra che nel mondo sia;
ed io sono colei che t’ ho ingannata,
come udirai contra la voglia mia. —
E tutta la novella ebbe contata,
piangendo fortemente tuttavia,
e disse: — Come tu, femina sono;
di morte degna son, cheggio perdono. —
Appresso disse come donna Berta
gli avea insegnato con la mente greve;
e la fanciulla, per esserne certa
(ché non credeva al suo detto di leve),
tutta dal capo al piè l’ebbe scoperta,
che parea pure una massa di neve;
poi li disse, quando ben l’addocchia:
— Non pianger piú, ch’io ti sarò sirocchia.
E insieme si promison d’osservare
virginitá, mostrandosi contente,
e cotal cosa non manifestare
in tutta la lor vita ad uom vivente:
poi s’abbracciâro in poco dimorare.
E ne la zambra ritornò la gente,
la qual danzando era gita intorno;
sí che levârsi, ch’era presso ’l giorno.
Lo ’mperador la figlia ebbe chiamata,
perché la vide cosí lieta in viso,
e disse: — Figlia, come se’ tu stata? —
Ed ella disse: — Me’ che ’n paradiso. —
E similmente a chi l’ ha domandata,
a tutti dicea: — Bene, per mio avviso. —
E cosí dicíe ’l re, c’ ha senno assai :
— I’ son contento più ch’i’ fossi mai. —
E, poi che donna Berta ebbe sentito
la mattina dal re la veritade,
disse: — Poinam che l’abbi convertita,
in femina non è stabilitade;
si che facián di qui tosto partita. —
Ed e’ rispose: — Apparrebbe viltade! —
Ed ella disse: — Io farò la bisogna
per modo tal, che non ci sia vergogna.
E fe’ fare una lettera, mostrando
che la mandassi la vecchia reina,
ne la qual contenea, breve parlando:
« Sappi, figliuol, che la mia vita fina [18].
Da poi che mi lassasti sospirando,
non posai mai né sera né mattina:
però, se metti di mia vita cura,
fa’ che ti mova, letta la scrittura ».
E, quando il re fu posto a desinare,
la lettera gli fu appresentata.
Leggendo, incominciò a lagrimare;
onde tutta la corte fu turbata,
e presto fu levato da mangiare.
Ed allo ’mperador l’ebbe portata,
dicendo: — E’ mi convien partir da voi.
— Egli la lesse, e risposeli poi:
— Tu hai cagion, ch’io non sarei colui
che ti volessi tenere qui a bada;
va’ tosto, muovi, e la cagione altrui
non dir perché, né dove tu ti vada. —
Disse la sposa: — Io voglio ire collui. —
Ed el rispose: — Fa’ ciò che t’aggrada. —
E féllo accompagnar da molta gente.
E ’l re la ne menò in Oriente.
E, trovando la madre fresca e sana,
fe’ dimostrar corne fosse guerita.
Per lo tornar del re, l’alta sovrana
un anno tenne o più corte bandita.
Quando n’andò la baronia romana
fe’ lor ta’ doni, si ch’alla reddíta
a lo ’mperador disser: — Signor nostro,
signor del mondo pare il gener vostro.
E, quando donna Berta ebbe ridetto
a la reina come ’l fatto era ito,
molto si contentò, poiché ’l difetto
del re non era per altrui sentito.
La sposa avea col re maggior diletto
ch’al mondo avesse mai moglie e marito;
e ’l padre suo n’avea lettere assai,
ch’ella si contentava più che mai.
Poi che due anni inseme fiero state,
amandosi l’un l’altro d’amor fino,
per lo gran caldo avvenne un dí di state,
ch’ell’erano spogliate in un giardino.
E donna Berta le trovò abbracciate,
e riprendéle per aspro latino;
ed elle disser: — Vanne, vecchiarella,
ché non cape tra noi più tua novella. —
E donna Berta allor, molto adirata,
fra suo cor disse: — Io ne farò vendetta. —
Subitamente a caval fu montata,
ed a Roma n’andò con molta fretta,
ed allo ’mperador fu appresentata,
e tutta la novella gli ebbe detta,
dicendo: — La tua figlia è ancor pulcella,
e femina è lo sposo sí com’ella. —
Ed el rispose: — Io mi maraviglio
ch’ella abbia avuta in sé tanta malizia! —
Di ciò prese co’ savi suoi consiglio,
i quali, accesi tutti di nequizia,
dissero ognuno: — Gli si dia di piglio,
poi se ne faccia un’aspra giustizia.
— Disse il signor: — Se questo fia palese,
condanno al fuoco lui e ’l suo paese. —
Appresso scrisse, come savio e dotto,
a la figliuola ed allo re d’Oriente,
che, veduta la lettera, di botto
il visitasser, ché sta gravemente.
A la figliuola e al re non parve motto,
e montâro a caval subitamente
con molta gente, e tanto cavalcâro,
ch’a la cittá di Roma si trovâro.
Lo ’mperadore fe’ di lor venuta
festa e gioia, mostrandosi guarito:
poi domandò la figliuola saputa
s’egli era maschio o femina il marito.
Ed ella si fu allor molt’aveduta,
e disse: — Padre mio, egli è fornito
di ciò che a vero sposo si richiede. —
Ed el per tutto questo nolle crede.
Ed ordinò d’andar fuori a cacciare
e di menar la figlia e ’l suo compagno,
e disse a’ servi: — Fate ch’al tornare
per loro in sala fatto truovi un bagno. —
E questo fe’ per vederlo ispogliare,
mostrando a lui di farli onore magno.
Poi cavalcò, e il re siguí la traccia,
non sapendo perché facea la caccia.
Disse un, ch’andando li si accostò allato:
— Lo ’mperador vuol far la cotal prova,
ed havvi ad aspra morte condannato,
se natura di femina vi trova.
— S’ io fussi a piè, il t’averei mostrato ! —
rispose il re, — ma di questo mi giova. —
E con letizia aspettò il convenente:
poi si partí da lui cortesemente.
Cacciando poi per una selva scura,
el re andava pur acqua cercando
per affogarsi, per la gran paura
ch’avea d’essere giunto in cotal bando.
Non trovand’acqua in quella valle dura,
iscese, non potendo ir cavalcando;
e, poi da sé ’l cavallo ebbe cacciato,
fussi nascoso in quel chiuso burrato [19].
Piangendo poi ficcò in terra la spada,
e diceva, adorando a quella croce:
- Poi che di tôrmi la vita t’aggrada,
pregoti Cristo con pietosa voce
che la mi togli qui, si ch’io non vada
a morte sofferir tanto feroce. —
In quella venne un cerbio per la valle,
bussando [20] colle corna e colle spalle.
Giugnendo il cerbio inanzi a lui, soggiorna.
Il re teme che fosser cavalieri;
ed apparigli un angiol fra le corna,
dicendo: — O re, non ti dar piú pensieri:
arditamente alla cittá ritorna,
e colla sposa fa’ ciò ch’è mestieri,
ché tu se’ maschio per grazia di Dio,
ed hai ciò che bisogna; — e poi sparìo.
E ’l re pose la mano a sua natura,
com’ebbe inteso l’angiol prestamente,
e ritrovossi sí fatta misura,
che comparir poteva arditamente.
Di che molto nel cor si rassicura,
e cominciò a cantar divotamente:
- Te Deum laudamus; — e, poi si fu armato,
partissi da quel luogo ov’ era stato.
Lo ’mperador, che nol trova la sera,
a Roma fe’ bandir senza dimoro
che ’l si cercasse con gran luminera [21]
per quella selva, la notte, ogni foro;
e chi ’l trovasse in alcuna maniera,
da corte arebbe poi mille once d’oro;
sí che gran gente la selva cercava,
e la sua sposa, che piangendo andava.
E quando venne sú l’alba del giorno,
cercando per la selva, ebber udito
cantar quel salmo, ch’è cotanto adorno,
in quel vallon, ché ancor non era uscito.
Per quella voce andâr tanto dintorno,
che ritrovâro il re, ch’era smarrito.
Se la moglie fu lieta in su quel tratto,
ben sarà pia com’ella saprá il fatto.
E come il re fu montato a cavallo,
la novella a Roma inanzi gia,
com’ el tornava piú chiar che cristallo
con la sua sposa e con la baronia,
lo ’mperadore spera senza fallo
farlo morir, se quel che crede sia,
come giunse quel signor sovrano,
lo ’mperador li disse a mano a mano:
— Perché ti déi sentir alcuna doglia,
non ti vo’ dimandar, se non ti posi;
ma di presente in quel bagno ti spoglia,
che v’ é unguenti molto preziosi. —
Spogliossi il re, ché n’aveva gran voglia,
per far le donne e quei baron gioiosi,
mostrò lor si bella masserizia,
che tutta gente si ne fe’ letizia.
Lo imperador, di voluntate acceso,
la gente caccia e poi al re dicia:
— Dove andastú? — Ed ei disse:
— I’ fu preso nella foresta d’ Enoc ed Elia,
che con certi altri mi portâr di peso
dove si sta con gioia tuttavia:
ciò fu nel paradiso luziano,
dov’era Salamone allegro e sano,
el qual mi disse ch’a voi era detto
ch’io femina era, e non disse da cui.
Sí ch’io lassai quel loco benedetto,
per trar d’errore voi ed anche altrui;
e quei, che mi portáro, con effetto
mi puoser lá dov’ i’ trovato fui. —
Disse lo ’mperador: — Lasciamo andare:
tu m’ hai contento; vatti a riposare. —
E la mogliere soffreria gran pena
del gran disio di trovarlosi in braccio,
perché di prima sapeva la mena [22],
e non sapeva poi il suo procaccio,
presel per mano e in camera sí ’l mena,
dicendo: — Amore, andiamci a letto avaccio!
Poi fér nel letto l’amorosa danza,
come tra moglie e marito è l’usanza.
Poi ch’ell’ebbe assaggiato quell’uccello,
disse: — Amor mio, onde avestú questo? —
Ed e’ rispuose: — L’angiol Gabriello,
come Dio volle, me ’l fe’ manifesto.
Non maraviglia s’egli è buono e bello —
dissele, — se dal ciel venne sí presto.
E lo re disse: — Vorrei ch’al presente
tornassimo a mia madre in Oriente. —
Ed ella fu contenta, e ’l giorno poi
disse allo ’mperadore il suo disio:
— Concedi, padre, in quanto non ti nòi,
ch’i mi diparta col marito mio. —
Ed ei rispose: — Quando piaccia a voi,
andate con la benezion [23] di Dio. —
Ond’ei s’apparecchiâro di vantaggio
e dipartirsi con gran baronaggio.
Ed una, ch’era la maggior reina
che in que’ paesi allor fussi trovata,
chiamata era la Donna della Spina,
s’era al bagnar del re innamorata,
e pensò di pigliarlo se ’l camina;
ond’ella molta gente ha ragunata
alla sua ròcca donde dovea gire.
Quando fu giunto ed ella gli fe’ dire:
— Il signor d’esta ròcca m’ha mandato,
che parlar vi vorrebbe, se ’l vi lece. —
Ed e’ rispuose: — Sono apparecchiato. —
Uscì di schiera e contro le si fece.
Ed ella, come cavalieri armato,
andò ver’ lui ben con piú di diece:
ché n’avea seco ben dieci migliaia;
il re se’ mila e cinque centinaia.
Com’ella giunse ed ella a lui, il prese
per man, dicendo: — Venite a posare.
— Perdonami, messer, ché in mio paese —
rispose il re — ho fretta di tornare. —
Ed ella, ragionando alla cortese,
ad arte il fe’ alla ròcca appressare.
Quando si vidde da sua gente forte,
si ’l mise dentro e poi serrò le porte.
Poi disarmata, disse: — Quando ignudo
bagnar vi vidi, fu’ presa d’amore;
onde vo’ che vi piaccia, caro drudo,
ch’io sia la donna e voi siate il signore.
Ed e’ rispose con aspetto crudo:
— Ogni pensier te ne leva del core;
ch’i’ sofferrei innanzi d’esser morto
che fare alla mia donna sí gran torto.
E la falsa reina gli die’ bere
un beveraggio, ond’el fu addormentato.
Poi comandò alle sue camerere
che ignudo fusse subito spogliato.
E messo in letto e fatto il suo volere,
ed ella allor vi si coricò a lato:
poi l’abbracciò e con suo argomento
el fe’ destar d’amoroso talento.
E lo re, desto, le baciò la bocca
e fe’ piú volte la danza amorosa,
conciosiacosaché ognor che la tocca,
esser si crede con la vera sposa.
Poi che in prigion si vede nella ròcca,
forte piangendo, non trova mai posa,
né parole el confortan né vivande,
e fuor della ròcca era il pianto grande.
La ròcca era si forte, che battaglia
da niuna parte vi si potea dare.
Signor, pensate se briga e travaglia
quella donn’ebbe al marito ad acquistare.
Intendo dirvi nell’altro cantare
come vi pose l’oste di gran vaglia
e come vendicò sí fatto scherzo.
Antonio al vostro onor finito ha il terzo.
Benché pe’ templi i’ t’abbia, Signor mio,
tanto pregato, ch’io me ne vergogno,
ancor ti prego, onnipotente Dio,
che mi soccorra, ch’i’ n’ ho gran bisogno;
sí ch’io possa fornire el mio disio
della presente storia, ove ’l cor pogno,
e dammi grazia ch’io dica sí bene,
che piaccia a chi per ascoltarmi vene.
Io vi contai, signori e buona gente,
siccome nella ròcca della Spina
menato preso fu ’l re d’Oriente
da quella potentissima reina.
Or vi dirò siccome fu valente
la moglie, che di fuor campò tapina,
ch’a la madre del re scrisse il tenore,
e per gente mandò allo ’mperadore.
Quando Io ’mperador vide l’oltraggio
che la figliuola aveva ricevuto,
tre legioni di franco baronaggio
mandò subitamente in suo aiuto,
diecimilia pedoni di vantaggio
con un buon capitan molto saputo,
il qual cerchiò la ròcca atorno atorno
e non se ne partía notte né giorno.
Quando la donna d’Oriente intese
che a quella ròcca preso era ’l figliuolo,
a tutta gente debb’esser palese
se la sentí nel cor letizia o duolo.
Poi che fornita fu di quello arnese
che bisognava, menò grande stuolo
di gente seco, e tanto cavalcòne,
che giunse ove el figliuolo era in prigione.
E domandò come gli era fornita
la ròcca, ch’esser forte dimostrava.
Fulle risposto: — Ell’è sí ben guernita,
che tutto ’l mondo non cura una fava. —
E la reina saputa ed ardita
da più parte d’intorno ordinò cava;
e fu la prima che mai si facesse a terra,
che per cave s’arrendesse.
Tre mesi e piú fatt’era giá l’assedio,
quando le cave giunsono alle mura;
poi che tagliato fu ’l forte risedio [24],
fe’ dare una battaglia forte dura;
per la cava intrâr, sicché rimedio
non ebbon contro alla gente sicura:
sí che la ròcca co’ lo re acquistorno,
molti prigionieri ne menorno.
Tornossi a Roma la gente romana,
di che a lo ’mperador fu gran dolcezza:
la figlia, il re con sua madre sovrana,
in Oriente andâr con allegrezza.
E quella donna, che fu sí villana,
si féro incarcerar con molta asprezza,
e incatenar con molti suo’ baroni,
che della ròcca menarno prigioni.
Poi la reina vecchia ebbe chiamato
il suo figliuolo, e poi si fe’ mostrare
s’egli era vero quel gli era contato
che avessi quell’uccel da pizzicare.
E, poi che l’ebbe il suo cuore appagato,
una gran festa si fe’ apparecchiare
di giostra e d’armeggiare e di schermire,
e molti gran signor vi fe’ venire.
Perché tal festa era cotanta magna,
de’ carcerati non era menzione.
La donna un dí col suo guardian si lagna,
e d’un servigio umilmente il pregòne.
— Ciò che vi piace ed a vostra compagna [25]—
rispose, — fuor che trarvi di prigione. —
Diss’ella: — Un guanto in piazza alto m’appicca,
e poi mi sappi dir chi lo ne spicca. —
La guardia poi la mattina per mancia
fe’ suo volere, e poi guardò da canto.
Giungendo in piazza, disse il re di Francia:
— Battaglia dimandar si de’ quel guanto. —
Appresso corse e spiccòl dalla lancia,
poselsi in capo dicendo: — Io mi vanto
di questo guanto osservar la proposta. —
La guardia tornò e disse la risposta.
Ed ella tosto scrisse a quel signore,
dicendo: « La reina Galatea
è ’ncarcerata per colpa d’amore,
come se fossi pessima giudea.
Onde ti priego col tuo gran valore
di trarmi di prigion cotanto rea;
ché tu ’l de’ far, però che ’l promettesti,
quando di piazza il mio guanto prendesti ».
E, ricevuta la lettera e letta,
la pose in mano a lo re d’Oriente.
Ed el si scusa e po’ co’ molta fretta
liberò lei con tutta la sua gente:
perché, sappiate, s’ella era soletta,
secento cavalieri avea presente,
e’ quali ebbon ogni loro arnese,
gli altri suoi moriro alle difese.
E, quando ella si vide liberata,
rendéne grazie a cui si convenía,
e di presente sí si fu avviata
al torniamento de la baronia.
Poi corse ad uno albergo e lussi armata
con arme travisate, ch’ell’avía,
ed a ferir nel torniamento andava,
iscavalcando quanti ne trovava.
Dando e togliendo, quel dí fu mestieri
che rimanesse a lei quel campo adorno;
ciascun dicia: — Chi è quel cavalieri
c’ ha fatto sí ben d’arme in questo giorno?
E molti, per uscirne di pensieri,
quando si disarmò, furonle intorno,
e quattro re di lei innamorâro,
i quai per astio a morte si sfidâro.
E, quando questo pervenne a l’orecchia
de lo re d’Oriente, la mattina
disse alla madre: — D’arme s’apparecchia
tutta la gente per questa reina. —
Rispose allora la reina vecchia:
— Che s’accomiati questa paterina;
e questi signor poi si partiranno:
s’ella qui sta, ci potrebb’esser danno.
Poi li mandò a dir ch’ella venisse
al palagio del re sanza fallire.
Andò ’l messaggio, ritornò e disse:
- La donna dice che non vuol venire. —
E la reina allora maladisse
chi l’avea fatta di prigione uscire;
e poi co’ re si mosse in su la sera.
ed andò fino a lei, dove la era.
E disse: — Donna, per lo tuo migliore,
pártiti quinci e vanne alla tua via:
io non potre’ raffrenar il furore
che ti vien contro della gente mia. —
Rispose quella donna traditore:
- Di grazia v’addimando in cortesia
che mi scorgiate [26] fin fuor della porta,
sí ch’io non sia da vostra gente morta. —
E lo re disse: — Molto volentieri,
quanto bisogna, ne verrem con teco. —
Disse la madre: — Io vo’ piú cavalieri,
ché ’l re n’ ha qui forse dugento seco. —
Rispose quella: — Non mi fa mestieri,
ché n’ho secento ben armati meco. —
E la reina e ’l re sanza paura
l’accompagnaron fuori delle mura.
quando dilungati fûr due miglia,
e la reina allor prese comiato;
e quella donna in persona la piglia,
com’ella avea con sua gente ordinato.
E ’l re con la reina e lor famiglia
fûr presi e tolto lor l’arme da lato.
E tanto va, che nel suo paese entra,
in una terra chiamata Valentra.
E tutta quella gente incatenata
subitamente sí fa incarcerare,
e disse al re: — Quando fu’ innamorata,
ti presi per tenerti a solazzare,
e nella ròcca mia fui assediata,
e poi sa’ quel che mi facesti fare.
Si ch’io farò di te aspra vendetta,
or ch’io non son dell’amor tuo costretta.
E la sposa del re, non ritrovando
il re né la reina per le strade,
a’ forestier mandò di botto il bando
che subito sgombrassin la cittade.
Onde, per ubbidir il suo comando,
ciascun si ritornò in sue contrade:
sentendo poi che il re non si sapea,
per tutto l’Oriente si piangeva.
E lo re, ch’è in pregion sanza conforto,
volendo scrivere allo ’mperadore,
disse la guardia: — Messere, egli è morto,
e tutta Roma è ad arme in grand’errore. —
E lo re, come savio e molt’accorto,
scrisse alla donna sua tutto il tenore,
sí come e dov’egli era imprigionato,
ed un corrier segreto ebbe mandato.
Come la donna sua sentí l’effetto,
non potre’ dir com’ella fu dolente,
e fe’ venir di tutto il suo distretto
a piè ed a caval di molta gente,
e con molti baron sanza difetto,
mastri di guerra, mosse incontanente;
e tanto cavalcò per tal partito,
che giunse ov’era ’n prigione il marito.
E la cittá con la sua gente serra,
sí che non vi può né entrare né uscire;
e sei mesi vi fece sí gran guerra,
che i cittadin, che non potêr soffrire,
aprir le porte e diedero la terra;
e la sposa del re, piena d’ardire,
liberò la sua gente, e poi ne mena
presa colei che gli ha tenuti in pena.
E, passando una selva molt’alpestra,
e quella donna falsa e frodolente,
sí come d’arte magica maestra,
un fuoco fe’ venir subitamente,
ch’ardea la selva a sinistra ed a destra;
onde color temeano fortemente,
e disser: — Poi che non possiam passare,
torniamo a dietro e passerén per mare. —
E, quando giunti furono alla riva,
e quella donna, che campar s’ingegna,
fe’ che per mar l’esercito veniva,
ed ogni legno avea di Roma insegna.
Un messaggier, che dinanzi appariva,
a lo re d’Oriente si rassegna,
dicendo: — I roman vegnon per difesa
di questa donna che menate presa. —
E lo re sopra a ciò prese consiglio,
e la reina cominciò a parlare:
— Da poi che Dio n’ ha tratti di periglio,
a me parrebbe di lasciarla andare. —
Mandárla via, e poi non giro un miglio,
che quel navilio tutto quanto spare:
allor s’avvidde il re del convenente,
tornòne co’ suoi in Oriente.
E, giunto a casa, il re fece bandire
per tutto ’l suo con gran comandamento,
che ciascun gisse alla corte ad udire
il re, che far voleva parlamento.
E, quando fûr venuti, prese a dire,
tutto dal fine allo ’ncominciamento,
gl’inganni e ’l tradimento che gli avea
fatti quella regina Galatea.
Quando la gente suo detto riguarda,
gridaron tutti ad una voce, forte:
— Mandisi l’oste di gente gagliarda,
che con vittoria tornino alla corte !
Tutta sua terra si disfaccia ed arda,
e diasi a lei co’ suo’ seguaci morte! —
Il re gli ringraziò delle proposte,
e di presente fégli bandir l’oste.
E quando fue tale novella nota
a quella, come l’oste era bandita,
perché di Macometto era divota,
subitamente a Roma ne fu ita,
e inginocchiossi a piè della sua ròta [27],
dicendo: — Se tua forza non m’aita,
dallo re d’Oriente, che mi sprona,
ch’ i’ son per perdere avere e persona,
dappoi che ’l m’ ha bandita l’oste
addosso: ond’io ti priego che in mia difensione,
poi ch’io da lui difender non mi posso,
mandi un de’ tuo’ baron per mio campione. —
Rispose Macometto: — Gli è già mosso
quel de la sinagoga, Ronciglione,
di cui temerá tanto il re co’ suoi,
che ’l non s’ impaccerá de’ fatti tuoi.
Ed ella si partio lietamente,
poi ebbe Macometto ringraziato;
e quel dimonio giunse in Oriente,
ch’agevol cosa gli era esserv’andato.
Perché sappiate di suo convenente,
i’ vi dirò com’egli era adobbato:
forma avea di giogante, sua grandezza
quindici braccia e quattro di grossezza,
ed era tutto ner come carbone,
gli occhi avea rossi come foco ardenti.
E cavalcava un orribil roncione,
sei braccia grosso e lungo più di venti.
Quattro leon legati avíe a l’arcione,
e un’anca, di dolor, mordea co’ denti
semila porci all’intorno, con zanne
fuor della bocca più di quattro spanne.
E come fu nella città reale,
e que’ porci si sparser per la terra,
la gente fuggia su per le scale,
e per paura in zambra [28] ognun si serra;
e’ porci divoravan per le sale
ciò che trovavan, se ’l libro non erra.
Uomini e donne erano sbigottiti,
e molti per temenza son fuggiti.
Giugnendo in piazza l’orribil giogante,
lá dove molta gente armata avea,
perché egli avea sí feroce sembiante,
sbigottiva chiunque lo vedea.
Giudicandosi morto, il re davante
gli venne e dimandòl quel che volea;
ed e’ rispose: — Io sono un de’ Balbani
di Macometto, iddio degli romani,
el qual dalla sua parte ti comando,
e del popol di Roma che m’aspetta,
che d’una, contro a cui mandato hai bando,
più non t’impacci, ch’è nostra diletta;
conciosiacosach’ io ne fare’, quando
facessi contra a ciò, aspra vendetta;
e s’ tu andassi ad oste a sua cittade,
non torneresti mai in tuo’ contrade. —
El re, che vede sua gente smarrita,
perché si parta subito, rispuose,
dicendo: — Va’, ché ’n tempo di mia vita
non m’impaccerò piú di queste cose.
Ma fa’ che tosto sia la tua partita,
ché molte gente fai star paurose. —
Egli rispose: — Innanzi ch’io mi parta,
io ne vorrò miglior pegno che carta.
Veggendo la reina dal balcone
quel dimonio parlar sí aspramente,
di botto fu gittata in orazione,
dicendo: — Iddio, come veracemente
liberasti da man di Faraone
quel Moisé col popol tuo servente,
ben ch’io no’ ne sia degna come lui,
libera noi dalle man di costui. —
E, detta l’orazion, l’agnol di Dio
gli apparve e disse: — Non aver temenza,
ché ’l venir di costui, ch’é tanto rio,
permesso fue per molta altrui fallenza.
Ma, se tu vuoi vedere il tuo disio,
va’ francamente nella sua presenza,
dicendo: « Verbum caro factum este »,
e vederai sue forze manifeste. —
Poiché partito fu l’agnol veloce,
e la reina, come gli area detto,
si fece in fronte il segno della croce,
ed andonne al vicar di Macometto.
E, come giunse a lui, ad alta boce:
— Verbum caro — gridò; e ’l maladetto
con sua gente sparí immantenente,
lasciando un corpo molto puzzolente.
Come fu dileguato Ronciglione
co’ porci, che l’andavan seguitando,
cominciâro a uscir fuora le persone,
ch’eran fuggite prima spaventando.
E’ sacerdoti con gran divozione
andavan per la terra predicando,
dicendo: — Immaginate che governo
den’ far costor dell’anime d’inferno.
E immaginate che mille cotanti
son piú feroci gli altri che vi stanno!
E sempre stride e dolorosi pianti
fanno color che a quelle pene vanno.
Desiderate udire e’ dolci canti
che ’n paradiso e’ santi angioli fanno:
ma chi qui de’ peccati non si pente,
non puote andar fra sí beata gente. —
E lo re d’ogni ingiuria rendé pace,
e per pietá la volle aver sofferta,
e ribandí colei che fu fallace
contro lui molto, ciò fu donna Berta,
ch’era gran tempo stata contumace,
dovendo della vita esser diserta;
la qual, pentuta de li suo’ peccata,
fe’ poi tal vita ch’ella fue beata.
Tutta la gente s’era convertita,
battendosi con molta reverenza;
e la reina e ’l re tutta lor vita
al mondo fèr sí aspra penitenza,
che poi, al tempo della lor finita,
in vita eterna andár con pazienza.
Alla qual ci conduca il Salvatore.
Antonio Pucci il fece al vostro onore
Note
______________________________
[1] paraggio: condizione aristocratica o comunque di condizione sociale elevata
[2] diviso, (per non diviso), termine giuridico: in comune (crusca5, IV, 781)
[3] gravandola: sollecitandola
[4] senza dimoro: senza perdere tempo, senza fermarsi
[5] cattani: signori d’un castello, piccoli vassalli
[6] rimase: rimaste nella loro condizione di
[7] barbasore: Grande Vassallo, personaggio importante che esercita un’alta carica
[8] gioganti: giganti
[9] disserro: sbaraglio; stermino
[10] batoli: lista (stola) che nel Medioevo dottori e magistrati portavano sulle spalle come segno distintivo; falda del cappuccio che scendeva sulle spalle e talvolta pendeva sul petto per la sua lunghezza (dalla Crusca, Ezio Levi)
[11] ambianti: che camminavano con passettini rapidi e veloci col passo ambio, che consiste nel muovere contemporaneamente le due zampe della parte destra in alternativa con le due della parte sinistra (questo determinata il peso del corpo, e quindi del carico, alternativamente a destra e a sinistra); diverso il passo normale che consiste nel muovere zampa anteriore destra e posteriore sinistra alternativamente con zampa anteriore sinistra e posteriore destra.
[12] vilume: volume
[13] smagliassin: da smagliare, togliere
[14] sugna: espressione proverbiale, come battere la fiacca, non far niente
[15] Non mostri: non sembri
[16] insegnata: esperta (saggia ed esperta)
[17] zambra: camera
[18] fina:, finisce
[19] burrato, burrone
[20] bussando, scuotere le frondi e le frasche nelle siepi e nelle macchie
[21] luminera: luminaria
[22] mena: cosa
[23] benezion: benedizione
[24] risedio: edificio, accampamento
[25] compagna: compagnia
[26] scorgiate: mostriate il cammino e facciate scorta
[27] ròta: tribunale (Ròta di Maometto, che risiedeva a Roma)
[28] zambra (ciambra): camera