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The Project Gutenberg eBook of Le Laude, by Iacopone da Todi. /head>

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The Project Gutenberg EBook of Le Laude, by Iacopone da Todi









This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with




almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or




re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included




with this eBook or online at www.gutenberg.net














Title: Le Laude




       secondo la stampa fiorentina del 1490









Author: Iacopone da Todi









Commentator: Giovanni Ferri









Release Date: September 13, 2009 [EBook #29977]









Language: Italian









Character set encoding: ISO-8859-1









*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE LAUDE ***
























Produced by Claudio Paganelli, Emanuela Piasentini and the




Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net




(Images generously made available by Editore Laterza and




the Biblioteca Italiana at




http://www.bibliotecaitaliana.it/ScrittoriItalia)


































SCRITTORI D’ITALIA

IACOPONE DA TODI

LE LAUDE

SECONDO LA STAMPA FIORENTINA DEL 1490

A CURA DI

GIOVANNI FERRI

CONSTANTER ET NON TREPIDE

BARI

GIUS. LATERZA & FIGLI

TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI

1915



PROPRIET? LETTERARIA


GENNAIO MCMXV—40581


INDICE

I.De la beata Vergine Maria e del peccatore pag. 1
II. De la beata Vergine Maria ? 3
III. Contenzione infra l’anima e corpo ? 6
IV. De la penitenzia ? 9
V. De cinque sentimenti ? 11
VI. De la guarda de sentimenti ? 12
VII. De pericoli che intervengono a l’uomo che non guarda bene el viso ed altri sentimenti ? 13
VIII. De l’ornamento delle donne dannoso ? 15
IX. Consiglio de l’amico a l’altro amico che voglia tornare a Dio ? 17
X. Como Dio induce el peccatore a penitenza ? 19
XI. De l’anema contrita de l’offesa di Dio ? 21
XII. Como l’anema deventa morta per el peccato ? 22
XIII. Como l’anima viziosa ? inferno; e per lume de la grazia poi se fa paradiso ? 24
XIV. Como li vizi descendono da la superbia ? 26
XV. Como l’anema retorna al corpo per andare al iudicio ? 28
XVI. Como l’appetito de laude fa operare molte cose senza frutto ? 30
XVII. De frate Ranaldo, quale era morto ? 32
XVIII. Como l’omo ? acecato dal mondo ? 33
XIX. De l’omo che non satisfece in vita sua del mal acquistato?34
XX. Del scelerato peccatore penitente ?36
XXI. De quello che domanda perdonanza da poi la morte ?38
XXII. De la vita de l’omo redutta a la vechieza ?41
XXIII. De la vilt? de l’omo ?44
XXIV. Como la vita de l’omo ? penosa ?45
XXV. De la contemplazione de la morte ed incinerazione contra la superbia ?51
XXVI. Como Cristo se lamenta dell’omo peccatore ?54
XXVII. Como l’anima domanda aiuto contra la battaglia de li sensi corporali ?57
XXVIII. De la impazienzia che fa tutti li beni perdere ?59
XXIX.De la ipocrisia ?60
XXX. De la iustizia e falsit? ?62
XXXI. Como la curiosa scienzia e l’ambizione sono destruttive de la purit? ?64
XXXII.Como ? da guardarse da’ lupi che vengono sotto vesta de pecora ?65
XXXIII. De l’amore falso che offende le virt? ?66
XXXIV. De la differenzia intra el vero e falso amore, ed intra la scienzia acquisita ed infusa ?68
XXXV. Esortazione a l’anima propria che, considerata la sua nobilit?, non tardi la via a l’amor divino ?71
XXXVI.Como l’anima vestita de vert? passa a la gloria ?74
XXXVII.De la castit?, la quale non basta a l’anima senza l’altre virtute ?77
XXXVIII.Como ? difficile passare per el megio virtuoso ?79
XXXIX. Como la vita di Ies? ? specchio de l’anima ?81
XL. Como li angeli domandano a Cristo la cagione de la sua peregrinazione nel mondo ?84
XLI. Como li angeli si maravigliano de la peregrinazione de Cristo nel mondo ?86
XLII. Como l’anima priega li angeli che l’insegnino ad trovar Ies? Cristo ?88
XLIII.De la misericordia e iustizia e como fu l’omo reparato: e parlano diversi ?90
XLIV. De le petizione che sono nel paternostro ?103
XLV. Como Dio appare ne l’anima en cinque modi ?105
XLVI. Como l’anima per fede viene a le cose invisibile ?106
XLVII. De la battaglia del Nemico ?109
XLVIII. De l’infirmit? e mali che frate Iacopone demandava per eccesso de carit? ?112
XLIX.De la coscienzia pacificata ?114
L. De la grande battaglia de Anticristo ?115
LI. Como la verit? piange ch’? morta la bontade ?117
LII. Como Cristo se lamenta de la Chiesa romana ?119
LIII. Del pianto de la Chiesa redutta a mal stato ?121
LIV. Epistola a Celestino papa quinto, chiamato prima Pietro da Morrone ?123
LV. Cantico de frate Iacopone de la sua pregionia ?124
LVI. Epistola a papa Bonifazio ottavo ?127
LVII. Epistola seconda al prefato papa ?128
LVIII. Epistola terzia al prefato papa da poi ch’el fo preso ?130
LIX. De la santa povert? signora de tutto ?133
LX. De la santa povert? e suo triplice cielo ?134
LXI. De san Francesco e de sette apparizione de croce a lui e de lui fatte ?136
LXII. De san Francesco e de le battaglie del Nemico contra lui ?139
LXIII. Epistola consolatoria a frate Ioanni da Fermo ditto da la Verna per la stanzia dove anco se riposa: transferita en vulgare la parte litterale, quale ? prosa ?142
LXIV. Cantico de la nativit? de Ies? Cristo ?143
LXV. Cantico secondo de la nativit? de Cristo ?146
LXVI. Pianto che fa l’anima per la occultazione de la grazia ?153
LXVII. Como l’anema se lamenta de l’amore divino partito ?155
LXVIII. Como l’anima piange la partita del suo amore ?158
LXIX. Arbore de ierarchia simile a l’angelica: fondata sopra la fede, speranza e caritate ?160
LXX. De le quattro virt? cardinale ?165
LXXI. Como Cristo se reposa ne l’anima ornata de virt?, como sposo con la sposa ?167
LXXII. Como el vero amore del prossimo in pochi se trova ?169
LXXIII. Del gran prezo dato per vil derrata, cio? Cristo per l’omo ?170
LXXIV. La bont? divina se lamenta de l’affetto creato ?172
LXXV. De la diversit? de contemplazione de croce ?175
LXXVI. Del iubilo del core che esce in voce ?177
LXXVII. De l’amor muto ?178
LXXVIII.De l’amor vero e discrezion falsa ?179
LXXIX. Della bont? divina e volont? creata ?181
LXXX. De l’amore divino destinto in tre stati ?183
LXXXI. De l’amor divino e sua laude ?187
LXXXII. Como l’anima trova Dio in tutte creature per mezo de sensi ?190
LXXXIII. De l’amore de Cristo in croce, e como l’anima desidera de morir con lui ?191
LXXXIV.Como ? somma sapienzia essere reputato pazo per l’amor de Cristo ?193
LXXXV. Como se deve amar Cristo liberalmente como esso am? noi ?194
LXXXVI. Como l’anima dimanda perdonanza de l’offensione e gusto d’amore ?196
LXXXVII. De l’amor divino, la misura del quale ? incognita ?198
LXXXVIII.Como in l’omo perfetto sono figurate le tre ierarchie con li novi cori de angeli ?200
LXXXIX.Arbore dell’amore divino ?207
XC. Como l’anima se lamenta con Dio de la carit? superardente in lei infusa ?210
XCI. Come l’anima per santa nichilit? e carit? perviene a stato incognito ed indicibile ?219
XCII. Como per la ferma fede e speranza se perviene a triplice stato de nichilit? ?226
XCIII. Pianto de la Madonna de la passione del figliolo Ies? Cristo ?230
XCIV. Como l’onore e la vergogna contendono insieme ?233
XCV. Altro cantico nel quale pur se parla de anichilazione e trasformazione, come nella XCII lauda de sopra posta. Ed in due stanzie de questa appare defetto ?234
XCVI. Excusazione che fa el peccatore a Dio de non poter far la penitenzia a la quale da lui ? confortato ?236
XCVII. Amaestramento al peccatore che se v?le reconciliare con Dio ?239
XCVIII. Como la ragione conforta l’anima che retorni a Dio ?242
XCIX. Condizione del perpetuo amore ?244
C. De la incarnazione del verbo divino ?245
CI. Como il vero amore non ? ozioso ?248
CII. Come ? da cercare Ies? per sommo diletto, el quale ? nostro fine: e cus? termina in lui questo volume ?255
 
Nota ?257
 
Glossario ?273
 
Indice dei capoversi ?309

[Pg 1]


I

De la beata Vergine Maria e del Peccatore

—O Regina cortese,—io so a voi venuto
ch’al mio cor feruto—deiate medecare.
Io so a voi venuto—com’omo desperato
da omn’altro aiuto;—lo vostro m’? lassato;
se ne fusse privato,—far?eme consumare.
Lo mio cor ? feruto,—Madonna, nol so dire;
ed a tal ? venuto,—che comenza putire;
non deiate soffrire—de volerm’aiutare.
Donna, la sofferenza—s? m’? pericolosa;
lo mal pres’ha potenza,—la natura ? dogliosa;
siate cordogliosa—de volerme sanare.
Non aio pagamento,—tanto so anichilato;
faite de me stromento,—servo recomperato;
donna, el prez’? dato:—quel ch’avest’a lattare.
Donna, per quel amore—che m’ha avut’el tuo figlio
dever’aver en core—de darm’el tuo consiglio;
succurrime, aulente giglio,—veni e non tardare.
—Figlio, poi ch’?i venuto,—molto s? m’? ’n piacere;
adomandimi aiuto,—dollote voluntere;
?tte oporto soffrire—co per arte voglio fare.
Medecaro per arte—emprima fa la diita;
guarda li sensi da parte—che non dien pi? ferita
[Pg 2]a la natura perita—che se possa aggravare.
E piglia l’oximello,—lo temor del morire;
ancora si fancello,—cetto ce de’ venire;
vanet? lassa gire,—non p? teco regnare.
E piglia decozione—lo temor de lo ’nferno;
pens’en quella prescione—non escon en sempiterno;
la piaga gir? rompenno—farallate revontare.
Denante al preite mio—questo venen revonta,
ch? l’officio ? sio;—Dio lo peccato sconta;
ca se ’l Nemico s’aponta,—non aia que mostrare.
[Pg 3]

II

De la beata Vergine Maria

O Vergine pi? che femina—santa Maria beata.
Pi? che femina, dico;—onom nasce nemico;
per la Scrittura splico,—nant’?i santa che nata.
Stando en ventre chiusa,—puoi l’alma ce fo enfusa,
potenza virtuusa—s? t’ha santificata.
La divina onzione—s? te santific?ne,
d’omne contagione—remaneste illibata.
L’original peccato—ch’Adam ha semenato,
omn’om con quello ? nato:—tu se’ da quel mondata.
Nullo peccato mortale—en tuo voler non sale,
e da lo veniale—tu sola emmaculata.
Secondo questa rima—tu se’ la vergen prima,
sopre l’altre soblima;—tu l’hai emprima votata
la tua vergenetate—sopr’omne umanetate
ch’en tanta puritate—mai fosse conservata.
L’umilit? profonda—che nel tuo cor abonda,
lo cielo se sprofonda—d’esserne salutata.
Virgineo proposito—en sacramento ascondito,
marito piglia incognito—che non fosse enfamata.
L’alto messo onorato—da ciel te fo mandato;
lo cor fu paventato—de la sua annunziata:
—Conceperai tu figlio,—ser? senza simiglio,
se tu assenti al consiglio—de questa mia ambasciata.—
O Vergen, non tardare—al suo detto assentare;
la gente sta chiamare—che per te sia aiutata.[Pg 4]
Aiutane, Madonna,—ca ’l mondo se sperfonna
se tarde la responna—che non sia avivacciata.
Puoi che consentisti,—lo figliol concepisti,
Cristo amoroso desti—a la gente dannata.
Lo mondo n’? stupito—conceper per audito,
lo corpo star polito—a non essere toccata.
Sopr’omne uso e ragione—aver concezione,
senza corruzione—femena gravedata.
Sopre ragione ed arte—senza sementa latte,
tu sola n’hai le carte—e s?nne fecundata.
O pregna senza semina,—non fu mai fatt’en femina,
tu sola sine crimina,—null’altra n’? trovata.
Lo verbo creans omnia—vestito ? ’n te Virginia,
non lassando sua solia,—divinit? encarnata.
Maria porta Dio omo,—ciascun serva ’l suo como;
portando s? gran somo—e non essere gravata.
O parto enaudito,—lo figliol partorito
entro del ventre uscito—de matre segellata!
A non romper sogello—nato lo figliol bello,
lassando lo suo castello—con la porta serrata!
Non sir?a convegnenza—la divina potenza
facesse violenza—en sua cas’albergata.
O Maria, co facivi—quando tu lo vidivi?
or co non te morivi—de l’amore afocata?
Co non te consumavi—quando tu lo guardavi,
ch? Dio ce contemplavi—en quella carne velata?
Quand’esso te sugea,—l’amor co te facea,
la smesuranza sea—esser da te lattata?
Quand’esso te chiamava—e mate te vocava,
co non te consumava—mate di Dio vocata?
O Madonna, quigli atti—che tu avev’en quigl fatti,
quigl’enfocati tratti—la lengua m’han mozzata.
Quando ’l pensier me struge,—co fai quando te suge?
lo lacremar non fuge—d’amor che t’ha legata.
O cor salamandrato—de viver s? enfocato,
co non t’ha consumato—la piena enamorata?[Pg 5]
Lo don della fortezza—t’ha data stabilezza
portar tanta dolcezza—ne l’anema enfocata!
L’umilitate sua—embastard?o la tua,
ch’ogn’altra me par frua—se non la sua sguardata.
Ch? tu salist’en gloria,—esso sces’en miseria;
or quigna conveneria—ha enseme sta vergata?
La sua umilitate—prender umanitate,
par superbietate—on’altra ch’? pensata.
Accurrite, accurrite,—gente; co non venite?
vita eterna vedite—con la fascia legata.
Venitel a pigliare,—ch? non ne pu? mucciare,
che deggi arcomperare—la gente desperata.
[Pg 6]

III

Contenzione infra l’anima e corpo

Audite una ’ntenzone—ch’? ’nfra l’anima e ’l corpo;
battaglia dura troppo—fin a lo consumare.
L’anima dice al corpo:—Facciamo penitenza,
ch? possiamo fugire—quella grave sentenza
e guadagnar la gloria—ch’? de tanta piacenza;
portimo onne gravenza—con delettoso amare.—
Lo corpo dice:—Turbome—d’esto che t’odo dire;
nutrito so ’n delicii,—nollo porr?a patire;
lo celebr’aio debele,—porr?a tost’empazire:
fugi cotal pensiere,—mai non me ne parlare.
—Sozo, malvascio corpo,—lussurioso, engordo!
ad omne mia salute—sempre te trovo sordo;
sostieni lo flagello—d’esto nodoso cordo,
emprende sto discordo—ch? t’? ci opo danzare!
—Succurrite, vicini,—ch? l’anima m’ha morto!
alliso, ensanguenato,—disciplinato a torto!
o impia, crudele,—ed ad que m’hai redotto?
star? sempr’en corrotto,—non me porr? allegrare.
—Questa morte s? breve—non mi sir?a ’n talento.
Somme deliberata—de farte far spermento;
dagl cinque sensi tollere—omne delettamento,
e nullo piacemento—t’agio voglia de dare.
—Si da li sensi tollime—li mei delettamenti,
siragio enfiato e tristo,—pieno d’encrescementi;
torrotte la letizia—nelli tuoi pensamenti;
megli’? che mo te penti—che de farlo provare.[Pg 7]
—La camiscia sp?gliate—e vesti sto cilizo;
la penetenza v?tate—che non abbi delizo;
per guidardone d?note—questo nobel pannizo,
ch? de coio scrofizo—te pensai d’amantare.
—Da lo ’nferno recastela—questa veste penosa;
tesseala ’l diavolo—de pili de spinosa;
omne pelo pareme—una vespa orgogliosa;
nulla ce trovo posa,—tanto dura me pare.
—Ecco lo letto; p?sate,—iace en esto gratizo!
lo capezal aguardace—ch’? un poco de paglizo:
lo mantellino cuoprite,—adusate col miccio;
questo te sia deliccio—a quel che te voglio fare!
—Guardate a letto morbedo—d’esta penna splumato!
pietre rotonde vegioce—che venner dal fossato;
da qual parte volgome,—rompome el costato;
tutto son conquassato,—non ce posso posare.
—Corpo, surge; l?vate!—ch? suona matutino;
leva su, sonocchiate—en officio divino;
legge nuove emponote—perfine a lo maitino;
emprende esto camino—che sempre t’? opo fare.
—Como surgo, levomi,—che non aggio dormito?
Degestione guastase,—non aggio ancor padito;
scorsa m’? la regoma—per lo freddo c’ho sentito;
el tempo non ? fugito,—lassame ancor posare!
—Ed o’ staisti a ’mprendere—tu questa medicina?
per la tua negligenza—dotte una disciplina;
si pi? favelli, tollote—a pranzo la cocina;
ch? questa tua malina—penso de medecare.
—Or ecco pranzo ornato—de delettoso pane
nero, azemo e duro—che nol rosec?ra ’l cane!
Non lo posso enghiuttire,—s? reo sapor me sane!
Altro cibo me d?ne,—se me voli sostentare.
—Per lo parlar c’hai fatto,—tu lassarai el vino;
n? a pranzo n? a cena—non mangerai cocino;
se pi? favelli, asp?ttate—un grave disciplino;
questo prometto almino—non te porr? mucciare.[Pg 8]
—Recordo d’una femena—ch’era bianca, vermiglia,
vestita, ornata, morbeda,—ch’era una maraviglia;
le sue belle fateze—lo pensier m’asutiglia;
molto s? me simiglia—de potergli parlare.
—Or attende ’l premio—de questo c’hai pensato;
lo mantello artollote—per tutto sto vernato;
le calzamenta lassale—per lo folle cuitato;
ed un disciplinato—fin a lo scorticare.
—L’acqua che bevo noceme,—caggio ’n etropes?a;
lo vino, prego, rendeme—per la tua cortes?a!
Se tu sano conserveme,—gir? ritto per via;
se caggio ’n’enfermar?a,—opo me t’? guardare.
—Poi che l’acqua n?cete—a la tua enfermentade
e lo vino noceme—a la mia castitade,
lassa lo vino e l’acqua—per la nostra sanetade;
sostien necessitate—per nostra vita servare.
—Prego che non m’occide!—nulla cosa demanno;
en verit? promettote—de non gir mormoranno;
lo entenzare veiome—che me retorna en danno;
che non caggia nel banno—vogliomene guardare.
—Se te vorrai guardare—da omne offendemento,
sirotte tratta a dare—lo tuo sostentamento;
e vorr?me guardare—dal tuo encrescemento;
sir? delettamento—nostra vita salvare.
Or vedete ’l prelio—c’ha l’omo nel suo stato!
tante son l’altre prelia,—nulla cosa ho toccato;
che non faccian fastidio,—aggiol’abbreviato;
finisco sto trattato—en questo loco lassare.
[Pg 9]

IV

De la penitenzia

O alta penitenza,—pena en amor tenuta!
grand’? la tua valuta,—per te ciel n’? donato.
Se la pena teneme,—?mme despiacemento;
lo spiacere recame—la pena en gran tormento;
ma si aggio la pena—redutt’en mio talento,
?mme delettamento—l’amoroso penato.
Sol la colpa ? ’n’odio—a l’anema ordenata;
e la pena gli ? gaudio—en vertut’esercetata;
lo contrario sentese—l’anema ch’? dannata;
la pena ? ’n’odiata,—la colpa en delettato.
O mirabil odio,—d’omne pena signore!
nulla recev’ingiuria,—non se’ perdonatore;
nullo nemico trovite,—omn’om si ? ’n’amore;
tu sol el malfattore—degno del tuo odiato.
O falso amor proprio,—c’hai tutto lo contraro!
molta recepe engiuria—de perdonanza avaro;
molti nemici troviti,—null’om te trovi caro;
lo tuo vivere amaro—lo ’nferno ha comenzato.
O alta penetenza,—en mio odio fondata,
atto de la grazia—che fo per gratis data,
fuga l’amor proprio—con tutta sua masnata,
ch? l’anema ha sozata—en bruttura de peccato.
En tre modi pareme—divisa penetenza:
contrizion ? prima—ch’empetra la ’ndulgenza;
l’altr’? confessione—che l’anema ragenza;
l’altr’? satisfacenza—de deveto pagato.[Pg 10]
Tre modi fa nell’anima—peccato percussure:
la prima offende Dio—ched ? suo creatore;
la simiglianza tolleglie—ch’avea de lo Signore,
e d?se en possessore—del demone dannato.
Contrizion adornase—de tre medicamente:
contra l’offeso Dio—d?gli dolor pognente,
contra la deformanza—un vergognar cocente,
ed un temor fervente—che ’l demone ha fugato.
Per lo temore cacciase—quella malvagia schiera,
la simiglianza rendeglse—per la vergogna vera,
per dolor perdonase—l’offesa de Dio fera
ed en questa manera—corre questo mercato.
Confessione pareme—atto de veretade,
occultata malizia—redutta a chiaritade;
per la bocca reiettase—tutta la ’nfermetade;
riman l’uom en sanetade,—dal vizio purgato.
Lo satisfare pareme—iustizia en suo atto;
fruttificata morte—fece l’arbor desfatto,
fruttificata grazia—s? fa l’albor refatto,
ciascun senso fa patto—de vivere regolato.
L’audito entra en scola—a ’mprendere sapienza,
lo viso getta lacreme—per la gravosa offenza,
lo gusto entra en regola—en ordinata astinenza,
l’odor fa penetenza,—’n’enfermar?a s’? dato.
E lo tatto puniscese—degli suoi delettamente,
li panni molli spogliasi,—vestese panni pognente,
de castetate adornase—guardata en argomente,
e far de s? presente—a Dio molto ? grato.
[Pg 11]

V

De cinque sentimenti

Cinque sensi mess’on pegno—ciascun d’esser el pi? breve;
la lor delettanza leve—ciascun briga breviare.
Emprima parla l’audito:—I’ ho ’l pegno guadagnato;
lo sonar ch’aio audito—dal mi’ organo ? fugato;
en un ponto fo ’l toccato—e nulla cosa n’ha tenere;
per? ve dover?a piacere—la sentenzia a me dare.
Lo viso dice:—Non currite,—ch’i’ ho venta la sentenza;
le forme e color che vide,—chiusi li occhi e fui en perdenza;
or vedete l’armagnenza—co fo breve abreviata!
la sentenza a me sia data—non me par da dubitare.
Lo gusto s? d? ’l libello—demostrando sua ragione:
—La mia brevet? passa,—questo non ? questione;
a l’entrar de la magione—doi deta fo ’l passaio
e lo delettar que n’aio—che pass? co somniare.
L’odorato s? demostra—lo breve delettamento:
—D’oltramar venner le cose—per aver mio piacemento,
spese grande con tormento—ce vedete che fuor fatte;
qual me ne remaser parte—voi lo potete iudicare!
Lo tatto lussurioso—ce vergogna d’apparire,
le deletto puteglioso—lo vergogna proferire,
or vedete ’l vil piacere—quegno prezo ci ha lassato!
un fetor esterminato—ch’? vergogna mentovare.
Non fia breve lo penare—c’ha s? breve delettanza;
longo sir?a a proferire—lo penar esmesuranza;
omo, vedi questa usanza—ch’? un ioco di guirmenella;
posta ci hai l’anima bella—per un tratto che v?i fare.
Anema mia, tu se’ eterna,—eterno v?i delettamento;
li sensi e lor delettanza—vedi senza duramento;
a Dio fa’ tuo salimento,—esso sol te pu? empire;
loco el ben non sa finire,—ch? eterno ? ’l delettare.
[Pg 12]

VI

De la guarda de sentimenti

Guarda che non caggi, amico,
guarda!
Or te guarda dal Nemico,—che se mostra esser amico;
no gli credere a l’iniquo,—guarda!
Guarda ’l viso dal veduto,—ca ’l coragio n’? feruto;
ch’a gran briga n’? guaruto,—guarda!
Non udir le vanetate,—che te traga a su’ amistate;
pi? che visco apicciarate,—guarda!
Pon’ al tuo gusto un frino,—ca ’l soperchio gli ? venino;
a lussuria ? sentino,—guarda!
Gu?rdate da l’odorato,—lo qual ?ne sciordenato;
ca ’l Signor lo t’ha vetato,—guarda!
Gu?rdate dal toccamento,—lo qual a Dio ? spiacemento,
al tuo corpo ? strugimento,—guarda!
Gu?rdate da li parente—che non te piglien la mente;
ca te faran star dolente,—guarda!
Gu?rdate da molti amice,—che frequentan co formice;
en Dio te seccan le radice,—guarda!
Gu?rdate dai mal pensiere,—che la mente fon ferire,
la tua alma enmalsanire,—guarda!
[Pg 13]

VII

De pericoli che intervengono a l’uomo
che non guarda bene el viso ed altri sentimenti

O frate, guarda ’l viso,—se vuoi ben riguarire!
ca mortal ferite a l’alma—spesse fiate fon venire.
Dal diavolo a l’alma—lo viso ? ruffiano,
e quanto pu? se studia—de mettergliela en mano;
se ode fatto vano,—reportalo a la corte;
la carne sta a le porte—per le novelle audire.
Audita la novella,—la carne fa sembiaglia
e contra la rascione—s? d? grande battaglia,
e suo voler non smaglia—con la voglia emportuna;
se trova l’alma sciuna,—fallase consentire.
Conscienzia resiste,—demostra lo peccato:
—Dio ne sir?a offeso—e tu sir?e dannato.—
Lo corpo mal vezato—risponde com’? uso:
—Dio s? ? piatuso,—lo me porr? parcire.—
La veret? risponde:—Tu alleghi falsamente,
ch? Dio mai non perdona—se non ? penitente;
pentir sofficiente—non l’hai in tua redetate;
partirte dai peccate—con verace pentire.—
La carne dice:—Io ardo,—non lo posso portare,
satesfamme esta fiata,—che me possa posare;
vogliote poi iurare—de starte sempre suietta;
sir? s? casta e netta—che te sir? em piacere.—
Responde la ragione:—Ser?e detoperata,
e poi da omne gente—ser?e sempre adetata;
ecco la mal guidata—confusion de parente,
che fa tutta sua gente—con gran vergogna gire![Pg 14]
Lo diavolo ce parla—ed ensegna:—Questa posta
tu la puoi far occulta,—d’omne gente nascosta;
passa questa giostra,—nullo pensar facciamo;
se pi? lo ’nduciamo,—tosto porri’ empascire.—
Tanti sono li tumulti—e gli ?mpeti carnale,
che la ragion tapina—s’enchina a quisti male;
doventa bestiale—e perde omne ragione;
tanta confusione—non se porr?a scoprire.
Da poi ch’? caduta,—conscienzia ? mordace;
l’acqua e lo vento posa,—de stimolar non tace!
lo cor perde la pace—e perde l’allegreza
e viengli tal tristeza,—non si pu? reverire.
Sospicasi la misera—che ’l saccia omnechivegli;
se vede gent’ensemora,—pensa de lei pispigli;
se gli vol dar consigli,—non par che ci aian loco;
perdut’ha riso e ioco—ed onne alegrez’avere.
Borbotanse le cose,—le gente a pispigliare;
li parenti sentolo,—com?nzate a lagnare;
lo cor vorr?a crepare,—tant’ha ’lbergate doglie!
tentat’? de rei voglie—de volerse perire.
Lo diavolo ce rieca—mala tentazione:
—Que fai, detoperata—d’onne tua nazione?
Questa confusione—non ? da comportare;
molte fa desperare,—en mala morte finire.—
Guarda, non glie credere!—ch? gionge al mal el peio;
ch? questa tua caduta—s? p? aver remeio;
contra te fa asseio—de volerte guardare,
con pianto confessare;—s? porrai reguarire.
Vedete li pericoli—con breve comenzate,
che nascon gli omicidii—e guastan le casate;
guardateve a l’entrate—che non entre esto foco!
si se cce anida loco,—nol porrai scarporire.
Or vedete el frutto—del mal delettamento:
l’alma el corpo ha posto—en cotanto tormento;
s?ate recordamento,—frate, la guarda fare;
se v?i l’alma salvare,—non ce stare a dormire.
[Pg 15]

VIII

De l’ornamento delle donne dannoso

O femene, guardate—a le mortal ferute;
nelle vostre vedute—el basalisco mostrate.
El basilisco serpente—occide om col vedere,
lo viso envenenato—s? fa el corpo morire;
pegio lo vostro aspetto—fa l’anime perire
da Cristo, dolce sire,—che care l’ha comparate.
Lo basilisco ascondese,—non se va demostrando;
non vedendo, iacese—e non fa ad alcun danno;
peggio che ’l basalisco—col vostro deportanno,
l’anime vulneranno—colle false sguardate.
Co non pensate, femene,—col vostro portamento
quant’anem’a sto secolo—mandate a perdimento?
solo col desiderio,—senz’altro toccamento,
pur che gli ?i en talento,—a l’aneme macellate.
Non ve pensate, femene,—co gran preda tollite,
a Cristo, dolce amore,—mortal d?ite ferite?
serve del diavolo,—sollecete i servite;
colle vostre schirmite—molt’anime i mandate.
Dice che ac?ncete,—ch? piace al tuo signore;
ma lo pensier engannate,—ch? nogl se’ en amore;
s’alcun stolto aguardate,—sospezion ha en core
che contra lo su onore—facce mali trattate.
Lagna poi e f?rite—e tiente en gelosia,
vuol saper li luocora—e quegn’hai compagnia;
porrate poi l’ensidie,—si t’ha sospetta e ria;
non giova dicer?a—che facce en tuoi scusate.
Or vede che fai, femena,—co te sai contrafare!
la tua persona piccola—co la sai dimostrare!
sotto li piede m?ttete—ch’una gigante pare,
puoi con lo strascinare—cuopre le suvarate.[Pg 16]
Se ? femena pallida,—secondo sua natura,
arosciase la misera—non so con que tentura;
se ? bruna, embiancase—con far sua lavatura;
mostrando sua pentura,—molt’aneme ha dannate.
Mostrer? la misera—ch’aggia gran trecce avolte;
la sua testa adornase—co fossen trecce acolte
o de tomento fracedo—o’ so pecci?le molte,
cos? le gente stolte—da lor son engannate.
Per temporal avenesse—che l’om la veda sciolta
vedi che fa la demona—colla sua capovolta!
le trez’altrui componese—non so con que girvolta;
farattece una colta—che paion en capo nate.
Que far? la misera—per aver polito volto?
porr?sece lo scortico—che ’l coio vecchio n’ha tolto;
remette ’l coio morbedo,—parr? citella molto;
s? engannan l’omo stolto—con lor falsificate.
Poi che a la femina—?glie la figlia nata,
co la natura formala,—pare una sturciata;
tanto lo naso tiraglie,—strengendo a la fiata,
che l’ha s? reparata—che porr? far brigate.
Son molte che per omene—non fon nullo aconciato;
delettanse fra l’altre—aver grand’apparato;
non ce pense, misera,—che per van delettato
lo cor s’? vulnerato—de molte enfermetate?
Non hai potenza, femina,—de poter preliare;
ci? che non puoi con mano,—la lengua lasse fare;
non hai lengua a centura—de saperle gettare
parole d’adolorare—che passan le corate.
Non giacer? a dormire—quella che hai ferita;
tal te dar? percossa—che no ne sirai lita;
d’alcun te dar? ’nfamia—che ne sirai schernita;
menarai poi tu vita—con molte tempestate.
Sospicar? maritota—che non sie de lui prena;
tal glie verr? tristizia,—che gli secar? omne vena;
acoglieratte en camora—che nol senta vicena;
qual ce trarai mena—de morte angustiata!
[Pg 17]

IX

Consiglio de l’amico a l’altro amico che voglia
tornare a dio

—O frate mio, briga de tornare—nante ch’en morte si’ pigliato.
Nante che venga la morte,—s? briga de far lo patto;
ca ’l tuo ioco ? ’n quella sorte—ch’? apresso a udir matto;
nante che sia ’l ioco fatto,—briga lassarlo entaulato.
—Frate, ci? che tu me dici,—te ne voglio amor portare,
ch? fai co fan i bon amice—che de l’amico vol pensare;
ma ho fameglia governare—che ne so molto embrigato.
—Se tu regge la fameglia,—non la regger de l’altroi;
al poder tuo t’arsomeglia,—quegne spese far ne p?i;
non morir pro i figliol toi;—ca poco n’?i regraziato.
—Frate, se l’altrui s? rendo,—giran li me’ figli mendicati;
nol posso far, tutto m’accendo—de lassargli desolati;
dai vicin ser?an chiamati—figli di quel desprezato.
—Frate, or pensa la sconfitta—che non aspetta el pate e ’l figlio;
e s? piglia la via ritta—da mucciar da quel empiglio;
e quel ch’aspetta en quel piglio—el figlio e ’l pate ? poi legato.
—Frate, avuto agio en usanza—ben vestir e ben calzare;
non porr?a soffrir vilanza—en questa guisa desprezare;
far?ame a deto mostrare:—Ecco l’uomo mal guidato.
—Testo a l’amo s’arsimiglia—ca de for ha lo dolzore,
e lo pesce, poi che ’l piglia,—sentene poco sapore;
dentro trova un amarore—che gli ? molto entossecato.
—Non porr?a degiun suffrire—per la mia debeletate;
mename a lo morire—le cocin mal frumiate;
e s? per mia necessitate—voglio ci? che son usato.[Pg 18]
—Frate, or pensa le pregiune:—regi e conti ce son stati,
e donzelli pi? che tune—en tal fame s’on trovati,
che i calzar s’on manecati;—con que loto ci on trescato!
—Non porr?a veghiar la notte—e star ritto en orazione;
parme cosa tanto forte—de metterme a derenzione;
ch?, se veghio per stagione,—tutto ’l d? ne vo agirlato.
—Or pensa gli encastellati—co so attenti al veghiare!
che da for so assediati—da chi lor s? vol pigliare;
tutta notte sto a gridare,—ch? ’l castel non sia robbato.
—Frate, s? m’hai sbagutito—con lo tuo bon parlamento
che nel cor s? so ferito—d’un divin accendimento;
pigliar voglio pensamento—ch’io non sia pi? engannato.
Gir ne voglio a lo patrino—ad accusar la mia matteza;
meglio m’? esser pelegrino—che d’aver questa riccheza,
la qual me mena a la dureza—de quel fuoco acalurato.
[Pg 19]

X

Como Dio induce el peccatore a penitenza

—Peccator, chi t’ha fidato—che de me non hai temenza?
Non consider, peccatore,—ch’io te posso nabissare?
ed hai fatto tal fallore—ch’io s? l’ho cagion de fare;
t’ho voluto comportare—perch? tornasse a penetenza.
—O dolcissimo Signore,—prego che sie paziente;
lo Nemico engannatore—m’ha sottratto malamente;
ritornato so a niente—per la gran mia niquitanza.
—Test’? l’anvito che io agio—che pro ’l Nemico m’hai lassato;
ed hai creso en tuo coragio—-a ci? che t’ha consegliato;
el mio consegli’ hai desprezato—per la tua grande arroganza.
—Lo conseglio me fo dato—ch’io devesse el mondo usare:
Da poi che sera’ envechiato,—tu te porrai confessare;
assai tempo porrai dare—al Signor per perdonanza.
—Testo era palese enganno—che te mettivi ad osolare;
ch? non hai termen d’un anno—ned un’ora p?i sperare;
se tu credevi envechiare,—fallace era tua speranza.
—La speranza che avea—de lo tuo gran perdonare
a peccar me conducea—e facealme adoperare
en speranza de tornare—a la fin con gran fidanza.
—La speranza del perdono—s? ? data a chi la vole;
ed io a colui la dono—che del suo peccato dole,
non a quel che peccar sole—-ha spem ch’io non facci la vegnanza.
—Po’ ’l peccato avea commesso,—s? dicea del confessare;
el Nemico dicea con esso:—Tu nol porrai mai fare;
co porrai pena portare—de cus? grande offensanza?[Pg 20]
—La pena che ? portata—en questo mondo del peccato,
lebbe cosa ? reputata—a pensar de quello stato
nel qual l’uomo n’? dannato—per la sua gran nequitanza.
—Col sozo laido peccato—me tenea col vergognare
e diceame:—En esso stato—tu nol porrai confessare;
co porrai al prete spalare—cos? grande abominanza?
—Meglio t’? d’aver vergogna—denante al preite mio,
che averla poi con doglia—al iudicar che far? io,
che mostraraio el fatto tio—en cus? grande adunanza.
—Ed io me rendo or pentuto—de la mia offensione
ch? non so stato aveduto—de la mia salvazione;
pregote Dio, mio patrone,—che de me aggi piatanza.
—Poi ch’a me te sei renduto,—s? te voglio recepire;
e questo patto sia statuto—che non degge pi? fallire;
ch’io non porr?a suffrire—cus? grande sconoscenza.
[Pg 21]

XI

De l’anema contrita de l’offesa di Dio

Signore, damme la morte—nante ch’io pi? te offenda;
e lo cor se fenda—ch’en mal perseverando.
Signor, non t’? giovato—mostrarme cortesia;
tanto so stato engrato,—pieno di villania!
pun’ fin a la vita mia—ch’? gita te contrastando.
Megli’? che tu m’occidi,—che tu, Signor, sie offeso;
ch? non m’emendo, gi? ’l vidi;—nante a far mal so acceso;
condanna ormai l’appeso,—ch? caduto ? nel bando.
Comenza far lo iudicio,—a tollerme la santade,
al corpo tolli l’officio—che non agia pi? libertade;
perch? prosperitade—gita l’ha mal usando.
A la gente tolli l’affetto,—che nul agi de me piatanza;
perch’io non so stato deretto—aver a l’inferme amistanza;
e toglieme la baldanza—ch’io non ne vada cantando.
Adunense le creature—a far de me la vendetta;
ch? mal ho usate a tutture—contra la legge deretta;
ciascuna la pena en me metta—per te, Signor, vendecando.
Non ? per tempo el corotto—ch’io per te deggo fare;
piangendo continuo el botto—dovendome de te privare,
o cor, co ’l poi pensare—che non te vai consumando?
O cor, co ’l poi pensare—de lassar turbato amore,
facendol de te privare—o’ pat?o tanto labore?
or piagne ’l suo descionore—e de te non gir curando.
[Pg 22]

XII

Como l’anema deventa morta per el peccato

S? como la morte face—a lo corpo umanato,
molto peio s? fa a l’anema—la gran morte del peccato.
Emprima la morte al corpo—s? glie fa mortal ferita
che da omne membro i tolle—e scarporiscene la vita;
glie membra perdon l’uso—poi che la vita ? finita;
l’anema poi s’? partita,—lo corpo torna anichilato.
Lo peccato pi? che morte—s? fa sua ferita dura;
ch? a l’alma tolle Dio—e corrompegl sua natura;
lo ben non p? operare;—ma li mali en gran plenura
cader en tanta affrantura—per cus? vil delettato.
Questa morte tol al corpo—la bellezza e ’l colore,
e la forma ? s? desfatta,—ch’a veder d? un orrore;
non se trova s? securo—che nogl generi pavore
de veder quel terrore—de l’aspetto desformato.
Lo peccato s? fa a l’alma—s? terribele ferita,
che glie tolle la bellezza—che da Dio era insignita;
chi vedere la potesse—s? glie toller?a la vita;
la faccia terribilita—crudel morte ? ’l suo sguardato.
Questa morte s? fa el corpo—putredissimo, fetente;
e la puza stermenata—che conturba molta gente;
non si trova n? vicino—n? amico n? parente
che voglia esser sofferente—de averlo un giorno a lato.
Tutta puza che nel mondo—fusse ensemora adunata,
solfenal de corpo morto—ed omne puza de privata
s? ser?a moscato ed ambra—po’ ’l fetor deglie peccata;
quella puzza stermenata—che lo ’nferno ha ’nputedato.[Pg 23]
Questa morte naturale—a lo corpo par che dia
la ferita che gli tolle—omne bona compagnia;
d’esto mondo l’ha gettato—che privato fuor ne sia,
co se fa la malsan?a—che dai sani ? separato.
Lo peccato s? fa a l’alma—la ferita cus? forte,
che li tolle Dio e i santi—e gli angeli con lor sorte;
de la chiesa ? sbandita—e serrate i son le porte
e gli beni i son estorte—che nulla parte i sia dato.
Questa morte naturale—d? la sua percussione
che la carne s? sia data—a li vermi en comestione;
e li vermi congregati—d’esto corpo fon stacione;
non ? fra lor questione—che ’l corpo non sia devorato.
Lo peccato s? fa a l’alma—la terribel sua usanza;
ch? ? data a le demonia—che stia en lor congreganza;
non la posson consumare,—fongli mala vicinanza;
dangli pene en abondanza—che convene al loro stato.
L’ultima che fa la morte—che d? ’l corpo a sepultura;
n? palazo i d? n? corte,—ma ? messo en estrettura;
la lungheza e la lateza—molto glie se d? a mesura;
scarsamente la statura—so la terra ? tumulato.
Lo peccato mena l’alma—al sepolcro de lo ’nferno;
e loco s? ? tumulata—che non esce en sempiterno;
frate, lassa lo peccato—che te ce mena traenno;
poi ch’?i scritto nel quaderno,—averai cotal pagato.
[Pg 24]

XIII

Como l’anima viziosa ? inferno;
e per lume de la grazia poi se fa paradiso

L’anema ch’? viziosa—a lo ’nferno ? simigliata.
Casa ? fatta del demono,—halla presa en patremono;
la superbia sede en trono—pegio ? ch’endemoniata.
Socce tenebre d’envidia,—ad onne ben post’ha ensidia;
de ben non ci arman vestigia,—s? la mente ha ottenebrata.
?cce acceso fuoco d’ira—che a mal far la voglia tira;
volgese d’entorna e gira—mordendo co arabbiata.
L’accidia una freddura—ce reca senza mesura
posta en estrema paura—con la mente alienata.
L’avarizia pensosa—?cce verme che non posa;
tutta la mente s’ha rosa—en tante cose l’ha occupata!
De serpente e de dragone—la gola fa gran boccone;
e gi? non pensa la rascione—de lo scotto a la levata.
La lussuria fetente,—ensolfato foco ardente,
trista lassa quella mente—che tal gente ci ha ’lbergata.
Venite gente a odire—e stupite del vedere:
enferno era l’anema heri,—en paradiso oggi ? tornata.
Da lo Patre el lume ? sciso,—don de grazia m’ha miso;
fatto s? n’ha paradiso—de la mente viziata.
Hacce enfusa umilitate,—morta ci ha superbietate
che la mente en tempestate—tenea sempre enruinata.
L’odio s? n’ha fugato—e lo cor ha ’namorato;
nel prossimo l’ha trasformato—en caritate abracciata.
L’ira n’ha cacciata fore—e mansueto ha fatto el core,
refrenato omne furore—che me tenea ensaniata.[Pg 25]
E l’accida c’? morta—e iustizia c’? resorta;
dirizat’ha l’alma storta—en omne cosa ordenata.
L’avarizia n’? deietta—e pietate ce se assetta;
larga fa la benedetta—la sua gran lemosinata.
Enfrenata c’? la gola,—temperanza ce tien scola;
la necessitate sola—quella s? gli ? ministrata.
La lussuria fetente—? cacciata da la mente;
castetate sta presente—che la corte ha relustrata.
O cor, non essere engrato—tanto ben che Dio t’ha dato!
vive sempre ennamorato—con la vita angelicata.
[Pg 26]

XIV

Como li vizi descendono da la superbia

La superbia de l’altura—ha fatte tante figliole;
tutto ’l mondo se ne dole—de lo mal che n’? scontrato.
La superbia appetisce—omne cosa aver soietta;
soprapar non vol niuno—e glie qual non gli deletta;
glie menor mette a la stretta,—ch? non i p? far tanto onore
quanto gli apetisce el core—del volere sciordenato.
Aguardando a soi maiure,—una invidia c’? nata;
non la puote gettar fuore,—teme d’esser conculcata;
l’odio s? l’ha ’mpreinata,—ensidie va preparando
per farglie cader en bando,—ch? del lor sia menovato.
Per poter segnoregiare—s? fa giure ne la terra,
e le parte ce fa fare—donde nasce molta guerra;
lo suo cor molto s’aferra—quel che pensa non p? avere,
l’ira s? lo fa ensanire—como cane arabbiato.
Puoi che l’ira ? su montata—e nel cor ha signor?a,
crudeltate ? aparechiata—de star en sua compagnia;
de far grande occider?a—non li par sufficienza
tant’? la malavoglienza—che nel cor ha semenato.
Puoi che l’ira non p? fare—tutto quanto el suo volere,
una accidia n’? nata,—entra ’l core a possedere;
omne ben li fa spiacere,—posta ? ’n’estremo temore,
le merolle i secca en core—del tristor c’ha albergato.
L’accidia molto pensosa—va pensando omne viagio;
se l’aver ce fosse en alto,—empier?ase el tuo coragio;
l’avarizia che al passagio—entra a posseder la corte,
destregnenza s? fa forte—ad ogne uscio far serrato.[Pg 27]
Ha sospetta la fameglia—che non i vada el suo furando;
moglie, figli, nuore e servi—tutti s? va tribulando;
or vedessi mal optando—che fa tutta la famiglia!
ciascun morte gli asimiglia—d’esto demone encarnato.
Rape, fura, enganna e sforza;—non ce guarda mal parere
con guai l’omo ch’? ’mponente—che gli aiace el suo podere;
ch? gli menaccia de ferire—se ’l poder suo non li dona;
entorno non ci arman persona—che da lui non sia predato.
Or vedessi terre, vigne,—orta, selve per legnare!
auro, argento, gioie e gemme—ne li scrigni far serrare,
e molina a macenare,—bestie grosse e menute,
case far fare enfenute—per servar suo guadagnato.
El biado serva en anno en anno,—ch’aspetta la carist?a;
poi che guasto el se manduca,—en casa mette dolent?a;
or vedessi blasfem?a—che la sua fameglia face!
Esbandita n’? la pace—de tutto el suo comitato.
Se la sua fameglia ? grasa,—?glie gran despiacemento;
el pane e ’l vin che va en casa—mette en suo reputamento;
or vedessi iniuramento:—O fameglia sprecatrice!
da Dio s? la maledice—ch’el ben suo s’on manecato.
O avaro, fatt’hai enferno—mentre la tua vita dura;
e de l’altro pres’hai l’arra;—aspetta la pagatura!
o superbia de l’altura,—vedi ove sei redutta!
l’onoranza tua destrutta,—da ogne gente se’ avilato.
Cinque vizia ne l’alma,—che de sopra agio contate,
lo superbo, envidioso—ed iroso accidiate,
l’avarizia toccate,—due ne regnan ne la carne
che tutto sto mondo spanne:—gola e lussuriato.
L’avarizia ha adunato—e la gola el se devura;
en taverne fa mercato:—per un bicchiere una voltura;
or vedessi sprecatura—che se fa de la guadagna!
la lussuria l’acompagna—che sia vaccio consumato.
Tutta spreca una contrata—per aver una polzella;
or vedete sta brigata—a que ? dutta sta novella!
anema mia tapinella,—gu?rdate da tal ostiere!
lo cielo te fon perdere—e lo ’nferno ha’ redetato.
[Pg 28]

XV

Como l’anema retorna al corpo per andare al iudicio

—O corpo enfracedato,—io so l’anima dolente;
li?vate amantenente—ch? sei meco dannato.
L’agnolo sta a trombare—voce de gran paura;
opo n’? appresentare—senza nulla demora,
stavimi a predicare—che non avesse paura,
male te credette alora—quando feci el peccato.
—Or se’ tu l’alma mia—cortese e conoscente!
puoi che t’andasti via,—retornai a niente;
famme tal compagnia—che io non sia dolente,
veggio terribel gente—con volto esvaliato.
—Queste son le demonia—con chi t’? opo abitare;
non t’? opo far istoria;—que te opor? portare
non me trovo en memoria—de poterlo narrare;
se ententa fosse el mare—-non ne sir?a pontato.
—Non ce posso venire,—ch? so en tanta afrantura
che sto su nel morire,—sento la morte dura;
s? facisti al partire:—rompesti omne iuntura,
recata hai tal fortura—che ogne osso m’ha spezato.
—Como da tene a mene—fo apicciato amore,
semo reiunti in pene—con eterno sciamore;
l’ossa contra le vene,—nervi contra iunture;
sciordenati onne umure—de lo primero stato.
—Unquanco Galieno,—Avicenna, Ipocrate
non sapper lo conveno—de mei enfermetate;
tutte enseme iongono—e s?mmese adirate;
sento tal tempestate—che non vorr?a esser nato.[Pg 29]
—Li?vate, maledetto,—ch? non poi pi? morare;
ne la fronte n’? scritto—tutto el nostro peccare;
quel che nascusi a letto—volevamo operare
oporasse mostrare—vegente onne omo nato.
—Chi ? questo gran sire—rege de grande altura?
sotterra vorr?a gire—tal me mette paura;
ove porr?a fugire—da la sua faccia dura?
terra, fa copretura!—ch’io nol veggia adirato.
—Questo s? ? Ies? Cristo,—lo figliolo di Dio;
vedenno el volto tristo,—spiacegli el fatto mio;
potemmo fare acquisto—d’aver lo regno sio;
malvagio corpo e rio,—or que avem guadagnato!
[Pg 30]

XVI

Como l’appetito de laude
fa operare molte cose senza frutto

—Que fai, anema predata?—Faccio mal ch? so dannata.
Agio mal ch? infinito—omne ben s? m’? fugito;
lo ciel s? m’ha sbandito—e lo ’nferno m’ha ’lbergata.
—D?ime desperazione—de la mia condizione
pensando la perfezione—de la vita tua ch’? stata.
—Io fui donna religiosa,—settant’anni fui renchiosa;
iurai a Cristo esser sposa—or so al diavolo maritata.
—Qual ? stata la cagione—de la tua dannazione,
ch? speravan le persone—che fosse canonizata?
—Non vedeano el magagnato—che nel core era occultato;
Dio, a cui non fo celato,—ha scoperta la falsata.
Vergene me conservai,—el mio corpo macerai,
ad om mai non guardai,—ch? non fosse poi tentata.
Non parlai pi? de trent’agne—como fon le mie compagne;
penetenze fece magne,—pi? che non ne fui notata.
Degiunar mio non esclude—pane ed acqua ed erbe crude,
cinquant’anni entier compiude—degiunar non fui alentata.
Cuoi de scrofe toserate,—fun de pelo atortigliate,
cerchi e veste desperate—cinquant’anni cruciata.
Sostenetti povertate,—freddi, caldi e nuditade;
non avi l’umilitate,—per? da Dio fui reprovata.
Non avi devozione—n? mentale orazione;
tutta la mia entenzione—fo ad essere lodata.
Quando ud?a chiamar la santa,—lo mio cor superbia enalta;
or so menata a la malta—con la gente desperata.
S’io vergogna avesse avuta,—non sir?a cus? peruta,
la vergogna aver?a apruta—la mia mente magagnata.[Pg 31]
Forse me sir?a corressa,—che non ser?a a questa opressa;
l’onoranza me tenne essa—ch’io non fosse medecata.
Oim?, onor, co mal te vide—ca ’l tuo gioco me occide;
begl me costa el tuo ride,—de tal prezo m’hai pagata!
Se vedessi mia figura—moreri’ de la paura;
non porr?a la tua natura—sostener la mia sguardata.
L’anema ch’? viziosa—orribil ? sopr’onne cosa;
tal d? puza estermenosa—en omne canto ? macellata.
O penar, non sai finire—n? a fin giamai venire;
s? perseveri tuo ferire—como fosse comenzata.
Non fatiga el feredore,—el ferito non ne more,
or te pensa el bello amore—che sta en questa vicinata.
La pena ? consumativa,—l’alma morta sempr’? viva
e la pena non deriva—de star sempre en me adizata.
—Penso ch’io sir? dannato,—nullo bene agio operato
e molto male acumulato—en la mia vita passata.
—Frate, non te desperare;—paradiso poi lucrare
se te guarde dal furare—l’onor suo che t’ha vetata.
Teme, serve e non falsare—e combatte en adurare
si e’ ’n bon perseverare,—proverai l’umiliata[1].

[Pg 32]

[1] Le tre stanzie sequente erano in alcuni libri inanti le tre ultime:

O lamento mio lamento,—o lamento con tormento,
o lamento co m’hai tento,—de tal machia m’hai sozata!
O corrotto mio corrotto,—o corrotto pien de lotto,
o corrotto o’ m’hai adotto,—che sia nel foco soterrata?
Conscienzia mia mordace,—tuo flagello mai non tace;
tolta m’hai dal cor la pace—e con Dio scandalizata.

(Nota del Bonaccorsi).

XVII

De frate Ranaldo, quale era morto

Frate Ranaldo, dove se’ andato?—de quolibet s? hai disputato?
Or lo me di’, frate Ranaldo,—ch? del tuo scotto non so saldo;
se ?i en gloria o en caldo—non lo m’ha Dio revelato.
Honne bona conscienza—che ’l morir te fo en pazienza;
confessasti tua fallenza—absoluto dal prelato.
Or ecco i? la questione:—se avesti contrizione,
quella ch’? vera onzione—che destegne lo peccato.
Or sei ionto a la scola—ove la verit? sola
iudica omne parola—e demostra omne pensato.
Or sei ionto a Collestatte—do’ se mostra li toi fatte;
le carte son fore tratte—del mal e ben c’hai oprato.
Ch? non giova far sofismi—a quelli forti siloismi,
n? per corso n? per risme—che lo vero non sia apalato.
Conventato se’ en Parese—a molto onor e grande spese;
ora ?i ionto a quelle prese—che stai en terra attumulato.
Aggio paura che l’onore—non te tragesse de core
a tenerte lo menore—fratecello desprezato.
Dubito de la recolta—che dal debito non sia sciolta,
se non pagasti ben la colta—che ’l Signor t’ha comandato.
[Pg 33]

XVIII

Como l’omo ? acecato dal mondo

Omo, tu se’ engannato,—ch? questo mondo t’ha cecato.
Cecato t’ha questo mondo—coi delette e col sogiorno
e col vestimento adorno—e con essere laudato.
Li deletti c’hai avuti,—mo que n’hai? sonsene giuti;
en vanet? s? t’hai perduti—e fatto ci hai molto peccato.
Ed unqua non vol pentire—finch? vieni a lo morire;
da che sai non puoi guarire,—dice pro ’l prete sia mandato.
Lo prete dice:—Figlio mio,—como sta lo fatto tio?—
e tu dice:—Sere, ch’io—so de mal molto gravato.—
S? t’affligon li figlioli—ch? gli lassi po’ te soli;
pi? de lor che de te doli,—ch? ’l fatto lor lassi embrigato.
Quel dolor t’afflige tanto,—quando i figli piangon en alto,
che ’l fatto tuo lassi da canto—de render el mal aquistato.
Poi che veni a lo morire,—li parenti fon venire;
non ti lassan ben uscire,—fuor de casa t’on gettato.
Fin a santo von gridanno—e dicendo:—Or ecco danno!—
Torna a casa, briga entanno—che ’l manecar sia ’parechiato.
Poi che s’onno satollati,—del tuo fatto s’on scordati;
dei denar c’hai guadagnati—non hai teco alcun portato.
O tapino, a cui aduni?—ad arriccar li toi garzuni?
da ch’?i morto, i gran boccuni—se fon del tuo guadagnato.
[Pg 34]

XIX

De l’omo che non satisfece in vita sua
del mal acquistato

—Figli, nepoti e frati,—rendete el maltolletto
lo quale io ve lassai.
Voi lo prometteste a lo patrino—de renderlo tutto e non venir mino;
ancor non me dest per l’alma un ferlino—de tanta moneta quant’io guadagnai.
—Se ’l te promettemmo or non te ’l sapevi?—ben eri sagio che tu lo credevi!
se tu nel tuo fatto non provedevi,—att?ndeti a noi che ’l farimo crai!
—Io vi lassai el molto valore;—pochi presenti da voi ebbe ancore;
quando ce penso ho gran descionore,—ch? m’ho abandonato quel che pi? amai.
—Se tu n’amasti, devevi vedere—a quegno porto devive venire;
de quel ch’aquistasti volem gaudere—e non ? verun che curi en tuo guai.
—Io ve lassai le botte col vino,—lassavi li panni de lana e de lino;
posto m’avete nel canto mancino—de tanta guadagna quant’io congregai.
—Se tu congregasti tanta guadagna,—de darte covelle a noi non ne caglia;
?ggete pace, se pate travaglia;—facesti tal fatti, captivo ne vai.[Pg 35]
—Io amesurai a sostenere—la terra la vigna per far lo podere;
or non potete niente volere—darme una fetta de quel ch’aquistai.
—Se tu fuste crudo ad esser tenace,—de darte chevelle a noi non ne piace;
stanne securo e fanne carace!—de le tue pene non ne curam mai.
—Io v’alevai con molto sudore—e poi me dicete tal descionore!
Penso che voi verrite a quel ore—che provarite che son li mei guai.
[Pg 36]

XX

Del scelerato peccatore penitente

O me lasso, dolente—ca lo tempo passato
male l’ho usato—en ver’ lo Creatore.
Tutto lo mio delettare,—da poi che m’allevai,
fo del mondo amare;—de l’altro non pensai;
or me conven lassare—quel che pi? delettai
ed aver pena assai—e tormento e dolore.
Lo mangiare e lo bere—? stato el mio deletto,
e posare e gaudere—e dormire a lo letto;
non credeva potere—aver nullo defetto;
or so morto e decepto,—ch’agio offeso al Signore.
Quand’altri gi’ al predecare—o a udir messa ad santo,
ed io me g?a a satollare—e non guardava quanto;
poi me rendea a cantare;—or me retorna en pianto;
quello fo lo mal canto—per me en tutto peggiore.
Quando alcun mio parente—o amico deritto
me reprendea niente—o de fatto o de ditto,
respondeali mantenente,—tanto era maleditto:
—Morto en terra te mitto—se ne fai pi? sentore.—
Quando en assembiamento—bella donna ved?a,
faceagli sguardamento—e cenni per mastr?a;
se non gli era en talento,—vantando me ne g?a;
da me non reman?a—che non avesse descionore.
Per la mala ricchezza—ch’a sto mondo agio avuta,
so visso en tanta alteza,—l’alma n’agio perduta;
la mala soperchianza,—com’? da me partuta,
siramme meretuta—de foco e d’encendore.[Pg 37]
La vita non me basta—a farne penetenza,
ch? la morte m’adasta—a darne la sentenza;
se tu, Vergene casta,—non acatte indulgenza,
l’anema en perdenza—gir? senza tenore.
Regina encoronata,—mamma del dolce figlio,
tu se’ nostra advocata;—veramente assimiglio
per le nostre peccata—che non giamo en esiglio;
manda lo tuo consiglio,—donna de gran valore.
[Pg 38]

XXI

De quello che domanda perdonanza da poi la morte

—O Cristo pietoso,—perdona el mio peccato,
ch’a quella son menato—che non posso pi? mucciare.
Gi? non posso pi? mucciare—ch? la morte m’ha ’battuto;
tolto m’ha el solazzare—desto mondo ove son suto;
non ho potuto altro fare,—son denante a te venuto;
?lme oporto el tuo aiuto—ch? ’l Nemico volme accusare.
—Non ? tempo aver pietanza—po’ la morte del peccato;
fatta te fo recordanza—che tu fusse confessato;
non voleste aver leanza—en quel che te fo comandato,
la iustizia ha ’l principato—che te vole esaminare.
Lo Nemico s? ce vene—a questa entenzagione:
—O Signor, pregote bene—che m’entende a ragione;
che a questo omo s’avene—ch’io lo mene en pregione,
s’io provo la cagione—co el se de’ condennare.—
El Signor che ? statera—responde a questo ditto:
—La prova, se ella ? vera,—entenderolla a distritto;
ch? onne bono omo spera—ch’io sia verace e dritto;
se hai il suo fatto scritto—or ne di’ ci? che te pare.
—Signore, tu l’hai creato—come fo tuo piacemento;
de grazie l’hai ornato,—d?steli descernemento;
nulla cosa ha osservato—de lo tuo comandamento;
a cui fece el servemento—lo ne deve meritare.
Ch? molto ben sapea—quando tollea l’usura,
al povero s? da?a—molto manca mesura;
ma ne la corte mea—li far? tal pagatura,
ch’el non sent? ancura—de que i far? asagiare.[Pg 39]
Quando altri li dic?a:—P?nsate del finire!—
e quel se ne rid?a,—che non credea morire;
cortese so a casa mia,—farollo ben servire;
poi ch’a mi volse venire,—non lo sappi arnunzare.
Se vedea assembiamento—de donne e de donzelli,
andava con stromento—con soi canti novelli;
facea acquistamento—per lui de tapinelli;
en mia corte ho fancelli—che gl’insegnaran cantare.
Se dico tutta storia,—mo ? rencrescemento;
ch? pur de vanagloria—sar?a grande strumento;
perch? glie torne a memoria—fatto n’ho toccamento;
senza pagar argento—la carta ne fei trare.
Facciane testificanza—l’angelo so guardiano,
se ho detto in ci? fallanza—verso quest’om mondano;
credome en sua leanza,—ch? ’l mentir non gli ? sano;
pregote, Dio sovrano,—che me degi ragion fare.—
L’angel viene encontenente—a fare testificanza:
—Sappi, Signor, veramente—ch’egli ha detto la certanza;
detto ha quasi niente—de la sua nequitanza;
tenuto m’ha en vilanza—mentre lo stei a guardare.
—Respondi, o malvagione—se hai nulla scusanza;
far ne voglio ragione—de que ? fatta provanza;
non avesti cagione—de far tal soperchianza;
far ne voglio vegnanza,—nol pos pi? comportare.
—De ci? che m’? provato—nulla scusanza n’agio,
pregote, Dio beato,—che m’aiuti al passagio;
che m’ha s? empaurato—menacciato del viagio,
s? ? scuro suo visagio—che me fa angustiare.
—Longo tempo t’ho aspettato—che te dovessi pentire;
con ragion sei condannato—che te d?i da me partire;
del mio viso sei privato—che mai nol porrai vedere,
fate gli aversere venire—che ’l degian acompagnare.
—O Signor, co me departo—da la tua visione!
co so adunati ratto—che me menino in pregione!
poi che da te me parto,—damme la benedizione
famme consolazione—en questo mio trapassare![Pg 40]
—Ed io s? te maledico,—d’ogne ben si’ tu privato!
vanne, peccator inico,—che tanto m’hai desprezato!
se me fusse stato amico,—non sar?e cos? menato;
a lo ’nferno se’ dannato—eternalmente ad estare.—
El Nemico fa adunare—mille de soi con forconi,
e mille altri ne fa stare—che pagono co dragoni;
ciascun lo briga d’apicciare—e cantar le lor canzone;
dicon:—Questo en cor te poni,—ch’? t’opo con noi morare.—
Con grandissima catena—strettamente l’on legato,
a lo ’nferno con gran pena—duramente l’on menato;
poi gridan quelli con l’oncina:—?sciti fore,—al condennato.
Tutto el popol s’? adunato—e nel foco el fon gettare.
[Pg 41]

XXII

De la vita de l’omo redutta a la vechieza

Audite una entenzone—ch’era fra doi persone
vecchi e descaduti—ca, dopo eran perduti,
l’uno era censalito—l’altro era ben vestito.
Lo censalito piangea—d’uno figlio ch’avea
impio e crudele—pi? amaro che fele:
—Vedi, o compar mio,—del mio figlio iud?o!
vedi co m’ha dobato—de lo mio guadagnato!
la sua lengua tagliente—pi? che spada pognente
tutto me fa tremare—quando ’l vegio arentrare;
non fina gir gridando—e de girme stravando:
—O vecchio desensato,—demonio encarnato,
non te poi mai morire—ch’io te possa carire.—
Aio una nuora santa—de paradiso pianta,
certo io sar?a morto—non fosse el suo conforto;
tutto me va lavando—e scegliendo e nettando;
s? la benedica Dio—com’ell’? reposo mio!
—Compar, co m’hai ferito—d’esto c’hai referito
d’esta tua santa nura!—ch? n’aio una s? dura!
se tu oderai contare—quel che me fa portare,
terraite ben contento—de lo tuo encrescemento.
Aio una nuora astuta—con la lengua forcuta,
con una voce enquina—che non ci arman vicina
che non oda ’l gridato—del suo morganato;
l’acqua, lo vento posa:—la lengua niquitosa
non pu? mai posare—de starme a ’niuriare
con parole cocente—che me fendon la mente;
meglio sir?a la morte—che la pena s? forte![Pg 42]
Agio un figlio ordenato—che Dio l’ha fabrecato;
con meco paziente,—la sua lengua ? piacente;
a la moglie ha ferito—per quel che n’ha sentito;
ma nulla cosa giova—tanto ? de dura prova.
—Compar, lo contamento—c’hai fatto en parlamento,
mitigame el dolore—ch’aio portato en core;
teneame lo pi? afflitto—nel mondo derelitto,
e cento pi? hai peio,—c’hai mal senza remeio,
ch? passa onne malizia—ria femena en nequizia;
non t’encresca contare,—ch? me puoi resanare,
le parole dogliose—pi? che venenose
che questa tua nuora dice,—che Dio la maledice!
—Compar, puoi recordare,—s? como a me pare,
donzello en bel servire—ed ornato cavaliere,
bello e costumato;—or so cus? avilato
da una mercenaia—figlia de tavernaia;
con la lengua demostra—che m’ha vinto de giostra;
fatto ha cantuzio—de lo mio repuzio:
—O casa tribulata,—che Dio l’ha ’bandonata!
lo vecchio desensato—en te si ? anidato;
strovele, obprobrioso,—brutto, puteglioso,
con gli occhi reguardosi,—rosci e caccolosi,
palpetra reversate,—paiono ensanguenate;
lo naso sempre cola—como acqua de mola;
como porci sannati—gli denti son scalzati;
con quelle rosce geng?e,—che paiono pur sangu?e,
chi rider lo vedesse—a pena che non moresse
con quello guardo orribile—e la faccia terribile;
ma pur lo gran fetore—che de la bocca esce fore,
la puza stermenata—la terra n’? ’nfermata;
la sarocchiosa tossa,—chi lo vede contossa;
con lo sputo fetente—che conturba la gente;
r?ina secca serrata—che pare encotecata;
como lo can c’ha ’l raspo,—le man mena co naspo;
lo vecchio delombato—como arco piegato,—
e molte altre parole—che ’l mio cor dir non vole.[Pg 43]
—Compar, molto mi doglio—pensando el tuo cordoglio;
como ’l poi soffrire—tanta vergogna udire?
maraviglia ? che ’l core—non t’? crepato fore.
—Compar, non te dolire—che ? ’l mal se de’ punire;
commise lo peccato,—ben ? ch’io sia pagato;
ch’abbi tanta allegreza—de la stolta belleza;
ma non ? maraveglia—s’io turbo mia fameglia;
maraviglia m’ho fatto,—pensando d’esto tratto,
co cane scortecato—non me gett’al fossato
vedendome s? orribele,—puzulente e spiacevele.
O gente che amate—en belleza delettate,
venite a contemplare,—ch? ve porr? giovare!
mirate en questo specchio—de me desfatto vechio;
fui s? formoso e bello,—n? citade n? castello
chivel non ci armanea—ch’a me veder traea;
or so cos? desfatto—en tutto scontrafatto,
onomo ha gran paura—vedendo mia figura;
vedete la belleza—che non ha stabeleza:
la mane el fior ? nato,—la sera el vei seccato.
O mondo enmondo,—che d’ogne ben m’hai mondo;
o mondo fallace—ad om ch’en te ha pace;
o mondo barattiere,—b? glie costa el taoliere;
lo tempo m’hai sotratto,—nullo servasti patto;
col tuo mostrar de riso—perdut’ho ’l paradiso.
Signor, misericordia!—fa’ meco tua concordia!
famme la perdonanza—de mia grave offensanza!
rendome pentuto—ch? non fui aveduto;
per lo mondo aversire,—lassai lo tuo servire;
or lo vorr?a fare,—non me posso aiutare;
de la vergogna m’ardo—che m’avidi s? tardo.
[Pg 44]

XXIII

De la vilt? de l’omo

Omo, m?ttete a pensare—onde te vien el gloriare.
Omo, pensa de que semo—e de que fommo ed a que gimo;
ed in que retornerimo—ora mettete a cuitare.
D’uman seme se’ concetto,—putulente sta subietto;
se ben te vedi nel diretto,—non hai donde t’esaltare.
De vil cosa se’ formato—ed en pianto foste nato,
en miseria conversato—ed en cenner d?i tornare.
Veniste a noi co pelegrino,—nudo, povero e tapino;
menato en questo camino,—pianto fo el primo cantare.
Menato en questo paese—non recasti da far spese;
ma ’l Signor te fo cortese,—che il suo ben v?lsete prestare.
Or te pensa el fatto tio:—se ’l Signor arvole el sio,
non t’armar altro che ’l rio,—non hai donde t’alegrare.
Gloria hai del vestimento—che t’aconce al tuo talento;
ed hai pieno el cor de vento—per ?meser? farte chiamare.
Se la pieco arvol la lana—e lo fiore arvol la grana,
lo tuo pensier ? cosa vana—onde superbia v?i menare.
Aguarda a l’arbore, o omo,—quanto fa suave pomo
odorifero, e como—? saporoso nel gustare.
De la vite que ne nasce?—l’uva bella ch’omo pasce;
poco maturar la lasce,—nascene el vino per potare.
Omo, pensa que tu mene—pedochi assai con lendinine,
e le pulce son meschine—che non te lassan veniare.
Se hai gloria d’avere,—attende un poco e mo ’l p?i scere
que ne p?i d’esto podere—nella fin teco portare.
[Pg 45]

XXIV

Como la vita de l’omo ? penosa

O vita penosa, continua battaglia,
con quanta travaglia—la vita ? menata!
Mentre s? stette en ventre a mia mate,
presi l’arrate—a deverme morire;
como ce stette en quelle contrate
chiuse, serrate,—nol so reverire;
venni a l’uscire—con molto dolore
e molto tristore—en mia comitata.
Venni renchiuso en un saccarello
e quel fo el mantello—co venni adobato:
operto lo sacco, co stava chello
assai miserello—e tutto bruttato,
da me ? comenzato—uno novo pianto;
esto ’l primo canto—en questa mia entrata.
Venne cordoglio a quella gente
che stava presente;—s? me pigli?ro;
mia mate stava assai malamente
del parto del ventre—che fo molto amaro.
S? me lav?ro—e dierme panceglie,
coprireme quigli—con nova fasciata.
Oim? dolente, a que so venuto,
ch? senza aiuto—non posso scampare!
A chi me serve s? do el mal tributo,
com’? convenuto—a tale operare;
sempre a bruttare—me e mie veste
e queste meneste—donai en alevata.[Pg 46]
Se mamma arvenisse che racontasse
le pene che trasse—en mio nutrire!
la notte ha bisogno che si rizasse
e me lattasse—con frigo suffrire
staendo a servire;—ed io pur plangea;
anvito non avea—de mia lamentata.
Ella, pensando ch’io male avesse,
che non me moresse—tutta tremava;
era besogno che lume accendesse
e me scopresse,—e poi me mirava
e non trovava—nulla sembianza
de mia lamentanza—perch? fosse stata.
O mamma mia, ecco le scorte
che en una notte—hai guadagnato!
portar nove mesi ventrata s? forte
con molte bistorte—e gran dolorato,
parto penato—e pena en nutrire;
el meritire—male n’?i pagata.
Poi venne el tempo mio pate ? mosto,
a leger m’ha posto—ch’emprenda scrittura;
se non emprenda quel ch’era emposto,
davame ’l costo—de gran battetura;
con quanta paura—loco ce stetti,
sir?an longhi detti—a farne contata.
Vedea li garzoni girse iocando,
ed io lamentando—che non podea fare;
se non g?a a la scola, g?ame frustando
e svincigliando—con mio lamentare;
stava a pensare—mio pate moresse,
ch’io pi? non staesse—a questa brigata.
Tante le meschie ch’io entanno facea,
ca pigliar?a—le molte entestate;
non ne g?a a Lucca che cagno n’avea;
capigli daea—e tollea guanciate;
e spesse fiate—era strascinato
e calpistato—com’uva entinata.[Pg 47]
Passato el tempo, empresi a giocare,
con gente usare—e far grande spese;
mio pate stava a dolorare
e non pagare—le mie male emprese;
le spese commesse—stregn?me a furare,
lo biado sprecare—en mala menata.
Poi che fui preso a far cortes?a,
la malsan?a—s? non ? pegiore;
l’auro e l’argento che ? en Sur?a
non empier?a—la briga d’onore:
moriva a dolore—che non potea fare;
el vergognare—non g?a en fallata.
Non ce bastava niente el podere
a recoprire—le brighe presente;
asti e paraggi, calzare e vestire,
mangiare e bere—e star fra la gente;
render presente—parente ed amice
fuor tal radice—che l’arca on voitata.
Se era constretto a far vendecanza
per soperchianza—ch’avesse patuta,
pagar lo bando non era en usanza
e la briganza—non c’era partuta;
la mente smarruta—crepava a dolore,
che ’l descionore—non era vengnata.
Se l’avea fatta, g?amene armato,
empaurato—del doppio aravere;
e stavamo en casa empregionato
e paventato—nel gire e venire;
chi el porr?a dire—quant’? la pena
che l’odio mena—per ria comenzata!
Volea moglie bella che fosse sana
e non fosse vana—per mio piacere;
con grande dota, gentile e piana,
de gente non strana—con lengua a garrire;
comp?to desire—non ? sotto ’l cielo
e l’om como scelo—che qui l’ha cercata.[Pg 48]
Se non avea figli, era dolente,
ch? ’l mio a mia gente—volea lassare;
avendo figli, non gli ho s? piacente
che la mia mente—ne sia en consolare;
or ecco lo stare—c’ha l’om en sto mondo,
d’omne ben mondo—per gente acecata.
Recolto el biado e vendegnato,
ar? semenato—per tempo futuro;
mai non se compie questo mercato,
s? continuato—conti en questo muro;
lo tempo a Dio furo—ed hogli sotratto
e rotto gli ? ’l patto—de sua comandata.
Battaglia continua del manecare,
pranzo, cenare—e mai non ha posa;
se non ? aparechiato co a me pare,
scandalizare—s? fa la sua osa;
o vita penosa—ove m’hai menato
cus? tribulato—continua giornata!
Mai non se giogne la gola mia brutta;
sapor de condutta—s? vol per usanza,
viva exquisita e nuove frutta,
e questa lutta—non ha mai finanza;
o tribulanza,—ov’? ’l tuo finare,
la ponga voitare—e l’anema en pecata!
La pena grande che ? de le freve,
che non vengon leve,—ma molto penose,
e non se parton per leger de breve;
li medici greve—pagarse de cose,
siroppi de rose—ed altri vaseglie;
denar pi? che griglie—ce vono a la fiata.
A quanti mali ? l’om sottoposto,
non porr?a om tosto—per risme contare;
glie medici el sanno, che contano el costo,
che scrivon lo ’ncostro—e fonse pagare;
abreviare—s? n’opo esto fatto
che compiam ratto—la nostra dittata.[Pg 49]
Ecco lo verno che viene piovuso,
diventa lotuso—e rio gir d’entorno;
venti, freddura e neve per uso
a l’omo ? noioso—per far suo sogiorno;
non ? nel monno—tempo che piaccia
e questa traccia—non ? mai finita.
Ecco la state che vien con gran calde,
angustie grande—con vita penosa:
de giorno le mosche d’entorno spavalde,
mordendone valde,—che non ne don posa;
passa sta cosa—ed entra la notte:
le pulce son scorte—a dar lor beccata.
Stanco lo giorno g?ame a letto,
pensava l’affetto—nel letto posare;
ecco i pensieri, l? ov’era retto,
aveanme constretto—a non dormentare;
or al pensare,—volvendome entorno,
tollendome el sonno,—per molte fiata.
Fatto lo giorno, ed io arcomenzava;
qual pi? m’encalzava,—quella prendea;
non ven?a fatta como pensava,
adolorava—che nolla comp?a;
el d? se ne g?a—ed ecco la notte
a darme le scorte—com’el’era usata.
Comp?ta l’una, ed eccote l’altra;
e questa falta—non pote fugire;
molte embrigate enseme m’ensalta,
pegio che malta—? ’l mio sufferire;
o falso desire, ed o’ m’hai menato,
ch? s? tribulato—passo mia stata?
Cus? tribulato vengo a vecchieza,
perdo belleza—ed omne potere;
devento brutto, perdendo netteza,
grande splaceza—d? el mio vedere,
ed opo m’? gire—per forza a la morte
a prender le scorte—che d? en sua pagata.[Pg 50]
O vita fallace do’ m’hai menato
e co m’hai pagato—che t’aio servito?
Haime condutto ch’io sia sotterrato
e manecato—dai vermi a menuto;
or ecco el tributo—che d?i en tuo servire
e non p? fallire—a gente ch’? nata.
O omo, or te pensa che ? altra vita,
la qual ? enfinita—do’ n’opo andare;
e socce doi lochi l? ’v’? nostra gita:
l’una comp?ta—de pien delettare,
l’altra en penare—piena de dolore,
o’ so gli peccatore—con l’anema dannata.
Se qui non lasse l’amor del peccato,
serai sotterrato—en quel foco ardente;
se qui tu lassi e senne mendato,
serai translato—con la santa gente;
ergo presente—facciam correttura,
ch? en affrantura—non sia nostra andata.
[Pg 51]

XXV

De la contemplazione de la morte
ed incinerazione contra la superbia

Quando t’alegri, omo de altura,
va’, pone mente a la sepultura.
E loco poni lo tuo contemplare,
e pensa bene che tu de’ tornare
en quella forma, che tu vedi stare
l’omo che iace ne la fossa scura.
—Or me responde tu, omo sepelito,
che cus? ratto de sto mondo e’ scito!
o’ so i bei panni de que eri vestito,
ch’ornato te veggio de molta bruttura?
—O frate mio, non me rampognare,
ch? lo fatto mio a te pu? iovare;
poi che i parente me fiero spogliare,
de vil cilicio me dier copretura.
—Or ov’? ’l capo cus? pettenato?
con cui t’aragnasti che ’l t’ha s? pelato?
fo acqua bullita che t’ha s? calvato?
non te c’? oporto pi? spicciatura.
—Questo mio capo ch’avi s? biondo,
cadut’? la carne e la danza d’entorno;
nol me pensava quand’era nel monno
ca entanno a rota facea portatura.
—Or ove son gli occhi cus? depurati?
fuor del lor loco sono gettati;
credo che i vermi glie son manecati;
del tuo regoglio non ?ver paura.[Pg 52]
—Perduto m’ho gli occhi con que g?a peccanno,
guardando a la gente, con essi accennanno;
oim? dolente, or so nel malanno,
ch? ’l corpo ? vorato e l’alma en ardura.
—Or ov’? ’l naso ch’avevi per odorare?
quegna enfermetate el n’ha fatto cascare?
non t’?i potuto dai vermi aiutare,
molto ? abassata sta tua grossura.
—Questo mio naso, ch’avea per odore,
caduto se n’? con molto fetore;
nol me pensava quand’era en amore
del mondo falso pieno de vanura.
—Or ov’? la lengua tanto tagliente?
apre la bocca: non hai niente;
fone troncata o forsa fo el dente
che te n’ha fatta cotal rodetura?
—Perdut’ho la lengua con la qual parlava,
e molta discordia con essa ordenava;
nol me pensava quand’io mangiava
lo cibo e lo poto ultra misura.
—Or chiude le labra per li denti coprire;
par, chi te vede, che ’l vogli schirnire;
paura me mette pur del vedire,
caggionte i denti senza trattura.
—Co chiudo le labra ch? unqua non l’agio?
poco pensava de questo passagio;
oim? dolente, e come faragio
quand’io e l’alma starimo en ardura?
—Or o’ son glie braccia con tanta forteza
menacciando la gente, mostrando prodeza?
r?spate ’l capo, se t’? ageveleza!
scrulla la danza e fa portadura!
—La mia portadura giace ne sta fossa;
cadut’? la carne, remaste so gli ossa;
ed omne gloria da me s’? remossa
e d’omne miseria en me ? empietura.[Pg 53]
—Or l?vate en piedi, ch? molto ?i iaciuto;
ac?nciate l’arme e tolli lo scuto;
en tanta viltate me par ch’?i venuto,
non comportar pi? questa afrantura.
—Or co so adagiato de levarme em piede?
forsa chi ’l t’ode dir, mo lo se crede;
molto ? pazo chi non provede
en la sua vita la sua finitura.
—Or chiama li parenti che te venga aiutare
e guarden dai vermi che te sto a devorare;
ma fuor pi? vivacce a venirte a spogliare,
partierse el poder e la sua mantatura.
—No i posso chiamare, ch? so encamato;
ma f?lli venire a veder mio mercato!
che me veggia giacer colui ch’? adagiato
a comparar terra e far gran chiusura.—
Or me contempla, o omo mondano,
mentre ?i nel mondo, non esser pur vano;
p?nsate, folle, che a mano a mano
tu serai messo en grande strettura.
[Pg 54]

XXVI

Como Cristo se lamenta dell’omo peccatore

Omo, de te me lamento—che me vai pur fugendo
ed io te voglio salvare.
Omo, per te salvare—e per menarte a la via,
carne s? volse pigliare—de la Vergene Maria;
ma non me ce val cortesia,—tant’? la sconoscenza
che ver’ de me vol mostrare.
Se io te fosse signore—crudele e molto villano,
aver?a tua scusa valore—che me fugisse de mano;
ma sempre vol esser ensano,—ch? ’l ben che io t’ho fatto
non vole meditare.
Le creature ho create—che te degiano servire;
e como sono ordenate—elle fon loro devere;
haine recevuto el piacere,—e de me che l’ho create
non te voli recordare.
Como om ch’ama lo figlio—e quel ? mal enviato,
menacciagli e d? consiglio—che da mal sia mendato,
de lo ’nferno t’ho menacciato,—e gloria t’ho empromessa
se a me te voi tornare.
Figlio, non gir pur fugenno!—tanto t’ho gito encalzanno,
che darte voglio el mio renno—e trarte fuor d’onne danno,
e vogliote remetter el banno—nel quale sei caduto,
ch? non hai donde el pagare.
Non gire pi? fugendo,—o dulcissimo frate!
ch? tanto t’ho gito cheendo—che me ce manda el mio pate;
retorna en caritate,—ch? tutta la corte t’aspetta
che con noi te degi alegrare.[Pg 55]
El mio pate s? m’ha mandato—ch’io a la sua corte t’armine;
e co stai s? endurato—ch’a tanto amor non t’encline?
frate, or pone omai fine—a questa tua sconoscenza,
ch? tanto m’hai fatto penare!
Fatt’ho per te el pelegrinagio—molto crudele ed amaro;
e vei le man quegne l’agio,—como te comparai caro!
frate, non m’esser s? avaro,—ca molto caro me costi
per volerte ariccare.
Aguarda a lo mio lato—co per te me fo afflitto!
de lancia me fo lanciato,—el ferro al cor me fo ritto;
en esso s? t’agio scritto,—ch? te ce scrisse l’amore,
che non me devesse scordare.
A la carne enganar te lasse—perch? de me te degi partire,
per un piacer t’abasse,—non pensi a que d?i venire;
figlio, non pur fugire,—ch? caderai en mala via,
se da me departi l’andare.
El mondo si mostra piacente—per darte a veder che sia bono;
ma non dice com’? niente—e come te tolle gran dono;
vedendo ch’io te corono—e ponote en s? grande stato,
se meco te voli acostare.
Le demonia te von pur guatanno—per farte cader en peccato;
del ciel te cacci?ro con gran danno—ed onte feruto e spogliato;
e non voglion ch’arsalghi al stato—lo qual iustamente hai perduto;
nante te von per engannare.
Cotanti nemici hai dentorno,—o misero, e non te n’adai;
ch’hai la carne, el diavolo, el monno,—e contrastar non li porrai;
e non te porrai aiutare;—se meco non t’armi ed aiuti,
che non te possano sottrare.
Se tu signor trovassi—per te che fusse megliore,
scusa aver?e che mostrassi,—ed io non aver?a tal dolore;
ma lasse me per un traditore—lo qual te mena a lo ’nferno,
che te ce vol tormentare.[Pg 56]
Fuggi da la man pietosa—e vai verso la man de vendetta;
molto ser? dolorosa—quella sentenza stretta,
ch? la daraio s? dretta—de tutto el mal c’hai fatto,
e non la porrai revocare.
Mal volentier te condanno,—tant’? l’amor ch’io te porto!
ma sempre vai pegioranno—e non me ce val conforto,
daragiote omai el botto—da ch’altro non me ce iova;
ca sempre me voi contrastare.
[Pg 57]

XXVII

Como l’anima domanda aiuto
contra la battaglia de li sensi corporali

Amor diletto,—Cristo beato,
de me desolato—agge pietanza.
Agge piatanza—de me peccatore,
che so stato en errore—longo tempo passato;
a gran deritto—ne vo a l’ardore,
ca te, Signore,—s? ho abandonato
per lo mondo tapino,—lo qual m’? venino,
e dato m’ha en pino—de pena abundanza.
Abundame dentro—la grande pena,
la qual me mena—l’amor del peccato;
l’alma dolente—a peccar s’enchina;
dev’esser serina,—or ha ’l volto scurato;
perch? a lei non luce—la chiara luce
la quale adduce—la tua diritanza.
Ma s’io me voglio—ad te dirizare
e non peccare,—credo per certo
che da te luce—verr? speregiare
ch’allumenare—farr? lo mio petto;
ma so acecato—en un fondo scurato
nel qual m’ha menato—la mia cattivanza.
La mia cattivanza—l’alma ha menata
l? ’v’? predata—da tre nemici;
e lo pi? forte—la tene abracciata
ed encatenata—e mostranse amici;
d?nno ferite—nascoste e coprite,
le qual voi vedite—che me metton en erranza.[Pg 58]
Crudelemente—m’hanno ferita
ed eschirnita—ed espogliata;
la mia potenza—veggio perita
perch’? ’nfragidita;—la piaga endurata
or briga tagliare—e poi medecare;
porraio sperare—che so en liberanza.
Ora m’aiuta—me liberare,
ch’io possa campare—dal falso Nemico;
fasse da lunga—a balestrare
ed assegnare—al cor ch’? pudico;
la man che me fere—non posso vedere;
tal cose patere—me d?nno gravanza.
Gravame forte—lo balestrire
lo qual vol ferire—a l’alma polita;
fatto ha balestro—del mondo aversire
lo qual en bellire—me mostra sua vita;
per gli occhi me mette—al core sagette,
l’orecchie so aperte,—me recan turbanza.
Turbame ’l naso—che vol odorato,
la bocca assagiato—per dar conforto;
e lo pegiore—che per me sia stato,
lo qual m’ha guidato—ad uno mal porto,
se be’ gliei do mangiare,—me fa calciare,
de l’amesurare—s? fa lamentanza.
Lamentase el tatto—e dice:—Eo so oso
d’aver reposo—en mio delettare;
or lo m’hai tolto,—sar? rampognoso
e corroccioso—en mio vivitare;
s’allento lo frino—al corpo tapino,
so preso a l’oncino—de la tristanza.
[Pg 59]

XXVIII

De la impazienzia che fa tutti li beni perdere

Assai me sforzo a guadagnare—se ’l sapesse conservare.
Relioso s? so stato,—longo tempo ho procacciato;
ed aiolo s? conservato,—che nulla ne pos mostrare.
Stato so en lezione,—esforzato en orazione,
mal soffrir a la stagione—ed al pover satisfare.
Stato so en obedenza,—povertate e sofferenza;
castetate abbe en placenza—secondo ’l pover mio afare.
E molta fame sosten?a,—freddo e caldo soffer?a;
peregrino e longa via—assai m’? paruto andare.
Assai me lievo a matutino—ad officio divino,
terza e nona e vespertino—po’ compieta sto a veghiare.
E vil cosa me sia ditta,—al cor passa la saitta;
e la lengua mia sta ritta—ad voler fuoco gettare.
Or vedete el guadagnato,—co so ricco ed adagiato!
ch’un parlar m’ha s? turbato—ch’a pena posso perdonare.
[Pg 60]

XXIX

De la ipocrisia

Molto me so delongato—de la via che i santi on calcato.
Delongato me so da la via—e storto me so en ipocris?a;
e mostro a la gente che sia—lo spirito illuminato.
Illuminato me mostro de fore—ch’aia umilitate nel core;
ma se l’omo non me fa grande onore,—encontenente me so corrocciato.
Corocciato me so per usanza—qual om en mio onore ha mancanza;
ma quel che ci ha fede e speranza,—con lui me so delettato.
Delettato me so en mostra fare,—perch? altri me deia laudare;
odendo ’l mio fatto blasmare,—da tal compagn?a so mucciato.
El mucciare aio fatto ad engegno,—perch? altri me tenga de meglio;
ma molto m’apiccio e destregno—ch? paia ch’el mondo ho lassato.
Lassato s? l’ho nel vestire,—de pieco me voglio coprire;
ma dentro so, al mio parire,—lupo crudele ed affamato.
Affamato s? so en mostra fare—perch? altri me deia laudare;
odendo l’altrui fatto pregiare,—corrocciome se ? com’io laudato.
Laudato l’altrui fatto, m’endegno,—e dal canto de for s? m’enfegno
che me piaccia; ma poi docce un segno—che non ? cus? pulicato.
Pulicato me mostro a la gente,—per le case me metto pezente;[Pg 61]
ma molto me parto dolente—se del suo guidardon non m’? dato.
Guidardone adimando per Dio,—acconciando ce vo el ditto mio;
ma molto me par che sia rio—colui che me d? comiato.
Comiatato s? mostro l’anvito—che so scalzo e mal vestito;
el corpo mostro afrigolito—perch? del suo me sia dato.
A quello che covelle me dona,—mostroglie lieta persona;
ma molto m’agrondo se sona—la voce che sia allecerato.
[Pg 62]

XXX

De la iustizia e falsit?

Solo a Dio ne possa piacere,—non me ne curo
ci? che l’umana natura ne vuol dire.
Se san Iovanni Baptista revenesse—a repigliar el torto,
ancora mo sir?a chi l’uccidesse;—ch? ’l mondo ? en tal porto,
ca li farisei son revenuti
ca pro vertute—Cristo fier morire.
Li farisei eran reliosi,—ch’erano en quel ore;
ne lo lor cor erano invidiosi,—pieni de rancore;
mostravase che non volea onore;
ma lo lor cor—era en quel desire.
O falso relioso, or me respundi—che ’l cor hai enfiato;
l’umile per superbia confundi—ed ha’ ’l quasi affollato;
e crucifigi Dio ne l’alma sia,
con dicir?a—el fai quasi morire.
L?vite en alto e faime gran sermone—c’ho l’occhio turbato;
tiemmi a schierne, ch? non vedi el travone—che hai nel tuo ficcato;
en prima s? procura tua ferita,
ch’ell’? s? aprita,—non se p? coprire.
Poi ch’hai parata assai de la Scrittura,—s? vol predicare;
mostreme che la mia vita ? scura,—la tua non vol cercare;
e mostreme da fuor tutto ’l megliore;
non t’? en amore—chi dentro vol sapere.
La relion te d? una ensegna—co se fa al bal?o;
ma quel che dal suo officio s’enfegna,—la corte el voca rio;
ed una gran catena glie mette en canna
che onom banna—e vengal a vedere.[Pg 63]
Ch’aggio pate s? iusto e beato,—somene ensuperbito;
ma quanto da sua via so delongato,—al mondo s’? scoprito;
colui che ne la neve fa sozura,
la sua fattura—se vorr? bannire.
L’omo che ? cieco dal peccato—ed ha gente a guidare,
spesse fiade la guida nel fossato—e falle tralipare;
e s’egli ? omo che vol predecare,
lo suo parlar—emprima de’ adempire
Lo falso Nemico s’? engegnato—a toller povertate,
el suddito s? lega col prelato—ne la sua volontate;
colui che t’ha tolta la povertate,
la castetate—te far? perdire.
Li nostri guidator de la bataglia—s? so en tradimento;
e li gonfalon de la sembiaglia—s? so en cademento;
o sire Dio, aiuta la sconfitta;
la gente afflitta—ed o’ porr? fugire?
Erance forteze smesurate—poste en grand’altura;
ma l’acque del diluvio son passate—de sopra le lor mura;
ed ?ne tolto el vigor del notare:
lo santo orare—che ne potea guarire.
[Pg 64]

XXXI

Como la curiosa scienzia e l’ambizione
sono destruttive de la purit?

Tale qual ?, tal ?;—non c’? religione.
Mal vedemmo Parisci—c’hane destrutto Ascisi;
con la lor lettor?a—messo l’? en mala via.
Chi sente lettor?a,—vada en forestar?a;
gli altri en refettorio—a le foglie coll’olio.
Esvoglier? el lettore—servito emperatore;
enfermer? el cocinere—e nol vorr? om vedere.
Adunansi a capitoli—a far li molti articoli;
el primo dicitore—? ’l primo rompetore.
Vedete el grand’amore—che l’un a l’altro ha en core!
guardal co el muletto—per dargli el calcio en petto.
Se non gli d?i la voce,—porratte ne la croce;
porratte poi l’ensidie—che moia a Renderenie.
Totto ’l d? sto a cianciare,—co le donne a beffare;
se ’l fratecel gli aguata,—? mandato a la malta.
Se ? figlio de calzolaio—o de vile mercenaio,
mener? tal grossore—co figlio d’emperadore.
[Pg 65]

XXXII

Como ? da guardarse da’ lupi
che vengono sotto vesta de pecora

—O anema fedele—che te voli salvare,
gu?rdate dagli lupi—che te von per morsecare.
O anema fedele—che vol salvazione,
gu?rdate dal lupo—che vien como ladrone;
mostrandotese amico,—s? viene a tua magione,
facendo suo sermone,—ch? te crede engannare.
—Lo Signor te lo merite—ch? me d?i tal conseglio!
parme me die aiuto—de trarme de sto empiglio;
tanto m’? assediata,—che m’? messo en esiglio;
quando bene assimiglio,—non saccio ove campare.
—Lo Signor te n’amaestra—che tu degge cavere
dal lupo che da fuore—co pieco vol ven?re;
venendo a tua magione—non se lassa vedere;
poi briga de mord?re—e la grege dissipare.
Se te volesse dire—quel ch’io agio sentito,
far?a maravigliare—colui che non l’ha udito;
tal viene como medico—che sia bene assendito;
da poi ch’? discoprito,—briga d’atossecare.
Non avere temenza—de dir tuo entendemento;
ch? io s? mo te dico—quel che nel cor sento;
poi che ’l lupo apicciase,—d? mal mordemento;
poi che n’hai sentemento,—br?gate de guardare.
—Co me posso guardare?—tanto m’? assediata
quegli da cui degio—essere predicata,
mostrandomesi agnelli,—fin che m’on securata;
da lor so morsecata,—non so en cui me fidare.
—Se non te voi fidare—s? fai gran sapienza;
ca cui la serpe morseca,—la lucerta ha ’n temenza;
le pieco aggi en dubito,—ch? non hai conoscenza;
perch? tua conscienza—non possa travagliare.
[Pg 66]

XXXIII

De l’amore falso che offende le virt?

Amor contrafatto,—spogliato de vertute,
non pu? fare le salute—l? ’v’? lo vero amare.
Amor si fa lascivo—senza la temperanza;
nave senza nuchiero—rompe en tempestanza;
cavallo senza freno—curre en precipitanza;
s? fa la falsa amanza—senza vertute andare.
Amor che non ? forte,—mortal ha enfermetate;
l’aversit? l’uccide,—pegio en prosperitate,
l’ipocrite mostranze—che for, per le contrate,
mostravan santetate—de canti e de saltare.
Amor che non ? iusto,—da Dio ? reprovato;
parlando va d’amore—che sia de grande stato;
la lengua ha posta en cielo,—lo cor ? aterrenato;
vilissimo mercato—porta chi vol mostrare.
Amor che non ? saggio,—de prudenza vestito,
non p? veder gli eccessi,—per? ch’? ensanito;
rompe legge e statuti—ed omne ordenato rito,
dice che ? salito—a nulla legge servare.
O amor enfedele,—errato de la via,
non repute peccato—nulla cosa che sia;
va seminando errori—de pessima res?a;
tal falsa compagnia—onom degia mucciare.
Amor senza speranza—non viene a veritate;
non p? veder la luce—chi fugge claritate;
co p? amar lo cielo—chi en terra ha sua amistate?
non dica libertate—om senza legge stare.[Pg 67]
O caritate, vita,—ch’ogn’altro amor ? morto;
non vai rompendo legge;—nante, l’observe tutto;
e l? ’ve non ? legge—a legge l’hai redutto;
non p? gustar lo frutto—chi fugge el tuo guidare.
Omne atto si ? liceto;—ma non ad onnechivigli;
al preite sacrificio,—a moglie e marito figli;
al potestate occidere,—al iudece consigli;
a li notari libigli,—a medici el curare.
Non ? ad ogne om licito—d’uccidere ladrone;
la potest? ha officio—dannarlo per ragione;
a l’occhio non ? congruo—de far degestione,
n? al naso parlagione—n? a l’orecchie andare.
Chi vive senza legge,—senza legge perisce;
correndo va a lo ’nferno—chi tal via sequisce;
loco s? s’accumula—omne cosa ch’encrisce;
chi ensemora fallisce,—ensemora ha penare.
[Pg 68]

XXXIV

De la differenzia intra el vero e falso amore,
ed intra la scienzia acquisita ed infusa

O libert?, subietta—ad omne creatura,
per demostrar l’altura—che regna en bonitate.
Non p? aver libertate—omo ch’? vizioso,
che ha perduto l’uso—de la sua gentileza;
lo vizio s? lega—legame doloroso,
diventa fetidoso—e perde la forteza;
deforma la belleza—ch’era simile a Dio,
e fasse om s? rio—che lo ’nferno ha redetate.
O amor carnale,—sentina puzolente,
solfato foco ardente,—rascion de om brutata;
che non ha altro Dio—se non d’empir lo ventre,
lussuria fetente,—malsana, reprovata;
o sommersa contrata,—Sodoma e Gomorra,
en tua schiera s? corra—chi prende tua amistate.
O amor contrafatto—d’ipocreta natura,
pien de mala ventura—e nullo porti frutto;
lo ciel te perdi el mondo,—el corpo en afrantura,
sempre vive en paura,—peio se’ vivo che morto;
o casa de corotto,—enferno comenzato,
nullo si trova stato—de tanta vilitate.
O amore appropriato,—bastardo, spurione,
privato de rascione—dal Patre onnipotente;
regno celestiale,—la reale nazione
non si conf? al paltone,—ch? ’l suo uso ? pezente;
o reprovata mente,—amar cosa creata,
ribalda paltonata,—piena de feditate.[Pg 69]
O amor naturale,—nutrito en scienza,
simile en apparenza—a lo spirituale;
descernese a la prova,—ch? vien men la potenza
patere omne encrescenza,—tranquillo en omne male;
non ha penne n? ale—che voli en tanta altura;
remanse en afrantura—ne la sua enfermetate.
Amore spiritale,—poi ch’? spirato en core,
’nestante spira amore—en alto trasformato;
amore trasformato—? de tanto valore,
che d? s? en possessore—a quello c’ha enamato;
se ’l trova desformato,—vencelo per vertute;
enclina sue valute—ad trattabilitate.
Se altura non abassa,—non pu? participare
e s? comunicare—a l’infimo gradone;
avaro entennemento—fa lo ben deguastare
e deturpa l’amare—e sconcia la magione;
veggiolo per ragione;—e Dio s? ’l n’ha mostrato
quando s’? umiliato—a prender umanetate.
Vertute se non passa—per longa esperienza,
non pu? aver sua valenza—a fine solidato;
omo nuovo ne l’arte—a pratecar scienza,
grande ? la differenza—fra ’l cuito e l’operato;
fo breve lo pensato—e longa operazione;
perseverazione—viene a la summitate.
Scienzia acquisita—assai pu? contemplare;
non pu? l’affetto trare—ad essere ordenato;
scienzia enfusa,—poi che n’hai a gustare,
tutto te fa enfiammare—ad essere enamorato;
con Dio te fa ordenato—el prossimo edificando
e te vilificando—ad tenerte en veritate.
Potere, senno e bontate—en uguale statera
de trenetate vera—porta figuramento;
potere senza senno—fa deguastar la schiera;
andar senza lumiera—va en precipitamento;
de un reo comenzamento—molto male ne sale,
e lo pentir non vale—poi che gl’ mal son scontrati.[Pg 70]
Quando la voglia passa—lo senno e lo potere,
parme un ensanire—ch’? senza remeio;
sua trenetate guassa—che non ? nel suo unire,
non gli pu? ben sequire—secondo co io creio;
faticase el suo veio—ed entra en gran ruina,
ca li mal non se fina—come l’avea pensato.
Omo posto en altura—en fievele scalone,
se egli ? en agone—parme gran foll?a;
rompendose la scala,—la terra ? sua mascione;
fassene poi cancione—de la sua gran paz?a;
grande ? la frenesia—non metterse a vedere
ad que fin degon venire—tutte suoi operate.
[Pg 71]

XXXV

Esortazione a l’anima propria
che, considerata la sua nobilit?,
non tardi la via a l’amor divino

O anima mia—creata gentile,
non te far vile—enchinar tuo coragio,
ch’en gran baronagio—? posto el tuo stato.
Se om poveretto—gioietta te dona,
la mente sta prona—a darli el tuo core;
con gran dis?o—de lui se ragiona,
con vile zona—te lega d’amore;
el gran Signore—da te ? pelegrino,
fatt’ha ’l camino—per te molto amaro;
o core avaro,—starai pi? endurato?
Se re de Francia—avesse figliola
ed ella sola—en sua redetate,
gir?a adornata—de bianca stola,
sua fama vola—en omne contrate;
s’ella en viltate—entendesse, en malsano,
e d?sseise en mano—a s? possedere,
que porr?a om dire—de questo trattato?
Pi? vile cosa—? quello c’hai fatto:
darte ’ntransatto—al mondo fallente:
lo corpo per servo—te fo dato atto,
ha’ ’l fatto matto—per te dolente;
signor negligente—fa servo regnare
e s? dominare—en rea signor?a;
hai presa via—ca questo c’? entrato.[Pg 72]
Lo tuo contato—en quinto ? partito:
veder, gusto, udito,—odorato e tatto;
al corpo non basta—che ’l tuo vestito
lo mondo ha dimplito—tutto ad ha fatto;
ponam questo atto:—veder bella cosa;
l’udir non ha posa,—n? l’occhio pasciuto
en quarto frauduto—qual v?i te sia dato.
El mondo non basta—a l’occhio vedere,
che possa empire—la sua smesuranza;
se mille i ne mostri,—faralo enfamire,
tant’? ’l sitire—de sua desianza;
lor delettanza—sottratta en tormento
reman lo talento—fraudato en tutto;
placer rieca lutto—al cor desensato.
Lo mondo non basta—a li toi vasalli;
parme che falli—de dargli el tuo core;
per satisfare—a li toi castalli,
mori en travalli—a gran dolore;
retorna al core—de que viverai:
tre regni c’hai,—per tuo defetto
moron negetto,—lor cibo occultato.
Tu se’ creata—en s? grande alteza,
en gran gentileza—? tua natura;
se vedi e pensi—la tua belleza,
starai en forteza—servandote pura;
ca creatura—nulla ? creata
che sia adornata—d’aver lo tuo amore;
solo al Signore—s’aff? el parentato.
Se a lo specchio—te voli vedere,
porrai sentire—la tua delicanza;
en te porti forma—de Dio gran Sire;
ben p?i gaudire,—c’hai sua simiglianza;
o smesuranza—en breve redutta:
cielo terra tutta—veder en un vascello;
o vaso bello,—co mal se’ trattato![Pg 73]
Tu non hai vita—en cose create,
en altre contrate—t’? opo alitare;
salire a Dio—che ? redetate,
che tua povertate—p? satisfare;
or non tardare—la via tua a l’amore;
se li d?i el tuo core,—datese en patto
se el suo entrasatto—? ’n tuo redetato.
O amor caro,—che tutto te d?i
ed omnia trai—en tuo possedere,
grande ? l’onore—che a Dio fai
quando en lui stai—en tuo gentilire;
che porr?a om dire:—Dio n’empazao,
se comparao—cotal derata,
ch’? s? esmesurata—en suo dominato.
[Pg 74]

XXXVI

Como l’anima vestita de vert? passa a la gloria

Anima che desideri—d’andare ad paradiso,
se tu non hai bel viso,—non ce porrai albergare.
Anima che desideri—de gire a la gran corte,
ad?rnate ed acc?nciate—che Dio t’apra le porte;
se tu non se’ ornata,—non troverai le scorte,
e sacci: poi la morte—non te porrai acconciare.
Se v?i volto bellissimo,—aggi fede formata;
la fede fa a l’anima—la faccia delicata,
la fede senza l’opera—? morta reputata;
fede viva, operata—aggi, se v?li andare.
La statura formosa—faratte la speranza;
ella a Dio conducete—che ’l sa far per usanza;
en ella corte ? cognita—per longa costumanza,
la sua vera certanza—non te porr? fallare.
De caritate ad?rnate,—ch’ella te d? la vita,
e do’ ale comp?nete—per fare esta salita;
l’amor de Dio e ’l prossimo—che ? vita comp?ta,
non ne serai schernita—se vai con tale amare.
De prudenzia ad?rnate,—anima, se vol salire;
ch’ella ha magisterio—ad saperte endrudire
d’andar composta e savia,—co se d?i convenire
a sposa che d?i gire—en gran corte ad estare.
Se tu nuda g?ssece,—siri’ morta e confusa;
la iustizia v?stete—la sua veste gioiosa,
de margarite ad?rnate—che d’aconciare ? osa;
?rnate como sposa—che se va a maritare.[Pg 75]
Anima, tu se’ debile—per far s? gran salita;
de fortetuden ?rmate—contra l’aversa ardita,
non te metta paura—questa vita finita,
ch? ne guadagni vita—che non pu? mai finare.
De temperanza ac?nciate—per compir tuo viagio,
ella ? magestra medeca—per sanar lo coragio;
en prosperitate umile,—che ’l sa far per usagio,
che facci esto passagio—co se convien de fare.
Alma, po’ che se’ ornata,—vestita de virtute,
sacci che da longa—le porte te so aprute
e molto grandi eserciti—scontra te so venute
e ri?cante salute—che te s’on da pigliare.
Poi che fedelitate—en te ? resplendente,
gli patri santi env?tanti—che si’ de la lor gente:
—Ben venga nostra cognita,—amica e parente,
d?giate esser placente—con noi de demorare.—
Puoi che de speranza—tu hai s? bello ornato,
gli profeti env?tanti—che si’ de loro stato:
—Vien’ con noi, bellissima,—al nostro gloriato,
che ? s? smesurato—noi te porram contare.—
Puoi che de caritate—tu porti el vestimento,
gli apostoli t’envitano—che si’ de lor convento:
—Vien’ con noi, bellissima,—gusta ’l delettamento,
ca lo suo piacemento—non se pu? ’maginare.—
Puoi che de prudenza—tu porti l’ornatura,
gli dottori t’envitano—che porti lor figura:
—Una avemo regola,—una ? la pagatura,
la nostra envitatura—non se de’ renunzare.—
Puoi che vai ornata,—anima, de forteza,
gli martiri t’envitano—a lor piacevoleza:
—Vien’ con noi a vedere—la divina belleza
che te dar? alegreza—qual non se pu? stimare.—
Puoi che se’ ornata,—alma, de temperanza,
gli confessori e vergene—te fon grande envitanza:
—Vien’ con noi, bellissima,—ad nostra congreganza
e gusta l’abondanza—del nostro gaudiare.[Pg 76]
Puoi che de iustizia—porti gli suoi ornate,
gli prelati env?tanti—a lor societate:
—Vien’ con noi, bellissima,—a la gran dignitate,
veder la maiestate—che ne degn? salvare.—
Alma, se tu pensi—nel gaudio beato,
non te serr? graveza—guardarte da peccato;
osserverai la legge—che Dio t’ha comandato,
serai remunerato—con i santi a redetare.
Non t’encresca, anima,—a far qui penetenza
ch? tutte le virtute—con lei on convenenza;
se tu qui non la fai,—oderai la sentenza,
anderai en perdenza—nel fuoco a tormentare.
[Pg 77]

XXXVII

De la castit?, la quale non basta a l’anima
senza l’altre virtute.

O castitate, fiore—che te sostene amore.
O fior de castitate,—odorifero giglio,
con molta soavitate—sei de color vermiglio,
ed a la Trenetate—tu representi odore.
O specchio de belleza,—senza macchia reluce;
la mia lengua ? mancheza—de parlarne con voce,
l’alma serve en netteza—senza carnal sozore.
O luce splendiante,—lucerna se’ preclara,
da tutti si laudante—ed en pochi si cara;
li tuoi dolce sembiante—piacevel so al Signore.
O tesauro invento,—che non te pu? stimare
n? auro n? argento,—non te posso aprezare;
qual omo de te sta lento,—s? cade en gran fetore.
O r?cca de forteza,—en la qual ? gran tesoro,
de fore s? pare aspreza—e dentro ? m?l savoro;
non se ce vol pigreza—a guardare a tutt’ore.
O manna savorita—che ? la castitate;
l’alma conserva zita—con molta adornetate;
poi che del corpo ? ’scita—s? trova el suo Fattore.
Alma, che vai a marito,—de castitate ornata,
lo tuo marito ? zito—e tu te se’ ben portata,
lo cielo te ser? aprito—e fattote grande onore.
Alma, che stai ’narrata—de lo sposo diletto,
s?rvate ben lavata,—el tuo volto stia netto,
ch? non si’ renunzata,—e fattote descenore.[Pg 78]
Alma, non t’? bastanza—pur sola una gonella;
se non ci hai pi? adornanza,—gi? non ce parrai bella;
ne l’altre virtute avanza—che te dian bel colore.
Alma, lo tuo vestire—s? sonno le virtute,
nulla ne puoi avere—che siano sceverute;
pur brigale d’envenire—con tutto el tuo valore.
Alma, per te vestire—Cristo ne fo spogliato,
per tuoi piaghe guarire—esso fo vulnerato,
lo cor se fe’ aprire—per renderte vigore.
Alma, or te ben pensa—en que l’hai tu cagnato;
per vil piacer de offensa—tu l’hai abandonato,
el corpo s? t’? en placenza—e fatto l’hai tuo amadore.
Alma, lo corpo ? quello—che t’ha giurata morte,
gu?rdate ben da ello,—ch? ha losenghe molte
ed ? malvascio e fello—ed ?tte traditore.
[Pg 79]

XXXVIII

Como ? difficile passare per el megio virtuoso

O megio virtuoso,—retenuta bataglia!
non ? senza travaglia—per lo megio passare.
L’amor me costrenge—d’amare le cose amante,
ne l’amore ? l’odio—de le cose blasmante,
amare ed odiare—en un coragio stante,
socce battaglie tante,—non le porr?a stimare.
L’amore quello che ama—desidera d’avere,
lo ’mpedimento nascece—e gli ? gran dispiacere;
piacere e dispiacere—en un cor convenire
la lengua nol sa dire—quanta pena ? portare.
La speranza enflammame—d’aver salvazione,
’nestante ? desperanza—de mia condizione;
sperare e desperare,—star en una magione,
tanta contenzione—nolla porr?a narrare.
Giogneme una audacia—sprezar pena e morte,
’nestante lo temore—vede cadute forte,
securt? e temore,—demorare en una corte,
tant’? le capevolte,—chi le porr?a stimare?
So preso d’iracundia—contro lo mio defetto,
la pace mostra, ensegname—che so de mal enfetto,
pacifico ed iroso—contra lo mio respetto,
gran cosa ? de star retto—a nulla parte piegare.
Lo delettar abracciame—gustando el desiato,
lo tristore abatteme,—sottratto m’? ’l prestato,
tristare e delettare—nello suo comitato,
lo cor ? passionato—en tal pugna abitare.[Pg 80]
Se io mostro al prossimo—la mia condizione,
scandalizo e turbolo—de mala opinione;
s’io vo coperto, vendoglme—e turbo mia magione;
questa vessazione—non la posso mucciare.
Despiaceme nel prossimo—se vive sciordenato,
e piaceme el suo essere—buono da Dio creato,
de stare en lui innoxio—grande ? filosofato,
lo core ? vulnerato—en passionato amare.
L’odio mio legame—a deverme punire,
discrezion contrastali—che non deggia perire;
de farme bene en odio—or chi l’od? mai dire?
altro ? lo patire—che l’udir parlare.
Lo degiunare piaceme—e far grande astinenza
per macerar mio asino—che non me dia encrescenza;
ed esser forte arpiaceme—a portar la gravenza
che d? la penitenza—nello perseverare.
Lo desprezare piaceme—e de gir mal vestito;
la fama surge, enalzame—de vanit? ferito;
da qual parte volvome,—parme d’esser intu?to;
aiuta, Dio infinito!—e chi porr? scampare?
Lo contemplare vetame—d’essere occupato,
lo tempo a non perderlo—famme enfacendato;
or vedete el prelio—ch’ha l’omo nel suo stato!
a chi non l’ha provato—non lo p? imaginare.
Piaceme el silenzio,—b?ilo de la quiete;
lo bene de Dio arlegame—e tolleme silete;
demoro infra le prelia,—non ce saccio schirmete,
a non sentir ferete—alta cosa me pare.
La piet? del prossimo—vuol cose a sovenire,
l’amor de povertate—gli ? ordo ad udire,
l’estremitate veggiole—viziose a tenire,
per lo megio transire—non ? don da giullare.
L’offesa de Dio legame—ad amar la vendetta,
la piet? del prossimo—la perdonanza affetta,
demoro enfra le forfece,—ciascun coltel m’affetta;
abbrevio miei detta—en questo loco finare.
[Pg 81]

XXXIX

Como la vita di Ies? ? specchio de l’anima

O vita de Ies? Cristo,—specchio de veritate,
o mia deformitate—en quella luce vedere!
Pareame essere chevelle,—chevelle me tenea,
l’opinion ch’avea—faceame esser iocondo;
guardando en quello spechio,—la luce che n’usc?a
mostr? la vita mia—che giacea nel profondo;
venneme pianto abondo,—vedendo smesuranza:
quant’era la distanza—fra l’essere e ’l vedere.
Guardando en quello spechio,—vidde la mia essenza:
era, senza fallenza,—piena de feditate;
viddece la mia fede:—era una diffidenza,
speranza, presumenza,—piena de vanitate;
vidde mia caritate,—amor contaminato;
poi ch’a lui me so specchiato,—tutto me fa stordire.
Guardando en quello spechio,—iustizia mia appare
che sia un deguastare—de virtute e de bontate;
l’onor de Dio furato,—lo innocente dannare,
lo malfattor salvare—e darglie libertate;
o falsa iniquitate,—amar me malfattore
e de sottrar l’amore—a quel ch’io deve amare.
Guardando en quello spechio,—vidde la mia prudenza:
era una insipienza—d’anemalio bruto,
la legge del Signore—non avi en reverenza,
puse la mia entendenza—al mondo c’ho veduto;
or, ad que so venuto,—omo razionale,
de farme bestiale—e peggio se pu? dire![Pg 82]
Guardando en quello spechio,—vidde mia temperanza:
era una lascivanza—esfrenata senza frino;
gli moti de la mente—non ressi en moderanza,
lo cor prese baldanza—voler le cose em pino;
copersese un mantino,—falsa discrezione,
somerse la ragione—a chi fo data a servire.
Guardando en quello spechio,—vidde la mia forteza:
pareame una matteza—de volerne parlare,
ca non glie trovo nome—a quella debeleza;
quanta ? la fieveleza—non so donde me fare;
retornome ad plorare—el mal non conosciuto,
virtute nel paruto—e vizia latere.
O false opinione,—como presumevate
l’opere magagnate—de venderle al Signore?
En quella luce divina—poner deformitate
ser?a grande iniquitate—degna de gran furore;
partanne da sto errore,—ch? non glie piace el mio,
’nante li sconza el sio—quando ’l ce voglio unire.
Iustizia non pu? dare—ad om ch’? vizioso
lo regno glorioso,—ch? ce ser?a splacente;
ergo chi non si sforza—ad esser virtuoso,
non ser? gaudioso—con la superna gente;
e non varr?a niente—buon loco a lo ’nfernale,
ed al celestiale—luoco nogl pu? nuocere.
Signore, haime mostrata—nella tua claritate
la mia nichilitate—ch’? meno che niente;
da questo sguardo nasce—sforzata umilitate
legata de vilitate,—voglia non voglia sente;
l’umiliata mente—non ? per vil vilare,
ma en virtuoso amare—vilar per nobilire.
Non posso esser renato—s’io en men non so morto,
anichilato en tutto,—el esser conservare
del nichil glorioso;—nul om ne gusta frutto
se Dio non fa ’l condutto,—ch? om non ci ha que fare;
o glorioso stare:—en nihil quietato,
lo ’ntelletto posato,—e l’affetto dormire![Pg 83]
Ci? c’ho veduto e pensato—tutto ? feccia e bruttura,
pensando de l’altura—del virtuoso stato;
nel pelago ch’io veggio—non ce so notatura,
far? somergitura—de l’om ch’? anegato;
sommece inarenato—’n’onor de smesuranza,
vinto da l’abundanza—del dolce mio Sire.
[Pg 84]

XL

Como li angeli domandano a Cristo
la cagione de la sua peregrinazione nel mondo

—O Cristo onnipotente,—dove se’ enviato?
perch? peligrinato—ve sete messo ad andare?
Molto me maraviglio—de questa vostra andata,
persona tanto altissima—metterse a desperata;
non ne se’ stata usata—de volere penare.
—Lo divino consiglio—s? ha deliberato
ch’io venga nel mondo—ad om ch’? desformato,
e facciace parentato,—ch’io l’ho preso ad amare.
—Que oporto t’ha l’omo—per cui vai fatiganno?
?ne da te fugito,—a te non torna danno;
d?i pagar gran banno,—non lo pu? satisfare.
—Tutto lo debito c’hane—io s? lo pagheraggio,
ed enfra Dio e l’uomo—pace s? metteraggio,
e s? la firmaraggio—che non se deggia guastare.
—Como porrai far pace—fra Dio e l’om mondano,
ch? l’omo vol esser Dio—e Dio vol l’om sottano?
E questo ? tal trano—che nul om p? placare.
—S’io me faccio omo,—omo ha suo entendimento
ed, en quanto omo,—a Dio far? suiacemento;
farocce giognemento—ciascun suo consolare.
—Ecco che vien nel mondo,—como vorrai venire?
buon ? che l’om lo saccia;—facciatelo bannire,
ch? se possa sentire—como lo vol sanare.
—Io l’ho fatto bannire—ch’ogn’om venga a la scola;
la divina scienzia—ensegnar aggio gran gola;
e questa ? la cagion sola—che l’om voglio amaestrare.[Pg 85]
—En prima de la scola,—se ve piace, dicete;
ove verr? la gente—a l’albergo ch’avete:
bon ? che glie narrete,—ch? lo possa trovare.
—El nome del mio albergo—di’ che ? umilitate;
omo che vol venire,—trovame en veritate;
e le spese dicete—che tutte le voglio fare.
—Ancora me dicete—qual legerite arte;
manda per tutto ’l mondo—che se leggan tue carte;
vengan poi d’onne parte—a la scola a ’mparare.
—Io ensegno amare,—e questa ? l’arte mia;
ed omo che la ’mprende,—con Dio fa compagn?a;
se nol perde a foll?a,—con lui sta a delettare.
—Ed omo che non ha libro—como porr? emprendere?
Ancor non l’audii—ch’om lo trovasse a vendere;
rascion porramo ostendere—per nostra scusa mostrare.
—Io son libro de vita—segnato de sette signi;
poi ch’io siraggio aperto,—troverai cinque migni,
son de sangue vermigni—ove porran studiare.
—Forsa quella scrittura—ha s? forte construtto,
che non la porr?a entendere—chi non fosse ben instrutto;
star?a tutto derutto—a non potendo pro fare.
—’Nante ? la scrittura—che omne studiante
s? ce p? ben legere—e proficere enante;
notace l’alifante—e l’aino ce p? pedovare.
[Pg 86]

XLI

Como li angeli si maravigliano
de la peregrinazione de Cristo nel mondo

—O Cristo onnipotente,—ove sete enviato?
perch? poveramente—gite pelegrinato?
—Una sposa pigliai—che dato gli ho ’l mio core;
de gioie l’adornai—per averne onore;
lass?me a descionore,—famme gire penato.
Io s? l’adornai—de gioie e d’onoranza,
mia forma l’assignai—a la mia simiglianza;
hame fatta fallanza,—famme gire penato.
Io glie donai memoria—ne lo mio piacemento,
de la celeste gloria—glie diei lo ’ntendemento,
e volunt? en centro—nel core gli ho miniato.
Puoi glie donai la fede—ch’adempie entendanza,
a memoria diede—la verace speranza,
e caritate amanza—al voler ordenato.
A ci? che l’esercizio—avesse compimento,
lo corpo per servizio—di?glie per ornamento;
bello fo lo stromento,—se non l’avesse scordato.
Acci? ch’ella avesse—en que esercitare,
tutte le creature—per lei volse creare;
donde me deve amare,—hame guerra menato.
A ci? ch’ella sapesse—como s? esercitare,
de le quattro virtute—s? la volsi vestire;
per lo suo gran fallire—con tutte ha adulterato.
—Signor, se la trovamo—e vole retornare,
voli che li dicamo—che gli vol perdonare,
ch? la possam retrare—del pessimo suo stato?[Pg 87]
—Dicete a la mia sposa—che deggia revenire;
tal morte dolorosa—non me faccia patire;
per lei voglio morire,—s? ne so enamorato.
Con grande piacemento—facciogli perdonanza,
rendogli l’ornamento,—donoglie mia amistanza;
de tutta sua fallanza—s? me ser? scordato.
—O alma peccatrice,—sposa del gran marito,
co iaci en esta fece—lo tuo volto polito?
co se’ da lui fugito—tanto amor t’ha portato?
—Pensando nel suo amore—s? so morta e confusa;
poseme en grande onore,—or en que so retrusa!
O morte dolorusa,—co m’hai circundato!
—O peccatrice engrata,—retorna al tuo Signore,
non esser desperata—ca per te muor d’amore;
pensa nel suo dolore—co l’hai d’amor piagato.
—Io aggio tanto offeso,—forsa non m’arvorr?a;
aggiol morto e conquiso;—trista la vita mia!
Non saccio ove me sia,—s? m’ha d’amor legato.
—Non aver dubitanza—de la recezione;
non far pi? demoranza,—non hai nulla cagione;
clame tua entenzione—con pianto amaricato.
—O Cristo pietoso,—ove te trovo, amore?
Non esser pi? nascoso,—ch? moio a gran dolore;
chi vide el mio Signore?—narrel chi l’ha trovato.
—O alma, noi el trovammo—su nella croce appiso;
morto lo ce lassamo—tutto battuto e alliso;
per te a morir s’? miso,—caro t’ha comparato!
—Ed io comenzo el corrotto—d’un acuto dolore:
amore, e chi t’ha morto?—se’ morto per mio amore;
o enebriato amore,—ov’hai Cristo empicato?
[Pg 88]

XLII

Como l’anima priega li angeli
che l’insegnino ad trovar ies? cristo.

—Ensegnatime Ies? Cristo,—ch? lo voglio trovare;
ch’io l’aggio udito contare—ch’esso ? de me ’namorato.
Prego che m’ensegnate—la mia ’namoranza,
faccio gran villan?a—de far pi? demoranza;
fatta n’ha lamentanza—de tanto che m’ha ’spettato.
—Se Ies? Cristo amoroso—tu volessi trovare,
per la val de vilanza—t’? oporto d’entrare;
noi lo potem narrare,—ch? molti el ci on albergato.
—Prego che consiglite—lo cor mio tanto afflitto,
e la via m’ensignite—ch’io possa tener lo dritto;
da poi ch’ad andar me mitto—ch’io non pos’esser errato.
—La via per entrar en vilanza—? molto stretta l’entrata;
ma poi che dentro serai,—lebbe t’? poi la giornata;
serain’assa’ consolata,—se c’entrera’ en quello stato.
—Opriteme la porta,—ch’io vogli’ entrar en viltate,
ch? Ies? Cristo amoroso—se trova en quelle contrate;
decetel ch’en veritate—molti el ci on albergato.
—Non te lassamo entrare;—iurato l’avem presente
che nullo ce pu? transire—ch’aia veste splacente;
e tu hai veste fetente,—l’odor n’ha conturbato.
—Qual ? ’l vestir ch’i’ aggio—el qual me fa putigliosa?
ch’io lo voglio gettare—per esser a Dio graziosa,
e como deventi formosa—lo cor n’ho ’nanemato.
—Ora te spoglia del mondo—e d’onne fatto mondano;
tu n’?i molto encarcata,—el cor non porti sano;
par che l’aggi s? vano—del mondo ove se’ conversato.[Pg 89]
—Del mondo ch’agio ’l vestire,—vegente voi, me ne spoglio,
e nul encarco mondano—portar meco pi? voglio;
ed omne creato ne toglio—ch’io en core avesse albergato.
—Non ne pari spogliata—como si converr?a;
del mondo non se’ desperata,—spene ci hai falsa e ria;
sp?gliate e gettala via,—ch? ’l cor non sia reprovato.
—Ed io me voglio spogliare—d’omne speranza ch’avesse,
e vogliomene fugire—da om che me sovenesse;
megli’ ? se en fame moresse—che ’l mondo me tenga legato.
—Non ne pari spogliata—che glie ne sia ’n piacemento,
de spirital amistanza—grande n’hai vestimento;
usate ch? getta gran vento—e molti s? ci on tralipato.
—Molto m’? duro esto verbo—lassar loro amistanza;
ma veggio che lor usamento—m’arieca alcuna onoranza;
per acquistar la vilanza—siragio da lor occultato.
—Non t’? oporto fugire—lor usamento a stagione,
ma ?tte oporto fugire—de non oprir tua stacione;
per uscio entra latrone—e porta el tuo guadagnato.
—Opriteme la porta,—pregove en cortesia,
ch’io possa trovar Ies? Cristo—en cui aggio la spene mia;
respondemi, amor, vita mia,—non m’eser ormai straniato.
—Alma, poi ch’?i venuta—respondote volontire:
la croce ? lo mio letto,—l? ’ve te poi meco unire;
sacci si vogl salire—haver?me po’ albergato.
—Cristo amoroso, e io voglio—en croce nudo salire;
e voglioce abracciato—Signor, teco morire;
gaio seram’a patire,—morir teco abracciato.
[Pg 90]

XLIII

De La misericordia e iustizia
e como fu l’omo reparato: e parlano diversi.

L’omo fo creato virtuoso,
volsela sprezar per sua foll?a;
lo cademento fo pericoloso,
la luce fo tornata en tenebr?a;
lo resalire posto ? fatigoso;
a chi nol vede parglie gran foll?a,
a chi lo passa pargli glorioso,
paradiso sente en questa via.
L’omo quando en prima s? peccao,
deguastao l’ordene de l’amore;
ne l’amor proprio tanto s’abracciao,
che ’nantepuse s? al Creatore;
la Iustizia tanto s’endegnao,
che lo spogliao de tutto suo onore;
omne virtute s? l’abandonao,
al demone fo dato el possessore.
La Misericordia, vedente
che l’omo misero era s? caduto,
de lo cademento era dolente,
ch? con tutta sua gente era perduto;
gli suoi figliuoli aduna mantenente,
ed ha deliberato de l’aiuto;
mandagli messaggio de sua gente
ca l’omo misero sia subvenuto.
La Misericordia s? ha mandata
de la sua gente fedel messagiera
che vada ad omo en quella contrada
che de lo desperare ferito era;[Pg 91]
madonna Penetenza c’? trovata,
de tutta la sua gente fatt’ha schiera;
e descurrendo porta l’ambasciata
che l’omo non perisca en tal mainera.
La Penetenza manda lo corr?re
che l’albergo li deia apparecchiare;
la Contrizione ? messagiere
e seco porta cose da spensare;
venendo a l’omo, miselse a vedere
e gi? non c’era loco da posare;
tre suoi figliuoli s? fece ven?re
e misegli ne l’omo al cor purgare.
En prima s? ha messo lo Timore
che tutto ’l core s? ha conturbato;
la falsa Securt? reietta fore
che l’omo avea preso ed engannato;
poi mise Conoscenza de pudore
vedendose s? sozo e deformato;
e nella fin glie die’ gran Dolore
che Dio aveva offeso per peccato.
Vedendo l’omo s? cus? sozato,
comenza malamente a suspirare;
la Compunzione gli fo a lato,
gli occhi gi? non cessano de plorare;
la Penitenza col suo comitato
entra nel cuore ad abitare;
la Confessione s? ha parlato,
ma en nulla guisa p? Dio satisfare.
Ca l’om per s? avea fatto lo tomo,
per s? deveva far relevamento;
per nulla guisa non trovava el como,
venneglie de s? diffidamento;
l’angel non tenea d’aiutar l’omo
e non potea con tutto el suo convento;
Dio potea ben refar lo domo,
ma non era tenuto per stromento.[Pg 92]
La Penetenza manda Orazione
che dica a corte quel che ? scontrato,
com’ella sede en gran confusione,
ch? del satisfar troppo ? l’om privato:
—Misericordia peto e non Ragione
ed io la voglio lei per advocato;
de lacrime gli faccio offerzione
del cor contrito e molto amaricato.—
La Misericordia entra en corte
e la sua ragione s? ha allegato:
—Mesere, io me lamento de mia sorte,
ch? la Iustizia s? me n’ha privato;
se l’om pecc? e fece cose torte,
lo mio officio non c’? adoperato;
me co l’omo ha ferito a morte
de tutto mio onor s? m’ha spogliato.—
Iustizia s’appresenta ’nante ’l Rege,
a la questione fa responsura:
—Mesere, a l’om fo posto la lege,
volsela sprezare per sua fallura;
la pena gli fo data e non se tege
secondo la offensanza la penura;
cerca lo iudicio e correge
se nulla cosa ? fatta fuor mesura.
—Meser, non me lamento del iudicio
ch’ello non sia fatto con ragione;
lamentome ch’io non ci agio officio,
staragioce per zifra a la magione;
so demorata teco ab initio
giamai non sent?e confusione;
del mio dolor veder ne poi lo ’ndicio
quanto so amaricata ed ho cagione.—
Lo Patre onnipotente en caritate
lo suo voler s? ha demostrato,
e lo tesauro de la largitate
a la Misericordia ha donato,[Pg 93]
che ella possa far la pietate
a l’omo per cui ? stata advocato,
e la Iustizia segga en veritate
con tutto lo suo officio ordenato.
Lo Patre onnipotente, en chi ? ’l potere,
al suo Figliolo fa dolce parlamento:
—O Figliol mio, sommo sapere,
en tene iace lo sutigliamento;
de raquistar l’omo ? en piacere
a tutto quanto lo nostro convento;
tutta la corte farai resbaldire
se tu vorrai sonar quello stromento.
—O dolce Patre mio de reverenza,
ne lo tuo petto sempre so morato,
e la virtute de la ubidenza,
per mene si ser? esercitato;
tr?vemese albergo d’avegnenza
l? ’ve deggia essere albergato,
ed io faraggio questa convegnenza
de conservar ciascuna nel suo stato.—
Dio per sua bont? s? ha formato
un corpo d’una giovene avenante;
e poi che ’l corpo fo organizato,
creocci l’alma en uno icto stante;
ed enestante l’ha santificato
da quello original peccato ch’ante
per lo primo omo era seminato
en tutte le progenie sue afrante.
O terra senza tribulo n? spina,
germinatrice de onne bon frutto;
de virtute e grazia sei pina,
poneste fine ne lo nostro lutto;
li qual per lo peccato eramo en pina
de Eva che mangi? lo veto frutto;
restauro de la nostra ruina,
Vergene Maria, beata en tutto![Pg 94]
Como lo Nemico invidioso
giva a l’omo primo per tentare,
e como scaltrito e vizioso
se fe’ a la moglier per engannare,
cus? lo Patre dolce pietoso
santo Gabriel volse mandare
a Vergene Maria che stava ascoso
per lo concepemento annunziare.
—Ave plena di grazia en virtute,
enfra le femene tu se’ benedetta!—
Ella, pensando de queste salute,
de lo temore s? fo conestretta.
—Non te temere, ca en te son compiute
omne profezia che de te ? ditta;
conceperai e parerai l’aiute
de l’umana gente ch’? sconfitta.
—Del modo te demando co serane
ch’io concepa essendo vergen pura.
—Lo Spirito santo sopra te verrane
e la virt? de Dio far? umbratura;
sempre vergene te conservarane
e vergen averai sua genitura;
ecco Elisabet concetto hane
essendo vechia e sterile natura.
Nulla cosa ? impossibile a Dio,
ci? che glie piace esso pote fare;
per? consenti al consiglio sio,
e tu respondi e di’ ci? che te pare.
—Ecco l’ancilla de lo Signor mio;
ci? che tu dici, en me deggia fare!—
Ed enestante Cristo concep?o
vergene stando senza dubitare.
Como Adam en prima fo formato
d’entatta terra, dice la Scrittura,
cus? de vergen Cristo fosse nato
che per lui ven?a far la pagatura;[Pg 95]
nove mesi ce stette albergato,
nacque de verno e nella gran freddura,
nascendo en terra de suo parentato
n? casa li prest?ro n? amantatura.
Cetto encomenz?ro la villan?a
e la impietate e l’offensanza;
de cielo en terra per l’omo ven?a
a patir pena per l’altrui offensanza:
longo tempo gridammo el Messia
che riguarisse la nostra malanza,
ed ecco, nudo iace nella via
e nul ? che de lui aggia pietanza!
Le Virtute ensieme congregate
a Dio s? fanno grande lamentanza:
—Meser, vedete la viduitate
ch’av?n patuta per altrui offensanza;
ad alcuno s? ne desponsate
che deggia aver a noi pietanza,
che obprobrio ne tolla e vilitate
e rendane lo pregio e l’onoranza.
—Figliuole mie, andate al mio diletto
ch? a llui vi voglio desponsare;
entro le soi mano s? ve metto
che con lui deggi?ti reposare;
onore e pregio senza alcun defetto
da tutta gente far?ve mirare;
e voi el me renderite s? perfetto
che sopra il ciel lo far? esaltare.—
Li Doni, odendo lo maritamento,
curreno con grande vivaceza:
—Meser, noi que facemo a sto convento?
staremo sempre mai en vedoveza;
quigno parr? de noi star en lamento
e tutta corte viver ’n alegreza?
se noi ce sonarim nostro stromento
tutta la corte terrimo en baldeza.[Pg 96]
—O figlioli miei, sete adunati
per rendere a la mia corte onore;
or currete ensemora, abracciati
lo mio diletto figlio redentore,
e le Virtute s? me esercitati
en tutto compimento de valore,
s? che con loro beatificati
siate nella corte de l’Amore.—
Le Beatitudine, questo odenno,
con gran vivaceza vengon a corte:
—Meser, le pelegrine a te venenno,
albergane ch? simo de tua sorte;
peregrinato avemo state e verno
con molti amari d? e dure notte,
onom ne caccia e pargli far gran senno,
ch? pi? semo odiate che la morte.
—Non si trov? nul omo ancora degno
d’albergare s? nobile tesaro;
albergove con Cristo e dolve ’n pegno
e voi l’averiti molto caro;
li frutti ve daragio poi nel regno,
possederete tutto el mio vestaro,
demostrariti Cristo como segno:
ecco lo mastro del nostro reparo.—
Lo nostro dolcissimo Redentore
a la Iustizia per l’omo ha parlato:
—Que ademandi a l’om peccatore
che deggia fare per lo suo peccato?
recolta centro e suo pagatore
de tutto quello che t’era obligato;
aiutar lo voglio per amore
e de satisfare so apparecchiato.
—Mesere, se ve piace de pagare
lo debito che per l’omo ? contratto,
voi lo podete, se ve piace, fare,
ch? sete Dio ed omo per? fatto;[Pg 97]
comenzato avete a satisfare;
volentiere tieco faccio el patto,
ch? tu solo s? me puoi placare
e s? con tieco faccio lo contratto.
—O Misericordia, que ademanni
per l’omo per cui e’ stata avocata?
—-Meser, che l’omo sia tratto de banni
che sbandito fo de sua contrata;
tribulata s? so stata molt’anni;
da poi che cadde, non fui consolata;
tutta la corte si mo ci aremanni,
se consoli me en lui compassionata.
Ch? la sua infirmitate ? tanta,
per nulla guisa se porr?a guarire;
se omne lor difetto non t’amanta,
de quil che fuoro e so e so a venire,
potere, senno e la voglia santa
de trasformare en omne suo devere,
consolarai poi me misera afranta
che tanto ho pianto con amar sospiri.
—Sotilmente hai ademandato,
ci? che demandi io s? voglio fare;
de l’amore s? so enebriato,
che stolto me faragio reputare
a comparare s? vile mercato,
e cos? gran prezo volere dare,
che l’om conosca quanto l’aggio amato,
morir ne voglio per lo suo peccare.
—Mesere, ecco l’omo s? sozato
e de s? vilissima sozura,
s’egli en prima non fosse lavato,
non si porr?a soffrir la sua fetura;
or non se tarde ad esser medicato;
se tu nol fai, non ? chi n’aggia cura;
da tutta gente s? ? desperato
e semivivo sta en gran frantura.[Pg 98]
—Uno bagno molto prezioso
aggio ordenato, al mio parire;
che non sia l’omo tanto salavoso
che pi? che neve nol faccia parire:
lo battesmo santo glorioso,
che d’omne male fa l’omo guarire;
chi se ne lava, serane avetoso,
se non recade per lo suo fallire.—
Iustizia, odendo questo fatto:
—Mesere, io me voglio satisfare;
l’omo s? far? meco el contratto
che servo se deggia confessare;
pensosse esser Dio rompendo ’l patto,
voglio che se deggia umiliare;
che fede me prometta e sir? atto
ad omnia ch’io voglio comandare.
—Respondi, omo, e di’ ci? che te pare,
se voli fare la promissione.
—Meser, ed io prometto de servare,
renunzo al demone ed a sua magione;
fede te prometto conservare
en omne gente ed en omne stagione;
credo per fede poterme salvare
e senza fede aver dannazione.
—Meser, ecco l’uomo baptizato.
?glie oporto forza con mastr?a,
che contra lo Nemico sia armato
che possa stare en sua cavallar?a;
ch? lo Nemico ? tanto esercitato,
vencerallo per forza o per fals?a;
se da te non fosse confirmato,
’nestante s? pigli?ra mala via.
—Mesere, quando l’om fece fallanza,
s? me fer?o molto duramente;
stoltamente pose sua speranza
ch’io non far?a vendetta, al suo parvente;[Pg 99]
voglio che conosca la fallanza,
e giammai non gli esca de mente,
segno porti en fronte en remembranza
quanto ’l peccato s? m’? dispiacente.
—Meser, volontiere ne porto segno
ch’io so reformato a tua figura;
vedendome signato, lo Malegno
non ma’ pot?ra con sua fortura.
—Ed io nella tua fronte croce segno
de crismate salute a tua valura;
conf?rtate, combatte ch’io do regno
a quel ch’en mia schiera ben adura.—
La Misericordia ? parlante:
—Meser, l’omo ha tanto degiunato,
che se de cibo non fusse sumante,
la debeleza l’ha gi? consumato.
—Ed io li do lo mio corpo avenante,
el sangue ch’? uscito del mio lato,
pane e vino en sacramento stante
che da lo preite sar? consecrato.—
Iustizia ce pete la sua parte:
—’Nante che l’omo se deggia cibare,
de caritate me far? le carte
ch’esso Dio sopr’omnia deggi amare,
el prossimo con Dio abbracciante
e sempre omne suo ben desiderare.
—Meser, ed io prometto de ci? farte
ch’io ne so tenuto e deggiol fare.—
La Misericordia non fina
ademandare la necessitate:
—Meser, se l’omo cadesse en ruina,
como far?a de quell’infermitate?
—Ordenata gli ho la medicina:
la Penetenza, ch’? de tua amistate;
se mai lo repigliasse la malina,
recorra a lei: aver? sanetate.[Pg 100]
Iustizia ce pete la sua sorte:
—Meser, io deggio stare a questa cura;
l’omo me sosterr? fin a la morte
a patir pena ed omne ria sciagura.
—Meser, ed io prometto de star forte
ad omne pena non sia tanto dura;
s’io obedisco, oprirai le porte
del ciel qual perdei per mia fallura.
—Meser, l’omo ? vestito de cargne
e nella carne pate grand’arsura;
se la concupiscenzia lui affragne,
d?glie remedio nella sua affrantura.
—Mogli’ e marito, ensemora compagne,
usaranno enseme con paura
che lor concupiscenzia non cagne
lo entelletto de la mente pura.
—Meser, se ’l matrimonio se usa
con la temperanza che ? virtute,
la sua alma non sir? confusa,
e camper? de molte rei cadute.
—Mesere, la mia carne ? viziosa,
sforzarolla a tutte mie valute,
perch? la sua amistate m’? dannosa
e molte gente son per lei perdute.—
La Misericordia non posa
la necessitate ademandare:
—Meser, ordenate questa cosa
per chine s? se deggia dispensare.
—Autoritate s? do copiosa
ai preiti che lo deggian ministrare,
de benedire e consecrare osa
e de potere asciogliere e ligare.—
Iustizia, odendo questa storia,
si dice che nulla cosa vale
se de prudenza che virtute fl?ria
non ? vestito lo sacerdotale,[Pg 101]
e d’essa sia adornata la memoria;
omo ch’? preite salga sette scale,
e sia spogliato d’omne mala scoria,
ch’a terra non deduca le sue ale.
La Misericordia, vedendo
la battaglia dura del finire,
li tre nemici ensemor convenendo,
ciascuno s? la briga de ferire:
—Meser, dacce aiuto defendendo,
che l’omo se ne possa ben schirmire.
—Olio santo ne l’estremo ungendo
lo Nemico non lo porr? tenire.—
Iustizia ce rieca una virtute
che molto bisogna a questo fatto,
la Fortetute contra rei ferute
s? ce speza e dice al gioco: ?matto?;
le Sacramenta, ensemor convenute,
con le Virtute hanno fatto patto
de star ensieme e non sian devedute,
e la Iustitia s? ne fa ’l contratto.
Iustizia s? ademanda l’atto
de la virtute en tutto suo piacere,
e la Misericordia tal fatto
per nulla guisa nol p? adempire;
ma se con li Doni p? fare patto,
ha deliberato de exercire;
ensemora domandan questo tratto
a Cristo che ce degia sovenire.
Ad esercitare la caritate
lo don de sapienzia c’? dato,
e la speranza ch’? d’alta amistate,
lo don de lo ’ntelletto c’? donato;
la fede che gli cieli ha penetrate
lo don de lo conseglio c’? albergato;
li Doni e le Virtute congregate
ensemor hanno fatto parentato.[Pg 102]
La Iustizia ad esercitare
lo don de la forteza s? li dona;
ma la Prudenza bella non ce pare,
se ’l don de la scienzia non sona;
la Temperanza non p? bene stare
se ’l don de pietate non gli ? prona;
la Fortetute non p? ben andare
se ’l don de lo timore non la zona.
De la Fede e de lo Conseglio
lo povero de spirito ? nato;
Forteza e Timore fatt’hanno figlio,
beato mito en tutto desprezato;
Iustizia e Forteza, lor simiglio,
beato lutto hanno generato;
Prudenza e Senno hanno fatto piglio,
fame de iustizia han apportato.
De la Temperanza e Pietate
la Misericordia ne ? nata;
de lo ’ntelletto spene alta amistate
mundicia de core on generata;
de la Sapienzia e Caritate
la pace de core si ? tranquillata;
or preghimo l’alta Trinitate
che ne perdoni le nostre peccata.
[Pg 103]

XLIV

De le petizione che sono nel paternostro

En sette modi, co a me pare,—distinta ? orazione;
como Cristo la ’nsegn?ne—en paternostro sta notata.
La prima orazione,—che a Dio l’om degia fare,
che lo nome suo ch’? santo—en noi degia santificare;
cristiani ne fe’ vocare,—en Cristo sim battizati,
ch? siam purificati—con la vita immaculata.
La seconda orazione,—onde de’ esser pregato,
ch’esso venga ad abitare—lo cor nostro consecrato;
e s?rvise poi s? mundato,—ch’esso ce possa regnare;
sir?a laido l’allecerare—poi ch’? fatta la ’nvitata.
La terza orazione,—che ’l Signor ne volse dire,
com’? obedito en cielo—en terra se degia obedire:
’nanteposto el suo volere—ad omne cosa che sia,
l’alma e ’l corpo en sua bal?a—sub la legge sua servata.
La quarta che pete el pane,—tre pan trovo ademandate:
lo primo ? devozione,—l’alme en Dio refocillate;
l’altro pan ? el sacramento—ne l’altare consecrate,
l’altro pan ciascun mangia—o’ nostra vita ? sostentata.
El primo pan tien con Dio—nella sua gran delettanza;
l’altro ? ’l prossimo abracciato—nella fedel congreganza;
l’altro s? ne d? abondanza—nella vita che menamo,
che refezion agiamo—en omne cosa ch’? ordenata.
La quinta, che pete a Dio—perdonanza del peccato;
mala fronte glie porta enante—chi col frate sta turbato:
ch’en suo figliol s’adottato,—tu porti sotta ’l coltello,
oderai lo mal appello—se i vai ’nante en ambasciata.[Pg 104]
Bona fronte glie porta ’nante—chi ha ’l prossimo en amore;
se glie pete perdonanza—che sia stato peccatore,
fali piena lo Signore—e la grazia sua li dona;
questa perdonanza bona—con la sua s’? acompagnata.
La sesta che no ne lasse—enducere en tentazione;
ch? se esso n’abandona,—sem menati a la pregione:
carne, mondo, li dem?ne—ciascun fa sua legatura,
en quanta ne mena bruttura—lo mio cor non l’ha stimata.
Se ’l Signor con noi demora,—piovan, nenguan le battaglie,
ciascuna ne d? guadagno—de vittoria en travaglie;
fa fugar quelle sembiaglie—de quigli forti nemici,
fanne deventar felici—la sua bona compagnata.
La settima orazione—che ne campi dagli mali,
de le colpe e degl peccati—che ? fuore d’enfernali,
e de mali exterminali—che stan gi? in quella fornace:
omne cosa che despiace—loco s? sta cumulata.
[Pg 105]

XLV

Como Dio appare ne l’anima en cinque modi

En cinque modi appareme—lo Signor en esta vita;
altissima salita—chi nel quinto ? entrato.
Lo primo modo chiamolo—stato timoroso,
lo secondo pareme—amor medecaroso,
lo terzo amore pareme—viatico amoroso,
lo quarto ? paternoso,—lo quinto ? desponsato.
Nel primo modo appareme—nell’alma Dio Signore;
da morte suscitandola—per lo suo gran valore,
fuga la demonia—che me tenean ’n errore,
contrizion de cuore—l’amor ci ha visitato.
Poi vien como medico—ne l’alma suscitata,
confortala ed aiutala,—ch? sta s? vulnerata;
le sacramenta ponece—che l’hanno resanata,
ch? l’ha cus? curata—lo medico ammirato.
Como compagno nobile—lo mio amor apparuto,
de trarme de miseria—donarme lo suo aiuto,
per le virtute mename—en celestial saluto;
non degio star co muto,—tanto bene occultato.
Lo quarto modo appareme—como benigno pate,
cibandome de donora—de la sua largitate;
da poi che l’alma gusta—la sua amorositate,
sente la redetate—de lo suo paternato.
Lo quinto amore mename—ad esser desponsata,
al suo Figliol dolcissimo—essere copulata;
regina se’ degli angeli,—per grazia menata,
en Cristo trasformata—en mirabel unitato.
[Pg 106]

XLVI

Como l’anima per fede viene a le cose invisibile

Con gli occhi ch’agio nel capo—la luce del d? mediante
a me representa denante—cosa corporeata.
Con gli occhi ch’agio nel capo—veggio ’l divin sacramento,
lo preite me mostra a l’altare,—pane s? ? en vedemento;
la luce ch’? de la fede—altro me fa mostramento
agli occhi mei c’ho dentro—en mente razionata.
Li quattro sensi dicono:—Questo si ? vero pane.—
Solo audito resistelo,—ciascun de lor fuor remane,
so’ queste visibil forme—Cristo occultato ce stane,
cus? a l’alma se d?ne—en questa misteriata.
Como porr?a esser questo?—vorr?al veder per ragione,
l’alta potenzia divina—somettiriti a ragione;
piacqueglie lo ciel creare—e nulla ne fo questione;
voi que farite entenzone—en questa sua breve operata?
A lo ’nvisibile cieco—vien con baston de credenza,
a lo divin sacramento—vienci con ferma fidenza;
Cristo che l? ce sta occulto—d?tte la sua benvolenza,
e qui se fa parentenza—de la sua grazia data.
La corte o’ se fon ste noze—s? ? questa chiesa santa,
tu vien’ a lei obedente—ed ella de f? t’amanta;
poi t’apresenta al Signore,—essa per sposa te planta,
loco se fa nova canta—ch? l’alma per f? ? sponsata.
E qui se forma un amore—de lo envisibile Dio;
l’alma non vede, ma sente—che glie despiace onne rio;
miracol se vede infinito:—lo ’nferno se fa celest?o,
prorompe l’amor frenes?o—piangendo la vita passata.[Pg 107]
O vita mia maledetta,—mondana, lussuriosa,
vita de scrofa fetente,—sozata en merda lotosa,
sprezando la vita celeste—de l’odorifera rosa,
non passer? questa cosa—ch’ella non sia corrottata.
O vita mia maledetta,—villana, entrata, soperba,
sprezando la vita celeste—a Dio stata so sempre acerba,
rompendo la lege e statuti,—le sue santissime verba,
ed esso de me fatt’ha serba,—ch? non m’ha a lo ’nferno dannata.
Anima mia, que farai—de lo tuo tempo passato?
non ? dannagio da gioco—ch’ello non sia corrottato;
planti, sospiri e dolori—sir?gione sempre cibato;
lo mio gran peccato—ch’a Dio sempre so stata engrata.
Signor, non te veio, ma veio—che m’hai en altro om mutato;
l’amor de la terra m’hai tolto,—en cielo s? m’hai collocato;
te dagetor non vegio,—ma vegio e tocco ’l tuo dato,
ch? m’hai lo corpo enfrenato—ch’en tante bruttur m’ha sozata.
O castitate, que ? questo—che t’agio mo en tanta placenza?
ed onde speregia esta luce—che data m’ha tal conoscenza?
vien de lo patre de lumi—che spira la sua benvoglienza
e questo non ? fallenza—la grazia sua c’ha spirata.
O povertate, que ? questo—che t’agio mo en tanto piacire,
ca tutto lo tempo passato—orribel me fosti ad udire?
pi? m’affligea che la freve—quando venea ’l tuo pensire,
ed or t’agio en tanto desire,—che tutta de te so enamata.
Venite a veder meraveglia—che posso mo el prossimo amare,
e nulla me d? mo graveza—poterlo en mio danno portare;
e de la iniuria fatta—lebbe s? m’? el perdonare;
e questo non m’? bastare—se non so en suo amor enfocata.[Pg 108]
Venite a veder meraveglia—che posso mo portar le vergogne,
che tutto ’l tempo passato—sempre da me fuor da logne;
or me d? un’alegreza,—quando vergogna me iogne,
per? che con Dio me coniogne—nella sua dolce abracciata.
O fede lucente, preclara,—per te so venuto a sti frutti;
benedetta sia l’ora e la dine—ch’io credetti a li toi mutti;
parme che questa sia l’arra—de trarme a ciel per condutti;
l’affetti mei su m’hai redutti—ch’io ami la tua redetata.
[Pg 109]

XLVII

De la battaglia del Nemico

Or udite la battaglia—che me fa el falso Nemico,
e serave utilitate—se ascolt?ti quel ch’io dico.
Lo Nemico s? me mette—sutilissima battaglia,
con quel venco s? m’afferra,—s? sa metter sua travaglia.
Lo Nemico s? me dice:—Frate, frate, tu se’ santo;
grande fama e nomenanza—del tuo nome ? en onne canto.
Tanti beni Dio t’ha fatti—per novello e per antico,
non gli t’aver?a mai fatti—se nogl fossi caro amico.
Per ragione te demostro—che te p?i molto alegrare,
l’arra n’hai del paradiso—non ne p?i mai dubitare.
—O Nemico engannatore,—como c’entri per fals?a!
fusti fatto glorioso—en quella gran compagnia.
Molti beni Dio te fece—se gli avessi conservati;
appetito sciordenato—su del ciel t’ha trabocato.
Tu diavol senza carne,—ed io demone encarnato,
c’agio offes’el mio Signore—non so el numero del peccato.—
El Nemico non vergogna,—a la stanga sta costante,
con la mia responsione—s? me fere duramente.
—O bruttura d’esto mondo,—non vergogni de parlare,
c’hai offeso Dio e l’omo—en molte guise per peccare?
Io offesi una fiata,—enestante fui dannato,
e tu, pieno de peccato,—p?nsete d’essere salvato?
—O Nemico, gi? non penso—per mio fatto de salvare,
la bontate del Signore—s? me fa de lui sperare.
So securo che Dio ? bono,—la bont? de’ essere amata,
la bontate sua m’ha tratta—d’esser de lui ’namorata.
Se giamai non me salvasse—non de’ essere meno amato;
ci? che fa lo mio Signore—si ? iusto ed ?mme a grato.—
Lo Nemico s? remuta—en altra via tentazione:
—Quando farai penitenza,—se non prendi la stascione?[Pg 110]
Tu engrassi questa carne—a li vermi en sepultura,
dever?la cruciare—en molta sua mala ventura.
Non curar pi? d’esto corpo,—ch? la cura n’ha ’l Signore
n? de cibo n? de vesta—non curar del malfattore.
—Falsadore, io notrico—lo mio corpo, no l’occido;
de la tua tentazione—beffa me ne faccio e rido.
Io notrico lo mio corpo—che m’aiuta a Dio servire,
a guadagnar quella gloria—che perdesti en tuo fallire.
—Gran vergogna ? a te fallace—sostener carne corrutta,
la battaglia cus? dura—guadagnar lo ciel per lutta.
Tu me par che si’ indiscreto—per lo modo che tu fai,
cruciar cus? el tuo corpo—e de lui cagion non hai.
Tu deveri aver cordoglio,—ch? ? vecchio e descaduto,
non deveri poner soma—n? che solva pi? tributo.
Tu deveri amar lo corpo—como ami l’anima tua,
ch? t’? grande utilitate—la prosperitate sua.—
—Io notrico lo mio corpo—dargli sua necessitate,
accordati simo ensieme—che vivamo en castitate.
Per l’astinenza ordenata—el corpo ? deventato sano,
molte enfirmit? ha carite—che patea quand’era vano.
Tutta l’arte medicina—s? se trova en penetenza,
che gli sensi ha regolati—en ordenata astinenza.
—Un defetto par che aggi—che ? contra la caritate;
degli pover vergognosi—non par ch’agi pietate.
Tu deveri toller frate—che te voi l’om tanto dare,
sovenir a besognosi—che vergognan demandare.
E far?e utilitate—molto grande al daitore,
e sir?a sostentamento—grato a lo recepetore.
—Non so pi? che m’? tenuto—lo mio prossimo d’amare,
e per me l’agio arnunzato—per potere a Dio vacare.
S’io pigliasse questa cura—per far loro acattar?a,
perder?a la mia quiete—per lor mercatantar?a.
S’io tollesse e daesse,—nogl porr?a mai saziare,
e turb?ra el daitore—non contento del mio dare.
—Un defetto par che agi—del silenzo del tacere,
multi santi per quiete—nel deserto volser gire.[Pg 111]
Se tu, frate, non parlassi—sir?a edificazione,
molta gente convert?ra—ne la tua amirazione.
La Scrittura en molte parte—lo tacere ha commendato,
e la lengua spesse volte—fa cader l’om en peccato.
—Tu me par che dichi vero,—se bon zelo te movesse;
en altra parte v?i ferire—s’io a tua posta tacesse.
Lo tacere ? vizioso—chello o’ l’om d?i parlare:
lo tacer lo ben de Dio—quando ’l deve annunziare.
Lo tacer ha ’l suo tempo,—el parlar ha sua stagione,
curre omo questa vita—fin a consumazione.
—Un defetto par che agi:—che lo ben non sa’ occultare,
el Signor te n’amaestra—ch’en occulto el degi fare.
De far mostra l’om del bene—pare vanaglorioso,
el vedente exdificato—demostrarli l’om tal oso.
Lo Signore che te vede—esso s? ? ’l pagatore,
non far mostra al tuo frate—che sia tratto a farte onore.
—La mentale orazione—quella occulta rendo a Dio,
e lo cor serrat’ha l’uscio,—ch? nol vegia el frate mio.
Ma la orazion vocale—quella el frate deve audire:
ch? sir?a exdificato,—se la volesse tacire.
Non se deggon occultare—opere de pietate,
se al frate l’occultasse,—cader?a en impietate.
—Frate, frate, haime vento:—non te saccio pi? que dire:
veramente tu se’ santo,—s? te sai da me coprire!
Non trovai ancor chivelli—ch’esso m’agia s? abattuto;
en tante cose t’ho tentato—ed en tutte m’hai venciuto.
Tal m’hai concio a questa volta—che de me s? sta securo;
che giamai a te non torno,—s? t’agio trovato duro!
—Or ? bono a far la guarda—che m’hai data securtate;
omne cosa che tu dici,—s? ? pien de falsitate.
Se en tuo ditto me fidasse,—pi? sir?a che pazo e stolto
ch? da onne veritate—s? se’ delongato molto.
Io faraio questa guarda,—che staraio sempre armato
contra te, falso Nemico,—ed encontra lo peccato.
Or te guarda, anima mia,—che ’l Nemico non t’enganni
ch? non dorme n? cotoza—per farte cadere nei banni.
[Pg 112]

XLVIII

De l’infirmit? e mali
che frate Iacopone demandava per eccesso de carit?

O Signor, per cortesia,—mandame la malsan?a!
A me la freve quartana,—la contina e la terzana,
la doppia cotidiana—colla grande idropes?a.
A me venga mal de dente,—mal de capo e mal de ventre,
a lo stomaco dolor pungente,—en canna la squinant?a.
Mal de occhi e doglia de fianco—e l’apost?ma al lato manco
tiseco me ionga en alco—ed omne tempo la frenes?a.
Agia el fegato rescaldato,—la milza grossa, el ventre enfiato,
lo polmone sia piagato—con gran tossa e parlas?a.
A me vengan le fistelli—con migliaia de carboncelli,
e li granchi sian quelli—che tutto pieno ne sia.
A me venga la podagra,—mal de ciglia s? m’agrava,
la disinter?a sia piaga—e l’emoroide a me se dia.
A me venga el mal de l’asmo—e i?ngasece quel del pasmo,
como al can venga rasmo—ed en bocca la granc?a.
A me lo morbo caduco—de cadere en acqua e ’n foco,
e giamai non trovi loco—ch’io afflitto non ce sia.
A me venga cechitate,—muteza e sorditate,
la miseria e povertate—ed onne tempo en trapper?a.
Tanto sia el fetor fetente,—che non sia nul om vivente
che non fuga da me dolente,—posto en tanta enfermar?a.
En terribile fossato,—che Regoverci ? nominato,
loco sia abandonato—da onne bona compagn?a.
Gelo, grandine, tempestate,—fulguri, troni, oscuritate,
non sia nulla aversitate—che me non agia en sua bal?a.[Pg 113]
Glie demonia enfernali—essi sian mei ministrali,
che m’exerciten li mali—c’ho guadagnati a mia foll?a.
Enfin del mondo a la finita—s? me duri questa vita,
e poi, a la sceverita,—dura morte me se dia.
Elegome en sepultura—ventre de lupo en voratura,
e le reliquie en cacatura—en spineta e rogar?a.
Gli miracol po’ la morte—chi ce vien agia le scorte,
e le vessazion forte—con terribel fantas?a.
Onom che m’ode mentovare—s? se degia stupefare,
colla croce s? signare—ch? mal contro non sia en via.
Signor mio, non ? vendetta—tutta la pena c’ho detta,
ch? me creasti en tua diletta—ed io t’ho morto a villan?a.
[Pg 114]

XLIX

De la coscienzia pacificata

O coscienzia mia,—grande me d?i mo reposo;
gi? non ? stato tuo oso—per tutto lo tempo passato.
Tutto lo tempo passato,—da poi ch’io me recordo,
sempre m’hai tribulato—e vissa meco en descordo;
e non ?i passata co sordo,—sempre de me mormorando,
ed onne mio fatto blasmando—gi? non sia tanto occultato.
Da puoi ch’io fui creata,—Dio ordin? mia natura,
ed agiola s? conservata,—che non l’ho fallata a nul’ura;
iudicio de dirittura—me fu ordenato nel core,
scritto ne porto el tenore—de tutto el tuo operato.
Qual ? rason che mo tace,—e nulla me d?i molesta?
hame donato una pace,—sempre con teco agio festa;
vita meno celesta,—poi ch’io non t’agio a ribello,
ca lo splacer tuo ? coltello—ch’entro al merollo ha passato.
Ragion ? ch’io deia posare,—poi che ’l iudicio hai fatto;
iustizia s? t’? en amare—e messo i e’ t’en man entrasatto;
e nullo volesti far patto,—ci? che ne fae s? te piace,
e loco si fonda la pace—che il mio furor ha placato.
[Pg 115]

L

De la grande battaglia de anticristo

Or se parr? chi aver? fidanza!
la tribulanza ch’? profetizata,
da onne lato vegiola tonare.
La luna ? scura, el sole ottenebrato,
le stelle del cielo vegio cadere;
l’antiquo serpente pare scapolato,
tutto lo mondo vegio lui sequire;
l’acque s’ha bevute da onne lato,
fiume Giordan se spera d’enghiuttire,
lo popolo de Cristo devorare.
Lo sole ? Cristo che non fa mo segna
per fortificare li soi servente;
miracoli non vedemo che sostegna
la fidelitate nella gente;
question ne fa gente malegna,
obproprio ne dicon malamente,
rendendo lor ragion nogl potem trare.
La luna s? ? la ecclesia scurata,
la qual la notte al mondo reluc?a,
papa e cardenal con lor guidata;
la luce ? tornata en tenebr?a;
la universitate clericata
? encorsata e pres’ha mala via:
o sire Dio, chi porr? scampare?
Le stelle che del cielo son cadute,
la universitate reliosa,
molte de la via s? son partute,
entrate per la via pericolosa;
l’acque del diluvio son salute,
coperti i monti, sommerso onne cosa;
aiuta, Dio, aiuta lo notare![Pg 116]
Tutto el mondo veggio conquassato
e precipitando va en ruina;
como l’omo che ? enfrenetecato,
al qual non pu? om dar medicina,
li medici s? l’hanno desperato,
ch? non glie giova encanto n? dottrina,
vedemolo en extremo lavorare.
Tutta la gente vegio ch’? signata
del caratte de l’antiquo serpente;
ed en tre parte l’hane divisata;
chi campa d’uno, l’altro el fa dolente;
l’avarizia nello campo ? entrata,
fatt’ha sconfitta e morta molta gente,
e pochi son che vogliano restare.
Se alcun ne campa d’esta enfronta,
metteglie lo dado del sapere;
enfia la scienzia en alto monta,
vilipende gli altri e s? tenere;
a l’altra gente le peccata conta,
li suoi porta drieto a non vedere,
voglion dir molto e niente fare.
Quigli pochi che ne son campati
de questi doi legami dolorosi,
en altro laccio s? gli ha ’ncatenati;
de fare signi s? son desiosi,
far miracoli, render senetati,
de rapti e profezie son golosi;
se alcun ne campa, s? p? Dio laudare.
?rmate, omo, ch? se passa l’ora
che possi campare di questa morte;
ch? nulla ne fo ancora s? dura
n? altra ne sar? giamai s? forte;
gli santi n’?ber molto gran paura
de venir a prender queste scorte;
d’essere securo stolto me pare.
[Pg 117]

LI

Como la verit? piange ch’? morta la bontade

La Veritade piange,—ch’? morta la Bontade;
e mostra le contrade—l? ’ve ? vulnerata.
La Verit? envita—tutte le creature
che vengano al corrotto—ch’? de tanto dolure;
cielo, terra e mare,—aere, foco e calure
fanno grande romure—de sta cosa scontrata.
Piange la Innocenzia:—En Adam fui ferita,
en Cristo resuscitata,—or so morta e perita;
vendeca nostra eniuria,—Maiestate enfinita,
che vegia om la fallita—per la pena portata.—
La Legge naturale—s? fa gran lamentanza,
e fa uno corrotto—che ? de gran pietanza:
—O Bont? nobilissima,—chi ne far? vegnanza
de tanta iniquitanza—ch’en te ? demostrata?—
La Legge mosaica—con le diece Precetta
fanno grande romore—de la Bont? diletta:
—O Bont? nobilissima,—co te vedemo afflitta!
chi ne far? venditta,—ch? t’hanno s? sprezata?—
La Legge de la grazia—con lo suo parentato
fanno clamore en alto—sopra lo ciel passato:
—O Patre onnipotente,—pari adormentato
de sto danno scontrato,—ch? onne cosa ? guastata.—
L’alta Vita de Cristo—con la Encarnazione
fanno clamor s? alto—sopra omne clamagione;
clama la sua Dottrina,—clama la Passione:
—Signor, fanne ragione,—che sia ben vendicata.[Pg 118]
La divina Scrittura—con la Filosofia
fanno uno corrotto—con grande dolent?a:
—O Bont? nobilissima,—nostro tesauro e via,
grande fo villan?a—averte s? sprezata.—
Gli Articoli de la fede—s? s’onno congregati:
—Oi lassi noi, dolenti—co semo desolati!
nostra fatica e frutti—s?mone derobbati,
la vita en tal peccati—non sia pi? comportata.—
Le Virtude piangono—de uno amaro pianto:
—O Bont? nobilissima,—nostro tesauro e canto,
non trovamo remedio—de lo dannagio tanto,
lo nostro dolor tanto—nulla mente ha stimata.—
Piangono le Sacramenta:—Noi volem morire,
da poi che la Bontade—vedemo s? perire;
non ne giova el vivere—non sapem ove gire;
vendeca, iusto Sire,—ch’ell’? s? mal trattata.—
Li Doni de lo spirito—chiamano ad alta vuce:
—Vendeca nostra eniuria,—alta divina luce;
aguarda lo naufragio—che patem ’n esta fuce;
se tu non ne conduce,—perim ’n esta contrata.—
Fanno grande corrotto—l’alte Beatitute:
—Aguardace, Signore,—co sem morte e battute!
oi lasse noi dolente,—a que sem devenute!
peggio simo tenute—che vizia reprobata.—
Piangon le Relione—e fanno gran lamento:
—Aguardace, Signore,—a lo nostro tormento;
poi che Bontate ? morta,—semo en destrugemento;
come la polve al vento—nostra vita ? tornata.
Li Frutti de lo spirito—s? fanno gran romore:
—Vendica nostra eniuria,—alto, iusto Signore;
la curia romana,—c’ha fatto esto fallore,
corriamoci a furore,—tutta sia dissipata.
Fansi chiamar ecclesia—le membra d’Anticrisso!
aguardace, Signore,—non comportar pi? quisso;
purgata questa ecclesia—e quel che ci ? mal visso
sia en tal loco misso—che purge i soi peccata.
[Pg 119]

LII

Como Cristo se lamenta de la Chiesa romana

Ies? Cristo se lamenta—de la Chiesa romana,
che gli ? engrata e villana—de l’amor che gli ha portato.
—Da poi ch’io presi carne—de la umana natura,
sostenni passione—con una morte dura;
desponsai la Ecclesia—fidelissima e pura,
puse en lei mia cura—d’un amore apicciato.
Gli mei pover discipoli—per lo mondo mandai,
de lo Spirito santo—lor coragio enflammai,
la fede mia santissima—per lor s? semenai,
molti segni mostrai—per l’universo stato.
Vedendo el mondo cieco—tanti segni mostrare,
a omini idioti—tanto saper parlare,
fuor presi d’amiranza,—credere e battizare,
essi quegl segni fare—onde ser? amirato.
Levossi l’idolatria—col suo pessimo errore,
puose en arte magica—li signi del Signore,
accec? gli populi;—rege, emperadore
occisero a dolore—omne messo mandato.
Tanto era lo fervore—de la primera fede,
occidendone uno,—mille lassava erede;
stancava li carnifici—de farne tanta cede,
martirizata fede—vicque per adurato.
Levosse la eres?a—e fece gran semblaglia,
contra la veritate—fece gran battaglia,
sofisticato vero—sua semin? zizaglia,
non fo senza travaglia—cotal ponto passato.[Pg 120]
Mandai li mei dottori—con la mia sapienza,
disputaron e ’l vero—mostr?ro senza fallenza,
sconfissero e cacci?ro—omne falsa credenza,
demonstr?r mia prudenza—de vivere ordenato.
Vedete el mio cordoglio—a que so mo redutto!
lo falso clericato—s? m’ha morto e destrutto,
d’ogne mio lavoreccio—me fon perder lo frutto,
maior dolor che morte—da lor aggio portato.
[Pg 121]

LIII

Del pianto de la chiesa redutta a mal stato

Piange la Ecclesia, piange e dolura,
sente fortura di pessimo stato.
—O nobilissima mamma, que piagni?
mostri che senti dolur molto magni;
narrame ’l modo perch? tanto lagni,
ch? s? duro pianto fai smesurato.
—Figlio, io s? piango ch? m’aggio anvito;
veggiome morto pate e marito;
figli, fratelli, nepoti ho smarrito,
omne mio amico ? preso e legato.
So circundata da figli bastardi,
en omne mia pugna se mostran codardi,
li mei legitimi spade n? dardi
lo lor coragio non era mutato.
Li mei legitimi era en concorda,
veggio i bastardi pien de discorda,
la gente enfedele me chiama la lorda
per lo reo exemplo ch’i’ ho seminato.
Veggio esbandita la povertate,
nullo ? che curi se non degnetate;
li mei legitimi en asperitate,
tutto lo mondo gli fo conculcato.
Auro ed argento on rebandito,
fatt’on nemici con lor gran convito,
omne buon uso da loro ? fugito,
donde el mio pianto con grande eiulato.[Pg 122]
O’ sono li patri pieni de fede?
nul ? che curi per ella morire;
la tepedeza m’ha preso ed occede,
el mio dolore non ? corrottato.
O’ son li profeti pien de speranza?
nul ? che curi en mia vedovanza;
presunzione presa ha baldanza,
tutto lo mondo po’ lei s’? rizato.
O’ son gli apostoli pien de fervore?
nul ? che curi en lo mio dolore;
uscito m’? scontra el proprio amore
e gi? non veggio ch’egl sia contrastato.
O’ son gli martiri pien de forteza?
non ? chi curi en mia vedoveza;
uscita m’? scontra l’agevoleza,
el mio fervore si ? anichilato.
O’ son li prelati iusti e ferventi,
che la lor vita sanava la gente?
uscit’? la pompa, grossura potente,
e s? nobel orden m’ha maculato.
O’ son gli dottori pien de prudenza?
molti ne veggio saliti en scienza;
ma la lor vita non m’ha convenenza,
dato m’on calci che ’l cor m’ha corato.
O religiosi en temperamento,
grande de voi avea piacemento;
or vado cercando omne convento,
pochi ne trovo en cui sia consolato.
O pace amara co m’hai s? afflitta!
mentre fui en pugna s? stetti dritta,
or lo riposo m’ha presa e sconfitta,
el blando dracone s? m’ha venenato.
Nul ? che venga al mio corrotto,
en ciascun stato s? m’? Cristo morto;
o vita mia, speranza e deporto,
en omne coraggio te veggio afocato!
[Pg 123]

LIV

Epistola a Celestino papa quinto,
chiamato prima Petro da Morrone

Que farai, Pier da Morrone?—?i venuto al paragone.
Vederimo el lavorato—che en cella hai contemplato;
se ’l mondo de te ? ’ngannato,—s?quita maledizione.
La tua fama alt’? salita,—en molte parte n’? gita;
se te sozzi a la finita,—agl buon sirai confusione.
Como segno a sagitta,—tutto ’l mondo a te affitta;
se non tien bilanza ritta,—a Dio ne va appellazione.
Se se’ auro, ferro o rame—prover?te en esto esame;
quegn’hai filo, lana o stame—mostrer?te en est’azone.
Questa corte ? una fucina—che ’l buon auro se ci afina;
se llo tiene altra ramina,—torna en cenere e carbone.
Se l’officio te deletta,—nulla malsan?a pi? ? ’nfetta;
e ben ? vita maledetta—perder Dio per tal boccone.
Grande ho a?to en te cordoglio—co te usc?o de bocca:—Voglio;—
ch? t’hai posto iogo en coglio—che t’? tua dannazione.
Quando l’uomo virtuoso—? posto en luoco tempestoso,
sempre el trovi vigoroso—a portar ritto el gonfalone.
Grand’? la tua degnitate,—non ? meno la tempestate;
grand’? la varietate—che troverai en tua magione.
Se non hai amor paterno,—lo mondo non gir? obedenno;
ch’amor bastardo non ? denno—d’aver tal prelazione.
Amor bastardo ha ’l pagamento—de sotto dal fermamento;
ch? ’l suo falso entendemento—de sopre ha fatto sbandegione.
L’ordene cardenalato—posto ? en basso stato;
ciaschedun suo parentato—d’ariccar ha entenzione.
Gu?rdate dagl prebendate—che sempre i trovera’ afamate;
e tant’? la lor siccitate,—che non ne va per potagione.
Gu?rdate dagl barattere—che ’l ner per bianco fon vedere;
se non te sai ben schirmere—canterai mala canzone.
[Pg 124]

LV

Cantico de frate Iacopone de la sua pregionia

Que farai, fra Iacovone?—se’ venuto al paragone.
Fusti al monte Pelestrina—anno e mezo en disciplina;
pigliasti loco malina,—onde hai mo la pregione.
Prebendato en corte i Roma,—tale n’ho redutta soma;
omne fama mia s’afoma,—tal n’aggio maledezone.
So arvenuto prebendato,—ch? ’l capuccio m’? mozato,
perpetuo encarcerato—encatenato co lione.
La pregione che m’? data,—una casa soterrata;
arescece una privata,—non fa fragar de moscone.
Nullo omo me p? parlare,—chi me serve lo p? fare;
ma ?glie oporto confessare—de la mia parlazione.
Porto getti de sparvire,—sonagliando nel mio gire;
nova danza ce p? udire—chi sta presso a mia stazone.
Da poi ch’i’ me so colcato,—revoltome ne l’altro lato,
nei ferri so zampagliato,—engavinato en catenone.
Agio un canestrello apeso—che dai sorci non sia offeso,
cinque pani, al mio parviso,—p? tener lo mio cestone.
Lo cestone sta fornito—sette de lo d? trans?to,
cepolla per appetito,—nobel tasca de paltone.
Po’ che la nona ? cantata,—la mia mensa apparecchiata;
omne crosta ? radunata—per empir mio stomacone.
R?camese la cocina,—messa en una mia catina;
puoi ch’abassa la ruina,—bevo e ’nfondo el mio polmone.
Tanto pane enante affetto,—che n’? statera un porchetto;
ecco vita d’uomo stretto,—nuovo santo Ilarione.
La cocina manecata,—ecco pesce en peverata;
una mela me c’? data—e par taglier de storione.[Pg 125]
Mentre mangio ad ura ad ura—sostegno grande freddura,
l?vome a l’ambiadura—stampiando el mio bancone.
Paternostri otto a denaro—a pagar lo tavernaro;
ch’io non agio altro tesaro—a pagar lo mio scottone.
Se ne fosser proveduti—gli frati che son venuti
en corte pro argir cornuti,—che n’avesser tal boccone!
Se n’avesser cotal morso,—non far?en cotal discorso;
en gualdana corre el corso—per aver prelazione.
Povertate poco amata,—pochi t’hanno desponsata,
se se porge vescovata—che ne faccia arnunzascione.
Alcun ? che perde el monno,—altri el lassa como a sonno,
altri el caccia en profonno:—diversa han condizione.
Chi lo perde ? perduto,—chi lo lassa ? pentuto,
chi lo caccia ha ’l proferuto,—?glie abominazione.
L’uno stando gli contenne,—l’altri dui arprende arprende,
se la vergogna se spenne,—vederai chi sta al passone.
L’ordene s? ha un pertuso—ch’a l’uscir non ? confuso,
se quel guado fusse archiuso—star?an fissi al magnadone.
Tanto so gito parlando,—corte i Roma gir leccando,
c’ho ragionto alfin lo bando—de la mia presunzione.
Iaci, iaci en esta stia—come porco de grass?a!
lo natal non trover?a—chi d?me lieve paccone.
Maledicer? la spesa—lo convento che l’ha presa;
nulla utilit? n’? scesa—de la mia reclusione.
Faite, faite que volite,—frati che de sotto gite;
ca le spese ce perdite,—prezo nullo de prescione.
Ch’aio grande capitale,—ch? me so uso de male,
e la pena non prevale—contra lo mio campione.
Lo mio campion ? armato,—del mio odio scudato,
non p? esser vulnerato—mentre ha collo lo scudone.
O mirabel odio mio,—d’omne pena hai signor?o,
nullo recepi engiur?o,—vergogna t’? esaltazione.
Nullo te trovi nemico,—onnechivegli hai per amico;
io solo me so l’inico—contra mia salvazione.
Questa pena che m’? data—trent’ann’? che l’agio amata;
or ? gionta la giornata—d’esta consolazione.[Pg 126]
Questo non m’? orden novo,—ch? ’l capuccio longo arprovo,
ch’anni diece enteri truovo—ch’i’ ’l portai gir bizocone.
Loco feci el fondamento—a vergogne e schirnimento;
le vergogne so co vento—de vessica de garzone.
Questa schiera ? sbarattata,—la vergogna ? conculcata,
Iacovon la sua masnata—curre al campo al gonfalone.
Questa schiera mess’? ’n fuga,—venga l’altra che succurga;
se nul’altra non ne surga,—anco attende al padiglione.
Fama mia, t’aracomando—al somier che va raghiando,
puo’ la coda sia ’l tuo stando—e quel te sia per guidardone.
Carta mia va’, metti banda,—Iacovon pregion te manda
en corte i Roma, ch? se spanda—en trib?, lengua e nazione.[2]

[Pg 127]

[2] Questa stanzia sequente era pi? in certi libri:

E di’ co iaccio sotterrato,—en perpetuo carcerato;
en corte Roma ho guadagnato—s? bon beneficione.

(Nota del Bonaccorsi).

LVI

Epistola a papa Bonifazio ottavo

O papa Bonifazio,—io porto el tuo prefazio
e la maledizione—e scomunicazione.
Colla lengua forcuta—m’hai fatta sta feruta,
che colla lengua ligni—e la piaga me stigni.
Ch? questa mia feruta—non pu? esser guaruta
per altra condizione—senza assoluzione.
Per grazia te peto—che me dichi:—Absolveto—
e l’altre pene me lassi—fin ch’io del mondo passi.
Puoi, se te vol provare—e meco esercitare,
non de questa materia,—ma d’altro modo prelia.
Se tu sai s? schirmire—che me sacci ferire,
tengote bene esperto—se me fieri a scoperto.
Ch’aio doi scudi a collo—e, se io non me li tollo,
per secula infinita—mai non temo ferita.
El primo scudo sinistro,—l’altro sede al diritto;
lo sinistro scudato—lo diamante ha provato.
Nullo ferro ci aponta,—tanto c’? dura pronta!
Questo ? l’odio mio,—ionto a l’onor di Dio.
Lo diritto scudone—d’una pietra en carbone,
ignita como fuoco—d’uno amoroso iuoco.
Lo prossimo en amore—d’uno enfocato ardore;
se te vuoli fare enante,—pu?lo provare ’nestante.
E, quanto vol, t’abrenca,—ch’io co l’amar non venca;
volentiere te parl?ra,—credo che te iov?ra.
Vale, vale, vale,—Dio te tolla omne male,
e d?elome per grazia—ch’io ’l porto en lieta facia.
Finisco lo trattato—en questo loco lassato.
[Pg 128]

LVII

Epistola seconda al prefato papa

Lo pastor per mio peccato—posto m’ha fuor de l’ovile,
non me giova alto belato—che m’armetta per l’ostile.
O pastor, co non te sveghi—a questo alto mio belato?
che me tragi de sentenza—de lo tuo scomunicato,
de star sempre empregionato;—se esta pena non ce basta,
puoi ferire con altra asta,—como piace al tuo sedile.
Longo tempo agio chiamato,—ancora non fui audito;
scrissete nel mio dittato—de quel non fui esaudito;
ch’io non stia sempre amannito—a toccar che me sia operto;
non arman per mio defetto—ch’io non arentri al mio covile.
Come ’l cieco che clamava—da passanti era sprobrato,
maior voce esso iettava:—Miserere, Dio, al cecato.
—Que adimandi che sia dato?—Meser ch’io revegia luce,
ch’io possa cantar a voce—quello osanna puerile.—
Servo de centurione,—paralitico en tortura,
non so degno ch’en mia casa—s? descenda tua figura;
bastame pur la scrittura—che sia ditto:—Absolveto.—
Ch? ’l tuo ditto m’? decreto—che me tra’ fuor del porcile.
Troppo iaccio a la piscina—al portico de Salamone;
grandi moti s? fa l’acqua—en tanta perdonazione;
? passata la stagione,—prestolo che me sia detto;
ch’io me lievi e toll’al letto—ed artorni al mio casile.
Co malsano, putulente,—deiattato so dai sane,
n? an santo n? a mensa—con om san non mangio pane;
peto che tua voce cane—e s? me dichi en voglia santa:
—Sia mondata la tua tanta—enfermetate malsanile![Pg 129]
So vessato dal demonio,—muto, sordo deventato;
la mia enfermetate pete—ch’en un ponto sia curato,
che ’l demonio sia fugato—e l’audito me se renna
e sia sciolta la mia lengua—che legata fo con:—Sile!—
La puella che sta morta—en casa del sinagogo,
molto peio sta mia alma,—de s? dura morte mogo!
Che porgi la man rogo—e s? me rendi a san Francesco,
ch’esso me remetta al desco—ch’io riceva el mio pastile.
Deputato so en enferno—e so gionto gi? a la porta;
la mia mate Relione—fa gran pianto con sua scorta;
l’alta voce udir oporta—che me dica:—Vechio, surge!—
Ch’en cantar torni luge,—che ? fatto del senile.
Como Lazaro soterrato—quattro d? en gran fetore,
n? Maria ce fo n? Marta—che pregasse ’l mio Signore;
puolse far per suo onore—che me dica:—Veni fuora!—
Per l’alta voce decora—sia remisso a star coi file.
Un empiasto m’? ’nsegnato—e dittome che p? giovare;
quel da me ? delongato—non gli posso ademandare;
scrivogli nel mio dittare—che me degia far l’aiuto:
che lo ’mpiasto sia compiuto—per la lengua de fra Gentile.
[Pg 130]

LVIII

Epistola terzia al prefato papa da poi ch’el fo preso

O papa Bonifazio,—molt’hai iocato al mondo;
penso che giocondo—non te porrai partire.
El mondo non ha usato—lassar li suoi serventi
che a la sceverita—se partano gaudenti;
non far? legge nova—de fartene esente,
che non te dia i presente—che dona al suo servire.
Ben me lo pensava—che fusse satollato
d’esto malvascio ioco—ch’al mondo hai conversato;
ma, poi che tu salisti—en officio papato,
non s’aconf? a lo stato—essere en tal desire.
Vizio enveterato—conv?rtese en natura:
de congregar le cose—grande hai avuta cura;
or non ce basta el licito—a la tua fame dura,
messo t’?i a robbatura—como ascaran rapire.
Pare che la vergogna—derieto aggi gettata,
l’alma e ’l corpo hai posto—ad levar tua casata;
omo ch’en rena mobile—fa grande edificata,
subito ? ruinata—e non gli pu? fallire.
Como la salamandra—se renuova nel fuoco,
cus? par che gli scandali—te sian solazo e giuoco;
de l’anime redente—par che te curi puoco;
ove t’aconci el luoco,—saper?lo al partire.
Se alcuno vescovello—pu? niente pagare,
mettegli lo flagello—che lo vogli degradare;
poi lo mandi al camorlengo—che se degia accordare,
e tanto porr?a dare—che ’l lasserai redire.[Pg 131]
Quando nella contrata—t’aiace alcun castello,
’nestante metti screzio—entra frate e fratello;
a l’un getti el brazo en collo,—a l’altro mostre ’l coltello,
se non assente al tuo appello,—menaccel de ferire.
Pensi per astuzia—el mondo dominare,
que ordene un anno,—l’altro el vedi guastare;
el mondo non ? cavallo—che se lasse enfrenare,
che ’l possi cavalcare—secondo el tuo volere.
Quando la prima messa—da te fo celebrata,
venne una tenebr?a—en tutta la contrata;
en santo non remase—lumiera arapicciata,
tal tempesta ? levata—l? ’ve tu stave a dire.
Quando fo celebrata—la coronazione,
non fo celato al mondo—quello che ce scontr?ne;
quaranti omini f?r morti—a l’uscir de la mascione,
miracolo Dio mostr?ne—quanto gli eri en piacere.
Reputavete essere—lo pi? sufficiente
de sedere en papato—sopra onn’om vivente;
chiamavi santo Pietro—che fosse respondente
se esso sapea niente—respetto el tuo sapere.
Poneste la tua sedia—da parte d’aquilone,
de contra Dio altissimo—fo la tua entenzione;
subito hai ruina,—sei preso en tua magione,
e nullo se trov?ne—a poterte guarire.
Lucifero novello—a sedere en papato,
lengua de blasfemia—che ’l mondo hai venenato,
che non se trova spezie,—bruttura de peccato,
l? ’ve tu se’ enfamato—vergogna ? a proferire.
Poneste la tua lengua—contra la relione,
a dicer la blasfemia—senza nulla cagione;
e Dio s? t’ha somerso—en tanta confusione,
che onom ne fa canzone—tuo nome a maledire.
O lengua macellaia—a dicer villania,
remproperar vergogne—con grande blasfem?a,
n? emperator n? rege—chi voi altri se sia,
da te non se part?a—senza crudel ferire.[Pg 132]
O pessima avarizia,—sete enduplicata,
bever tanta pecunia,—non esser saziata;
non ce pensavi, misero,—a cui l’hai congregata;
ch? tal la t’ha robbata—che non te era en pensiere.
La settimana santa,—che onom stava en planto,
mandasti tua fameglia—per Roma andar al salto,
lance andar rompendo,—facendo danza e canto;
penso ch’en molto afranto—Dio te degia punire.
Entro per santo Petro—e per Santa Santoro
mandasti tua fameglia—facendo danza e coro;
li peregrini tutti—scandalizati fuoro,
maledicendo tuo oro—e te e tuo cavalliere.
Pensavi per augurio—la vita perlongare;
anno, d? n? ora—omo non p? sperare;
vedemo per lo peccato—la vita stermenare,
la morte appropinquare—quand’om pensa gaudere.
Non trovo chi recordi—nullo papa passato
ch’en tanta vanagloria—esso sia delettato;
par che ’l timor de Dio—derieto aggi gettato,
segno ? de desperato—o de falso sentire.
[Pg 133]

LIX

De la santa povert? signora de tutto

Povertade enamorata,—grand’? la tua signoria.
Mia ? Francia ed Inghilterra,—enfra mar aggio gran terra,
nulla me se move guerra,—s? la tengo en mia bal?a.
Mia ? la terra de Sassogna,—mia ? la terra de Guascogna,
mia ? la terra de Borgogna—con tutta la Normandia.
Mio ? ’l renno Teotonicoro,—mio ? ’l renno Boemioro,
Ibernia e Dacioro,—Scozia e Freson?a.
Mia ? la terra de Toscana,—mia ? la valle spoletana,
mia ? la Marca anconetana—con tutta la Schiavon?a.
Mia ? la terra cicigliana,—Calabria e Puglia piana,
Campagna e terra romana—con tutto ’l pian de Lombardia.
Mia ? Sardenna e renno Cipri,—Corseca e quel de Creti,
de l? del mar gente infiniti—che non saccio l? ’ve stia.
Medi, persi ed elamiti,—iacomini e nestoriti,
giurgiani, etiopiti,—India e Barbar?a.
Le terre ho dato a lavoranno,—a li vasalli a coltivanno,
gli frutti dono en anno en anno,—tant’? la mia cortesia.
Terra, erbe con lor colori,—arbori e frutti con sapori,
bestie, miei servitori,—tutte en mia befolcar?a.
Acque, fiumi, lachi e mare,—pescetegli e lor notare,
aere, venti, ucel volare,—tutti me fonno giollar?a.
Luna, sole, cielo e stelle—fra miei tesor non son covelle,
de sopra cielo s? ston quille—che tengon la mia melodia.
Poi che Dio ha ’l mio velle,—possessor d’onnecovelle,
le mie ale on tante penne—de terra en cielo non m’? via.
Poi el mio voler a Dio ? dato,—possessor so d’onne stato,
en lor amor so trasformato,—ennamorata cortesia.
[Pg 134]

LX

De la santa povert? e suo triplice cielo

O amor de povertate,—regno de tranquillitate!
Povertate, via secura,—non ha lite n? rancura,
de latron non ha paura—n? de nulla tempestate.
Povertate muore en pace,—nullo testamento face,
lassa el mondo como iace—e le gente concordate.
Non ha iudece n? notaro,—a corte non porta salaro,
ridese de l’uomo avaro—che sta en tanta ansietate.
Povert?, alto sapere,—a nulla cosa soiacere,
en desprezo possedere—tutte le cose create.
Chi despreza s? possede,—possedendo non se lede,
nulla cosa i piglia ’l pede—che non faccia sue giornate.
Chi des?a ? posseduto,—a quel ch’ama s’? venduto;
s’egli pensa que n’ha ’vuto,—han’avute rei derrate.
Tropo so de vil coragio—ad entrar en vasallagio,
simiglianza de Dio ch’agio—deturparla en vanitate.
Dio non alberga en core stretto,—tant’? grande quant’hai affetto,
povertate ha s? gran petto,—che ci alberga deitate.
Povertate ? ciel celato—a chi en terra ? ottenebrato;
chi nel terzo ciel su ? ’ntrato,—ode arcana profunditate.
El primo ciel ? ’l fermamento,—d’onne onore spogliamento,
grande porge empedimento—ad envenir securitate.
A far l’onor en te morire,—le ricchezze fa sbandire,
la scienzia tacere—e fugir fama de santitate.
La richeza el tempo tolle,—la scienzia en vento estolle,
la fama alberga ed acolle—l’ipocresia d’onne contrate.[Pg 135]
Pareme cielo stellato—chi da questi tre ? spogliato,
?cce un altro ciel velato:—acque chiare solidate.
Quattro venti move ’l mare—che la mente fon turbare,
lo temere e lo sperare,—el dolere e ’l gaudiare.
Queste quattro spogliature—pi? che le prime so dure;
se le dico, par errure—a chi non ha capacitate.
De lo ’nferno non temere—e del ciel spem non avere;
e de nullo ben gaudere—e non doler d’aversitate.
La virt? non ? perchene,—ca ’l perchene ? for de t?ne;
sempre encognito te t?ne—a curar tua enfermitate.
Se son nude le virtute—e le vizia son vestute,
mortale se don ferute,—caggio en terra vulnerate.
Puoi le vizia son morte,—le virtute son resorte
confortate da la corte—d’onne empassibilitate.
Lo terzo ciel ? de pi? altura,—non ha termen n? mesura,
fuor de la magenatura—fantasie mortificate.
Da onne ben s? t’ha spogliato—e de virtute spropriato,
tesaurizi el tuo mercato—en tua propria vilitate.
Questo cielo ? fabricato,—en un nihil ? fondato,
o’ l’amor purificato—vive nella veritate.
Ci? che te pare non ?,—tanto ? alto quello che ?,
la superbia en cielo se’—e dannase l’umilitate.
Entra la vertute e l’atto—molti ci ode al ioco ?matto?,
tal se pensa aver buon patto—che sta en terra alienate.
Questo cielo ha nome none,—moza lengua entenzione,
o’ l’amor sta en pregione—en quelle luce ottenebrate.
Omne luce ? tenebr?a,—ed omne tenebre c’? dia,
la nova filosofia—gli utri vechi ha dissipate.
L? ’ve Cristo ? ensetato,—tutto lo vechio n’? mozato,
l’un ne l’altro trasformato—en mirabile unitate.
Vive amor senza affetto—e saper senza entelletto,
lo voler de Dio eletto—a far la sua volontate.
Viver io e non io,—e l’esser mio non esser mio,
questo ? un tal trasvers?o,—che non so diffinitate.
Povertate ? nulla avere—e nulla cosa poi volere;
ed omne cosa possedere—en spirito de libertate.
[Pg 136]

LXI

De san Francesco e de sette apparizione de croce
a lui e de lui fatte

O Francesco povero,—patriarca novello,
porti novo vexello—de la croce signato.
De croce trovam sette—figure demostrate,
como trovamo scrette—per ordene contate,
aggiole abbreviate—per poterle contare;
encresce l’ascoltare—de longo trattato.
La prima, nel principio—de tua conversione,
palazo en artificio—vedesti en visione;
piena la magione—de scude cruciate,
l’arme demostrate—del popol che t’? dato.
Stando en orazione—de Cristo meditanno,
tale enfocazione—te fo enfusa entanno,
sempre puoi lacremanno—quando te remembrava,
Cristo te recordava—nella croce levato.
Cristo te disse allora:—Se vuol po’ me venire,
la croce alta, decora—prende con gran desire;
e te anichilire,—se vuol me seguitare,
te medesimo odiare,—el prossimo adamato.—
La terza fiata stanno—a guardar a la croce,
Cristo te disse entanno—con gran suono de voce;
per nome clam? el doce—Francesco tre fiata:
—La chiesa ? sviata,—repara lo suo stato.—
Poi, la quarta fiata,—vidde frate Silvestro
una croce enaurata—fulgente nel tuo petto;
el draco maledetto,—ch’Asise circondava,
la voce tua el fugava—de tutto lo ducato.[Pg 137]
Vidde frate Pacifico—la croce de duoi spade
en te, Francesco angelico,—degno de gran laude;
le spade son scontrade:—l’una da capo a piede,
l’altra en croce se vede—per le braccia spiecato.
Vidde te stare en aere—beato fra Monaldo,
o’ stava a predicare—santo Antonio entanno:
en croce te mostranno,—frati benediceve,
poi li despareve,—como trovam contato.
La settima a la Verna,—stando en orazione,
sopra quella gran penna—con gran devozione,
mirabel visione,—serafin apparuto,
crucifisso ? veduto—con sei ale mostrato.
Encorpor?tte stimate,—lato, piede e mano,
duro f?ra a credere—se nol contam de piano;
staendo vivo e sano—molti s? l’on mirate;
la morte declarate,—da molti fo palpato.
Fra l’altri santa Chiara—s? l’apicci? coi denti,
de tal tesaro avara—essa con la sua gente;
ma non gli valse niente,—ca gli chiovi eran de carne,
s? como ferro stane—duro ed ennervato.
La sua carne bianchissima,—co carne puerile,
enante era brunissima—per gli freddi nevili;
l’amor la fe’ gentile—che par glorificata,
d’onne gente amirata—de mirabel ornato.
La piaga laterale—como rosa vermiglia,
lo pianto era tale—ad quella meraviglia,
vederla en la simiglia—de Cristo crucifisso,
lo cor era en abisso—veder tal spechiato.
O pianto gaudioso,—pieno d’amiranza,
pianto delettoso,—pieno di consolanza;
lacrime d’amanza—ce fuor tante gettate,
veder tal novetate,—Cristo nuovo piagato.
Gi? da le calcagna—agli occhi tra’ l’umore
questa veduta magna—d’esto enfocato ardore;
a li santi stette en cuore,—en Francesco fuor ? uscito
lo balsamo polito—che ’l corpo ha penetrato.[Pg 138]
En quella altissima palma—o’ salisti, Francesco,
lo frutto pigli? l’alma—de Cristo crucifisso;
fusti en lui s? trasfisso,—mai non te mutasti;
co te ce trasformasti—nel corpo ? miniato.
L’amore ha questo officio,—unir dui en una forma;
Francesco nel supplicio—de Cristo lo trasforma,
emprese quella norma—de Cristo ch’avea en core,
la mostra fe’ l’amore—vestito d’un vergato.
L’amor divino altissimo—con Cristo l’abracci?ne,
l’affetto ardentissimo—s? lo cc’encorpor?ne,
lo cor li stemper?ne—como cera a sigello,
emprimettece quello—ov’era trasformato.
Parlar de tal figura—con la mia lengua taccio,
misteria s? oscura—d’entenderle soiaccio;
confesso che nol saccio—splicar tanta abondanza,
la smesurata amanza—de lo cuor enfocato.
Quanto fosse quel foco—non lo potem sapere;
lo corpo suo tal gioco—non pot? contenere;
en cinque parte aprere—lo fece la fortura
per far demostratura—que en lui era albergato.
Nullo trovamo santo—che tal segni portasse;
misterio s? alto,—se Dio non revelasse;
buono ? che lo passe,—non ne saccio parlare,
quil el porran trattare—che l’averan gustato.
O st?mate amirate,—fabricate divine,
gran cosa demostrate—ch’a tal segni convine;
saperasse a la fine—quando sir? la giostra,
che se far? la mostra—del popolo crociato.
O anima mia secca—che non puoi lacrimare,
currece a bever l’?sca,—questo fonte potare,
loco te enebriare;—e non te ne partire,
l?ssatece morire—al fonte ennamorato.
[Pg 139]

LXII

De san Francesco
e de le bataglie del Nemico contra lui

O Francesco, da Dio amato,—Cristo en te s’?ne mostrato.
Lo Nemico engannatore,—aversier de lo Signore,
creato l’omo, ave dolore—che possedesse lo suo stato.
Giendo a lui con fraudolenza—e cascollo d’obedenza,
f?lli far grande perdenza,—del paradiso fo cacciato.
Puoi che l’uomo fo caduto—e lo Nemico fo saluto,
ed en superbia raputo,—ch’era signor deventato;
Dio, vedendo questo fatto,—fecese om e dieglie ’l tratto,
e tolseli tutto l’acatto—che sopre l’om av?’ acquistato.
Con la sua umilitate—tolseli prosperitate,
e con la santa povertade—s? li die’ scacco giocato.
Per gran tempo fo sconfitto—lo Nemico maleditto,
relevosse e fece gitto—e lo mondo ha rapicciato.
Vedendo l’alta Signoria—che lo Nemico s? venc?a,
mandar ce vuol cavallaria—con guidator ben amastrato.
San Francesco ce fo elesso,—per gonfalonier ? messo,
ma nullo ne vol con esso—che non sia al mondo desprezato.
Non vol nullo cavalliere—che non serva a tre destriere:
povertate ed obedere,—en castit? sia enfrenato.
?rmase lo guidatore—de l’arme del Signore,
s?gnalo per grand’amore—de soi segni l’ha ’dornato.
Tanto era l’amore acuto—che nel cuor avea tenuto,
che nel corpo s? ? apparuto—de cinque margarite ornato.
De la fico ave figura,—che ? grassa per natura,
rompe la sua vestitura—en bocca rieca melato.[Pg 140]
Poi gl’insegna de schirmire,—de dar colpi e sofferire,
ens?gnali co degia dire:—pace en bocca gli ? trovato.
Lo Nemico s’atrem?o,—vedendo lui s’empaur?o,
parvegli Cristo de Dio—che en croce avea spogliato.
—S’egli ? Cristo, non me giova,—ch’esso vencer? la prova;
non so guerra che me mova,—s? par dotto ed amastrato.
Lasso me, da cui so vento!—ancora non me sgomento,
voglioce gire, e mo el tento,—ch’io possa far con lui mercato.
O Francesco, que farai?—te medesmo occiderai
del digiunio che fai,—s? l’hai duro comenzato.
—Facciol con discrezione,—ch’agio ’l corpo per fantone,
tengolo en mia pregione,—s? l’ho corretto e castigato.
—Veramente fai co santo,—el tuo nom ? en onne canto;
m?strate co stai ad alto,—ch? ’l Signor ne sia laudato.
—Celar voglio lo migliore—e mostrarme peccatore;
lo mio cor agio al Signore,—tenendo el capo umiliato.
—Quegna vita vorrai fare?—non vorrai tu lavorare
che ne possi guadagnare—e darne a chi non ? adagiato?
—Metter?mme a gir pezente—per lo pane ad onne gente,
l’amor de l’Onnipotente—me fa gir co ’nebriato.
—Frate, tu non fai niente,—periscerai malamente,
gli sequaci fai dolente,—c’hai niente conservato.
—Tener voglio la via vera,—n? sacco voglio n? pera,
en pecunia posto ?ra—che non sia dagl miei toccato.
—Or te ne va en foresta—con tutta questa tua gesta,
piacer? a l’alta Mai?sta—e l’om ne sir? edificato.
—Non so messo per mucciare:—’nante, vengo per cacciare,
ch? te voglio assediare—ed a le terre agio attendato.
—Molta gente me torrai—con questo ordene che fai,
le femene me lasserai,—che non ? buon misticato.
—Ed io te voglio dir novelle—le qual non te par?n belle:
fatto ho orden de sorelle,—da le qual sie guerregiato.
—Qual ser? la scortegiante—che se voglia trare enante
contra le mie forze tante,—che tutto ’l mondo ho conquistato?
—Nella valle Spoletana—una vergen c’? soprana:
Clara, de donna Ortulana,—templo de Dio consecrato.[Pg 141]
—Quilli che son coniugati—non siron da star coi frati,
siron da te allecerati,—aver?gl so mio guidato.
—Ed io te vogl far afflitto.—Uno ordine agio elitto:
penitenti, orden deritto,—en matrimonio dirizato.
—Or non me toccar la res?a,—che ? contra la tua via:
questo non comportar?a,—troppo ne sir?a turbato.
—Farne voglio inquisizione—a destruger tua magione,
metteraiolo en pregione—chi ne trover? toccato.
—Oim? lasso, me tapino,—ch? me s’? rotto l’oncino,
haime messo en canna un frino—che me fa molto arafrenato.
O Francesco, co m’hai strutto!—el mondo te arprendi tutto,
ed haime messo en tal corrotto,—che m’hai morto e subissato.
Non voglio pi? suffrire,—per anticristo voglio gire;
e vogliolo far venire,—ch? tanto ? profetizato.
—Con lui te dar? el tratto,—el mondo t’artorr? affatto,
enfra li tuoi trover? patto—che i vestir? del mio vergato.
—La profezia non me talenta,—a la fin s? me sgomenta,
che te de’ armaner la venta,—alora siraio enabissato.—
La battaglia dura e forte,—molti sir?n feriti a morte,
chi vincer? aver? le scorte,—e d’onne ben sir? ditato.
[Pg 142]

LXIII

Epistola consolatoria a frate Ioanni da Fermo
ditto da la Verna per la stanzia dove anco se riposa:
transferita en vulgare la parte litterale, quale ? prosa

A fra Ianne da la Verna,—ch’en quartana se scioverna,
a lui mando questa scretta,—che da lui deggi esser letta.

Gran cosa ho reputata e reputo sapere abundare de Dio. La ragione? perch? in quello ? esercitata la umilit? con reverenzia. Ma grandissima cosa ho reputata e reputo sapere degiunare de Dio e patirne caristia. La ragione? perch? in quello la fede ? esercitata senza testimonii: la speranza senza espettazione de premio: la carit? senza signi de benivolenzia. Questi fondamenti sono ne li monti santi. Per questi fondamenti ascende l’anima a quello monte coagulato, nel quale se gusta el mele de la pietra e l’olio de lo sasso durissimo.

Vale, fra Ioanne, vale!—non t’encresca patir male.
Fra la ’ncudene e ’l martello—s? se fa lo bel vasello;
lo vasello de’ star caldo,—perch? ’l corpo venga en saldo.
Se a freddo se battesse,—non falla che non rompesse;
se ? rotto, perde l’uso—ed ? gettato fra lo scuso.
Argom?ntate a clamare—che ’l Signor te degia dare
onne male e pestilenza,—ch’a questo ? desplacenza.
Malum pene ? glorioso—se da colpa non ? encloso;
se per colpa l’omo el pate,—non se scusan tal derrate.
[Pg 143]

LXIV

Cantico de la nativit? de Ies? Cristo

O novo canto,—c’hai morto el pianto
de l’uomo enfermato.
Sopre el ?fa? acuto—me pare emparuto
che ’l canto se pona;
e nel ?fa? grave—descende suave
che ’l verbo resona.
Cotal desciso—non fo mai viso
s? ben concordato.
Li cantatori—iubilatori
che tengon lo coro,
son gli angeli santi,—che fanno li canti
al diversoro,
davante ’l fantino,—che ’l Verbo divino
ce veggio encarnato.
Audito ? un canto:—?Gloria en alto
a l’altissimo Dio;
e pace en terra,—ch’? strutta la guerra
ed onne rio;
onde laudate—e benedicete
Cristo adorato!?—
En carta ainina—la nota divina
veggio ch’? scritta,
l? ’v’? ’l nostro canto—ritto e renfranto
a chi ben ci afitta;
e Dio ? lo scrivano—c’ha ’perta la mano,
che ’l canto ha ensegnato.[Pg 144]
Loco se canta—chi ben se n’amanta
de fede formata;
divinitate—en sua maiestate
ce vede encarnata;
onde esce speranza—che d? baldanza
al cor ch’? levato.
Canto d’amore—ce trova a ttut’ore
chi ce sa entrare;
con Dio se conforma—e prende la norma
del bel desiare;
co serafino,—deventa divino
d’amor enflammato.
El primo notturno—? dato a lo sturno
de martirizati:
Stefano ? ’l primo,—che canta sublimo
con soi acompagnati,
ch’on posta la vita,—en Cristo l’? ins?ta
ch’? fior de granato.
El secondo sequente—? dato a la gente
de li confessori;
lo Vangelista—la lengua ci ha mista
ch’adorna li cori;
ch? nullo con canto—vol? tanto ad alto
s? ben consonato.
El terzo sequente—a li innocenti
par che se dia;
ch? col Garzone—ad ogne stagione
so en sua compagnia:
?Te Dio laudamo,—con voce cantamo
ch? Cristo oggi ? nato!?.
O peccatori,—ch’a li mal signori
avete servito,
venite a cantare—che Dio p? om trovare,
ch’en terra ? apparito
en forma de garzone,—e tiello en prigione
chi l’ha desiato.[Pg 145]
Uomini errati,—che site vocati
a penetenza,
la quale onne errore—ve tolle dal core,
e d? entellegenza
da veritade—per pietade
a chi ? umiliato;
uomini iusti,—che sete endusti,
venite a cantare,
ch? sete envitati,—a Dio vocati
a gloriare,
a regno celesto,—che compie onne festo
che ’l core ha bramato.
[Pg 146]

LXV

Cantico secondo de la nativit? de Cristo

Ad l’amor ch’? venuto—en carne a noi se dare,
andiamo a laude fare—e canto con onore.
On?ral, da che viene,—alma, per te salvare;
via, pi? non tardare—ad lui de pervenire!
De s? non se retene—che non te voglia dare
parte, perch? vol fare—te seco tutto unire;
porrai donqua soffrire—a llui che non te rendi,
e lui tutto non prendi—e abbracci con amore?
Pensa quanto te dona—ed a te que demanda,
per? che non comanda—pi? che non possi fare;
lo ciel s? abandona—e per terra s? anda,
ed ante s? non manda—richeza per usare;
en stalla s? vol stare,—palazo abandonato,
seco non ha menato—alcun suo servitore.
La sedia d’auro fino—de gemme resplendente,
corona s? lucente—or perch? l’hai lassata?
orden de cherubini,—serafin tanto ardente,
quella corte gaudente—co l’hai abandonata?
corte tanto onorata—de tal servi e donzelli
e per amor fratelli,—perch? lassi, Signore?
Per sedia tanto bella—presepe hai recevuto,
e poco feno avuto—dove fussi locato;
per corona de stelle—en pancelli envoluto,
bove ed aseno tenuto—ch’eri s? onorato;
ora se’ acompagnato—da Iosef e Maria
ch’avevi en compagnia—corte de tanto onore.[Pg 147]
Ebrio par deventato—o matto senza senno,
lassanno s? gran renno—e s? alte richeze;
ma com’? ci? scontrato—de tal matteza segno?
Avereste tu pegno—altre trovar alteze?
Vegio che son forteze—d’amor senza mesura,
che muta tanta altura—en s? basso valore.
Amor de cortesia,—de cui se’ ’namorato,
che t’ha s? vulnerato,—che pazo te fa gire?
Vegio che t’ha en bal?a,—s? forte t’ha legato,
che tutto te se’ dato,—gi? non p?i contradire;
ben so che a morire—questo amore s? te mena,
da poi che non allena,—n? cessa suo calore.
Gi? non fu mai veduto—amor s? smesurato,
ch’allora, quando ? nato,—agia tanta potenza,
poi che s’? venduto—emprima che sia nato;
l’amor t’ha comparato,—de te non fai retenza;
e non reman sentenza—se non che te occida
l’amor e s? conquida—en croce con dolore.
Ha fatto tal baratto—en la prima ferita,
onne cosa rapita—con s? gran forteza;
ad s? ha tanto tratto—senno, virt? e vita,
pi? ch’onne calamita—ferro; s? grande alteza
ad cus? vil bassezza—en stalla farte stare,
per amor non schifare—defetto n? fetore.
E che tu non conoschi—o non hai sentimento,
ad tale abassamento,—Ies?, tu se’ venuto;
en te par che s’offoschi—luce de splendimento,
potere e vedimento—pare che sia perduto;
hatte l’amor feruto—e tu non te defendi,
a sua forza t’arendi—donando tuo vigore.
Ben so che, garzoncello,—hai perfetto sapere,
e tutto quel potere—c’ha la perfetta etade;
donqua, co picciolello—poteve contenere
tutto lo tuo volere—en tanta vilitade?
Grand’era caritade,—tutto s? te legava,
ed en s? occultava—senno, forza e valore.[Pg 148]
En cus? vil pancelli—envolto te fe’ stare,
e forte a bisognare—che ricevissi aiuto.
O cari cenciarelli,—potendo s? fasciare
e l’alto Dio legare—co fosse destituto!
En que era involuto—s? caro e fin tesauro
sopr’onne gemma ed auro—en vil prezo e colore!
Co se de’ nominare—amor s? smesurato,
lo qual s? ha legato—ad s? l’Onnipotente?
Gi? non se p? montare—ad grado de tal stato
amor che fosse nato—de figlio o de parente,
che prenda s? la mente,—legando onne forteza,
traendo con dolceza—fuor d’onne suo sentore.
Ben vegio che ama figlio—lo patre per natura,
e matre con dolzura—tutto suo cuor li dona:
ma che perda consiglio,—senno, forza e valura,
questo non m’afigura—che tutto en lui lo pona;
veggio che a s? perdona,—non volendo morire
per lui, n? sofferire—tormento n? dolore.
Chi per amor trovare,—volesse perder vita,
nulla cosa gradita—ad s? pi? retenere,
povert? comperare—per cara margarita,
mortale al cor ferita—per questo sostenere;
chi dona, vol vedere—de que fosse cambiato,
amando com’? amato—da lo suo amadore.
Que dar pu? creatura—ad te, somma bontade,
ch? tu per caritate—ad lei te se’ donato?
Tutta la sua valura—alla tua dignitate
? pegio che viltate;—dunqua, a cui te se’ dato?
Or, co sirai cambiato—de s? gran cortesia?
La nostra malsan?a—pu?ti donar sapore?
Or ecco che tu ce abbi,—parme, s? vil guadagno,
demanda l’auro stagno—per mostrar sua belleza;
trovar par che n’arrabbi,—e pensa qual fai cagno,
letizia dar per lagno,—per povert? richeza;
or non ? gran matteza—ad s? non retenere
senno n? suo volere—per comparar amore?[Pg 149]
Amor esmesurato,—grande s? hai forteza,
che la divina alteza—puoi tanto abassare;
lo cor hai vulnerato—de la somma belleza,
nostra piacer laideza—per poter desponsare;
de s? non p? curare,—Ies? pare empazito;
l’amor s? l’ha ferito,—pena li par dolzore.
O ennamorato Dio,—d’esto amor me novella,
che s? ben renovella—gli amanti rengioire;
contemplar s? poss’io—tua faccia tanto bella,
reposome con ella—n? altro vo’ sentire;
per? vorrei udire—com’egli t’ha legato,
se far posso mercato—sentir d’esto calore.
—Sposa che me demandi,—ammiri lo gran fatto,
pensando lo baratto—ch’amor m’ha fatto fare;
pregando me comandi,—s? fuor de me son tratto,
enverso te combatto,—l’amor me fa penare;
donqua pi? non tardare—ad me che non te rendi,
como me do, s? prendi,—ad me dona tuo core.
De te so ’namorato,—o sposa, cui tant’amo;
soccorri tanto bramo—teco far parenteza.
L’amor s? m’ha legato—e preso como l’amo;
per? sposa te chiamo—abracciar con nettezza;
pensa ch’a tua basseza—per te s? so desceso,
amor de te m’ha preso,—encende con ardore.
Per te lasso richeze—e prendo povertade,
forte penalitade—lassando onne diletto;
commuto le dolceze—en grande aversitate,
vera tranquillitate—en dolore e defetto;
amor cus? perfetto—ora sia conosciuto
da te e recevuto,—dando amor per amore.
Se non me puoi donare—richeza n? talento,
n? darme entendemento,—n? poterme engrandire;
de fuor de te que dare—me puoi per pagamento?
Cosa de valimento—non ? de tuo largire;
questo famme empazire,—amor c’hai en bal?a
che lo tuo cor me dia—qual demando tuttore.[Pg 150]
En ci? sta mio mercato—che tieco voglio fare,
e per ci? voglio dare—me con tutta richeza;
da cielo agio recato—tesauro per cambiare
vita con gloriare—per morte d’amareza;
prende da me dolceza,—dando dolor e pena,
l’amor che non ha lena—m’ha fatto sprecatore.
A tte poco ademando—e molto s? tte dono,
e gi? non me perd?no,—per te voglio morire;
se pensi que comando,—en que cosa me pono,
amor, chiedo, per dono—-terr?ti de largire?
Amor, faime empazire—altro non posso fare,
tanto m’hai fatto dare—pi? so che giocatore.
Sposa dota marito,—da lui non ? dotata;
prima dota ? trattata—che la voglia sponsare;
nullo par s? smarrito—per cui dota sia data,
gi? se non ha trovata—donna de grande affare,
volendo esaltare—s? per gran parenteza,
levando sua basseza—ad dignit? d’onore.
Alteza non aspetto—n? alcuna magior?a
da te, o sposa mia,—ad cui s? me so dato;
prendo per te defetto—vergogna e meschin?a;
or donque sempre sia—en me tuo amor locato,
perch? non m’hai dotato,—ma te voglio dotare,
tutto mio sangue dare—en croce con dolore.
En dota s? te dono—richeze esmesurate,
che non fo mai pensate,—ben te porran rempire;
en cielo s? le pono,—l? te son conservate,
non ponno esser robbate,—n? per s? mai perire;
de luce te vestire—pi? che sole s? voglio,
per? prima te spoglio—de colpa e de fetore.
De corona de stelle—sirai encoronata,
en sedia collocata—de gemme ed auro fino;
de margarite e perle—ser? la veste ornata,
la zambra apparecchiata—de drappi e baldachino;
tutta sir? divino;—ma parlote en figura,
perch? non hai valura—pensar esso candore.[Pg 151]
Per darte questo stato—descesi a tal basseza,
en stalla de laideza—aver v?lsi riposo;
sia donque recambiato—amor de tanta alteza,
che viene con tal richeza—per donarse gioioso;
cor non stia ozioso—de me trovar fervente:
rescaldese la mente,—abracci con fervore.
Amor, priego, me dona,—sposa, ch’amor demando,
altro non vo cercando—se non amor trovare;
l’amor non me perdona,—tutto me va spogliando,
forte me va legando,—non cessa d’enflammare;
donqua prendi ad amare,—sposa cotanto amata,
ben t’aggio comparata,—pi? dar non ho valore.
—Ies?, dolce mio sposo,—dimme que posso fare,
ch? io te possa amare—quanto te so tenuta;
ch’a te non fo penoso—per me pena portare,
volendome salvare—ch’en colpa era caduta;
per me, vegio, ? venuta—la Maiesta divina,
de serva far regina,—trarmi d’ogni fetore.
Amor, tutta so tua—poi che m’hai creata,
ed hame recomparata—ch’era dannata a morte;
chi la derrata sua—avesse retrovata,
per lui ? ben guardata—ed amata pi? forte;
nullo ce pu? aver sorte—en me, se non tu, Cristo;
facesti questo acquisto,—s?ene conservatore.
A tte pi? che me tutta,—amor, se dar potesse
non ? che nol facesse;—ma pi? non ho che dia;
lo mondo e ci? che frutta,—se tutto el possedesse,
e pi?, se ancora avesse,—dar?ate, vita mia;
d?tte che ho en bal?a:—voler tutto e sperare,
amare e desiare—con tutto el mio core.
So che non se’ cambiato,—ma pi? tu non demandi;
d?tte quanto comandi—e volere enfinito
che non ? terminato,—che ancora pi? non andi,
e tutto non se spandi—en te stando rapito;
l’amor ha el cor ferito,—che se morir potesse
e mille vite avesse,—per te darebbe, amore.[Pg 152]
Demandi che pi? dia,—amor, questa tua sposa
che tanto ? desiosa—te potere abracciare;
o dolce vita mia,—non me far star penosa,
tua faccia graziosa—me dona a contemplare;
se non potesti fare—tu da l’amor defesa,
co posso far contesa—portar tanto calore?
Donqua, prendi cordoglio—de me, Ies? pietoso!
Non me lassar, mio sposo,—de te star mai privata;
s’io me lamento e doglio—quando tuo amor gioioso
non se d? grazioso,—ben par morte acorata;
da che m’hai desponsata,—sarestime crudele,
lo mondo me par fiele—ed onne suo dolzore.
Voglio ormai far canto,—ch? l’amor mio ? nato
ed hame recomperato;—d’amor m’ha messo anello;
l’amor m’encende tanto—ch’en carne me s’? dato,
terrollome abracciato,—ch’? fatto mio fratello;
o dolce garzoncello,—en cor t’ho conceputo
ed en braccia tenuto,—per? s? grido:—Amore!—
Amanti, voi envito—a noze s? gioiose,
che son s? saporose—dove l’amor si prova;
egli ? con noi unito—con richeze amorose,
delizie graziose—dove l’amor se trova;
alma, or te renova,—abraccia questo sposo,
el se d? s? delettoso,—gridiamo:—Amore, amore!—
Amor, or ne manteni—d’amore enebriati,
teco stare abracciati—en amor trasformato;
e sempre ne sovieni—che non siamo engannati,
ma en amor trovati—col cor sempre levato;
per noi, amor, se’ nato,—d’amor sempre ne ciba,
qual fariseo o scriba—non gusta per sapore.
[Pg 153]

LXVI

Pianto che fa l’anima per la occultazione de la grazia

Or chi aver? cordoglio?—vorr?ane alcun trovare
che vorr?a mostrare—dolor esmesurato.
Vorr?a trovar alcuno—che avesse pietanza
de lo mio cor afflitto,—pieno di tribulanza;
o Dio de dirittanza,—come me se’ indurato!
Veggio che iustamente—haime de te punito,
mostrato m’hai el defetto—perch’?i da me fugito,
iustizia m’ha ferito—ed hamme de te privato.
Non trovo pietanza—che m’armenava a corte;
qual ? lo serrime—che m’ha chiuse le porte?
la ’ngratituden forte—tiemme l’uscio serrato.
Veggio che non me giova—pianger n? suspirare,
n? legger n? orare—ch’io possa arvenire;
la lengua nol sa dire—quant’? ’l mio cor penato.
La lengua non sa dire—che ’l cor non p? pensare;
ben va fin al dolore,—ma non ce pu? entrare,
ch’? maior de lo mare—el dolor ch’i’ ho portato.
Vorr?a trovar alcuno—che lo s’endivinasse,
non se porr?a soffrire—che non se ne plorasse;
o Dio, ove me lasse—fra i nemici sciarmato?
Giragio como Uria,—sciarmato a la battaglia,
saccio che io ce morr?—en questa dura sembiaglia;
null’? che gliene caglia,—morr? detuperato.
E que s’? fatta l’arme—con que me defendea?
tutti li miei nemici—con esse sconfigea,
so preso en mala via,—como Sanson legato.[Pg 154]
Ben veggio beneficia,—perch? te deggio amare,
e volle revoltando—per poterte aretrovare,
non me ce giova ’l cercare—poi ch’?i da me celato.
Signor, io vo cercando—la tua nativitate,
e mettome a vedere—le tue penalitate,
non ci ho suavitate,—ch? l’amor ? rafreddato.
Vedendo el mio cordoglio,—s? me se move pianto,
ma ? un pianto sciucco—che vien da cor affranto;
ed ov’? ’l dolzor tanto—che me s’? s? encarato?
[Pg 155]

LXVII

Como l’anema se lamenta de l’amore divino partito

—Amor, diletto amore,—-perch? m’hai lassato, amore?
Amor, di’ la cagione—de lo tuo partimento,
che m’hai lassata afflitta—en gran dubitamento;
se da schifeza ?i vento,—vogliote satisfare;
s’io me voglio tornare,—non te ne torne amore?
Amor, perch? me desti—nel cor tanta dolceza,
da poi che l’hai privato—de tanta alegreza?
non chiamo gentileza—om che d? ed artoglie;
s’io ne parlo co folle,—io me n’ho anvito, amore.
Amor, tua compagnia—tosto s? m’? falluta,
non saccio do’ me sia,—facendo la partuta;
la mente mia smarruta—va chedendo ’l dolzore,
che gli ? furato ad ore—che non se nn’? adato, amore.
Amore, om che fura—ad altri gran tesoro,
la corte s? lo piglia,—-fagli far lo ristoro;
denante a la corte ploro—che me faccia ragione
de te, grande furore,—che m’hai sottratto, amore.
Amor, lo mercatante,—ch’? molto pregiato,
e nascoso fa ’l sottratto—a chi li s’? tutto dato,
da poi che ? spalato,—perde la nomenanza;
onon ha dubitanza—de cr?dergliese, amore.
Amor, li mercatanti—c’han fatta compagnia,
e l’un fa li sottratti,—non li se par chi sia;
tutta moneta ria—lassa nello taschetto,
la bona se n’ha scelto,—s? la rapisce, amore.[Pg 156]
Amor, om c’ha mercato—e v?ndolo volentire,
vedendo quel che brama,—deve da lui fugire?
Non lo dever?a dire:—Io vogl vender mercato?—
Ed en cor tien celato,—ch? nogl vol dar, amore.
Amor, lo tuo mercato—era tanto piacente,
nol m’avessi mostrato,—non sir?a s? dolente;
lassasteme ne la mente—la lor remembranza,
facestilo a sutiglianza—per farme morir, amore.
Amor, om ch’? ricco—ed ha moglie ’narrata,
tornagli a grande onore—s’ella va mendicata?
Ricchezza hai smesurata,—non trovi a chi ne dare,
e p?imene satisfare—e non par che il facci, amore.
Amor, tu se’ mio sposo,—haime per moglie presa,
t?rnate a grande onore,—vetata m’? la spesa?
s?mmete en mano mesa—ed haime en le tue mane;
la gente desprezata m’hane,—s? so denigrata, amore.
Amore, chi mostrasse—lo pane a l’afamato,
e nolli volesse dare,—or non sir?a blasmato?
Da poi chel m’hai mostrato—e vedemi morire,
p?imene sovenire—e non par chel facci, amore.
Amor, lo mio coraggio—s? l’hai stretto ligato,
voglilo far perire,—ch? gli hai el cibo celato;
forse ch’en tal stato—mo me ne vuoi poi dare,
ch’io nol porr? pigliare,—per? tel recordo, amore.
Amor, om c’ha l’albergo—ed hal tolto a pescione,
sel lassa ’nante el tempo,—que ne vol la ragione?
Ca torni a la magione—e paghi tutta la sorte,
gi? non vol cose torte—a chi me ne rechiamo, amore.
—Omo che te lamenti,—brevemente responno:
tollendo lo tuo albergo,—cr?dici far sogiorno;
albergastice ’l monno—e me cacciasti via;
donqua fai villania,—se tu mormori d’amore.
Tu sai, mentre ce stetti,—quegne spese ce feci;
non te puoi lamentare,—s? te ne satisfeci,
ch’a nettarlo me misi,—ch’era pieno de loto;
fecel tutto devoto—per abitarci amore.[Pg 157]
Quando me ne part?e,—se ne portai lo mio,
como lo puoi tu dire—ch’io ne portassi el tio?
tu sai ch’ell’? s? rio,—ch’a me non ? em piacere;
ergo, co lo puoi dire—che te tolesse amore?
Quando alcuna cosa—ad alcuno ? prestata,
e non glie d? entrasatto,—non d?i esser blasmata
se la tolle a la fiata,—essendo colui villano,
non conoscente de mano—de que gli ha prestato amore.
Tu sai molte fiate—s’io ce so albergato,
e sai con gran vergogna—s? me n’hai uor cacciato;
forse non t’? a grato—che ce deggia abitare,
facendo vituperare—s? nobilissimo amore.
—Amor, ditt’hai la scusa,—ch’ella s? pu? bastare
a lo mormoramento—ch’agio voluto fare;
voglio ’l capo enchinare—che ne facci venditta;
non me tener pi? afflitta—de celarmete, amore.
—Vedendote pentuta,—s? ce voglio artornare,
ancor me fosse fatto—villano allecerare;
non voglio che tuo pare—facesse lamentanza
ch’io facesse fallanza—de lo legale amore.
[Pg 158]

LXVIII

Como l’anima piange la partita del suo amore

Piangi, dolente anima predata,
che stai vedovata de Cristo amore.
Piangi, dolente, e getta suspiri,
ch? t’hai perduto el dolce tuo Sire;
forsa per pianto mo ’l fai revenire
a lo sconsolato tristo mio core.
Io voglio piangere, ch? m’agio anvito,
ch? m’ho perduto pate e marito;
Cristo piacente, giglio fiorito,
?sse partito per mio fallore.
O Ies? Cristo, ed o’ m’hai lassata
enfra nemici cus? sconsolata?
?nme assalita le molte peccata,
de resistenzia non aggio valore.
O Ies? Cristo, co ’l puoi sofferire
de s? amara morte farme morire?
Damme licenzia de me ferire,
ch? mo m’occido con gran desiore.
O Ies? Cristo, avessi altra morte
che me donassi che fosse pi? forte!
S?mmeti tolto, serrate hai le porte,
non par che c’entri a te mio clamore.
O cor tapino, e que t’ha emprenato,
che t’ha el dolor cus? circondato?
recerca de for, ch? ’l vaso ? acolmato,
non hai dannagio da non far clamore.[Pg 159]
O occhi miei, e como finati
de pianger tanto che ’l lume perdati?
Perduto avete la gran redetate
de resguardare al polito splendore.
Orecchie miei, e que ve deletta
de udir pianto de amara setta?
non resentiti la voce diletta
che ve facea canto e iubilore?
O trista mene, que vo recordando!
La morte dura me va consumando,
n? vivo n? muoio cus? tormentando,
vo sciliata del mio Salvatore.
Non voglio mai de om compagnia,
salvaticata voglio che sia
enfra la gente la vita mia,
da c’ho perduto lo mio Redentore.
[Pg 160]

LXIX

Arbore de ierarchia simile a l’angelica:
fondata sopra la fede, speranza e caritate

Fede, spene e caritade—gli tre ciel vol figurare,
gli tre ciel e l’arbor pare—s? t’ensegno de trovare.
Ad onom chegio perdono—s’io parlo natoscono,
ch’io lo dico per alcono—e non per me de poco affare.
O tu, om, che stai en terra—e se’ creato a vita eterna,
vedi l’arbor che t’ensegna;—or non temer, briga d’andare.
A nove angeli poni cura—l’un de l’altro pi? en altura,
molto ? nobil tua natura,—tutti li p?i paregiare.
Lo primo arbor ch’? fondato,—nella fede ? radicato,
passa lo cielo stellato—e giogne fin allo sperare.
El primo rametel ch’? pento—de l’offeso pentimento,
sia confesso e ben contento—de non voler pi? peccare.
Poi el secondo me mand?ne—a ffar la satisfazione
d’onne mia offensione—fin a Roma, com’appare.
E lo terzo s? me disse—che de Cristo s? entendisse,
povero fosse, s’io volisse;—allor me v?lsi spogliare.
Om che giogne a tal stato,—s? se tiene per salvato,
ch? ’l primo angel ha trovato;—briga de perseverare.
Poi al quarto me tir?ne,—miseme en religione,
penitenza m’ensign?ne—e de lo ’nferno guardare.
Tosto el quinto s? me disse—ch’en tal ramo pi? non stesse,
ma a l’orazion me desse,—se volea casto stare.
Da lo sesto fui tirato—e de tacer amaestrato,
obedir al mio prelato—meglio che sacrificare.
Chi en tale stato si trova,—con gli arcangeli demora;
benedetto el d? e l’ora—che Dio el v?lse creare.[Pg 161]
Nello settimo fui tirato,—d’uno ramo desprezato,
fui battuto e descacciato;—ben me fu grave a portare.
Poi l’ottavo me tent?ne—fomme fatto grand’onore
per la gran devozione—l? tratti faceva andare.
Demorando enfra la gente,—al nono ramo pusi mente;
disseme:—Tu fai niente.—Cominciai a meditare.
Chi en tal stato ? applanato,—dagli troni ? acompagnato,
ch? la fede l’ha ben guidato;—sopra el ciel p? abitare.
Poi ch’a pensar me misi,—tutto quanto stupefisi,
e me medesmo reprisi—e v?lsi il corpo tralipare.
Allora conobbi me dolente,—ch’io me tenea s? potente,
e non sapea che fusse niente,—pur al corpo facea fare.
Poi guardai l’arbor vermiglio,—ch’alla speranza l’assimiglio;
nolla guarda, en mio consiglio,—nul om ch’en terra ha stare.
Enverso l’arbor levai el viso,—disseme con chiaro riso:
—O tu, omo, ove se’ miso?—molto ? forte l’apianare.—
Io resposi con tremore:—Non pos altro che ’l mio core,
esforzato d’uno amore,—el suo Signor vol trovare.—
Respondendo, disse:—Or viene,—ma emprima lassa onne bene,
e poi deventa en te crudene—e non t’enganni la pietade.—
Ma en tal ramo facea ’l fiore—ch’al secondo me mand?ne,
e l? trovai pomo d’amore—e cominciai a lacrimare.
Poi nel terzo pi? sentenno,—a Dio demandai lo ’nferno,
lui amando e me perdenno—dolce m’era onne male.
Chi en tal stato monta sune—? con le dominazione,
al demonio porta amore—e grande prende securtade.
Nello quarto fui poi levato,—el mio entelletto fu scurato,
dal Nemico fui pigliato,—non sapea que me fare.
Non potea el quinto patire,—per dolor andai a dormire,
en fantasia fo ’l mio vedire—el diavolo a somniare.
Nel sesto perdei el sonno,—tenebroso vidde el monno,
furome nemici entorno—v?lserme far desperare.
La memoria m’aiut?ne—e de Dio me record?ne,
lo mio cor se confort?ne—e la croce volli abracciare.[Pg 162]
Chi la croce strigne bene,—Ies? Cristo li soviene,
poi lo principato tiene—ne la gloria eternale.
Fui nel settimo approbato,—e doppio lume me fo dato;
fo el Nemico tralipato,—non potendome engannare.
Mantenente retorn?ne—como un angelo el latrone,
una chiesa me mostr?ne—ch’io l’andasse a relevare.
Io, com’omo timorato—e del cader amaestrato,
non ce v?lsi volger capo;—al ramo ottavo v?ls’andare.
Allor m’aparve como Cristo—e disse:—Io so tuo maistro;
p?gliate de me diletto,—ch? te voglio consolare.—
Io respusi:—Cristo disse—ch’io en lui non me folcisse,
nel suo Patre lo vedisse—ne l’eterna claritate.—
Como un angelo de luce—me apparve entro la fuce,
e disseme en chiara vuce:—Te se’ degno d’adorare.—
Io respusi:—Onne onore—sia del mio Creatore;
en ci? conosce lo mio core—che non se’ quel che tu pare.—
Vedendome ’l Nemico sagio,—se parti con suo dannagio;
ed io, compiendo ’l mio viagio,—fui nel ramo del contemplare.
L’onor dando a l’Onnipotente,—tutta si squarci? mia mente,
vedendoci Dio presente—en ci? ch’avea resguardare.
Questo ? lo ciel cristallino,—ca speranza s? vien mino;
chi de lo splendor ? pino,—regna colle potestate.
Al terzo ciel poi pusi mente,—pi? che sol era lucente,
tutta s’enfiamm? mia mente,—de voler l? su andare.
Per un arbor s? s’apiana,—caritate s? se chiama,
en alto stende suoi rama—e la cima ? che non pare.
V?lsi montar a cavallo;—disseme:—Cavalca sallo,
o tu, om, agi el bon anno,—emprima scolta el mio parlare.
Due battaglie hai tu vente:—lo Nemico e l’altra gente;
ormai purifica tua mente,—se per me vorrai montare.—
Io respusi con amore:—Io so libero de furore,
ci? me mostra lo splendore—ch’i’ obedisca el tuo parlare.—
De la luce facea la tarza—e de la tenebra la lanza,
posi mente a la bilanza—e comenciai a cavalcare.
Al primo grado ch’io sal?a,—la pigrizia trovai empr?a,
dissi:—Donna, male stia!—ch? per te nasce onne male.[Pg 163]
Io sguardai: non era sola,—apresso lei stava la gola
con un’altra ria figliola:—lussuria ? suo vocare.
Entanno disse l’alma mia:—Questa ? mala compagnia.—
Con la lancia la fer?a—e s? la feci tralipare.
Poi me n’andai nel seconno:—vanagloria me fo entorno,
volea far meco sogiorno—como gi? solea fare.
Io li dissi villania,—tosto me rispose l’ira:
—Noi avemo una regina—e semo de s? alto affare.
Avarizia ? el suo nome—e manten questo costume,
ca racoglie e s? repone—ci? che potemo guadagnare.—
Io, vedendo tal brigata,—la targia m’ebbi abracciata,
l’una e l’altra ebbi frustata—e s? le feci scialbergare.
Poi, crescendo mia possanza,—fui al terzo con alegranza;
l? trovai la ignoranza—e s? la presi a biastemare.
Per sua camera cercava—e la superbia s? trovava,
una donna molto prava—e ben me v?lse contrastare.
Una ancilla venne cortese,—che allora facea le spese,
e voluttate s? se desse,—essa l’ha presa a governare.
Io, vedendo s? mal gioco,—dissi:—Questo non ? poco;
or al foco, al foco, al foco!—E tutte tre fei consumare.
Chi le vizia ha venciute,—regna en ciel con le virtute,
ormai cresce sue salute,—se lle virt? so concordate.
Poi nel quarto ramo entrai,—en doi stati me trovai:
collo poco e co l’assai,—-con ciascun sapea Dio amare.
Nel quinto poi andai gioioso,—l? su fui pi? virtuoso,
ch? me fece lo mio sposo—obedire e comandare.
Consumai onne graveza,—vidime en s? gran richeza;
disseme l’alta Potenza:—Or fa ch’en te la sacci usare.—
Fui nel sesto senza entenza—ne la profonda sapienza,
concordai con la potenza—ne la pura volontate.
L’om che giogne tanto suso,—con li cherubini ha puso;
ben p? vivere gloriuso,—ch? vede Dio per veritate.
Quando me vedi en tanta altura,—en me tenendo onne figura
fomme ditto en quel ura:—Ora spendi, ch? ’l poi fare.—
Io guardai al Creatore,—assent?me d’andar sune,
e meditai a suo onore—onne sente en suo affare.[Pg 164]
Poi ne l’ottavo me n’andai,—e con gli angeli conversai
nel mio Sire che tanto amai,—secondo lo lor contemplare.
En alto se lev? mia mente,—al nono ramo fui presente,
laudo lo vero Onnipotente—en se medesmo v?lsi usare.
Chi l? giogne, ben ? pino—dello spirito divino,
fatto ? un serafino,—sguarda nella Trinitade.
E tutti li stati ha lassati,—e li tre arbori ha spezati,
e li tre cieli ha fracassati,—e vive nella Deitade.
Om che giogni a tal possanza—per merc? per tua onoranza,
priega la nostra speranza—che te possiam sequitare.
[Pg 165]

LXX

De le quattro virt? cardinale

Alte quattro virtute—son cardinal chiamate,
o’ nostra umanitate—perfece lo suo stato.
Como l’uscio p?sase—nel suo cardinile,
cus? la vita umana—? ’n questo quadrato stile;
anima ch’amantase—questo nobel mantile,
pu?se chiamar gentile,—d’onne gioia adornato.
La prima ? la prudenza,—lume dell’entelletto;
la seconda ? iustizia—che esercita l’affetto;
la terza ? fortetude—contra l’averso aspetto,
la quarta ? temperanza—contra van delettato.
Altissima prudenza,—b?ila de la ragione,
demostri el ben, el meglio,—lo sommo a la stagione;
demostri el male, el peio,—el pessimo e la cagione
e la dannazione—c’hane l’uomo dannato.
Altissima prudenza,—col mercatar sotile
de trare cose utile,—non sia cosa s? vile;
beato quel coragio—che tien ritto tuo stile,
p?sse chiamar gentile,—degno de grande stato.
Non par che la prudenza—possa ben operare
senza l’altre virtute—che la degon aitare;
envita la iustizia—che ce deggia albergare,
che deggia esercitare—ci? che ella ha pensato.
’Nestante la iustizia—posta ha legge al core,
che sopra onne cosa—sia amato Dio signore
con tutte le potenzie—e con onne fervore;
ch? glie s’aff? l’onore—d’esser cus? amato.[Pg 166]
Iustizia constregne—lo prossimo d’amare;
ca, se ? verace amore,—loco se vol mostrare;
como l’auro al fuoco—se fa paragonare,
cus? s? vol provare—l’amor ch’aggi albergato.
La fortitude ha loco—a tal pugna portare,
en amar lo prossimo—che te fa eniurare;
tolle, fura, eng?nnate—e statte a menacciare;
poterlo sempre amare—parme amor provato.
Ch’en amar lo prossimo—? grande svalianza,
ch? ’l trovi deformato—pieno de niquitanza;
poter amar suo essere,—orrir la mal’usanza
?ne esaminanza—de l’amor approvato.
Agio lo corpo endomito—con pessimo appetito,
la temperanza enfrenalo,—ch’? de mal nutrito;
ad onne ben recalcitra,—como fusse ensanito,
a gran briga ? guarito,—de tal guisa ? malato.
Lo viso se fa povero—de forme e de coluri,
l’audito spreza sonora—che son pien de vanuri,
lo gusto en poche cibora—contemne li sapuri,
desprezansi gli oduri—collo vestir ornato.
Da poi che ’l corpo perdese—de fuor la delettanza,
l’anima costregnese—trovar altra amistanza;
la fede mostra, ens?gnate—l? ’v’? la vera amanza;
m?nate la speranza—l? ’v’? l’amor beato.
[Pg 167]

LXXI

Como cristo se reposa ne l’anima ornata de virt?,
como sposo con la sposa.

Omo che vol parlare,—emprima d?i pensare
se quello che vol dire—? utile ad udire.
La longa materia—suol generar fastidia,
lo longo abreviare—suole l’om delettare.
Abbrevio mei ditta,—longheza breve scritta;
chi ce vorr? pensare—ben ce porr? notare.
Comenzo el mio dittato—de l’omo ch’? ordinato,
ove Dio se reposa—nell’alma ch’? sua sposa.
La mente s? ? ’l letto—con l’ordinato affetto,
el letto ha quattro piedi,—come en figura el vedi.
Lo primo pi? ? prudenza—lume d’entelligenza,
demostra el mal e ’l bene—e co tener se d?ne.
L’altro pi? ? iustizia,—l’affetto en esercizia;
prudenzia ha demostrato,—iustizia adoperato.
Lo terzo pi? forteza,—portar onne graveza,
per nulla aversitate—lassar la veritate.
Lo quarto ? temperanza,—freno en abundanza
ed en prosperitate—profunda umilitate.
La lettiera enfunata—de fede articulata,
l’articoli ligati—con li pi? son catenati.
De paglia c’? un saccone:—la mia cognizione,
como so vile nato—e pieno de peccato.
De sopre el matarazo—Cristo per me fo pazo,
o’ se mise a venire—per me poter avire.
?cce un capezale:—Cristo en croce sale,
morto e tormentato,—con ladroni acompagnato.[Pg 168]
Stese ce son lenzola:—lo contemplar che vola,
specchio de divinitate,—vestito d’umanitate.
Coperto ? de speranza—a darme ferma certanza
de farme citadino—en quel albergo divino.
La caritate iogne—e con Dio me coniogne,
iogne la vilitate—con la divina bontade.
E qui nasce un amore,—c’ha emprennato el core,
pieno de desiderio,—d’enfocato misterio.
Prenno liquidisce,—languendo parturisce:
parturisce un ratto—e nel terzo ciel ? tratto.
Cielo umano passa,—l’angelico trapassa,
ed entra en la caligine—col Figlio della Vergene.
Ed en Dio uno e trino,—loco li se mette el frino
d’entelletto posato,—l’affetto adormentato.
E dorme senza somnia—c’ha veritate d’omnia,
c’ha reposato el core—nello divino amore.
Vale, vale, vale!—Ascende per queste scale,
ch? p? cader en basso,—far?’ grande fracasso.
[Pg 169]

LXXII

Como el vero amore del prossimo in pochi se trova.

Vorr?a trovare chi ama;—molti trovo che s? ama.
Credeva essere amato,—retrovome engannato,
dividendo lo stato—perch? l’omo s? m’ama.
L’omo non ama mene,—ama quanto en me ?ne;
per?, vedendo bene,—veggio che falso m’ama.
Se so ricco, potente,—amato da la gente,
retornando a niente,—onne omo s? me sciama.
Ergo l’avere ? amato,—ca io son odiato;
per? en folle ? stato—chi ’n tal pensier s? m’ama.
Veggio la gentileza—che non aggia riccheza,
retornar? en vileza,—onom l’apella brama.
L’omo enserviziato—da molta gente ? amato;
vedutolo enfermato,—onom s? lo sciama.
L’omo te vole amare—mentre ne p? lograre,
se nogl puoi satisfare,—t?gliete la tua fama.
L’omo c’ha santetate,—trova grande amistate;
se gl vien la tempestate,—r?mpegliese la trama.
Fuggo lo falso amore,—che non me prenda ’l core;
retornome al Signore—che solo vero ama.
[Pg 170]

LXXIII

Del gran prezo dato per vil derrata,
cio? Cristo per l’omo

O derrata, guarda al prezo,—se te vuoli enebriare;
ca lo prezo ? ’nebriato—per lo tuo enamorare.
Lo tuo prezo ? ’nebriato,—de cielo en terra ? desciso;
pi? che stolto reputato,—lo re de paradiso
a que comparar s’? miso—a s? gran prezo voler dare?
Aguardate esto mercato,—che Dio patre ci ha envestito,
angeli, troni, principato—ostopiscon de l’audito:
lo Verbo de Dio infinito—darse a morte per me trare.
Ostupisce cielo e terra,—mare ed onne creatura;
per finir meco la guerra—Dio ha presa mia natura,
la superbia mia d’altura—se vergogna d’abassare.
O ebrieza d’amore,—como volesti venire
per salvar me peccatore?—Se’ te messo a lo morire,
non saccio altro ch’ensanire—poich? m’hai voluto ensegnare.
Poich? lo saper de Dio—? empazato de l’amore,
que farai, o saper mio?—Non vol gir po’ ’l tuo Signore?
Non p?i aver maiur onore—ch’en sua pazia conventare.
O celeste paradiso,—encoronato stai de spina,
ensanguinato, pisto, alliso—per darmete en medicina;
grave ? stata mia malina—tanto costa el medicare.
Nullo membro ce par bello—stare so ’l capo spinato,
che non senta lo flagello—de lo capo tormentato;
vegio lo mio Sire empicato—ed io volerme consolare.
O Signor mio, tu stai nudo—ed io abondo nel vestire,
non par bello questo ludo:—io satollo e tu en famire,
tu vergogna sofferire,—ed io onore aspettare.[Pg 171]
Signor povero e mend?co,—per me molto affatigato,
ed io peccator iniquo,—ricco, grasso e reposato;
non par bello esto vergato:—io en reposo e tu en penare.
O Signor mio senza terra,—casa, letto, massaria,
lo pensier molto m’afferra,—ch? so errato de tua via;
grande faccio villania—a non volerte sequitare.
Or renunza, o alma mia,—ad onne consolazione,
el penar gaudio te sia—vergogna ed onne afflizione,
e questa sia la tua stazone:—de morir en tormentare.
O gran prezo senza lengua,—viso, audito senza cuore,
esmesuranza en te regna,—hai anegato onne valore;
lo ’ntelletto sta de fore—o’ l’amore sta a pascuare.
Poi che lo ’ntelletto ? preso—da la grande smesuranza,
l’amor vola a desteso,—va montando en desianza;
abracciando l’abundanza,—l’amiranza el fa pigliare.
L’amiranza li mette el freno—a l’amor empetuuso,
en reverenzia fasse meno,—non presume d’andar suso,
lo voler de Dio gli ? ’nfuso—che ’l suo voler fa nichilare.
Poi che l’omo ? anichilato,—nasce l’occhio da vedere,
questo prezo esmesurato—poi l’acomenza sentire,
nulla lengua lo sa dire—quel che sente en quello stare.
[Pg 172]

LXXIV

La bont? divina se lamenta de l’affetto creato

La Bontade se lamenta—che l’Affetto non l’ha ’mata,
la Iustizia ? appellata—che ne degia ragion fare.
La Bontade ha congregate—seco tutte le creature,
e danante al iusto Dio—s? fa molto gran romure,
che sia preso el malfatture—e s?ene fatta vendetta,
c’ha offesa la diletta—nel suo falso delettare.
La Iustizia enestante—l’Affetto s? ha pigliato,
e con tutta sua famiglia—en prigione l’ha carcerato,
che d?i esser condennato—de la ’ngiuria c’ha fatta,
tr?glise fore una carta—qual non pu? contrariare.
L’Affetto pensa ensanire,—poi che se sente en pregione;
ch? solea aver libertade,—or suiace a la ragione;
la Bont? ha compassione,—succurre che non perisca,
de grazia gli d? una lisca—e nel senno el fa tornare.
L’Affetto, poi che gusta el cibo—de la grazia gratis data,
lo ’ntelletto e la memoria—tutta s? l’ha renovata,
e la volont? mutata—piange con grande desianza
la preterita offensanza—e nullo cons?lo se vol dare.
Empreso ha novo lenguaio,—ch? non sa dir se non ?amore?.
Piange, ride, dole e gaude—securato con timore;
e tal segni fa de fuore,—che paiono de om stolto,
dentro sta tutto racolto,—non sente da fuor que fare.
La Bontade s? comporta—questo amore furioso,
ch? con esso s? confige—questo mondo tenebroso,
el corpo luxurioso—s? remette a la fucina,
perde tutta la sentina—che ’l facea deturpare.[Pg 173]
La Bont? sottra’ a l’affetto—lo gusto del sentimento;
lo ’Ntelletto, ch’? ’n pregione,—esce en suo contemplamento,
l’Affetto vive en tormento,—de lo ’ntender se lamenta,
ch? ’l tempo gli empedimenta—del corrotto che vol fare.
Lo ’Ntelletto, poi che gusta—lo sapor de sapienza,
lo sapor s? l’asorbisce—nella sua gran complacenza;
gli occhi d’entelligenza—ostopiscon del vedere,
non voglion altro sentire—se non questo delettare.
L’Affetto non se cci acorda,—ch? vol altro che vedere,
ch? ’l suo stomaco se more—se non i porge que paidire;
vole a le prese venire,—s? ha fervido appetito,
lo sentir che gli ? fugito—piange senza consolare.
Lo ’Ntelletto dice:—Tace,—non me dare pi? molesta,
ch? la gloria che io vegio—s? m’? gaudiosa festa;
non me turbar questa vesta,—dever?e esser contento
contentar lo tuo talento—en questo mio delettare.
—Oim? lasso, que me dici?—par che me tenghi in parole,
ch? tutto el tuo vedimento—s? me paion che sian fole,
ch? consumo le mie mole,—ch? non hone macinato,
e tanto agio degiunato—e tu me ne stai m? a gabare.
—Non te turbar se me vegio—beneficia create,
ca per esse s? conosco—la divina Bonitate;
siram reputati engrate—a non volerle vedere,
per? te dever?a piacere—tutto sto mio fatigare.
—Tu ce offendi qui la fede—de gir tanto speculando,
e la sua immensitate—de girla abreviando;
e vai tanto asutigliando,—che rompe la ligatura,
e toglime ’l tempo e l’ura—del mio danno arcoverare.
Lo ’Ntelletto dice:—Amore—ch’? condito de sapere,
pareme pi? glorioso—che questo che v?i tenere;
se io me sforzo a vedere—chi, a cui e quanto ? dato,
ser? l’amor pi? levato—a poterne pi? abracciare.
—A me par che sapienza—en questo fatto ? iniuriata,
de la sua immensitade—averla s? abbreviata;
per veder cosa creata,—nulla cosa n’hai compreso,
e tiemme sempre sospeso—en morirme en aspettare.[Pg 174]
La Bontade n’ha cordoglio—de l’Affetto tribulato,
poneglie una nova mensa,—ch? ha tanto degiunato;
lo ’Ntelletto ? admirato,—l’Affetto entra l’ha tenuta,
la lor lite s? ? finuta—per questo ponto passare.
Lo ’Ntelletto s? ? menato—a lo gusto del sapore,
l’Affetto trita coi denti—ed enghiotte con fervore,
poi lo coce co l’amore,—tr?ine ’l frutto del paidato,
ed ai membri ha dispensato—donde vita possan trare.
[Pg 175]

LXXV

De la diversit? de contemplazione de croce

—Fuggo la croce che me devora,
la sua calura non posso portare.
Non posso portare s? grande calore
che getta la croce, fuggendo vo amore;
non trovo loco, ca porto nel core
la remembranza me fa consumare.
—Frate, co fuggi la sua delettanza?
io vo chirendo la sua amistanza;
parme che facci grande vilanza
de gir fugendo lo suo delettare.
—Frate, io fuggo, ch? io son ferito;
venuto m’? ’l colpo, e ’l cor m’ha partito;
non par che senti de quel c’ho sentito,
per? non par che ne sacci parlare.
—Frate, io s? trovo la croce fiorita,
de soi pensieri me sono vestita,
non ce trovai ancora ferita,
’nante m’? gioia lo suo delettare.
—Ed io la trovo piena de sagitte
ch’escon del lato; nel cor me son fitte,
el balestrier en ver me l’ha diritte,
on arme ch’aggio me fa perforare.
—Io era cieco ed or veggio luce,
questo m’avenne per sguardo de cruce;
ella me guida, ch? gaio m’aduce,
e senza lei son en tormentare.[Pg 176]
—E me la luce s? m’ha acecato;
tanto lustrore de lei me fo dato,
che me fa gire co abacinato,
c’ha li bel occhi e non pote mirare.
—Io posso parlar, ch? stato so muto,
e questo ella croce s? m’? apparuto;
tanto de lei s? aggio sentuto,
ch’a molta gente ne pos predicare.
—E me fatt’ha muto che fui parlatore,
en s? grande abisso entrat’? el mio core,
ch’io non trovo quasi auditore
con chi ne possa de ci? ragionare.
—Io era morto ed or aggio vita,
e questo e la croce s? m’? apparita;
parme esser morto de la partita
ed aggio vita nel suo demorare.
—Ed io non so morto, ma faccio el tratto,
e Dio lo volesse ch’el fosse ratto!
star sempremai en estremo fatto
e non poterme mai liberare!
—Frate, la croce m’? delettamento,
nollo dir mai ch’en lei sia tormento;
forsa non ?i al suo giognemento
che tu la vogli per sposa abracciare.
—Tu stai al caldo, ma io sto nel fuoco;
a te ? diletto, ma io tutto cuoco;
con la fornace trovar non p? loco,
se non c’?i entrato non sai quegn’? stare.
—Frate, tu parli che io non t’entendo,
como l’amore gir v?i fugendo,
questo tuo stato verr?a conoscendo
se tu el me potessi en cuore splanare.
—Frate, el tuo stato ? en sapor de gusto,
ma io c’ho bevuto, portar non p? el musto,
non aggio cerchio che sia tanto tusto
che la fortura non faccia alentare.
[Pg 177]

LXXVI

Del iubilo del core che esce in voce

O iubilo del core,—che fai cantar d’amore!
Quando iubilo se scalda,—s? fa l’uomo cantare;
e la lengua barbaglia—e non sa que parlare,
dentro non p? celare,—tanto ? grande el dolzore!
Quando iubilo ? acceso,—s? fa l’omo clamare;
lo cor d’amore ? preso—che nol p? comportare,
stridendo el fa gridare—e non vergogna allore.
Quando iubilo ha preso—lo cor enamorato,
la gente l’ha en deriso,—pensando suo parlato,
parlando smesurato—de que sente calore.
O iubil, dolce gaudio,—ched entri ne la mente,
lo cor deventa savio—celar suo convenente,
non pu? esser soffrente—che non faccia clamore.
Chi non ha costumanza—te reputa empazito,
vedendo svalianza—com omo ch’? desvanito,
dentro lo cor ferito—non se sente de fuore.
[Pg 178]

LXXVII

De l’amor muto

O amore muto—che non v?i parlare,
che non sie conosciuto!
O amor che te celi—per onne stagione,
ch’omo de fuor non senta—la sua affezione,
che non la senta latrone—per quel c’hai guadagnato,
che non te sia raputo.
Quanto l’om pi? te cela, tanto pi? foco abundi;
om che te ven occultando—sempre a lo foco iugne,
ed omo c’ha le pugne—de voler parlare,
spesse volte ? feruto.
Omo che se stende—de dir so entendimento,
avenga che sia puro—el primo comenzamento;
vience da fuor lo vento—e vagli spaliando
quel ch’avea receputo.
Omo che ha alcun lume—en candela apicciato,
se vol che arda en pace,—mettelo a lo celato;
ed onne uscio ha enserrato—che nogl venga lo vento
che ’l lume sia stenguto.
Tal amor ha posto—silenzo a li suspiri,
?sse parato a l’uscio—e non gli lascia uscire;
dentro el fa partorire—che non se spanda la mente
da quel che ha sentuto.
Se se n’esce el suspiro,—esce po’ lui la mente,
va po’ lui vanegiando,—lassa quel c’ha en presente:
poi che se ne resente,—non puote retrovare
quel ch’avea receputo.
Tal amor ha sbandito—da s? la ipocrisia,
che esca del suo contado—che trovata non sia;
de gloria falsa e ria—s? n’ha fatta la caccia
de lei e del suo tributo.
[Pg 179]

LXXVIII

De l’amor vero e discrezion falsa

L’amor lo cor s? vol regnare,—discrezion vol contrastare.
L’amor ha presa la forteza,—la volont? de grande alteza,
sagitta ’l cor, lancia dolceza,—da c’ha ferito, lo fa ’npazare.
Discrezion de grande altura—d’onguento ha presa l’armatura,
ed en ragion, l? ’v’ella mora,—con ella se vol defensare.
L’amor non ce vol ragione,—’nante sagetta suo lancione,
per? che ’l cor vol per pregione—e ’l corpo mettere en penare,
Discrezion al cor s’acosta—e fagli cordogliosa posta,
la carne el sente, s? s’? mosta—a dargli tutto ’l suo affare.
L’amor non cessa, ’nante manna—de grande ardor la sua vivanna,
lo cor manuca e pur encanna—ed ?i s? forte tal mangiare.
Discrezion s? parla al core:—Se tu non hai me per signore,
v?giote che ’l tuo ardore—non porr? perseverare.—
L’amor udendo, s? sagitta—de gran secreto sua lancitta,
la carne el sente, sta afflitta,—ch? l’impeto non p? portare.
Discrezion parla secreta,—al cor s? mostra sua moneta:
—Or piglia pian la tua saleta,—che tu non possi enfermare.—
L’amor spera en sua forteza,—cotal parlar li par matteza,
del gran Signor piglia largeza—ch’esso s? l’ha da mal guardare.
Discrezion dice:—Sie saggio,—ca molta gente veduto agio,
sequitando lor desiagio,—n? dicer posson poi n? fare.—
L’amor s? l’ode e non lo ’ntende,—de gran fervor suo arco tende,
sagetta ’l cor, tutto l’accende—del gran Signor che non ha pare.[Pg 180]
La carne dice a la ragione:—Io me t’arendo per pregione,
aiutame ch’io ho cagione,—ch? l’amor me vol consumare.
Ch? non far?an sufficenza—mille corpi a sua ademplenza,
e con Dio s? se entenza—che ’l se crede manecare.
Abraccia Dio e vollo tenere—e quel che vole non sa dire,
sputar non lassa n? ranscire—che non se possa travagliare.
Su del cielo piglia parte,—poi con meco s? combatte,
enganname con la sua arte,—s? sa dolce predicare.
Ch? parla s? dolcemente,—che me sottra’ da tutta gente,
poi si piglia s? la mente,—che non la lassa suspirare.
Pregovi che m’aiutiti,—che un poco l’affreniti,
ch? i soi pensier me son feriti—che tutta me fan concussare.
Pigliar voglio pensamento—a non adempir el suo talento,
de star solo non gli assento—ch’io non possa contrastare.
Del mondo sir? accompagnata,—de lui giragio enfacendata,
ch’io non sia allapidata,—embrigar?gli el meditare.—
La ragion dice:—Non te giova,—l’amor vencer vol la prova;
s’egli en d? non te trova,—la notte tu non p?i mucciare.—
[Pg 181]

LXXIX

Della bont? divina e volont? creata

La bontate enfinita—vol enfinito amore,
mente, senno e core—lo tempo e l’esser dato.
Amor longo fidele,—in eterno durante,
alto de speranza,—sopra li ciel passante,
amplo en caritate,—onne cosa abracciante,
en un profondo stante—de core umiliato.
La volont? creata,—en infinitate unita,
menata per la grazia—en s? alta salita,
en quel ciel d’ignoranzia—tra gaudiosa vita,
co ferro a calamita—nel non veduto amato.
Lo ’ntelletto ignorante—va entorno per sentire,
nel ciel caliginoso—non se lassa transire,
che f?ra grande eniuria—la smesuranza scire,
sir?a maior sapire—che lo saper ch’? stato.
Lo ’ntelletto ignorante—iura fidelitate,
sotto l’onnipotenza—tener credulitate,
de mai ragion non petere—a la difficultate,
vive en umilitate—en tal profondo anegato.
O savia ignoranza,—en alto loco menata,
miracolosamente—se’ en tanto levata,
n? lengua n? vocabulo—entende la contrata,
stai co dementata—en tanto loco ammirato.
—O alma nobilissima,—dinne que cose vide!
—Veggo un tal non veggio—che onne cosa me ride;
la lengua m’? mozata—e lo pensier m’ascide,
miracolosa side—vive nel suo adorato.[Pg 182]
—Que frutti reducene—de esta tua visione?
—Vita ordinata—en onne nazione;
lo cor ch’era immondissimo,—enferno inferione,
de trinit? magione—letto santificato.
Cor mio, se’ te venduto—ad alto emperatore,
nulla cosa creata—m’archieda omai d’amore,
ch? non ? creatura—posta en tanto onore,
a me ? ’n gran descionore—se en mio cor fosse entrato.
Se creatura pete—per lo mio amor avere,
vadane a la bontade—che l’ha distribuire,
ch’io non aggio que fare,—ella ha lo possedere,
pu? far lo suo piacere,—ch? lo s’ha comparato.
Lo tempo me demostra—ch’io gli ho rotta la legge,
quando l’aggio occupato—en non servire de rege;
o tempo, tempo, tempo,—en quanto mal sommerge
a chi non te correge—passando te oziato!
[Pg 183]

LXXX

De l’amore divino destinto in tre stati

—Sapete voi novelle de l’amore
che m’ha rapito ed assorbito el core,
e tiemme empregionato en suo dolzore,
e famme morire en amor penato?
—De l’amore che hai demandato
molti amori trovamo en esto stato,
se tu non ne declar del tuo amato,
risponder noi non te ce saperimo.
—L’amor ch’io ademando s? ? ’l primo,
unico, eterno e sta sublimo;
non par che ’l conoscati, como stimo,
da ch’en plurale avete la ’ntendenza.
—Questo respondere gi? non ? fallenza,
de lo tuo amor non avem conoscenza;
se non t’encresce a dicerne sua valenza,
delettane l’audito d’ascoltare.
—L’amor ch’io ademando ? singulare;
cielo e terra empie col suo amare,
en cosa brutta non p? demorare,
tanto ? purissimo.
L’amor ch’io demando ? umilissimo,
el cor, o’ se reposa, fa ’l ditissimo,
umilia l’affetto superbissimo
per sua bontade.
Enfondeme nel cor fedelitate,
famme guardar da le cose vetate,
le cose concedute ed ordenate
fammele usar con temperanza.[Pg 184]
Divide da la terra mia speranza,
conducelame en ciel la vicinanza,
famme citadin per longa usanza
de la gran citade.
Loco s? son le cose ordinate
la scola se cce tien de caritate,
tutte le gente de quelle contrate
ciascuno en amore ? conventato.
Distinguese l’amore en terzo stato:
bono, meglio, sommo, sublimato;
lo sommo s? vole essere amato
senza compagnia.
Parlar de tale amor faccio follia,
diota me conosco en teologia,
l’amor me constregne en sua pazia
e famme bannire.
Prorompe l’abundanza en voler dire,
modo non gli trovo a proferire,
la verit? m’empone lo tacere,
che non lo so fare.
L’abundanza non se p? occultare,
loco s? se forma el iubilare,
prorompe en canto che ? sibilare,
che vidde Elia.
Part?mone ormai da questa via,
a le doi distinzion che so empria,
e logo s? figam la diceria
che si convene.
Sempre lo meglio sta sopra lo bene;
se tu non ami el prossimo co tene,
e te non ami como si convene,
tu, cieco, el cieco meni a tralipare.
Emprima t’? opo con Dio ordinare,
e da lui prender regola d’amare,
amor saggio e forte en adurare
e mai non smaglia.[Pg 185]
Fame, sete e morte nol travaglia,
sempre lo trovi forte a la battaglia,
a patir pena ed onne ria travaglia
e star quiito.
Lo corpo s? ha redutto al suo servito,
li sensi regolati ad obedito,
gli eccessi sottoposti so a punito
ed a ragione.
Tutta sta quieta la magione,
gli officia distinte per ragione;
se nulla ce nascesse questione,
ston al iudicio.
Lo iudice che sede al malefizio
ser Conscio ? vocato per offizio,
non perdona mai per pregarizio
n? per timore.
Non perdona al grande n? al minore,
nulla cosa occulta gli sta en core,
tutta la corte vive con tremore
ad obedenza.
Poi che l’alma vive a conscienza,
contien amar lo prossimo en piacenza,
amor verace par senza fallenza
de caritate.
Trasf?rmate l’amor en veritate
nelle persone che son tribulate,
e, compatendo, magior pena pate
che ’l penato.
Quel per alcun tempo ha reposato,
lo compatente ce sta cruciato,
notte e giorno con lui tormentato
e mai non posa.
Non p? l’om sapere questa cosa
se non la caritate chi l’ha enfusa,
como nel penato sta retrusa
a parturire.[Pg 186]
Part?mone ormai dal nostro dire,
e ritornimo a Cristo nostro sire,
che ne perdoni lo nostro fallire
e d?ene pace.
—Lo vostro ditto, frate, s? ne piace,
per? che vostro dicer ? verace;
de sequir voi tal via s? n’aiace,
che ne salvimo. Amen.—
[Pg 187]

LXXXI

De l’amor divino e sua laude

O Amor, divino amore,—amor, che non se’ amato.
Amor, la tua amicizia—? piena de letizia
non cade mai en tristizia—lo cor che t’ha assagiato.
O amor amativo,—amor consumativo,
amor conservativo—del cuor che t’ha albergato!
O ferita gioiosa,—ferita dilettosa,
ferita gaudiosa,—chi de te ? vulnerato!
Amore, unde entrasti,—ch? s? occulto passasti?
Nullo signo mostrasti—unde tu fusse entrato.
O amor amabile,—amor delettabile,
amor encogitabile—sopr’onne cogitato!
Amor, divino fuoco,—amor de riso e gioco,
amor non d?i a poco,—ch? se’ ricco smesurato.
Amor, con chi te poni?—con delette persone,
e lassi gran baroni,—ch? non fai lor mercato.
Tale non par che vaglia—en vista una medaglia,
che quasi como paglia—te d?i en suo trattato.
Chi te crede tenere,—per sua scienzia avere,
nel cor non pu? sentire—che sia lo tuo gustato.
Scienzia acquisita—mortal s? d? ferita,
s’ella non ? vestita—de core umiliato.
Amor, tuo magisterio—enforma el desiderio,
ensegna l’evangelio—col breve tuo ensegnato.
Amor che sempre ardi—e i tuoi coraggi inardi,
fai le lor lengue dardi—che passa onne corato.
Amore grazioso,—amore delettoso,
amor suavetoso,—che ’l core hai saziato.[Pg 188]
Amor ch’ensegni l’arte—che guadagni le parte,
de cielo fai le carte,—en pegno te n’?i dato.
Amor, fidel compagno,—amor, che mal se’ a cagno,
de pianto me fai bagno—ch’io pianga el mio peccato.
Amor dolce e suave,—de cielo, amor se’ chiave;
a porto meni nave—e campa el tempestato.
Amor che d?i luce—ad omnia che luce,
la luce non ? luce,—lume corporeato.
Luce luminativa,—luce demostrativa,
non viene a l’amativa—chi non ? en te luminato.
Amor, lo tuo effetto—d? lume a lo ’ntelletto,
dem?strali l’obietto—de l’amativo amato.
Amor, lo tuo ardore—ad enflammar lo core
uniscil per amore—ne l’obietto encarnato.
Amor, vita secura,—riccheza senza cura,
pi? ch’en eterno dura—ed ultra smesurato.
Amor che d?i forma—ad omnia c’ha forma,
la forma tua reforma—l’omo ch’? deformato.
Amore puro e mondo,—amor saggio e iocondo,
amor alto e profondo—al cor che te s’? dato.
Amor largo e cortese,—amor con larghe spese,
amor, con mense stese—fai star lo tuo affidato.
Lussuria fetente—fugata de la mente,
de castit? lucente,—mundizia adornato.
Amor, tu se’ quel ama—donde lo cor te ama,
sitito con gran fama—el tuo enamorato.
Amoranza divina,—ai mali se’ medicina,
tu sani onne malina,—non sia tanto agravato.
O lengua scotegiante,—come se’ stata osante
de farte tanto enante—parlar de tale stato?
Or pensa que n’hai detto—de l’amor benedetto,
onne lengua ? en defetto—che de lui ha parlato.
Se onne lengue angeloro—che stanno en quel gran coro
parlando de tal foro,—parlaran scelenguato.
Ergo co non vergogni?—nel tuo parlar lo pogni,
lo suo laudar non giogni,—’nante l’hai blasfemato.[Pg 189]
—Non te posso obedire—ch’amor deggia tacire,
l’amor voglio bandire,—fia che mo m’esce ’l fiato.
Non ? condizione—che vada per ragione,
che passi la stagione—ch’amor non sia clamato.—
Clama la lengua e ’l core:—Amore, amore, amore!
chi tace el tuo dolzore—lo cor li sia crepato.
E ben credo che crepasse—lo cor che t’assagiasse;
se amor non clamasse,—trov?rese afogato.—
[Pg 190]

LXXXII

Como l’anima trova Dio in tutte creature
per mezo de sensi

O amor, divino amore,—perch? m’hai assediato?
Pare de me empazato,—non puoi de me posare.
Da cinque parte veggio—che m’hai assediato:
audito, viso, gusto,—tatto ed odorato;
se esco, so pigliato,—non me te pos’occultare.
Se io esco per lo viso,—ci? che veggio ? amore,
en onne forma ?i pento,—ed en onne colore;
repres?ntime allore—ch’io te deggia albergare.
Se esco per la porta—per posarme en audire,
lo sono e que significa?—Representa te, sire;
per essa non pu? uscire—ci? cche odo ? amare.
Se esco per lo gusto,—onne sapor te clama:
—Amor, divino amore,—amor pieno de brama;
amor preso m’hai a l’ama—per potere en me regnare.—
Se esco per la porta—che se chiama odorato,
en onne creatura—te ce trovo formato;
retorno vulnerato,—prendime a l’odorare.
Se esco per la porta—che se chiama lo tatto,
en onne creatura—te ce trovo retratto;
amor, e co so matto—de volerte mucciare?
Amor, io vo fugendo—de non darte el mio core,
veggio che me trasformi—e faime essere amore,
s? ch’io non son allore—e non me posso artrovare.
S’io veggio ad omo male—o defetto o tentato,
trasformome entro en lui—e face ’l mio cor penato;
amore smesurato,—e chi hai preso ad amare?
Prendeme a Cristo morto,—traime de mare al lito,
loco me fai penare—vedendol s? ferito;
perch? l’hai sofferito?—Per volerme sanare.
[Pg 191]

LXXXIII

De l’amore de Cristo in croce,
e como l’anima desidera de morir con lui

O dolce amore—c’hai morto l’amore,
prego che m’occidi d’amore.
Amor c’hai menato—lo tuo enamorato
ad cus? forte morire,
perch? ’l facesti—ch? non volesti
ch’io dovesse perire?
Non me parcire,—non voler soffrire
ch’io non moia abracciato d’amore.
Se non perdonasti—a quel che s? amasti,
como a me v?i perdonare?
Segno ?, se m’ami,—che tu me c’enami
como pesce che non p? scampare.
E non perdonare,—ca el m’? en amare
ch’io moia anegato en amore.
L’amore sta appeso,—la croce l’ha preso
e non lassa partire.
Vocce currendo—e mo me cce appendo,
ch’io non possa smarrire.
Ca lo fugire—far?ame sparire,
ch’io non ser?a scritto en amore.
O croce, io m’apicco—ed ad te m’aficco,
ch’io gusti morendo la vita.
Ch? tu ne se’ ornata,—o morte melata;
tristo che non t’ho sentita!
O alma s? ardita—d’aver sua ferita,
ch’io moia accorato d’amore.[Pg 192]
Vocce currendo,—en croce legendo
nel libro che c’? ensanguinato.
Ca essa scrittura—me fa en natura
ed en filosofia conventato.
O libro signato—che dentro se’ aurato,
e tutto fiorito d’amore!
O amor d’agno,—magior che mar magno,
e chi de te dir porr?a?
A chi c’? anegato—de sotto e da lato
e non sa dove sia,
e la pazia—gli par ritta via
de gire empazato d’amore.
[Pg 193]

LXXXIV

Como ? somma sapienzia essere reputato pazo
per l’amor de Cristo

Senno me pare e cortesia—empazir per lo bel Messia.
Ello me sa s? gran sapere—a chi per Dio vol empazire,
en Parige non se vidde—ancor s? gran filosofia.
Chi per Cristo va empazato,—par afflitto e tribulato;
ma ? maestro conventato—en natura e teologia.
Chi per Cristo ne va pazo,—a la gente s? par matto;
chi non ha provato el fatto—pare che sia fuor de la via.
Chi vol entrare en questa scola,—trover? dottrina nova;
la pazia, chi non la prova,—gi? non sa que ben se sia.
Chi vol entrar en questa danza,—trova amor d’esmesuranza;
cento d? de perdonanza—a chi li dice villania.
Ma chi va cercando onore,—non ? degno del suo amore,
ch? Ies? fra doi latrone—en mezo la croce sta?a.
Ma chi cerca per vergogna,—ben me par che cetto iogna;
i? non vada pi? a Bologna—a ’mparar altra mastria.
[Pg 194]

LXXXV

Como se deve amar cristo liberalmente
como esso am? noi

—O amor che m’ami,—prendime a li toi ami,
ch’io ami co so amato.
O amor che ami—e non trovi chi t’ami,
chi sal per li toi rami—sempre se chiama engrato.
O engrato nobile,—sommerso en ammirabile,
non puoi salire equabile—d’amore adoguagliato.
O amore attivo—che non trovi passivo,
che venga a l’amativo—d’amor purificato.
Amor c’hai nome amo,—plural mai non trovamo,
da te fonte gustamo,—amor da te spirato.
Amor, mostrame el como,—ch? ’l quanto, non ? omo
che nol somerga el somo—del quanto smesurato.
—El como te mostrai—quando me encarnai,
per te peregrinai—en croce consumato.
El quanto arm?se en sete,—ch? non for mai aprete
l’altissime secrete—en subietto finato.
Non reman dal daiente,—ma dal recipiente,
non ? sufficiente—a Dio nullo creato.
Lo enfinito amare,—finito en demostrare,
la mostra terminare—in amor sterminato.
En quilli amorosi abissi—gli santi son sommersi,
dentro e da fore oppressi—d’amore spelagato.
L’alteza ? infinita,—longeza non comp?ta,
largeza sterminata,—profondo sprofondato.
Non pu?tte pi? l’amore—mostrar fatto maggiore,
che farme lo minore—en degli omini deiettato.[Pg 195]
Qual pazo vorria fare,—per formicaio campare,
en formica tornare—per formicaio campato.
Maggior fo mia stoltizia—la grande alteza mia
de prender questa via—de farme om penato.
Io non te amai per mene,—’nante te amai per tene,
non me crebbe bene—del mio fatigato.
Per te non fui maggiore,—n? senza te minore,
trasseme l’amore—che fusse reformato.
Se m’ami per aver gloria,—mercenaia hai memoria;
attento stai a mia solia—pur del remunerato.
Non m’ami per amore,—ch? ’l prezo te sta en core;
se ’l prezo ne trai fuore,—l’amor tuo ? anichilato.
Se la tua utilitate—te trae ad amorositate,
poco d’aversitate—te fa l’amor cagnato.
Se l’amore ? libero—che non sia avaro albitrio,
gentil fa desiderio—non condizionato.
Non c’? condizione—n? messa per ragione,
? fatta l’unione—che non veste vergato.
Da l’amativo amabile—esce l’amor mirabile,
l’amore ? poi durabile—semper in idem stato.
[Pg 196]

LXXXVI

Como l’anima dimanda perdonanza
de l’offensione e gusto d’amore

Amor dolce senza pare—sei tu, Cristo, per amare.
Tu sei amor che coniugni,—cui pi? ami spesso pugni;
onne piaga, poi che l’ugni,—senza unguento fai sanare.
Amor, tu non abandoni—chi t’offende, s? perdoni;
e de gloria encoroni—chi se sa umiliare.
Signor, fanne perdonanza—de la nostra offensanza,
e de la tua dolce amanza—fanne um poco assagiare.
Dolce Ies? amoroso,—pi? che manna saporoso,
sopra noi sie pietoso,—Signor, non n’abandonare.
Amor grande, dolce e fino,—increato sei divino,
tu che fai lo serafino—de tua gloria enflammare.
Cherubin ed altri cori,—apostoli e dottori,
martiri e confessori,—vergene fai iocundare.
Patriarche e profete—tu tragisti da la rete;
de te, amor, ?ver tal sete,—non se cr?dor mai saziare.
Dolce amor, tanto n’ame,—al tuo regno sempre clame,
saziando d’onne fame,—tanto sei dolce a gustare.
Amor, chi de te ben pensa,—giammai non d?i far offensa;
tu sei fruttuosa mensa—en cui ne devem gloriare.
Nella croce lo mostrasti,—amor, quanto tu n’amasti;
ch? per noi te umiliasti—e lassasti cruciare.
Amor grande fuor misura,—tu promission secura,
de cui nulla creatura—d’amar non se pu? scusare.
D?ite a chi te vol avere,—tu te vien a proferire,
amor, non te puoi tenere—a chi te sa ademandare.[Pg 197]
Ademando te amoroso,—dolce Ies? pietoso,
che me specchi el cor gioioso—de te solo, amor, pensare.
Lo pensar de te, amore,—fa enebriar lo core,
vol fugir onne rumore—per poterte contemplare.
Contemplando te, solazo,—pargli tutto ’l mondo laccio,
regemento fa de pazo—a chi non sa el suo affare.
Tu se’ amor de cortesia,—en te non ? villania,
d?mmete, amor, vita mia,—non me far tanto aspettare.
[Pg 198]

LXXXVII

De l’amor divino la misura del quale ? incognita

Amor che ami tanto,—ch’io non so dir lo quanto
del como esmesurato!
La mesura se lamenta—del como esmesurato,
sua ragion vole a distenta—parli l’amor tribulato;
la smesuranza s’? levata,—messo ha el freno a la mesura,
non faccia sommergetura,—ch? non ser?a pi? comportato.
Lo sapor de sapienza—l’affetto s? ha sotterrato,
lo lume de intelligenza—udite tratto c’ha pensato:
l’affetto s? ha pigliato—ed hallo messo en pregione,
sottomesso a la ragione,—loco l’ha terrafinato.
L’affetto, poi ch’? en pregione,—piange con gran desianza;
nullo cons?lo se vol dare—de la preterita offensanza,
de chi gli ha tolta la speranza—poi la comenza a biastemare,
e non se vol consolare—s? sta en s? contaminato.
O amor contaminato,—tutto pieno de furore,
d’onne tempo hai mormorato,—?ne entrato en possessore;
la iustizia ch’? assessore,—s? t’ha preso a condennare,
d’onne officio te privare,—ch? non sai far bon iudicato.
La iustizia s? ? presa—da lo senno del sapere,
una ragion gli ? commessa—che non degia preterire,
la scienzia far tacere—ed onne atto alienare,
e le virtute esaltare,—se non ser?a excomunicato.
O amor ch’?i tempestoso,—ch’en te non fai recetto,
?tte sottratto el prestato,—conquassato sta l’aspetto;
ma el desio del diletto—abracciato ha el disiare,
con lo vile en s? vilare—non vederse en s? vilato.[Pg 199]
O audito senza audito,—che en te non hai clamore,
entelletto senza viso—hai anegato onne valore;
non hai en te possessore,—da altri non ?i posseduto,
onne atto s? t’? renduto,—s? sta l’amore affissato.
L’odorato t’? renduto,—non sai dir que ? delettare,
lo sapore ? fatto muto,—non sai dir pi? que ? gustare;
lo silenzio ce appare,—ch? gli ? tolto onne lenguaio;
allor par gi? quietaio,—vive en s? ben roborato.
Tutti gli atti vecchi e novi—en un nichilo son fondate,
son formati senza forma,—non han termen n? quantitate,
uniti con la veritate;—coronato sta l’affetto,
quietato lo ’ntelletto,—nell’amore trasformato.
[Pg 200]

LXXXVIII

Como in l’omo perfetto sono figurate le tre ierarchie
con li novi cori de angeli

L’omo che pu? la sua lengua domare,
grande me pare che agia signoria;
ch? raro parlamento pu? l’om fare
che de peccar non agia alcuna via;
agiome pensato de parlare,
reprendomi, ch? faccio gran foll?a;
ca senno en me non sento n? affare
a far devere grande diceria;
ma lo volere sforza el ragionare
preso ha lo freno e tiello en sua bal?a.
Per? me ser?a meglio lo tacere,
ma veggio ch’io non lo posso ben fare;
per? parlo e dico el mio parere
ed a correzione ne voglio stare;
pregove tutti che vi sia en piacere
de volere lo mio ditto ascoltare,
e recurriamo a Dio en cui ? ’l sapere
che l’asina de Balaam fece parlare,
ch’ello me dia alcuna cosa dire
che sia sua laude e a noi possa giovare.
Pareme che l’omo sia creato
a la imagine di Dio e semiglianza;
lo paradiso pareme ordinato
de nove orden d’angeli en ordenanza;
en tre ierarchie ? el loro stato
de quella beatissima adunanza,[Pg 201]
or facciamo che l’uomo sia en stato
che truove en s? quella concordanza;
e pareme d’averlo retrovato,
se io non fallo nella mia cuitanza.
Tre ierarchie ha l’omo perfetto:
la prima si ? ben encomenzare;
lo secondo stato ? pi? eletto
ch’en megliorar fa l’om perseverare;
ottimo lo terzo sopra eletto,
omo che consuma en ben finare;
non se ne trov? ancor decetto
chi con questi tre volse albergare,
molto me ne trovo en gran defetto
ch? io al primo ancor non volse entrare.
Aggiome veduto e ben pensato
che l’uom perfetto a l’arbor se figura,
che, quanto pi? profondo ? radicato,
tanto ? pi? forte ad onne rea fortura;
de vil corteccia veggiolo amantato,
conservace l’umore e la natura,
de rami, foglie e frutto ? adornato
lavora d’onne tempo senza mura;
da poi che ’l frutto hacce appicciato,
conservalo, nutrica e poi el matura.
La fossa dove questo arbor se planta
parme la profonda umilitate;
ch? se la radicina loco achianta,
engrossace ad trar l’umiditate,
e fa l’arbor crescere ed enalta,
non teme freddo n? nulla siccitate;
standoce gli ucelli, loco canta,
esbernace con grande suavitate,
nascondece lo nido e s? l’amanta,
che non se veggia a sua contrarietate.
Lo ceppo che la radice s? divide
pareme la fede che ? formata,[Pg 202]
e le radice dodece ce vide,
gli articoli con essa congregata;
se ensemora non gli tien, la conquide
deguasta l’arbor tutta conquassata,
se ensemora l’abracci, s? te ride,
all?tate nella buona contrata,
e c?mpate dal loco o’ s’allide
quilli che la tengono viliata.
Lo stipite ch’en alto se depone
pareme l’altissima speranza,
divide da la terra tua magione,
cond?cetela en ciel la vicinanza;
se loco ce demori onne stagione
gaudio ce trovi en abundanza;
cerchi la citade per regione,
cantasi lo canto de alegranza,
p?rete lo mondo una pregione,
videlo pieno de grande fallanza.
L? ’ve gli rami hanno nascimento
pareme che sia la caritate;
la prima ierarchia ? ’l comenzamento,
tre rami ce trovi en unitate;
destenguese per bello ordenamento
ciascuna en sua proprietate;
grande trovi en loro comenzamento
pensando nella loro varietate,
l’uno senza l’altro ? sviamento
e non verria a comp?ta veritate.
Lo primo ramo d’esto encomenzare,
lo qual al primo orden se figura,
angeli s? audimo nominare,
s? come n’amaestra la Scrittura;
angelo se vole enterpretare
messo nobilissimo en natura,
messo che ne l’alma p?i trovare;
paiome gli pensier senza fallura,[Pg 203]
lo Spirito santo halli ad inspirare
che nullo gli p? aver per sua fattura.
Poi che se’ stato assai nello pensiere,
che de lo star con Dio hai costumanza,
lo diletto m?ttete a vedere
gli ben c’hai recevuti en abundanza,
e chi se’ tu per cui volse morire,
che rotta gli hai la fede e la lianza,
e che esso Signor volse soffrire
da me peccatore tanta offensanza;
de vergogna vogliomene vestire,
non trovo loco ne la mia cuitanza.
De lo pensiere nasce un desio,
che el secondo ramo puoi appellare;
arcangeli figura, como creio,
che summi messi puoti enterpretare;
de pianger non trovo unqua remeio,
enfiase lo core a suspirare,
ed ov’? ’l mio Signor ch’io non lo veio?
derrata so ch’el volse comperare;
respondemi, Signor, c’altro non cheio;
desidero morir per te amare.
La lezione damme una ensegna
ca, se voglio trovar lo mio Signore,
ad opera comp?ta opo ? ch’io vegna,
se vol che viva e cresca lo suo amore;
lo terzo ramo mostrame ed assegna
nome de virtute per dottore;
chi questo ramo prende, bene aregna,
albergalo con l’altro emperadore,
e de viver prende una convegna
che sempre va crescendo per fervore.
La seconda ierarchia, co a me pare,
che en tre distinzione ? ordinata,
che nella prima non puoi dimorare;
se con questa non fai tua giornata,[Pg 204]
con l’impedimenti opo t’? pugnare;
se vol che vada en pace la contrata,
li cinque sensi opo t’? domare
che la morte al core hanno ministrata;
dominazione si pu? appellare
questa signoria cus? beata.
Lo secondo ramo ? principato,
en elle creature ordinamento,
che ci? che vede ed ode ed ha pensato,
ciascuna rieca suo consolamento,
laudando lo Signor che l’ha creato
per sua pietate e piacemento;
ciascuna conserva lo suo stato,
repr?ndete c’hai fatto fallimento,
cons?rvate lo core en uno stato
che sempre de Dio trovi pascimento.
Le vizia, che stanno a la nascosta,
ciascuno se briga de aiutare,
de non lassar l’albergo fanno rosta,
ciascuno se briga de esforzare;
l’orden de le potest? se cci acosta,
tutte le virtude fa congregare:
la battaglia dura s? s’? mosta
l’una contro l’altra a preliare;
le vizia s? fugono la iosta,
lassan lo campo e brigan de mucciare.
L’umilitate la superbia vide,
d’un alto monte s? l’ha tralipata;
la envidia, vedendo, s? se allide,
la caritade l’arde ed ha brusata;
e l’ira, ci? sentendo, s? se occide,
la mansuetude s? l’ha strangulata;
l’accidia, che unqua mai non ride,
iustizia l’ha troppo ben frustata;
avarizia, c’ha morti li suoi rede,
la pietate s? l’ha scorticata.[Pg 205]
Lussuria s? sta molto adornata,
pensa per sua belleza de campare;
ma la castitate l’ha accorata,
molto dura morte gli fa fare;
ed en un pilo s? l’ha sotterrata,
e loco agli vermi fala devorare;
la gola s? n’? molto empaurata,
discrezione volese amantare;
ma la temperanza l’ha pigliata,
tienla en pregione e f?lase enfrenare.
Poi che le virtute hanno venciuto,
ordenano d’aver la signoria;
lo terzo stato claman per aiuto,
ch?, senza lui, prendon mala via;
cercano la Scrittura, han envenuto
o’ lo Signor de riposar desia,
concordia s? hanno conceputo,
ch’en trono de lo ’mperio segga dia;
el per elezione l’hanno elegiuto
che rega e tenga tutta la bail?a.
Le virtute fanno petizione
a la signoria que deggian fare,
ch? ciascuna vol la sua ragione,
ed estatuto vogliono ordenare;
de la concordia trovan la magione,
l? ’v’ella co lloro deggia reposare,
e discordia mettono en pregione,
che onne ben faceva deguastare;
ed onne tempo vogliono ragione
e nullo feriato voglion fare.
Concordia non pu? bene regnare,
se de sapere non ha condimento;
lo secondo ramo fonno clamare
che de sapere ha l’amaestramento;
cherubini vogliono abracciare,
contemplando el Signor per vedemento,[Pg 206]
ed en sua scola voglion demorare,
che da lui recevan lo convento;
lo ’ntelletto volsece apicciare,
ch? de legere ha forte entendemento.
Ch?, quanto pi? el sapere va crescendo,
tanto pi? trova en Dio la smesuranza;
lo ’ntendemento vasse devencendo,
anegalo en profondo per usanza
l’ordene serafico, apparendo
nello ’nfocato viver per amanza;
questo defetto v?secce ademplendo,
abraccian lo Signor per desianza
e cus? sempremai lo va tenendo,
en ci? la caritate ha consumanza.
Or preghiamo lo Signore potente
che per sua bontade e cortesia
esso dirizi s? la nostra mente,
che sempre tengam la diritta via;
s? ch’en futuro non siam perdente
d’aver en cielo la sua compagnia;
molto se porr? tener dolente
chi nello ’nferno fatt’ha albergaria,
ch? sempre viver? en fuoco ardente;
campene noi la Vergene Maria. Amen.
[Pg 207]

LXXXIX

Arbore dell’amore divino

Un arbore ? da Dio plantato—lo qual amor ? nominato.
—O tu, omo, che c’?i salito,—dimme en que forma ?i tu gito,
perch? ’l viagio me sia aprito,—ch? sto en terra otenebrato.
—Se ’l te dico, poco vento—mo m’encasca, s? sto lento!
ancora non agio vento,—’nante so molto tempestato.
—Gi? non ? tua questa storia—’nante ? a Dio tutta gloria;
non me trovo en mia memoria—che tu per arte l’aggi acquistato.
Se ’l me dice, mo p? avenire—che mo me fai de loto uscire,
se per te vengo a Dio servire—a Dio m’averai guadagnato.
—A laude de Dio lo te dico—e per avermete ad amico:
empaurato dal Nemico,—fui a questo arbore menato.
Con la mente ci aguardai,—e de salir m’enfiammai,
fui da pede ed io ’l mirai—ch’era tanto smesurato.
Li rami erano en tanta altura,—non ne posso dir mesura;
lo pedale en dirittura—era tutto desnodato.
Da nulla parte non vedea—co salire ce potea,
se non da un ramo che pendea—ch’era a terra repiegato.
Questo era un rametello—ch’era molto poverello,
umilitate era segello—de questo ramo desprezato.
Advi?me per salire,—f?me ditto:—Non venire,
se non te brighi de partire—da onne mortal peccato.—
Venneme contrizione,—lavaime con confessione,
e feci satisfazione,—co da Dio me fo donato.
Al salire retornando,—e nel mio cor g?a pensando
e g?a molto dubitando—del salir afatigato.[Pg 208]
Pregai Dio devotamente—ch’al salir me fos iuvente,
ca, senza lui, non ? niente—de tutto quel ch’avea pensato.
Da ciel me venne una vuce—e disse:—S?gnate con cruce,
e piglia el ramo de la luce—lo qual a Dio ? molto a grato.—
Con la croce me signai,—e lo ramo s? pigliai,
tutto lo core ci afittai—s? ch’en alto fui levato.
Poi, levato en tanta altura,—trovai amor de dirittura,
lo qual me tolse onne paura—onde el mio cor era tentato.
Encontenente ch’io fui gionto,—non me lass? figer ponto
de far sopra me un gionto—en un ramo sopra me plantato.
Poi ch’en quel ramo fui salito,—che da man ritta era ins?to,
de suspiri fui ferito,—luce de lo sponso dato.
Da l’altra parte volse ’l viso—e ne l’altro ramo fui affiso,
e l’amor me fece riso—per? che m’avea s? mutato.
Ed io, sopra me guardanno,—doi rami ce vidde entanno,
l’uno ha nome perseveranno,—l’altro amor continuato.
Salendo su cresi posare,—l’amor non me lass? finare,
de sopra me f?me guardare—en un ramo sopra me fermato.
Salendo su s? resedea,—le poma scritte ce pendea,
le lacrime ch’amor facea,—ch? lo sponso gli era s? celato.
Da l’altra parte volse ’l core—vidde el ramo de l’ardore,
passando l’ha sentito amore—che m’avea s? rescaldato.
Stando loco non finava,—l’amor molto m’encalzava,
de menar me l? ’ve stava—en un ramo sopra me esaltato.
Poi ch’en quel ramo me alzasse,—scritto era ch’io me odiasse,
perch? tutto amor portasse—a quel Signor che m’ha creato.
Al ramo da l’altra parte—trasseme amor per arte
a lo contemplar che sparte—lo cor d’onne amaricato.
A lo ramo de pi? alteza—s? fui tratto con lebeza,
o’ languisce en alegreza—sentendo d’amor con odorato.
Da l’altra parte pusi mente,—vidi ramo ante me piacente,
passando l’ardor pongnente—ferendo al cor l’ha stemperato.
Stemperato de tal foco,—lo mio cor non avea loco,
fui furato a poco a poco—en el ramo sopra me fidato.
Tanto d’amor fui ferito,—ch’en quel ramo fui rapito
o’ lo mio sponso fo apparito—e con lui fui abracciato.[Pg 209]
En me medesmo venni mino,—menato en quel ramo divino,
tanto viddi cosa en pino,—che lo cor ce fo anegato.
A le laude del Signore—ditto t’aggio el suo tenore;
se vol salire, or pone ’l core—a tutto quel ch’agio parlato.
En el arbor de contemplare—chi voi salir, non d?’ posare,
pensier, parole e fatti fare—ed ita sempre esercitare[3].

[Pg 210]

[3] Agionto en alcuni libri:

Non ? dato a creatura—salir ultra sta misura,
la Trinit? sola ? for misura,—lo sommo inaccessibil chiamato.
Tredece ramora con li frutti,—de sette gradora produtti,
se gli potrai salir tutti,—serai en perfetto stato.

Nota del Bonaccorsi.

XC

Como l’anima se lamenta con Dio de la carit?
superardente in lei infusa

Amor de caritate,—perch? m’hai s? ferito?
lo cor tutt’ho partito—ed arde per amore.
Arde ed incende, nullo trova loco,
non pu? fugir per? ched ? legato,
s? se consuma como cera a foco;
vivendo more, languisce stemperato,
demanda de poter fugire um poco,
ed en fornace tr?vase locato;
oim?, do’ so menato?—A s? forte languire?
Vivendo s?, ? morire,—tanto monta l’ardore!
’Nante che el provasse, demandava
amare Cristo, credendo dolzura;
en pace de dolceza star pensava,
for d’ogni pena possedendo altura;
pruovo tormento qual non me cuitava,
che ’l cor se me fendesse per calura;
non posso dar figura—de que veggio sembianza,
ch? moio en delettanza—e vivo senza core.
Aggio perduto el core e senno tutto,
voglia e piacere e tutto sentimento,
onne belleza me par loto brutto,
delize con riccheze perdimento;
un arbore d’amor con grande frutto,
en cor piantato, me d? pascimento,
che fe’ tal mutamento—en me senza demora,
gettando tutto f?ra,—voglia, senno e vigore.[Pg 211]
Per comperar amor tutto aggio dato,
lo mondo e mene, tutto per baratto;
se tutto fosse mio quel ch’? creato,
dar?alo per amor senza onne patto;
e trovome d’amor quasi engannato,
ch?, tutto dato, non so dove so tratto;
per amor so desfatto,—pazo s? so tenuto;
ma, perch? so venduto,—de me non ho valore.
Credeame la gente revocare,
amici che me fuoro, d’esta via;
ma chi ? dato pi? non se pu? dare,
n? servo far che fugga signoria;
prima la pietra porr?ase amollare
ch’amor che me tien en sua bail?a:
tutta la voglia mia—d’amor s? ? enfocata,
unita, trasformata:—chi toller? l’amore?
Fuoco n? ferro non li pu? partire,
non se divide cosa tanto unita;
pena n? morte gi? non pu? salire
a quella alteza dove sta rapita;
sotto s? vede tutte cose gire
ed essa sopra tutte sta gradita;
alma, co se’ salita—a posseder tal bene?
Cristo, da cui te vene,—abraccial con dolzore.
Gi? non posso vedere creatura,
al Creatore grida tutta mente;
cielo n? terra non me d? dolzura,
per Cristo amore tutto m’? fetente;
luce de sole s? me pare oscura,
vedendo quella faccia resplendente,
cherubin son niente,—belli per ensegnare,
serafin per amare,—chi vede lo Signore.
Nullo donqua ormai pi? me reprenda
se tale amore me fa pazo gire,
gi? non ? core che pi? se defenda
d’amor s? preso che possa fugire;[Pg 212]
pensi ciascuno co el cor non se fenda,
cotal fornace co possa patire;
s’io potesse envenire—alma che m’entendesse
e de me cordoglio avesse,—ch? se strugge lo core!
Ch? cielo e terra grida e sempre chiama,
e tutte cose ch’io s? deggia amare;
ciascuna dice con tutto cuor:—Ama
l’amor c’ha fatto briga d’abracciare;
ch? quello amore, per? che te abrama,
tutti noi ha fatti per ad s? trare;
veggio tanto arversare—bontade e cortesia
de quella luce pia—che se spande de fuore.—
Amare voglio pi?, se pi? potesse,
ma, co pi? ami, lo cor gi? non trova;
pi? che me dare con ci? cche volesse
non posso, questo ? certo senza prova;
tutto l’ho dato perch? possedesse
quel amador che tanto me renova;
belleza antiqua e nova,—da poi che t’ho trovata,
o luce smesurata—de s? dolce splendore!
Vedendo tal belleza, s? so tratto
de for de me, non so dove portato;
lo cor se strugge como cera sfatto,
de Cristo se retrova figurato;
gi? non si trova mai s? gran baratto:
vestirse Cristo, tutto s? spogliato;
lo cor s? trasformato—amor grida che sente,
anegace la mente,—tanto sente dolzore!
Ligata s? la mente con dolceza,
tutta se destende ad abracciare;
e, quanto pi? reguarda la belleza
de Cristo, fuor de s? pi? fa gettare
en Cristo tutta possa con riccheza;
de s? memoria nulla pu? servare,
ormai a s? pi? dare—voglia nulla n? cura,
n? pu? perder valura—de s? onne sentore.[Pg 213]
En Cristo trasformata, quasi ? Cristo;
con Dio gionta tutta sta divina;
sopr’onne altura ? s? grande acquisto
de Cristo e tutto lo suo star regina;
or donqua co potesse star pi? tristo
de colpa demandando medicina
nulla c’? pi? sentina;—dove trovi peccato,
lo vecchio m’? mozato,—purgato onne fetore.
En Cristo ? nata nova creatura,
spogliato lo vechio, om fatto novello;
ma tanto l’amor monta con ardura,
lo cor par che se fenda con coltello,
mente con senno tolle tal calura,
Cristo me tra’ tutto, tanto ? bello!
Abracciome con ello—e per amor s? chiamo:
—Amor, cui tanto bramo,—famme morir d’amore!—
Per te, amor, consumome languendo,
e vo stridendo per te abracciare;
quando te parti, s? moio vivendo,
sospiro e piango per te retrovare;
e, retornando, el cor se va stendendo,
ch’en te se possa tutto trasformare;
donqua, pi? non tardare:—Amor, or me soviene,
ligato s? me tiene,—consumame lo core!
Resguarda, dolce amor, la pena mia!
tanto calore non posso patire;
l’amor m’ha preso, non so do’ me sia,
que faccio o dico non posso sentire;
como stordito s? vo per la via,
spesso trangoscio per forte languire;
non so co sofferire—possa tal tormento,
emper? non me sento—che m’ha secco lo core.
Cor m’? furato, non posso vedere
que deggia fare o que spesso faccia;
e, chi me vede, dice che vol sapere
amor senza atto se a te, Cristo, piaccia;[Pg 214]
se non te piace, que posso valere?
de tal mesura la mente m’alaccia
l’amor che s? m’abraccia,—tolleme lo parlare,
volere ed operare,—perdo tutto sentore.
Sappi parlare, ora so fatto muto;
vedea, m? so cieco deventato;
s? grande abisso non fo mai veduto:
tacendo parlo, fugo e so legato,
scendendo salgo, tengo e so tenuto,
de fuor so dentro, caccio e so cacciato;
amor esmesurato,—perch? me fai empazire,
en fornace morire—de s? forte calore?
Ordena questo amore, tu che m’ami,
non ? virtute senza ordene trovata,
poich? trovare tanto tu m’abrami,
ca mente con virtute ? renovata
a me amare, voglio che tu chiami
la caritate qual sia ordenata;
arbore s? ? provata—per l’ordene del frutto
el quale demostra tutto—de onne cosa el valore.
—Tutte le cose qual aggio ordenate
s? so fatte con numero e mesura,
ed al lor fine son tutte ordenate
conservanse per orden tal valura,
e molto pi? ancora caritate
s? ? ordenata nella sua natura.
Donqua co per calura,—alma, tu se’ empazita?
For d’orden tu se’ uscita,—non t’? freno el fervore.
—Cristo, che lo core s? m’hai furato,
dici che ad amor ordini la mente,
come da poi ch’en te s? so mutato
de me remasta, fusse convenente?
S? com’? ferro ch’? tutto enfocato,
aurora da sole fatta relucente,
de lor forma perdente—son per altra figura,
cus? la mente pura—de te ? vestita, amore.[Pg 215]
Ma, da che perde la sua qualitate,
non pu? la cosa da s? operare;
como formata s? ha potestate,
opera con frutto s? puote fare;
donqua si ? transformata en veritate
en te sol, Cristo, che se’ dolce amare;
a te si pu? imputare—non a me quel che faccio;
per?, se non te piaccio,—tu a te non piaci, amore.
Questo ben sacci che, s’io so empazito,
tu, somma sapienzia, s? el m’hai fatto;
e questo fo da che io fui ferito
e quando con l’amor feci baratto,
che, me spogliando, fui de te vestito,
ad nova vita non so co fui tratto;
de me tutto desfatto—or so per amor forte,
rotte si son le porte—e giaccio teco, amore.
Ad tal fornace perch? me menavi,
se volevi ch’io fossi en temperanza?
Quando s? smesurato me te davi,
tollevi da me tutta mesuranza;
poi che picciolello me bastavi,
tenerte grande non aggio possanza;
onde, se c’? fallanza,—amor, tua ?, non mia,
per? che questa via—tu la facesti, amore.
Tu da l’amore non te defendesti,
de cielo en terra fecete venire;
amore, ad tal basseza descendesti
co omo despetto per lo mondo gire;
casa n? terra gi? non ce volesti,
tal povertate per noi arricchire
la vita e nel morire—mostrasti per certanza
amor de smesuranza—ch’ardea nello core.
Como per lo mondo spesso andavi,
l’amor s? te menava co venduto;
en tutte cose, amor, sempre mostravi
de te quasi niente perceputo,[Pg 216]
che stando nello tempio s? gridavi:
—Ad bever venga chi ha sostenuto,
sete d’amor ha ’vuto,—ch? gli dir? donato
amore smesurato—qual pasce con dolzore.—
Tu, sapienzia, non te contenesti
che l’amor tuo spesso non versasse,
d’amor non de carne tua nascesti,
umanato amor che ne salvasse;
per abracciarne en croce tu salesti,
e credo che perci? tu non parlasse,
n? te amor scusasse—davanti da Pilato
per compier tal mercato—en croce de l’amore.
La sapienza, veggio, se celava,
solo l’amore se potea vedere;
e la potenza gi? non se mostrava,
che era la virtute en dispiacere;
grande era quel amor che se versava,
altro che amor non potendo avere,
n? l’uso nel volere,—amor sempre legando
en croce ed abracciando—l’omo con tanto amore.
Donqua, Ies?, s’io so s? enamorato,
enebriato per s? gran dolceza,
ch? me reprendi s’io vo empazato,
ed onne senno perdo con forteza?
Poi che l’amore te s? ha legato,
quasi privato d’ogne tua grandeza,
co ser?a mai forteza—en me di contradire,
ch’io non voglia empazire—per abracciarte, amore?
Ch? quel amore che me fa empazire
a te par che tollesse sapienza,
e quel amor che s? me fa languire,
a te per me s? tolse la potenza;
non voglio ormai n? posso sofferire,
d’amor so preso, non faccio retenza,
daramme la sentenza—che io d’amor sia morto,
gi? non voglio conforto—se non morire, amore.[Pg 217]
Amore, amore che s? m’hai ferito,
altro che amore non posso gridare;
amore, amore, teco so unito,
altro non posso che te abracciare;
amore, amore, forte m’hai rapito,
lo cor sempre se spande per amare;
per te voglio pasmare,—amor, ch’io teco sia,
amor, per cortesia,—famme morir d’amore.
Amor, amor, Ies?, so gionto a porto,
amor, amor, Ies?, tu m’hai menato;
amor, amor, Ies?, damme conforto,
amor, amor, Ies?, s? m’hai enflammato;
amor, amor, Ies?, pensa lo porto,
fammete star, amor, sempre abracciato,
con teco trasformato—en vera caritate,
en somma veritate—de trasformato amore.
Amor, amore grida tutto ’l mondo,
amor, amore, onne cosa clama;
amore, amore, tanto se’ profondo,
chi pi? t’abraccia sempre pi? t’abrama.
Amor, amor tu se’ cerchio rotondo,
con tutto ’l cor chi c’entra sempre t’ama,
ch? tu se’ stame e trama—chi t’ama per vestire,
cus? dolce sentire,—che sempre grida amore.
Amore, amore, tanto tu me fai,
amor, amore, nol posso patire;
amor, amore, tanto me te d?i,
amor, amore, ben credo morire;
amor, amore, tanto preso m’hai,
amor, amor, famme en te transire;
amor, dolce languire,—amor mio desioso,
amor mio delettoso,—anegame en amore.
Amor, amor, lo cor s? me se speza,
amor, amore, tal sento ferita;
amor, amor, tramme la tua belleza,
amor, amor, per te s? so rapita;[Pg 218]
amor, amore, vivere despreza,
amor, amor, l’alma teco ? unita;
amor, tu se’ sua vita:—gi? non se pu? partire;
perch? lo fai languire—tanto stregnendo, amore?
Amor, amor, Ies? desideroso,
amor, voglio morire te abracciando;
amor, amor, Ies?, dolce mio sposo,
amor, amor, la morte t’ademando;
amor, amor, Ies? s? delettoso,
tu me t’arendi en te transformando,
pensa ch’io vo pasmando,—Amor, non so o’ me sia,
Ies?, speranza mia,—abissame en amore.
[Pg 219]

XCI

Come l’anima per santa nichilit? e carit?
perviene a stato incognito ed indicibile

Sopr’onne lengua amore,—bont? senza figura,
lume fuor de mesura—resplende nel mio core.
Averte conosciuto—credea per entelletto,
gustato per affetto—viso per simiglianza.
Te credendo tenuto—averte s? perfetto
provat’ho quel diletto,—amor d’esmesuranza.
Or, parme, fo fallanza,—non se’ quel che credea,
tenendo non avea—vert? senza errore.
O infigurabil luce,—chi te pu? figurare,
ch? volesti abitare—en la scura tenebr?a?
Tuo lume non conduce—chi te veder gli pare
potere mesurare—de te quel che sia.
Notte veggio ch’? dia,—virtute non se trova,
non sa de te dar prova—chi vede quel splendore.
Virtute perde l’atto—da poi che giogne a porto,
e tutto vede torto—quel che dritto pensava.
Trova novo baratto—dove lume ? aramorto,
novo stato gli ? porto—de quel non procacciava;
e quel che non amava—e tutto ha perduto
quel ch’avea posseduto—per caro suo valore.
Se l’atto de la mente—? tutto consopito,
en Dio stando rapito,—ch’en s? non se retrova,
de s? reman perdente—posto nello ’nfinito,
ammira co c’? gito,—non sa como se mova.
Tutto s? se renova,—tratto fuor de suo stato,
en quello smesurato—dove s’anega l’amore.[Pg 220]
En mezo de sto mare—essendo s? abissato,
gi? non ce trova lato—onde ne possa uscire.
De s? non pu? pensare—n? dir como ? formato,
per? che, trasformato,—altro s? ha vestire.
Tutto lo suo sentire—en ben s? va notando,
belleza contemplando—la qual non ha colore.
De tutto prende sorte,—tanto ha per unione
de trasformazione,—che dice:—Tutto ? mio.—
Aperte son le porte—fatta ha coniunzione,
ed ? en possessione—de tutto quel de Dio.
Sente que non sent?o,—que non cognove vede,
possede que non crede,—gusta senza sapere.
Per? c’ha s? perduto—tutto senza misura,
possed? quel’altura—de summa smesuranza.
Perch? non ha tenuto—en s? altra mistura,
quel ben senza figura—receve en abondanza.
Questa ? tal trasformanza,—perdendo e possedendo,
gi? non andar chirendo—trovarne parladore.
Perder sempre e tenere,—amare e delettare,
mirare e contemplare,—questo reman en atto.
Per certo possedere—ed en quel ben notare,
en esso reposare—ove se vede tratto.
Questo ? un tal baratto,—atto de caritate,
lume de veritate—che remane en vigore.
Altro atto non ci ha loco,—l? su gi? non s’apressa,
quel ch’era s? se cessa—en mente che cercava.
Calor, amor de fuoco,—n? pena non c’? admessa,
tal luce non ? essa—qual prima se pensava.
Quel con que procacciava—bisogno ? che lo lassi,
a cose n?ve passi—sopr’onne suo sentore.
Luce gli pare oscura—qual prima resplendea,
que virtute credea,—retrova gran defetto.
Gi? non pu? dar figura—como emprima facea,
quando parlar solea—cercar per entelletto.
En quello ben perfetto—non c’? tal simiglianza,
qual prese per certanza—e non ? possessore.[Pg 221]
Emprima che sie gionto—pensa che ? tenebr?a,
que pensi che sia dia,—que luce oscuritate.
Se non ?i en questo ponto—che niente en te non sia,
tutto s? ? fals?a,—que te par veritate.
E non ? caritate—en te ancora pura,
mentre de te hai cura,—p?nsete far vittore.
Se vai figurando—imagine per vedere
e per sapor sapere—que ? lo smesurato,
credi poter cercando—enfinito potere,
s? come ? possedere,—molto parmi engannato.
Non ? que hai pensato,—que credi per certanza,
gi? non se’ simiglianza—de lui senza fallore.
Donqua te lassa trare—quando esso te toccasse,
se forsa te menasse—a veder sua veritate.
E de te non pensare,—non val che procacciassi
che lui tu retrovassi—con tua vanitate.
Ama tranquillitate—sopra atto e sentimento,
retrova en perdimento—de te el suo valore.
En quello che gli piace—te ponere, te piaccia,
perch? non val procaccia—quando te afforzassi.
En te s? aggi pace,—abraccial se t’abraccia,
se nol fa, ben te piaccia,—guarda non te curassi.
Se como d?i amassi,—sempre ser?e contento,
portando tal talento—luce senza timore.
Sai che non puoi avere—se non quello che vol dare,
e quando nol vol fare,—gi? non hai signoria.
N? non puoi possedere—quel c’hai per afforzare,
se nol vuol conservare—sua dolce cortesia.
Perch? tutta tua via—s? fuor de te ? posta,
ch’en te non ? reposta,—ma tutta ? nel Signore.
Donqua se l’hai trovato,—cognosci en veritate
che non hai potestate—alcun ben envenire.
Lo ben che t’? donato—fal quella caritate
che per tua primitate—non se pu? prevenire.
Tutto lo tuo desire—donqua sia collocato
en quello smesurato—d’ogne ben donatore.[Pg 222]
De te gi? non volere—se none que vuol esso,
perdere tutto te stesso—en esso trasformato.
En tutti i suoi piaceri—sempre te trova messo,
vestito sempre d’esso,—de te tutto privato.
Per? che questo stato—onne virtute passa,
ch? te Cristo non lassa—cader mai en fetore.
Da poi che tu non ami—te, ma quella bontate,
cerca per veritate—ch’una cosa se’ fatto.
Bisogno ? che te reami—s? con sua caritate,
en tanta unitate—en esso tu sie attratto.
Questo si ? baratto—de tanta unione,
nulla divisione—p? far doi d’un core.
Se tutto gli t’?i dato—de te non servando,
non te, ma lui amando—gi? non te pu? lassare.
Quel ben che t’? donato,—en s? te commutando,
lasser? s? lassando—en colpa te cascare.
Donqua co s? lassare—gi? non pu? quella luce,
s? te, lo qual conduce—per s? unito amore.
O alta veritate—cui ? la signoria,
tu se’ termine e via—a chi t’ha ben trovato.
Dolce tranquillitate—de tanta magior?a,
cosa nulla che sia—pu? variar tuo stato;
per? che ? collocato—en luce de fermeza,
passando per laideza—non perde el suo candore.
Monda sempre permane—mente che te possede,
per colpa non se lede,—ch? non se pu? salire.
En tanta alteza stane—ed en pace resede,
mondo con vizio vede—sotto s? tutto gire.
Virtute non ha sentire,—n? carit? fervente,
de stato s? possente—gi? non possede onore.
La guerra ? terminata,—de le virt? battaglia,
de la mente travaglia,—cosa nulla contende.
La mente ? renovata,—vestita a tal entaglia,
de tal ferro ? la maglia,—feruta no l’offende.
Al lume sempre intende—nulla vuol pi? figura,
per? che questa altura—non chiede lume de fuore.[Pg 223]
Sopra lo fermamento—lo qual s? ? stellato
d’ogne virtute ornato—e sopre al cristallino
ha fatto salimento,—puritate ha passato,
terzo ciel ha trovato,—ardor de serafino.
Lume tanto divino—non se pu? maculare
n? per colpa abassare—n? en s? sentir fetore.
Onne fede s? cessa,—ch? gli ? dato vedere
speranza, per tenere—colui che procacciava.
Desiderio non s’apressa—n? forza de volere,
temor de permanere—ha pi? che non amava.
Veder ci? che pensava—tutto era cechitate,
fame de tempestate,—simiglianza d’errore.
En quello cielo empiro—s? alto ? quel che trova,
che non ne pu? dar prova—n? con lengua narrare.
E molto pi? m’amiro—como s? se renova
en fermeza s? nova,—che non pu? figurare.
E gi? non pu? errare,—cadere en tenebr?a,
la notte ? fatta dia,—defetto grande amore.
Como aere d? luce,—se esso lume ? fatto,
como cera desfatto—a gran foco mostrata,
en tanto s? reluce—ad quello lume tratto,
tutto perde suo atto,—volontate ? passata.
La forma che gli ? data—tanto s? l’ha absorto,
che vive stando morto,—? vinto ed ? vittore.
Non gir chirendo en mare—vino se ’l ce mettessi,
che trovar lo potessi—che ’l mar l’ha recevuto;
e che ’l possi preservare—e pensar che restesse
ed en s? remanesse—par che non fosse suto.
L’amor s? l’ha bevuto,—la verit? mutato,
lo suo ? barattato,—de s? non ha vigore.
Volendo gi? non vole,—ch? non ha suo volere,
e gi? non pu? volere—se non questa belleza.
Non demanda co suole,—non vuole possedere,
ha s? dolce tenere,—nulla c’? sua forteza.
Questa s? somma alteza—en nichilo ? fondata,
nichilata, formata,—messa nello Signore.[Pg 224]
Alta nichilitate,—tuo atto ? tanto forte,
che apre tutte le porte,—entra nello ’nfinito.
Tua ? la veritate—e nulla teme morte,
dirize cose torte,—oscuro fai chiarito.
Tanto fai core unita—en divina amistanza,
non c’? dissimiglianza—de contradir chi ha amore.
Tanta ? tua sutiglieza,—che onne cosa s? passi,
e sotto te s? lassi—defetto remanere.
Con tanta legereza—a la veritate passi,
che gi? non te rabassi—-po’ te colpa vedere.
Sempre tu fai gaudere,—tanto se’ concordata,
e, verit? portata,—nullo senti dolore.
Piacere e dispiacere—fuor da te l’hai gettato,
en Dio se’ collocato—piacer ci? che gli piace.
Volere e non volere—en te si ? anegato,
desiderio remortato,—per? hai sempre pace.
Questa ? tal fornace—che purga e non incende,
a la qual non se defende—n? freddo n? calore.
Merito non procacci,—ma merito sempre trovi,
lume con doni nuovi—gli quali non ademandi.
Se prendi, tanto abracci—che non te ne removi
e gioie sempre trovi—ove tutta despandi.
Tu curri, se non andi,—sali, co pi? descendi,
quanto pi? d?i, s? prendi,—possedi el Creatore.
Possedi posseduta,—en tanta unione
non c’? divisione—che te da lui retragga.
Tu bevi e se’ bevuta—en trasformazione,
da tal perfezione—non ? chi te distragga,
onde sua man contragga,—non volendo pi? dare,
gi? non si pu? trovare,—tu se’ donna e signore.
Tu hai passata morte,—se’ posta en vera vita,
n? non temi ferita—n? cosa che t’offenda.
Nulla cosa t’? forte,—da te po’ t’?i partita,
en Dio stai enfinita,—non ? chi te contenda.
Gi? non ? chi t’entenda,—veggia co se’ formata,
se non chi t’ha levata—ed ? de te fattore.[Pg 225]
Tua profonda basseza—s? alto ? sublimata,
en sedia collocata—con Dio sempre regnare.
En quella somma alteza—en tanto se’ abissata,
che gi? non ? trovata—ed en s? non appare.
E questo ? tal montare—onde scendi, e salire,
chi non l’ha per sentire,—gi? non ? entendetore.
Riccheza che possedi—quando hai tutto perduto,
gi? non fo mai veduto—questo simel baratto.
O luce che concedi—defetto essere aiuto,
avendo posseduto—virt? fuor de suo atto,
questo ? novel contratto—ove vita s’enferma,
enfermando se ferma,—cade e cresce en vigore.
Defetti fai profetti,—tal luce teco porti,
e tutto s? aramorti—ci? che puoi contradire.
Tuoi beni son perfetti—tutti altri s? son torti,
per te s? vivon morti,—gl’infermi fai guarire.
Perch? sai envenire—nel tosco medicina,
fermeza en gran ruina—en tenebre splendore.
Te posso dir giardino—d’ogne fiore adornato,
dove s? sta piantato—l’arbore de la vita.
Tu se’ lume divino,—da tenebre purgato,
ben tanto confermato—che non pati ferita.
E, perch? se’ unita—tutta con veritate,
nulla varietate—ti muta per timore.
Mai trasformazione—perfetta non pu? fare
n? senza te regnare—amor, quanto sia forte.
Ad sua possessione—non pu? virt? menare
n? mente contemplare,—se de te non ha sorte.
Mai non si serran porte—a la tua signoria,
grande ? tua baronia,—star co l’emperadore.
De Cristo fusti donna—e de tutti gli santi,
regnar con doni tanti—con luce tutta pura.
Per? pregam Madonna—ched essa s? n’amanti,
davanti a lei far canti,—amar senza fallura.
Veder senza figura—la somma veritate
con la nichilitate—del nostro pover core.
[Pg 226]

XCII

Como per la ferma fede e speranza se perviene
a triplice stato de nichilit?

La fede e la speranza—m’on fatta sbandigione,
dato m’on calci al core,—fatto m’on anichilare.
Anichilato so dentro e de fuore
en ci? che se pu? dire,
cotal s? me d? frutto ch’era amore
en vita stabilire;
non posso pi? fugire n? cacciare,
ch? l’amore m’ha folto;
s? so convento, non posso parlare.
Parlando taccio, grido fortemente,
sacciol ove ? atto,
ch’io non lo veggio e sempre sta presente
en onne creatura trasformato;
da l’esser a lo none—ho fatta l’unione
e per affetto el s? e ’l no mozzare.
Mozzato da lui tutto
e nulla perde e nulla p? volere;
onne possede e de nulla ? corrutto,
per? ch’ello n’? mozzo onne appetere;
l’essere e possedere—lo nichilo tutto
quel ? condutto che me fa vilare.
Vilisco onne cosa
ed onne cosa opo t’? possedere;
chi ? cosa d’onne cosa,
nulla cosa mai non pu? volere;
questo ? lo primo stato—de l’omo anichilato
che ha abnegato tutto suo volere.[Pg 227]
Tutto lo suo voler s? ? abnegato
e fatt’ha l’unione,
ed ?sse messo en mano de lo svegliato
per aver pi? ragione;
son tranquillati i venti—de li passati tempi,
fatta ? la pace del temporegiare.
Passato ’l tempo del temporegiare,
venuto ? un altro tempo ch’? magiore,
facciamo regemento per regnare
nel primo e nel secondo e nel megliore;
iura che ragion mantenga a tutte ore,
en nulla parte faccia demorare.
En nulla parte demoranza faccia,
ma sempre s? se deggia esercitare,
per? che lo ’ntelletto non ? posato,
ch? ancora va per mare;—chi ben non sa notare,
non se vada a bagnare,
subitamente porr?ase anegare.
Anegar pu? l’omo per lo peccato,
chi non vede el defetto;
per? ch’? dubitoso questo stato
a chi non vei l’affetto;—privato lo ’ntelletto,
sguardando ne l’affetto,
la luce che luce tenebr?a me pare.
O entenebrata luce che en me luce,
que ? ch’io en te non veggio?
Non veggio quel che deggio
e que non deggio veggio;
la luce che luce—non posso testare.
Staendo en questa altura de lo mare,
io grido fortemente:
—Succurre, Dio, ch’io sto su l’anegare!—
E per fortuna scampai malamente;
non vadano a pescare
nell’alto de lo mare, ch? fa follia
se d’onne cosa empr?a—non se vole spogliare.[Pg 228]
Spogliar se vole l’omo d’ognecovelle,
cio? en questo stato,
e ne la mente non posseder covelle;
se nell’altro vuole essere chiamato,
d?’ esser purgato dal fuoco;
quello ? luoco da paragonare.
Abnegare se vole onne volere
che fin al cristallino ? nagitto;
e nulla cosa se p? possedere
finente al tempo ch’io ho sopraditto;
queste l’ho certo scritto;—de lo secondo stato
non pu? essere operato,
cio? pi? en su la terra, ben me pare.
L’autunni son quadrati,
son stabiliti, non posson voltare;
li cieli son stainati,
lo loro silere me faccion gridare;
o profondato mare,—altura del tuo abisso
m’ha certo stretto a volerme anegare.
Anegato onne entelletto ? ’n un quiito,
per? che son ghiacciate tutte l’acque,
de gloria e de pena so sbandito,
vergogna n? onor mai non me piacque,
n? nulla me despiace,—ch? la perfetta pace
me fa l’alma capace
en onne loco potere regnare.
Regnare nello regno
e nello regno sta lo principato;
navigase so segno,
possede Roma e tutto lo senato,
e questo senatore—s? sana onne langore,
l’apostolo te puote esercitare.
Puote esercitare un cielo,
ch? questo cielo sta molto celato;
ha perduto onne zelo
possede el trono e tutto el dominato,[Pg 229]
e lo patriarcato,—che tanto su ? menato,
in Israel s? vole militare.
Lo patriarca s? vol dimorare
entro ne l’arca degli suoi secriti,
ed in Israel s? vole regnare,
per? en esso regno so fugiti,
loco si so uniti
ed han fugiti tutti gli altri regni:
quella ? la terra che voglion redetare.
Terra de promission n’? promessa,
ch’en essa terra regn? l’om perfetto;
e tutti gli perfetti regna en essa
che per virtute posto ci on l’affetto;
privato lo ’ntelletto,—sguardando nell’aspetto,
en onne loco se posson transformare.
Formati senza forma,
mozze tutte le facce per amore,
per? che son tornati en prima forma;
e questa ? la cagione:—chi sta nel terzo stato
del novo Adam plasmato
non vol pensar peccato n? operare.
[Pg 230]

XCIII

Pianto de la Madonna
de la passione del figliolo Ies? Cristo

Donna del paradiso,—lo tuo figliolo ? preso,
Ies? Cristo beato.
Accurre, donna, e vide—che la gente l’allide!
credo che llo s’occide,—tanto l’on flagellato.
—Como esser porr?a—che non fece mai follia,
Cristo, la spene mia,—omo l’avesse pigliato?
—Madonna, egli ? traduto,—Iuda s? l’ha venduto,
trenta denari n’ha ’vuto,—fatto n’ha gran mercato.
—Succuri, Magdalena,—gionta m’? adosso piena!
Cristo figlio se mena,—como m’? annunziato.
—Succurri, Madonna, aiuta!—ch’al tuo figlio se sputa
e la gente lo muta,—hanlo dato a Pilato.
—O Pilato, non fare—lo figlio mio tormentare,
ch’io te posso mostrare—como a torto ? accusato.
—Crucifige, crucifige!—Omo che se fa rege,
secondo nostra lege,—contradice al senato.
—Priego che m’entend?ti,—nel mio dolor pens?ti;
forsa m? ve mutati—de quel ch’avete pensato.—
Tragon fuor li ladroni—che sian suoi compagnoni:
—De spine se coroni!—ch? rege s’? chiamato.
—O figlio, figlio, figlio!—-figlio, amoroso giglio,
figlio, chi d? consiglio—al cor mio angustiato?
Figlio, occhi giocondi,—figlio, co non respondi?
figlio, perch? t’ascondi—dal petto ove se’ lattato?[Pg 231]
—Madonna, ecco la cruce,—che la gente l’aduce,
ove la vera luce—d?i essere levato.
—O croce, que farai?—el figlio mio torrai?
e que ci aponerai,—ch? non ha en s? peccato?
—Succurri, piena de doglia,—ch? ’l tuo figliuol se spoglia;
e la gente par che voglia—che sia en croce chiavato.
—Se glie tollete ’l vestire,—lassatemel vedire
come ’l crudel ferire—tutto l’ha ’nsanguinato.
—Donna, la man gli ? presa—e nella croce gli ? stesa,
con un bollon gli ? fesa,—tanto ci l’on ficcato!
L’altra mano se prende,—nella croce se stende,
e lo dolor s’accende,—che pi? ? multiplicato.
Donna, li pi? se prenno—e chiavellanse al lenno,
onne iontura aprenno—tutto l’han desnodato.
—Ed io comencio el corrotto:—Figliolo, mio deporto,
figlio, chi me t’ha morto,—figlio mio delicato?
Meglio aver?en fatto—che ’l cor m’avesser tratto,
che, nella croce tratto,—starce desciliato.
—Mamma, o’ sei venuta?—mortal me d?i feruta,
ch? ’l tuo pianger me stuta,—ch? ’l veggio s? afferrato.
—Figlio, che m’agio anvito,—figlio, patre e marito,
figlio, chi t’ha ferito?—figlio, chi t’ha spogliato?
—Mamma, perch? te lagni?—voglio che tu remagni,
che serve i miei compagni—ch’al mondo agio acquistato.
—Figlio, questo non dire,—voglio teco morire,
non me voglio partire,—fin che m? m’esce ’l fiato.
Ch’una agiam sepultura,—figlio de mamma scura,
trovarse en affrantura—matre e figlio affogato.
—Mamma col core affletto,—entro a le man te metto
de Ioanne, mio eletto;—sia il tuo figlio appellato.
Ioanne, esta mia mate—tollela en caritate,
aggine pietate—ca lo core ha forato.
—Figlio, l’alma t’? uscita,—figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,—figlio attossicato!
Figlio bianco e vermiglio,—figlio senza simiglio,
figlio, a chi m’apiglio?—figlio, pur m’hai lassato.[Pg 232]
Figlio bianco e biondo,—figlio, volto iocondo,
figlio, perch? t’ha el mondo,—figlio, cus? sprezato?
Figlio, dolce e piacente,—figlio de la dolente,
figlio, hatte la gente—malamente trattato!
O Ioanne, figlio novello,—morto ? lo tuo fratello,
sentito aggio ’l coltello—che fo profetizato.
Che morto ha figlio e mate—de dura morte afferrate,
trovarse abracciate—mate e figlio abracciato[4].

[Pg 233]

[4] La soprascripta lauda pertinente a la Madonna ? posta in questo loco per clausura de le precedente: el principio de le quali ? pur da lei: e per uno separamento da le seguente laude trovate in diversi libri. Le due proxime erano in uno libro antiquo scripto de l’anno M.CCC.XXXVI. in la cit? de Perugia: e non in altri libri maxime todini: et in la seconda si vede certi defecti (Nota del Bonaccorsi.)

XCIV

Como l’onore e la vergogna contendono insieme

Udite una entenzone—ch’? fra Onore e Vergogna,
qual ? pi? dura pogna—ad om virtuoso passare.
La Virtute, forteza armata,—tolle la sua schiera,
e la Vergogna gli ? contra—con la sua dura maniera;
nella prima frontiera—Vergogna fa dura bataglia,
l’altra e poi zanzavaglia,—ch? nulla cosa pu? fare.
Forteza, da poi ch’entra—ad la Vergogna patire,
ella va vigorando—e la Vergogna avilire;
non gli pu? enante fugire,—l? unqua la trova l’abatte,
l’ascempio de Cristo combatte—che volse vergogna portare.
Tanto ? ’l gaudio che porta—chi va per la via del Signore,
che onne vergogna s? abatte—e nullo gli ha ’nante valore;
’nante ’l se reputa onore—poter vergogna suffrire,
ch? s?quita il dolce suo sire—che volse ’n vergogna finare.
La Temperanza s’acconcia—armata d’umilitate,
l’Onore armato sta contra—affolto con sua dignitate;
battaglie ce son smesurate;—vencendol s’envigoresce,
sempre pi? forte ci aresce,—quando ’l te credi finare.
De l’onor c’hai conculcato—nasce pi? forte onore;
se om terreno nol vede—battaglie t’en porti nel core,
poi che per li signi de fore—odi che se’ santo chiamato
tu, Satanas encarnato,—odi de te tal parlare.
Tutta la vita tua en pianto—parme che sia reputato,
vedendo ’l Signor en vergogna—ed io so d’onore amantato;
o cor mio tribulato,—l’arra porto d’enferno,
vivo nel mio dispiacenno—e campo per tal preliare.
Vergogna ? ’l nimico palese,—puoite da longa coprire,
l’Onor ? el nimico de ciambra,—non li puo’ enante fugire;
parme pi? forte ad transire—onore en profonda umilitate
che non ? soffrir mia vilitate—en forteza abracciata de core.
[Pg 234]

XCV

Altro cantico nel quale pur se parla de anichilazione
e trasformazione, come nella xcii lauda de sopra
posta. Ed in due stanzie de questa appare defetto.

Que farai, morte mia,—che perderai la vita?
Guerra infinita—sir? tuo cuor demorare.
Or que farai, morte mia,—che perderai la vita?
Se io t’aggio nutrita—io me ne pento;
e poi la morte non tornai a vita,—guerra infinita
s? t’arepresento;—per? taccio ed assento,
quel che voglio non faccio—e quel che voglio desfaccio;
la lengua ne taccio—co omo obstinato.
Non enante la morte—se trova la vita;
oim?! te vita—porr?ate trovare;
ma po’ la morte—se truova la vita,
ma perde la vita—cotal demorare;
elato me pare—cotal exercire,
non pu? pervenire—a lo infinito stato.
Oim?!—ed io per te vo te fugendo,
parlando tazo,—lassando allazo,
dentro a la pelle—sta lo encreato.
Oim?! la tua pelle—? tanto rotta,
che dentro non pu? stare;—or facciamo che sia morta,
la vita sua fori a lo scorticare—per fede te convien passare,
e desperanza trovare—del bene e del male
esser scortecato.
Dentro a lo scortecato s’? remesso—colui che vo cercanno,
or faciam che sia quesso—voler morir per non vivere entanno;
par molto cosa dura—la morte e la vita far una,
mozzare onne figura—e non posseder nullo aspetto.[Pg 235]
Mozzata onne figura—de lo suo iudicato,
cacciato onne sospetto—de lo suo principato,
negato el suo volere—como non fusse nato,
omo anichilato—vive nel suo avetare.
El mio avetare ? quesso—de sotto a onnecovelle
e so en tal luoco messo—ben ne dir? le novelle,
non sa fin ca ne stende,—agiogne en onne luoco,
e questo molto par poco—a chi non l’ha comparato.
Dentro a lo comparato s’? remesso—colui che s’? venduto,
or facciam che sia quesso—voler morir per render lo tributo;
e questa ? la cagione,—per retribuzione
a terzo dine serai resuscitato.
Resuscitato, pareme morire,—en mente e ’n atto
vergogna non fugire,—ed ad onore non so tratto,
piacere e despiacere,—non far con nullo patto,
desperato tragiatto—al viso[5] ioco ha passato.
Passa fede e speranza—la credenza del certo,
la caritate unisce,—spogliase ne l’affetto,
cacciato onne volere,—mozzato onne sospetto,
non ci ha trovato aspetto—el vero trasformato.
Trasformato la imagine—de Dio la simiglianza,
ha pensato e postose—de non far mai pi? fallanza,
li angeli de cielo sguardano—en questa simiglianza,
presi da l’abundanza—de l’omo ch’? reformato.
Reformato nell’essere—de la virt? creata,
trasformata ne l’essere—envisibile encreata,
visibile invisibile—non nobile avilare,
el suo vilare—per nobile avilato.
Quello che ? non se pu? dire,—pu?se dire quel che non ?;
lo dir vero si ? mentire,—lo mentire ? quello che ?;
ed ? tanto alto quello che ?,—non ha forma n? mesura;
e fuor de la imaginatura,—ch? non me ci ho trovato.

[Pg 236]

[5] Una lacuna nel testo [Ed.].

XCVI

Excusazione che fa el peccatore a Dio de non poter far
la penitenzia a la quale da lui ? confortato
[6]

—Troppo m’? grande fatica,—Meser, de venirte drieto,
ca ’l mondo ? gionto con meco,—voglio a lui satisfare.
—Se vuol satisfare al monno,—figliolo, andarai a lo ’nferno,
e senza niuno cordoglio—ferito serai de coltello,
e pisto serai de martello,—che mai men non te verrane.
—Non posso far penitenza—mangiar una volta la dia,
iacer con la tonica centa—mai non lo sofferir?a,
emprima me departo da tia—che questo possa durare.
—Figliuol, se da me te parte,—en eterno non ser?a lieto,
d’ogne ben perdi la parte—e d’ogne mal serai repleto;
l? ove so strida, puza e gran fleto—anderai ad estare.
—Begl me porest predecare—che gli tuoi fatti me mettan gola,
bever voglio e mangiare—mentrunque la vita me dura,
ch? l’alma non gir? sola—l? unque la vogli tu mandare.
—Dimme perch? non hai gola—de questo ch’io te promitto,
parla e non far demora,—ch’io t’amonisco a diritto;
aggiote tratto d’Egipto,—pare che ce vogli tornare.
Quaranta d? degiunai—e stetti per te carcerato,
ben lo potesti emparare,—tanto te fo predecato;
ma, se me te parti da lato,—so che dannato serai.[Pg 237]
—Se v?i ch’io te dica el vero,—questo non m’? piacemento,
la carne fresca e ’l bon vino—vorr?a manecar onne tempo,
ma troppo m’? gran tormento—quando me fai degiunare.
—Figliuol, non avesti cagione—per la qual tu m’?i fugito,
ch? so stato tuo servidore,—io te ho calciato e vestito;
or t’?i arragnato con meco—e par che me vogli lassare.
Figliuol, pur non me lassare,—paradiso averai en tua bail?a,
l? ove ? dolce posare—n? lite ce trovi n? briga,
e priegane santa Maria—che te ce deggia menare.
Gran maraviglia me done—como l’hai tanto tardato,
ma saccio c’hai freddo el core—e dentro sei tutto ghiacciato;
ca l’amor non t’ha rescaldato,—ch’el non ci hai lassato entrare.
Lassa entrar lo mio amore,—aguardame ritto, figliuolo,
degli anni ben trenta e doi—bussai per farte gran dono,
or par che vogli gir nudo—e veste non v?i portare.
Or veni, entra a le nozze,—ch’onne cosa ? apparechiato;
io m? t’apro le porte,—sederai longhesso ’l mio lato,
l’occhi e la bocca e lo naso,—io s? te voglio basciare.
Como non te mette gola—questo ch’io t’ho proferito?
Or viene e non far dimora,—credi quel ch’io te dico,
veni a veder lo convito,—quanto ? dolce e soave.
—Or non me venir pi? dentorno,—ch’io non ce voglio venire;
stare me voglio col monno,—alegrar ed averme bene;
da poi ch’io vengo a morire,—allora me mena a posare.
—Figlio, non ? t?sta la via,—se tu vol campar da lo ’nferno;
ch’io durai s? gran fatiga,—morte, ruina e flagello;
per farte venir al mio renno,—en croce me fece chiavare.
—Meser, ben ? t?sto vero—che tu fusti morto per mene,
la carne non me d? pace,—combatteme la notte e lo dine;
ma quando a te voglio venire,—non me lo lassa pensare.
—Or non gli credere, figlio,—ca ? nemica de Dio;
ch? Adam ne g? nello ’nferno,—per? che a la carne assent?o,
pena e dolor ce pat?o,—per? che poi lei volse andare.
—Ben me ne piglia cordoglio,—amor, tanto m’hai bargagnato;[Pg 238]
portasti la croce su en collo—ed en essa ce fusti ferrato;
ed io l’ho dementecato—e non ci ho potuto badare.
—Se te ne piglia cordoglio,—figliuolo, a ragion lo fai,
ch’hai sequitato lo mondo,—de que ragion renderai;
e debito fatto ci hai—lo qual te convien pagare.
Ora me rende ragione—de questo c’hai endebitato,
ch’?i stato falso amadore—e me per altri hai lassato,
ed a quel ch’io t’agio ensegnato—non hai voluto guardare.
—Non la conobbi, Mesere,—questa tua santa scrittura,
visso so a tentazione—beffe me n’ho fatto a tut’ura,
ma la sentenzia tua ? dura—e non ce p? l’om appellare.
Io me ne appello a Madonna—de questa tua dirittura,
ch’altri non ? chi ci agiogna—che siede en r?cca sicura,
ed essa t’? matre e figliuola—e tu me t’?i fatto carnale.
Ca io per ragion te lo provo—che tu me d?i far perdonanza,
eri Dio e facestite omo—e questo me poni en bilanza;
per darme de te securanza—mia forma volesti pigliare.

[Pg 239]

[6] Questa lauda sequente era pur nel dicto libro antiquo ed ancora in alcuni todini, bench? paia assai bassa como la XX in ordine che incomenza: ?Oim?, lasso dolente? (Nota del Bonaccorsi).

XCVII

Amaestramento al peccatore che se vole
reconciliare con Dio
[7]

O peccator dolente,—che a Dio vuol retornare,
questa lauda t’ensegna—quello che d?i fare.
Tu d?i esser pentuto—de tutto el tuo peccato,
e d?ilo confessare—col core umiliato,
e far la penitenza—s? como t’? comandato,
e, poi che l’hai lassato,—noi d?i mai repigliare.
Tu d?i ben perdonare—a chi t’ha fatto offensanza
col core e con la bocca—senza niuna fallanza;
e se tu hai altri offeso,—d?i cheder perdonanza
acci? che Ies? Cristo—ti degga perdonare.
Se tu hai de l’altrui,—rendelo interamente,
quanto puoi pi? cetto,—non lo ’nduciar niente;
e non ti confidare—n? in figlio n? in parente,
perch? hanno costumanza—del troppo retardare.
Tu d?i recessare—onne ria compagnia,
per ci? che fa cadere—molto cetto in follia;
e costumar con buoni—che ti don buona via,
per la qual tu possi—l’alma tua salvare.
La bocca d?i aver chiusa—e la lengua affrenata,
e non li trar lo freno,—se non poche fiata;
e sempre sie sollicito—tenerla ben guardata,
per ci? che ha costumanza—de molto morsecare.[Pg 240]
Chi la sua bocca ha aperta,—e la lengua tagliente,
molto legiermente—deventa maldicente;
ed onne ben che fai—poco ti vale o niente,
ch? la tua mala lengua—tutto tel fa furare.
Al tuo corpo misero—non d?i acconsentire,
per ci? che sempre vole—manecare e dormire,
e non cura niente—giamai a Dio servire,
en ioco ed in solazo—sempremai vorr?a stare.
Fallo levar per tempo—senza nulla pigrezza,
e mettilo in fatica—che non li sia agevolezza,
e vallo recessando—d’onne carnal vaghezza;
se questo non li fai,—te far? tralipare.
Falli fare astinenza,—che non sia pi? goloso;
portar li panni aspri,—che non sia pi? gioioso;
ed operare buone opere—che non stia pi? ozioso,
e, perch? ? mal servo,—d?lo disciplinare.
Tu d?i stare affissato,—non d?i gir molto atorno,
ch? nuoce de vedere—le vanit? del monno;
non portar gli occhi in alto,—ma portali in profonno,
per ci? che son ladroni—de l’anima predare.
Quello che l’occhio vede—s? lo riporta al cuore,
el falo repensare—de lo carnale amore,
e, poi che ci ha pensato,—s? retrova el pegiore,
e perci? ? buona cosa—sempre l’occhio guardare.
Tu d?i guardar l’orecchie—da li mali udimenti,
e retener le mano—dai villan toccamenti,
e d?i esser ben composto—nelli tuoi portamenti,
s? che onne om che ti vede—si possa edificare.
Tu d?i stare all’offizio—molto devotamente,
e de onne adversitate d?i essere paziente;
ad qualunche te domanda,—rispondi umilmente,
ed onne intenza inutile,—quanto puoi, recessare.
Non d?i essere schifo,—n? molto desdegnoso,
s? com’? lo zitello—che ? superbo e lagnoso;
le mano d?i aver larghe—e lo core pietoso,
ed onne cosa che d?i,—molto volontier dare.[Pg 241]
Le parole de Dio—volontier d?i udire,
ed alli tuoi prelati—umilmente ubidire,
e li santi sacerdoti—in reverenzia avere,
perci? che son pastori—per l’anime salvare.
E ciascuno in suo luoco—d?i portare in amore,
e conservare pace—sempre nel tuo core,
ed onne altra persona—d?i credere tuo migliore,
e ’n tutti li tuoi fatti—te d?i umiliare.
L’umilitate ? quella—che fa essere amato,
e da Dio e dal mondo—essere esaltato,
e lo tuo core sempre—te fa aver consolato,
perci? la umilitate—molto la devi amare.
Tu devi lo tuo core—conservare en netteza,
non li lassar pensare—nulla laida laideza,
acci? che possi fare—pi? degna peniteza,
en nullo male amore—te devi delettare.
La tua confessione—d?i far molto spesso,
e li tuoi offendimenti—d?i dicere tu stesso,
acci? che Cristo Dio—sempre ti stia dapresso,
de li suoi benefizi—lo d?i regraziare.
Tu te d?i sforzare—de gire sempre inanti,
e non tornare endrieto—s? como fon li granchi,
acci? che tu aggi—la corona de li santi,
nel ben c’hai cominciato—devi perseverare.

[Pg 242]

[7] Queste cinque laude proxime sequente erano nel libro todino in fine (Nota del Bonaccorsi).

XCVIII

Como la ragione conforta l’anima che retorni a Dio

Perch? m’hai tu creata,—o creatore Dio,
e poi recomperata—per Cristo Ies? mio?
Amor, tu m’hai creata—per la tua cortesia,
ma so villana stata—per la mia gran follia,
fuor de la mia contrata—smarrita aggio la via,
la vergine Maria—me torni all’amor mio.
Anima peccatrice,—co l’hai potuto fare,
o falsa meretrice,—senza lo sposo stare?
Ch? sai che esso lo dice:—Chi a me vorr? tornare,
farollo delettare—nello dolce amor mio.—
Occhi miei, piangete,—non cessate a tutte ore,
ch? fare lo dovete—per trovar l’amore;
ch’io n’aggio s? gran sete,—che me strugge el core,
de Cristo Salvatore,—ch? esso ? l’amor mio.
O Pier, Paulo e Giovanni,—lo dolce Evangelista,
Gregorio ed Augustino—e l’amante Battista,
rendeteme l’amore—ch’io non sia s? trista,
morragio s’io sto in quista—ch’io non aggia l’amor mio.
O umile Francesco,—de Dio tutto enfiammato,
che Cristo crucifisso—portasti in cor formato,
priega el mio gran Signore,—ch’io ho tanto aspettato,
che tosto a l’apenato—soccorra l’amor mio.
O crucifisso amore,—rec?rdati la lancia,
che te fo data al core—per me trar de pesanza;
donqua ritorna, amore,—non far pi? demoranza,
fallami la speranza—s’io non t’ho, amor mio.[Pg 243]
Non posso pi? soffrire—li tuoi lamenti,
gli amorosi languire—che tu fai spessamente;
or briga de venire,—lieva in alto la mente,
farrotte esser gaudente—del dolce Ies? mio.
Or te diletta, sposa,—de me quanto tu voli,
ch? ben sei gloriosa,—tanto d’amor tu oli!
Non esser vergognosa,—non c’? perch? te duoli,
trovato hai quel che voli,—cio? el dolce amor mio.
[Pg 244]

XCIX

Condizione del perpetuo amore

L’amor ch’? consumato—nullo prezzo non guarda,
n? per pena non tarda—d’amar co fo amato.
Consumato l’amore,—s? va pene cercando,
se ama s? dilettando,—sta penoso.
E con grande fervore—al diletto d? bando,
per viver tormentando—angoscioso.
Allora sta gioioso—e s? conosce amare,
se fugge el delettare—e sta en croce chiavato.
Servo che prezzo prende,—ch’ama sempre diletto,
s? porta nell’affetto—pagamento.
Per lo prezzo vendere—lo prezzo, gli ? difetto;
non ? anco perfetto—lo stormento.
Se amor non fo tormento,—s? non fo virtuoso,
n? sir? glorioso—se non fo tormentato.
L’amor vero, liale—odia s? per natura,
vedendosi mesura—terminata.
Perch? puro, leale—non ama creatura,
n? se veste figura—mesurata.
Carit? increata—ad s? lo fa salire,
e falli partorire—figlio d’amor beato.
Questo figlio che nasce—? amor pi? verace
de onne virt? capace,—copiosa.
Dove l’anima pasce—fuoco d’amor penace,
notricasi de pace—gloriosa.
E sta sempre gioiosa—e si ’namora tanto,
che non potrebbe el quanto—esser considerato.
[Pg 245]

C

De la incarnazione del verbo divino

Fiorito ? Cristo nella carne pura,
or se ralegri l’umana natura.
Natura umana, quanto eri scurata,
ch’al secco fieno tu eri arsimigliata!
Ma lo tuo sposo t’ha renovellata,
or non sie ingrata—de tale amadore.
Tal amador ? fior de puritade,
nato nel campo de verginitade,
egli ? lo giglio de l’umanitade,
de suavitate—e de perfetto odore.
Odor divino da ciel n’ha recato,
da quel giardino l? ove era piantato,
esso Dio dal Padre beato
ce fo mandato—conserto de fiore.
Fior de Nazzareth si fece chiamare,
de la Giesse Virgo vuols pullulare,
nel tempo del fior se volse mostrare,
per confermare—lo suo grande amore.
Amore immenso e carit? infinita
m’ha demostrato Cristo, la mia vita;
prese umanitate in deit? unita,
gioia comp?ta—n’aggio e grande onore.
Onor con umilit? volse recepere,
con solennit? la turba fe’ venire,
la via e la cittade refiorire
tutta, e reverire—lui como Signore.[Pg 246]
Signor venerato con gran reverenza,
poi condannato de grave sentenza,
popolo mutato senza providenza,
per molta amenza—cadesti in errore.
Error prendesti contra veritade
quando lo facesti viola de viltade,
la rosa rossa de penalitate
per caritade—remut? el colore.
Color natural ch’avea de bellezza
molta in viltade prese lividezza,
con suavitade port? amarezza,
torn? in bassezza—lo suo gran valore.
Valor potente fo umiliato,
quel fiore aulente tra pi? conculcato,
de spine pungente tutto circundato,
e fo velato—lo grande splendore.
Splendor che illustra onne tenebroso,
fo oscurato per dolor penoso,
e lo suo lume tutto fo renchioso
en un sepolcro—nell’orto del fiore.
Lo fior reposto giacque e s? dorm?o,
renacque tosto e resurress?o,
beato corpo e puro refior?o
ed appar?o—con grande fulgore.
Fulgore ameno appar?o nell’orto
a Magdalena che ’l piangea morto,
e del gran pianto don?gli conforto,
s? che fo absorto—l’amoroso core.
Lo core confort? agli suoi fratelli,
e resuscit? molti fior novelli,
e demor? nello giardin con elli,
con quelli agnelli—cantando d’amore.
Con amor reformasti Tomaso non credente,
quando li mostrasti li tuoi fiori aulente,
quali reservasti, o rosa rubente,
s? che incontinente—grid? con fervore.[Pg 247]
Fervore amoroso ebbe inebriato,
lo cor gioioso fo esilarato;
quando glorioso t’ebbe contemplato,
allora t’ebbe vocato—Dio e signore.
Signor de gloria sopra al ciel salisti,
con voce sonora degli angeli ascendesti,
con segni di vittoria al Padre redisti,
e resedisti—in sedia ad onore.
Onor ne donasti a servi veraci,
la via demostrasti a li tuoi sequaci,
lo spirito mandasti acci? che infiammati
fussero i sequaci—con perfetto ardore.
[Pg 248]

CI

Como il vero amore non ? ozioso

Troppo perde el tempo chi non t’ama,
dolce amor Ies?, sopra ogni amore.
Amore, chi t’ama non sta ozioso,
tanto li par dolce de te gustare,
ma tutta ora vive desideroso,
como te possa stretto pi? amare;
ch? tanto sta per te lo cor gioioso,
chi noi sentisse, nol porr?a parlare
quanto ? dolce a gustare lo tuo sapore.
Sapor che non si trova simiglianza,
oh lasso, ch? ’l mio cor poco t’assagia!
Nulla altra cosa a me ? consolanza,
se tutto el mondo avesse e te non aggia;
o dolce amor Ies?, in cui ho speranza,
tu regge lo mio cor che da te non caggia,
ma sempre pi? strenga lo tuo amore.
Amor che tolli forza ed onne amaro,
ed onne cosa muti in tua dolcezza,
e questo sanno i santi che ’l prov?ro,
che fecero dolce morte in amarezza;
ma confortolli il dolce lattuaro
de te, Ies?, che vensero onne asprezza,
tanto fusti suave nei lor core![Pg 249]
Cor che te non sente, ben p? esser tristo;
Ies?, letizia e gaudio de la gente,
solazzo non puote esser senza Cristo;
tapino, ch’io non t’amo s? fervente!
Chi far potesse ogni altro acquisto
e te non aggia, de tutto ? perdente,
e senza te sarebbe in amarore.
Amaro nullo core puote stare
cui de tua dolcezza ha condimento;
tuo sapore, Ies?, non pu? gustare
chi lassa te per altro entendimento,
non sa n? pu? el cor terreno amare;
s? grande ? el cielestial delicamento,
che non vede te, Cristo, in tuo splendore.
Splendor che dona a tutto ’l mondo luce,
amor, Ies?, de li angeli belleza,
cielo e terra per te si conduce
e splende in tutte cose tua fattezza,
ed ogni creatura a te s’aduce,
ma solo el peccator tuo amor despreza
e partese da te, suo creatore.
Creatura umana sconoscente
sopra qualunche altra creatura,
como te puoi partir s? per niente
dal tuo Fattor de cui tu sei fattura?
Elli te chiama s? amorosamente,
che torni a llui, ma tu li stai pur dura,
e non hai cura del tuo Salvatore.
Salvator, che de la Vergen nascesti,
del tuo amor darme non ti sia sdegno;
ch? gran segno d’amor allora ce desti
quando per noi pendesti su in quel legno,
e nelle tue sante mano ce scrivisti
per noi salvare e darce lo tuo regno;
legge la tua scrittura buon scrittore.[Pg 250]
Scritti sul santo legno de la vita
per tua piet?, Ies?, ci representa;
la tua scrittura gi? non sia fallita,
el nome che portam de te non menta;
la mente nostra sta di te condita,
dolcissimo Ies?, fa che te senta
e strettamente t’ami con ardore.
Ardore che consumi ogni freddura,
e s? purghi ed allumini la mente,
onne altra cosa fai parere oscura,
la quale non vede te presente,
che omai altro amor non cura
per non cessar l’amor da te niente,
e non ratepidar lo tuo calore.
Calor che fai l’anima languire,
ed el core struggi de te infiammato,
che non ? lengua che ’l potesse dire,
n? cuor pensare, se non l’ha provato;
oim?, lasso, fammete sentire,
deh! scalda lo mio cor de te gelato!
Che non consumi in tanto freddore!
Freddi peccatori, el gran fuoco
nello inferno v’? apparecchiato,
se in questo breve tempo, che ? s? poco,
d’amor lo vostro cor non ? scaldato;
per? ciascun se studie in onne luoco
dell’amor di Cristo essere abrasciato
e confortato dal suave odore.
Odor che trapassi ogni aulimento,
chi ben non t’ama, bene fa gran torto;
chi non sente lo tuo odoramento,
o elli ? puzzolente o elli ? morto;
o fiume vivo de delettamento,
che lavi ogni fetore e d?i conforto
e fai tornare lo morto in suo vigore![Pg 251]
Vigoros’amante, li amorosi
en cielo hanno tanta tua dolcezza,
gustando quelli morselli saporosi
che d? Cristo ad quelli c’hanno sua contezza,
che tanto sono suavi e delettosi;
chi ben li assagia, tutto el mondo sprezza
e quasi in terra perde suo sentore.
Sent?tivi, o pigri e negligenti,
bastevi el tempo ch’avete perduto!
Oh quanto simo stati sconoscenti
al pi? cortese che si sia veduto!
El qual promette celestial presenti,
e mai nullo non ne vien falluto;
chi l’ama, s? li sta buon servidore.
Servire a te, Ies? mio amoroso,
pi? sei suave d’ogni altro diletto;
non pu? sapere chi sta de te ozioso
quanto sei dolce ad amar con affetto;
giamai el cor non trova altro reposo
se non in te, Ies?, amor perfetto,
che de tuoi servi sei consolatore.
Consolar l’anima mia non pu? terrena cosa,
per? ch’ella ? fatta a tua sembianza;
che pi? de tutto el mondo ? preziosa
e nobile e sopr’onne altra sustanza;
solo tu, Cristo, li puoi dar puosa
e puoi empire de tutta sua bastanza,
per? che tu sei solo suo maggiore.
Maggiore inganno non mi par che sia
che volere quello che non se trova,
e pare sopra onne altra gran follia
de quel che non pu? esser farne prova;
cus? fa l’anima che ? fuor de la via,
che vuol che ’l mondo li empia legge nova,
e non pu? essere, ch? ’l mondo ? minore.[Pg 252]
Menorar s? vuole lo cor villano
che del mondo chiamasi contento,
che te vuole, Ies?, amor soprano,
per terrene cose cambiare intendimento;
ma se el suo palato avesse sano,
che assaggiasse lo tuo delettamento
sopra ogni altro li parr?a el migliore.
Migliore cosa di te, amore Ies?,
nissuna mente pu? desiderare;
per? deverebbe el cor teco l? su
con la mente sempre conversare,
ed onne creatura de qua gi?
per tuo amore niente reputare,
e te solo pensare, dolcissimo Signore.
Signor, chi ti vol dare la mente pura,
non te d?i dare altra compagnia;
ch? spesse volte, per la troppa cura,
da te la mente si svaga ed esvia;
dolce cosa ? amar la creatura,
ma ’l Creatore pi? dolce che mai sia,
per? che ? da temere onne altro amore.
Amore e gilosia porta la mente
che ama Ies? che non li dispiaccia,
e partesi al tutto da onne altra gente,
e te, dolce Ies?, suo cuore abraccia;
onne altra creatura ha per niente
enverso la bellezza de tua faccia,
tu che de onne bellezza se’ fattore.
De te solo, Ies?, me fa pensare
ed onne altro pensier dal cor mi caccia,
ch’en tutto el mondo non posso trovare
creatura chi a me satisfaccia;
o dolce Creatore, fammite amare
e dammi grazia che ’l tuo amor mi piaccia,
tu che d’onne grazia sei datore.[Pg 253]
Damme tanto amore di te che basti
ad amarte quanto so tenuto,
del grande prezzo che per me pagasti,
sia per me da te reconosciuto;
o Ies? dolce, molto me obligasti
a pi? amarte, ch’io non ho potuto
n? posso senza te conforto avere.
Conforta el mio cor che per te languesce,
che senza te non vole altro conforto;
se ’l lassi pi? degiuno, deliquesce,
ch? ’l cor che tu non pasci vive morto;
se ’l tuo amore assaggia, revivesce;
or n’aiuta, Cristo, in questo porto,
tu che sei sopra ogni altro aiutatore.
Aiutami, amor, ch’io non perisca,
amor dolce per amor t’adomando;
pregoti che ’l tuo amor non mi fallisca,
recevi i gran sospiri ch’io te mando;
ma se tu voli ch’io per te languisca,
piaceme, ch’io vo’ morire amando
per lo tuo amore, dolce Redentore.
O Redentore, questo ? ’l mio volere:
d’amarte e de servir quanto io potesse;
o dolce Cristo deggiati piacere
che ’l mio core del tuo amor si empiesse,
quella ora, buon Ies?, mi fa vedere
ch’io te solo nel mio core tenesse
e tu me fussi cibo e pascitore.
Pascime de pane celestiale,
e famme ogni altra cosa infastidire;
cibo de vita sempre eternale,
chi ben t’ama, mai non pu? perire;
famme questo gran dono speziale
che te, dolce amor, possa sentire
per pietate largo donatore.[Pg 254]
Doname de te, dolcissimo, assaggiare;
per te sopr’onne cibo delicato
voglio de tutto degiunare;
chi ben t’assagia la lengua e ’l palato
tutto latte e mele li fai stillare,
e d’onne altro amore el fai levato
e renovar la mente en tuo fervore.
Fervente amor di te li d?’, Ies?,
chi canta el detto di s? grande alteza,
mentre che vive en terra de qua gi?,
tu reggi la sua vita en gran netteza,
e poi gli d?’ el solazzo de l? su,
che prenda gioia de la tua conteza
e sempre regni teco, vero amore.
[Pg 255]

CII

Come ? da cercare Ies? per sommo diletto, el quale ?
nostro fine: e cus? termina in lui questo volume
[8]

Se per diletto tu cercando vai,
cerca Ies? e contento serai.
Cerca Ies? con ogni tuo desio
anima mia, se te v?i delettare;
la carne, el mondo e lo Nimico rio,
se perir non v?i, non sequitare;
nel proprio tuo parer non te fidare,
se v?i campar dalli infiniti guai.
Se v?i campar dall’infernal tormento,
fa’ che te spogli d’ogni amor vizioso,
e con forteza e gran proponimento
de non partire da quel grazioso
Cristo Ies?, de ogni ben copioso,
che per tuo sposo gi? pigliato l’hai.
Anima mia, tu s? sei sposata
a quello sposo, re celestiale;
sta’ nella fede, perch? l’hai giurata,
amando lui d’amor perpetuale;
e, ci? facendo, el gaudio eternale
da lui in fine tu receverai.[Pg 256]
Receverai el merito secondo
el mal e ’l ben che tu avrai commesso;
el tuo volere non sia vagabondo,
ma con fermeza t’accosta con esso;
mira el suo lato ritto per te fesso,
e de quel sangue te ’nebriarai.
Inebriata per amor lo stringi
in tal maniera che giamai nol lassi,
e nel tuo core sua figura pingi,
che privar? de te li umani passi;
per la sua morte spezar? li sassi,
per essa tua dureza spezarai.

[Pg 257]

[8] Questa lauda extravagante ? posta per finire el numero perfetto de cento: bench? ne sian due de pi? sotto dui numeri, cio? XLVII e LXXVII per inadvertenzia: e cus? sono CII laude in tutto (Nota del Bonaccorsi). La numerazione ? stata corretta in questa ristampa [Ed.].


[Pg 258]

[Pg 259]

NOTA

Le rime di fra Iacopone da Todi videro dal secolo XV in poi la luce in parecchie edizioni. Le principali furono: la fiorentina del 1490[9], considerata come l’editio princeps, la bresciana del 1495[10] e la veneta del Tresatti, pubblicata nel 1617[11]. Dalla Principe derivarono l’edizione romana di G. B. Modio e la napoletana di Lazzaro Scoriggio[12]; dalla bresciana le due veneziane di Bernardino Benalio e al Segno della Speranza[13].

Ma all’edizione principe quanti sino ad oggi si occuparono del poeta tudertino concordemente riconobbero la maggiore autorit?, sia per ci? che concerne l’autenticit? delle laude in essa raccolte, sia per la lezione, che meglio d’ogni altra sembra conservare le impronte idiomatiche della regione ove il poeta nacque e dett? i suoi carmi spirituali[14]. Onde io, convinto di far cosa utile agli studi iaco[Pg 260]ponici col divulgare un testo ormai quasi introvabile, qualche anno fa ristampai per conto della Societ? filologica romana l’edizione bonaccorsiana, limitandomi ad introdurvi le poche modificazioni imposte dall’uso invalso nella pubblicazione degli antichi testi, e che mi parve potessero notevolmente migliorarla[15]. Ed oggi l’edizione fiorentina, modificata ancora nella grafia, ma fin dove lo consenta il rispetto dovuto a una stampa autorevolissima del Quattrocento, vede nuovamente la luce nella collezione degli Scrittori d’Italia. Ma perch? pubblicare ancora una volta quella stampa, in luogo di tentar finalmente l’edizione critica dei ritmi iacoponici, ripetutamente invocata da Alessandro D’Ancona?[16]

Il perch? esposi nella prefazione all’edizione della Societ? filologica; e ad essa senz’altro potrei rimandar il lettore, se frattanto un egregio studioso, il prof. Biordo Brugnoli della R. Scuola normale di Perugia, nella dotta introduzione ad un suo faticoso e diligente lavoro di ricostruzione delle satire iacoponiche, non avesse sollevato molti dubbi sull’autorit?, da me nuovamente affermata, della stampa bonaccorsiana[17]. Esaminati i codici pi? antichi, egli trova che il confronto non ? sempre favorevole all’edizione[Pg 261] fiorentina, nella quale rileva difetto di criteri sicuri nell’adozione delle forme grafiche e fonetiche, e tracce di alterazioni dovute all’uso di codici toscani o toscaneggianti; afferma inoltre che l’antichit? dei mss., a cui il Bonaccorsi attinse, ? minore di quella che io non mostri di credere; e conclude che ?per la ricostruzione del testo originale ? non solo utile ma conveniente attingere ad altre fonti non meno e forse pi? autorevoli?[18].

Potrei rispondere a queste osservazioni che io non ho mai ritenuto il testo dell’edizione fiorentina come la forma originale, nella quale primamente apparvero i canti del poeta tudertino, e che non ho escluso si possa in avvenire, quando fortunate ricerche ci portino al ritrovamento di mss. pi? antichi di quelli che sono a nostra conoscenza, ricostruire un testo di gran lunga pi? attendibile. Ma potrei anche aggiungere: perch? il Brugnoli, conoscendo altre fonti ?e non meno e forse pi? autorevoli? della stampa bonaccorsiana, ha tuttavia creduto opportuno di sceglier questa a fondamento dell’edizione critica delle satire iacoponiche, e di contro al testo da lui ricostruito sulle varianti di numerosi codici ha sentito la necessit? di riprodurre integralmente le singole poesie nella lezione data dal Bonaccorsi?

Ma, per non tediare il lettore con polemiche oziose, cercher? di rimettere la questione nei suoi veri termini, riassumendo quanto scrissi altra volta, e brevemente rispondendo alle obbiezioni mossemi dall’egregio studioso perugino.

Io ho ritenuto e ritengo che il maggior valore dell’edizione principe, in confronto non solo di tutte le altre raccolte a stampa, ma ben anco dei codici del XIV secolo, consista nelle fonti a cui il Bonaccorsi attinse e nel metodo da lui tenuto—metodo che non esiterei a dichiarare rigorosamente scientifico—per ricavarne una lezione vicina il pi? che fosse possibile all’originale forma umbra. Il proemio del Bonaccorsi ci d? preziose informazioni in proposito, e non parr? superfluo che io lo trascriva integralmente.

Al Nome et honore della sanctissima trinit?: et della gloriosa vergine Maria: et de tutta la corte del cielo. Qualunque persona devota si delecta de havere et leggere le infrascripte laude del beato frate Iacopone da Todi de l’ordine de frati minori, le quali lui compose a diversi[Pg 262] tempi per utilit? et consolatione di coloro che desiderasseno per via de croce et delle virt? seguitare el Signore: sapia per vero come circa la impressione presente, a fine che fusse emendata quanto pi? si potesse: et reducta alla purit? anticha, che si trova molto alterata in pi? libri: ? stata usata questa diligentia, cio? che si sono havute due copie de tale laude cavate studiosamente da doi exemplari Todini assai antichi: et pi? copiosi et migliori che si trovino in quella citt?: et doi altri volumi pur antichi in buona carta, facti con diligentia: de quali uno appare scripto nella citt? de Perugia: dell’anno MCCCXXXVI trovato in Firenze: de laude XC et non pi? et molti altri volumi de diversi religiosi: et de altre particulare persone, trovati pur in Firenze. Da i quali tutti volumi, et spetialmente da li dicti pi? antichi concordati molto insieme, si ha cavata nova copia per dare a l’impressori, servata la simplicit? et purit? anticha secondo quel paese di Todi, del modo di scrivere et de vocaboli, s? come ? parso a pi? persone devote et spirituale che si dovesse fare, senza mutare o agiongere alcuna cosa di novo. Et in tal modo fo cominciata tale impressione a d? XII de agosto passato, et continuata come si vede fino al numero centenario de laude, et due pi?, non essendo maggior numero, ma pi? presto minore in li predicti et molti altri volumi antichi, maxime della dicta cit? di Todi, che fu la terrena patria del auctore: et dove se ne trova libri assai: dove etiam lui mor?: et sono le sue ossa in veneratione. Non si dice per? per questo che lui non facesse maggior numero de laude, n? anco si afferma, che tutte queste siano facte da lui, per non se havere di ci? altro di certo. Quanto all’ordine de esse laude, vedendosi quello essere vario et incerto in molti libri: bench? li Todini siano quasi ad uno modo, non ? parso inconveniente cominciare da quelle due della Madonna: quale ? porta et inventrice de ogni gratia, et da poi mettere le pi? facile et successive le altre. Et anco distinguere le materie, et metterle insieme al meglio che si ha inteso, s? come si veder? facto. Della vita del prefato beato Iacopone in particulare non pare che si trovi certa narratione: ma della sua perfectione et trasformatione in l’amore divino, assai si vede per suoi scripti: et anco se intende el tempo nel quale lui fu, et scrisse.

Siano adunque confortati li lectori a legere con attentione esse laude simplici quanto al stilo et parole: ma piene di sancta doctrina, et de alti sentimenti in pi? de quelle: li quali non potendo cos? intendere essi lectori, vogliano honorarli: et pregare la divina bont?, che li illumini la mente all’intelligentia di quanto bisogna alla salute de l’anime loro.

Le fonti menzionate dall’editore formano dunque tre gruppi distinti: 1?) i due codici todini assai antichi; 2?) altri due codici pur antichi, cio? della prima meta del secolo XIV (un d’essi, il perugino, ? datato dal 1336); 3?) molti altri codici presumibilmente[Pg 263] toscani o, per lo meno, trovati a Firenze[19]. ? chiaro che la maggior importanza venne data dall’editore ai due todini assai antichi, i pi? antichi di quanti erano allora a Todi; e da essi furon cavate studiosamente le copie che formarono il nucleo della raccolta bonaccorsiana. Orbene, quei mss. non esistono pi?. Potranno esserne derivati, come asserisce il Brugnoli, il Tudertino 194 della Comunale di Todi e l’Angelicano 2216; ma il primo di tali codici ? indubbiamente della seconda met? del secolo XV, quindi poco attendibile sia per l’autenticit? delle laude e sia per la lezione; e il secondo, importantissimo per essere del secolo XIV e perch? meglio d’ogni altro reca intatte le primitive forme umbreggianti, non contiene malauguratamente che quattordici laude. Anche gli altri due codici menzionati, che pure debbono essere stati di grande aiuto all’editore, sono andati perduti. Del ms. perugino del 1336[Pg 264] il Brugnoli crede di ravvisare una copia nel cod. 1037 della Nazionale di Parigi; ma, in ogni modo, anche questo ? del secolo XV e meno utile di altri codici umbri coevi, di cui non s’? ancor potuto rintracciare l’archetipo. Resta il terzo gruppo, quello dei codici toscani o toscaneggianti. Non avendoli l’editore menzionati partitamente, noi siamo anche disposti ad ammettere che si possano identificare con alcuni dei numerosi codici toscani che ancor possediamo. Non saprei dire per? quanto e fino a che punto essi siano stati utilizzati. Quali sono adunque le fonti ?non meno e forse pi? autorevoli? della raccolta bonaccorsiana, alle quali si pu? ricorrere per la ricostruzione di un testo critico delle poesie iacoponiche?

Per ci? che concerne il difetto di criteri sicuri nell’adozione delle forme grafiche e fonetiche, si pu? osservare che nel secolo XV la grafia non aveva ancor preso una forma definitiva, e che l’incertezza grafica si rileva in tutti i codici, pi? grave anzi negli antichi—com’? naturale—che nei recenti. Perch? dunque rimproverarla soltanto alla stampa bonaccorsiana? E, quanto al dubbio espresso dal Brugnoli intorno alla incapacit? dell’editore fiorentino di resistere, lui toscano, alla tentazione di alterare o di sostituire le primitive forme idiomatiche, si pu? opporre che il Brugnoli non ha elementi sufficienti da avvalorarlo, mancandogli appunto i termini di confronto, cio? i codici tudertini, che soli varrebbero a fargli riconoscere sicuramente le alterazioni e le sostituzioni. Il Bonaccorsi ci dice invece, e non so perch? si debba dubitarne, ch’egli prefer? la lezione dei testi todini. Ai difetti di questi avr? naturalmente supplito con l’aiuto degli altri due codici umbri, e per le poesie che mss. autorevoli o la tradizione gi? formatasi al suo tempo attribuivano a Iacopone, si sar? giovato dei mss. toscani e toscaneggianti.

E qual metodo, se non questo appunto del Bonaccorsi, ha in sostanza segu?to il prof. Brugnoli nella ricostruzione del testo delle satire? Anch’egli s’? valso di tre gruppi di codici: 1? degli umbri, tra i quali comprende anche l’edizione principe; e ad essi ha dato quasi sempre la preferenza nella scelta della lezione; 2? dei toscani; 3? dei veneti. Ma dai toscani e dai veneti non trasse profitto ?se non quando pot? ritenere che essi, derivando forse da qualche lontano stipite in certi passi pi? fedele all’originale, fossero sfuggiti a qualche manifesto equivoco pi? o meno grossolano di trascrizione, da cui vanno tutt’altro che esenti[Pg 265] i testi umbri, i quali attinsero probabilmente a fonte pi? diretta, ma furono anche condotti da menanti assai rozzi ed incolti?[20]. Il Bonaccorsi non pot? giovarsi, ? vero, dei codici veneti, o almeno non ne fa cenno nel proemio: in compenso per? egli aveva i codici todini assai antichi, dai quali nessuno di noi disgraziatamente pu? trarre profitto. Orbene, se l’acume critico di un egregio studioso come il Brugnoli pu? dare maggior affidamento di rigore scientifico nello studio dei codici e nella scelta della lezione, ci? non basta a compensare il difetto di quella pura fonte originale a cui attinse il Bonaccorsi, e della quale a noi son giunti soltanto alcuni piccoli e torbidi rigagnoli.

Ma, sempre a proposito della lezione in alcun luogo incerta o toscaneggiante dell’edizione principe, mi sia lecito insistere sopra un concetto da me espresso altra volta e che il Brugnoli non ha creduto opportuno di confutare. Secondo il D’Ancona[21], la lingua originale dei ritmi iacoponici doveva esser l’umbra o, meglio, il volgare di Todi. ?Se si volesse dare—io scrivevo—un valore assoluto all’opinione dell’illustre critico, bisognerebbe convenire che il testo dell’edizione fiorentina qua e l? si discosta notevolmente da quello che doveva essere il linguaggio tudertino del Duecento. Ma, quando si pensi che l’editio princeps, sebbene risulti dalla concordanza di pi? raccolte diverse tra loro per l’et? e per l’origine, si fonda sopra tutto sui due codici todini assai antichi, e che le maggiori divergenze dall’uso umbro si riscontrano specialmente in quelle ultime poesie, della cui autenticit? si pu? a buon diritto dubitare anche per una certa ineguaglianza di stile, per la banalit? di alcune espressioni e, spesso, per la mancanza di quello che potrebbe chiamarsi ’sapore’ iacoponico, vien da pensare che il fondo idiomatico primitivo non abbia poi sub?to nel testo bonaccorsiano troppo profonde modificazioni. Ma c’? di pi?. I biografi di Iacopone, che hanno segu?to cecamente la tradizione senza curarsi di separare i fatti positivi da tutti i particolari fantastici formatisi per false interpretazioni dei passi autobiografici e per analogia di altre leggende francescane, affermano concordi che l’amor Dei usque ad contemptum sui fu cos? ardentemente sentito dal poeta tudertino, da indurlo a commettere, insieme con[Pg 266] molte altre pazzie, anche quella di affettare il pi? profondo disprezzo per la propria cultura e dottrina. Ora non ? chi non veda il ridicolo di tale affermazione. Iacopone da Todi aveva fatto i suoi studi di diritto, forse a Bologna; aveva esercitato per lunghi anni la professione di avvocato nella sua citt? natia; aveva fors’anco dettato componimenti in rima prima di darsi a vita spirituale, ed ? lecito supporre che non gli fosse ignota la bella fioritura della poesia lirica del suo tempo, i cui spunti e le cui immagini sin troppo profane ricorrono con molta insistenza nelle sue laudi-ballate. Per quanto profondo fosse l’orrore e il disprezzo degli anni trascorsi nelle vanit? del mondo, come avrebb’egli potuto far getto della propria coltura, di quel patrimonio intellettuale, caro sopra ogni altro perch? frutto in ciascuno di inenarrabili fatiche, senza sentirsi miseramente inaridire quella ricca vena poetica, onde, come altrettanti ruscelli, scaturivano i suoi sacri ritmi, schiumeggianti e torbidi talvolta per l’impeto della discesa, ma sempre meravigliosi di vita e di freschezza? Iacopone parlava e componeva nel suo nativo dialetto cos? come solevano le persone della sua coltura. E non sarebbe giusto rifiutare inesorabilmente come alterazioni illegittime di amanuensi e di editori tutto ci? (e non ? gran cosa) che nel testo dell’edizione fiorentina del 1490 sembra discostarsi dalle particolari caratteristiche del dialetto tudertino?[22].

Una delle questioni pi? difficili e pi? lungamente dibattute tra gli studiosi ? quella che concerne l’autenticit? dei ritmi attribuiti a Iacopone. Le raccolte primitive dovevano contenere appena una novantina di laude, quante cio? ne contengono i codici del secolo XIV. Ma per la pronta diffusione che le poesie del Nostro ebbero nell’Umbria, nella Toscana e nell’Italia settentrionale (diffusione dovuta, oltre che al merito intrinseco dell’opera iacoponica, anche alla fiera discordia fervente nel seno stesso dell’ordine francescano tra i vari partiti, per alcuno dei quali il nome di Iacopone pot? servire quasi di segnacolo in vessillo, e alla aureola di martirio che la leggenda non tard? a creare intorno all’austera figura del poeta tuderte), il primitivo corpo laudistico iacoponico and? a mano a mano aumentando, fino a raggiungere e a sorpassare nel secolo XVII il numero di duecento composizioni.[Pg 267]

Ma la critica ha ormai fatto giustizia di molte false attribuzioni; e mentre dopo lunghi dibattiti ha restituito al Nostro alcuno di quei componimenti, come

Amor de caritate—perch? m’hai s? ferito,

che qualche erudito con inconsulta audacia gli aveva tolti per attribuirli al poverello d’Assisi, non ha esitato, d’altra parte, a rigettare inesorabilmente come apocrifi i canti dovuti alla larga imitazione iacoponica del XIV e XV secolo[23].

? dunque ormai pacifico che l’originaria produzione iacoponica debba restringersi a quel centinaio di ritmi contenuti nei codici del Trecento, vale a dire alle cento e due laude della raccolta bonaccorsiana[24]. Ma, per converso, tutti, assolutamente tutti i ritmi dell’edizione fiorentina debbono ritenersi autentici?

L’onesta avvertenza del Bonaccorsi: ?Non si dice per? per questo che lui non facesse maggior numero de laude, n? anco si afferma che tutte queste sieno facte da lui per non se havere di ci? altro di certo?, ha per me un grande valore. Secondo la prima intenzione dell’editore, la raccolta doveva chiudersi con la XCIII lauda, con ?Donna del paradiso?, la quale ?? posta in questo loco—egli scrive—per clausura de le precedente: el principio de le quali ? pur da lei [cio? la lauda ?O Regina cortese?, anch’essa pertinente alla Madonna]: et per uno separamento dalle seguente laude trovate in diversi libri?[25]. L’autorit? di altri codici consultati, la forza della tradizione, la quale gi? sul finire del Quattrocento aveva sanzionato molte attribuzioni, e fors’anco il desiderio—alquanto ingenuo—di raggiungere per il suo vo[Pg 268]lume ?el numero perfecto de cento?[26], poterono indurre il Bonaccorsi ad aggiungere quelle nove laudi con cui si chiude la raccolta, e sulla cui autenticit? ? possibile, secondo me, sollevare qualche dubbio, tenuto conto anche delle annotazioni particolari con che il Bonaccorsi, mosso da quegli scrupoli, che tanto ragionevolmente ci fanno apprezzare l’opera sua di editore illuminato, volle mettere in guardia il lettore[27].

Il prof. Brugnoli (? doveroso discutere anche su questo punto la sua opinione per il largo ed esauriente esame ch’egli ha fatto delle stampe e dei codici iacoponici) non condivide i miei dubbi. ?Invero—egli scrive—queste [cio? le ultime laude della raccolta] non si trovano, se non per eccezione, in altri mss., specie in quelli estranei alla famiglia umbra. Senonch? questo avviene anche per altre laude pur contenute nella Principe e tuttavia non comprese fra le ultime e pi? sospette di questa stampa. ? appunto il caso dei ritmi: ’Fede, speme e caritate’; ’Amor dolce senza pace’ (sic); ’Om? lascio dolente’. Dovremo noi escludere anche queste dal novero delle laude d’indubbia autenticit???. No, poich? ?quanto sin qui dicemmo—egli continua—intorno allo svolgimento e alla diffusione del materiale laudistico iacoponico, ci porta a concludere che solo gli antichi mss. umbri, e non gi? i codici toscani e veneti, possono avere un gran peso nella bilancia?[28].

Son lieto che per una volta tanto sia proprio il Brugnoli a riconoscere il maggior valore dell’edizione principe. Senonch? gli argomenti, ch’egli adduce, lasciano sempre adito al dubbio da me espresso. E invero, come si pu? escludere che l’editore stesso dubitasse dell’autenticit? delle ultime laude della sua raccolta, chi metta in relazione le parole del suo proemio con le avvertenze da lui premesse a quelle laude? ? questo un elemento di critica che non deve essere trascurato, specie se va unito al giudizio che pu? farsi sul merito intrinseco di quelle poesie, meno caratteristiche, meno precise nel loro schema metrico e meno[Pg 269] umbreggianti di tutte le altre. Quanto alle tre poesie citate dal Brugnoli, che non si trovano se non nei codici umbri, si potrebbe osservare che anche su quella che incomincia

Oim?! lasso dolente

l’editore fiorentino non ha mancato di esprimere qualche dubbio. L’avvertenza alla lauda XCVI dice infatti: ?Questa lauda seguente era pur nel dicto libro antiquo [nel Perugino del 1336] et ancora in alcuni todini, bench? paia assai bassa como la XX in ordine, che incomenza ’Oim?, lasso dolente’?[29].

Ma siano o no queste ultime rime da attribuire sicuramente a Iacopone, il fatto che solo di alcune poche poesie della raccolta bonaccorsiana si possa dubitare, e che il dubbio non sia condiviso da tutti gli studiosi, dimostra che l’edizione principe merita la maggiore fiducia in fatto di attribuzioni.

Ed alla autorit? della Principe il Brugnoli stesso giustamente fa appello[30] a proposito della tanto discussa autenticit? della satira

O papa Bonifazio—molt’hai iocato al mondo.

Questa poesia, che fa parte di un gruppo abbastanza numeroso di satire contro i falsi prelati e contro colui che nella mente del fiero assertore della rigida regola francescana appariva come

Lucifero novello—a sedere en papato,

ebbe molta fortuna nel secolo XIV. Nell’ambiente religioso e politico non erano ancora spenti gli echi della feroce lotta combattutasi tra il papa e la parte ghibellina, sostenuta dal re di Francia; in quella satira o, meglio, in quella invettiva Iacopone si fa interprete di tutti i risentimenti provocati dal Caetani e con inaudita violenza di linguaggio, che ha sgomentato i suoi troppo ortodossi commentatori, investe il papa, accusandolo di simonia, di nepotismo, di avidit? verso i soggetti, di sete indomabile di potere, e gli predice l’ultima ruina. I famosi versi profetici:

subito hai ruina—sei preso en tua magione
e nullo se trov?ne—a poterte guarire
. . . . . . . . . . . . . . . . . .[Pg 270]
e Dio s? t’ha somerso—en tanta confusione,
che onom ne fa canzone—tuo nome a maledire

sembrano alludere alla cattura d’Anagni e alla morte del pontefice, segu?ta di l? a pochi giorni. Il che ha fatto supporre che la poesia sia stata composta a fatti compiuti, cio? dopo il 1303. Ma il contesto della poesia non ammette dubbi: essa ? un’invettiva contro Bonifacio ottavo vivo e nella pienezza della sua potenza. E come, d’altra parte, supporre che Iacopone gi? molto vecchio, logorato dalla lunga crudele prigionia, e desideroso soltanto della pace del chiostro e della preghiera in comune, si inducesse a scrivere quella fierissima rampogna contro l’alto personaggio test? scomparso dalla scena del mondo?

Di qui due ipotesi: che la poesia non sia stata composta dal Nostro, ma da alcuno dei numerosi nemici del Caetani durante la preparazione del processo, che alla memoria di questo pontefice aveva intentato Filippo il Bello; o che alla poesia scritta da Iacopone nel 1297, mentre si svolgeva la lotta tra i Colonnesi e Bonifacio ottavo e nella famosa protesta di Lunghezza si impugnava la validit? dell’elezione pontificia, si sieno aggiunte pi? tardi, cio? dopo la cattura d’Anagni, le strofe che alludono a questo crudele episodio. Ma alla prima ipotesi, sostenuta dal Tenneroni, sembra contrastare il fatto che la poesia si trova nell’edizione principe e cio? nei codici todini pi? antichi. Pi? attendibile invece appare la seconda, caldeggiata dall’Ozanam[31] e ultimamente dal Brugnoli, il quale mette giustamente in rilievo come ?la lauda controversa senza le strofe che l’esame critico aveva riconosciute come interpolate? si trova in un manoscritto del Trecento, il cod. Magliabechiano, II, 6, 63[32].

Ma, a parte questi ed altri problemi particolari, la questione dell’autenticit? ? veramente fondamentale per la critica della leggenda iacoponica. Tutti sanno che le notizie certe sul poeta tudertino sono molto scarse[33], e che le minuziose informazioni sulla vita[Pg 271] da lui trascorsa nelle vanit? del mondo e sulle stranezze commesse durante i primi anni di penitenza sono il frutto della elaborazione di elementi incertissimi, dovuti in parte all’arbitraria ricostruzione di circostanze che sembrano risultare dai passi cos? detti autobiografici, e in parte alla fantasia del primo anonimo biografo del Quattrocento, del quale giustamente il Novati ha scritto aver fatto opera ?non di storico, ma di agiografo?. Cos? nel tudertino, piuttosto che il sacro giullare girovagante pei monti e pei piani dell’Umbria noi amiamo riconoscere col Novati il poeta filosofo, il teorico del misticismo, spoglio di qualsiasi vincolo con le compagnie dei Disciplinati e coi Laudesi, e poetante ?pe’ confratelli suoi, per quell’anime ardenti, che sotto il vessillo francescano cercavano al pari di lui la via della croce, l’unione assoluta con la divinit??[34].

Ma pur chi non voglia consentire col Novati in questa nuova, audace figurazione di Iacopone da Todi, e senta di non poter negare ogni valore ai dati tradizionali, dovr? imporsi un rigoroso lavoro di cernita nella farragine delle notizie tramandate dai biografi, per l’accertamento dei dati autobiografici contenuti nelle poesie che possono sicuramente attribuirsi al tudertino. E per il futuro biografo di Iacopone sar?, anche per questo verso, preziosissima la raccolta contenuta nell’edizione fiorentina del 1490.[Pg 273][Pg 272]

NOTE:

[9] Laude di frate Iacopone da Todi, impresse per ser Francesco Bonaccorsi in Firenze, a d? ventiotto del mese di septembre MCCCCLXXXX.

[10] Laudi del beato frate Iacopone del sacro ordine di frati minori de osservantia, Bressa, per Bernardo de Misintis, 1495.

[11] Le poesie spirituali del beato Iacopone da Todi... accresciute di molti altri suoi cantici nuovamente ritrovati, con le scolie et annotationi..., Venetia, Nicol? Misirini, 1617.

[12] Li cantici del beato Iacopo da Todi, con diligenza ristampati con la gionta di alcuni discorsi et con la vita sua. App. Ippolito Salviano, Roma, 1558.—Li cantici del beato Iacopone da Todi, aggiuntivi alcuni canti cavati da un manoscritto antico non pi? stampato, Napoli, Lazzaro Scoriggio, 1615.

[13] Per queste due edizioni cfr. Gamba, Serie dei testi di lingua, Venezia, 1828, nn. 478 e 479.

[14] Cfr. Gamba, op. cit., n. 477, e Ed. Boehmer, Iacopone da Todi, Prosast?cke von ihm, nebst Angaben ?ber Manuscripte, Drucke und Uebersetzungen seiner Schriften, in Romanische Studien, 1 (1871-75), 138. Il D’Ancona nella recente ristampa del suo Iacopone da Todi, il giullare di Dio del secolo XIII, Todi, Casa editrice ?Atan?r?, 1914, p. 5, scrive: ?Quanto pi? posso, nel citare mi attengo alla edizione di Firenze 1490, presso il Bonaccorsi, riprodotta ne 1558 dal Modio: edizione condotta su antichi manoscritti di Todi e di Firenze, e la cui autorit? ? affermata da G. Ferri nella riproduzione sopraccitata. Possono perci? credersi con molta probabilit? tutte autentiche le rime della stampa bonaccorsiana, sebbene l’editore stesso non osi darne certezza; pur ammettendo tal qualit? in alcune edite dal Tresatti e da altri, le quali in ogni caso servono a meglio determinare la forma e gli intenti della lauda spirituale antica?. Il Moschetti (I codici marciani, Venezia, 1883) esprime un giudizio anche pi? favorevole all’ediz. principe, che afferma valere ?quanto molti codici riuniti dei pi? antichi e preziosi?.

[15] Laude di frate Iacopone da Todi secondo la stampa fiorentina del 1490 con prospetto grammaticale e lessico a cura di Giovanni Ferri, in Roma, presso la Societ? filologica romana, MDCCCCX.

[16] D’Ancona, op. cit., p. 5, nota 4.

[17] Le satire di Iacopone da Todi ricostituite nella loro pi? probabile lezione originaria con le varianti dei mss. pi? importanti e precedute da un saggio sulle stampe e sui codici iacoponici per cura di Biordo Brugnoli, ordinario di lettere italiane nella R. Scuola normale maschile di Perugia, in Firenze, per Leo S. Olschki editore, MDCCCCXIV, p. XIV sgg. Di questo volume e della ristampa del D’Ancona si legga l’ottima recensione di E. G. Parodi nel Marzocco del 28 giugno 1914 (Il giullare di Dio), e l’articolo di Ciro Trabalza, Il glorioso ritorno di un giullare di Dio: ?Iacopone da Todi? di A. D’Ancona, nel Giornale d’Italia del 21 luglio 1914.

[18] Op. cit., p. VI.

[19] Il prof. Brugnoli mi rimprovera (p. CVIII) di assegnare i codici todini assai antichi alla fine del XIII secolo e di ?far gran caso della differenza di espressione usata [dall’editore] per quei codici assai antichi in confronto di quella adoperata per il cod. Perugino del 1336 e per un altro suo coevo, dei quali l’editore fiorentino dice che erano pur antichi?. ?Anche a voler dare importanza (egli continua) a questa lieve sfumatura—dico lieve perch? l’induzione si fonderebbe tutta sulla mancanza dell’avverbio ’assai’, mancanza in gran parte compensata dal ’pur’—non ? possibile rimontare pi? indietro del 1300, perch? altrimenti sarebbero rimaste escluse da quei codici le laude composte da Iacopone durante e dopo la prigionia, laddove ce ne troviamo invece parecchie se non tutte?. Riconosco che l’attribuzione (da me proposta, del resto, con molta circospezione) dei codd. todini pi? antichi alla fine del XIII secolo (l’anno 1300 appartiene a quel secolo!) pu? parere arrischiata, ma non priva di qualsiasi fondamento, in quanto—trattandosi di codd. perduti—non si pu? ammettere senz’altro ch’essi contenessero le poesie iacoponiche composte durante e dopo la prigionia. Il fatto ch’esse si trovino nei codici del XV secolo derivati dai todini pu? anche spiegarsi con le aggiunte e le interpolazioni, che il Brugnoli stesso ammette a proposito di altre questioni. Quanto alla distinzione tra i codd. todini assai antichi e i due pur antichi, mi par proprio che il Bonaccorsi abbia voluto stabilire una gradazione cronologica tra i primi e i secondi. A meno che non si tratti di ipersensibilit? grammaticale da parte mia, io son d’avviso che l’avverbio ?assai? abbia un significato ben differente dall’avverbio ?pur?. La mia induzione si fonda dunque sul diverso significato di due parole diverse, cio? su qualche cosa di pi? consistente della ?lieve sfumatura?, di cui parla il Brugnoli. Pei raffronti di codici e di stampe iacoponiche si veda, oltre lo studio citato del Boehmer, quello del Tobler nella Zeitschrift f?r roman. Philologie, III, 178. Si veda anche A. Feist, Mittheilungen aus ?lter. Sanml. italienisch. geistlich. Lieder, in Zeitschrift f. rom. Philol., XIII (1889), 115; e gli Inizi di antiche poesie italiane con prospetto dei codici che le contengono e Introduzione alle Laudi spirituali, di A. Tenneroni, Firenze, Leo S. Olschki, 1909.

[20] Op. cit., p. VII.

[21] Op. cit., p 46.

[22] Cfr. la mia prefazione alla ristampa della Societ? filologica romana.

[23] Fu il Wadding che attribu? pel primo questa poesia, insieme con l’altra ?In fuoco l’amor mi mise?, a san Francesco; ma il padre I. Aff? dimostr? vittoriosamente la falsit? di tale attribuzione. Cfr. per maggiori particolari A. D’Ancona, op. cit., p. 56, nota 8. Francesco Novati, nel suo discorso L’amor mistico in san Francesco d’Assisi ed in Iacopone da Todi, pubbl. nel volume Freschi e minii del Dugento, Tip. ed. L. F. Cogliati, Milano, MCMVIII, conclude a proposito di siffatte attribuzioni (p. 242): ?Chi si illude di sorprendere i tripudi amorosi del Nostro [san Francesco] nelle laudi ’Amor di caritade’, ’In foco l’amor mi mise’, dimostra (ci sia lecito il dirlo) di non capir nulla di nulla n? dell’anima di san Francesco n? della storia della lirica sacra italiana?.

[24] Cfr. Novati, op. cit., p. 247.

[25] Vedi p. 232.

[26] Veramente la raccolta comprende 102 laude. Ma nella nota alla lauda CII (p. 255) l’editore avverte: ?Questa laude extravagante ? posta per finire el numero perfecto de cento: bench? ne sian due de pi? sotto doi numeri, cio? XLVII e LXXVII per inadvertentia: et cus? sono CII laude in tutto?. Naturalmente la numerazione ? stata corretta in questa ristampa.

[27] Le annotazioni dell’editore si trovano alle pp. 232, 236, 239, 255.

[28] Op. cit., p. CXLIV.

[29] Vedi p. 236.

[30] Op. cit., p. CXLVI sgg. E vedi anche D’Ancona, op. cit., p. 84, n. 2, ove si confuta l’opinione di A. Tenneroni.

[31] A. F. Ozanam, Les po?tes franciscains en Italie au XIII si?cle, Paris, V. Lecoffre, 1882.

[32] Op. cit., p. CXLIX.

[33] La cronologia pi? probabile della vita di Iacopone ? stata fissata da A. D’Ancona, op. cit., p. 18 in nota. Circa le biografie tradizionali cfr. pure D’Ancona, op. cit., p. 15 e Brugnoli, op. cit., p. CIV, nota 1.

[34] Discorso e vol. cit., p. 245 sgg.


GLOSSARIO

Nota del Trascrittore: tra parentesi quadre si trovano le versioni alternative presenti nel testo.

  • abbi, io ebbi.
  • abbreviata, rimpicciolita, cfr. breviare.
  • ?ber, ebbero.
  • abominanza, vergogna.
  • abondo, abbondante.
  • abracciata, abbracciamento.
  • abramare, bramare: abrama, abrami.
  • abrasciato, ardente.
  • abrenca (t’a.), ad?perati, ind?striati.
  • abreviare, rimpicciolire: abreviando.
  • absolveto, sii assolto.
  • abundi, ’tanto pi? foco a.’, tanto pi? abbondi in ardore.
  • abissare, inabissare: abissame, abissata.
  • acattar?a, acquisto, guadagno.
  • acatte, acquisti.
  • acatto, acquisto, guadagno.
  • achianta, alligna, attecchisce.
  • acolle, accoglie.
  • acolmato, colmato, colmo.
  • acolte, strette, raccolte.
  • acomenza, incomincia.
  • aconciato, acconciatura.
  • aconf?, ‘s’a.’, si confece, si convenne.
  • adamato (imperativo), ama.
  • adarsi, accorgersi; ‘non te n’adai’;
    • adato.
  • adasta, eccita, spinge.
  • ademandare, domandare: ademando, ademandi, ademanda, ademandato, -e.
  • ademanni, domandi.
  • ademplendo, riempiendo, colmando.
  • ademplenza, soddisfazione.
  • adetata, infamata.
  • adimandi, domandi.
  • adizzata, aizzata.
  • adoguagliato, eguagliato.
  • adolorava, mi addoloravo.
  • adomando, domando.
  • adorato (sost.), adorazione.
  • adornanza, ornamento.
  • adulterato, ‘con tutte ha a.’, ha tradito tutte.
  • adurare, perseverare; ‘en a.’, con perseveranza;
    • adura, persevera.
  • adurate, ‘per a.’, con la perseveranza.
  • ad?sate [adusate], ab?tuati.
  • advi?me, mi avviai.[Pg 274]
  • affare, ‘donna da grande a.’, ricchissima;
    • ‘de poco a.’, di poco conto;
    • ‘de s? alto a.’;
    • ‘secondo ’l pover mio a.’, secondo le mie deboli forze;
    • ‘dargli tutto ’l suo a.’, tutto quel che possiede.
  • aff?, ‘s’a.’, si conviene.
  • aff?tta [affetta], desidera.
  • affetto, passione, dolore, tribolazione.
  • afferrare, tormentare: m’afferra;
    • afferrato, tormentoso, doloroso;
    • afferrate, tormentate.
  • affittare e afi-, affisarsi, osservare: affitta, afitta, afittai.
  • affletto, afflitto.
  • afflitto, ferito.
  • affollato, oppresso, schiacciato.
  • affolto, sostenuto, appoggiato, difeso.
  • affrantura, debolezza, dolore, pena eterna.
  • affrenare, raffrenare: affrenata, affreniti, freniate.
  • aficco, ‘m’a.’, mi figgo.
  • afigura, ‘non m’a.’, non posso figurarmi.
  • afocare, infocare: afocata;
    • e affogare: afocato.
  • afogato, affogato o soffocato.
  • afoma, ‘s’a.’ si offusca.
  • afranto, sofferenza, dolore.
  • afrigolito, infreddolito.
  • agirlato, stordito, ebbro.
  • agne, anni.
  • agno, agnello.
  • agrondo, ‘m’a.’ mi rattristo.
  • aguardare, osservare, rimirare: aguarda, aguardame, agu?rdate [aguardate], aguardare, aguard?te [aguardate], aguardai, aguardando.
  • aguata, guarda, osserva.
  • aiace, conviene.
  • ainina, ‘carta a.’, cartapecora.
  • aino, agnello.
  • aiutare, salvare;
    • aiuta la sconfitta’, salvaci dalla sconfitta;
    • aiuta lo notare’, assistici nel nuoto.
  • aiute, ‘l’a.’, l’aiuto.
  • albergare, ospitare e abitare: albergalo, albergato.
  • albergaria, abitazione, stanza.
  • albergo, abitazione.
  • albitrio, arbitrio.
  • alcono, alcuno.
  • alegranza, gioia.
  • alegrare, rallegrare: alegrar, t’alegri.
  • alentata, ‘degiunar non fui a.’, non lasciai di d.
  • alevata, allevamento.
  • alienata, v?lta ad altre cure.
  • alifante, elefante.
  • alitare, vivere.
  • allapidata, lapidata.
  • allazo, allaccio.
  • allecerare, licenziare, scacciare: allecerato, allecerati.
  • allena, diminuisce.
  • allevai, ‘da poi che m’a.’, poi che fui adulto.
  • allidere, percuotere, rompere: allide, alliso.
  • allitate [all?tate], ti allieta.
  • allore, allora.
  • allumenare e allumi-, illuminare: allumini.
  • almino, almeno.
  • alteza, orgoglio, superbia;
    • nobilt?, nobile e ricca condizione.
  • alto, ‘ad a.’, in alto, ‘en a.’, altamente, ‘fanno clamore en a.’, grande clamore.
  • altroi, altrui.
  • altura, altezza, nobilt?;
    • ‘de pi? a.’, pi? alto;
    • ‘pi? en a.’, pi? in alto.
  • ama, amore.
  • amantare, vestire;
    • t’amanta, se n’amanta, amantare, amantato.[Pg 275]
  • amanta, ricoprono, rif. a nido.
  • amantatura, vestito.
  • amantenente, immantinenti.
  • amanza, amore.
  • amaricato, amarezza;
    • amareggiato, doloroso;
    • -a, addolorata.
  • amarore, amarezza.
  • amastrato, ammaestrato.
  • amativo, che si deve amare;
    • ‘luce amativa’ dell’amore.
  • amato, amore.
  • ambiadura, l’ambio.
  • amenza, foll?a.
  • amesurare, ‘l’a.’, la misura, la quantit?.
  • amiranza, ammirazione.
  • amistanza, amicizia.
  • ammannito, occupato, affaccendato.
  • amollare, intenerire.
  • amoranza, amore.
  • an Santo, in chiesa.
  • ancilla, ancella.
  • ancore, fino ad oggi.
  • ancura, ancora.
  • andare: andi, vai;
    • anda, va;
    • andi, tu vada;
    • t’andasti, te ne andasti.
  • andata, viaggio o via.
  • ?ne, ha.
  • anegato, annegato.
  • anemalio, animale (dispreg.).
  • angelicata, ‘vita a.’, degli angeli.
  • angeloro, degli angeli.
  • anichilare, annientare: anichilato, annientato e umiliato.
  • anno, ‘en a. en a.’, di anno in anno.
  • annunziata, annunzio.
  • ante, prima.
  • Anticrisso, anticristo.
  • anvito, causa, dolore.
  • apalato, manifestato.
  • apenato, addolorato.
  • apianare, salire;
  • s’apiana, si sale.
  • apicciare e app-, appiccare, unire, attaccare;
    • apicciarate, si appiccicher?;
    • apicciase, appicciato, afferrare;
    • apicci?, accendere: apicciato;
    • apicciarsi, restringersi: mi appiccio.
  • aponerai, apporrai a colpa.
  • apontare, opporre: s’aponta;
    • intaccare: ci aponta.
  • apparato, lusso.
  • apparito, apparso.
  • apparuto, apparso.
  • appellazione, appello, nel sign. giuridico.
  • appetere, appetire;
    • il desiderio.
  • applanato, salito.
  • appresentare, ‘opo n’? a.’, bisogna presentarci;
    • t’apresenta.
  • appropriato, ‘amor a.’, amor proprio.
  • aprere, aprire.
  • aprenno, aprendo.
  • apresso (agg.), prossimo;
    • (pr.) presso.
  • aprete, aperte.
  • aprito, aperto.
  • aprute, aperte.
  • aquilone, settentrione.
  • arafrenato, raffrenato.
  • aragnare e arr-, far questione, venire alle mani: t’aragnasti, arragnato.
  • aramorto, smorzato.
  • aramorti, soffochi, metti in tacere.
  • arapicciata, accesa.
  • aravere, riavere.
  • archieda, richieda.
  • archiuso, richiuso.
  • arcomenzava, ricominciava.
  • arcomperare, riscattare, redimere.
  • arcoverare, ricovrare, riparare.
  • ardita, ostacolo, difficolt?.
  • ardore, inferno.
  • ardura, ardore, il fuoco eterno.
  • aregna, regna.
  • aremanni, rimandi.
  • arendi, rendi.[Pg 276]
  • arentrare, rincasare: arentri.
  • arepresento, presento di nuovo.
  • aresce, riesce: arescece, ci si apre.
  • aretrovare, ritrovare.
  • argento, denaro.
  • argir, ritornare.
  • argomente, ‘en a.’, ingegnosamente.
  • ariccare, arricchire.
  • arlegame, mi rilega.
  • armagnenza, rimanenza.
  • armaner, rimanere: arman, armanea, arm?se.
  • armenare, ricondurre: armenava;
    • armine, io rimeni.
  • armetta, rimetta.
  • arnunzare, rifiutare, respingere: arnunzato.
  • arnunzascione, rinuncia.
  • ar?sciase [arosciase], si tinge di rosso.
  • arpiaceme, mi ripiace.
  • arprendere, riprendere: arprende, arprendi.
  • arprovo, provo di nuovo.
  • arrabbia, tu riabbia.
  • arrate, arre;
    • ‘presi l’a.’, m’impegnai.
  • arsalghi, tu risalga.
  • arsimigliare, rassomigliare: arsimiglia, arsimigliata.
  • arsomeglia, ‘al poter tuo l’a.’, r?golati [regolati] secondo le tue forze.
  • articulata, esposta per articoli.
  • artificio, ‘palazzo en a.’, costruito secondo le regole dell’arte.
  • artoglie, ritoglie.
  • artollote, ti ritolgo.
  • artornare, ritornare.
  • artorr?, ritoglier?.
  • artrovare, ritrovare.
  • arversare, riversarsi.
  • arvenire, rivenire: arvenisse, arvenuto.
  • arvolere, rivolere.
  • ascaran, scherano.
  • ascempio, lo scempio.
  • ascide, mi assedia, mi preoccupa (?).
  • asciogliere, assolvere.
  • Ascisi, Assisi.
  • ascondito, nascosto.
  • asino, ‘per macerar mio a.’, la mia carne, i miei desid?ri.
  • Asise, Assisi.
  • asmo, l’asma.
  • aspetta, guarda, osserva.
  • assagiato, saggio, prova.
  • assegnare, mirare al segno.
  • asseio, assedio.
  • assembiamento, radunanza.
  • assendito, assennato.
  • assentare, assentire.
  • assimigliare e asi-, rassomigliare e desiderare: assimiglio;
    • augurare: asimiglia.
  • asti, gare.
  • asutiglia, tormenta.
  • aterrenato, umiliato, avvilito.
  • atrem?o, ‘s’a.’, s’impaur?.
  • attendato, ‘le terre agio a.’, ho posto tende nelle terre.
  • att?ndeti, affidati.
  • attumulato, sepolto.
  • ave, ebbe.
  • avegnenza, convenienza.
  • av?n, abbiamo.
  • avenante, avvenente.
  • avene, ‘s’a.’, si conviene.
  • avere; avire: agio e aggio, ho;
    • avemo, avem e aven [av?n], abbiamo;
    • onno, on e ?, hanno;
    • ?nme, mi hanno, ?nte [onte], ti hanno;
    • abbi, tu abbia;
    • aggia, agia e aia, io abbia;
    • agi, io, tu o egli abbia;
    • agiamo e agiam, abbiamo (cong.);
    • aian, abbiano;
    • ebbe, io ebbi;
    • abbi, io ebbi;
    • ?ber, ebbero;
    • avi, ebbi;
    • ave, ebbe;
    • ?ver, ebbero;
    • ar?, avr?;
    • arai, avrai;
    • ?ggete, abbiti;
    • averogl [aver?gl], li avr?;
    • averai, aver?;
    • averiti, avrete;
    • averan, aver?a, avrebbe;[Pg 277]
    • aver?e, avresti;
    • avereste, avresti;
    • averien [aver?en], avrebbero;
    • a?to, avuto.
  • aversere, ‘gli a.’, i diavoli.
  • aversier, avversario.
  • aversire, avversario, nemico.
  • avetare, abitare, abitazione.
  • avetoso, soave.
  • avi, ebbi.
  • avilare, avvilire: avilato, avvilito e anche tenuto a vile.
  • avivacciata, pronta, sollecita.
  • ?zemo [azemo], non fermentato.
  • azone, azione.
  • bail?a, governo, potere.
  • b?ilo, -a, custode, arbitra.
  • baldanza, gioia.
  • baldeza, gioia, allegrezza.
  • balestrare, tirare con la balestra.
  • balestrire, balestriere.
  • balestro, balestra.
  • balio [bal?o], governatore.
  • banda, ‘metti b.’, grida, bandisci.
  • bando, condanna, pena.
  • bandonata, abbandonata.
  • bannire, avvisare, parlar alto, palesare: banna.
  • banno, v. bando.
  • barattere, ‘gli b.’, i barattieri.
  • baratto, zuffa.
  • barbaglia, balbetta.
  • bargagnato, mercanteggiato.
  • baronagio, nobilt?.
  • baronia, valore, nobilt?.
  • basalisco, basilisco.
  • basciare, baciare.
  • bastanza, ‘non t’? b.’, non ti basta;
    • ‘empire de... sua b.’, di tutto ci? che gli basta, o finch? gli basta.
  • bastare, ‘m’? b.’, mi basta.
  • batesmo, battesimo.
  • b?, bene: se b?, sebbene.
  • beatitute, beatitudini.
  • beccata, morso delle pulci.
  • befolcaria [befolcar?a], dominio del bifolco.
  • begl, bene.
  • bellire, ‘en b.’, in bel parere.
  • beneficione, beneficio.
  • benvoglienza, benevolenza.
  • besogno, ‘era b.’, bisognava.
  • biado, la biada.
  • biastemare, vituperare.
  • bistorte, contorcimenti dolorosi.
  • bizocone, bizzoco.
  • blasfemato, bestemmiato.
  • blasf?mia e blasfem?a [blasfemia], bestemmia.
  • boccuni, bocconi.
  • bollon, chiodo.
  • Boemioro, dei boemi.
  • bonitate, bont?.
  • borb?tanse, si bisbigliano.
  • botto, caduta, punizione.
  • bramo, desiderio.
  • brazo, braccio.
  • breve, decreto; piccolo; brevemente.
  • brevet?, piccolezza.
  • breviare, rimpicciolire.
  • briga, lavoro, fatica, difficolt?;
    • ostacolo;
    • ‘a gran br.’, con grande fatica;
    • ‘ha fatto br.’, si ? sforzato.
  • briganza, inimicizia.
  • brigare, tentare, procurare: briga;
    • ingegnarsi: brigate.
  • brigata, fatica dolorosa: ‘far brigate’, lavorare.
  • brusata, bruciata.
  • brutata, imbestialita.
  • bruttur, brutture.
  • bullita, bollente.
  • buono (avv.), bene.
  • ca (cong.), che.
  • cademento, caduta.
  • cadere: caggio, cadono;
    • caggia, cada;
    • c?der [cader], caddero.[Pg 278]
  • cagnato, cambiato.
  • cagne, egli cambi.
  • cagno, cambio.
  • calciare, calzare: calciato.
  • caldo, ‘en c.’, all’inferno.
  • calura, calore, ardore.
  • calure, calore.
  • calvato, reso calvo.
  • cambiato per ri-, remunerato.
  • camiscia, camicia.
  • camora, camera.
  • Campagna, Campania.
  • campare, trovare scampo;
    • campa, c?mpate, s?lvati.
  • cancione, canzone.
  • cane, canti.
  • canna, gola.
  • canta, canto.
  • cantare, menar vanto.
  • cantutio, canto.
  • capigli, ‘c. daea’, strappavo capelli.
  • capovolta, -e, mutamenti subitanei.
  • cattivanza, schiavit?.
  • cattivo, dannato.
  • capuccio longo, il cappuccio dei penitenti.
  • carace, taglia (?).
  • caratte, impronta, segno.
  • carboncelli, carbonchi.
  • cardenalato, ‘l’ordene c.’, dei cardinali.
  • cardinile, cardine, intelaiatura dell’uscio.
  • cargne, carne.
  • carire, perdere;
    • carite, perdute.
  • carnifici, carnefici.
  • carta, documento, prova, privilegio, garanzia.
  • cascollo d’obedenza, lo indusse a disubbidire.
  • casile, casa modesta.
  • castalli, castaldi.
  • castello (fig.), l’utero.
  • catenati, incatenati.
  • cavere, ‘tu degge c.’, guardarti.
  • cechitate, cecit?.
  • cede, strage.
  • celato, ‘a lo c.’, al coperto.
  • celebr’, cervello.
  • celesto, celeste.
  • celest?o, paradisiaco.
  • centa, cinta.
  • censalito, cencioso.
  • centro, ‘en c. nel core’, in mezzo al cuore.
  • centura, ‘lengua a c.’, legata.
  • cerchi, cilizi.
  • certanza, sicurezza, assicurazione, verit?.
  • cestone, paniere.
  • cetto, presto.
  • ched, che.
  • cheder, chiedere: chegio, cheio, chedendo.
  • chedendo, cercando.
  • cheendo, cercando.
  • chello, quello.
  • chevelle, qualcosa.
  • chi, il quale, la quale;
    • con chi, col quale, coi quali;
    • en chi, nel quale.
  • chiamare, implorare.
  • chiavare, inchiodare: chiavato.
  • chiavellanse, si inchiodano.
  • chine, chi.
  • chiovi, chiodi.
  • chirendo, cercando.
  • chivelli, alcuno;
    • chivel.
  • ciambra, camera.
  • cibora, cibi.
  • cicigliana, siciliana.
  • cilizo, cilizio.
  • circundato, assediato.
  • citella, giovine.
  • clamagione, clamore.
  • clamare, implorare, domandare, chiamare: clame, clama, clam?, clame (imperat.).
  • clamore, preghiera.[Pg 279]
  • clericata, ‘la universitate cl.’, il clero.
  • clericato, il clero.
  • co, come, perch?, quale, per la quale, quanto, appena che;
    • col quale, nel quale.
  • cocina, cibo cucinato: le cocin.
  • cocinere, cuoco.
  • cocino, cibo cucinato.
  • cogitato, pensiero.
  • coglio, collo.
  • cognita, ‘nostra c.’, amica.
  • cognosci, conosci.
  • cognove, conobbe.
  • coio, epidermide.
  • Collestatte, nome di un castello dell’Umbria, usato fig. per la morte.
  • colta, accolta, gruppo, tributo, imposta.
  • coltivanno, ‘a c.’, per coltivare.
  • coluri, colori.
  • comandata, comando.
  • comencio, comincio.
  • comenzare, cominciare: comenzo, comenza;
    • com?nzate, ti cominciano.
  • comenzata, cominciamento, principio.
  • comenzamento, cominciamento.
  • comestione, pasto.
  • comiatato, licenziato.
  • comitata, ‘en mia c.’, in mia compagnia.
  • comitato, compagnia, s?guito;
    • ‘ne lo suo c.’, nel loro insieme.
  • como, come; ‘el c.’, la qualit?, la maniera.
  • compagnata, compagnia.
  • compagnoni, compagni.
  • comparare, riscattare, redimere: comparai, comparao, comparato.
  • compassionata, con signif. attivo: che ha compassione.
  • comp?ta, piena.
  • complendo, compiendo.
  • conceper, concepire: conceputo.
  • concorda, concordia.
  • concordate, d’accordo, in pace.
  • concussare, scuotere, dibattere.
  • condutta, piatto, vivanda: condutti.
  • conestretta, angustiata.
  • confirmato, aiutato.
  • confort?ne, confort?.
  • congruo, ‘a l’occhio non ? c.’, non si conviene.
  • coniugni, congiungi.
  • coniogne, congiunge.
  • conosc?ti [conoscati], conosciate.
  • conoscente, per ri-; benefattrice.
  • conoschi, conosci.
  • conquassato, rotto dai disagi, dalla fatica;
    • scosso.
  • conquida, finisca, distrugga.
  • conquide, ‘la c.’, la muffa (?).
  • conquiso, distrutto.
  • conscio, coscienza: ‘ser c.’, la signora coscienza.
  • conseglio, consiglio: consegl’.
  • conserto, intrecciato.
  • conservarane, conserverai.
  • consiglite, consigliate.
  • consolanza, consolazione.
  • cons?lo, consolazione.
  • consonato, armonizzato.
  • consopito, assopito.
  • consumanza, fine.
  • consumare, morire: consuma, consumi, consumavi, consumando;
    • uccidere: consumi, consumava, consumato;
    • giungere a perfezione: consumato;
    • sost., la morte.
  • consumazione, morte.
  • consumativo, mortale.
  • contagione, contatto.
  • contamento, racconto.
  • contata, racconto.
  • contato, esposizione, trattato.
  • contenne, disprezza;
  • contenzione, lotta, contrasto.
  • contina, continua.
  • continuato (avv.), continuatamente.
  • continuo, incontanente.
  • contossa, attossica (?).
  • contrata, propriet? (?).
  • convegna, patto, regola.
  • convegnenza, patto; ‘non sir?a c.’, non sarebbe giusto.
  • convenente, condizione.
  • convenenza, ‘non m’ha c.’, non si conviene;
    • ‘on c.’, si convengono.
  • conveneria, convenienza.
  • conveno, ‘lo c.’, il convenuto.
  • conventato, addottorato.
  • convento, compagnia, collegio, monastero, laurea;
    • partic. da convencere, abbattuto.
  • conversare, dimorare: conversai, conversato;
    • trattare, praticare: conversato.
  • convert?ra, convertiresti, volgeresti.
  • convine, conviene.
  • copretura, copertura.
  • coprire, difendere;
    • rif. a ferita, rimarginare: coprireme, mi coprirono;
    • coprite, coperte.
  • coraggio o coragio, cuore: coraggi.
  • corate, ‘le c.’, i cuori.
  • corato, addolorato;
    • cuore.
  • cordo, corda, staffile.
  • cordogliosa, dolorosa.
  • cornuti, ironico per mitrati.
  • corporeato, trasformato in corpo.
  • correre [corr?re], messaggero.
  • corressa, corretta.
  • correttura, ‘facciam c.’, correggiamoci.
  • corrocciato, corrucciato.
  • corroccioso, ‘sar? c.’, pianger?.
  • corrottato, -a (partic.), pianto.
  • corrotto e cor-. (sost.), pianto.
  • corso, ‘n? per c. n? per risme’, n? in prosa n? in verso.
  • cortesia, ‘far c.’, menar vita elegante.
  • cotoza, sta in ozio?.
  • covelle, qualcosa, nulla.
  • crai, domani.
  • credere, affidare: credergliese [cr?dergliese], credome, credere;
    • creio, credo;
    • cr?dici, ci credetti;
    • cr?dor, credettero;
    • cresi, credetti;
    • creso, creduto.
  • Creti, di Creta.
  • crociato, ‘popolo cr.’, i cristiani.
  • cruce, croce.
  • cruciare, mettere in croce;
    • tormentare: cruciar, cruciata;
    • addolorare: cruciato;
    • fregiare della croce: ‘scude cruciate’.
  • crudene, crudele.
  • cuitanza, pensiero.
  • cuitare, pensare: cuitava.
  • cuitato, pensiero.
  • cuito, pensiero.
  • cu?prite [cuoprite], ‘lo mantellino c.’, vesti il m.
  • currite, correte.
  • Cypri, ‘renno C.’, regno di Cipro.
  • Dacioro, ‘renno D.’, regno dei daci.
  • da?a, dava.
  • daesse, io dessi.
  • dagetor, donatore.
  • daiente, colui che d?.
  • daitore, donatore.
  • danante, davanti.
  • dane [d?ne], d?.
  • dannagio, danno.
  • danza, treccia, ghirlanda;
    • schiera.
  • dare: d?ite, date;
    • don, danno;
    • d?me, mi dia;
    • die, tu dia;
    • d?ene, ne dia;
    • dielome [d?elome], me lo dia;
    • dien, diano;
    • da?a, dava;
    • daesse, io dessi;
    • daragio, dar?;
    • daragiote, ti dar?;
    • daraio, dar?;
    • dar?a, darei;
    • diei, diedi;
    • dieglie [di?glie, di?glie], gli diedi;[Pg 281]
    • die’, di?r [dier];
    • d?steli, gli desti;
    • daiente, che d?.
  • debile, debole.
  • decepto, ingannato, deluso.
  • decetel, ditelo.
  • decora, bella.
  • deduca, abbassi.
  • defensare, difendere.
  • deformanza, bruttezza.
  • deguastare, distruggere: deguastar, deguasta;
    • deguastao, distrusse.
  • deiattato, scacciato.
  • deietta, scacciata.
  • deiettato, scacciato.
  • delettanza, diletto.
  • delettare, amare, godere, dilettarsi;
    • sost., diletto, piacere.
  • delicamento, bellezza.
  • delicanza, bellezza.
  • deliccio, delizia, piacere.
  • delicii, delizie, mollezze.
  • deliquesce, cade in deliquio.
  • delize, delizie.
  • delizo, piacere.
  • d?lo, lo devi.
  • delombato, slombato.
  • delongato, allontanato.
  • dementata, uscita di senno.
  • d?mona [demona], diavola.
  • demonia, ‘le d.’ e ‘glie d.’, i diavoli.
  • demono, dimonio: li dem?ne.
  • demoranza, dimora, indugio.
  • demostrare, mettere in mostra: demostra, demostrando.
  • demostratura, ‘far d.’, mostrare.
  • dene [d?ne], deve.
  • denno, degno.
  • departi, ‘se da me d. l’andare’, se da me ti allontani.
  • deportanno, ‘col vostro d.’, portamento.
  • depurati, chiari, limpidi.
  • deretto, pronto, sollecito.
  • derieto, di dietro.
  • deriso, derisione.
  • deritto, assennato, prudente.
  • deriva, smette, cessa.
  • derobbati, derubati.
  • derutto, spossato, abbattuto.
  • derenzione, separazione, morte.
  • deritto, ‘a d.’, giustamente.
  • descaduto, malandato in salute.
  • descenore, disonore.
  • desciliato, guasto.
  • descionore, disonore, vergogna.
  • desciso (sost.), discesa.
  • descordo, danza.
  • descurrendo, correndo gi?.
  • desensato, privo di senno.
  • desformato, deformato dai peccati.
  • desiagio, desiderio.
  • desiore, desiderio.
  • despandi, con sign. neutro: ti spandi.
  • despareve, separavi.
  • desperanza, disperazione.
  • despetto, disprezzato.
  • desperata, ‘metterse a d.’, mettersi a far qualcosa senza indugio.
  • desperate, ‘veste d.’, di penitenza (?).
  • desperato, abbandonato;
    • d. sentire’, proprio di chi ha perduto ogni speranza di salvezza.
  • despiacemento, dispiacere.
  • desplacenza, dolore.
  • desponsore, sposare: desponsai, desponsato, -a, -e.
  • desponsato, sposalizio.
  • desprezato, umile.
  • desse, disse.
  • d?sseise, gli si desse.
  • destegne, lava, deterge.
  • destenguese, si distingue.
  • destituto, destituito.
  • destregnenza, ‘d. si fa forte’, si affretta.
  • destregno, ‘me... d.’, mi rimpicciolisco, mi umilio.[Pg 282]
  • destrugemento, distruzione.
  • desvanito, svenuto.
  • deto, dito: deta.
  • detoperata, vituperata.
  • detta ‘miei d.’, le mie parole.
  • detuperato, disprezzato.
  • devante, davanti.
  • devedute, divise.
  • devencendo, abbattendo, umiliando.
  • devenute, ‘a que sem d.’, a che siamo giunte.
  • devere, dovere: deverme;
    • d?’, devi;
    • d?i, devi e deve;
    • devem, dobbiamo;
    • degon, debbono;
    • degi, tu debba;
    • degge e deggi, egli debba;
    • devevi, dovevi;
    • devive, dovevi;
    • devesse, dovesse;
    • deveri e dever’, dovresti;
    • deverie [dever?e], dovresti;
    • deveria [dever?a] e deverebbe, dovrebbe.
  • deverila [dever?la], la dovresti.
  • deveto, debito.
  • devura, divora.
  • dia, il giorno, la luce.
  • dia, dea.
  • dicere e dicer, dire;
    • dicete e decetel;
    • dice, dici;
    • dichi e diche, tu dica;
    • dicamo, diciamo (congiuntivo).
  • diciria [dicir?a], discorso.
  • dicitore, colui che detta articoli di legge.
  • diece, dieci.
  • diffidamento, diffidenza.
  • diffinitate, definizione (?).
  • digiunio, digiuno.
  • diita, dieta.
  • diletta, ‘la d.’, l’affetto;
    • ‘en tua d.’, per amarti.
  • dimplito, adempito.
  • dine, ‘la o lo d.’, il giorno;
    • ‘a terzo d.’, dopo tre giorni.
  • diota, ignorante.
  • diretto, ‘se ben vedi nel d.’, se osservi giusto.
  • dirittanza e diritanza, giustizia.
  • diritto, ‘a d.’, giustamente.
  • dirittura, giustizia e giudizio;
    • ‘en d.’, a destra (?).
  • diritto, ‘al d.’, a destra.
  • disciplina, battitura.
  • disciplinato, battitura.
  • disciplino, disciplina.
  • discipoli, discepoli.
  • discoprito, scoperto.
  • discorda, discordia.
  • discordo, danza, canzone a ballo.
  • disinteria [disinter?a], dissenteria.
  • dispareve, dividevi.
  • dispiacenno, ‘vivo nel mio d.’, nel disprezzo di me stesso.
  • dissipare, ‘la grege d.’, distruggere.
  • distenta, ‘a d.’, distintamente (?).
  • distritto, ‘a. d.’, imparzialmente (?).
  • ditato, arricchito.
  • ditissimo, ricchissimo.
  • ditta, ‘miei d.’, le mie parole.
  • dittare (sost.), scritto, componimento.
  • dittata e -o, componimento.
  • ditto, ‘el d. mio’, le mie parole.
  • diversoro, abitazione.
  • divisata, divisa.
  • do’, dove.
  • do, due.
  • dobato, vestito.
  • doce, duce.
  • dodece, dodici.
  • doi, due.
  • dolentia [dolent?a], lamento.
  • dolere, per dolersi: doli, dole;
    • el dolere, il dolore.
  • dolire, dolere.
  • dollote, te lo do.
  • dolorare, lamentarsi.
  • dolorato, dolore.
  • dolorusa, dolorosa.
  • dolur, dolori.
  • dolura, si duole, si lamenta.[Pg 283]
  • dolure, dolore.
  • dolve, ve lo do.
  • dolzore e dolzor, dolcezza, piacere, diletto.
  • dolzura, dolcezza, piacere.
  • dominato, dominio.
  • domo, ‘lo d.’, casa (fig.).
  • donna, signora, padrona.
  • donqua e -e, dunque.
  • donzello, scudiero;
    • -i, giovani signori, giovinetti.
  • dormentare, addormentarsi.
  • dornato, adornato.
  • dota, dote.
  • dottato, adottato.
  • draco, serpente.
  • dracone, il diavolo;
  • -i, i serpenti.
  • dretta, giusta.
  • drieto, dietro.
  • dritto, giusto;
    • ‘tener lo d.’, la via retta.
  • dubitamento, dubbio.
  • dubitanza, dubbio, sospetto.
  • dubito, ‘en d.’, in sospetto.
  • ducere, condurre: dutta.
  • dui, due.
  • dunqua, dunque.
  • duoi, due.
  • dura, cattiva.
  • duramento, durata.
  • ebrieza, ebrezza.
  • ebrio, ebro.
  • edificata, edificio.
  • egl mal, i mali.
  • eiulato, pianto.
  • ela, el’, ella.
  • e la, nella.
  • elato, sollevato, alto.
  • elegiuto, eletto.
  • elesso, eletto.
  • ella, nella.
  • embastard?o, oscur?.
  • embrigare, impedire, render difficile: embrigar?gli.
  • embrigate, noie, fastidi.
  • emparuto, manifesto (?).
  • empaurato, impaurito, timoroso.
  • empazao, impazz?.
  • empedimenta, impedisce.
  • emper?, perci?.
  • ?mpeti, impeti, desid?ri.
  • empetuuso, impetuoso.
  • empiasto, impiastro.
  • empicato, impeciato, arso (?).
  • empieria [emiper?a], empirebbe.
  • empietura, ‘en me ? em.’, son pieno.
  • empiglio, impaccio.
  • empiro, ‘cielo e.’, empireo.
  • emponote, ti impongo.
  • empregionato, chiuso.
  • emprenato, emprenn-, impregnato, riempito.
  • emprendere o en-, imparare;
    • emprende, emprenda, emprese, empreso.
  • emprima e empria [empr?a], dapprima.
  • emprimettece, vi impresse.
  • empromessa, promessa.
  • en, in, contro, verso.
  • enalta, innalza.
  • enamato, rafforz. di amato.
  • enamorare, ‘lo tuo e.’, il tuo amore.
  • enamorata, ‘la piena e.’, la piena dell’amore.
  • enamorato, ‘el tuo e.’, amore o innamoramento.
  • enante, innanzi, prima.
  • enaurata, indorata.
  • encalzanno, incalzando.
  • encanna, ingozza.
  • encanto, arte magica.
  • encarato, fatto caro e difficile.
  • encarcata, carica.
  • encarco, carico, peso.
  • encasca, rovescia.
  • encastellati, chiusi nel castello.
  • encende, accende.[Pg 284]
  • encendore, fuoco infernale.
  • encamato, infrenato.
  • enchinar, umiliare;
    • s’enchina, si piega, si rassegna.
  • enclinare, abbassare, umiliare: enclina, encline.
  • encloso, incluso.
  • encogitabile, incomprensibile.
  • encontra, contro.
  • encorpor?ne, incorpor?.
  • encorsata, male avviata.
  • encotecata, fatta dura come il cuoio.
  • encreato, ‘lo e.’, ci? che ? sempre esistito.
  • encrescemento, sofferenza, dolore.
  • encrescenza, dolore.
  • encrisce, rincresce, addolora.
  • endegno, ‘m’en.’, mi corruccio.
  • endivinasse, indovinasse.
  • endrieto, indietro.
  • endrudire, ammaestrare nell’amore.
  • enduplicata, raddoppiata.
  • endurato, indurito nel peccato.
  • endusti, industri.
  • ?ne, ?;
    • ne sei.
  • enestante, subitamente.
  • enfacendato, affaccendato.
  • enfamire, desiderare ardentemente.
  • enfegna, ‘s’en.’, s’infinge.
  • enfegno, ‘m’en.’, fingo.
  • enfenute, infinite.
  • enfermaria [enfermar?a], infermit?.
  • enfra, tra, fra.
  • enfrenare, raffrenare: enfr?nalo [enfrenalo], enfrenato.
  • enfrenetecato, pazzo furioso.
  • enfronta, assalto.
  • enfunata, legata con funi.
  • engavinato, impastoiato.
  • engegno, ‘ad e.’, ad arte, a studio.
  • engiurio [engiur?o], ingiuria.
  • enami, prendi all’amo.
  • enmalsanire, ammalare.
  • ennervato, rigido.
  • enquina, equina (?).
  • enruinata, in preda alla rovina.
  • ensalta, assaltano.
  • ensaniata, folle, demente.
  • ensanire, impazzire: ensanito.
  • ensegnato, insegnamento.
  • ensemora ed ensemor, insieme.
  • enserrato, serrato.
  • enserviziato, servizievole.
  • ensetato, assetato.
  • ensignite, insegniate (congiuntivo).
  • ensign?ne, insegn?.
  • ensolfato, di zolfo.
  • entaglia, modello (?).
  • entanno, allora.
  • entaulato, intavolato, incominciato.
  • entendanza, intendimento.
  • entendere: ‘s’ella en viltate entendesse’, se si disponesse ad umiliarsi;
    • ‘de Cristo si entendisse’, comprendessi o imitassi;
    • entendati, ascoltiate.
  • entenebrata, oscurata.
  • ententa, inchiostro.
  • entenzare, combattere: se entenza, si batte.
  • entenzone, tenzone, contrasto, dialogo.
  • entinata, posta nel tino.
  • entossecato, veleno.
  • entrare, cominciare.
  • entra, fra, ‘entra l’ha tenuta’, l’ha trattenuta.
  • entrasatto, di colpo, improvvisamente.
  • envenenato, avvelenato.
  • envenire, trovare;
  • envenir, envenuto.
  • enverso, verso, contro;
  • enverso a, in confronto di.
  • enviato, avviato;
  • mal env., male avvezzato.
  • envigoresce, ‘s’e.’, si rinvigorisce.
  • envitanza, invito.[Pg 285]
  • envitatura, invito.
  • envoluto, avvolto.
  • eo, io.
  • equabile, ‘non puoi salire e.’, non puoi eguagliare.
  • era, metallo.
  • ergo, dunque.
  • erranza, errore, peccato.
  • errato, -i, fuorviato, allontanato.
  • errure, errore.
  • esaminanza, esame.
  • esbandita, bandita, cacciata.
  • esbernace, ci svernano.
  • eschirnita, schernita.
  • escomunicato, scomunicato.
  • esercizia, esercizi.
  • esforzare, far violenza;
    • esforzato, costretto.
  • esmesuranza, smisuratezza.
  • essere: eser;
    • son e so;
    • sei, se’, ?i, e’, tu sei;
    • semo, sem, simo, siamo;
    • site, ?i, siete;
    • so, sono;
    • sone, ci sono;
    • sonno, sono;
    • sie, tu sia;
    • siene [s?ene], ne sia;
    • sim, siamo (cong.);
    • eramo, eravamo;
    • fusse, fosse, fossen, fussero;
    • ser? e sir?, sar?;
    • sirotte, ti sar?;
    • siragio, siraio, sar?;
    • serai, sirai, sarai;
    • ser?, serr?, ser?ne [serane], sar?;
    • ser?ve [serave], vi sar?;
    • sir?n, saranno;
    • ser?a, siria [sir?a] e sar?a, sarei e sarebbe;
    • siram, saremmo;
    • siri, sareste, sirian [sir?an] e serian [ser?an], sarebbero;
    • f?ra, sarebbe;
    • fusti, fuste;
    • fo, fu;
    • fosse, si fu;
    • fommo, fummo;
    • f?r, fuoro, fuor, furono;
    • f?rome [furome], mi furono;
    • suto, stato.
  • estare, stare.
  • estatuto, statuto.
  • estermenosa, infinita.
  • esterminato, ‘un fetor e.’, insopportabile.
  • esto, cotesto.
  • estremo, ‘ne l’estr.’, in extremis.
  • estrettura, luogo stretto, angusto.
  • esvaliato, vario.
  • esvia, svia.
  • esvoglier?, toglier? la voglia.
  • eternale, eterno.
  • eternalmente, eternamente.
  • etiopiti, etiopi.
  • exdificato, scandalizzato.
  • exercire, esercitare.
  • exquisita, squisiti.
  • exterminali, eterni.
  • facivi, facevi.
  • faite, fate.
  • falase [f?lase], se la fa.
  • fali, gli fa.
  • falla, ‘non f., che non rompesse’, si romperebbe sicuramente.
  • fallace, facile a peccare.
  • fallanza, menzogna, inganno, tradimento.
  • fallata, fallo, falsata.
  • fallenza, inganno, fallo, errore;
    • ‘senza f.’, senza dubbio.
  • fallire, trans., trasgredire;
    • colpa;
    • falluto, ingannato;
    • -a, mancata.
  • fallita, l’errore, la colpa.
  • fallore, fallo, colpa.
  • fallura, errore, inganno.
  • falo, lo fa.
  • falsadore, ingannatore.
  • falsare, ingannare.
  • falsata, inganno.
  • fals?a, inganno, menzogna;
    • ‘per f.’, con inganno.
  • falsificate, frodi.
  • falso, falsamente.
  • falta, disagio.
  • fama, fame, desiderio intenso.
  • fameglia, famiglia, gente d’arme.
  • famiglia, domestici.
  • fancello, giovincello;
    • -i, donzelli, servitorelli.
  • fantino, bambino.[Pg 286]
  • fantone, servo.
  • farallate, te la far?.
  • fare: fae, fai, face, fa;
    • faite, fate;
    • faccion, fonno e fon, fanno;
    • fonse, si fanno;
    • facivi, facevi;
    • facci, faccia;
    • faci e facce, tu faccia;
    • facci, egli faccia;
    • fece e fei, feci;
    • facisti, facesti;
    • f?, f?me, fece, mi fece;
    • fiero e fier, fecero;
    • facciatelo, fatelo, imp.;
    • faragio, faraggio, faraio, far?;
    • farr?, far?;
    • fari [far?], faresti;
    • far?eme, mi farebbe;
    • far?an e far?en.
  • fasciata, fasciatura.
  • fasse da lunga, si pone da lungi.
  • fastidia, noia.
  • faticase, si stanca.
  • fatiganno, fatigando.
  • fatigato, fatica.
  • fatte, ‘li toi f.’, le tue opere.
  • fatto, opera, condizione.
  • fece, feccia, lordura.
  • feditate, fetore.
  • feno, fieno.
  • fere, ferisce.
  • ferete, ferite.
  • feriato, ferie, vacanza.
  • ferire, colpire: fere, fieri, feruto, -a, -e.
  • feriti, ferite.
  • ferlino, moneta di pochissimo valore.
  • ferrato, inchiodato.
  • fesa, spaccata.
  • festi, solennit?.
  • fetidoso, fetido.
  • fetura, fetore.
  • fiata, ‘a la f.’, talvolta, sua volta, allora.
  • fico, ‘la f.’, il fico.
  • fidanza, fede.
  • fidato, ‘chi t’ha f.’, chi t’ha dato sicurezza.
  • fidenza, fede.
  • fievele, debole.
  • fieveleza, debolezza.
  • figam, figgiamo.
  • figer, fissare.
  • figura, persona.
  • figuramento, figurazione.
  • figurare, raffigurare: se figura.
  • file, ‘i f.’, i figli.
  • finanza, fine.
  • finare, finire, morire, morte: fina, finisce;
    • finava, finiva;
    • finati, finiate;
    • finato, morto.
  • finente al tempo, fino al tempo.
  • finire (trans.), uccidere.
  • finire, ‘il f.’, la morte.
  • finita, ‘questa vita f.’, alla fine di questa vita;
    • ‘a la f.’, alla fine, in fine.
  • finitura, morte.
  • finuta, finita.
  • firmaraggio, render? ferma.
  • fistelli, ‘le f.’, fistole.
  • fleto, pianto.
  • floria [fl?ria], produca.
  • folcisse, ‘me f.’, mi sostenessi.
  • follia, ‘faccio f.’, son pazzo.
  • folto, sostenuto.
  • fone, fu.
  • fonno, fanno.
  • fore, fuori.
  • forestaria [forestar?a], foresteria.
  • forfece, forbici.
  • formice, formiche.
  • forsa, forse.
  • forte, difficile;
    • ‘fa f.’, si affanna.
  • forteza, forza.
  • fortura, forza, violenza, dolore, disgrazia.
  • fragar de moscone, odorare di muschio.
  • frantura, angoscia, miseria, e simili.
  • frate, fratello.
  • fratecello, ‘lo menore fr.’, il frate francescano.[Pg 287]
  • frauduto, frodato (?).
  • freddore, freddo.
  • freddura, freddo.
  • frenesio [frenes?o], ‘l’amor fr.’, frenetico.
  • Fresonia [Freson?a], Frisia.
  • freve, febbre;
    • le fr., le febbri.
  • frigo, freddo.
  • frino, freno.
  • frontiera, fronte di battaglia.
  • frua, vana.
  • frumiate, preparate.
  • fuce, foce.
  • fugato, fuggito.
  • fugenno, fuggendo.
  • fulguri, folgori.
  • fuoro, furono.
  • furare, rubare: furo, fura, furando, furato.
  • furone, ladro.
  • garzuni, giovani eredi.
  • gaudere, godere: gaudente.
  • gaudiare, ‘del nostro g.’, gioia.
  • gaudire, godere;
    • gaude.
  • gengie [geng?e], gengive.
  • gente, famiglia, popolo.
  • gentile, nobile.
  • gentileza, nobilt?.
  • gentilire, ‘en tuo g.’, nella tua nobilt?.
  • gesta, compagn?a, turba.
  • g?, and?.
  • giendo, andando.
  • Giesse, ‘la G. virgo’, la vergine di Iesse.
  • gigante, ‘una g.’, una gigantessa.
  • gilosia, gelosia.
  • gioco, azione.
  • giognemento, congiungimento o raggiungimento.
  • giognere e giongere, giungere e raggiungere: giogni, giogne, gionge, gionto, -a.
  • gioietta, gioia bassa e volgare.
  • giollaria [giollar?a], ‘me fanno g.’, mi festeggiano.
  • gionto, nodo.
  • giornata, soggiorno, dimora, lavoro;
    • ‘continua g.’, continuamente.
  • giostra (fig.), giudizio universale.
  • gire, andare: girse, gimo, gissece [g?ssece];
    • g?, and?;
    • giragio, andr?;
    • giria [gir?a], andrei;
    • giuti, andati;
    • giendo, andando.
  • girvolta, giravolta.
  • gita, ‘l? ’v’? nostra g.’, l? dove dobbiamo andare.
  • gitto, ‘fece g.’, fece il colpo.
  • giullare, ‘don da g.’, cosa molto facile.
  • giurgiani, abitanti della Georgia.
  • gloriare, glorificare; ‘el gl.’, la vanagloria.
  • gloriato, gloria.
  • gloriuso, glorioso.
  • gola, desiderio, brama.
  • gradita, ‘sopra tutte sta gr.’, occupa il grado pi? alto.
  • gradone, scalino.
  • gradora, gradi.
  • grana, ‘la gr.’, il seme.
  • granchi, cancri.
  • grancia [granc?a], malattia del cancro.
  • grasa, grassa, in buona salute.
  • grassia [grass?a], ‘porco de gr.’, destinato a ingrassare.
  • gratizo, stuoia.
  • grato, ‘? a gr.’, ? gradito.
  • gravame, mi addolora.
  • gravanza, dolore.
  • gravedata, resa incinta.
  • gravenza, peso, affanno.
  • grege, ‘la gr.’, il gregge.
  • greve, ‘gr. pagarse’, pagarsi lautamente.
  • gridare, implorare: gridammo, gridanno.
  • gridato, le grida, il chiasso.[Pg 288]
  • griglie, grilli.
  • grossore, vanagloria.
  • grossura, superbia.
  • guadagna, ‘la g.’, il guadagno.
  • guadagnato, guadagno.
  • guai, ‘che cura en tuo g.’, che si cura dei tuoi affanni.
  • guarda, la guardia.
  • guardare, conservare, custodire;
    • guarden, difendano;
    • guarda, guardanno.
  • guaruto, guarito.
  • guassa, guasta.
  • guatanno, guatando.
  • guidardone, premio, elemosina.
  • guidata, s?guito.
  • guidato, guida, condotta, governo;
    • ‘mal g.’, sconsigliato.
  • guirmenella, gherminella.
  • gustato, sapore.
  • hame, mi hai.
  • hane, ha.
  • i?, gi?.
  • iace, giaci (imperat.).
  • iaci, giaci (imperat.).
  • Iacovone, Iacovon;
    • Iacopone.
  • Ianne, Giovanni.
  • icto stante, ‘en uno i.’, subitamente, d’un tratto.
  • idem, ‘in i. stato’, nella stessa condizione.
  • ignita, infocata.
  • imaginatura, immaginazione.
  • impio, empio.
  • inanti, innanzi.
  • inardi, infiammi.
  • inarenato, arenato.
  • incende, trans., brucia;
    • intr., fiammeggia.
  • increata, non creata.
  • indurato, fatto duro, crudele.
  • inferione, ‘inferno i.’, bassissimo.
  • infigurabil, che non si pu? immaginare.
  • infinito (avv.), sempre.
  • infra, fra.
  • in?co [inico], iniquo.
  • iniquitanza, iniquit?.
  • iniuriamento, sequela di ingiurie.
  • innoxio, innocente.
  • insignita, improntata.
  • insito [ins?to], -a, piantato.
  • intenza, combattimento.
  • intuito [intu?to], abbattuto, vinto.
  • invento, trovato.
  • iocato, ‘molt’hai i.’, hai molto peccato.
  • ioco, giuoco.
  • iocundare, rallegrare.
  • iogna, giunga.
  • iognere e iongere, giungere e aggiungere: iogne, iongono, iogna, ionga, i?ngasece, ionto.
  • iosta, giostra, combattimento.
  • iovara [iov?ra], gioverebbe.
  • istoria, ‘far i.’, tener discorsi inutili.
  • iubilore, giubilo, allegrezza.
  • iudece, giudice.
  • iudicato, giudizio.
  • iud?o, crudele, cattivo, empio.
  • iuoco, giuoco.
  • iura, diritta.
  • iuvente, ‘me fosse iu.’, mi aiutasse.
  • labore, fatica.
  • laccio, vile.
  • lacremanno, lagrimando.
  • lagnare, rimproverare;
    • lagni, ti duoli.
  • lagno, dolore o tristezza in contrapp. a letizia.
  • lagnoso, piagnucoloso.
  • lamentanza, pianto.
  • lamentare, ‘con mio l.’, col mio pianto.[Pg 289]
  • lamentata, lamento, pianto.
  • lanciato, ferito di lancia.
  • lancione, lancia.
  • lancitta, dardo.
  • langore, languore.
  • languesce, langue.
  • lanza, lancia.
  • largeza, larghezza.
  • largitate, indulgenza, generosit?.
  • lascivanza, lascivia.
  • lassavi, vi lasciai.
  • lat?re [latere], nascondere.
  • lateza, larghezza.
  • lato, fianco;
    • ‘da l.’, dal fianco.
  • lattare, allattare.
  • lattuaro, elettuario.
  • l? unque, dovunque.
  • lavoranno, ‘a l.’, per lavorare.
  • lavorare, agitarsi.
  • lavorato, ‘el l.’, il lavoro.
  • lavoreccio, lavoro, opera.
  • leanza, lealt?;
    • ‘aver l.’, ubbidire.
  • lebbe, lieve, facile.
  • lebeza, leggerezza.
  • lede, offende, danneggia.
  • legale, leale.
  • legnare, far legna.
  • lemosinata, elemosina.
  • lendinine, uova di pidocchio.
  • lengua, lingua.
  • lenguaio, linguaggio.
  • lenno, legno.
  • lento, ‘qual omo de te sta l.’, chiunque non ti apprezza.
  • lettiera, letto.
  • lettoria [lettor?a], studio.
  • levata, ‘de lo scotto a la l.’, al momento di pagare.
  • leve, leggere.
  • lezione, studio del Vangelo.
  • lianza, lealt?, promessa.
  • liberanza, libert?, salvezza.
  • libigli, libelli o livelli, istrumenti notarili.
  • liceto, lecito.
  • ligata, legata.
  • lingni, lecchi.
  • liquidisce, cade in deliquio (?).
  • lisca, piccola parte.
  • lita, lieta.
  • locato, collocato.
  • loco, -chi, luogo.
  • loco, l?, ivi.
  • logne, ‘da l.’, lungi.
  • lograre, guadagnare.
  • longeza, lunghezza.
  • longhesso, lunghesso.
  • longo, lungo, -a;
    • da longa, da lungi.
  • losenghe, lusinghe.
  • loto, sozzura.
  • lotosa, sozza.
  • lotuso, fangoso, sozzo.
  • Lucca, ‘non ne gi? a L. che cagno n’avea’. Il Tresatti spiega: ‘proverbio di quel tempo in siffatti propositi: simigliante a quell’altro: se Africa pianse, Italia non rise’.
  • lucrare, guadagnare.
  • ludo, scherzo.
  • luge, il pianto (imperativo sostantivato).
  • lumiera, lume.
  • luminativa, che illumina.
  • luminato, illuminato.
  • luoco, luogo.
  • luocora, luoghi.
  • lussuriato, lussuria.
  • lustrore, splendore.
  • lutta, lotta, contrasto.
  • ma’, pi?.
  • macellate, tormentate.
  • maculare, macchiare, oscurare: maculato, guasto.
  • magagnato, ‘el m.’, la magagna.
  • magenatura, immaginazione.[Pg 290]
  • magestra medeca, medichessa.
  • maginare, immaginare.
  • magioria [magior?a], ingrandimento, miglioramento, superiorit?.
  • magnadone, mangiatoia.
  • magno, -a, -i, -e, grande.
  • mai, pi?;
    • sempre mai, sempre pi?.
  • mai?sta, maest?.
  • mainera, maniera.
  • maior, maggiore.
  • maistro, maestro.
  • maitino, mattino.
  • maiure, ‘a soi m.’, ai maggiori di lui: maiur.
  • mala, rif. a ricchezza, male acquistata;
    • m. soperchianza’, il superfluo dannoso.
  • malanza, malattia.
  • malavoglienza, malevolenza.
  • maledezone, maledizione.
  • maledicer?, maledir?.
  • malefizio, ‘lo iudece che sede al m.’, a rendere giustizia.
  • malegno, maligno.
  • malfatture, malfattore.
  • malina, malattia.
  • malsania [malsan?a], malattia.
  • malsanile, malsana.
  • malta, supplizio, tormento eterno.
  • maltolletto, ‘el m.’, il maltolto.
  • malum pene, il male della pena.
  • malvagione, malvagio.
  • malvascio, malvagio.
  • manca (agg.), minore.
  • mancanza, ‘en mio onor ha m.’, manca contro il mio onore.
  • mancheza, ‘la mia lengua ? m.’, ? impotente.
  • mancino, ‘posto m’avete nel canto m.’, mi avete trascurato.
  • mand?ne, mand?.
  • manduca, mangia.
  • mane, ‘le tue m.’, mani.
  • manecare e manecar, mangiare: manecato.
  • manera, maniera.
  • manna, manda.
  • mano, ‘le m.’, le mani.
  • mantatura, ci? che ricopre.
  • mantenente, immantinenti.
  • mantile, manto, veste.
  • mantino, misero mantello.
  • manuca, mangia.
  • maraveglia, e me-, maraviglia.
  • margarita, gemma.
  • maritota, tuo marito.
  • mascione, magione, chiesa.
  • masnata, famiglia o brigata.
  • mastro, ‘lo m. del nostro reparo’, il nostro redentore.
  • mastria [mastr?a], valentia, dottrina;
    • ‘per m.’, abilmente.
  • mate, madre.
  • matteza, follia.
  • matto, scacco matto.
  • matutino, ‘a m.’, per tempo.
  • me’, miei.
  • mea, mia.
  • medecaro, medico.
  • medecaroso, che medica, che guarisce.
  • mediante, ‘del d? m.’, del mezzogiorno.
  • medicina, arte medica.
  • meditanno, meditando.
  • megio, mezzo.
  • meglio, ‘me tenga de m.’ in maggiore considerazione.
  • mei, miei: mei enfermetate, le mie infermit?.
  • melata, dolce.
  • melato, sapor di miele.
  • mele, miele: mel [m?l].
  • melodia, ‘tengon la mia m.’, cantano le mie lodi.
  • mena, maniera.
  • menata, ‘en mala m.’, in malo modo.
  • mendato, emendato.[Pg 291]
  • mendicati, addolorati.
  • mene, me.
  • meneste, minestre;
    • fig., ricompense.
  • menor, ‘glie m.’, gli inferiori.
  • menorar, impiccolire.
  • menovato, diminuito o privato.
  • mentrunque, fino a che.
  • menuto, ‘a m.’, minutamente: ‘bestie menute’, piccole.
  • mercatantaria [mercantar?a], mercatura.
  • mercato, mercanzia, dolorosa condizione;
    • ‘non fai lor m.’, non convieni loro.
  • mercenaia, donna da conio.
  • meritare, ricompensare: merite, ricambi.
  • meritire, ‘el m.’, la ricompensa: meretuta, ricambiata.
  • merollo, midollo;
    • le merolle, le midolla.
  • meschie, contese, baruffe.
  • meschine, serve.
  • meschin?a, povert?, di contro ad alteza e magioria.
  • messo, mandato, destinato.
  • mesura, quantit?.
  • mesuranza, misura, equilibrio.
  • mettere: mettivi, mettevi;
    • metteraggio, metter?;
    • metteraiolo, lo metter?;
    • mette, lancia, scaglia.
  • mi: a mi, a me.
  • miccio, asino.
  • migni, minii, segni.
  • miniato, rappresentato.
  • ministrali, ministri, aiutanti.
  • ministrata, concessa.
  • mino, meno;
    • ‘venir m.’, mancare alla promessa.
  • mio, ‘per m. piacere’, per piacermi;
    • ‘en m. nutrire’, nel nutrirmi.
  • miserere, costruito con ?a?: ‘m., Dio, al cecato’.
  • miso, mandato.
  • misso, mandato.
  • misteria, misteri.
  • misteriata, mistero.
  • misticato, mescolanza.
  • mitto, metto;
    • ‘me m.’, comincio.
  • m?, ora.
  • moderanza, moderazione.
  • moglier, moglie.
  • mogo, muoio.
  • mola, mulino.
  • mole, denti.
  • molesta, affanno, dolore.
  • molina, mulini.
  • mondata, purgata, netta.
  • mondo, privato, spogliato.
  • monno, mondo.
  • morare, indugiare.
  • mord?re [mord?re], mordere.
  • moreri, moriresti.
  • moresse, morissi o -e.
  • morganato, canto mattutino, ma ironicamente, in senso di chiasso.
  • morire: mogo, muoio;
    • moron, muoiono, morragio, morr?;
    • moresse, morissi o -e;
    • moreri, morresti;
    • lo morire, la morte.
  • morsecare, mordere: morseca, morsecata.
  • morselli, bocconcini.
  • morte, supplizio.
  • moscone, muschio.
  • mosto, -a, mosso, -a.
  • mostra fare, far pompa dei propri meriti.
  • mostramento, mostra.
  • mostranze, apparenze.
  • mostrare, mostrare e opporre: mostravase, si mostravano;
    • mostr?ne, mostr?;
    • mostraraio, mostrer?;
    • mostrerate [mostrer?te], ti mostrerai;
    • mostranno, mostrando.
  • mozzare e mozare, distruggere, togliere: mozzato e mozato, -a, impedito.[Pg 292]
  • mozzo, distrutto, scomparso: mozze.
  • ’mparare, imparare.
  • ’mpiasto, empiastro, fig. rimedio.
  • ’mpotente, impotente.
  • ’mpreinata, riempita, invasa.
  • ’mprendere, imparare;
    • ’mprende, impara.
  • mucciare e mucciar, fuggire: mucciato;
    • el mucciare, la fuga.
  • mundicia e -zia, nettezza.
  • mura, mora, riposo.
  • musto, mosto.
  • mutti, motti, parole.
  • ’n, in.
  • ’nabissare, inabissare.
  • nagitto, affine a negetto (?).
  • ’namora, innamora.
  • ’namoranza, l’oggetto dell’amore.
  • ’namorato, innamorato.
  • ’nanemato, inanimato, ben disposto.
  • ’nante, innanzi, anzi.
  • ’nanteposto, anteposto.
  • ’nantepuse, antepose.
  • ’narrata, impegnata, fidanzata.
  • narrete, narriate.
  • nascondece, ci nascondono.
  • nascoso, di nascosto.
  • nascosta, ‘a la n.’, nascostamente.
  • nascusi, nascosti.
  • naspo, ‘le man mena co n.’, annaspa con le mani.
  • natoscono (?).
  • nazione, famiglia, parentado.
  • ’ncostro, inchiostro;
    • ‘glie medici... scrivon lo ’nc.’, la ricetta.
  • ’ncudene, incudine.
  • ’ndicio, indizio, segno.
  • ’nduciar, indugiare: ’nduciamo, differiamo.
  • ’ndulgenza, indulgenza.
  • ’nebriare, inebriare: te ’nebriari, ’nebriato.
  • necessitate, sofferenza, dolore.
  • ned un’ora, n? un’ora.
  • negetto. Il Tresatti spiega: ‘morir negetto o di negetto, nelle nostre parti vale morir per carestia d’ogni cosa, cio? non per ferite o per febre; ma per non aver avuto niente da aiutarsi’.
  • Nemico, per antonomasia, il diavolo.
  • nenguan, nevichino.
  • nequitanza, iniquit?.
  • ’nestante, subito, improvvisamente.
  • nettezza, purezza.
  • nevili, ‘freddi n.’, freddi di neve.
  • ’nfamia, infamia.
  • ’nfermata, ammorbata.
  • ’nfermetade, infermit?.
  • ’nferno, inferno.
  • ’nfetta, infetta.
  • ’nfondo, bagno.
  • ’nfra, tra.
  • ’nfragidita, infradiciata.
  • ’ngiuria, ingiuria.
  • ’ngratituden, ingratitudine.
  • nichil, nulla.
  • nichilare, distruggere: nichilato.
  • nichilitate, annientamento, nullit?.
  • nichilo, il nulla.
  • niente, ‘retornai a n.’, nel nulla.
  • nihil, cfr. nichil.
  • niquitanza, iniquit?.
  • niquitosa, malvagia.
  • nissuna, nessuna.
  • ’niuriare, ingiuriare.
  • nobilire, nobilitarsi.
  • nogl, non gli.
  • nomenanza, fama, buona reputazione.
  • nona, sottintendi: ora.
  • none, no e non.
  • notatura, modo di notare.
  • notricare, nutrire: notrico, notricasi.
  • novello, ‘per n.’, recentemente.
  • ’npazare, impazzire.[Pg 293]
  • ’nputedato, impuzzolito.
  • ’nsegn?ne, insegn?.
  • ’ntelletto, intelletto.
  • ’ntendemento, facolt? di sentire e di capire.
  • ’ntendenza, ‘avete la ’nt.’, comprendete, capite.
  • ’ntenzone, contesa, contrasto.
  • ’ntrasatto, affatto, in tutto.
  • nuchiero, nocchiero.
  • nul om, nessuno.
  • nullo, nul, nulla, nessuno, -a.
  • null’om, nessuno.
  • nura, nuora.
  • ’nvisibile, invisibile.
  • ’nvitata, ‘la ’nv.’, l’invito.
  • o’, ove, quando.
  • obedenno, ubbidendo.
  • obedenza, ubbidienza.
  • obedito, ubbidienza.
  • obprobrio, obbrobrio.
  • obprobrioso, obbrobrioso.
  • obproprio, obbrobrio.
  • occede, uccide.
  • occideria [occider?a], uccisione, strage.
  • occulto, ‘en o.’, di nascosto.
  • odenno, udendo.
  • odiata, odio.
  • odiato, odio.
  • odire, udire: odorai, odendo e odenno.
  • odoramento, odore.
  • oduri, odori.
  • offendemento, offesa.
  • offensa, offesa.
  • offensanza, offesa.
  • offenza, offesa.
  • offerzione, offerta.
  • officia, uffici.
  • offoschi, offuschi.
  • ognecovelle, ogni cosa.
  • ogne om e ogn’om, ognuno.
  • oli, odori.
  • oltra, oltre.
  • om, analogo al francese on.
  • omnechivegli, e onne-, chiunque.
  • omn’om, ognuno, ciascuno.
  • omnia, ogni cosa.
  • on, ogni.
  • oncina, forcine.
  • oncino, ‘so preso a l’o.’, sono afferrato.
  • onomo, onom, onon, ognuno.
  • onne, ogni.
  • onnechivigli, chiunque.
  • onnecovelle, tutto.
  • onoranza, reputazione, desiderio di lode, vanit?.
  • operata, opera.
  • opo ?, ? necessario.
  • opor?, bisogner?.
  • oporasse, si dovr?.
  • oporta, bisogna.
  • oporto, ‘? o.’, bisogna.
  • opressa, pena.
  • oprire, aprire: oprirai, opriteme, operto.
  • optando, ‘mal o.’, il malaugurio, le maledizioni.
  • ora, ‘tutta o.’, sempre, continuamente.
  • ordenava, ‘discordia or.’, suscitava.
  • ordinare, ‘t’? opo con Dio o.’, riconciliarti con Dio.
  • ordo, spiacevole, disgustoso.
  • ore, ‘quel o.’, quel momento;
    • ‘a tutte o.’, in qualunque momento.
  • orgogliosa, riferito a vespa, fastidiosa, dolorosa.
  • ornato, ornamento: gli suoi ornate.
  • ornatura, ornamento.
  • orrir, aborrire.
  • orrore, ‘d? un o.’, fa inorridire.
  • orta, orti.
  • Ortulana, di Orte.
  • osa, usa, abituata;
  • osante, ‘come se’ stata o.’, hai osato, ardito.
  • oso, uso, abituato;
    • sost., costume.
  • osolare, ascoltare.
  • ostendere, mostrare.
  • ostile, porta.
  • ostopiscon, stupiscono.
  • ostupisce, stupisce.
  • oximello, ossim?le.
  • oziato, in ozio.
  • paccone, pezzo di carne.
  • padito, digerito, smaltito.
  • pagata, paga, ricompensa.
  • pagatura, pagamento; ‘far la p.’, la malleveria.
  • pagheraggio, pagher?.
  • paglizo, pagliccio, paglia molto trita.
  • pagono, paiono.
  • paidato, digerito.
  • paidire, digerire.
  • paiome, mi paiono.
  • palma, croce.
  • palpetra, palpebre.
  • paltonata, vilt?.
  • paltone, vile, poltrone.
  • pancegli, pannicelli.
  • panceglie, pannicelli.
  • pancelli, pannicelli, fasce.
  • pannizo, misera veste.
  • papato, ‘officio p.’, di papa.
  • paraggi, paragoni, gare.
  • paragone, cimento, prova.
  • parata, studiata.
  • parcire, perdonare.
  • paregiare, uguagliare in altezza.
  • parentenza, parentado.
  • parenteza, parentela.
  • parerai, partorirai.
  • Parese, Parigi.
  • Parige, Parigi.
  • parire, parere;
    • ‘al mio p.’, a mio avviso.
  • Parisci, Parigi.
  • parlagione, favella.
  • parlamento, discorso.
  • parlara [parl?ra], parlerei.
  • parlare (transitivo), dire;
    • un parlar, una parola.
  • parlas?a, paralisi.
  • parlato, discorso.
  • parlazione, il dire, il parlare.
  • parole, ‘par che me tenghi in p.’, in sospeso.
  • paron [par?n], paiono.
  • parr?, ‘or se p.’, si vedr?, si dimostrer?.
  • part?mone, dividiamoci, allontaniamoci;
    • p. dal nostro dire,’ terminiamo di parlare.
  • partanne, allontaniamoci.
  • parte, ‘le p.’, i partiti, le fazioni.
  • partierse, si divisero.
  • partimento, partenza.
  • partire, morire.
  • partuta, ‘la p.’, la partenza.
  • partute, divise.
  • paruto, parso; ‘nel p.’, in apparenza.
  • parvente, ‘al suo p.’, a suo giudizio.
  • parviso, ‘al mio p.’, a mio avviso.
  • pasce, nutre.
  • pascimento, cibo.
  • pascitore, colui che pasce.
  • pascuare, far festa.
  • pasmare, spasimare: pasmando.
  • pasmo, spasimo.
  • passa, trascura, passano.
  • passaio, passaggio.
  • passe, ‘buono ? che lo p.’, che lo taccia.
  • passi, passioni.
  • passone, ‘chi sta al p.’, l’accusato.
  • pastile, pasto parco, modesto.
  • pastor, ‘lo p.’, il papa.
  • pate, padre.[Pg 295]
  • pat?o, pat?.
  • patere, patire;
    • pati, patisci;
    • pate, patisci e patisce;
    • patem, soffriamo;
    • patea, pat?o, pat?o, patuta.
  • paternato, paternit?.
  • paternoso, paterno.
  • patremono, possesso.
  • patrino, prete confessore.
  • patto, ‘trover? p.’, stringer? amicizia.
  • paura, ‘voce de gran p.’, che incute terrore.
  • paventato, spaventato.
  • pavore, spavento.
  • pecata, ‘l’anema en p.’, nella pece (?).
  • peccare: peccanno, peccando.
  • peccata, peccati.
  • peccate, peccati.
  • pecciole [pecci?le], pellicine.
  • pede, ‘da p.’, al piede;
    • ‘piglia ’l p.’, impedisce.
  • pedochi, pidocchi.
  • pedovare, andare a piedi.
  • pegioranno, peggiorando.
  • peio, peggio.
  • pelegrinato e peli-, a guisa di pellegrino.
  • pelegrino, misero, randagio;
    • -e, meschine, poverette.
  • Pelestrina, ‘monte P.’, monte di Palestrina.
  • penace, doloroso.
  • penalitade, -ate, pene, sofferenze.
  • penato, addolorato, doloroso;
    • ’l penato, chi ? sottoposto a pena;
    • pena, sofferenza.
  • peniteza, penitenza.
  • penna, cima, vetta.
  • penosa, ‘me fai star p.’, in pena.
  • pensamento, pensiero.
  • pensar, pensiero.
  • pensarsi, pensare.
  • pensato, pensiero.
  • pensire, pensiero.
  • pentire, pentirsi.
  • pento, colorato, dipinto, rappresentato.
  • pentura, il volto dipinto.
  • pentuto, -a, pentito, -a.
  • penura, sofferenza.
  • pera, tasca, bisaccia.
  • perceputo, percepito.
  • perchene, ‘’l p.’, la causa.
  • percussure, percussore.
  • perdati, perdiate.
  • perdenno, perdendo.
  • perdente, ‘non siam p.’, non perdiamo;
    • ‘de tutto ? p.’, perde tutto.
  • perdenza, perdita, dannazione;
    • ‘fui en p.’, perdetti.
  • perd?re, perdere.
  • p?rdese [perdese], perde.
  • perdimento, perdita.
  • perdire, perdere.
  • perdonanza, perdono, indulgenza;
    • ‘far p.’, perdonare.
  • perdonazione, perdono.
  • perdono, ‘non me p.’, non mi risparmio.
  • perfece, perfezion?.
  • perfine a, fino a.
  • perim, periamo.
  • perire, dannare;
    • perita, deperita.
  • periscerai, perirai.
  • perlongare, prolungare.
  • perpetuale, perpetuo.
  • perpetuo, per sempre.
  • perseveranno, ‘l’uno ha nome p.’, perseveranza.
  • perseverare (transit.), continuare: perseveri;
    • ‘si e’ ’n bon perseverare’, se bene perseveri.
  • perseverazione, perseveranza.
  • persona, espressione del volto;
    • alcuno.
  • perta, aperta.
  • pertuso, pertugio.[Pg 296]
  • peruta, perita.
  • pesanza, sofferenza, dolore.
  • pescetegli, pesciolini.
  • pescione, pigione.
  • petere, chiedere: peto, pete.
  • Petro, ‘santo P.’, san Pietro.
  • peverata, salsa piccante.
  • piacemento, piacere;
    • ‘non m’? p.’, non mi talenta;
    • ‘como fo tuo p.’, come ti piacque.
  • piacenza, piacere.
  • piacire, piacere.
  • piana, facile.
  • piangea d’uno figlio, si lamentava d’un figlio.
  • piano, ‘de p.’, in forma facile.
  • piatanza, piet?.
  • piatuso, pietoso.
  • picciolello, piccolino.
  • pieco, pecora;
    • ‘le p.’, le pecore;
    • ‘de p. me voglio coprire’, di lana.
  • piena, affanno, dolore.
  • pietanza, piet?.
  • pigliara [pigli?ra], piglierebbe.
  • pigliar?a, piglierei.
  • piglio, difficolt?;
    • ‘hanno fatto p.’, han fatto presa.
  • pili, peli.
  • pilo, pila.
  • pina, pena.
  • pingi, dipingi.
  • pino, -a, pieno, -a;
    • ‘en p.’, pienamente.
  • piovuso, piovoso.
  • pisto, pesto.
  • pi?, maggiore;
    • ‘donzelli pi? che tune’, di pi? alto lignaggio.
  • placare, pagare.
  • placenza, piacere.
  • plenura, abbondanza.
  • plorare, piangere, lamentarsi: ploro, plorasse.
  • po, appo, in confronto di.
  • po (prep.), dietro, dopo, poi.
  • po’, posso.
  • podere, la propriet?;
    • ‘al p. tuo t’arsomeglia’, non fare pi? di quanto puoi.
  • pogna, pugna.
  • pognente, pungente e pungenti.
  • pogni, poni.
  • poi lei, dietro a lei.
  • polito, -a, puro, gentile, avvenente.
  • polzella, ragazza.
  • poma, pomi.
  • ponere, porre: poner;
    • pono, p?note [ponote], ti pongo;
    • pogni, poni;
    • pona, ponga e ponam (cong.), poniamo;
    • pone, pon e pun (imperat.), poni.
  • ponga, borsa.
  • pongnente, pungente, doloroso.
  • pontato, appuntato, notato.
  • ponto, punto, momento;
    • avv., affatto.
  • porri, potresti.
  • portadura, vanit?;
    • ‘fa’ p.’, pavon?ggiati.
  • portare, sopportare;
    • portar, porto;
    • portimo, sopportiamo;
    • portata.
  • portatura, ‘a rota facea p.’, mi pavoneggiavo.
  • porto, ‘lo p.’, la sofferenza.
  • pos’, io possa.
  • posa, riposo, refrigerio.
  • posare, riposare;
    • ‘l’affetto p.’, cessare dalle tribolazioni.
  • possedere, ‘lo p.’, il possesso.
  • possessore, possesso.
  • posta, ‘questa p.’, questa volta;
    • ‘a tua p.’, a tuo piacimento;
    • ‘fagli cordogliosa p.’ gli d? dolore.
  • posto (avv.), col?.
  • potagione, il bere.
  • potare, bere.
  • potere: pos’, po, posso;
    • pote, puote, potemo, potem, ponno, potere;
    • possam (cong.), possiamo;
    • porraio, potr?;[Pg 297]
    • porr?, porrai, porr?, porr?n [porran], porr?a, poresti, potresti;
    • porri, potresti;
    • potera [pot?ra], potrebbe;
    • porramo, porram, potremmo.
  • poto, bevanda.
  • pozolente, puzzolente.
  • prebendato, fornito di prebende: gli prebendati.
  • precetta, i precetti.
  • precipitamento, rovina.
  • precipitanza, precipizio.
  • predata, ‘anima pr.’, presa dal diavolo.
  • predicata, esortata.
  • prefazio. Il Tresatti spiega: ‘? quel che nella messa si dice in voce dal sacerdote dopo l’offertorio. Ma in questo luogo ? posto invece della sentenza data dal papa contro di lui [Iacopone], di condennazione a perpetuo carcere; la quale credo gli fusse cantata per commissione papale in tuono di Prefatio coll’In saecula saeculorum. Amen’.
  • pregarizio, preghiera.
  • preghimo, preghiamo (imperat.).
  • pregiune, ‘le pr.’, le prigioni.
  • preite, prete.
  • prelazione, dignit? ecclesiastica.
  • prelato, prete.
  • prelia, battaglie.
  • preliare, combattere.
  • prelio, battaglia.
  • prena, gravida.
  • prenno, pregno.
  • prenno, prendono.
  • prescione, prigione.
  • prese, ‘ionto a quelle p.’, strette, difficolt?.
  • presente, ‘far pr.’, regalare;
    • ‘render pr.’, offrire.
  • presente, ora;
    • ‘en pr.’, presentemente.
  • prestolo, domando, sollecito.
  • presumenza, presunzione.
  • preferire, trascurare, trascorrere: preferita.
  • primero, -a, primo, -a.
  • primitate, priorit?.
  • principato, i principati, in senso teologico.
  • principato, prevalenza.
  • privare, separare: privato.
  • privata, latrina.
  • pro, per.
  • procaccia, ‘non val pr.’, ? inutile affannarsi.
  • procura tua ferita, abbi cura della tua ferita.
  • pro fare, imparare, profittare.
  • profetti, vantaggi, di contro a defetti.
  • proficere, imparare, profittare.
  • proferito, offerto.
  • proferuto, offerto.
  • profete, profeti.
  • profondo, ‘en pr.’, in basso;
    • ‘giacea nel pr.’, nell’abbiezione;
    • ‘en un pr. stante’, stando umiliato.
  • profunda, profonda.
  • promissione, promessa.
  • promitto, prometto.
  • pronta, tempra.
  • prova, ‘tanto ? de dura pr.’, ? a tutta prova.
  • provarite, proverete.
  • pugne, ‘ha le p.’, sente il desiderio.
  • pugni, pungi.
  • pulicato, pulito, netto.
  • pun (imperativo), poni.
  • punito, punizione.
  • puo’ la coda, dietro la coda.
  • puoco, poco.
  • puoi (avv.), poi.
  • puolo [pu?lo], lo puoi.
  • puosa, posa, riposo.
  • puose [pu?se], si pu?.[Pg 298]
  • pur, solamente;
    • rafforzativo in alcune frasi, come: ‘paiono pur sangu?e’, ecc.
  • puse, posi.
  • puso, posa, riposo.
  • puteglioso, puzzolente.
  • putigliosa, puzzolente.
  • putire, puzzare.
  • putredissimo, putridissimo.
  • putulente, puzzolente.
  • puzulente, puzzolente.
  • qual, il quale, la quale, qualunque;
    • glie qual, coloro i quali, se pur non si debba dividere gli equal, gli uguali.
  • qual omo e qual om, chiunque.
  • qualunche, chiunque, qualunque.
  • quanto, quantit?;
    • ‘’l q.’, la misura.
  • que, che, che cosa, quello, -a, -i, -e;
    • il quale, la quale, i quali, le quali.
  • quegno, quale;
    • quegn’, -a, -e.
  • quella, ‘a q. son menato’, son ridotto a tale.
  • quesso, cotesto.
  • quietaio, quiete.
  • quegl, quello, quelli;
    • quigli, quelli.
  • quigno, chi;
    • -a, quale.
  • quiito, quieto;
    • sost., quiete.
  • quil, quelli.
  • quille e quilli, quelli.
  • quinto, ‘en q. ? partito’, ? diviso in cinque parti.
  • quisso, cotesto.
  • rabassi, inchini.
  • radicina, piccola radice.
  • ragenza, ingentilisce.
  • ragione, giustizia;
    • ‘a r.’, secondo giustizia;
    • ‘per r.’, giustamente, ragionevolmente.
  • rama, ‘suoi r.’, rami.
  • rametello e rametel, ramicello.
  • ramina, recipiente di rame.
  • ramora, rami.
  • rampognoso, ‘sar? r.’, rampogner?.
  • rancura, odio.
  • ranscire, raschiare.
  • rape, rapisce.
  • rapicciato, riacceso.
  • raputo, rapito.
  • rascione e rascion, ragione.
  • rasmo, prurito.
  • rason, ragione, causa.
  • raspo, malattia del cane.
  • ratepidar, intiepidire.
  • razionata, ‘mente r.’, ragionevole, capace di ragionare.
  • reami, riami.
  • rebandito, sparso, diffuso.
  • recepe, ricevere: recepi, recepe, receputo.
  • recepetore, chi riceve.
  • recepire, ricevere.
  • recerca, versa, trabocca.
  • recessare, allontanare: recessando.
  • recezione, ricevimento.
  • recipiente, ricevente.
  • recolta, premio.
  • recomparata, riscattata, redenta.
  • recomperato, riscattato.
  • recoprire, compensare, rimediare.
  • recordamento, ‘siate [s?ate] r.’, ric?rdati.
  • recordanza, ‘fatta te fo r.’, ti fu ricordato.
  • record?ne, ricord?.
  • rede, ‘li suoi r.’, eredi, figli.
  • redetare, ereditare.
  • redetata, eredit?.
  • redetate, ‘lo ’nferno ha r.’, ha in eredit?.
  • redire, ritornare: redisti.
  • redutto, ridotto;
    • -a, redutt’.
  • refrenato, frenato.
  • regnare (transitivo), dominare, governare.
  • regoglio, orgoglio.[Pg 299]
  • regoma, ‘la r.’, il reuma.
  • Regoverci. Il Tresatti spiega: ‘nome finto da lui [Iacopone], propriissimo al caso di quel fossato, ove vorrebbe essere abbandonato: quasi rivo guercio, torto’.
  • regraziare, ringraziare: regraziato, ricompensato.
  • reguardosi, sospettosi.
  • reiunti, ricongiunti.
  • relevamento, ‘far r.’, rilevarsi, alzarsi.
  • relione e reli?n [relion], religione.
  • relioso, -i, religioso.
  • relustrata, fatta chiara, lucente.
  • remagni, tu rimanga.
  • reman?a, rimaneva.
  • remeio, rimedio.
  • remortato, affatto spento.
  • rempire, arricchire.
  • remproperar, rimproverare.
  • remunerato, remunerazione.
  • remuta, cambia.
  • renchioso, -a, rinchiuso.
  • rencrescemento, ‘? r.’, rincresce.
  • rendeglse, gli si rende.
  • Renderenie. Il Tresatti spiega: ‘Le rondini con corrotto vocabolo sono chiamate a Todi dalla plebe rendene, dalla qual voce il poeta form? Renderenie, per cui v?lse intendere un paese lontano: cio? quello stesso ove circa il fine dell’autunno le rondinelle tornano’.
  • renfranto, ‘canto r.’, di contro a canto ritto, cio? fermo.
  • rengioire, rallegrare.
  • renna, renda.
  • renno, regno.
  • renunzata, ripudiata.
  • reprisi, ripresi.
  • reprobata, ‘vizia r.’, riprovati.
  • reputamento, addebito.
  • repuzio, riputazione.
  • rebaldire, rallegrare.
  • resedisti, sedesti nuovamente.
  • resguardare, contemplare: resguarda.
  • res?a, eresia.
  • respetto el, riguardo al.
  • respondente, ‘fosse r.’, rispondesse.
  • responna, risposta.
  • responno, rispondo.
  • responsione, risposta.
  • responsura, ‘fa r.’, risponde.
  • respusi, risposi.
  • restesse, ristesse, si fermasse.
  • resurress?o, risorse.
  • retener, trattenere.
  • retenza, resistenza o ritegno.
  • retornimo (imperat.), ritorniamo.
  • retorn?ne, ritorn?.
  • retrare, ritrarre.
  • retrusa, rinchiusa, nascosta.
  • retto, diretto.
  • revenesse, rivenisse.
  • reverire, riferire.
  • reversate, rovesciate.
  • revivesce, rivive, risorge.
  • revocare, richiamare, distogliere.
  • revontare, vomitare: revonta.
  • ria, riferito a moneta, falsa.
  • ricevissi, ricevessi.
  • ride, ‘il tuo r.’, il tuo riso.
  • rima, ritmo, componimento rimato.
  • rio (sost.), colpa.
  • risme, rime.
  • riso, ‘col tuo mostrar de r.’, col tuo aspetto ridente.
  • ristoro, restituzione, rimborso.
  • ritto, -a, diretto, fermo, pronto, giusto: ‘lato r.’, il lato destro.
  • robbata, -e, rubata.
  • robbatura, ‘messo t’?i a r.’, ti sei messo a rubare.
  • roborato, rinvigorito.
  • rodetura, corrosione.
  • rogaria [rogar?a], roveto.[Pg 300]
  • rogo, domando.
  • r?ina, rogna.
  • Roma, ‘en corte i R.’, ‘corte R.’, corte di Roma.
  • rompenno, rompendo.
  • romure, rumore.
  • rosci, rossi, infiammati: roscie geng?e, prive di denti.
  • rosecava, roderebbe.
  • rosta, resistenza, impedimento.
  • rota, ‘a r. facea portatura’, mi pavoneggiavo.
  • rubente, rosseggiate.
  • ruina, ‘puoi c’abassa la r.’. Il Tresatti spiega: ‘l’uscio della cateratta, ovvero quell’ordegno che si abassa’.
  • saccarello, piccolo sacco.
  • sacci, sappi.
  • saccia, sappia.
  • saccio, so.
  • sacrificio, la messa.
  • sagetta, saetta.
  • sagettare, saettare, scagliare: sagetta.
  • sagitta, -e, saetta.
  • sagittare, saettare: sagitta.
  • saitta, saetta.
  • salamandrato, ‘cor s.’, che vive nel fuoco come la salamandra.
  • Salamone, Salomone.
  • salaro, salario.
  • salavoso, sporco.
  • saldo, ‘non so s.’, non sono soddisfatto.
  • salesti, salisti.
  • saleta, ‘piglia pian la tua s.’, sali dolcemente.
  • salimento, salita.
  • salire, insudiciare.
  • sallo, ‘cavalca s.’, saldo, saldamente.
  • salto, assalto.
  • salute, salite;
    • ‘cresce sue s.’, sale di pi?;
    • ‘fare le s.’, salire.
  • salute, saluti.
  • saluto, ‘celestial s.’, salute celeste.
  • saluto, salito.
  • salvaticata, selvaggia.
  • salvimo (congiuntivo), salviamo.
  • sane, ‘s? reo sapor me s.’, ha s? cattivo sapore.
  • sanguie [sangu?e], sanguinose.
  • sannati, sganasciati.
  • sano, ‘non gli ?. s.’, non gli giova.
  • Santa Santoro, Sancta Sanctorum.
  • santade, salute.
  • santific?ne, santific?.
  • santo, chiesa.
  • sapere: sapire: saccio e sacci, saccia, sapem;
    • son, sanno;
    • saper?lo, lo saprai;
    • saperasse, si sapr?;
    • saperimo, sapremo;
    • sappi, seppi;
    • sapper, seppero.
  • sapienza, ‘fai gran s.’, operi molto saggiamente.
  • sapire, sapere.
  • sapuri, sapori.
  • Sardenna, Sardegna.
  • sarocchiosa, catarrosa.
  • Sassogna, Sassonia.
  • satesfamme, soddisfami.
  • satisfacenza, soddisfazione.
  • satisfare, soddisfare.
  • savorita, saporita.
  • savoro, dolce, saporito.
  • sbagutito, sbigottito.
  • sbandegione, ‘ha fatto sb.’, ? stato cacciato.
  • sbandigione, ‘m’on fatta sb.’, mi hanno cacciato.
  • sbarattata, sbaragliata.
  • scacco giocato, scacco matto.
  • scalone, scala.
  • scandalizata, ‘con Dio sc.’, perduta dinanzi a Dio.
  • scapolato, liberato.[Pg 301]
  • scarporire, strappare, sradicare.
  • scelenguato, ‘parlaran sc.’, balbetteranno.
  • scelo, lo sa.
  • scere, sapere.
  • sceverita, ‘a la sc.’, al momento della separazione, della morte.
  • sceverute, separate, divise.
  • Schiavonia [Schiavon?a], Slavonia.
  • schierne, ‘tiemmi a sch.’, mi schernisci.
  • schirmere, schermire, difendere.
  • schirmete, difese, ripari.
  • schirmire, difendere.
  • schirmite, ‘con le vostre sch.’, male arti, civetterie.
  • schirnimento, scherno.
  • schirnire, schernire.
  • scialbergare, sgombrare.
  • sciama, odia.
  • sciamore, odio.
  • sciarmato, disarmato.
  • sciliata, slegata, separata.
  • sciordenato, -i, disordinato, smodato.
  • scioverna. Il Tressati spiega: ‘Nelle nostre parti colui il quale va or a mangiare con uno or con un altro e cos? sparambia il suo, si dice sciovernarsi qua e l?’.
  • scire, sapere.
  • scito, -a, uscito.
  • sciucco, ‘pianto sc.’, arido, senza lacrime.
  • sciuna, sola, sprovvista.
  • scolta, ascolta.
  • scomunicato, la scomunica.
  • sconfitta, fig., la morte.
  • sconoscenza, ingratitudine.
  • sconta, ‘Dio lo peccato sc.’, toglie dal conto, dal debito.
  • scontra, incontro, verso, contro.
  • scontrafatto, deformato.
  • scontrare, avvenire, accadere;
    • scontr?ne, accadde;
    • scontrato, -i, scontrade.
  • scontro, ‘mal sc.’, cattivo incontro.
  • sconza, sconcia, guasta.
  • scoperto, ‘a sc.’, apertamente.
  • scopresse, scoprisse.
  • scoprito, scoperto.
  • scorta, compagn?a;
    • -e, ricompense.
  • scorte, pronte, accorte.
  • scorteggiante, guida, conduttrice.
  • scortico, pomata per render morbida la pelle.
  • scotegiante, superba, orgogliosa.
  • scottone, scotto.
  • scretta, scritta;
    • -e.
  • Scrittura, l’Evangelo.
  • scrofizo, ‘coio scr.’, di scrofa.
  • scrulla la danza, scuoti le tue trecce, i tuoi ornamenti.
  • scudato, scudo;
    • difeso dallo scudo.
  • scudone, scudo.
  • scura, infelice, addolorata, peccaminosa.
  • scurato, oscurato;
    • -a, infelice.
  • scusan, ‘se sc.’, si rifiutano.
  • scusanza, scusa.
  • scusate, ‘en tuoi sc.’, per tua scusa.
  • scuso, rifiuto.
  • scuto, scudo.
  • se’, siede.
  • sea, sua.
  • secar?, segher?.
  • secolo, il mondo.
  • seconno, secondo.
  • secrete, ‘l’altissime s.’, segreti.
  • secriti, segreti.
  • securanza, certezza.
  • securato, reso certo, sicuro.
  • sedile, sedia apostolica.
  • segellata, ‘mate s.’, vergine.
  • segello, sigillo.
  • segna, ‘non fa s.’, non d? segno, non si mostra.
  • segno, vessillo.[Pg 302]
  • sembiaglia, mischia, combattimento.
  • semblaglia, ‘fece gran s.’, raccolse molta gente.
  • semina, semenza.
  • sempremai, vieppi?, sempre.
  • senile, il vecchio.
  • sentenno, sentendo.
  • sentina, bruttura.
  • sentino, sentina.
  • sentitivi, svegliatevi.
  • s?ntolo [sentolo], lo sentono.
  • sentore, facolt? di sentire, sentimento;
    • ‘se ne fai pi? s.’, se ancora ne parlerai.
  • sequaci, seguaci.
  • sequire, seguire: sequir;
    • sequisce, segue;
    • sequente.
  • ser?ne [serane], sar?.
  • serba, ‘de me fatt’ha s.’, mi ha salvato.
  • sere, signore (vocativo).
  • serina, serena.
  • sermone, ‘facendo suo s.’, parlando il proprio linguaggio.
  • serr?, sar?.
  • serrata, ‘r?ina s.’, rogna fittissima.
  • serrato, ‘far s.’, serrare.
  • serrime, chiusura.
  • servare, conservare ed osservare: servar;
    • serva, tien chiuso;
    • s?rvate, cons?rvati;
    • s?rvise, si conservi;
    • servando, servandote;
    • servata.
  • servemento, ‘fece el s.’, serv?.
  • servente, ‘li soi s.’, i servi.
  • servire, ‘lassai lo tuo s.’, il tuo servizio;
    • ‘en tuo s.’, per servirti.
  • servito, ‘al suo s.’, servizio.
  • servo, schiavo.
  • setta, ‘amara s.’, dolorosa compagnia.
  • sforzare, far violenza: sforza;
    • sforzarolla, la costringer?.
  • sguardamento, ‘faceagli sg.’, la occhieggiavo.
  • sguardare, mirare, osservare: sguarda, sguardano, sguardai, sguardando.
  • sguardata, ‘la mia sg.’, il mio aspetto;
    • -e, sguardi.
  • sguardato, il contemplare, il mirare.
  • sguardo, ‘per sg. de cruce’, per rimirar la croce.
  • side, la sede.
  • signorio [signor?o], ‘hai s.’, trionfi.
  • silenzo, silenzio.
  • silere, ‘lo loro s.’, il lor silenzio: sile, taci;
    • silete, tacete.
  • siloismi, sillogismi.
  • simiglia, ‘en la s.’, a somiglianza.
  • simiglio, ‘lor s.’, a loro somiglianza;
    • ’senza s.’, senza pari.
  • sinistro, a sinistra.
  • sio, -a, suo, -a.
  • sir?gione, ne sar?.
  • siron da star, dovranno stare.
  • site, siete.
  • sitire, ’tant’? ’l s. de tua desianza’, tanto forte ? il tuo desiderio;
    • sitito, desiderato.
  • smaglia, vien meno.
  • smarruta, smarrita.
  • smesuranza, grandezza, immensit?, sproporzione.
  • smesurato, ‘parlando sm.’, oltre la capacit? dell’umano intelletto.
  • so, suo.
  • so, sotto.
  • soblima, sublime.
  • sofferente, ‘esser s.’, sopportare.
  • sofferenza, indugio.
  • sofferire, sopportare, permettere: sofferir?a, sofferito.
  • sofficiente, sufficientemente.
  • sofficiente, ‘esser s.’, sopportare.
  • soffrire, indugiare.[Pg 303]
  • sofisticato vero, verit? apparente.
  • sogiorno, fasti, lusso;
    • ‘far s.’, divertirsi.
  • soi, suoi;
    • ‘le soi mano’ le sue mani.
  • solfenal, odore di zolfo.
  • s?lia [solia], trono, sede celeste;
    • ‘attento stai a mia s.’, mi attendi al varco.
  • solidato, solido;
    • ‘acque solidate’, ghiacciate.
  • sollazzare, ‘il s.’, il divertimento, il piacere.
  • sollicito, sollecito.
  • solva, paghi.
  • soma, premio (iron.).
  • somergitura, ‘far? s.’, mi sommerger?.
  • sommergetura, ‘faccia s.’, si sommerga.
  • sommettiriti, sottometterete.
  • somnia, sogni.
  • somniare, sognare.
  • somo, peso.
  • son, sanno.
  • sonagliando, mandando suono di catene.
  • sonarim, suoneremo.
  • sonno, ‘a s.’, spensieratamente.
  • son?cchiate [sonocchiate], sv?gliati.
  • s?nora [sonora], suoni.
  • soperba, superba.
  • soperchianza, il superfluo;
    • prepotenza.
  • soprano, sovrano.
  • sopre, sopra.
  • sorte, ‘pete la sua s.’, quel che le spetta;
    • ‘aver s.’, diritto;
    • ‘paghi la s.’, quello che deve;
    • schiatta, progenie.
  • sospetta, ‘ha s.’, ha in sospetto.
  • sospezion, sospetto.
  • sospicasi, sospetta.
  • sostenetti, sostenni, sopportai.
  • sosten?a, sosteneva.
  • soterrata, ‘nel fuoco s.’, gettata nel fuoco.
  • sotilmente, giudiziosamente.
  • sotta, sotto.
  • sottano, soggetto, inferiore.
  • sottratto, derubato;
    • ‘fa ’l s.’, ‘fa li sottratti’, ruba.
  • sottrare, sottrarre, sapere: sottra’, sottrae.
  • sovenesse, sovvenisse.
  • sozare, insozzare: sozata.
  • sozore, sozzura.
  • spalare, manifestare, palesare: spalato.
  • spaliando, sparpagliando, spargendo all’aria.
  • spanne, ‘tutto sto monno sp.’, invade.
  • sparita, divisa, abbandonata.
  • sparte, divide, allontana.
  • sparvire, sparviere.
  • spavalde, riferito alle mosche.
  • spechiato, immagine.
  • spelagato, ‘amore sp.’, infinito, smisurato.
  • spenne, spende.
  • spensare, dispensare.
  • speregiare, raggiare: speregia.
  • sperfonna, ‘se sp.’, sprofonda, rovina.
  • spermento, esperimento.
  • spettato, aspettato.
  • speziale, speciale.
  • spezie, forma.
  • spiacemento, ‘? sp.’, dispiace.
  • spicciatura, pettinatura.
  • spiegato, spiegato.
  • spinato, coronato di spine.
  • spineta, luogo irto di spine.
  • spinosa, riccio.
  • spiritale e spirital, spirituale.
  • splacente, sgradito.
  • splaceza, disgusto.
  • splanare, spiegare, dimostrare.
  • splendiante, splendente.
  • splendimento, splendore.[Pg 304]
  • splicar, spiegare: splico.
  • splumato, fatto di piume.
  • spogliamento, ‘? sp.’, spoglia.
  • spogliao, spogli?, priv?.
  • spogliature, spogliamenti, privazioni.
  • sponsare, sposare: sponsata.
  • sponso, sposo.
  • sprecatura, lo spreco.
  • sprobrato, disprezzato, discacciato.
  • spurione, bastardo.
  • squinantia [squinant?a], angina.
  • stabeleza, stabilit?.
  • stabilezza, stabilit?.
  • stacione, abitazione;
    • fig., l’animo, il cuore.
  • staendo, stando, rimanendo.
  • staesse, stesse.
  • stagione, tempo: ‘a la st.’, talvolta;
    • ‘a st.’, per sempre;
    • ‘en onne st.’, ‘ad ogne st.’, ‘onne st.’, sempre;
    • ‘per st.’, per qualche tempo.
  • sta?a, stava.
  • stainati, fermi, fissi.
  • stampiando, urtando, spingendo.
  • stando, ‘’l tuo st.’, il tuo posto.
  • stane, tu stai;
    • sta.
  • stanno, stando.
  • stare, rimanere: stando, restando;
    • ‘lo st.’, la condizione;
    • stane, stai e sta;
    • ston e sto, stanno;
    • sta?a, stava;
    • stetti, stai, staisti, stessi;
    • stava, gioce e staraio, star?;
    • staesse e stesse, stessi, star?an;
    • stia (imp.), sta’;
    • staendo e stando.
  • stascione, ‘se non prendi la st.’, se non cogli l’occasione.
  • stata, ‘mia st.’, la mia vita.
  • statera, giustizia.
  • statura, ‘scarsamente la st.’, relativamente alla persona.
  • stazone, dimora, prigione;
    • meta, destino.
  • stemper?ne, intener?, liquefece.
  • stenguto, spento.
  • stermenare, abbreviare.
  • stermenata, ‘puza st.’, fortissima, insopportabile.
  • stile, costume.
  • st?mate [stimate], stigmate.
  • stingni, estingui.
  • sto, -a, -i, -e, cotesto, ecc.
  • stomacone, stomaco.
  • stromento, strumento.
  • storto me so en ipocrisia, mi son fatto ipocrita;
    • ‘l’alma storta’, peccatrice.
  • straniato, fatto estraneo.
  • stravando, strapazzando.
  • stregn?me, mi costringevano.
  • strenga, stringa.
  • stretto, misero, infelice;
    • -a, crudele;
    • ‘mette a la stretta’, opprime.
  • strettura, difficolt?, tormento.
  • stromento, ‘fai te de me str.’, fate un contratto per riscattarmi;
    • ‘non era tenuto per str.’, per contratto.
  • strovele, turpe, vergognoso.
  • strutto, -a, distrutto.
  • studiante, studente.
  • stupefisi, rimasi stupefatto.
  • sturciata, storpia.
  • sturno, schiera.
  • stuta, spegne, uccide.
  • su, suo.
  • suavetoso, soave.
  • sublimato, sublime.
  • sublimo, sublime.
  • subvenuto, aiutato.
  • succurga, soccorra.
  • succurre, soccorri.
  • succurri, soccorri.
  • succurrite, soccorrete.
  • suddito, di contro a prelato.
  • sufficiente, ‘lo pi? s.’, il pi? idoneo.
  • sufficienza, ‘non li par s.’, non gli pare abbastanza;
    • ‘non farien s.’, non basterebbero.[Pg 305]
  • suiace, soggiace.
  • suiacemento, soggezione.
  • sumante, ‘fosse s.’, prendesse.
  • sune, su.
  • suo maggiore, maggiore di lui.
  • superbietate, superbia.
  • surgere, sorgere: surgo, surge, surga.
  • Suria [Sur?a], Siria.
  • sutigliamento, intelligenza.
  • sutiglianza, ‘a s.’, con astuzia.
  • sutiglieza, intelligenza.
  • sutilissima, astutissima.
  • suto, stato.
  • suvarate, pianelle di sughero.
  • svalianza, variet?, differenza.
  • sveghi, svegli.
  • sviamento, traviamento.
  • svincigliando, frustando col vinciglio.
  • tacire, tacere.
  • talento, ‘essere in t.’, piacere.
  • tanto, ‘en t. levata’, cos? in alto;
    • col superl.: ‘persona t. altissima’.
  • taoliere, banco, tavola da giuoco.
  • targia, scudo.
  • targa, targa, scudo.
  • tasca, borsa, bisaccia.
  • taschetto, borsa.
  • tazo, taccio.
  • tege, copre, nasconde.
  • temenza, timore.
  • temperamento, ‘en t.’, temperati, austeri.
  • tempestanza, tempesta.
  • tempestate, difficolt?;
    • disgrazie, avversit?.
  • tempestato, combattuto, osteggiato;
    • tempesta.
  • tempo, ‘non ? per t.’, non ? opportuno;
    • ‘onne t.’, sempre, continuamente;
    • ‘longo t. passato’, da lungo tempo.
  • temporal, ‘per t.’, per caso, qualche volta.
  • tene, te.
  • tenebr?a, tenebra profonda.
  • tenebroso, ‘onne t.’, ogni tenebra.
  • tenere, pregiare: tenerte, tengam, teniamo.
  • tenire, tenere.
  • tenore, aiuto, sostegno, carattere.
  • tentato, tentazione.
  • tento, -a, tinto.
  • tent?ne, tent?.
  • Teotonicoro, ‘renno T.’, regno di Germania.
  • tepedeza, freddezza di affetto.
  • terrafinato, confinato.
  • terr?ti, ti asterrai.
  • terribilita, spaventata.
  • terza, sost., ora.
  • tesaro, tesoro.
  • tesaurizi el tuo mercato, guadagni lautamente.
  • testificanza, testimonianza.
  • testo, -a, cotesto.
  • tia, ‘da t.’, da te.
  • tieco, teco.
  • tio, tuo.
  • tir?ne, tir?.
  • toccamento, tatto;
    • ’fatto n’ho t.’, ne ho parlato.
  • toccar, bussare.
  • toi, tuoi.
  • tollere e toller, togliere: tollo, tolle, tol, tolleme, tolli, tollime, toll?te [tollete], toll?te [tollite];
    • tolla;
    • tollevi;
    • toller?;
    • toller?a;
    • tolesse;
    • tollesse;
    • torrotte;
    • torrai;
    • tollendo;
    • tollendome.
  • tomento, pomata.
  • tomo, caduta.
  • tormentare, soffrire: tormentando.
  • tornare, volgere: torna, tornano;
    • tornata, v?lta, trasformata.
  • torte, ingiuste.[Pg 306]
  • torto, ‘a t.’, crudelmente.
  • toserate, tosate.
  • tossa, tosse.
  • totto, tutto.
  • traccia, cammino.
  • trademento, ‘so en tr.’, tradiscono.
  • traduto, tradito.
  • tragesse, traesse.
  • tragiatto, passaggio (?).
  • tragisti, traesti.
  • traenno, ‘te ce mena tr.’, per forza.
  • tralipare, cadere o gettar gi? dalla riva: tralipato, -a, rovesciato.
  • trangoscio, mi angoscio.
  • trano, discordia, lotta.
  • tranquillata, fatta tranquilla.
  • transire, passare: transito [trans?to].
  • translato, trasportato.
  • trapperia [trapper?a] (?).
  • trare, trarre, salvare, riscattare: tra’, trae;
    • traine [tr?ine], ne trae;
    • tragi, tragga;
    • traga, traggano;
    • tragesse, traesse;
    • tragisti, traesti;
    • trarai, trarrai;
    • traenno, traendo.
  • trasfisso, trasformato.
  • trasformanza, trasformazione.
  • trasse, ‘le pene che tr.’, che sopport?.
  • trasvers?o, confusione.
  • trattabilitate, possibilit? di trattare.
  • trattato, componimento poetico;
    • ‘te d?i en suo tr.’, in sua bal?a;
    • ‘facce mali trattate’, commetta male azioni.
  • tratto, mossa, gesto, atto, mala azione, astuzia: ‘di?glie ’l tr.’, lo assal?;
    • ‘faccio ’l tr.’, sono agli estremi.
  • trattura, estirpamento.
  • travaglia, dolore, molestia;
    • ‘metter tr.’, tormentare: travaglie.
  • travagliare, soffrire.
  • travalli, travagli.
  • travone, trave.
  • tredece, tredici.
  • tremore, tremito, paura.
  • trez’, trecce.
  • tribulanza, dolore, pena.
  • tristanza, tristezza.
  • tristare, soffrire.
  • tristore e tristor, tristezza, dolore.
  • trombare, suonare la tromba.
  • troni, tuoni.
  • trov?rese, si troverebbe.
  • trov?ne, trov?.
  • ttutore, ‘a tt.’, sempre.
  • tuo, ‘lo t. servire’, il servirti;
    • ‘en t. servire’, per servirti;
    • ‘lo t. affidato’, chi si ? affidato a te;
    • t. miglior’, miglior di te.
  • turbanza, turbamento.
  • turbara [turb?ra], turberei.
  • tusto, duro, resistente.
  • tutt’ore, ‘a t.’, sempre.
  • tutture, ‘a t.’, sempre.
  • ubidenza, ubbidienza.
  • uccidesse, ucciderebbe.
  • udimenti, l’ascoltare.
  • umbratura, ‘far? u.’, celer?.
  • umiliata, umilt?.
  • unitato, unione.
  • unqua, non mai: unqua mai, non mai;
    • l? unqua, dovunque.
  • unquanco, non ancora mai.
  • unque, ‘l? u.’, dovunque.
  • ura, occasione, modo;
    • ‘a nul’ u.’, non mai;
    • ‘ad u. ad u.’, sempre.
  • usagio, ‘per u.’, abitualmente.
  • usamento, pratica, famigliarit?.
  • usanza, ‘non era en u.’, non si usava;
    • ‘per u.’, abitualmente.
  • usare, operare.
  • uscire, spirare, morire;
    • ‘venni a l’u.’, nacqui.
  • uso, ‘per u.’, abitualmente;
    • ‘me so u.’, mi sono abituato.
  • usura, ‘tollea l’u.’, esercitava l’usura.
  • utri, otri.[Pg 307]
  • vacare, ‘a Dio v.’, attendere a Dio.
  • vaccio, presto.
  • valde, ‘mordendone v.’, fortemente.
  • valenza, valore.
  • valimento, valore.
  • valore, ‘il molto v.’, una ricca eredit?.
  • valura, valore.
  • valuta, valore;
    • valute, ‘a tutte mie v.’, con ogni mia possa.
  • Vangelista, Evangelista.
  • vanura, vanit?.
  • vanuri, vanit?.
  • vasallaggio, vassallaggio.
  • vascello, vasetto.
  • vasecce [v?ssece], ci si va.
  • vaseglie, vasetti di medicinali.
  • vedemento, vista.
  • vedere e vedire: veio, vedo;
    • vei, vede;
    • vedemo, vedite;
    • vederimo, vedremo;
    • vedia [ved?a] e vidivi;
    • vide, vidde, viddi;
    • vede e vide (imperat.);
    • vedisse, veggia, veia, vegente, vedenno, viso;
    • ‘il mio vedere’, il mio aspetto, ‘col v.’, con lo sguardo;
    • vederse, vedere.
  • vedimento, vista.
  • vedoveza, privazione.
  • veduto, ‘’l v.’, le cose che si vedono.
  • vegente onne omo nato, dinanzi agli occhi di tutti.
  • veghiare e veghiar, vegliare: veghio.
  • veio, ‘el suo v.’, la sua vista.
  • velle, ‘’l mio v.’, la mia volont?.
  • vencer, vincere;
    • v?ncelo [vencelo], lo vince;
    • venc?a;
    • vicque, vinse;
    • vensero, vinsero;
    • venciuto, -e, vinto;
    • vento, -e.
  • venco, vinciglio.
  • vendecanza, vendetta.
  • vendegnato, vendemmiato.
  • venditta, vendetta.
  • venen, veleno.
  • venenato, avvelenato.
  • venenno, venendo.
  • venenose, velenose.
  • ven?re, venire.
  • venga, vengano.
  • vengnata, vendicata.
  • veniare, riposare.
  • venino, veleno.
  • venta, ‘la v.’, la vittoria.
  • ventrata, il ventre pregno.
  • ver ed en ver, verso.
  • vergata, diversit?.
  • vergato, abiti di pi? colori.
  • vergognare, vergognarsi: vergogni, vergogna, vergognan;
    • ‘col vergognare’, con la vergogna.
  • vermigni, vermigli.
  • vernato, inverno.
  • vero, veramente.
  • verr?ne [verrane], verr?.
  • vert?, verit?.
  • vescovata, vescovado.
  • vespertino, all’ora del vespro.
  • vessazion, tormenti.
  • vessica, vescica.
  • vestaro, vestiario, ma nel senso di luogo ove si conservano le vesti.
  • vestigia, braccia.
  • vestute, vestite.
  • vetare, vietare: v?tame [vetame], v?tate [v?tate, vetate];
    • v?to [veto], vietato.
  • vexello, vessillo.
  • vezato, ‘mal v.’, male avvezzo.
  • via, ‘longa v. assai m’? paruto andare’, m’? parso d’aver fatto lungo viaggio.
  • vicena, vicina.
  • vicinanza, compagnia.
  • vicinata, compagnia.
  • vicque, vinse.
  • viduitate, privazione.
  • vigorando, acquistando vigore.
  • vilanza, avvilimento, umilt?;[Pg 308]
    • ‘tenuto m’ha en v.’, mi ha tenuto a vile.
  • vilare e vilar, avvilire e umiliarsi: vilato.
  • vileza, di contro a gentileza.
  • viliata, avvilita.
  • vilisco, ho a vile.
  • vina, vini.
  • virginia, vergine.
  • virgo, ‘Giesse v.’, la vergine di Iesse.
  • visagio, sguardo.
  • visco, vischio.
  • visione, contemplazione.
  • viso, vista, sguardo, aspetto, visione.
  • visso, -a, vissuto.
  • vittore, vincitore.
  • vivacce, presti, pronti.
  • vivaceza, prestezza, prontezza.
  • vivamo, viviamo (congiuntivo).
  • vivanna, vivanda.
  • vivesce, vive.
  • vivitare, ‘en mio v.’, durante tutta la mia vita.
  • vocare, ‘lussuria ? suo v.’, si chiama l.: vocava, vocato, -a.
  • voce ‘gli d?i la v.’, lo approvi.
  • voitare, vuotare: voitata.
  • vol, vogliono.
  • volentire, volentieri.
  • volere: vo’, voglio, v?li [voli], v?le [vole], vuoli, v?l, vuol;
    • volem, vogliamo;
    • vono e vol, vogliono;
    • vogli, tu voglia;
    • volea, volevano;
    • volisse, volessi;
    • v?lse [volse], v?lsi [volsi] e v?ls’, volli;
    • v?lse [volse] e vuolse, volle;
    • v?lsete, ti volle;
    • v?lser [volser], vollero e v?lserme, mi vollero.
  • volontire, volentieri.
  • volta, ‘a questa v.’, per questa v.
  • voluntere, volentieri.
  • von, vanno.
  • vono, vogliono.
  • vorato, divorato.
  • voratura, ‘lupo en v.’, che divora.
  • vuce, voce.
  • vulneranno, ferendo.
  • ’vuto, avuto.
  • zambra, camera.
  • zampagliato, intricato, impedito nelle gambe.
  • zanzavaglia, combatte.
  • zifra, ‘staragioce per z.’, non conter? nulla.
  • zitello, bambino.
  • zito, fanciullo, vergine.
  • zizaglia, zizzania.
  • zona, fascia, cintura.
  • zona, cinge. [Pg 309]

INDICE DEI CAPOVERSI

Ad l’amor ch’? venuto—en carne a noi se dare pag. 146
A fra Ianne da la Verna—ch’en quartana se scioverna ? 142
Alte quattro virtute—son cardinal chiamate ? 165
Amor che ami tanto,—ch’io non so dir lo quanto ? 198
Amor contrafatto—spogliato de vertute ? 66
Amor de caritate,—perch? m’hai s? ferito ? 210
Amor, diletto amore,—perch? m’hai lassato, amore ? 155
Amor diletto,—Cristo beato ? 57
Amor dolce senza pare—sei tu, Cristo, per amare ? 196
Anima che desideri—d’andare ad paradiso ? 74
Assai me sforzo a guadagnare—se ’l sapesse conservare ? 59
Audite una entenzone—ch’era fra doi persone ? 41
Audite una ’ntenzone—ch’? ’nfra l’anima e ’l corpo ? 6
 
Cinque sensi mess’on pegno—ciascun d’esser el pi? breve ? 11
Con gli occhi ch’agio nel capo—la luce del d? mediante ? 106
 
Donna del paradiso,—lo tuo figliolo ? preso ? 230
 
En cinque modi appareme—lo Signor en esta vita ? 105
Ensegnatime Ies? Cristo,—ch? lo voglio trovare ? 88
En sette modi, co a me pare,—distinta ? orazione ? 103
 
Fede, spene e caritade—gli tre ciel v?l figurare ? 160
Figli, nepoti e frati,—rendete el maltolletto ? 34
Fiorito ? Cristo nella carne pura ? 245
Frate Ranaldo, dove se’ andato?—de quolibet s? hai disputato? ? 32
Fuggo la croce che me devora ? 175
 
Guarda che non caggi, amico,—guarda! ? 12[Pg 310]
 
Ies? Cristo se lamenta—de la Chiesa romana ? 119
 
La bontate enfinita—v?l enfinito amore ? 181
La Bontade se lamenta—che l’Affetto non l’ha ’mata ? 172
La fede e la speranza—m’on fatta sbandigione ? 226
L’amor ch’? consumato—nullo prezzo non guarda ? 244
L’amor lo cor s? v?l regnare,—discrezion v?l contrastare ? 179
L’anema ch’? viziosa—a lo ’nferno ? simigliata ? 24
La superbia de l’altura—ha fatte tante figliole ? 26
La Veritade piange,—ch’? morta la Bontade ? 117
L’omo che pu? la sua lengua domare ? 200
L’omo fo creato virtuoso ? 90
Lo pastor per mio peccato—posto m’ha fuor dell’ovile ? 128
 
Molto me so delongato—de la via che i santi on calcato ? 60
 
O alta penitenza,—pena en amor tenuta ? 9
O amor che m’ami,—prendime a li toi ami ? 194
O amor de povertate—regno de tranquillitate ? 134
O Amor, divino amore,—amor che non se’ amato ? 187
O amor, divino amore,—perch? m’hai assediato ? 190
O amore muto,—che non v?i parlare ? 178
O anema fedele—che te v?li salvare ? 65
O anima mia—creata gentile ? 71
O castitate, fiore—che te sostene amore ? 77
O corpo enfracedato,—io so l’anema dolente ? 28
O coscienza mia,—grande me d?i mo reposo ? 114
O Cristo onnipotente,—dove se’ enviato ? 84
O Cristo onnipotente,—ove s?te enviato ? 86
O Cristo pietoso,—perdona el mio peccato ? 38
O derrata, guarda al prezo,—se te vuoli enebriare ? 170
O dolce amore,—c’hai morto l’amore ? 191
O femene, guardate—a le mortal ferute ? 15
O Francesco, da Dio amato,—Cristo en te s’?ne mostrato ? 139
O Francesco povero,—patriarca novello ? 136
O frate, guarda ’l viso—se vuoi ben riguarire ? 13
O frate mio, briga de tornare—nante ch’en morte si’ pigliato ? 17
O iubilo del core,—che fai cantar d’amore ? 177
O libert?, subietta—ad omne creatura ? 68
O megio virtuoso,—retenuta bataglia ? 79
O me lasso, dolente,—ca lo tempo passato ? 36
Omo che vol parlare,—emprima d?i pensare ? 167
Omo, de te me lamento—che me vai pur fugendo ? 54
[Pg 311]Omo, mettete a pensare—onde te vieti el gloriare ? 44
Omo, tu se’ engannato,—ch? questo mondo t’ha cecato ? 33
O novo canto,—c’hai morto el pianto ? 143
O papa Bonifazio,—io porto el tuo prefazio ? 127
O papa Bonifazio,—molt’hai iocato al mondo ? 130
O peccator dolente,—che a Dio vuol retornare ? 239
Or chi aver? cordoglio?—vorr?ane alcun trovare ? 153
O Regina cortese,—io so a voi venuto ? 1
Or se parr? chi aver? fidanza ? 115
Or udite la battaglia—che me fa el falso Nemico ? 109
O Signor, per cortesia,—mandame la malsan?a ? 112
O Vergine pi? che femina—santa Maria beata ? 3
O vita de Ies? Cristo,—specchio de veritate ? 81
O vita penosa, continua battaglia ? 45
 
Peccator, chi t’ha fidato,—che de me non hai temenza? 19
Perch? m’hai tu creata,—o creatore Dio ? 242
Piange la Ecclesia,—piange e dolura ? 121
Piangi, dolente anima predata ? 158
Povertade enamorata,—grand’? la tua signoria ? 133
 
Quando t’alegri, omo de altura ? 51
Que fai, anema predata?—Faccio mal, ch? so dannata ? 30
Que farai, fra Iacovone?—se’ venuto al paragone ? 124
Que farai, morte mia,—che perderai la vita ? 234
Que farai, Pier da Morrone?—?i venuto al paragone ? 123
 
Sapete voi novelle de l’amore ? 183
Senno me pare e cortesia—empazir per lo bel Messia ? 193
Se per diletto tu cercando vai ? 255
S? como la morte face—a lo corpo umanato ? 22
Signore, damme la morte—nante ch’io pi? te offenda ? 21
Solo a Dio ne possa piacere,—non me ne curo ? 62
Sopr’onne lengua amore,—bont? senza figura ? 219
 
Tale qual ?, tal ?;—non c’? religione ? 64
Troppo m’? grande fatica,—Meser, de venirte drieto ? 236
Troppo perde el tempo chi non t’ama ? 248
 
Udite una entenzone—ch’? fra Onore e Vergogna ? 233
Un arbore ? da Dio plantato—lo qual amor ? nominato ? 207
 
Vorr?a trovare chi ama;—molti trovo che s? ama ? 169

NOTA DEL TRASCRITTORE

L’ortografia e la punteggiatura originali sono state mantenute.
Sono stati inoltre corretti i seguenti refusi:

  • Pag. 89: —Del mondo ch’agio ’l vestire,—vegente voi, me ne spoglio.
  • Pag. 105: Como Dio appare ne l’anina en cinque modi
  • Pag. 135: Pareme cielo stellato—chi da questi tre ? spogliato.
  • Pag. 143: Cristo adorato!—
  • Pag. 232: et in la seconda si vede certi defecti (Nota del Benaccorsi)
  • Pag. 262: et migliori che si trovino in quella citt?: et doi altri vilumi pur antichi





























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Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm




concept of a library of electronic works that could be freely shared




with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project




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