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Il Libro Nero /head>

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Il Libro Nero

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at http://www.gutenberg.org/license.

Title: Il Libro Nero

Author: Anton Giulio Barrili

Release Date: November 21, 2011 [EBook #38082]

Language: Italian

Character set encoding: UTF-8

*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LIBRO NERO ***

Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara Magni, and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net.

This file was produced from images generously made available by The Internet Archive.

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LIBRO NERO
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LEGGENDA
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ANTON GIULIO BARRILI
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RIVEDUTA DALL'AUTORE.
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MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
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1882

PROPRIET?? LETTERARIA
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Tip. Treves

INDICE

IL LIBRO NERO

CAPITOLO I.

Nel quale si racconta di mastro Benedicite, strozziere, e della gran paura che avea.

Il sole era tramontato in mezzo a certi nuvoloni neri neri che ingombravano l'orizzonte marino, minacciando, dopo una molto bellissima giornata, una notte burrascosa. Gli ultimi riflessi dell'astro, costretti sotto quella cappa di piombo, accendevano come una striscia di fuoco lunghesso il mare, che si vedeva nereggiare in lontananza, di l?? da parecchi ordini di monti e colline, che sono i contrafforti dell'Apennino ligustico.

Le giornate, essendo sul finire d'autunno, riuscivano brevi; l'aria, gi?? fresca per la stagione, si raffreddava sempre pi?? per l'accostarsi del temporale e per il calar della notte. E gi?? nascosto nell'ombra, sebbene fosse murato su in alto, era il castello di Roccam??la, severo edifizio tra il monastico e il feudale, siccome era dimostrato da un campanile, vecchio avanzo di chiesa, dimenticato in mezzo a torrioni e mura merlate, le quali avevano da due lati l'abisso, e un largo fosso dagli altri due, dov'era pi?? dolce il pend??o.

Se la memoria non mi tradisce, questo castello di Roccam??la era stato da principio un convento di frati cirsterciensi, ordine il quale, fondato appena da S. Bernardo, si propag?? alla lesta come una nidiata di conigli, e corse in pochi anni a popolare i paesi vicini. In Italia, segnatamente, e' furono come le cavallette d'Egitto. Dappertutto edificarono monasteri, e in parecchi luoghi (poich?? allora, a quanto sembra, la novit?? delle fogge presiedeva eziandio alla prevalenza di questo o di quel sodalizio di frati) si allogarono in que' conventi che altri ordini pi?? non potevano far prosperare, tanto erano andati gi?? nel concetto delle anime timorate.

Senonch??, i cisterciensi, o bernardoni, come erano chiamati dalle popolazioni ligustiche dal nome del fondatore, fortunatissimi altrove, nol furono del pari nel loro ricovero di Roccam??la. Nocque loro la fortezza naturale del sito e il comandar che faceva a due ottime strade (ottime, s'intende, per i tempi d'allora); laonde, corsi e ricorsi quei monti da gente strana, Roccam??la fu presa e divenne feudo di un valoroso conte, il quale non aveva altro che la sua spada, ma sapeva con quella tagliarsi dalla pezza la sua parte di tela. E intorno a Roccam??la il conte Ugo si tagli?? di siffatta guisa un largo dominio, donde appariva, come tanti suoi pari, avvoltoio appollaiato sulla rupe, pronto a calare, se le discordie altrui gliene porgessero il destro, sulla marinaresca riviera. I frati, messi fuori di sella, dovettero quindi andarsene a dimorare pi?? gi??, verso il paesello che dipendeva dalla rocca, ma dove furono sempre a disagio, e intisichirono, come una pianta in luogo uggioso, sebbene il conte Ugo non li molestasse per nulla. Il fiero castellano non badava ad altro che a rafforzare e munire la sua rocca; la quale, pochi anni di poi, per una di quelle contese cos?? facili a nascere tra vicini, sostenne valorosamente l'assedio di uno dei signori Del Carretto, e lo rimand?? con Dio, conciato, lui e la sua gente, per il d?? delle feste.

Ma egli non ?? di questo conte Ugo, capo stipite dei signori di Roccam??la, che io debbo narrar le gesta ai lettori, sebbene talfiata e' dovr?? essere ricordato con distesi ragionari. Narro di forse cento trent'anni dopo di lui, quando quel forte legnaggio faceva bella testimonianza di s?? in un altro conte Ugo prode e gentil cavaliere, amante delle giostre, delle cacce, delle tenzoni, dei trovadori e de' geniali convegni, per le quali cose era quasi sempre calato il ponte di Roccam??la e risuonavano le spaziosi arcate di festevoli risa e di liete canzoni.

Gaia gente, allegre mura! Il giovine conte era ricco, potente e bello come un eroe da romanzo, e felice per sovrammercato, come gli eroi da romanzo non sogliono essere.

Il papa lo aveva benedetto, sul nascere, mandando al conte Ruberto suo padre, per s?? fausto evento domestico, un sacco d'indulgenze, che potevano bastare al neonato per tutto il tempo della sua vita, e avanzarne ancora un bel gruzzolo per uso della sua gente di casa.

Nella sua rocca convenivano d'ogni parte i pi?? fedeli amici che uomo vedesse mai, innamorati dei modi suoi cortesi, liberali e magnifici; ed erano tali per nobilt?? di sangue, e per alto valore e prodezze, da poter rinfrescare intorno a lui, nuovo Art??, l'onorata memoria dei cavalieri della Tavola rotonda.

Egli aveva i pi?? bei falconi d'Europa, che gli erano stati donati da un suo zio materno, gran maestro de' cavalieri di Malta. Della qual cosa era giunta voce perfino al re di Francia, il quale, avvezzo per lo innanzi a ricevere ogni anno da Malta i migliori falconi pellegrini, e non gli parendo pi?? che il gran maestro dell'ordine facesse il debito suo con la usata larghezza, ebbe a tenerne parola co' suoi gentiluomini. E uno di costoro gli rispose: ??? Sire, j'ai oui dire que le Grand Maistre a un sien neveu, de fort bonne noblesse, qu' il a en grande affection, et c'est lui qui re??oit les plus beaux faucons et les plus gentils que l'on puisse voir. ??? A cui il re di rimando:????? M'est avis que ce jeune homme, puisque il est d'aussi bonne noblesse que vous le dites, vienne chez nous, et nous le ferons notre grand fauconnier, et l'aurons en haute estime, tel ??stant notre bon plaisir. Aussi nous ne perarone pas de si nobles et gentilles b??tes, si ch??res ?? monseigneur Saint-Hubert, et gagnerons un vaillant chevalier pour notre joyeuse maison de France.?????

Ma il conte Ugo non pot??, siccome pur era desiderio dello zio, tenere lo invito, in modo tanto cortese a lui fatto dai reali di Francia. Di fama, di potenza e di onore, egli aveva quanto bastasse ad orrevole cavaliero del suo tempo; e poi, conte Ugo non avrebbe lasciata l'Italia per il trono del mondo se mai Domineddio glielo avesse profferto; imperocch?? egli era amato dalla pi?? bella tra le creature umane, da Giovanna di Torrespina, da colei che celebravano per leggiadria e valore quanti erano cultori della gaia scienza, e che lasci?? ella stessa, a testimonianza del suo ingegno, le pi?? graziose ballate in quella lingua provenzale, che era in fiore per tutta Italia, innanzi che l'amante della bellissima Avignonese facesse della lingua italiana l'idioma d'amore.

Per simiglianti venture il conte Ugo non saliva punto in superbia, che borioso non era, n?? sciocco. Prode in armi, aveva combattuto daccanto al padre, e non ne menava alcun vanto; era misurato ne' modi, schietto, umano e gentile. Ed ognuno, ricordando come una indovina, chiamata dalla buona contessa Alda sua madre alla culla del bambino, avesse pronosticato: ??tuo figlio sar?? un uomo felice??, ripeteva che il conte Ugo era felice davvero, e, quel che pi?? monta, era degno di esserlo.

Ma cotesto per l'appunto faceva venire i brividi, ogni qual volta se ne parlasse, a mastro Benedicite, lo strozziere, o falconiere che dir si voglia, dei signori di Roccam??la.

E perch?? mo'? Nato e cresciuto nel castello, il vecchio mastro Benedicite amava il signor suo, sto per dire pi?? dei suoi falconi, i quali falconi egli amava pi?? dei suoi occhi medesimi. Egli era un quid tra il servo e il maggiordomo, tra il castaldo e il comandante del presidio; era insomma il ser faccenda di casa; il vecchio arnese della rocca, che aveva libert?? di parola come un pazzo. Stato particolare che si spiegher?? agevolmente col dire che egli era fratello di latte del vecchio conte Ruberto; che aveva salvata la vita, o quasi, alla contessa Alda, un giorno che il suo ronzino le aveva vinta la mano, e che, nato strozziere, perch?? tale era suo padre, e tale suo avolo, aveva pure studiato un po' di latino sui vecchi messali dei frati del paese, tanto da essere creduto uomo di dottrina da tutto il vicinato, e degno di intuonare il benedicite alla mensa dei suoi padroni, alla quale era ammesso, sebbene ad un desco pi?? basso. Ora che i lettori sanno anche per qual ragione il nostro valentuomo si chiamasse mastro Benedicite, noi finiremo il bozzetto col dire che egli sapeva il mestier suo a menadito, e (poich?? bisogna confessar tutto, il male come il bene) ne andava superbo assai pi?? che non fosse consentito dalla cristiana umilt??.

E adesso che lo si conosce intus et in cute, co' suoi vizi e con le sue virt??, e non si pu?? dubitare che non amasse il conte Ugo, come va, chiederete, che a mastro Benedicite venissero i brividi, ogni qual volta si toccasse della felicit?? del padrone?

Qui giace nocco, lettori amorevoli, e se vorrete tirare innanzi a leggere con quella pazienza medesima che io a scrivere, far?? di chiarirvi il negozio tra breve, senza guastar l'ordine del racconto, il quale ora mi costringe a prendere una viottola di fianco. Parr?? una digressione, un perditempo, e non ?? che una scorciatoia, per la quale faremo un viaggio e due servizi.

Il dotto strozziere se ne stava nella sua falconeria, comodo edifizio accanto alla seconda porta della rocca, dove erano tutte le generazioni di falchi e d'astori, ed ogni altro arnese attinente alla caccia. Quella nobile famiglia di bestie aveva faticato di molto nella giornata, poich?? il conte di Roccam??la era andato con numerosa brigata a falconare, ed aveva cavalcato per una ventina di miglia, fino al castello di Torrespina, facendo gran caccia di uccellame e selvaggina. Il buon nome degli alati cacciatori di Malta era stato nobilmente sostenuto al cospetto di leggiadre dame e cavalieri, e mastro Benedicite raddoppiava il cibo a' suoi figliuoli, com'egli soleva chiamarli, dando loro le interiora, cuori e fegatelli di starne, lepri, ed altri volatili e quadrupedi, che erano stati feriti a morte dai rostri di quelle bestie valorose.

??? Optime, fili mi! Tu non hai nessuno che possa starti a paro. Nullus tibi se conferet heros, sebbene tu abbia gi?? i sessanta suonati. T??, mio dolce amico, questo ?? per te.?????

Queste parole, erano rivolte ad un bel falco randione, che mastro Benedicite s'era recato amorosamente sul pugno, offrendo alle sue allegre beccate uno spicchio di carne sanguinolenta. Era quello il beniamino dello strozziere, e degnamente rispondeva alla preferenza affettuosa di mastro Benedicite, facendo il fatto suo per modo da non toccargli neppure il sommo delle dita, e interrompendo ad ogni tratto il suo pasto (notate gran tenerezza) con un picciol grido di gioia e di gratitudine.

??? E tu, che fai cost??, manigoldo? ??? borbott?? poco stante mastro Benedicite, facendo la voce tanto ruvida, quanto era stata dolce dapprima. ??? Metto pegno che ancora non sar?? nulla a suo posto, n?? lunghe, n?? cappelli.

??? C'?? tutto, zio, ed ho anche ripulito per bene il pavimento; ??? rispose, senza scomporsi punto per quella infinita ruvidezza, un biondo adolescente, che era venuto allora a stringersi ai fianchi del vecchio falconiere.

??? E la lezione?

??? La so.

??? Tanto meglio per te, se tu di' il vero, fannullone. Orvia, sentiamo un tratto.... Quante sono le generazioni de' falchi??????

Il fanciullo stette un po' sopra pensiero; quindi rispose a mezza voce:

??? Sono sei....

??? Ah, ah! ??? grid?? mastro Benedicite, in quella che proseguiva a dare il pasto alle sue bestie ??? certuni lo dicono, ma cotestoro, ragazzo mio, non sanno neanco l'abbic?? della falconeria.

??? Sono sette; ??? si prov?? a dire il fanciullo.

??? Sette, s?? certamente, sette e non sei. La prima?

??? Il randione.

??? Adagio, adagio a' ma' passi e non mettiamo il carro davanti a' buoi. Si va dal minore al maggiore, de minore ad majorem. Il primo legnaggio sono lanieri, che sono i pi?? vani: molta apparenza e poca sostanza. E il secondo?

??? Il secondo, son quelli chiamati pellegrini.

??? Sta bene, e perch???

??? Perch?? persona non pu?? trovare il loro nido; anzi sono presi come in pellegrinaggio, e sono molto leggeri a nutrire, cortesi e di buon'aria, e valenti e arditi.

??? Bene, bene! ??? borbott?? il falconiere ??? e il terzo?

??? Il terzo sono falconi montanini, che si nascondono dappertutto, e quando son nascosti non fuggono pi??; il quarto falconi gentili; il quinto....

??? Non correr gi?? a precipizio! Festina lente, ragazzo mio! Che cosa sono anzitutto i falconi gentili?

Il fanciullo era rimasto a secco. La voglia di far presto gli aveva fatto perdere il filo.

??? Ma.... ??? disse egli ??? i falconi gentili sono.... sono....

??? Sono quel che tu non sai, per quanto io vedo. E quello che tu non sai, gli ?? che i falconi gentili sono nobilissimi, prendono la gru, e non hanno che un male, cio?? di volar troppo lungo, per modo che si bisogna averne buon cavallo per seguirli, e quass?? per i nostri greppi non approderebbero. Ora al quinto, e bada a non incespicare.

??? Il quinto ??? prosegu?? il nipote ??? son gerfalchi, li quali passano tutti gli uccelli della loro grandezza, e sono forti, fieri, ingegnosi e bene avventurati in cacciare e in prendere; il sesto ?? il sagro, molto grande e somigliante allo sparviero.

??? All'aquila! all'aquila! ??? interruppe mastro Benedicite. ??? Vedi mo', Anselmuccio, questo ?? appunto un sagro; o dove ti sembra egli che rassomigli allo sparviero? Quello che tu di' ?? l'astore, non gi?? il falco sagro.

??? All'aquila; ??? soggiunse il ragazzo, risovvenendosi, ??? ma, degli occhi, del becco, delle ali e dell'orgoglio somigliante al gerfalco. Il settimo....

Mastro Benedicite non aveva messo a tortura il nipote, che per farlo giungere a quel settimo.

??? Eccolo, il settimo, ??? interruppe egli con aria di trionfo ??? eccolo, il randione, cio??, il signore e re di tutti gli uccelli, che non ?? niuno che osi volare appresso di lui, n?? dinanzi. Vedi, figliuol mio, tu lasci il randione contro qualsivoglia uccello munito di poderose ali, e non c'?? verso di fuggirgli; cadono tutti tramortiti in tal guisa, che l'uomo li pu?? prendere, come fossero morti.?????

E ci?? detto, essendo finito con la lezione il pasto delle sue bestie nobilissime, mastro Benedicite si volse da capo al beniamino randione:

??? Non ?? egli vero, fili mi dilectissime, che voi siete uccello da cosiffatte prodezze? Or via, pigliate il cappello e buona notte. Salve tandem!

Il falcone, con la mansuetudine di tutti i suoi pari, quando siano manieri, e stati da gran pezza a scuola sotto un buon maestro d'arte aucuparia, rafferm?? con moti quasi soavi le palpebre, si lasci?? incappellare come un membro della confraternita della Morte, e coi geti annodati ai piedi si pose chetamente sul bastone a dormire.

Ora, in quella che mastro Benedicite si metteva attorno agli altri falconi per far loro il medesimo uffizio, si affacci?? sull'uscio della falconeria un famiglio.

??? Oh??, mastro Benedicite, s'ha egli da alzare il ponte, questa sera?

??? Che ponte mi vai tu pontando ora? ??? grid?? stizzito il falconiere.

??? S??, il ponte, il ponte! ??? disse di rimando quell'altro. ??? Messer lo Conte e tutta la sua gente sono per andare a mensa, e credo non aspettino pi?? altri da fuori.

??? Questo sapevo; e poi?

??? E poi, mastro Benedicite, io non c'entro. Se a voi piace che il ponte rimanga calato, accomodatevi pure. Voi avete da messer lo Conte ogni autorit??, per far questo ed altro....

??? S?? certo, e me ne vanto; ??? rispose lo strozziere, che parlava allora da comandante della guardia ??? e penso di non essere venuto meno alla fiducia di messere Ugo. Il ponte ?? alzato.

??? ?? calato, ??? s'impuntava a dir l'altro ??? qui siete in errore; ?? calato.

??? Amico, ??? esclam?? mastro Benedicite, dopo aver bene squadrato in viso il famiglio, alla luce di una lanterna che aveva accesa durante quel po' di conversazione, ??? bibisti quam maxime, a quel che pare.

??? Che cosa dite? io non intendo il vostro latino.

??? Dico che tu t'impacci de' fatti tuoi, e non mi venga a far l'omo; dico infine che tu se' pazzo, o ubbriaco.?????

Quell'altro si strinse nelle spalle, facendo con le labbra l'atto di chi alla perfine non ci ha n?? sal n?? pepe da metter su. E mentre il vecchio, presa la lanterna, esciva dalla falconeria per avviarsi alla porta della rocca, si fece in tal guisa a proseguire il discorso:

??? Io non volevo far altro che darvi un cenno della cosa. Per me, poi, stia calato, o si alzi, non me ne importa un frullo. Ad altri, in cambio, pu?? talentare che l'escita sia libera, e non c'?? nissun male. Gi??, chi ha da venire a darci molestia quass??? Nemici molti, si farebbero scorgere troppo tempo prima. Pochi, avrebbero degna accoglienza. E se pure non si ha paura del diavolo.... il quale del resto non ha bisogno....

??? Sta zitto l??, manigoldo! ??? grid?? Benedicite, e fu ad un pelo di mettergli la palma della mano sui denti. ??? Tu non sai quel che ti dica, e meno ancora di quello che hai detto poc'anzi del ponte calato.

??? Orbene, vedete di per voi; ?? alzato o calato? Erano allora per l'appunto alla porta, e i buffi dell'aria esterna s'ingolfavano rumorosamente sotto l'androne. Mastro Benedicite non rispose, che non avea tempo da schermire di lingua col famiglio, e con passo deliberato corse da un lato dell'androne a cercare un uscio socchiuso, donde usciva un po' di luce fumosa e un suon di voci avvinazzate.

??? Che fate voi qui, pendagli da forca? Giuocate a zara? Avrete tempo a giuocare, quando sarete con Satanasso, che il malanno vi ci porti illico et immediate! Chi ha calato il ponte, che ?? stato levato pur mo' sotto i miei occhi?

??? Mastro Benedicite, ??? rispose uno degli arcieri, alzandosi dalla panca, ??? noi non ci siam mossi di qui. Se il ponte era alzato, come voi dite, penso che lo sar?? tuttavia.

??? No, vi dico; ?? calato.

??? Sar?? qualche paggio, ??? entr?? a dire un altro della brigata, in quella che tutti uscivano dalla camera per tener dietro allo strozziere, ??? sar?? qualche paggio randagio, che ne fa qualcuna delle sue.

??? Baie! Questi manigoldi si calano gi?? nel fosso dalle finestre, quando loro metta conto di uscire a far le scorribande nel vicinato. E cos?? si fiaccasse una volta il collo, messer Fiordaliso, che ha introdotto il costume di appendersi alle scale di corda! Ma qui, vivaddio, gatta ci cova, o voi altri avete calato il ponte, ed ora che siete alticci dal vino, non ve ne ricordate pi?? altro.?????

Gli arcieri, che ben sapevano di non averci messo mano, ma che pure volevano farla finita con le sfuriate di quell'autorevole personaggio, non risposero verbo. Chi tace acconsente; e per tal guisa fu tacitamente ammesso che il ponte di Roccam??la, la sera del 29 novembre, giorno di san Saturnino, dell'anno del Signore 1284, era stato levato e calato.

Ma quel ch'era stato disfatto bisognava rifare. E gi?? si appigliavano alle manovelle per trarre le catene, allorquando si ud?? dall'altro lato del fosso lo scalpito di un cavallo che risaliva galoppando il pend??o, e, subito dopo, lo squillo di un corno che domandava ospitalit?? al conte Ugo di Roccam??la.

??? Chi diamine giunge a quest'ora? ??? esclam?? uno degli arcieri.

??? Proprio a tempo, ??? soggiunse un altro, ??? per farci risparmiar la fatica!

??? E come ha fretta, il sere! E' suona alla disperata.

??? Su, su, tirate, alla croce di Dio, e non mi state a far chiacchiere! ??? interruppe lo strozziere.

??? O perch?? volete voi che si alzi il ponte, ora, per calarlo da capo? E l'ospite che giunge, per dove volete che passi?

??? Che ospite del malanno! Vada a farsi impiccare per la gola....

??? Ma.... e messer lo Conte, se giunge a risaperlo....

??? Messer lo Conte.... messer lo Conte.... vi comando io, e pagher?? io per tutti.?????

E dicendo queste parole, il vecchio strozziere tremava a verghe.

??? Poffarbacco! ??? esclam?? uno degli arcieri ??? si direbbe che avete paura di una visita di messer Satanasso in persona. Basta, sia come vi talenta, o, per parlar latino alla vostra guisa, fiat volontas tua, mastro Benedicite. Ors??, figliuoli, alle manovelle!

??? S??, s??, alle manovelle! ??? ripet?? lo strozziere, pi?? morto che vivo, senza stare a piatire coll'arciere, e mettendosi all'opera egli stesso con le braccia tremanti.

??? Oh??! oh??! messeri! In tal guisa si ricevono gli ospiti, dalla gente costumata?

Queste parole, accompagnate da un riso sarcastico, venivano dall'altra banda del fosso. Mastro Benedicite non poteva scorgere chi fosse, essendo egli sotto la luce della lanterna, e il nuovo capitato fermo di l?? dal ponte nella oscurit?? della notte; ma tant'??, gli parve di scorgere un paio d'occhiacci fiammeggianti, e per moto naturale si rec?? le dita alla fronte, per farsi il segno della croce.

??? Domine salvum fac.... Vade retro Satana.... ??? borbott?? egli tra i denti. ??? Alzate, alzate, in nome di Dio!

Intanto il riso sarcastico si faceva udire da capo, e la voce con esso.

??? Ah! ah! grazie, grazie, per mia fe', mastro Benedicite! Un povero rom??o ?? egli dunque un cane tignoso, che gli si chiudano le porte sul muso? In verit?? ch'io mi facevo pi?? ospitali i signori di Roccam??la.?????

Tocco nel vivo, lo strozziere si fe' qualche passo innanzi, ma senza por piede sul tavolato del ponte, e tirando intorno a s?? tutti gli arcieri, perch?? gli facessero buona difesa; quindi, con voce che si provava a far parere sicura, rispose:

??? I signori di Roccam??la furono sempre e saranno i pi?? ospitali cavalieri della cristianit??, messer pellegrino, e cotesto abbiatevelo per fermo. Appunto in quest'ora c'?? corte bandita a tutti i pi?? riputati che portino spada e cappa in questi dintorni, e scorre il vin di Cipro, che alla mensa del serenissimo doge di Venezia non se ne bee del migliore. Ma gli ospiti del magnifico conte Ugo son persone a modo, e non hanno la vostra meschina figura, messer pellegrino, sebbene io la scorgo attraverso questa mezza oscurit??.

??? Ah, voi giudicate l'uomo dalla apparenza? Io dovrei pigliarvi allora per un otre, se bene vi scorgo a mia volta. Andate l??, mastro Benedicite... e non vi faccia meraviglia ch'io vi chiami col vostro nome, poich?? l'hanno pur mo' gridato gli uomini vostri. Andate l??, ed annunziate al magnifico conte Ugo la venuta di un povero pellegrino di Roma.

??? Di Roma! ??? ripet?? con piglio d'incredulit?? lo strozziere, in quella che dentro di s?? si raccomandava a tutti i santi del calendario.

??? Ne dubitate? Ci ho gusto. L'uomo che dubita ?? l'uomo che pensa. Ma io ci ho di buone testimonianze a mettervi fuori, che potranno acquetare la vostra timorata coscienza. Vengo da Roma, dove ho visto il Papa e la Santa Madre Chiesa, che fanno insieme una buonissima vita. Peccato che non abbiano figliuoli! Basta, io porto qui, sulla sella del mio magro ronzino, una gerla di coroncine benedette e d'indulgenze plenarie, e poi le pi?? succose dispense che ogni buon cristiano possa desiderare; dispense di sgravarsi senza dolore, checch?? sia stato decretato in contrario; dispense di mangiare il proprio simile, quando si abbiano buoni denti, e di bere senza ubriacarsi, mettendo acqua nel vino. Che ve ne pare, mastro Benedicite? son io degno di entrare?

??? Su, su, arcieri! ??? url?? il vecchio strozziere. ??? Alle catene, alle catene!

Ma s??, a persuaderli che gli tenessero bordone! Gli arcieri erano rimasti stregati dalle bizzarrie del pellegrino, e sghignazzavano ereticamente, senza badare alle furie di mastro Benedicite. Ed egli a gridare, a tempestare, a pigliarli pel collo (che la paura gli raddoppiava le forze), fino a tanto non li ebbe ridotti all'obbedienza. Ma, sebbene ci si mettessero tutti, ed egli medesimo si provasse ad aiutarli, le catene non iscorrevano punto.

??? Voi non fate il debito vostro, manigoldi; tirate a voi con quanta forza avete!

??? Mastro Benedicite le catene hanno la ruggine. Intanto quell'altro continuava a ridere.

??? Mastro Benedicite, la ruggine ?? molto pi?? cortese dama che voi non siate cavaliero. Ora, voi vedete, gi?? venti volte, non una, avrei potuto passare, e nol fo, per non usare villania al vostro signore. Ma se egli non ?? malnato castellano, udr?? i tre squilli di corno che si mandano alle porte della sua rocca.?????

Cos?? parl?? il pellegrino di Roma, e, posto mano al corno che gli pendeva da fianco, suon?? con esso tre volte.

??? Misericordia! ??? esclamarono gli arcieri. ??? Questa ?? la tromba del giudizio universale.

CAPITOLO II.

Dove si legge della felicit?? di conte Folco, come fosse celebrata dal biondo Fiordaliso.

Al primo squillo di corno, quel tale squillo che avea fatti rimanere sospesi con le braccia in aria gli arcieri, conte Ugo stette egli pure sospeso, con la coppa d'oro alle labbra.

??? Un ospite! ??? esclam?? egli, voltandosi alla brigata. ??? Sia il ben venuto a Roccam??la.

E bevuto un sorso, mand?? attorno la tazza, quella tazza d'oro lavorato con la quale i suoi antenati, da Ugo il negromante, fino a Ruberto il taciturno, avevano avuto costume di far le loro libazioni ospitali.

??? Messere, ??? disse Fiordaliso, ??? io mi penso che questo sconosciuto visitatore rimarr?? un pezzo alla porta e morr?? anche a ghiado, se aspetta che gli apra mastro Benedicite.?????

Colui che parlava in tal guisa era un giovine sui vent'anni, vestito di un farsetto azzurrognolo listato di bianco e di vermiglio, e con una zazzera bionda le cui ciocche scompigliate scendevano a nascondergli mezza la fronte e le guancie. Il viso roseo e la delicatezza dei contorni lo avrebbero fatto togliere agevolmente per una leggiadra donna travestita da paggio, se certi peli vani che ombreggiavano il labbro superiore e il basso delle guance, non avessero fatto manifesto che egli avea dritto a portare il nome mascolino di Fiordaliso, col quale era chiamato a Roccam??la, e conosciuto da tutte le graziose femmine della cont??a, nel giro di venticinque miglia, ed anche pi?? oltre.

Il conte Ugo sorrise con aria affettuosa alle parole dell'adolescente.

??? Che vuoi dir tu, Fiordaliso?

??? Dico, messere, che con mastro Benedicite non si pu?? uscir mai, quando s'?? dentro, n?? entrare, quando s'?? fuori. Egli ?? sospettoso come una lepre, e mal per noi se gli somiglia san Pietro, o se va egli un giorno a far da portinaio in sua vece.

??? Per ora, ??? soggiunse il Conte, ??? e' bisogner?? che se la tolga in pace e metta mano alle chiavi. Roccam??la non ?? un paradiso; ma essa non ?? mai stata chiusa a nessun viandante che domandasse ospizio per amor di Dio, o del valoroso barone san Giorgio che l'ha in guardia. I miei antichi furono gente melanconica e contegnosa, ma a questo debito non hanno fallito mai, e non lo dimentica di certo il mio vecchio strozziere, che ?? il cronista della famiglia.

??? Ah! gli ?? dunque un uomo di dottrina, il vostro Benedicite? ??? chiese Ansaldo di Leuca.

??? Altro ci ??! Non parlo dei suoi testi latini, che n'ha sempre una serqua tra i denti, parati ad uscirne fuori. Ma e' vi sa dire quando e come fu murato il castello, e poi gi?? gi?? una infilzata di storielle, che a udirne la met?? v'intronerebbero il capo per un giorno e non vi lascerebbero pi?? dormire la notte. Ma lo so ben io, che da bambino gli ero sempre sulle ginocchia e pendevo dalle sue labbra; lo stuzzicavo sempre a narrarne di nuove, e poi non c'era pi?? verso che potessi pigliar sonno, tante erano le immagini del tempo antico, che scendevano a popolare la solitudine della mia camera. Ma questo ospite non giunge....

??? Io ve l'ho detto, messere; mastro Benedicite vorr?? sapere anzitutto il nome, la patria e la condizione, se scapolo o ammogliato, e Dio sa quant'altre cose di quella fatta.

??? Se egli fa ci??, vuol levarmi il mio buon nome, e noi dovremo dargli una strapazzata, appena ei venga quass??. Messeri, questo vin di Cipro.... Ma che diamine fa egli, quel vecchio scimunito? Ho io ad esser chiamato per cagion sua il pi?? tristo cavaliero d'Italia?

Questa sfuriata del conte Ugo era cagionata, siccome i lettori hanno indovinato per fermo, dai tre squilli di corno che metteva il forastiere, stanco di attendere e di piatire con mastro Benedicite.

??? Al nome di Dio! ??? esclam?? Ansaldo di Leuca. ??? Questi ?? uomo di vaglia.

??? E quel vecchio pazzo non se ne d?? per inteso! Suvvia, Fiordaliso, scendi tu alla porta, e vedi che cos'?? egli mai che ha intorpidite le gambe al nostro falconiere.?????

Fiordaliso corse con quella baldanza che ?? propria de' giovani e che a lui era accresciuta dieci cotanti dalla amorevolezza del suo signore. Ma egli era appena sulle scale, che vide giungere ansante, trafelato, mastro Benedicite; laonde, aspettatolo sul pianerottolo, rientr?? con esso lui nella sala, con una curiosit?? in corpo da lasciarsi indietro una dozzina di femmine. Intendiamoci bene, di femmine e non di donne, poich?? tra queste e quelle, sebbene non ammessa dal vocabolario, corre una differenza grandissima.

??? Orbene, mastro Benedicite, ??? grid?? conte Ugo, appena ebbe scorto da lunge lo strozziere, ??? e come va che i forastieri chiedono ospitalit?? e non l'ottengono, a Roccam??la??????

Senonch??, fatto questo rimprovero in forma di domanda, egli vide la faccia dello strozziere, e, buono com'era, tosto raddolc?? la sua voce per dirgli:

??? Ma che ??, Benedicite? Che cosa sono quegli occhi stralunati, e quel viso smorto?

??? Egli ??, messer lo Conte.... ??? balbett?? il vecchio ??? egli ??.... ho calato il ponte.... cio??, l'avevo alzato e poi lo rinvenni calato.... Un pellegrino, che afferma giunger da Roma.... e mi pare che venga piuttosto da casa il diavolo....

??? Potrebb'esser tutt'uno! ??? esclam?? Ansaldo di Leuca.

??? Sar?? come voi dite, messere Ansaldo; ma io penso che questo forastiero del malanno... insomma, io so quel che mi dico....

??? S??, s??! ??? interruppe ridendo il conte Ugo, dopo aver fatto cenno degli occhi a Fiordaliso, il quale fu sollecito ad uscire da capo. ??? Ma voi avete a sapere eziandio, mastro Benedicite, che il nostro castello, anco a voler partecipare alle vostre superstizioni, non ha paura del diavolo. Qui c'?? stato parecchi giorni il santissimo Bernardo di Chiaravalle, quando Roccam??la era convento del suo ordine, e la benedizione di un tanto uomo non basta ella a raffidarvi?

??? Essa, con vostra licenza, messer lo Conte, non ha impedito....

??? Ah, ah! vecchie storielle da raccontarsi quest'inverno accanto al fuoco. Ma dove lasciate voi, uomo di salda memoria, le benedizioni di due papi? Dove la visita del vescovo Gualberto? Macte animo, generose senex! vi dir?? io, imitandovi; noi siamo armati di bolle, d'indulgenze e d'acqua santa, per ricevere anco una visita dello spirito maligno. Portae inferi... come dite voi, che io non lo ricordo pi??, il vostro latino?

??? Non praevalebunt, messer lo Conte; e cos?? Dio v'ascolti! ??? soggiunse mastro Benedicite, che, vedendosi l??, al cospetto del suo signore e di tanti allegri cavalieri, incominciava a stupirsi d'avere avuto paura.

??? Ben venga il diavolo, se pure ?? egli che giunge! ??? disse Ansaldo di Leuca.

??? Egli ?? alla perfine un cavaliero di alto legnaggio, sebbene caduto in disgrazia del pi?? possente barone del mondo, ??? soggiunse Enrico Corradengo, ??? e noi ci terremo ad onore di averlo commensale.

??? Ecco un forastiero che fa parlar molto di s??, ??? conchiuse il conte Ugo, ??? e noi vedremo se la persona sua risponder?? alla nostra aspettazione. Ad ogni modo, sia il benvenuto tra noi. Mastro Benedicite, aprite, vi prego, al vostro spauracchio.?????

Il falconiere and?? verso l'uscio della sala e la spalanc??. Frattanto si udiva lo scalpicc??o dei piedi nel corridoio, e la gaia voce di Fiordaliso.

??? Entrate, messere pellegrino; venite a scaldarvi e a rifocillarvi un tratto in buona compagnia.?????

Allora fu veduto entrar nella sala un uomo smilzo e lungo come.... dove pescher?? io il paragone? come le speranze dell'autore di questo racconto.

Egli si fece innanzi, rasentando una ricca mensa, intorno alla quale erano seduti dieci o dodici convitati. La sua cappa di bigello, tutta sgualcita e rattoppata in pi?? luoghi, il sarrocchino coperto di nicchi marini e il largo cappello che s'era lasciato ricadere dietro le spalle, facevano contrasto co' farsetti e giustacuori di velluto variopinto, con le berrette piumate, e le collane d'oro alle quali accresceva splendore la luce riflessa dei doppieri. Ma pi?? assai che le vesti, contrastava la sua pallida faccia coi volti allegri degli ospiti di Roccam??la.

Chi era costui? Un rom??o, cio?? un pellegrino che veniva da Roma. Pellegrini si dicevano coloro i quali andavano a sciogliere il voto ai luoghi santi, e segnatamente al sepolcro di Cristo; rom??i pi?? propriamente coloro i quali andavano alla eterna citt??, per baciare il piede al Giove di bronzo, ribattezzato San Pietro, e per ottenere la benedizione del papa. Ma quello del rom??o non era un mestiero, sibbene uno stato accidentale e transitorio dell'uomo; ora, che altro fosse, e a qual ceto appartenesse il nuovo venuto, non era dato d'intendere. Poteva essere un povero diavolo, che, stanco di servire gli uomini, si fosse accomodato ai servigi di Dio, od anco un barone, carico di peccati, che fosse andato a pentirsene a Roma, col cilicio alle reni e col bordone tra mani.

La cera del pellegrino non lasciava intendere se egli fosse di questa o di quell'altra specie; ma certo non era d'uomo da poco. Il viso, un tal po' allungato e scarno, mostrava que' fini contorni che non sono oggi, e per fermo non erano allora, di gente rozza e villana. Assai meno poteva indovinarsi l'et??, imperocch?? quel suo viso era tale da rispondere ad ogni congettura, e si poteva dargli trenta come sessant'anni; privilegio dei vecchi e dei giovani invecchiati, allorquando gli uni e gli altri abbiano membra asciutte, e carni e peli senza un colore spiccato.

Per farla finita con le dipinture, diremo ch'egli era aitante della persona, e per avventura oltre la comune degli uomini, che infine i suoi modi erano d'uomo punto impacciato nel farsi innanzi ad una nobile brigata.

Egli entr?? diffatti con passo fermo e sicuro, affrontando gli sguardi curiosi; e rasentando, come ho gi?? detto, la mensa, and?? difilato verso il conte Ugo, che al suo apparire s'era cortesemente alzato da sedere, per farglisi incontro.

??? Entrate, messer pellegrino; ??? aveva detto quest'ultimo, accompagnando le parole con atti graziosi. ??? Deponete il vostro bordone e il cappello, e sedete qui daccanto a me. Il nostro Fiordaliso ceder?? di grand'animo il suo posto al nuovo ospite che la nostra buona ventura ci manda.

??? E non gli chiede nemmanco il suo nome! ??? borbott?? fra i denti mastro Benedicite, in quella che andava a sedersi al suo posto consueto, nel basso, della tavola. ??? Gi??, egli ?? sempre stato cos??, come tutti i suoi vecchi! Suo padre, il taciturno, non apriva la bocca che cinque o sei volte all'anno, e ci volevano proprio i forastieri, per fargliele metter fuori, quelle quattro parole!?????

Il pellegrino, intanto, si era seduto a fianco del conte Ugo, e dalle sue mani aveva ricevuto la coppa ospitale; ma in cambio di recarsela alle labbra, stava curiosamente a guardarla.

??? Vi piace questa coppa, messer pellegrino? ??? ripigli?? a dire il conte Ugo. ??? A me duole di non potervela offerire in presente, dacch?? essa ?? la coppa dei signori di Roccam??la, la coppa di un mio famoso antenato, che portava appunto il mio nome, or sono forse cento e trent'anni. Non ?? egli vero, mastro Benedicite?

??? S??, messere; ??? rispose il vecchio, ??? Ugo il negromante mori nel 1150. E la coppa, narrano le cronache, fosse quella di Borman, gigante che i Liguri adorarono poscia come un dio, la quale fu donata al conte Ugo dalla fata Melusina. Il santo vescovo Gualberto voleva buttarla gi?? nel torrente, ma il vostro trisavo Aleramo....

??? Basta, basta! ??? interruppe il Conte. ??? Ecco gi?? un monte di parole per una coppa che non ne franca la spesa, quantunque sia d'oro. Ella ha un sol pregio, messer pellegrino; vo' dire l'amorevolezza con la quale io la presento a' miei ospiti.

??? Lo so, messer lo Conte, lo so; ??? rispose il rom??o. ??? Questa ?? la fama che di voi corre nel mondo.

Quindi, rivoltosi alla brigata, soggiunse, innanzi di recar la coppa alle labbra:

??? Nobili messeri, io bevo alla vostra felicit??, se pure ?? possibile che un uomo sia al mondo felice.

??? Grazie dell'augurio, messer pellegrino; ??? disse Ansaldo di Leuca; ??? ma voi m'avete l'aria di dubitarne. O perch?? non potrebbe uomo esser felice in questo mondo?

??? In hac lacrymarum valle; ??? borbott?? mastro Benedicite. ??? Ora vediamo che cosa gli sa risponder costui. A' suoi pari non hanno di certo a mancar le ragioni!?????

Ma il pellegrino li lasci?? a bocca asciutta ambedue, contentandosi a rispondere:

??? Messere, a chiarirvi cotesto per bene, si vorrebbe una troppo lunga dissertazione.

??? E voi sarete stanco; ??? entr?? a dire il conte Ugo.

??? Oh, non gi??, messer lo Conte! ??? rispose il pellegrino. ??? Vengo da Roma a piccole giornate, e non fo molta fatica. Oltre di che, il c??mpito ch'io m'ho preso laggi??, mi ha consentito di giovarmi dell'opera di un ronzino; e Lutero, comunque non faccia gran mostra di membra, ?? un animale che sa il debito suo.

??? Che nome! Lutero! ??? esclam?? Enrico Corradengo.

??? Un nome greco; ??? rispose il pellegrino ??? a Roma si studia molto il greco, oggid??.

??? Gran citt??, quella Roma! non ?? egli vero, messer pellegrino?

??? S??, davvero, gran citt??; e chi non l'ha veduta, sia detto con vostra licenza, nobili messeri, non ha veduto nulla. E dire che di presente ella non ?? ancor giunta a quel tanto di grandezza che papa Leone X ha in mente!

??? Leone X! ??? non pot?? rattenersi dallo interrompere mastro Benedicite. ??? O non ?? pi?? papa Onorio IV?

??? Ah! voi siete forte di cronologia, a quel che pare, mastro Benedicite! ??? rispose il pellegrino.????? Onorio IV se ne ?? salito diritto al cielo, dove sta pregando per la conservazione di Santa Madre Chiesa e pel suo trionfo sui tristi che le fan guerra. Ora abbiamo pontefice il sant'uomo Leone X, munificentissimo principe, il quale d?? opera a grandi e laudabili novit??. Vedrete la basilica di San Pietro, quando sar?? riedificata, e mi saprete dire s'ella non sar?? divenuta la pi?? gran meraviglia del mondo cattolico.?????

Cos?? dicendo, il pellegrino fece col capo il cenno di chi ha nominato una cosa sacra. Mastro Benedicite non aggiustava fede a' suoi orecchi medesimi. Quell'umile e costumato pellegrino, che parlava con tanta reverenza cristiana, era egli colui che di l?? dal ponte levatoio di Roccam??la gli aveva pur dianzi parlato, a lui mastro Benedicite, in s?? beffarda maniera? Un uomo avveduto avrebbe, a dir vero, notate sulla faccia del pellegrino, segnatamente ai lati delle labbra, alcune rughe, nelle quali usa nascondersi l'ironia, e in certe guardature, che accompagnavano le parole, sarebbe colto in flagranti lo scherno. Ma il buon falconiere, quantunque sapesse di latino, non era uomo da intendere questi nonnulla; argomentate poi se potesse coglierli a volo! Egli era come trasognato, e gi?? si pentiva in cuor suo di aver cos?? male inteso, e peggio giudicato, un uomo che faceva testimonianza di tanta religione.

??? E come si vive a Roma? ??? domand?? Fiordaliso. ??? Chi non ha sulle spalle i gravi carichi della santa religione, non ci morr?? mica di noia?

??? Dio ne guardi, messere! Roma ?? l'Atene d'Italia. Sua Santit?? ?? un uomo co' fiocchi; vo' dire un degno vicario di Dio. Il redentore del mondo ?? rappresentato laggi?? come si addice a cos?? alto barone. E il Machiavelli, con la sua Mandragora! Quella ?? una commedia! Il papa ha gi?? voluto udirla recitare due volte. E il Bembo! Che piacevole uomo e che latinista di vaglia! Figuratevi, nobili messeri, ch'egli ha scritto ad un amico suo, non avesse a leggere le epistole di san Paolo, per non guastarsi la buona latinit??! La merc?? di questo valentuomo, che ?? segretario ai brevi, gli oracoli del Vaticano sono espressi con una eleganza, che non fu mai la maggiore. La vergine Maria si chiama Dea Lauretana; papa Leone ?? assunto al pontificato jussu deorum immortalium; celebrar la messa da morto si chiama litari Diis manibus, ed altre frasche simiglianti, che capir?? per bene mastro Benedicite, il quale ho udito essere molto intendente della lingua del Lazio.?????

Lo strozziere, toccato nel suo debole, chin?? gli occhi modestamente sul tagliere. La diffidenza, che gli era nata in petto contro il forastiero, incominciava ad andarsene in fumo.

??? Voi dicevate, messer pellegrino, della basilica di San Pietro.

??? Aff??, sar?? quella un'opera stupenda. Figlio di Lorenzo il Magnifico, Leone X non far?? che cose magnifiche. Ma ci bisognan danari.

??? Nulla res sine pecunia! ??? sentenzi?? Benedicite.

??? S??, veramente, e a cotesto si pensa per l'appunto ora, e chiunque aiuter?? alla grand'opera avr?? indulgenze a macca.

??? E voi, messer pellegrino, ??? entr?? a dire il Conte, ??? se ben m'appongo, ne avete in buon dato.

??? S??, messer lo Conte, ne porto attorno per cui piacciono. Vo in Monferrato; di l?? passer?? in Lamagna, dove spero il negozio abbia a prosperare pi?? assai che in ogni altra parte d'Europa. Ahim??, sono stato un grande scioperato fino ad ora, e mi bisogna racquistare il tempo sprecato, con qualche opera buona. Ma gi?? questi non sono discorsi da farsi a mensa, e in compagnia di tanti orrevoli cavalieri. Proseguite, di grazia, i vostri interrotti ragionari, se pure ad un forastiero ?? permesso di udirli.

??? Che diamine! Noi stavamo appunto per chiedere una ballata a Fiordaliso, il nostro bel paggio, che la pretende a poeta, e, in fede mia, non senza ragione.

??? Mi sar?? grato udire ci?? che bisbigliano le Muse nell'orecchio di un s?? leggiadro garzone.

??? Oh, non vi aspettate grandi cose, messer pellegrino! ??? rispose Fiordaliso, che si era fatto rosso come una brace. ??? Io non ho studiato d'arte poetica, e vo strimpellando il liuto come un menestrello villereccio.

??? Suvvia, Fiordaliso, non ci buttiamo gi?? di questa guisa! Il nostro ospite avr?? forse udito pi?? valorosi trovatori che tu non sia; ma io metto pegno che egli non rimarr?? al tutto scontento dei fatti tuoi. Sentiamo dunque la tua ballata!?????

Il paggio non si fece pregare pi?? oltre, e andato a pigliare in un cantuccio il liuto, incominci?? a trarne parecchi accordi, i quali volevano proprio dimostrare come il suonatore fosse stato troppo modesto, paragonandosi ad un menestrello giramondo. Quindi, giusta il costume degli antichi trovatori, non ancora perduto in que' paesi feudali, si fece a cantare in questa maniera:

??? Conte Folco ?? prode e bello,
Esemplar de' cavalieri.
Fido albergo ?? il suo castello
Di dugento balestrieri.
Cento lance ei mette in guerra.
?? possente e paventato;
Ma pi?? ancora avventurato
Dell'affetto d'ogni cor.
??
S'?? felici in sulla terra
Fin che regni in terra amor.?????

??? Bene, Fiordaliso, bene! ??? grid?? Ansaldo di Leuca.

E tutti in coro ripeterono il ritornello:

S'?? felici in sulla terra
Fin che regni in terra amor.

Il giovinetto prosegu??, accompagnandosi cogli accordi del suo liuto:

??? Sulla preda all'aure scaglia
I falcon pi?? peregrini;
Pronti in giostra ed in battaglia
Ha cavalli saracini.
Lieto il fan di censo opimo
Le vitifere pendici;
Ma pi?? lieto i fidi amici
Che gli fan corona ognor.
??
L'uom felice in terra estimo
Fin che regni in terra amor.?????

??? Gli amici, Ugo, tu l'hai udito, gli amici!????? disse Enrico Corradengo, dopo che ebbero ripetuto il ritornello.

??? S??! ??? rispose Ugo. ??? L'amicizia ?? la pi?? bella cosa e la pi?? cara che al mondo sia.

??? Adagio, messere! ??? grid?? Fiordaliso. ??? Io non ho anche finito.

??? Tira innanzi, dunque, da bravo!

Incuorato dal plauso della brigata il paggio intuon?? la terza strofa:

??? Carlomagno invidia a lui
Cos?? dolce e lieto stato;
Ch'ei non ?? tra' prodi sui
Pi?? securo e pi?? beato.
Conte Folco a regio impero
Ben potria levar le brame;
Ma pi?? grato a lui reame
Parve ognora un fido cor.
??
Pi?? felice ?? l'uomo invero
Se gli arrida in terra amor.?????

??? Hai ragione, Fiordaliso! ??? esclam?? conte Ugo. ??? L'amore accanto all'amicizia, ma un grado pi?? in su. Questo ?? nella natura delle cose, e voi non ve ne dorrete, amici miei, non ?? egli vero?

??? No, per mia f??! ??? rispose Ansaldo di Leuca. ??? E' bisognerebbe essere egoisti di tre cotte, per dolersene. Le dame anzitutto! Ma ci ha da essere ancora una strofa....

??? S??, messere; ??? soggiunse il paggio, ??? ed eccola appunto:

??? Per lui sol non disumana,
Disdegn?? d'un re l'omaggio
Valorosa castellana
Di gran cor, d'alto legnaggio.
?? regina e imperatrice,
Se tien Folco in suo governo,
Se per lei d'affetto eterno
Per lei palpita il suo cor.
??
Sulla terra ?? l'uom felice
Fin che regni in terra amor.

??? Bene! benissimo! ??? gridarono tutti, e ripeterono in coro, siccome avevano fatto per l'altre strofe:

Sulla terra ?? l'uom felice
Fin che regni in terra amor.

??? Questo conte Folco era un uomo felice davvero ??? disse Ugo, in quella che si toglieva dal collo la sua collana d'oro, per cingerne il suo paggio prediletto. ??? Felice davvero! e a tutte le sue venture s'aggiunge questa, di essere cantato da s?? gentile poeta. Che ne dite voi, messer pellegrino?

??? Che avete ragione, per quanto si riguarda al poeta. I suoi versi sono graziosi, e meritano il presente che avete s?? nobilmente fatto all'artefice. Ma il concetto, con sua e vostra licenza, non mi par giusto del pari.

??? Oh! oh! ??? sclam?? Fiordaliso, turbato nel suo trionfo poetico.

??? Non c'?? oh che tenga! soggiunse il pellegrino. ??? Recatevelo in santa pace; voi non avete, messer Fiordaliso, fatto prova di molta filosofia; laonde io mi fo' lecito di consigliarvi a studiare qualche buon libro intorno a questa materia, e in particolar modo il libro della vita, che le Sacre Carte hanno simboleggiato nell'albero della scienza del bene e del male.

??? Fiordaliso, tu se' spacciato! ??? grid?? Ottone di Cosseria.

??? Periisti! ??? aggiunse il latinista Benedicite, dal fondo della tavola.

??? Orbene, ??? disse, dopo una breve sosta il poeta, messo in puntiglio ??? correggete voi con la vostra scienza, messer pellegrino, quel che c'?? di errato nei miei grami concetti!

??? E perch?? no? Tengo la giostra. Date qua il vostro liuto e vedremo di cavarne un costrutto.?????

CAPITOLO III.

Come il biondo Fiordaliso fu vinto in tenzone poetica, e del rammarico ch'ei n'ebbe.

Allora, in mezzo alla aspettazione universale, lo strano ospite di Roccam??la pose le mani sullo stromento di Fiordaliso, che pi?? non parve lo stesso. Le sue dita, adunche come gli artigli d'un falco, cavarono dalle corde una tempesta di suoni, striduli e sto per dire non umani; strano preludio che fece correre un brivido di terrore per l'ossa a quella nobile udienza.

??? O come suonate voi, messer pellegrino? ??? chiese Enrico Corradengo.

??? Come il Paganini.

??? E chi ?? il Paganini? ??? dimand?? un altro della brigata.

??? Un gran trovatore, messeri, un gran trovatore.

??? E.... ??? si prov?? a dire Fiordaliso, che udiva toccato il liuto da mano maestra e gi?? si sentiva una spina nel cuore, ??? e vi ha insegnato egli?....

??? No, io a lui; ??? rispose asciuttamente il pellegrino.

??? Ah! noi siamo dunque al cospetto di un maestro.... ??? disse il conte Ugo.

??? Oh, questo poi no, messer lo Conte! Pizzico un tratto, per mio logorare, ma non la pretendo a maestro nella gaia scienza, come fa qualcun altro. Ora, ecco, magnifici messeri, vi canter?? la ballata dell'uom felice, la ballata di Giobbe.

??? Vuol essere allegra! ??? disse mastro Benedicite fra i denti; e frattanto di sotto alla tavola fece il segno della croce, imperocch??, dopo quel preludio indiavolato, gli era tornata la paura in corpo.

Per tutta la comitiva si fece un gran silenzio, appena il pellegrino ebbe annunziato il titolo della sua ballata. E l'ospite di Roccam??la, con voce ingrata, ma che costringeva ad ascoltare, cos?? diede principio al suo canto:

Era su in alto splendida festa,
Ch?? avea l'Eterno corte bandita.
Calici in mano; corone in testa;
Tocche le cetre da rosee dita.
Tutti raccolti nel ciel natio
Eran gli alati figli di Dio.

??? Il cominciamento ?? bello! ??? grid?? Ansaldo di Leuca. ??? Pare una copia della nostra brigata, salvo che noi non abbiamo corona in testa e non siamo figli di Dio, e voi non avete le dita rosee, messer pellegrino!?????

Il cantore rispose alla celia di Ansaldo con un sorriso che mise in mostra trentadue denti nitidi ed acuti come quei d'una sega, e, ripigliato l'arpeggio, prosegui:

C'eran tutti, ch?? in lieto accordo
Venner da' chiari regni e da' bui;
E quell'astuto, cui non fu sordo
D'Eva l'orecchio, c'era pur lui,
Da Dio colpito gi?? d'anatema,
D'alta scienza mastro Apor??ma.

??? Apor??ma! ?? un nome saracino? ??? esclam?? Ansaldo di Leuca.

??? No, ??? soggiunse Corradengo ??? un nome greco.

??? Greco, o saracino, ??? borbott?? mastro Benedicite, ??? gli ha da essere sinonimo di Satanasso.?????

Il pellegrino rispose con un altro dei suoi tetri sorrisi, e continu?? cantando:

Spirto del dubbio, spirto che indaga,
Che viver sdegna contento al quia,
N?? di fallaci larve s'appaga,
E l'uom da' stolti sogni disvia.
Com'ei da sezzo giunto s'assise,
Lo vide il vecchio Sire e sorrise.
??
??? Che vuoi Satanno? ??? Buon sire Iddio,
Un posto al vostro gaio banchetto!
Vostra fattura, padre, son io,
Sebben m'abbiate poi maledetto,
E qual maestro lasciato all'uomo
Dopo la biblica scena del pomo.
??
??? S?? veramente, spirto malnato,
E aver ci?? fatto mi seppe reo!
Ma non hai tutti pure ingannato....
Ti sfugge il giusto prence Idumeo....
??? Ve' gran fatica! Voi lo volete....
Ma lo lasciate solo, e vedrete!?????
??
??? S??, tenta! io tolgo da lui la mano....
Ma inver sovr'esso fai mala prova,
??? Perch??? fors'egli fuor dell'umano,
Oltre la terra sue gioie trova?
Hollo a far tristo, buon sire Iddio,
O ch'io, Satanno, non son pi?? io!?????

Qui il pellegrino fece una sosta, che nessuno degli astanti volle turbare co' suoi ragionari, tanto erano ansiosi di udire la continuazione. E questa non si fece attender molto, poich??, dopo un altro arpeggio pi?? cupo del primo, e con voce pi?? stridula, il cantore di Apor??ma venne alla seconda parte della ballata.

Il vecchio di lass?? tenne la fede,
Perch?? sillaba sua non si cancella,
E l'uom felice in potest?? gli diede.
??
Ratta sui vanni allor d'atra procella,
Scende sventura all'idumee pendici,
Strugge i campi, gli armenti e le castella.
??
Ve' subito oscurarsi i d?? felici
Del prence, e ve' dalle dolenti case
Ad uno ad uno disparir gli amici!
??
N?? il vinse ci??, n?? l'ira al cor s??ase.
Guard?? la donna sua, baciolla, al core
Forte la strinse, e impavido rimase.
??
Ma passa ancora il nembo struggitore
E a lui, che nulla sembra aver sofferto,
Della salute inaridisce il fiore.
??
Gi?? bellezza e vigor l'hanno deserto,
E tabe ria da cento piaghe stilla
Onde apparisce il corpo suo coverto.
??
Ve' donna innamorata! Amor vacilla.
Ve' cor cui l'uomo non mutevol creda!
Torse il piede ad un tempo e la pupilla.
??
Solo, ognor solo, parta il giorno o rieda,
Alla brina gelata, al sol cocente,
Solitario carcame a' vermi in preda!
??
Pur gli rimase il raggio della mente....
Ma udite qual ne fece uso sennato;
Maledisse all'Eterno, e irriverente
??
Gli domand??: ??perch?? m'hai tu creato???

Giunto alla fine della seconda parte, la quale, anzi che un canto, fu una recitazione drammatica, accompagnata da rauchi suoni di corde, il pellegrino fece la seconda sosta.

La brigata non fiatava; ma il suo silenzio non era per fermo testimonianza di freddezza; ch?? ben dimostravano il contrario gli sguardi fisi e le labbra ansiosamente tese verso il cantore.

La imprecazione di Giobbe era stata resa con un accento da mettere i brividi, e pi?? paurosa l'avea fatta il liuto, con un suo accompagnamento beffardo. Poco stante, il pellegrino, facendosi da capo alla cantilena delle prime strofe, ripigli?? in questa guisa a cantare:

Era su in alto splendida festa
Ed Apor??ma fu del cort??o.
??? Orben, signore, dite, che resta
Del vostro lieto prence Idum??o?
Povero, infermo, solo, reietto,
Al suo fattore grida cos??:
??Perch?? mi desti core e 'ntelletto?
??Perch?? m'apristi le luci al d?????
??
Aff??, gran cosa l'esser felice
Se un sogno all'uomo la vita infiori,
E raggio d'iride l'ingannatrice
Zona vi stenda de' suoi colori!
Felice ?? l'uomo fin che la fede
Inviolata nel cor gli sta,
E il primo intonaco di ci?? che vede
A brani a brani non se ne va.?????
??
??? E tu, Apor??ma, forse pi?? lieto
Sei tu che 'l negro dubbio diffondi,
Tu che turbandomi l'alto secreto
Ogni parvenza scuoti e disfrondi?
Dimmi, te stesso non hai dannato
A lutto eterno fin da quel d??
Che in questo sogno viver beato
Sdegnasti e l'ira mia ti colp???
??
??? Il ver parlate, buon sire Iddio;
In cor non sente gioie Apor??ma.
Nel duol mi cruccio, ma il duolo mio
Non pu?? speranza vincer, n?? tema.
Quanto la vostra mano dispone
Per me segreti, sire, non ha:
So quanto valgono cose e persone,
E niun sul prezzo gabbo mi fa.

La ballata del pellegrino, e la sarcastica chiusa, fecero una grande impressione sulla nobile comitiva. Gli amici del conte Ugo e i suoi vassalli si guardarono in viso trasognati; indi tornarono a guardare il pellegrino, sulle cui labbra scorgevasi ancora il sogghigno di Apor??ma. A mastro Benedicite, allora pi?? che mai ricaduto in bal??a delle sue superstiziose paure, venne in mente che fosse proprio lui quello spirito maligno del quale aveva cantate le imprese; epper?? il degno strozziere se ne rimase mutolo, a capo chino, fantasticando sulle conseguenze di quella visita notturna, e non badando punto a citazioni latine; segno che il suo turbamento era grave.

Anche il conte Ugo era muto, sebbene non partecipasse alle ubb??e del suo fidato vassallo e non vedesse nell'ospite di Roccam??la che un uomo come tutti gli altri suoi commensali. La filosofia dello sconosciuto lo aveva profondamente commosso, ed egli era rimasto inerte sulla scranna, con lo sguardo fiso ma disattento, come di chi sembra aguzzar l'occhio verso un punto dello spazio, e non fa in quella vece che seguire il corso vagabondo d'immagini confuse, le quali non hanno per anche presa la forma di un pensiero.

Il primo a rompere quel silenzio, e direi quasi quell'incantesimo, fu il biondo Fiordaliso, pieno il cuore della sua giovanile baldanza.

??? Leggiadra ?? la vostra ballata, messer pellegrino; ma egli mi sembra che la storia da voi narrata non sia molto d'accordo con la Bibbia, segnatamente nella chiusa.?????

La nota del paggio era girata per la mente a tutti i commensali; epper?? eglino, udendola espressa dalle parole dell'adolescente, gli tennero bordone con un cenno del capo.

Ma il pellegrino non era uomo da darsi vinto per simili frasche. Croll?? le spalle, fece una smorfia e rispose con aria benigna e compassionevole:

??? Ah! perch?? voi non avete letto che la Volgata, messer Fiordaliso. La storia vera ?? quella che v'ho raccontata io, e si legge nel testo caldaico della Vaticana. Nella Volgata s'?? tenuto altro metro, per tema che la lettura avesse a riuscire troppo sconsolante; della quale sollecitudine per le coscienze timorate vuolsi saper grado alla Chiesa.

??? Per ventura le sono finzioni poetiche dei tempi andati! ??? disse Ottone di Cosseria.

??? S??, e non possono mutare il verace aspetto delle cose; ??? soggiunse Enrico Corradengo. ??? L'amicizia, a malgrado dei vostri biblici esempi, ?? un alto e durevole affetto.

??? Giobbe lo sa, mio nobil sere! ??? esclam?? il pellegrino.

??? Ah, lasciamolo in pace! ??? rispose il Corradengo. ??? Io, per me, tengo che se egli avesse vissuto ai tempi nostri, tra cavalieri, nessuno degli amici suoi lo avrebbe abbandonato nella disgrazia, e ognuno si sarebbe recato a ventura di spartire con lui.?????

Il sogghigno di Apor??ma si dipinse anco una volta sulle labbra del pellegrino. Il Corradengo, turbato, non disse pi?? altro.

??? E non si dir?? nulla della donna del principe d'Idumea? ??? entr?? Ansaldo di Leuca. ??? Io mi penso che questa dama, se pure c'?? stata, ed ha operato secondo il detto della vostra canzone, messer pellegrino, non era donna di gentil sangue. L'amore ?? fortissimo e nobilissimo affetto, che vince ogni ostacolo, che sopravvive ad ogni sciagura, come c'insegnano esempi molti e recenti. Io vi prego, messere, se avete caro il vostro buon nome di trovatore, a non farvi udire n?? da Matilde, contessa di Sciampagna, n?? dalla marchesina di Monferrato, n?? da Giovanna di Torrespina, la pi?? savia come la pi?? leggiadra gentildonna di cui cavaliero portasse mai i colori.?????

Al nome della castellana di Torrespina, l'ospite sconosciuto fece un volto pi?? umano, come chi intenda ad entrare nelle grazie di qualcheduno, o non voglia, per cortesia, far contro a giudizii che risguardano le persone.

??? Tolga il buon sire Iddio, ??? rispose quindi ad Ansaldo, ??? che io voglia farmi udire a cantar sul liuto fuori di questa nobil brigata. Vi ho poi detto, messeri, che io non sono trovatore. La canzone di quel biondo alunno delle Muse mi ha messo in vena, e mi sono provato anch'io a dirvi la mia, tanto per fargli intendere quello che una lunga esperienza ha insegnato ad un povero vecchio; che tale io mi sono da lunga pezza, e abbandonato da tutte quelle dolci fantasie che illeggiadriscono la vita ai giovani cavalieri. Ma io so bene che i miei canti non potrebbero andare a grado di tutti, come so che la verit?? non ?? mai bella, n?? lieta ad udirsi.?????

Il conte Ugo usc?? finalmente allora dal suo silenzio.

??? Messer pellegrino, ??? diss'egli con molta gravit??, ??? la vostra ballata ?? triste assai, ma bella del pari, e vi pone cos?? alto nella mia estimazione che io non saprei dirvi di pi??. Voi siete il mio ospite per tutto quel tempo che a voi piacer??, e quando la mia casa vi riesca troppo uggiosa dimora, della qual cosa io sar?? dolentissimo, il miglior ronzino, o palafreno di Roccam??la rimarr?? vostro, e vostro il migliore de' miei falconi, se il passatempo di sant'Uberto v'?? grato.

??? Voi siete, messer lo conte, ??? disse il pellegrino inchinandosi profondamente, ??? il pi?? magnifico e liberal cavaliero che al mondo sia.?????

A Fiordaliso si sbiancarono le guancie; delle labbra non saprei dirvi, perch?? il biondo adolescente, vinto nella sua poetica tenzone al cospetto e per sentenza di conte Ugo, le aveva raccolte tra i denti, e premea forte, in atto dispettoso. Era quello il primo giorno di sua vita che cosa alcuna gli avesse a dolere; e il cominciamento fu amaro.

Tanto per fare alcun che, e per non addimostrare il suo broncio, il povero paggio and?? a togliere il liuto dalle mani del pellegrino e lo rec?? fuor della sala.

??? Va, stromento d'inferno! ??? grid?? egli stizzito, buttandolo su d'una cassapanca che era nella sua camera. ??? E adesso aspetta che io ti ripigli!

Il povero liuto, che non ci avea colpa, risuon?? alla percossa; le corde mandarono un gemito, quasi un accento di rimprovero. Ma il paggio non si pent?? dell'opera sua, e chiusosi l'uscio dietro le spalle, se ne and?? a parare il vento su d'un terrazzo, molto lunge dalla sala dov'erano i convitati del conte.

CAPITOLO IV.

Che cosa fosse, e perch?? temuta, la torre del Negromante.

Levate le mense a notte alta, conte Ugo accomiat?? gli amici, non gi?? dal castello, perch?? erano ospiti suoi, ma dalla sala del convito. Allora si fecero innanzi i famigli, che gi?? stavano pronti con le torce di resina in mano, e scortarono ognuno dei nobili cavalieri nelle stanze a lui assegnate.

Per tal modo, non rimasero presso il conte Ugo che il pellegrino e mastro Benedicite, strozziere, maggiordomo, ser faccenda di Roccam??la.

Ugo era sopra pensieri, poich?? la conversazione e il canto del suo nuovo ospite lo avevano fortemente turbato; ma siccome egli era gentil cavaliere, la mestizia non poteva fargli dimenticare il debito suo verso gli ospiti.

??? Messer pellegrino ??? diss'egli ??? a me duole di non potere usarvi tutta quella cortesia che si vorrebbe per un uomo della vostra levatura. Roccam??la ?? un ampio maniero, ma pieno d'amici, ed io non posso offerirvi che un alloggiamento indegno di voi... salvo il caso che vi acconciate a riposare nella torre del Negromante.

??? Che dite voi, messer lo conte? ??? grid?? mastro Benedicite. ??? Farlo alloggiar nella torre....

??? No, io non ho detto questo; sibbene ho voluto far intendere al nostro ospite come io non possa offerirgli una stanza degna di lui.

??? Che cos'?? questa torre del Negromante? ??? domand?? il pellegrino.

??? Ah, per darvene una giusta notizia, mi bisognerebbe raccontarvi una storia troppo lunga, e tale da farvi addormentare sulla scranna. Roccam??la, messer pellegrino, ?? un triste luogo, ed io mi penso che la tristezza sua entri in gran parte nell'umor nero che ha regnato su sette generazioni de' miei antenati. Si narrano di questo castello le pi?? paurose leggende.... Figuratevi! Il conte Ugo, primo dei Roccam??la, nella sua vecchiaia si era dato anima e corpo allo studio delle scienze naturali, e la buona gente dei dintorni fantastic?? che egli avesse commercio con lo spirito maligno. Quando egli venne a morte, quella torre, dov'egli era uso dimorare, e che ha tolto da lui il nome di Negromante, fu argomento di terrore per tutti, e pochi ardirono d'allora in poi di passarvi la notte.

??? Ah, ah! ??? disse, ridendo, il pellegrino. ??? Storielle da metter paura ai bambini!...

??? Lo dico anch'io, ??? rispose il conte ??? ma tant'??; la cosa ?? passata in consuetudine, e non si pu?? levar dal capo a nessuno de' miei vassalli che in quella torre ci sia un incantesimo, un diavoleto e che so io.... Ma che cosa volete dir voi, mastro Benedicite, che mi fate quegli occhi da spiritato?

??? Dico, messer lo conte, che voi mi sembrate pigliare a scherno la cosa pi?? vera del mondo; dico che il diavoleto c'??, e che la storia non mente....

??? S??, la storia.... tutto quello che vorrete, ma intanto il libro nero non s'?? mai potuto trovare.

??? Che prova ci??, messere?

??? Prova che le sono ubbie da bambini, o da vecchi rimbambiti; e ci?? sia detto senza far torto a voi, che siete un uomo a modo, quantunque troppo facile a credere certe stramberie della gente volgare.

??? Ah! ci abbiamo dunque a Roccam??la una vecchia leggenda? ??? soggiunse il pellegrino. ??? Io son ghiotto di simili novit??. Narratemi questa leggenda, Benedicite mi dilectissime! Se debbo andare a dormir nella torre, ?? pur ragionevole che io sappia....

??? Ci andrete? ??? dimand?? lo strozziere, guardando il pellegrino con atto di maraviglia.

??? Se ci andr??? Lo chiedo per grazia profumata dal conte di Roccam??la. E chi sa che io, con le sante reliquie e le indulgenze che porto da Roma, non venga a capo di togliere dalla torre del Negromante...

??? Ah! cos?? voi diceste il vero! ??? interruppe mastro Benedicite. ??? Io, per me, con buona pace del magnifico conte Ugo, credo che ne sia grande il bisogno.

??? Ma raccontatemi dunque, ve ne prego in nome dei vostri diletti falconi, o nobile accipitrario ??? disse il pellegrino, alludendo alla professione del falconiere ??? che cosa avviene egli in quella torre del Negromante?

??? La ?? una storia lunga ??? rispose mastro Benedicite ??? siccome vi ha detto messer lo conte pur mo', ed ha cominciato da Ugo il Negromante, che dopo aver preso il convento ai monaci di San Bernardo, per farne una rocca, si trasse il diavolo in casa con le sue stregonerie.

??? Cio?? ??? soggiunse il conte ??? furono i monaci che inventarono questa storia del diavolo, per vendicarsi della perdita del convento. Ma basti, ve la dir?? io, questa leggenda, poich?? il mio falconiere ci menerebbe troppo per le lunghe. Si narra adunque che, dopo la morte di Ugo il Negromante, in certe notti dell'anno si vedessero apparir fiamme dalle finestre della torre che sta sul burrone; che poi queste fiamme si vedessero ogni notte; e v'ebbe chi giur?? d'aver veduto nel bagliore il profilo del mio antenato. Altri disse del diavolo; altri di tutt'e due, che stessero amichevolmente a colloquio. Comunque sia, cose strane si vedevano; e frattanto, chi dormiva nelle stanze della torre non udiva mai nulla, non si addava di nulla; che anzi, appena postosi a letto, era c??lto da sonno cos?? profondo che fino a giorno inoltrato non c'era pi?? verso di svegliarlo. Notate, messer pellegrino; non sono io che vi narro queste cose; ?? la cronaca di Roccam??la. Ed essa narra eziandio che, dopo molti anni di queste paurose apparizioni, uno dei miei maggiori, Aleramo il biancamano, mand?? pei monaci, e con donativi alla loro comunit?? cerc?? di renderseli benevoli, affinch?? cacciassero il demonio dalla torre del Negromante. Ma, o fosse che i loro scongiuri non approdassero, o che non bastassero i presenti del mio trisavolo, fatto sta che il demonio non volle uscir fuori, e bisogn?? chiamare quass?? il santo vescovo Gualberto, uscito dall'ordine de' Cisterciensi medesimi, il quale una notte si chiuse nel luogo maledetto, dopo essersi fatto dare un foglio di pergamena, chiuso in una fascia di pelle nera, e non ricomparve che la mattina seguente. Ma egli pare che il santo vescovo avesse sfruttato per bene il suo tempo, imperocch?? corse la voce che egli avesse parlato con lo spirito maligno, e trovatolo duro anzich?? no, avesse pure ottenuto da lui la promessa di non rimetter pi?? piede in Roccam??la, sotto certe condizioni, le quali furono scritte nella pergamena e sottoscritte dai due in formis ed modis. Dico bene, mastro Benedicite?

??? Benissimo, messer lo conte, benissimo!

??? E queste condizioni, ??? disse il pellegrino, che aveva mostrato di udire con molta attenzione la leggenda del suo ospite ??? quali erano esse?

??? Aff??, ch'io non saprei dirvele ora! ??? rispose il conte. ??? Ma egli mi par di aver udito che tra l'altre ci fosse questa di rinunziare a' suoi diritti di possesso su Roccam??la, fino a tanto non ci fosse tra i suoi signori un uomo contento.?????

??? Bizzarro, quel demonio! ??? esclam?? il pellegrino.

??? Ve l'ho detto, messere; questa favola deve essere stata messa fuori dai nostri ottimi frati, e resa poi pi?? credibile dal fatto che tutti i signori di Roccam??la furono gente malinconica oltremodo. ??? Che ha il castellano che non lo si vede mai a sorridere? ??? Non sapete? i signori della rocca non possono essere lieti mai; il santo vescovo Gualberto sapeva pure il fatto suo, quando accett?? il patto del diavolo. O come volete che faccia egli a tornare, se questi castellani, di padre in figlio, son sempre cos?? rannuvolati? E cos??, una storia siffatta ha potuto essere creduta, e sopra tutto accresciuta dalle superstizioni del volgo.

??? E il libro?...

??? Ah, il libro nero? Benedicite vi potr?? raccontare com'?? scritto, come legato, e quante borchie, quanti fermagli ci avesse sulla negra coperta; ma ohim??, vedete leggenda sciagurata! n?? egli l'ha visto, n?? altri al mondo.

??? Messere.... ??? esclam?? Benedicite, con accento di rispettoso rimprovero.

??? S??, s??, ??? ripigli?? il conte sorridendo ??? la nota cronaca racconta che il libro nero fosse chiuso in un armadio di legno, rivestito di ferro, che sta ancor di presente nella torre. Ma si ?? rovistato ogni cassettone, ogni ripostiglio, e il libro non ?? comparso. S'?? picchiato su per le pareti, cercando se si sentisse alcun vuoto, ma le furono novelle. Chi vi dir?? io di vantaggio? Da Aleramo biancamano in poi, nessuno mai seppe di questo negozio, ch?? certo ha da essere stato inventato pi?? tardi dal convento vicino. Infatti il mio trisavolo non ne tramand?? memoria veruna, e non ne seppero nulla, almeno per diretta via, n?? Corrado senza paura, n?? Ingone il rosso, n?? Roberto il taciturno, che fu mio padre. Ora, voi sapete tutto, cio?? quanto rileva, della leggenda di mastro Benedicite, la quale vuol essere compiuta col dirvi che nella stanza della torre, e sempre a cagione di questa favola, non ci dorme pi?? alcuno, sebbene ella sia una delle migliori di Roccam??la.

??? Orbene, con vostra licenza, messer lo conte, andr?? io a dormire col??; ??? disse il pellegrino; ??? per dove ci si va egli?

??? Benedicite vi accompagner??, che ben vi ?? debitore di tanto, dopo avervi fatto aspettare cos?? lungamente alla entrata del castello.

??? Oh, io non gli tengo il broncio per cotesto! ??? soggiunse l'ospite, mettendo con dimestichezza una mano sulla spalla del falconiere. ??? Ma che avete voi, mastro Benedicite? Si direbbe che un povero pellegrino vi fa paura! Non son bello, lo so, ma non avrei creduto mai che voi, vir sapiens, giudicaste gli uomini dalla loro apparenza.

??? Diminguardi, messere! Quod Deus avertat.... ??? rispose lo strozziere, provandosi a ridere.

E intanto tremava a verghe. La torcia di resina gli ballava la danza macabra nel pugno.

Qui, fatta riverenza al conte Ugo, il pellegrino si ritir??, accompagnato dal povero strozziere.

Rimasto solo, il conte si diede a passeggiare per la sala, senza ricordarsi dell'ora tarda e dei famigli che lo attendevano sul limitare, per rischiarargli la via fino alle sue stanze. Egli, gi?? se n'?? accorto il lettore, non era pi?? di quel gaio umore, col quale si era seduto a mensa; molte cose erano avvenute nel picciol mondo della sua mente, molti e svariati pensieri vi turbinavano per entro.

Per la prima volta in sua vita, Ugo di Roccam??la incominciava a dubitare del lieto aspetto in cui solevano apparirgli le cose; il sottile veleno della filosofia d'Apor??ma gli si era filtrato nel cuore, ed egli gi?? sentiva quell'interno disagio, quel turbamento, quella inquietudine, che sono i segni precursori di tutte le infermit??, siano esse del corpo o dell'anima.

Nel canto del pellegrino, a dir vero, non era nulla che egli gi?? non avesse udito, o fatto argomento di controversia nella sua mente; ch?? anzi, discusse tra s??, o con altri, le ragioni del dubbio e quelle della fede, gi?? da lunga pezza egli aveva data la palma a quest'ultima, e non era uomo da mutarsi cos?? facilmente per ragionamento d'altrui. Ma egli bisogna pur dire che strane oltremodo erano le circostanze tra cui gli era apparso il pellegrino. Quello smilzo personaggio, che non si sapeva chi fosse, che parea contraddirsi ad ogni istante, che diceva le cose pi?? gravi e malinconiche con bocca da ridere e che rideva con cera da funerale, gli aveva fortemente colpita la mente. Egli poi non se ne era anche fatto accorto, ma le paure del suo falconiere gli giravano confusamente per la fantasia: e tutte queste cose, mettendo l'animo suo in uno stato particolare, davano risalto ad una tesi che gli si offriva per la prima volta armata di beffardi sillogismi, di cupi dilemmi e di paurose interrogazioni.

Il suo raziocinio non s'era anche ficcato in quel ginepreto; sto per dire che gli occhi della sua mente non avevano ancora misurato il pericolo. Sentiva, non pensava per anco, o, per dire pi?? veramente, i pensieri gli erravano ancora nel cervello, incerti, pallidi, senza contorni, sformandosi ad ogni tratto e in cento guise, a mo' di quelle fantastiche immagini che visitano i sogni dell'uomo, allorquando la febbre scorre nel sangue ed agita i polsi.

A toglierlo da quello stato, giunse in buon punto la voce di un famiglio. Veduto che il conte non pensava ad uscire, egli si era affacciato sul limitare, con la sua torcia in mano, per chiedergli se volesse ritirarsi nelle sue stanze.

??? Ah! gli ?? vero! ??? disse Ugo, risovvenendosi dell'ora tarda e dell'esser solo oramai nella sala.

E portatasi una mano nei capegli, come per ravvivarli sulla fronte e cacciare nel tempo medesimo un importuno pensiero dal capo, conte Ugo s'innoltr?? tra due file di servitori fino al suo appartamento.

??? Era tardi davvero! ??? esclam?? egli, vedendo nella camera innanzi alla sua il paggio Fiordaliso, che si era addormentato vestito daccanto al suo letticciuolo.

??? Questo povero ragazzo non ha potuto aspettarmi pi?? oltre. Svegliatelo, e ditegli che vada a letto e dorma a suo bell'agio, ch'io sono gi?? nelle mie stanze e non ho bisogno di lui.?????

CAPITOLO V.

Nel quale ?? detto di ci?? che vide il conte Ugo guardando la torre del Negromante.

Il giovine signore di Roccam??la, come fu giunto nella sua camera, licenzi?? i famigli e and?? difilato verso il letto, superba mole di legno intagliato, con un largo padiglione di damasco rabescato, che era sorretto da quattro svelte colonne.

I letti antichi erano pi?? sapientemente foggiati al sonno e ai gravi raccoglimenti della notte, che i nostri odierni non siano. Quel vasto e soffice strato a cui si saliva per un largo gradino che lo separava affatto dalla camera stessa in cui era collocato, quelle ampie cortine che scendevano in grandi pieghe a racchiuderlo da tre lati, lasciando anche dal quarto poco spazio alla luce, appartavano l'uomo dalle cose tutte e dai negozi della vita, celavano gli occhi suoi e lo spirito in una penombra particolare, su cui regnava la profonda quiete ristoratrice delle membra ed aleggiava Morfeo, il benefico nume.

Ma la quiete non era quella notte nella camera d'Ugo, e non poteva scender su lui, che portava il turbamento nell'anima; Morfeo non era ad aspettarlo tra le vaste pieghe del damasco rabescato, e non scese dal padiglione, quando Ugo and?? sotto le coltri.

Il giovane pensava, pensava sempre, e le sue palpebre asciutte non sentivano il sonno. La ballata di Apor??ma gli suonava ancora all'orecchio; le strofe, con molesta vicenda, gli si offrivano spiccate allo sguardo. Vedeva il convito degli angeli celesti, il venerando Sire e il beffardo tentatore degli uomini, vedeva Giobbe felice, poi caduto in basso stato, infermo e reietto; e udiva fischiare dinanzi all'Eterno questa amara sentenza:

Felice ?? l'uomo finch?? la fede
Inviolata nel cor gli st??,
E il primo intonaco di ci?? che vede
A brani a brani non se ne va.

Il primo intonaco! Viviamo noi dunque in un inganno continuo, non pure de' sensi nostri, ma eziandio della nostra ragione? Quello che io vedo non ?? sempre il vero; ma quando ?? esso il vero? E come potr?? io sincerarmene? Ora, ?? egli buono, o franca la spesa il vivere, quando la vita non abbia altro pregio, fuorch?? la fede che vive in noi, e non ha altro fondamento che in noi? No, certamente, una vita siffatta ?? diletto di sciocca giovent??, o necessit?? di paurosa vecchiaia, non degno ufficio dell'uomo che pensa.

Chi pu?? rassegnarsi a vivere, se tale ?? la vita? Apor??ma soltanto; egli, l'eterno filosofo, egli che preferisce il sapere al godere, egli che ?? entrato nel segreto del creatore, egli che vede i congegni da vicino, e ride, egli che sta beffardo a cavalcioni sull'arcobaleno e ne considera il nulla, egli che pu?? dire all'eterno vecchio di lass??:

Quanto la vostra mano dispone,
Per me segreti, Sire, non ha;
So quanto valgono cose e persone,
E niun sul prezzo gabbo mi fa!

Chi ?? questo pellegrino che sa tante cose, e fa cantar Satana non dissimilmente da ci?? che canterebbe egli stesso, se venisse a trovare il suono ed il motto al mio desco ospitale? Certo, gli ?? un uomo che ha molto patito, e oramai non crede pi?? in nulla. Ma che prova cotesto? Uomini tristi e donne senza cuore ce n'ha in copia nel mondo, ed egli pu?? essere capitato tra i peggiori... S??, ma intanto chi di noi pu?? asserire: io metter?? lo sguardo sopra i migliori? E perch?? siamo noi condannati, nella ricerca della felicit??, ad andare sempre tentoni, incespicando ad ogni pi?? sospinto e fallando cos?? di sovente la strada?...

Su questa china correva a precipizio lo spirito d'Ugo, e per tal guisa correndo, giunse molto pi?? lunge che io non racconto, fino a che non si ferm?? sbigottito sull'orlo di un abisso, in fondo al quale non erano gi?? pi?? le teoriche vaporose, ma le spiccate immagini degli amici e di tutte le cose pi?? caramente dilette al cuor suo. Si ferm??, dico, e volendo distoglier la mente da quelle moleste fantasie, si volt?? sull'altro fianco, innalzando il pensiero ad altre immagini pi?? leggiadre, a quel sogno d'uom desto ch'egli soleva procacciarsi ogni sera, anello consueto tra la veglia ed il sonno.

Ognuno dei nati alla mestizia, ognuno ha questo sogno prediletto, questo castello in aria, a cui consacra l'ora pi?? solitaria e pi?? soavemente tranquilla delle sue tristi giornate. Per taluni questo sogno ?? d'ambizione soddisfatta; per altri ?? d'amore; comunque sia, per un istante le ree necessit?? del vivere quotidiano spariscono; gli ostacoli si sormontano; gli abissi si colmano; Prometeo giunge al sole, rapisce la scintilla ed anima la creta pi?? ribelle ai suoi voti. Non ?? visione di dormente; ?? speranza, ?? potenza di desiderio che foggia a sua posta il futuro; o si direbbe piuttosto che la mente additi al cervello, al suo organo obbediente, quello ch'ei dovr?? raffigurarle come vero tra un'ora, i sorrisi, le carezze, le gioie superbe che egli dovr?? recarle in tributo.

Ora il conte Ugo, rifacendosi al suo leggiadro vaneggiamento d'ogni notte, pens?? alla donna de' suoi pensieri, a Giovanna di Torrespina.

Quel giorno, siccome si ?? detto, egli era andato a falconare, ed aveva cavalcato una ventina di miglia pi?? lunge, fino al castello dei Torrespina. Quel giorno la bellissima donna aveva rallegrata di sua presenza la caccia, ed egli era stato lung'ora al suo fianco, misurando il passo del suo generoso Aquilante su quello di Mirza, la bella giumenta saracina, che portava il dolcissimo peso della donna adorata.

Per un tratto la comitiva s'era sparpagliata qua e l??, seguendo ognuno le fasi della caccia e il des??o naturale del correre; e conte Ugo era sempre a fianco di lei, col suo randione sul pugno.

Egli amava Giovanna come donna non fu amata mai sulla terra, con veemenza di passione e ritegno ad un tempo. Il desiderio gli lampeggiava dagli occhi, e le sue labbra, che timide non erano per fermo, si contentavano a dirle: ??vi amo, madonna.?? Un affetto vigoroso e profondo ha di cosiffatte soste, pari alle calme oceaniche, le quali rattengono per mesi interi, e quasi nel punto medesimo dell'onda tranquilla, il legno paziente, che poi, al primo soffio di un'aura seconda, naviga a golfo lanciato, per trovar nuova terra o affogare.

E Giovanna di Torrespina non era sorda all'affetto di Ugo. Sebbene ella non avesse mai risposto parola a quelle frasi che gli prorompevano dalle labbra nell'impeto delle sue adorazioni, egli bene intendeva d'esser ricambiato da lei, e ci?? poteva bastargli, fino a tanto durasse quel periodo di calma oceanica che sopra s'?? detto.

Cavalcavano ambedue silenziosi, ma di quel silenzio che ?? pieno di tante cose soavi; di quel silenzio che confida un bacio ad un soffio d'aura leggiera che passi, e che muove gli occhi a guardare se quel soffio e quel bacio son giunti sulla guancia vermiglia di lei, e se ella se n'?? pure avveduta, di quel silenzio che ama, nel curvarsi lieve lieve della persona, far parlare un'arcana favella all'incontrarsi d'un braccio e di una piega di veste; di quel silenzio che sforza due volti a fissarsi ad un punto istesso l'uno nell'altro, quasi fossero mossi da una medesima volont??, mentre essi non sono che attratti da un sottilissimo spirito magnetico, il quale ?? nato dalla vicinanza di due creature, nutrito dalla compenetrazione di tutto il meglio che svapora dalle loro simpatiche forme, che raggia dai loro occhi, che si sprigiona dai loro cuori, ed ?? quello che inavvertito ravvicina il braccio a sfiorare la veste, che consiglia il moto simultaneo dei volti, che porta le mute dimande e le mute risposte, e trasforma in un bacio scambievole il lieve soffio dell'aura che passa.

In uno di questi momenti che santificano la passione e divinizzano il senso, momento reso pi?? solenne dalla quiete meridiana che regnava d'intorno, e dalla dolce ombr??a dei fitti rami delle querce giganti, che, incurvandosi sulla strada, chiudevano ogni adito alla spera del sole, madonna avea sporta la mano rivestita dal guanto, verso il randione del suo cavaliere. Questi s'era affrettato a levargli il cappello, e il nobile animale, vedendo l'invito cortese della dama, fece quel doppio atto, cos?? maestrevolmente descritto pi?? tardi dal divino Allighieri in questi tre versi:

Quasi falcon che uscendo di cappello
Muove la testa e con l'ale s'applaude,
Voglia mostrando e facendosi bello;

quindi vol?? sul pugno della gentil donna, mettendo un grido di gioia presso che umana.

Un grido simigliante proruppe dal petto del conte Ugo. Si f?? vermiglio in volto per la gioia improvvisa; spron?? il suo palafreno pi?? accosto a lei, per modo che il ginocchio sent?? il tocco dei suoi piedi sotto lo strascico della lunga veste pendente, e con voce tutta tremante le disse:

??? Avventurato ?? Febo, madonna, che vi posa sul pugno. Vedete come egli vi guarda amorevolmente coi suoi grand'occhi lucenti! Egli ora ?? vostro; lo amerete?

??? Mai s??, messere, ma ad un patto.

??? Ditelo, in vostra merc??, madonna; che egli ?? tale, per l'amore che vi porta, da intendervi e da obbedirvi in ogni cosa che a voi piaccia.

??? Invero, messere, io non vo' altro se non ch'ei faccia mai sempre il piacer mio; ??? rispose ella sorridendo, ??? ch'ei non si dolga del cappello, quando mi torni a grado di farlo star cheto; che si tolga in pazienza la lunga per amor mio, e non si becchi i geti per disdegno di servit??.

??? Madonna, ??? disse Ugo, proseguendo sul medesimo metro, ??? a cotesto l'ha avvezzo cos?? bene mastro Benedicite, senza esser altro che un povero e rozzo strozziere, che io mi penso non debba a voi riuscir malagevole il fare, non pur quello ch'ei fa, ma i dieci cotanti di pi??. Cionondimeno, sappiate che egli, per averlo cos?? obbediente, ha pur dovuto scegliere tra le svariate qualit?? di carne uno spicchio particolare, e darglielo, quasi a ricompensa di sua fedelt?? e leal vassallaggio.

??? Quale? ??? dimand?? Giovanna di Torrespina.

??? Il cuore, madonna, il cuore! ??? fu pronto a rispondere Ugo.

Or questo dialogo, avvenuto la mattina nel bosco, si ripeteva la notte nella fantasia del signore di Roccam??la. E pensando al suo motto, ei ricordava eziandio che madonna era rimasta silenziosa.

Ma invero, come avrebbe ella potuto rispondergli? Appunto in quel mezzo, tornava a spron battuto, per cercar di loro, il conte Corrado di Torrespina.

S??, la ragione era grave; ma se la venuta del Torrespina aveva interrotto il discorso e tolto a madonna di rispondere, ella ben poteva volgergli uno sguardo nel quale egli avesse a leggere quella dolce promessa, che da tanto tempo implorava con tutte le potenze dell'anima sua.

Ah! e perch?? non aveva egli ottenuto quello sguardo da lei?...

Dimanda che uscitagli appena dal cuore gli si volt?? contro, a guisa di aspide calpestato, e lo morse; dubbio che mand?? un lampo di luce sinistra nelle tenebre della sua mente, e gli fe' credere di avere indovinato il perch?? quella notte e' non avesse potuto pigliar sonno pur anco.

Pensare cotesto e balzar dal letto gittando le coltri lunge da s??, fu un punto solo.

??? La mia anima ?? triste! ??? diss'egli ad alta voce, come se avesse altri nella camera che dovesse udirlo. ??? Non dormir?? questa notte!?????

E sceso il gradino del letto, si diede da capo a passeggiare per la stanza. Ma la testa gli ardeva; il sangue martellava alle tempie; per??, come fu giunto alla strombatura di una finestra, aperse le imposte e si affacci?? sul verone a respirare l'aria fredda della notte.

Il cielo era buio; un soffio gelido, che intirizz?? le membra di Ugo, gli fe' sentire i nuvoloni della tempesta addensati su quelle montagne, e glieli fe' scorgere, paurosamente pendenti sul capo, un solco di luce che improvviso guizzando poco lunge da lui, rischiar?? un denso strato di vapori che stringevano in un cerchio i bastioni e le torri merlate di Roccam??la.

Quello avvicinarsi della tempesta piacque all'animo travagliato dell'insonne. La gran massa del castello gli appariva dall'alto del suo verone, al bagliore di un lampo e spariva; s'imbiancavano di repente le mura digradanti in prospettiva, poi tosto si celavano, ricadendo nella notte. Parea quella una battaglia di spiriti, tanto pi?? paurosa in quanto che non s'udiva cozzo di lance e di scudi, e solo un lontano brontol??o testimoniava il furore degli assalitori.

Gli occhi d'Ugo, poi ch'ebbero avidamente contemplata quella scena stupenda di orrore notturno, corsero di muro in muro, di bastione in bastione, fino alla torre pi?? in fondo, dalla parte del burrone, la torre del Negromante, che mostrava tratto tratto alla luce del temporale la sua alta merlatura e le sue svelte bertesche.

??? Il mio ospite dorme! ??? disse Ugo, guardando la finestra della torre. ??? Egli, il triste cantore, riposa tranquillo, mentre io veglio, io, l'uomo felice dei canti di Fiordaliso!?????

Non aveva anche finito di parlare, che uno sprazzo di luce rossiccia balen?? dal vano di quella finestra. A tutta prima pens?? che fosse l'effetto di un lampo; ma il suo errore non dur?? lungamente. Un lampo venne e non illumin?? soltanto la torre, sibbene tutto quanto egli poteva scorgere dall'alto del suo verone. Oltre di che, la luce del lampo era biancastra, e quella dalla torre era rossa come di fuoco vivo.

Gli corse allora alla mente la leggenda di Roccam??la. Quasi in risposta al suo dubbio, la finestra si rischiar?? di bel nuovo, e, la luce rossa rimase, durando per tutto l'intervallo che correva tra un lampo e l'altro del cielo. N?? bastava ancora; una smilza e lunga figura d'uomo comparve nel mezzo.

Ugo era prode d'animo, come forte di mano, ma v'hanno di tali cose contro le quali non prova nulla il valore, ed egli, a quella doppia apparizione, sent?? corrersi un sudor freddo per tutte le membra.

??? Che ?? ci??? ??? diss'egli. ??? Che vuol dire quella luce? Roccam??la ?? dunque per fermo la dimora di uno spirito maligno? Ma se la leggenda non mente, l'ospite della torre deve dormire nel suo letto e non addarsi di nulla. Or dunque, perch?? quella forma umana in mezzo a quello sprazzo di luce sinistra? Chi sar?? mai?...?????

E allora gli venne in mente un sospetto. Le paure dello strozziere, la scena del ponte calato, il piglio scherzevole del rom??o, la sua sconsolata e sconsolante canzone, tutto si affacci?? incontanente allo spirito.

Rientr?? nella camera, non sapendo bene ci?? che egli volesse fare. Anzitutto ripigli?? le sue vesti in fretta, cinse la sua spada e rafferm?? alla cintura il pugnale.

In quella che era per finire, un suono fievole gli venne udito dalle camere vicine. Aperse l'uscio, entr?? con passo deliberato, e come fu giunto fino alla camera di Fiordaliso, sorrise, vedendo il biondo paggio che dormiva supino sul suo letticciuolo e sognava.

??? Ah! ??? diss'egli. ??? Era Fiordaliso! Il mio paggio va seguendo adesso qualche ventura amorosa: medita una cobla, o una serventese, per qualche belt?? borghigiana.?????

Ha le parole che uscivano rotte e confuse dalle labbra dell'adolescente non erano di amore. Pallido, ansante, e cogli occhi mezzo aperti, egli andava dicendo:

??? Messere... Benedicite avea pur ragione di temere di voi... Una ballata migliore a gran pezza della mia.... S??, certo.... Bel vanto, vincere un giovinetto inesperto, voi vecchio maestro d'ogni scienza... voi Apor??ma in persona...?????

??? Apor??ma! ??? esclam?? il conte Ugo. ??? Apor??ma, lo spirito del male!... Sarebbe egli vero?...?????

Si avanz?? per destare il paggio, ma tosto mutando pensiero si rattenne, e rientrato nella sua camera, torn?? sul verone. La luce rossiccia appariva sempre dalla torre del Negromante, e in quello sprazzo di luce appariva sempre quella lunga figura umana. Conte Ugo tese l'orecchio, e tra gli ululati del vento gli parve di udire il riso stridulo e beffardo del pellegrino.

Prese allora una determinazione; messe la mano sull'elsa della spada; tast?? la guaina del pugnale, come per sincerarsi che non gli mancavano le armi, ed usc?? speditamente dalle sue camere.

La sala era deserta, fredda e presso che buia. Solo un famiglio dormiva sdraiato su d'una panca; una fioca lucerna strideva in un cantuccio. Ugo la tolse, e di tal guisa si rischiar?? la via per un lungo corridoio che ripercuoteva cupamente il suono dei suoi passi, e in capo al quale era una porta ferrata.

Quella porta metteva alla torre del Negromante. Conte Ugo si ferm?? un tratto, depose la lucerna a terra e stette ad udire. Nessun rumore veniva di l?? entro. Scosse il capo, come per cacciare da s?? l'ultimo avanzo di paura, e stese la mano per picchiare alla porta.

Ma innanzi che egli avesse poste le nocche sulla lastra di ferro, la porta gir?? sui cardini, e il pellegrino si affacci?? nel vano, per dirgli col suo consueto piglio tra umile e beffardo:

??? Entrate, messer lo conte! Voi siete in casa mia, e mi sa grado di potervi rendere quella ospitalit?? di che mi foste cortese stasera.?????

CAPITOLO VI.

Nel quale si legge come il rom??o non fosse altrimenti un rom??o.

Il conte Ugo entr?? allora nella camera, e il primo suo atto fu quello di volger gli occhi in giro, quasi cercando le tracce di quel bagliore che avea visto da fuori. Ma nulla era mutato in quel luogo; nulla ei pot?? scorgervi di nuovo. Il letto, di legno di quercia, era nascosto nell'ombra, in fondo alla camera; un grosso stipo ferrato s'innalzava alla parete di rincontro all'uscio; tutt'intorno si vedevano grandi seggioloni neri, con le spalliere di legno rozzamente intagliate a fogliami, coi sedili e i bracciuoli di velluto, fermato agli orli da borchie di ottone. Le pareti, poi, erano coperte di cordovano; ma qua e l?? le ingiurie del tempo avevano fatte larghe fenditure nel cuoio, e gli strambelli pendevano arrovesciati, fida stazione ai ragni che tra essi e la parete andavano filettando le lor tele ingannatrici.

Una lucerna di bronzo sorgeva, avanzo d'altri tempi, su d'un canterano di fianco all'uscio, mandando una luce fioca a pochi passi discosto. Tutto era quiete e silenzio nella famosa camera del Negromante.

Dopo aver considerate tutte queste cose e dopo esser giunto fino al letto, i cui guanciali non apparivano neanche toccati, il conte Ugo si volse al pellegrino che si era fermato presso l'uscio, e col braccio appoggiato sul canterano, la persona appoggiata sul braccio, le gambe incrocicchiate, lo stava attentamente guardando.

Egli v'ebbe tra i due un istante di muta contemplazione, o, a dirla pi?? veramente, d'interrogazione scambievole. Ma il pellegrino fu pi?? forte del conte, poich?? seguit?? a tenergli addosso le ciglia senza far motto; laddove Ugo, non potendo sostenere pi?? oltre quella strana guardatura, entr?? turbato a chiedergli:

??? Chi sei tu? perch?? ho io veduto uno sprazzo di luce da questa finestra?

??? Messer lo conte, io non so dirvene nulla; ??? rispose sorridendo a suo modo il pellegrino ??? e penso piuttosto che quella luce di cui parlate si sia fatta nella vostra mente, e vi sia parso di vederla apparire di fuori.?????

A questa speciosa argomentazione il conte Ugo non seppe come rispondere, e si volt?? in quella vece a muovergli un'altra dimanda:

??? E come hai tu saputo che io venissi da te, poich?? hai aperto quest'uscio?

??? Voi dimenticate i vostri piedi, messer lo conte ??? rispose il pellegrino sul medesimo metro ??? e dimenticate eziandio gli echi del vostro corridoio.

??? Sia pure; ma qual ?? questa ospitalit?? che tu hai detto di volermi rendere? Per che modo puoi tu dire d'esser qui in casa tua?

??? Voi volete saper troppo, messer lo conte! ??? disse ridendo il pellegrino.

Il conte Ugo, che non era punto ingannato da quell'infinto candore del suo ospite, si lasci?? cadere su d'un seggiolone, e fissando in volto il pellegrino, prosegu?? il discorso in tal guisa:

??? S??, v'hanno di molte cose ch'io vorrei sapere. Molto hai detto, e assai pi?? m'hai lasciato nel dubbio. Tu sei dotto, rom??o, e la tua scienza, sebbene non sia gaia, mi tira ad udirti. Parla dunque; non t'infingere con me, non ti schermire dalle mie dimande; dissipa i dubbi che hai fatti nascere nell'anima mia!

??? La mia scienza, messere, si restringe in poche massime; ??? rispose dopo una breve sosta il rom??o; ??? ma non ogni stomaco ?? fatto per digerire un tal cibo. Ora, sarete voi cos?? forte, da potermi udire senza corruccio?

??? Parla, parla, n?? ti dar pensiero di ci??. Vedi, pellegrino, io non so chi tu sia, ma credo di avere indovinato l'esser tuo....

??? Da senno?

??? S??, e tuttavia non tremo dinanzi a te, ti guardo tranquillamente in viso; ascolto senza turbamento tutto quello che vorrai dirmi.

??? Cotesto non prova ancor nulla, messere; voi non siete una donnicciuola paurosa come il vostro falconiere, ed io non sono poi quell'orrido ceffo che metta in fuga i bambini. Sono un povero vagabondo, carico di peccata, che porto del resto senza curvarmi soverchiamente sotto il fardello. Non ho mai recato danno a persona, pi?? di quanto volesse averne di per s??; pi?? spesso ho cercato di sovvenire agli uomini con quel po' di esperienza che m'hanno fruttato tanti anni di vita randagia. Or dunque, di che avreste voi a temere? E non basta ancora. Voi siete per tal modo catafratto, da potervi commettere sicuramente in ogni pi?? arrisicata intrapresa. Siete felice; questa ?? almeno la voce che corre, ed io non so tacervi che ho mutato a bella posta la mia strada per passare da queste parti a vedere questo miracolo d'uomo. Vedere un uomo felice! Cotesto, a mio credere, franca la spesa del viaggio, assai pi?? che la vista del papa, coperto di gemme e di porpora, in mezzo al collegio dei cardinali. Felice invero! Voi siete giovine, possente e bello... s?? bello; non v'incresca, o messere. La bellezza non guasta mai; anzi, e' v'ha chi la pregia su tutte le altre venture del mondo. Uno stuolo di amici divoti vi circonda; sempre feste, gualdane, torn??i, cacce, conviti; dapertutto il primo, dapertutto il prescelto... perfino in un castello non molto lunge di qui....

??? Dici tu il vero?

??? S??, messere, e l'ho di buon luogo.

??? E come lo sai tu? parla; io voglio....

??? Adagio a' ma' passi, messer lo conte! Questo ?? un mio segreto, e il conoscerlo non vi potrebbe giovare in alcun modo; ma siate certo che ella vi ama.

??? Orbene, ??? soggiunse Ugo, ??? e perch?? neghi tu la felicit?? sulla terra? Tu stesso or vedi....

??? S??, vedo; ma vedo altres??....

??? Che cosa?

??? Vedo, ??? continu?? il pellegrino, contando le parole ad una ad una come il cristiano divoto le pallottoline della sua coroncina, e guardando fiso ad ogni parola il suo interlocutore ??? vedo altres?? che voi rimanete pur sempre indietro; che le vostre labbra non le hanno pure sfiorato il sommo delle dita; che madonna ?? severa ed ha cura di s??, pi?? assai che a donna innamorata non si convenga; che infine....

??? Taci, ??? interruppe Ugo, ??? non proseguire in tal guisa!

??? E perch?? dunque invitarmi a parlare? Io ho a mala pena incominciato, e la verit?? vi riesce molesta!?????

Ugo croll?? sdegnosamente le spalle, a queste parole del pellegrino; quindi prosegui:

??? Io mi penso che tu voglia prenderti spasso dei fatti miei. Tuttavia, una cosa non hai potuto negare; ella mi ama.

??? Mai s??, messere, ella vi ama, e che prova ci??? Ella potrebbe disamarvi poi.

??? S?? certamente, se sar?? disleal cavaliero, se mi chiarir?? indegno di lei.

??? Ah, messer lo conte! La fede cieca vi condurr?? forse in paradiso; ma ella per fermo non vi far?? andare diritto in mezzo agli uomini ed alle donne. Quale affetto sopravvive alla morte? Credete a vostra posta nella divozione di coloro che vi circondano, e mettete pure in non cale la sentenza dei vecchi: tempore felici multi numerantur amici. Fidate il cuor vostro ad una donna e sognate la eternit?? dell'affetto; io vi dir?? con tale che ancor non ?? nato: souvent femme varie; bien fol est qui s'y fie.

??? Tu menti! ??? grid?? Ugo, balzando dalla seggiola.

??? Ah, ah! ??? rispose il pellegrino con piglio beffardo. ??? E voi vi scaldate il sangue, messer lo conte; ma tutto ci?? non muter?? d'un punto la verit??. Godetevi in pace la vostra felicit??; io vi aspetto a Filippi, io, il quale, con vostra licenza, so quanto valgono cose e persone, ??? e niun sul prezzo gabbo mi fa.?????

Lo scherno, rivolto contro la donna amata, irrit?? il conte Ugo per modo che non conobbe pi?? ritegno. Le vampe dell'ira gli salsero al capo; gli si offuscarono gli occhi, e sguainata la spada, si scagli?? sul pellegrino.

Ma, sebbene tutto ci?? fosse avvenuto in un batter d'occhio, il colpo and?? a vuoto. Ugo non trafisse che l'aria; il pellegrino era sparito.

Com'egli rimanesse a quella vista, argomenti il lettore.

??? Codardo! ??? grid?? egli, nell'impeto dello sdegno. ??? Tu insulti la donna mia e ti nascondi nell'ombra!?????

Aveva appena ci?? detto, che un riso beffardo gli suon?? dalle spalle. Si volse improvviso, ma rimase di sasso, cogli occhi sbarrati, le braccia tese, e la spada gli cadde dal pugno.

Colui che rideva, era un bel cavaliere, non molto aitante della persona, ma di membra giuste e di gentil portamento. Aveva neri i capegli e ravviati con artistica sprezzatura sulla cervice; vasta la fronte e nitida a guisa d'avorio; aperti lineamenti, il labbro superiore, un tal po' rialzato ad espressione di sarcasmo, era ornato da due sottili basette che guardavano superbamente all'ins??; il viso alto, e gli occhi sfavillanti sotto l'arco delle sopracciglia raccolte, aggiungevano efficacia al piglio sarcastico delle labbra.

Lo sconosciuto era coperto d'un rosso mantello, le cui larghe pieghe andavano a raccogliersi sotto le braccia, che erano conserte al petto e tenevano mezzo nascosta una berretta di velluto nero, da cui pendevano due penne lucenti e sottili. E in quel regale atteggiamento, lo sconosciuto rimase un tratto a guardare il conte Ugo e a sorridere della sua maraviglia.

??? Orbene, conte Ugo, questa ?? l'ospitalit?? di casa tua? Roccam??la ?? dunque una ladronaia, dove si scannano i forestieri??????

Furono queste le prime parole del cavaliere dal rosso mantello.

??? Hai ragione a dolerti! ??? disse Ugo, chinando la fronte in atto di pentimento. ??? L'ira mi aveva acciecato. Straniero, io ti chieggo perdonanza.

??? Che di' tu, ora? ??? ripigli?? quel'altro, stendendogli amorevolmente le braccia e facendo il viso altrettanto soave quant'era stato severo da prima.????? Non pensiamo pi?? a cotesto. D'altra parte, simiglianti puntaglie non fanno che raffermar l'amicizia, ed io t'amo davvero, imperocch?? ci?? non mi avviene pel tuo oro, n?? per la tua possanza, n?? per le delizie di cui tu circondi i tuoi ospiti.

??? Chi sei tu? ??? disse Ugo.

??? Una parte dell'anima tua, che stava appiattata, e balza fuori di presente, al lampo di una prima tempesta.

??? Uno spirito malvagio! ??? soggiunse Ugo, in quella che ricadeva sul suo seggiolone, e, appuntellato il gomito sul bracciuolo, il mento nella palma della mano, si disponeva ad una lunga meditazione.

??? Malvagio! ??? ripet?? il cavaliere dal rosso mantello. ??? Come ti aggrada. Ma considera un tratto; voglio io forse acciuffarti e trascinarti con me nel vano di quella finestra? Poveri uomini! ve n'hanno pur date a bere, questi calunniatori di Apor??ma! Vedi, Ugo di Roccam??la; io vo' dare a te la scienza, quella che i nostri santi padri si tennero gelosamente per s??, bandendo la croce addosso a questo povero spirito che ti parla, e non ha altro intento fuor quello di far uomini, uomini veri, questo branco di creature bipedi e pecorine. Sono Apor??ma; ti spaventa per avventura cotesto? Mutami il nome; sono il dubbio della tua mente, sono lo studio, sono la scienza del bene e del male.

??? Tu sei ??? disse Ugo ??? colui che ha perduto Eva, la madre degli uomini.

??? Ah ah!... storielle! ??? rispose Apor??ma. ??? Lo scrittore della Genesi mi ha attribuito questa parte nelle sue invenzioni; ma io non me ne ricordo punto. Bene ho conosciuta la vostra prima madre, messeri; ma costei non meritava che il diavolo si scomodasse per lei, o le insegnasse la strada degli alberi fruttiferi. Era piccina, panciuta, vellosa, stretta la fronte, e i primi ciuffi di capegli nascenti sull'orlo delle sopracciglia; la faccia ringhiosa; le braccia lunghe e scarne, i pugni grossi, i piedi adunchi; talfiata si lasciava ire ad istinti non bene ancora sopiti nella sua nuova natura e andava saltabellando su quattro piante, la qual cosa non la illeggiadriva di certo; in quanto al pomo, di cui s'?? tanto chiacchierato, essa era donna da arrampicarsi bravamente sui rami e spiccarlo, giusta il costume di tanti altri digitigradi. Ma lasciamola li; se s'ha da intendere quella storiella pel suo verso, cavarne il senso vero dal mito, se infine si vuol dire che ci ho avuto mano a dirozzare la creatura, gli ?? vero e me ne glorio, imperocch?? a me solo, e non altrui, l'uomo ?? debitore di quel tanto che pu?? e di quel tanto che sa. Ho detto.?????

E fatte queste parole, Apor??ma spicc?? leggiadramente un salto e and?? a sedersi, con le gambe penzoloni in aria, sullo stipo ferrato che era di costa alla parete.

??? Apor??ma, ??? disse Ugo, dopo aver meditato un tratto sulle parole dell'interlocutore, ??? puoi tu darmi la certa conoscenza delle cose?

??? Anzitutto dimmi di quali, e ti risponder??.

??? Che cosa rimane di noi, dopo la tomba?

??? Ah! quivi ?? il nodo, e non si va pi?? innanzi.

??? Perch???

??? Non saprei dirtelo. Gli ?? un gran mistero, un arcano di Stato, e il vecchio di lass?? lo custodisce cos?? segretamente, che metto pegno non l'abbia detto nemmanco a suo figlio. Se avessi a metter qui una mia congettura.... Ma a che pro'? Tu chiedi scienza e non ti giovan le ipotesi. Ti basti dunque sapere che il segreto ?? sotto chiave ed io non ho trovato grimaldelli che girassero in quella toppa. Imperocch?? tu devi considerare che la mia possanza ?? ristretta in certi confini; che io non sono eterno, quantunque sia immortale....

??? O come? ??? sclam?? Ugo trasognato.

??? Sottigliezze teologiche; non ci badar pi?? che tanto ??? rispose Apor??ma. ??? Cotesto vuol dire che io son nato con l'uomo, non so se prima o dopo, ma a un dipresso nella stessa olimpiade.

??? E che puoi tu dunque per me?

??? Mostrarti il presente, quello che non esce dai sensi.

??? Gran merc??! Questo io lo vedo con gli occhi miei, senza mestieri di aiuto.

??? No, i tuoi occhi s'ingannano, i cinque sensi sono una congiura ordita di continuo contro di te, un laccio teso alla tua carne, un trabocchello preparato sotto i tuoi passi.

??? E potr?? io spogliarmi di questa mala compagnia di traditori? potr?? io gettarli lungi da me, come fa della scoglia il serpente?

??? Perch?? no?

??? Di' tu il vero? puoi tu farmi altr'uomo da quello che io sono?

??? S??, posso, e, dove tu il voglia, posso anche farti spettatore del tuo funerale.

??? E vedere.... e sapere....

??? S??, ogni cosa; ma ti dar?? l'animo di cominciare, di separarti per tal guisa da te medesimo??????

Ugo rimase un istante sovra pensieri. Il s?? e il no gli tenzonavano in mente.

??? Domani a notte! ??? rispose egli, dopo aver meditato.

??? Perch?? domani e non ora?

??? Perch??... non ardisco....

??? Uomo di poca fede! ??? grid?? Apor??ma, con accento di amarezza ineffabile. ??? Uomo! uomo! io ti conosco da un pezzo; sempre cos??, da che hai cominciato a fraintendere te stesso; sempre tentennante; impastato di se e di ma, non acconcio ad altro che a fare il bene a mezzo, e il male del pari!

??? Tu sei molto severo, Apor??ma!

??? No, non io severo, tu fiacco; tu che non sai distogliere lo spirito da questo tuo sogno fanciullesco. Egli si direbbe per mia fe' che tu bene intenda aver io ragione, e non sappia determinarti a scorgere il pauroso vero! Ora io ben so tutto quello che hai in mente di fare. Tu vuoi ritemprarti ancora una volta nella festosa compagnia e nelle piaggerie degli amici; tu vuoi rivedere la donna che t'ama, ma che non ?? tua, e che intende esser teco quello che sar?? tra non molto una superba o sciocca Avignonese, col pi?? gentile e col pi?? illustre italiano del suo tempo.?????

Ugo chin?? tristamente il capo a quella r??ffica di parole con cui lo flagellava Apor??ma.

??? Orbene, io parto! ??? ripigli?? questi dopo una breve sosta. ??? Andr?? a sellare Lutero, il mio fido ronzino e lascer?? questa rocca dove s'?? bastionata la cecit??, la fiacchezza umana. Papa Leon X ?? ancora di l?? da venire; ho dugent'anni e pi?? in mia bal??a per andargli a preparare il terreno in Lamagna, dove sono assai pi?? filosofi e buoni loici di qui, e l'opera mia torner?? certo pi?? utile che non a guastarmi la mano quass??, intorno ad un uomo che ha occhi e non vuol vedere, orecchi e non vuole udire. E tuttavia, vedi debolezza di demonio, io m'ero innamorato di te, Ugo di Roccam??la; per te volevo fare un esperimento senza mio utile alcuno, per te violare le leggi dominatrici della materia, per te insomma.... Orvia, gli era scritto che tu pure fossi un uomo della fatta di tutti gli altri. Addio, dunque, e sta sano di membra, se esserlo di mente non vuoi.

??? No, non partire, Apor??ma, non lasciarmi cos??! Ugo di Roccam??la non ?? un codardo come tu pensi. Che debbo io fare?

??? Ber questo! ??? disse Apor??ma.

E trattosi dal dito un anello di metallo nero, su cui luccicava un grosso diamante, fe' scattare, con un lieve tocco dell'unghie, la pietra preziosa dalla sua incastonatura.

??? Che c'?? egli qui dentro?

??? Due gocce di un liquore che non fa male, stillato dall'albero non favoloso della scienza, e che a te dar?? la conoscenza vera del cuore umano....

??? Porgi! ??? grid?? conte Ugo.

E preso l'anello dalle mani di Apor??ma, fe' per accostarlo alle labbra. Ma questi non gliene lasci?? il tempo, ed afferratogli il braccio per ripigliarsi l'anello, gli disse rabbonito:

??? Sta bene, flgliuol mio! Tu sei un prode cavaliere, ed io ben voglio che tu beva il liquore della scienza. Ma cortesia per cortesia; noblesse oblige, come dicono i cavalieri di Francia e Navarra. Tu hai a leggere, innanzi di bere, una pergamena che si conserva in questo stipo ferrato.

CAPITOLO VII.

Dove si legge del patto che il vescovo Gualberto aveva fermato col diavolo.

Cos?? dicendo, Apor??ma si accost?? allo stipo, da cui era gi?? disceso, innanzi la minaccia di andarsene via dal castello, e toccata leggermente una delle cento borchie ond'era fregiata l'esterna fasciatura dell'armadio, fe' scattare una molla. A quel colpo, una sbarra orizzontale, che parea semplice ornamento dello stipo, si mosse, e per la fessura che lasci?? scoverta, Apor??ma ficc?? destramente le dita, facendone balzar fuori un libro grande e sottile, dalle carte di cuoio lavorato a rilievo.

??? Ah! ??? sclam?? conte Ugo. ??? Il libro nero non era dunque una favola?

??? No; la leggenda diceva il vero; ??? rispose Apor??ma ??? eccolo, il libro che i tuoi maggiori hanno sempre vanamente cercato. Apri il fermaglio di ottone; vedi la pergamena, com'?? intatta e pulita!?????

Ugo afferr?? il libro, e corse al lume della lucerna per leggere. Sulle prime gli occhi abbacinati non distinsero nulla in quella fitta scrittura, le cui parole erano la pi?? parte abbreviate, giusta il costume del tempo; ma a poco a poco, chetandosi lo spirito confuso, e avvezzandosi gli occhi allo scritto, incominci?? a cogliere il senso di quello scarabocchio. Ora ecco ci?? che egli lesse:

In nomine Domini, amen.

In hac die novembris XXIX, anno a nativitate Domini MCLXIII, ego Gualbertus episcopus veni ad hanc turrim quae dicitur nigromantis in Arce mala et diabolum adjuravi qui eam inhabitat. Et mihi respondit ille, se d??monem, famulunque comitis Hugonis de Arce mala fuisse, et sibi nomen Apor??ma. Addidit se nunquam castrum hoc deserere voluisse, juramenti caussa, quod fecerat pr??dicto comiti Hugoni, dum ille vivebat, se sobolem ejus assidue protecturum. Et iterum adjurans eum efficacibus scripturae verbis, mihi etiam respondit se libenter discessurum esse et hoc sine perfidia facere posse, dummodo redire posset quotiescumque aliquis praedicti Hugonis nepos felix aut aliter in re sua beatus haberetur; nam sibi nomen antea Lucifer, ideo lucem ferendi officium sibi, cui numquam deesse poterit per tempora. Quid lateat sub hac conditione haud mihi clarum est, et hoc tantum obtinui et huic foederi accedere debeam. Deus mihi adsit et comitibus de Arce mala, ne quid detrimenti ex hoc nobis adveniat.

??? Gualbertus
Apor??ma.

??? Intendi tu dunque? ??? disse Apor??ma, facendosi cortesemente a volgarizzargli il latino del vescovo Gualberto. ??? ??Al nome di Dio, amen! In questo d?? 29 novembre dell'anno 1163 dalla fruttifera incarnazione, io Gualberto vescovo son venuto nella torre che ?? detta del negromante, in Roccam??la, ed ho scongiurato il demonio che l'abita. Egli mi ha risposto essere stato lo spirito familiare del conte Ugo di Roccam??la e aver nome Apor??ma, aggiungendo non aver mai voluto lasciare il castello a cagione di sacramento fatto al predetto conte Ugo, in suo vivente, che mai sempre avrebbe protetta la sua stirpe. E da capo scongiuratolo, con le efficaci parole della Scrittura, mi ha risposto eziandio non aver egli difficolt?? a partirsene, e poter anzi ci?? fare senza mancamento alla data fede, purch?? potesse tornarvi quantunque volte fosse un discendente del conte Ugo che nella comune estimazione si tenesse felice, od altrimenti nelle sue faccende beato; imperocch?? il suo primo nome era Lucifero, epper?? l'ufficio suo era di portar luce, e a cotesto suo debito e' non avrebbe mai potuto fallire. Che cosa si nasconda sotto questa condizione m'?? oscuro, ma ci?? solo ho ottenuto, e dovr?? contentarmene. Iddio protegga me e i conti di Roccam??la, che non ce n'abbia a derivare alcun danno.?? Tu vedi, c'?? il nome del vescovo accompagnato dalla croce e scritto d'inchiostro nero, e c'?? quest'altro sgorbio che vuol dire Apor??ma, fatto con inchiostro rosso, giusta la mia consuetudine.

??? Ma che vuol dir ci??? ??? chiese Ugo ammirato. ??? Che fine riposto ?? egli questo tuo, che il vescovo Gualberto non ha potuto penetrare?

??? Ah, si! ??? disse ridendo Apor??ma. ??? Il sant'uomo non sapeva capacitarsi di quel mio disegno, che egli anzi non si perit?? di chiamare stramberia. E' giunse perfino a dirmi che quella condizione tornava tutta a mio danno, dappoich?? veramente sulla terra nessuno era avventurato, e la felicit?? risiedeva soltanto nella citt?? di Dio, nella Gerusalemme celeste, ed altre storielle di quella fatta. Ma, comunque e' rigirasse i periodi, non gli venne fatto cavarmi il segreto di corpo. ??? Tanto peggio per me, vescovo Gualberto! ??? gli dissi; ??? tanto peggio per me se non potr?? pi?? tornare; intanto scrivi il patto sulla tua pergamena, e ti basti sapere che io manterr?? la promessa.

??? E tu mi rispondi ora ??? soggiunse Ugo ??? come hai risposto al vescovo Gualberto!...

??? No, in fede mia, ??? rispose Apor??ma; ??? e vo' dirti ogni cosa, sebbene con quella riserbatezza che si addice a cos?? scabroso argomento. Sappi che il tuo antenato era un uomo felice, poich?? tale si credea veramente. La sorte aveva arriso alle sue armi: il suo valore lo avea fatto padrone di assai pi?? terra che a te non ne sia rimasta in dominio; Roccam??la era il lieto ritrovo di nobilissimi baroni che a lui facevano corteggio e alla bionda Gerberga, la figliuola del marchese di Monferrato che gli era stata data in isposa. Come avvenisse, non istar?? a dirti per filo e per segno; ma un giorno il conte Ugo dubit?? della sua felicit??. Gi?? in fondo al burrone su cui pende questa torre, taluno and?? a sfracellarsi la cervice; ma nulla parve mutato nelle consuetudini del castello. Soltanto, fu detto di un barone Anselmo di Leuca, che egli fosse andato pellegrino in Terra Santa, e di questo barone Anselmo pi?? non si ebbe novella, e nessun ciglio parve aggrottarsi, nessun volto soave arrossire, quando il nome di lui era pronunziato in Roccam??la. Un volto soave incominci?? bens?? a scolorarsi lentamente, fino a tanto nol racchiuse la tomba qualche anno di poi, e ci fu un magnifico funerale, e i frati del convento vicino venerarono una santa di pi??. Un'altra fronte and?? a mano a mano rannuvolandosi, e non ci fu pi?? verso di spianarne le rughe. Fu in quel torno che Apor??ma, il maestro della scienza che non inganna, pose dimora in questa torre; fu egli che chiuse le ciglia all'amico, con la promessa che le avrebbe aperte a qualunque dei suoi discendenti avesse amato di tenerle chiuse alla luce faticosa, ma utile, della verit??.

??? Anselmo di Leuca!... ??? sclam?? il giovine signore di Roccam??la. ??? Io dunque....

??? No, non temere per la bont?? del tuo sangue! ??? interruppe Apor??ma. ??? I signori di Leuca sono di nobil legnaggio, e Ansaldo, l'amico tuo fedelissimo, pu?? andarne superbo; ma tu sei un Roccam??la davvero, e nelle vene del secondo Ugo scorre qualche goccia di sangue del primo.

??? E dov'?? egli ora, il mio nobile antenato? ??? chiese Ugo.

??? Nol so, ??? disse Apor??ma; ??? o, per dirla col vescovo Gualberto, haud mihi clarum est; ma egli ben potrebbe essere qui presso di noi, per vedere com'io gli abbia tenuta la fede.?????

Un improvviso bagliore rischiar?? in quel punto la camera, facendo impallidire il lume della lucerna, e tosto gli tenne dietro l'orribile frastuono della folgore.

??? To' vedi! ??? soggiunse Apor??ma. ??? Sembra ch'ei ci abbia uditi a parlare di lui e che ti conforti ad essere un uomo della sua tempra.

??? L'anello, Apor??ma; porgi l'anello!

??? Eccolo!?????

Ugo prese l'anello dalle mani di Apor??ma e si diede a considerarne minutamente il castone, facendo girare il diamante sulla cerniera. Poche gocce di liquore color di fuoco gli apparvero nella piccola cavit?? che era rimasta scoverta, ed egli, poich?? l'ebbe guardate, cadde in una profonda meditazione.

??? A che pensi tu ora? ??? gli chiese Apor??ma.

??? A lei! ??? disse Ugo. ??? O non le fo oltraggio, forse, tentando una simile prova?

??? Non ti mettere a questa impresa, se ci?? temi; ??? soggiunse Apor??ma. ??? Io gi?? te l'ho detto: non vo' nulla per violenza da te. Inoltre, odimi bene, Ugo di Roccam??la! Io non ti pongo alcun patto; l'esperimento durer?? quanto ti aggradi, e tornerai Ugo ogni qual volta ti piaccia. Non ti chiedo l'anima tua; non ti punger?? una vena perch?? tu abbia a sottoscrivere una carta; Apor??ma ?? cavaliero e non un giudeo che presti ad usura.

??? Oh, egli non ?? di ci?? che m'importa! ??? grid?? conte Ugo. ??? Se tu di' il vero, se nulla resiste o sopravvive alla morte, n?? la vita di questo mondo, n?? la ignota che ci promettono, francano la spesa di essere vissute. Orbene, eccoti contento, ho bevuto!?????

E cos?? dicendo, pose le labbra intorno al castone dell'anello, e avidamente succhi?? il rosso liquore.

??? Ah! che mi hai tu dato? ??? sclam?? egli, a mala pena ebbe finito.

??? Guarda! ??? gli disse Apor??ma, accennandogli col dito a' suoi piedi.

Ugo guard?? e mise un grido di spavento. Un corpo morto giaceva a terra, disposto per modo che i piedi del cadavere toccavano i suoi.

??? Guardalo, ??? prosegui Apor??ma, ??? guardalo, il tuo sozio fedele, il tuo unico amico verace, quantunque un tal po' prepotente; quello che non ti ha mai abbandonato un istante, dacch?? hai aperto gli occhi alla luce; quegli che ha sempre sorriso e pianto, goduto e patito con te; guardalo ed usagli la cortesia di qualche carezza; stringi fra le tue braccia quel petto rilevato e robusto, appariscente sotto una maglia aggiustata d'acciaio, come sotto un giustacuore di seta di Bagdad; metti le mani su quelle chiome nere e lucenti che svolazzavano in aria con superba leggiadria quando serravi Aquilante tra le vigorose ginocchia e lo spingevi a galoppo; bacia quella fronte bianca, ahi troppo immemore d'altri baci e pur mo' desiosa di nuovi; tanto ?? vero che l'uomo desidera ci?? che egli non ha avuto ancora, e ci?? ch'egli ebbe facilmente dimentica.?????

In quella che Apor??ma cos?? parlava tra grave e beffardo, secondo il costume, Ugo si era curvato su quel corpo morto e l'avea riconosciuto per la sua spoglia mortale. Lo contempl?? un tratto e non senza mestizia; quindi, come percosso da un pensiero improvviso, si alz?? per guardarsi la persona.

??? Ed io... io... chi sono io mai, se il mio corpo ?? cost???

??? Va, quello ?? uno specchio; ??? disse Apor??ma. ??? Conte Ugo corse difilato ad una larga spera di terso metallo, che era sospesa alla parete daccanto alla finestra; il demone taumaturgo prese la lucerna e l'alz?? fino presso il volto del giovine.

Ugo vide allora l'immagine sua, che era quella d'un bel cavaliero, dagli occhi azzurri, dalla florida carnagione a cui dava pi?? risalto una fina capigliatura bionda, dalla svelta statura, e sfarzosamente vestito. Si contempl?? ammirato, mosse gli occhi, il capo, il petto e le braccia; quindi si volse a cercare l'antica spoglia: ma essa non era pi?? nella camera.

??? Dov'?? andato il mio corpo? ??? chiese allora ad Apor??ma.

??? O che? pensi tu forse ch'io non sappia fare le cose a dovere? Esso ?? gi?? nella tua camera, disteso nel tuo letto e porta i segni di una morte avvenuta per riflusso di sangue al cervello. Tra due o tre ore entrer?? il biondo Fiordaliso a svegliarti. Immagina le grida del trovatore adolescente! Tosto il castello sar?? a soqquadro; gli amici e i famigli che correranno di qua e di l?? all'impazzata; mastro Benedicite che grider?? di aver tutto presagito, e che, se a lui si fosse aggiustato fede, non si sarebbe lasciato entrare il rom??o. Allora si penser?? a venire nella torre del negromante; ma un certo odore di zolfo che a taluno parr?? di sentire, li mander?? tutti indietro sbigottiti, e non si avr?? coraggio di mettervi il piede, se non dietro all'orme di frate Alberto, monaco tenuto in concetto di santit??, il quale star?? qui lunga pezza in preghiera. Poscia, spruzzato non so bene quante volte d'acqua santa, avrai esequie degne del tuo alto stato, e sarai sepolto fra le tombe de' tuoi maggiori. Amen!

??? E lei.... ??? chiese Ugo peritoso ??? e lei che dir???

??? Questo non vo' raccontarti fin d'ora, ma non andr?? molto che tu ne saprai quanto io, imperocch?? la vedrai coi tuoi occhi medesimi.... vo' dire con quelli che hai tolti a prestanza da me.

??? E quando la vedr???

??? Non oggi, n?? domani per fermo, imperocch?? tu vai cavalcando con grossa e nobil masnada verso il suo castello, dal quale sei ancora cinque giornate lontano.

??? Ma dimmi, chi sono io ora, qual personaggio rappresento?

??? Non lo senti? Sei Morello, il secondogenito del marchese di Monferrato, e ti rechi a Genova per chiedere le galere che dovranno condurre a Costantinopoli la tua bellissima sorella, disposata all'imperatore Andronico, al figlio di Michele Paleologo.

??? Ah, s??, comincio a ricordarmene; ho la mia gente che m'aspetta a Falconara.... E tu, chi sei?

??? Non mi riconosci pi??? Sono il tuo giovine amico, il trovatore Rambaldo di Verr??a.

??? S??, s??, lo rammento. Iersera, alla nostra fermata presso il castellano del Bormio, tu m'hai cantata una leggiadra servantese intorno alle bellezze pi?? riputate dell'oriente e dell'occidente.

??? Sulle quali porta la palma la genovese Elena Ascheria, la figlia di Orlando Aschero, uno de' pi?? valenti capitani della repubblica; Elena che tu vedrai ed amerai, se pure ti piacer?? di proseguire il viaggio fino al mare.

??? No, no, io non porr?? piede sul territorio della repubblica genovese ??? grid?? Ugo, a cui Apor??ma andava ispirando grado a grado la memoria e i concetti del suo nuovo stato. ??? Giunger?? col?? lo ambasciator di mio padre; io mi fermer?? in qualche luogo ad aspettar l'esito dell'ambasceria.

??? A Torrespina, non ?? egli vero?... ??? chiese ghignando Apor??ma.

??? A Torrespina, perch?? no? Cortese ?? il castellano, e il figlio del marchese di Monferrato ?? cos?? orrevole personaggio, che ognuno abbia a tenersi d'avergli potuto dare ospitalit??.

??? Oh, se ne terr??, non dubitare, e se ne terr?? eziandio non poco la castellana.?????

A queste parole del demonio, che gli entrarono come la punta di un verrettone nel petto, Ugo di Roccam??la sobbalz??, scagliando al compagno un'occhiata sdegnosa.

??? Suvvia! Vedremo tutti alla prova, e chi avr?? il torto sar?? tanto buon cavaliero da confessarlo. Vieni dunque; la tempesta s'?? racchetata di fuori; tra poco a Falconara si sveglier?? il campo, e se i tuoi cavalieri non ti vedono, penseranno un subisso di male venture.?????

Cos?? disse Apor??ma, e preso per mano il conte Ugo, si dilegu?? con esso lui ne' vapori del nascente mattino.

CAPITOLO VIII.

Nel quale si racconta di una gualdana che fa al castello di Torrespina.

Pochi conoscono que' paesi appenninici, che si stendono in lunga e frastagliata zona tra i greppi del versante ligustico e le Langhe dell'alto Monferrato, nelle quali si confondono, creando come una stirpe nuova, se pure non ?? pi?? acconcio il dire che qui veramente si abbia a trovare incorrotto l'antico sangue dei liguri, e dando vita ad una parlata, genovese nella struttura, piemontese nelle desinenze, che giunge all'orecchio piena di agreste leggiadria. Pochi, ho detto, conoscono que' paesi, e tuttavia non so d'alcun luogo che li vinca in montanina e silvestre bellezza.

La gente ricca va a consolar gli occhi in Isvizzera, e non sa di avere una Svizzera in casa sua, degna di esser veduta e studiata; va a rinfrescar le fonti dell'immaginazione sulle sponde leggendarie del Reno, e non sa di avere un altro Reno, anzi pi?? d'uno a due giornate discosto, vo' dire la Bormida, il Tanaro, e gli altri fiumi minori che hanno sorgente nei liguri Appennini.

Qui orride balze nevose donde lo sguardo specola tutto intorno per lunga distesa di terre fino alla capitale lombarda; qui balze dove l'orizzonte si stringe e l'acque rinchiuse rumoreggiano, cercandosi stentatamente una via tra i massi; qui splendida verdura di pascoli e lunga sequela di fitte boscaglie, che vanno scendendo per varia vicenda di larici, quercie, faggi e castagni, fino alle regioni del salcio e del pioppo; dappertutto rigogliosa vegetazione, imperocch?? il benefico sole non dimentica alcuna parte della terra italiana. E tutto lungo quelle creste di monti, sia che digradino verso il mare, sia che accennino alle Langhe, vedete star ritti ancora e minacciosi gli avanzi dei castelli feudali, veri nidi di sparviero, donde non esce pi?? e dove non va a posarsi l'uccello di rapina, ma che tuttavia lo stuolo dei pennuti minori non sa guardar senza tema.

Andate nei piccoli borghi, che paiono starsi ancora muti e paurosi sotto la vigilanza di quei giganti dalle ossa sgretolate e dalle occhiaie vuote, e troverete la gente pi?? schiettamente cortese, i discendenti di quella forte e semplice schiatta che la possanza romana non seppe vincere del tutto; donne leggiadre che vi sorrideranno senza malizia; uomini tagliati alla buona che non vi spoglieranno all'insegna dei tre Re, n?? a quella del Cannon d'oro; e un notaio, o un vecchio prete, i quali non avran letto Alessandro Dumas e vi daranno per nulla, insieme co' liquidi topazii di una vecchia bottiglia sturata in onore dell'ospite, le commoventi leggende del castello vicino.

I miei pochi benevoli, quelli, io vo' dire, che vanno leggendo, a mano a mano ch'io le scrivo, le mie povere storie paesane, conoscono gi?? queste alture, dai malinconici luoghi in cui a Calisto Caselli si maturarono i germi della pazzia e dove la bella figura della giovane castellana di Villacervia si mut?? agli occhi suoi nella santa Cecilia del calendario romano. Costoro io condurr?? oggi a Torrespina, altro castello di quei luoghi, ma facendo far loro un viaggio a ritroso di cinquecento ottanta e pi?? anni.

Giovinetto, io fui su quel poggio dove la gran mole sorgeva; mi arrampicai, non senza danno delle mie vestimenta, tra i prunai della ripida costiera, qua e l?? seminata di grossi macigni e dei ruderi enormi de' bastioni sfranati. Le mille svariate erbe dei prati crescevano rigogliose nel fosso colmato; la vispa lucertola correva liberamente su per quelle pareti dove l'attento famiglio non avrebbe patito una ragnatela; la serpe si scaldava al sole sopra un mucchio di rottami, nell'angolo superstite di un torrione crollato dalle fondamenta. Io colsi un ramoscello di menta selvatica lunghesso le mura maestre dell'androne; col mio temperino da scolaro recisi una bacchetta di nocciuolo nella gran sala, e mi foggiai una specie di flauto nella fresca corteccia d'un ramo di castagno, tagliato col??, dov'erano forse gli appartamenti dei signori del luogo. Poscia, con uno di quei felici trapassi che arridono soltanto alle menti giovanili, mi diedi a pensare; sognai che ero il padrone di quelle rovine, che avevo fatto restaurare il castello, munitolo di feritoie tutt'intorno pe' miei balestrieri, e resolo dentro un luogo di delizie, per darvi onorato ricetto alla donna dei miei pensieri, che era ancora di l?? da venire.

Perch?? dicevasi Torrespina? Gli archeologi dozzinali parlavano di una famiglia Spina, la quale doveva essere alcun che di simigliante agli Spinola; ma il notaio, uomo di sbardellata dottrina, che andava a cercare ogni etimologia nel latino o nel greco, asseriva doversi ripetere quel nome da Turris poena, fantasticando non so che fermata di Annibale, allorquando discese in Italia. Con buona pace del notaio, e dell'anima sua, imperocch?? egli ?? di presente tra i pi??, io m'attengo ad una vecchia cronaca dei signori Del Carretto, la quale ci narra essere stata cos?? battezzata la torre da Enrico il Guercio, che fior?? nel 1140, e fu contemporaneo di Ugo il Negromante, imperocch?? quella torre, o castello, era una spina per lui, cio?? un ostacolo all'accrescimento dei suoi dominii da quel lato.

Non s'ha per cotesto a credere che i conti che l'abitavano fossero gente di molta possanza. Destri erano in quella vece non poco, ed avevano inteso il tornaconto di allearsi al valoroso signore di Roccam??la, per far argine uniti allo strapotente marchese. Questa alleanza era poi quasi una necessit?? politica; dappoich?? Torrespina si trovava appunto in mezzo ai due avversarli, e il manco forte dei due non sarebbe riuscito mai un troppo pericoloso vicino. Donde poi venissero i Torrespina non so; probabilmente ebbero una origine somigliante a quella dei Roccam??la, il cui capo stipite veniva di Lamagna, o a quella dei marchesi di Monferrato, derivati da un conte Guglielmo, condottiero giunto con trecento uomini dalla Francia, in compagnia di quel Guido che fu poscia duca di Spoleto e che premi?? quella sua lancia spezzata con largo presente di borghi e castella sul territorio conquistato.

Al tempo di cui narro, i Torrespina non erano degli ultimi signori che tenessero corte tra la Liguria e le Langhe; ma il loro lustro, lo splendor del casato, pi?? ancora che alla feudale possanza, era da attribuirsi a quella Giovanna, figliuola del marchese di Cengio, celebrata per divina bellezza ed altissimo ingegno, moglie al conte Corrado, ed amata, siccome gi?? sanno i lettori, da Ugo di Roccam??la.

Torrespina era murata su in alto del monte, dove la sua triplice merlatura e le sue svelte bertesche si dipingevano leggiadramente nell'azzurro del cielo; ma a mezza costa scorgevasi il grosso del castello, dove era l'abitazione della famiglia, congiunto all'edifizio pi?? in alto da una via coperta e da altre opere di fortificazione. Uno spesso muro, intorno al quale correva da entro un ballatoio assai largo per tenere gli arcadori all'altezza delle feritoie, scendeva fino alla riva del fiume, dov'era una porta, ben difesa da due torrioni tondeggianti, la quale portava scolpite in marmo, sul cordone dell'arco a sesto acuto, le armi dei Torrespina; una torre su cui sorgeva un prunaio, coll'impresa in lingua di oltre Alpi: ??qui s'y frotte s'y pique.??

Qualche mordace borsiero (che cos?? chiamavansi italianamente i giullari) aveva detto il castello di Torrespina esser troppo grande per una cos?? magra contea; la qual cosa ripeteano, sebbene con frase pi?? misurata, gli uomini d'arme, dicendo che a ben sostenere il motto, in cos?? largo giro di mura e di torri, sarebbe bisognato assai pi?? di gente che il conte Corrado non potesse raunare.

Ma cotesta era una chiacchiera e nulla pi??, pel tempo in cui si vivea. Qual possente nemico avevano a temere i castellani di Torrespina? La signoria Del Carretto, divisa fin da cent'anni addietro in quattro marchesati, s'era da capo e pi?? volte sminuzzata pel moltiplicarsi di quella stirpe, ed aveva inoltre perduto grandemente di sua possanza per molte concessioni dovute fare ai nascenti comuni; uno de' quali. il pi?? ragguardevole, aveva anzi rivendicata la sua libert??.

N?? vuolsi tacere che Torrespina durava da un pezzo in buona pace ed amicizia con tutta quella pleiade di marchesi e conti delle Langhe. Giovanna, la divina Giovanna, era figlia di uno di loro, che abbiamo gi?? nominato, il marchese del Cengio; epper?? l'amicizia si stringeva ad alleanza. Amici erano i Roccam??la; i marchesi del Monferrato, poi, gli unici strapotenti dei quali si avesse per cosa alcuna a temere, a ben altre imprese tendevano l'arco; i re di Tessalonica, i cognati degli imperatori d'Oriente, non avevano per fermo ad invogliarsi di quelle piccoli corti vicine, alle quali anzi amavano essere amici, poich?? riuscivano ad essere, anche senza addarsene, le loro scolte e le loro vedette.

Cos?? raffidata per ogni verso, Torrespina era divenuta un convegno gradito di ozi nobileschi, di cacce, di giostre e di tenzoni poetiche. La presenza di una gentildonna colta e leggiadra come la contessa Giovanna, l'aveva tramutata in una vera corte d'amore, famosa quanto quelle di Provenza nelle canzoni dei trovatori e nella ricordanza de' cavalieri. Cotesto liberava il conte Corrado dalla necessit?? dispendiosa di un grosso presidio, e gli consentiva di impinguare lo scrigno di bei bisanti d'oro, per i quali egli serbava tutta la sua tenerezza.

Orrevole cavaliere, del resto, e punto nimico dello spendere, quando occorresse. A lui per fermo non avrebbe potuto andare lo scherno di Guglielmo borsiere, del quale racconta il Boccaccio, che essendo a Genova in casa di Erminio Grimaldo, universalmente chiamato messere Erminio Avarizia, e avendone avuta la preghiera ch'ei volesse insegnargli com'ei potesse far dipingere in sala alcuna cosa non prima veduta, prontamente rispose: Fateci dipingere la Cortesia. Siffatti insegnamenti non bisognavano al conte Corrado; e di vero, appena fu giunto in gran sollecitudine da lui il trovatore Rambaldo di Verr??a, per annunziargli l'arrivo di Morello, secondogenito del marchese di Monferrato, tosto per suo comandamento fu sossopra il castello, affinch?? ogni cosa fosse in pronto per ricevere un ospite cos?? ragguardevole, con tutta la gualdana che gli faceva cort??o.

Intanto Morello di Monferrato si avanzava con la sua gente, argomento di curiosit?? per tutti i terrazzani, che si avanzavano stupefatti sugli usci de' casolari a veder passare quella numerosa cavalcata.

Erano sessanta lance; ogni cavaliere accompagnato da' suoi fantaccini; tutti orrevolmente vestiti, i cavalieri d'acciaio, con cappe di lana, i fantaccini con succinti farsetti, anche essi di lana, e di colore amaranto, come le cappe dei cavalieri. Tutta questa gente procedeva in bell'ordine, che la era una meraviglia a vedersi; i cavalli, muovendosi in cadenza, faceano svolazzare i lembi delle sopravvesti e i cimieri piumati; le maglie d'acciaio, i ferri delle lance scintillavano al sole.

Ma sopra tutti attirava gli sguardi della gente il marchese Morello, bellissimo garzone, dai capegli biondi e dal volto roseo, allora sui ventiquattr'anni, cio?? nel fior dell'et??, felice trapasso dalla balda giovent?? alla fermezza virile. Egli era vestito d'una finissima maglia d'acciaio che lo stringeva alla vita; ma sulla maglia gli ricadeva un sorcotto di seta, di colore amaranto, fatto a guisa di quelle antiche sopravvesti chiamate dalmatiche, le quali coprono il petto e le spalle, lasciando liberi i movimenti delle braccia e de' fianchi. Quel sorcotto portava ricamato sul dinanzi lo stemma dei signori di Monferrato, d'argento, col capo di rosso, ed altri fregi tutt'intorno, mirabilmente condotti.

Il giovine signore cavalcava un magnifico destriero, morello come il suo nome, vo' dire di manto nero, a cui faceva contrapposto il bianco cavallo di Rambaldo di Verr??a, altro nobilissimo animale. Ambedue pronti al passo, ed impazienti di freno; ma pi?? di loro a gran pezza impaziente il biondo signore, che, giunto ad una svolta della strada dove s'incominciavano a scorgere le mura merlate di Torrespina, ficc?? gli sproni nel ventre al destriero. Questi, rispondendo obbediente allo stimolo del suo signore, inarc?? il collo, squass?? la folta criniera e si messe al galoppo, quantunque in discesa, per la via che conduceva al fiume. E tutta la gente di Morello, mossa dall'esempio, lo seguit?? di quel metro, con alto fragore di passi e di armature, e sollevando lungo il cammino percorso un nembo di polvere.

??? Bello e nobil maniere ?? Torrespina! ??? esclam?? messer Brandalino di Cocconato, che galoppava al fianco del marchese Morello. ??? E' merita invero che si corra a precipizio per giungervi.?????

Morello non rispose verbo, ma strinse pi?? forte ne' fianchi la sua cavalcatura. Il cuore gli batteva; gli occhi correvano desiosi innanzi, divorando la strada.

??? Adagio! adagio! ??? gli susurr?? dall'altro lato all'orecchio Rambaldo di Verr??a. ??? Tu la vedrai tra breve. Ecco il conte Corrado, che gi?? si mostra sul ponte.?????

Diffatti, gli arcieri posti alle vedette sul ponte, avevano gi?? fatto avvisato il conte Corrado dell'avvicinarsi della gualdana, e il castellano era sceso fin l??, per attendere al varco il suo ospite.

Il conte Corrado si potea scorgere da lontano, con la sua cappa di velluto verde scuro foderata di saio e il berretto sormontato da una piuma bianca, fermata da una rosetta di smeraldi. A' fianchi suoi si notavano inoltre cinque o sei gentiluomini, assai bene in arnese, che stavano, com'egli, aspettando i nuovi venuti.

??? Ah! ah! ??? disse Rambaldo di Verr??a all'orecchio del suo signore. ??? Que' cavalieri m'hanno aria di gente che tu conosca per bene. O non ti sembra egli, Morello, che siano i tuoi nobilissimi e fedelissimi amici di Roccam??la?

??? S??, per mia fe'! ??? grid?? Morello. ??? Bene essi mi sembrano al portamento. E sono poi molto leggiadramente vestiti....

??? Non badare a cotesto! ??? rispose l'altro, ghignando. ??? Vestono le gramaglie per la morte di un loro dilettissimo amico.?????

Morello si volse con grave cipiglio a guardare il suo interlocutore.

??? E sono appena cinque giorni!... ??? diss'egli poscia, chinando le ciglia.

??? No, t'inganni, Morello. In una notte tu hai dormito trenta giorni; Ugo di Roccam??la ?? gi?? da un mese nelle tombe dei suoi maggiori.

??? Ah! ??? sclam?? il giovine. ??? Tu non sei stato a' patti.

??? Chi lo dice? Tu devi sapermi grado dello averti tolto il fastidio maggiore, imperocch?? oramai gli ?? un negozio avviato, quello che avremo alle mani. Io del resto ti giuro, in fede d'Apor??ma, che il giungere un mese prima alla prova, sarebbe stato un vantaggio per me.

??? Gli ?? ci?? che vedremo; ??? rispose Morello, rannuvolandosi in viso ??? e se tu dici il vero...?????

Cos?? parlando erano giunti all'ingresso del ponte, e la frase del giovine era interrotta dal saluto del conte Corrado, che si faceva incontro a' suoi ospiti.

??? Ben venga Morello di Monferrato! ??? diss'egli, mettendo cortesemente la mano alle redini del destriero. ??? Ben venga egli e ben vengano gli amici e vassalli suoi nella povera corte di Torrespina.

??? Voi dite povera, messere? ??? soggiunse Morello, in quella che scendeva d'arcioni. ??? Essa m'ha aspetto di bello e forte arnese, e i gentiluomini che l'abitano hanno fama tra i migliori e i pi?? liberali della Marca Aleramica.?????

Con queste parole il vecchio e il giovine signore vennero ad abbracciarsi e baciarsi amorevolmente sulle guance, giusta il costume dei tempi.

??? Ora, ??? ripigli?? il conte Corrado, ??? eccovi, o messere, alcuni amici che la fama di vostra venuta ha tratti fuori dalle loro castella a farvi onoranza; Ansaldo di Leuca, Enrico Corradengo, Ottone di Cosseria, Berlingieri di Camporosso...

??? Orrevoli nomi! ??? rispose Morello, guardando in giro tutti quei cavalieri, a mano a mano che il Torrespina li ven??a nominando. ??? La voce di loro gesta ?? giunta da buona pezza alla corte di Guglielmo VII, mio glorioso genitore: appo il quale e' saranno i benvenuti, quantunque volte lor piaccia. Ora, eccovi, messer Corrado, gli amici miei; Rambaldo di Verr??a....

??? Che gi?? conosco da due ore; ??? interruppe messer Corrado, inchinandosi.

??? Brandolino di Cocconato, mio fedele compagno, ??? prosegu?? Morello, ??? e Gianni da Montiglio, ambasciator di mio padre presso la Repubblica genovese.?????

Qui, dopo i consueti inchini scambievoli, la comitiva prese la via del castello, preceduta da messer Corrado, che dava cortesemente la diritta a Morello di Monferrato.

Le lancie si fermarono in uno spazioso cortile, dove smontarono da cavallo, e da' famigli e palafrenieri di Torrespina furono condotti nei loro alloggiamenti, insieme coi fanti del cort??o.

Morello e gli altri gentiluomini, guidati da messere Corrado, salirono per una larga scala, lungo i gradini della quale era steso un magnifico tappeto di Bals??ra, fino alla gran sala del castello.

Appena furono sul pianerottolo, Morello ebbe come un capogiro e sent?? mancarsi il cuore; ma Rambaldo di Verr??a, che gli era venuto da fianco, fu sollecito a sostenerlo, senza che altri se ne addasse, e a susurrargli alcune parole misteriose. Le quali certamente ebbero possanza di rinfrancarlo, dappoich?? il giovine signore ripigli?? tosto la sua pronta andatura.

Entrarono per tal modo nella gran sala, e si offerse ai loro sguardi madonna Giovanna, la contessa di Torrespina.

CAPITOLO IX.

Nel quale l'autore si prova a ritrarre la migliore tra tutte le donne.

Ella era adagiata su d'un seggiolone alla foggia romana, tutto incrostato a minuzzoli di avorio e metallo, secondo l'arte genovese e veneziana di quei tempi. Le stava vicina una tavola rotonda, sulla cui lastra marmorea era steso un drappo di tela di argento, e sul drappo uno scrigno gentilmente lavorato e sparso di gemme, con alcuni volumi legati in carte di cuoio cordovano ed ornati di bei fermagli d'argento dorato. La luce riflessa di due ampie finestre da ponente, rischiarava, senza offenderlo, il suo viso stupendamente bello e stupendamente bianco.

La contessa Giovanna era vestita con maestosa semplicit??. Una gonna di candida lana di Provenza, aggiustata alla vita, scendeva con poche pieghe da una cintura di verde zendado mollemente rigirata sui fianchi. I capegli di un bel castagno scuro, uscivano vagamente crespati di sotto una sottil corona d'oro, ornata di smeraldi, andando a raccogliersi alla nuca dopo aver nascosto alcun poco il sommo degli orecchi. Le maniche della veste, soppanate di zendado dello stesso colore della cintura, pendevano aperte fin dal cominciamento dell'omero, lasciando trapelare un braccio mirabilmente tornito, attraverso il tessuto di una camicia di finissimo lino. Raro ornamento era questo per una dama di que' tempi, e quelle d'oltralpi, le celebrate Isotte e le Isabelle, che pur vestivano di sciamito e di broccato, forse non n'avevano mai udito parlare.

Ed era bella, cos?? modestamente vestita; tanto pi?? bella in quanto che i contorni severi del volto e delle membra, degni d'essere espressi nel marmo, a riscontro della Venere di Milo, spiccavano mirabilmente da quella semplice acconciatura e da quella foggia modesta. E quella sua bellezza maestosa, veduta a prima giunta, comandava il rispetto, anzi che ispirare il desiderio. Era in lei alcun che della Beatrice di Dante, dinanzi alla quale ammutoliva tremando ogni labbro, e gli occhi non ardivano pure di guardarla, imperocch?? la era cosa venuta ??di cielo in terra a miracol mostrare.??

La natura, creando Giovanna di Torrespina, aveva fatto una delle sue meraviglie, ahi troppo rare, se pure l'infrequenza non ha a reputarsi maggior ventura per gli uomini; e, creatala bellissima tra tutte, le aveva conferito un segno di particolar leggiadria, tingendole i grandi occhi di un verde che pareva smeraldo.

Questo regal colore ?? assai raro a trovarsi negli occhi, ma non ?? altrimenti fuori di natura. E questo va detto per taluni, i quali hanno notato d'inverosimiglianza un ritratto di donna, gi?? fatto in qualche altro libro dall'autore di questo gramo racconto. Egli ha veduto di simili occhi, li ha amati (quand'era giovine, s'intende), e sa benissimo quel che dice. E molto prima di lui lo seppero i greci, che fecero Minerva glaucopide. Un latinista che sapeva il fatto suo, tradusse c??sios oculos habens, e un italiano che forse non aveva mai veduto occhi verdi, tradusse occhiazzurra. Ma egli non sarebbe caduto in errore se avesse letto il Calepino, dove dice che il c??sius ??est color subviridis igneo quodam splendore intermicans?? e non avrebbe mutato il verde in azzurro, se avesse ricordato quel che dice Cicerone nel suo libro intorno alla natura degli Dei: ??c??sios oculos Minerv?? c??ruleos Neptuni??.

Non avendo il povero scrittore altra ringhiera che questa per dire le sue ragioni contro i suoi avversarii, gli si condoni questa filologica tantaf??ra, la quale dimostra incontrastabilmente che gli occhi verdi erano conosciuti dagli antichi, e chi non ne ha veduti a' tempi nostri, suo danno.

Ora, gli occhi verdi della castellana di Torrespina erano del pi?? bel verde marino che si potesse vedere, e sfolgoravano alla luce, come fa per lo appunto l'onda marina, quando la penetrano i primi raggi del sole. E la bella Giovanna, a cui lo specchio non aveva taciuto il pregio singolare delle sue grandi pupille, amava il verde sopra ogni altro colore; smeraldi erano le sue gemme predilette; verde zendado la cintura; il verde era maritato mai sempre al bianco delle sue vesti; e il verde dava risalto alla morbida bianchezza delle sue carni.

Torno a' miei greci con una breve digressione. Questi sacerdoti del buon gusto, questi felici interpreti della natura nelle sue forme pi?? elette, ci hanno tramandato due tipi di bellezza femminea, la Venere de' Medici e la Venere di Milo. La prima di esse ?? giunta intera fino a noi, vo' dire con tutte le sue membra, epper?? si mostra all'universale in tutta la leggiadria delle sue forme, in tutto lo splendore delle sue attrattive. La Venere di Milo ?? guasta; non ha pi?? ci?? che attira e trattiene; cionondimeno ?? stupenda a vedersi, e l'amore si mescola nell'ammirazione. Tutta la sua persona spira una divina maest??, ma i pi?? dolci pensieri si destano alla sua vista; la si guarda riverenti, e frattanto un non so che ci bisbiglia nel cuore che l'essere amati da lei sarebbe la somma felicit??. Che avverrebbe egli mai del riguardante, se a quella divina non mancassero le braccia? Nol so; ma so bene che ho contemplato la Venere de' Medici, ed ho adorato la Venere di Milo; che quella mi ?? piaciuta, e questa mi ha soggiogato.

La pi?? bella delle Veneri stava seduta, leggendo uno di quei volumi dalle carte miniate che erano sulla tavola daccanto alla sua scranna intarsiata; ma come gli ospiti di Torrespina comparvero sul limitare, si alz??, e la sua svelta persona, cui aggiungevano dignit?? le severe pieghe della sua lunga e stretta veste di candida lana, apparve a Morello di Monferrato in tutta la sua regale maest??.

Il giovine s'inoltr?? verso la gentildonna, che lo accolse con un inchino, ma con gli occhi bassi, senza averlo guardato nel volto. Egli, come le fu giunto vicino, curv?? leggiadramente il ginocchio e le prese la bella mano, che era bianca e fredda come di donna morta.

Ma la vita fu pronta a mostrarsi, se non in quelle vene, in que' muscoli delicati, imperocch?? la castellana, vedendo l'atto inusitato, fe' per ritrarre la mano. Morello la rattenne, e, baciandole il sommo delle dita, tempr?? l'atto con queste cortesi parole:

??? Regale onoranza ?? dovuta a madonna Giovanna di Torrespina da quanti hanno in pregio bellezza e cortesia.?????

Quando Giovanna, costretta dal dialogo, sollev?? gli occhi a guardarlo, Morello not?? come fossero smorti. In quelle due iridi verdeggianti pi?? non risplendeva la fiamma; anche il viso era dell'usato pi?? bianco; la voce medesima, armonica voce, quando la ud??, non gli parve pi?? quella.

??? Messere, ??? disse Giovanna, con molta lentezza d'accento, che dimostrava lo sforzo ??? voi volete farmi andar troppo superba; e la superbia disdice ad una povera castellana di queste squallide montagne.?????

Morello fu turbato da quel malinconico accento; quello ??squallide montagne?? gli and?? diritto al cuore. Tuttavia, facendo forza a s?? medesimo, rispose:

??? Chi non conosce Torrespina? Gentile ?? il sangue, se non ?? vasto il reame; e fosse pure il pi?? grande, la sua cerchia sarebbe angusta mai sempre al nome della figlia di Lionello del Cengio, la quale ha fama per tutta Europa di alto ingegno e di sovrana bellezza.?????

Madonna non rispose; ma con gesto leggiadro accenn?? a lui e a tutta la comitiva le scranne che erano disposte in giro. Morello si assise su quella che era pi?? vicina alla gentildonna, e si assisero del pari i compagni, dopo che messer Corrado li ebbe presentati a Giovanna, chiamandoli per nome.

??? Voi leggevate, madonna? ??? chiese Morello, guardando il volume che stava ancora aperto daccanto a lei sull'orlo della tavola.

??? S??, messere; per conforto a queste lunghe ore del giorno.

??? Le canzoni de' trovatori forse? O il San Graal di Filippo di Fiandra, che di presente ?? in voga per la traduzione francese di Cristiano di Troyes?

??? No, messere; gli ?? un libro manco lieto, ma molto pi?? utile: Les p??lerinages de l'??me s??par??e du corps, di Hardouin de Blancheville.

??? Il famoso trovatore che si chiuse in un monistero, poich?? la sua dama fu morta? ??? disse Rambaldo di Verr??a.

??? Lo conoscete voi? ??? chiese la dama.

??? S?? madonna, conosco i suoi mirabili scritti, ed ho goduto della sua amabile compagnia, l'anno scorso, all'abbazia di Citeaux.

??? Un uomo di molta dottrina! ??? soggiunse ella.

??? S?? certo, madonna, e pochi mesi prima che io andassi in Francia, si era appunto trattato di farlo abate; ma egli non volle a nissun patto saperne; il pover uomo ?? in uno stato veramente compassionevole; l'et?? non lo tormenta, ma l'adipe....

??? Ah! che dite voi mai, messer Rambaldo! ??? esclam?? il conte Corrado, ridendo. ??? Voi ora guastate con siffatti particolari il bel romanzo della sua vita.

??? Intendo benissimo tutto ci??, ??? rispose il Verr??a; ??? ma non ?? colpa mia se la storia soverchia il romanzo. Io pure, andando all'abbazia e sapendo la vita di messere Arduino, immaginavo di trovare un povero frate macilento e scarno, una di quelle figure che fanno pensare a quelle lame irruginite le quali corrodono la guaina, e argomentate la mia meraviglia quando mi vidi dinanzi un frate rubizzo, co' bargiglioni sotto il mento, e costretto a sciogliere tratto tratto il cingolo della pazienza. Egli ?? l??, il biondo Arduino di Biancavilla, pasciuto e tranquillo come un gaudente cavalier di Maria. Ora io non posso leggere una pagina dei suoi malinconici P??lerinages senza ricordare, a guisa di contrapposto, quell'altra di un suo libro, ancora inedito, ch'egli mi lesse, intitolato: ??Des hauts faits de messire Jean Nitouche?? che ?? tale da sbellicarsi dalle risa.?????

Giovanna s'era grandemente rattristata all'udire quel racconto del trovatore.

??? Voi mi dite cosa, messere, ??? soggiunse ella dopo una breve pausa, ??? che mi disavvezzer?? dal leggere pi?? oltre questi suoi P??lerinages!

??? Ah, madonna! la vita ?? cosiffatta; i morti si piangono qualche volta, ma si dimenticano sempre.?????

E cos?? dicendo, Rambaldo di Verr??a, torse cortesemente lo sguardo da lei, per dare un'occhiata in giro ad Ansaldo di Leuca e agli altri amici del conte Ugo di Roccam??la. Arrossirono costoro, e turbati chinarono gli occhi sul pavimento.

Giovanna era rimasta sovra pensieri, e non badava al senso riposto della sentenza del trovatore. I suoi grandi occhi di smeraldo erravano, senza guardare, lunghesso le tappezzerie di cuoio dorato che decoravano la parete. ??? A che pensa ella ora? ??? chiedeva angosciato a s?? stesso il giovane Morello. E la spina d'un rimorso lo pungeva nel cuore, e gli doleva amaramente che Ugo di Roccam??la avesse accettato il patto di Apor??ma.

Per metter fine ad una conversazione che aveva cos?? dato nel grave, giunse in buon punto la proposta di messer Corrado: i suoi ospiti, dopo una lunga cavalcata, aver mestieri di scuotere la polvere e di mutar panni; si riducessero dunque a' loro appartamenti, dove, come la povert?? del castellano consentiva, avrebbero avuto ogni cosa ad essi bisognevole.

Egli stesso condusse Morello di Monferrato nella stanza a lui assegnata. Quivi il giovine signore, deposta la maglia d'acciaio, indoss?? una leggiadra saracina, specie di farsetto bene aggiustato alla vita, che era del suo prediletto color amaranto, con liste di tela d'argento. Indi, dopo una breve refezione, and?? con la brigata a visitare in ogni sua parte il castello, e, intendente com'era di cose militari, ebbe a commendare di molto le difese naturali ed artificiali del luogo.

In questi discorrimenti venne l'ora del pranzo, che fu squisito daddovero e sontuoso pe' tempi d'allora. Io, per non parer digiuno, e perch?? l'occasione di ragionare intorno a simiglianti materie non mi si potrebbe di frequente offerire, far?? di dirne loro quel tanto che basti a conciliarmi la benevolenza dei dilettanti d'archeologia gastronomica.

Spazioso era il tinello, e potea fare un degno riscontro alla gran sala della corte. Il solaio era di grosse travi di quercia, disposte a cassettoni, leggiadramente intagliate; le pareti dipinte di grandi rose vermiglie sopra un fondo turchiniccio; le finestre alte e a sesto acuto, ma spartite, nel fondo della strombatura, da agili colonnette, sulle quali giravano due archetti a tutto sesto, e custodite dall'aria esterna con quadrelli di vetro colorato, insieme commessi e saldati da liste di piombo. Questa era gran novit?? per quei tempi, e segnatamente per quei luoghi dentro terra, dove era comune l'uso delle impannate bianche, e soltanto i pi?? ricchi costumavano farle dipingere a fiori, rabeschi, animali favolosi, ed altre simiglianti capestrerie.

Sorgeva da una parete un gran camino di pietra rossa, sulla cui cappa ornata di sculture si ammirava lo stemma dei Torrespina, e nel cui focolare crepitava la stipa, rallegrando del suo calore le membra dei convenuti alle mensa. Per contro, rallegrava gli occhi, facendo bella mostra di s?? dall'opposta parete, una credenza a scaglioni, coperta d'un ricco tappeto; la quale portava sui gradini pi?? alti, vagamente ordinato, il vasellame, i taglieri, le idrie, ed altri arredi d'argento per bastare ai bisogni della tavola, e negli inferiori sorreggeva certi barlozzi e fiaschi, col ventre colmo dei preziosi topazii di Candia, di Cipro e di Metelino.

La mensa era nel mezzo, disposta a ferro di cavallo, ma coi posti da un lato solo, per modo che gli scalchi, i coppieri e i donzelli, potessero correre lungo il lato interno e servire i convitati. Una bianca tovaglia, i cui lembi scendevano fino a terra, correva lungo la mensa, nel mezzo della quale si vedevano a giusti intervalli candelabri e salsiere di pregevole lavoro, e sul margine esterno, a doppia distanza di quello che oggid?? si costuma, i piccoli taglieri, o piatti di argento; presso ognuno dei quali sorgeva una coppa, e si notavano due coltelli e due cucchiai dello stesso metallo. Le forchette a que' tempi erano arnesi sconosciuti, e i due coltelli co' due cucchiai intorno ad un medesimo tondo, significavano che due persone usavano mangiare ad un solo tagliere. Anche una sola tazza bastava per due; cosa che di presente appare disdicevole, ma allora non era, ed anzi aveva il suo pregio. Oh buona usanza del tempo antico! E chi poi non ricorda con desiderio i lieti desinari del campo, fatti con cinque o sei cucchiai intorno ad una medesima scodella, che si chiamava la scodella dell'amicizia? E chi non amerebbe metter le labbra sugli orli di quel bicchiere che s'accost?? alle labbra della donna amata?

Innanzi che il conte Corrado e i suoi convitati si mettessero a tavola, i donzelli andarono in giro con guastade e catini di argento cesellato, per dare acqua alle mani, acqua stillata con odori di rosa e di mammole. Sedutasi poscia la comitiva, Morello ad un tagliere con la gentil castellana e gli altri a coppie del pari, vennero le prime imbandigioni; semolino in brodo fortemente pepato; vitelli, capretti, cinghiali, salsiccie e carni salate. Tutte queste vivande erano recate in grosse pile su vasti piatti d'argento. Lo scalco, ad ogni portata, traeva un lungo coltello dalla sua guaina di metallo, e trinciava la vivanda con quella pronta sicurezza che ?? data dal lungo uso; quindi i pi?? eletti spicchi erano posti sui taglieri, dove, la merc?? di una stiacciata di pane che stava tra la carne e il metallo, erano agevolmente fatti a minuzzoli.

Un gastronomo de' tempi nostri farebbe le boccacce alle salse, ai guazzetti, ai condimenti, onde erano accompagnate le vivande d'allora. Ma i gastronomi di quei tempi le farebbero del pari, se tornassero in vita, ai condimenti, ai guazzetti e alle salse odierne. Io dunque non mi curo dei gusti mutati, e racconto che le prime mense del pranzo dei Torrespina erano di carni lesse ed arrostite, parte inorpellate con torte e galantine, altre rotte in salse, nelle quali entravano alla mescolata il pepe, il garofano, la cannella, la noce moscata, il cubebbe e lo zenzero. Si notavano inoltre certi pasticci di pollo in salsa bianca, la quale era composta di zucchero, mandorle e capperi, battuti insieme con albume d'uovo. Una cosa che anco i buongustai nel tempo nostro avrebbero mandato gi?? senza controversia, era il vino; ma di questo s'?? gi?? detto pi?? sopra.

Cos?? finite le prime mense, si sparecchi??; i donzelli vennero da capo con le guastade e i catini, per dar l'acqua odorosa alle mani; quindi si venne alle seconde mense, che erano giuncate, formaggi, datteri di Catalogna, mandorle di Liguria, uva passa e fichi secchi di Grecia, miele, confetti, zuccherini di ogni sorta, ippocrasso ed altri vini aromatici.

Giovanna di Torrespina assaggi?? a mala pena delle vivande che le erano imbandite e che Morello, da cortese servente, le andava sminuzzolando sul tagliere. La sua mente era altrove; egli tal fiata era costretto a ripeterle una frase, poich?? ella la udiva senza ascoltarlo, e la cortesia comandava di chiedergli che cosa avesse egli detto.

Per tal guisa, a malgrado del tagliere e della coppa comune, il pranzo dur?? troppo a lungo per Morello di Monferrato. Come fu notte ed egli si trov?? solo nelle sue stanze con Rambaldo di Verr??a, cos?? volse la parola al compagno:

??? Or bene, Apor??ma, tu il vedi; costei non dimentica.

??? Ah s??, non lo nego; ??? rispose lo spirito del dubbio. ??? Ella ?? addolorata, e tanto pi?? fortemente, in quanto che dura un orribil supplizio per nascondere il suo dolore a messer Corrado; e tuttavia....

??? Tuttavia, che cosa?

??? Tuttavia, d?? tempo al tempo, e vedrai!

CAPITOLO X.

Dello elogio funebre che fece Ansaldo di Leuca ad un amico diletto.

Venti giorni erano passati dopo l'arrivo di Morello a Torrespina, ed egli ancora non s'era disposto alla partenza.

Gianni da Montiglio e Brandalino di Cocconato erano andati ambasciatori alla repubblica genovese ed avevano ottenuto tre galere per condurre allo imperatore Andronico la sua novella sposa, Jolanda di Monferrato. Il naviglio doveva essere allestito per il febbraio dell'anno vegnente, cio?? due mesi dopo; e Genova, per usar cortesia a cos?? nobili famiglie, non pure ricusava ogni mercede, ma prometteva di mandare, insieme con la leggiadra Jolanda, una orrevole ambasceria ad Andronico, per congratularsi seco lui delle felicissime nozze.

Questo avevano riferito i due gentiluomini monferrini tornando a Torrespina, e Morello li aveva rimandati, con tutti i cavalieri ed uomini d'arme del suo cort??o, non ritenendo altri con s?? che Rambaldo di Verr??a.

Messer Corrado era felice di poter trattenere in sua casa, la merc?? di una dolce violenza, un ospite cotanto ragguardevole. Nobilissimo era il sangue e sterminata la possanza dei signori di Monferrato; gi?? fin da Rainerio, fratello al trisavo di Morello, essi erano imparentati cogli imperatori bisantini (Rainerio aveva impalmata Chiromaria, sorella di Emanuele Commeno) e possedevano in Oriente il reame di Tessalonica. Il padre poi di Morello, era quel Guglielmo VII detto il grande, che fe' costar cara a Carlo d'Angi?? la sua dimora in Italia, e di Beatrice, figliuola ad Alfonso re di Castiglia.

Argomentate se non dovesse esser lieto, e se non dovessero parergli lievi le splendidezze che s'era dato a fare, per rendere pi?? gradevole all'ospite suo la dimora di Torrespina. Egli aveva cavato fuori dalle pergamene domestiche un matrimonio di Guglielmo VI di Monferrato con Berta di Clavesana, del cui sangue era eziandio sua madre, e cotesto gli dava il diritto di chiamare il giovane Morello col nome di cugino. Di sovente si compiaceva a notare come il parente suo fosse cortese a voler dimenticare, per quella malinconica bicocca delle Langhe, gli splendidi ozii di Acqui e d'Ivrea, le cacce, i tornei, le dame ed ogni altro pi?? gradito sollazzo della corte paterna. Di questo, ch'egli soleva chiamare sacrifizio superiore all'et??, messer Corrado s'industriava a compensare il cugino, ordinando nuovi passatempi, i quali avevano mai sempre, a loro principale ornamento, le grazie della contessa Giovanna.

Ed ella? Cortese ognora con tutti; ma il suo pensiero era altrove. Chi non l'avesse conosciuta dapprima forse non se ne sarebbe avveduto; ma allo sguardo esercitato di Morello non poteva per fermo sfuggire che tutta quella serenit?? esteriore, quella gentilezza di atti e di parole, erano l'opera di uno sforzo continuo. Bianca e fredda come una statua, ella si mostrava dovunque a messer Corrado piacesse, ed appariva facilmente regina; ma in quella che gli altri invitava a godere, ella non pigliava diletto di nulla.

Morello, dal canto suo, non s'inoltrava a proferirle amore; ch?? non gli dava l'animo, o, per dire pi?? veramente, aveva paura di s?? medesimo. Il re Mida, quando gli fu concesso da Bacco il triste privilegio di trasmutare in oro tutto ci?? che toccasse, non ebbe certo maggior ritegno ad accostarsi alla bocca il tozzo di pane che doveva sfamarlo, di quello che il giovine Morello a dimostrare l'affetto suo alla donna adorata. Ei non ardiva scendere nella propria coscienza e confessarlo a s?? stesso, ma aveva paura. E se ella un giorno venisse ad amarmi! Questo pensiero, a mala pena formato nella mente, faceva rabbrividire lo spirito d'Ugo: e intanto il giovine Morello amava Giovanna con tutte le forze dell'anima, ardeva dal desiderio di palesarlo a lei, e si struggeva ch'ella non lo avesse inteso. Triste stato dell'anima sua! triste dono di Apor??ma!

Ma ci?? che egli non sapeva indursi a fare, ardiva in quella sua vece Ansaldo di Leuca. Il primo e il pi?? caro degli amici dell'estinto Ugo di Roccam??la, era sempre vicino a lei, le diceva ad ogni tratto le pi?? leggiadre cose, arrossiva quando ella gli volgea la parola, si atteggiava a mestizia quando ella era altrove, parlava poco o nulla con Morello e voleva farlo scorgere, e s'imbronciava a dirittura quando la castellana, per il maggior conto in cui era tenuto il figlio del marchese di Monferrato, era costretta, a mensa, nella conversazione, o nelle gite fuori del castello, a intrattenersi in particolar modo con lui.

Ora, come avveniva egli che madonna gli concedesse di potere assumere quell'aria di amante geloso? Gli ?? presto detto; madonna non s'era addata di alcuna novit??. Ansaldo, agli occhi suoi, non appariva diverso dagli altri cavalieri, che erano, o che venivano a Torrespina, e lo pregiava del pari. Ma ci?? metteva conto ad Ansaldo. Egli era uno di quegli sciocchi (e ce ne son tanti in questa valle di lagrime e di furfanterie!) i quali si contentano a non esser nulla presso una donna, pur di sembrare all'universale i prescelti e di riuscire molesti a taluno che l'ami.

Ella, dico, non s'era addata di questi maneggi, imperocch?? la sua mente era altrove. Spesso le avveniva di rimanere lunga pezza, segnatamente nell'ora del tramonto, a contemplare il sole che si nascondeva dietro i monti vicini, o a guardare attentamente dal suo verone verso la strada che, costeggiando i pioppi del fiume, facea capo al ponte di Torrespina, in atto di persona che aspetti qualcuno. Il sole tramontava, e madonna era ancora al suo posto, nel medesimo atteggiamento di prima. Che contemplava ella? Chi aspettava? Nulla e nessuno; la sua anima era come la r??cca adamantina delle Mille ed una notte, dove non erano porte, e dove nessuno avea modo di penetrare, se il castellano non gli svelava il segreto.

Morello, a cui era dato di scorgere molto agevolmente cotesto, la merc?? di quella maggiore penetrazione, e direi quasi seconda vista che conferisce l'amore, poteva essere al tutto raffidato intorno ai pericoli d'una rivalit?? simigliante. Ma d'altra parte pensando ai diportamenti di Ansaldo, non poteva far s?? che non gli cuocesse aspramente di costui, il quale aveva aspettato la morte dell'amico per farsi innanzi, caldo ancora il cadavere, ad amoreggiare la donna sua. Qui, senza parlare della malaccortezza, che era pur grande, si notava il dispregio d'ogni gentil sentimento, ed una ingratitudine senza pari.

Ansaldo di Leuca non era interamente ospite dei Torrespina. Egli, secondogenito dei Leuca, viveva presso la corte paterna; ma da gran pezza amico e commensale di Ugo, aveva posto quasi continua dimora a Roccam??la e seguitava a rimanervi dopo la morte del giovine conte, in nome del quale mastro Benedicite gli dava ospitalit??, sebbene a malincorpo, e sospirando il giorno che gli venisse in mente di andarsene con Dio.

??? Sono costoro, ??? borbottava sempre tra' denti il vecchio strozziere, ??? sono costoro la cagione della felicit?? di messer lo Conte, e n'abbiam visto il bel frutto!?????

Ed ecco per che modo Ansaldo di Leuca, rimanendo a Roccam??la, come se nulla fosse mutato col??, poteva essere di frequente a Torrespina e fare omaggio alla leggiadra contessa, come se Ugo di Roccam??la foss'egli, ed altro non facesse che proseguire la consuetudine antica.

Nobile Ansaldo! Cos?? egli intendeva l'amicizia! Vivo Ugo, e' gli era sempre ai panni, geloso dell'affetto suo come una donna innamorata, sempre disposto a secondarlo in ogni sua pensata e superbo che ognuno credesse e dicesse non poter Ugo muover passo che Ansaldo non movesse del pari. Oreste era morto, e Pilade lo aveva dimenticato; ospite in casa sua, tradiva la sua memoria e tentava di occupare il suo posto in quell'unico cuore che doveva essere sacro per lui.

Intanto le settimane erano scorse, e dell'estinto non s'era mai fatto cenno alla corte di Torrespina. Morello avrebbe voluto entrare a parlarne, facendo accortamente cadere il discorso sulle castella del vicinato; ma non gli era mai venuto il destro di mettere l'addentellato alla conversazione, e, quando era per ragionarne ex abrupto, quello stesso timore che sentiva di profferire un detto d'amore alla contegnosa gentildonna, gli ricacciava in gola le frasi.

Ma l'occasione, che egli non ardiva far nascere, venne un bel giorno incontro a lui. Una mattina che tutti gli ospiti di messer Corrado erano raccolti nella gran sala, intorno a madonna Giovanna, intesi a discorrere di que' cento nonnulla che formano la trama dei conversari d'una nobile brigata, si venne a dir della neve che era caduta in gran copia nella notte e imbiancava tutto intorno i colli e le montagne.

??? Buon per voi, messere Ansaldo! ??? esclam?? il conte Corrado, che era andato a contemplare quello spettacolo della campagna biancheggiante attraverso le invetriate d'una finestra. ??? Buon per voi, che siete rimasto iersera a Torrespina!

??? Perch?? mi dite voi questo, messere?

??? Perch?? la neve vi avrebbe oggi impedito di essere con noi. Vedete come ?? nevicato forte dalla parte di Roccam??la!

??? Dov'?? Roccam??la? ??? chiese Morello, andando nella strombatura della finestra presso il conte Corrado.

??? Laggi??, ad ostro, dietro quella montagna che pare un gigante raggomitolato. Di qui alla rocca vi saranno forse venti miglia.

??? Ed ?? forte arnese? ??? dimand?? Morello.

??? S?? certamente, un vero nido d'aquile; ma le aquile pi?? non sono l?? entro....

??? E come, messere? forse un castello disabitato?

??? No, c'?? buona guardia tuttavia, e messer Ansaldo pu?? darvene contezza, egli che v'abita ancora. Ma l'ultimo dei Roccam??la ?? morto improvvisamente, e fu un rammarico universale, poich?? egli era un prode e gentil cavaliero, amato da quanti lo conoscevano. Egli ebbe il torto di non scegliere una sposa tra le molte bellissime che gli erano profferte da orrevoli famiglie, desiderose d'imparentarsi con lui. Io gliene dissi pi?? volte, ma e' non volle saperne. Mi rispondeva sempre sorridendo: c'?? tempo, c'?? tempo! E il tempo ?? passato e la sua stirpe si ?? spenta con lui. Ahim??, messere Morello! Il buon seme si va miseramente perdendo; oggi i Roccam??la; domani forse i Torrespina!...?????

Cos?? dicendo messer Corrado s'era fatto cupo. Morello avrebbe potuto rispondergli com'egli ancor fosse di buona et?? e come potesse avere un erede degno di lui, solito complimento che si fa ai vecchi, deserti di figliuolanza; ma non disse nulla di ci??, e volse in quella vece il discorso a Roccam??la, donde messer Corrado lo aveva distolto con la sua malinconica osservazione.

??? E ditemi ora, messere, a chi toccher?? la signor??a di Roccam??la?

??? Ruberto il taciturno, ??? rispose il conte Corrado, ??? aveva un fratello che and?? a morire in Lamagna. Si dice ch'egli abbia lasciato un figlio, ed ?? voce che quest'ultimo rampollo di cos?? nobile pianta sia per ascriversi alla milizia del glorioso san Bernardo, in un monistero di quelle parti l??. Altri dice che egli sia morto; ma io non potrei parlarne con sicurt??. Questo so che furono mandati corrieri in Lamagna, per cercare di lui.

??? Ma se fosse morto davvero, o la sua deliberazione di ritrarsi dal mondo fosse irrevocabile....

??? Oh, allora, ??? soggiunse messer Corrado, ??? il dominio di Roccam??la potrebbe essere rivendicato dal vostro gran genitore, che novera tra' suoi maggiori quel Guglielmo V, detto il Lungaspada, il quale ebbe appunto in moglie una donna dei Roccam??la, siccome ho rilevato dal notulario della nostra famiglia.

??? Voi siete buon intendente di genealogie! ??? disse Morello, inchinandosi con atto leggiadro ai suo ospite.

??? Baie, cugino! egli bisogna pur fare alcun che, in questi ozii campestri! Qui poi non abbiamo araldi, come in Francia e nelle corti pi?? reputate, i quali possano tener memoria di queste cose; epper?? ogni castellano ha le sue carte, dove nota le discendenze, le agnazioni, i parentadi, e tutte l'altre cose memorabili delle famiglie. Voi vedete che ad esser dotto in cosiffatta materia non ci vuol poi molta fatica.?????

Durante questo discorso col Torrespina, Morello aveva sospinto pi?? e pi?? volte gli occhi da un lato, sogguardando madonna. Ma egli non s'era accorto di nessun mutamento che in lei fosse avvenuto al ricordo dei Roccam??la. Tranquilla in apparenza come prima, ella teneva un libro tra mani e ne andava sbadatamente svolgendo le pagine.

Ansaldo, che le stava seduto daccanto, ven??a tratto tratto bisbigliando a lei motti leggiadri, ai quali, bisogna pur confessarlo, ella rispondeva a mala pena.

Quel giorno Morello di Monferrato si ritrasse pi?? presto nelle sue stanze e gettatosi bocconi sul letto si diede a piangere amaramente.

Rambaldo di Verr??a s'era fatto daccanto a lui per consolarlo.

??? Suvvia, Morello, amico mio, fatti animo non piangere come una femminetta! Ci?? disdice ai virili propositi che t'hanno condotto a questo sperimento della vita. Vedi, io, io medesimo, non accuso quella donna, come tu fai ora con le tue lagrime dirotte. Che volevi tu che facesse, o dicesse? Presente il marito, presente tutta la brigata che aveva gli occhi su lei, doveva ella lasciarsi scorgere, mostrarsi turbata, svelare l'interna ed assidua cura dell'anima?

??? E sei tu che parli in tal guisa? tu, Apor??ma?

??? Io, perch?? no? Non amo trionfare di te con la menzogna, ed ogni mio ragionamento ?? condotto a filo di logica. Tu, uomo, disperi oggi cos?? facilmente e senza ragione, come ieri facilmente e senza ragione credevi. Ora, l'una cosa e l'altra debbono esser fatte con piena cognizione di causa.?????

Morello non lo ascoltava gi?? pi??, e continuava tra i singhiozzi a sfogare la piena delle sue amarezze.

??? Povero Ugo di Roccam??la! povero stolto! Ecco, tu se' morto appena da un mese, e gli ?? gi?? come se l'eternit?? fosse passata sul tuo sepolcro. Gli amici tuoi.... ve' come pensano a te! La morte d'un falco randione, o d'un can da giugnere, avrebbe lasciato pi?? ricordanza in quelle anime sciocche e malvagie. E quello sciagurato che tu amasti sopra tutti gli altri, tranquillo, sorridente, superbo, desidera la donna tua, intende senza rimorso a succederti, coglie il momento che si ricorda il tuo nome, per dirle forse: vi amo! Va, traditore! va, Giuda! Alla croce di Dio, ho a bere il tuo sangue!?????

Rambaldo sorrise a queste parole di Morello, e gli chiese:

??? Sei tu guarito dell'amicizia?

??? S??.

??? Guarirai dell'amore.

??? Taci, taci! esso mi uccider??.?????

Il giorno appresso, madonna Giovanna, come vide Morello, fu pronta a chiedergli se avesse sofferto, e perch??. La bellissima donna parve molto sollecita della salute del suo ospite, e curante della persona di lui. Ma cotesto, che dovea far lieto Morello, gli riusc?? per un altro verso doglioso.

A quelli atti della castellana, il viso di Ansaldo si rabbui??. Tutto quel giorno stette imbronciato; a mensa fu di pessimo umore. Ed ella intanto, pi?? cortese che mai con Morello, non diede pure uno sguardo alle furie d'Ansaldo.

S'era ella finalmente avveduta dell'amor di costui? Le aveva egli detto parola che non le consentisse d'ignorare pi?? oltre? E, ci?? sapendo, le si era forse appalesato, in tutta la orridezza sua, l'animo ingrato del secondogenito di Leuca? Queste erano le domande che Morello andava rivolgendo tra s??, mentre ella si dava tanta cura di lui, e mentre il volto di Ansaldo si rannuvolava sempre pi??.

Alle seconde mense, e in quell'ora che i pi?? lieti ragionari si alternavano con le tazze ricolme di vini aromatici, volle fortuna che si riparlasse di Roccam??la.

??? ?? egli vero, ??? disse messer Corrado, volgendo il discorso ad Ansaldo di Leuca, ??? ?? egli vero ci?? che mi fu riferito stamane, che lo strozziere di Roccam??la....

??? S??, ??? rispose quegli; ??? mastro Benedicite si ?? fitto in capo che il castello, i campi, i boschi ed ogni diritto di dominio su quella vasta cont??a, gli appartengano.

??? Ma non si tratta di un testamento?...

??? Per l'appunto, e' dice di aver trovato in fondo ad uno stipo, nella camera del suo signore, una pergamena con la quale il conte Ugo lo chiama suo erede nel possesso della cont??a e ne raccomanda l'investitura. Per?? lascio argomentare a voi, messer Corrado, com'egli sia salito in superbia, e come gi?? si vada pigliando una satolla di padronanza feudale.

??? Egli dunque, ??? disse Corrado, ??? aveva il presentimento di una morte vicina, il nostro povero amico?

??? O non mor?? egli, ??? disse uno dei convitati, ??? per veleno che gli avea dato a bere un pellegrino misterioso?

??? Che! di simiglianti storielle ne corsero molte nel volgo, e molto giov?? a propagarle la stoltezza del vecchio Benedicite, il quale vedeva diavolerie dappertutto. Il pellegrino era un povero giullare, tocco nel nomine patris, che non avrebbe fatto male ad una mosca, e che se ne and?? la mattina con Dio. Ugo di Roccam??la era chiuso nella sua stanza, disteso nel suo letto, dove non lo aveva certamente ucciso il veleno.

??? E che cosa, dunque? ??? dimand?? sogghignando Rambaldo di Verr??a.

??? Chiedetene ad Enrico Corradengo qui presente, il quale era stato quel giorno commensale del povero Ugo, e potr?? dirvi quante volte la coppa d'oro fosse andata in giro, colma di ippocrasso....

Qui Morello di Monferrato, che fino allora aveva durato una gran fatica a contenersi, balz?? in piedi, percuotendo con le pugna strette la tavola.

??? Voi mentite, Ansaldo di Leuca!

A quella improvvisa sfuriata di Morello, si fe' un grande silenzio per tutta la sala.

Ansaldo, che era diventato pallido come la morte, si alz?? in piedi a sua volta.

??? Morello di Monferrato, ??? rispose egli freddamente, ??? nessuno mi ha detto mai villania, che non ne pagasse il fio, pel ferro della mia lancia se cavaliero, pel piatto della mia spada se insolente plebeo.?????

Morello rispose anzitutto con un sorriso di compassione.

??? Noi vedremo, ??? soggiunse egli poscia, ??? se gli atti risponderanno ai vanti vostri, messere. Ho notato a due tiri di balestra dal ponte di Torrespina un bel piano, presso una gran quercia, che mi par luogo acconcio ad un passo d'armi. Col??, con licenza di messere Corrado, io cavalcher?? domattina con lancia, mazza e spada, e tristo chi verr?? a contendermi la via.

??? Messer Corrado, ??? disse Ansaldo di Leuca, ??? vorrete essermi compagno domani, all'usanza di Lamagna.

??? No, o messere, ??? rispose con molta dignit?? il castellano di Torrespina. ??? Morello di Monferrato ?? mio consanguineo, e se io pure avessi a trovarmi sotto la quercia di Marenda, come quel luogo ?? detto dalla gente del contado, e' sarebbe piuttosto quale avversario vostro, imperocch?? io non avrei dovuto patire che voi diceste cosa contraria alla onorata ricordanza di un cavaliero che era altamente pregiato a Torrespina. Ma voi siete mio ospite, messere Ansaldo, ed altro non vi dir??, che renda pi?? triste la memoria di questa giornata.?????

Ansaldo si morse le labbra e non rispose pi?? verbo.

??? Grazie, messer Corrado! ??? soggiunse allora Morello. ??? Io debbo ora chiedere perdonanza a madonna dello aver qui troppo facilmente ascoltata la mia collera. Come voi mi avete pur ricordato, qualche goccia di sangue dei Roccam??la scorre nelle mie vene.... E voi, messere Ansaldo, sappiate che mi sar?? compagno alla quercia di Marenda il mio leale amico e pro' cavaliere Rambaldo di Verr??a. Amici non mancheranno a voi per sostenere le vostre ragioni, e come test?? mi avete nomato taluno che saprebbe far testimonianza della sconcia morte di un Roccam??la, voi potrete condurlo domattina con voi.

??? E' ci sar??, astori del Monferrato! ??? esclam?? il Corradengo, tocco sul vivo.

CAPITOLO XI.

Qui si conta di un cavaliere che ebbe il premio innanzi alla giostra.

Dirvi come si rimanesse Giovanna di Torrespina a que' concitati discorsi, mi sarebbe troppo malagevole ufficio. Una penna cos?? mal destra, come la mia, non verrebbe certamente a capo di ritrarvi quella delicatezza di pensieri e di sentimenti onde fu agitato l'animo della leggiadra castellana, fino al momento che ella, inavvertita quasi, si ritrasse dalla sala del banchetto, accompagnata dalle sue damigelle.

Pochi istanti dopo la sua dipartita, si fece innanzi un paggio, per dire a messer Corrado e agli ospiti suoi, come madonna Giovanna, sentendosi alquanto stanca, si fosse ridotta nel suo appartamento; l'avessero per iscusata, se quella sera non sarebbe venuta a godere di cos?? gentil compagnia.

Intesero tutti la scusa, e Ansaldo di Leuca ed Enrico Corradengo furono i primi ad uscire dalla sala, togliendo anzi commiato da Torrespina pel giorno vegnente.

Strana condizione di quattro cavalieri, i quali avevano stanza nel medesimo castello, ospiti di un medesimo signore, e che dovevano la mattina appresso uscire dalla medesima porta per combattere ad oltranza gli uni cogli altri!

Ma in que' tempi non si badava pi?? che tanto a simili cose, ch?? le consuetudini sociali non avevano ancora, come di presente, tante sottigliezze e lisciature, e come le parole erano pronte alle labbra, cos?? le mani erano pronte alle spade, e il sangue si spandeva allegramente per cose da nulla. Le dame assistevano di lieto animo alle tenzoni, e in loro onore solea farsi l'ultimo colpo e il pi?? pericoloso d'ogni torneo, che dicevasi ??correr la lancia delle dame.??

Questo di Morello con Ansaldo era uno scontro all'antica maniera de' Paladini, e non dovea farsi in campo chiuso, ove potessero andar spettatrici e giudichesse le dame. Esso tuttavia non usciva punto dalle costumanze cavalleresche, come non era insolito che due cavalieri seduti alla medesima mensa si disfidassero a combattimento per loro private ragioni, od anche semplicemente per qualche sconsiderata parola; imperocch?? la misuratezza del dire, e la rispettosa cortesia delle frasi, non si riserbavano che per parlare alle dame, ed era notato d'infamia chiunque ad una donna rivolgesse un manco riverente discorso.

Era migliore la costumanza d'allora, o la nostra odierna? Io, per me, m'attengo all'antica. Abbiamo ora mille vincoli di galateo cos?? per gli uomini come per le donne, e non ?? chiaro se siamo pi?? riguardosi per osservanza della legge comune, o per vero sentimento di cavalleresca devozione al bel sesso. V'ha poi di peggio nel secolo nostro. Il giovanotto che pu?? vantare un maggior numero di conquiste amorose e che ha lasciato pi?? Olimpie sullo scoglio, ?? pi?? invidiato che biasimato dall'universale, e v'ha anzi chi lo pregia di pi??. Ma a' tempi antichi, Bireno era notato di slealt??; chiunque avesse mancato alla fede verso la sua donna, n'aveva il biasimo universale, ed ella non era punto fatta argomento di riso, come oggi si suole; ch?? anzi, ogni dama ed ogni cavaliero parteggiava per lei, e il disleale amatore non poteva pi?? assidersi a mensa, n?? entrare in giostra con gentiluomini, fino a tanto la dama sua, commossa dal suo pentimento, non l'avesse in merc??, e non gli perdonasse il suo fallo.

Ma gli ?? tempo oramai di tornare al racconto. Uscito Ansaldo di Leuca col Corradengo, anche Morello e Rambaldo chiesero licenza di andarsene nelle loro stanze, per prepararsi (diceva Rambaldo) cristianamente alla pugna del dimani.

Morello era chiuso in s?? stesso e non diceva parola; solo l'aggrottar delle ciglia faceva fede di non soavi pensieri.

??? Morello, amico mio! ??? gli disse Rambaldo, scuotendolo, ??? non ti dar pensiero oggi di quello che farai domani. La rabbia accieca, ma non so di verun caso in cui essa abbia fatto calare pi?? forte un colpo di mazza, o di spada. E poi, che cosa vuol dire questo centellarti fin d'ora il piacere che berrai a larghi sorsi domattina, correndo il saracino contro il tuo tenero amico, il tuo Eurialo diletto?

??? Oh, bene hai detto, il saracino! ??? esclam?? il giovine Morello. ??? Ma io ferir??, te lo giuro, nel bel mezzo della quintana.

??? E per questo, ??? prosegui Rambaldo, ??? ti bisogna non aver le traveggole. Ma, a proposito di vedere, hai tu veduto gli occhi della castellana?

??? No, io non guardavo che lui!

??? Male! Io l'ho guardata a mio bell'agio. La s'era sbiancata in viso come la sua veste di lana bianca. Segu?? con molta attenzione il tuo dialogo coll'amico prediletto di conte Ugo, e quanto tu dicesti: ??orbene, messere, vedremo se gli atti risponderanno alle parole?? si alz?? a stento da sedere e fe' per andarsene, ma certo sarebbe stramazzata sul pavimento, se le sue damigelle non erano pronte a sostenerla.

??? E che argomenti da ci??? ??? disse Morello, pensieroso.

??? Nulla, in fede mia! Gli ?? naturale che una gentildonna non possa reggere ad una giostra di parole minacciose, come quella che tu hai regalato a cos?? nobile udienza.

??? Potevo io operare diverso? Dovevo io contenermi?

??? No, per.... l'anima mia! Amo la pugna, io; sebbene, mentre tu, gi?? salito in arcioni, mediti i fendenti, i manrovesci e le stoccate, io, pi?? modesto, vagheggio gli sberleffi e le piattonate sulle spalle di quel tristanzuolo del Corradengo. Ah! ah! Egli ci ha chiamati astori del Monferrato, come se credesse di dirci villania. Li vedr?? lui, gli astori del Monferrato, questo barbagianni delle Langhe! ??? E Rambaldo di Verr??a, sostenendo coscienziosamente la parte del personaggio che rappresentava, prosegu?? allegramente di questa conformit??, fino a tanto che giunsero al loro appartamento e, congedati i donzelli, ognuno di essi si chiuse nella sua camera.

Esacerbato ancora dalle parole del suo avversario, e con l'animo travolto in una grande tempesta di feroci pensieri, Morello non fece altro che slacciar la cintura e deporre il pugnale: indi si diede a passeggiar concitato per la stanza. Ma egli non aveva ancor rifatto cinque volte il suo breve cammino, che un lieve picchiar di nocche sull'uscio di quercia venne a distoglierlo dalla sua occupazione.

Egli and?? all'uscio, lo aperse, e gli comparve dinanzi un grazioso paggetto, il quale con aria misteriosa gli susurr?? queste parole:

??? Cavaliere, una gentil damigella di Torrespina che ha in gran pregio il vostro valore, vi prega a muovervi per amor suo e lasciarvi guidare da me, fin dove ella m'ha comandato che io vi conduca.?????

Quella misteriosa imbasciata fe' strabiliare Morello.

Siffatte avventure, a dir vero, non erano strane n?? rare a quei tempi, in cui il bel sesso, con assai pi?? voce in capitolo, aveva eziandio pi?? arditezza di spirito e pi?? prontezza di partiti, che non di presente; ma per intender quella, bisognava a Morello avere almeno dato uno sguardo alle damigelle di Torrespina, imperocch?? non gli pareva naturale che, senza pure aver fatto omaggio degli occhi alla loro leggiadria, dovesse venirgli un invito di quella fatta. Ora questo sguardo fuggevole non si ricordava egli aver dato, n?? questo tacito omaggio aver fatto a Peretta di Montezemolo, o ad Agnese de' Ferreri, che cos?? si chiamavano le damigelle di Torrespina.

In questi pensieri, Morello era gi?? per rispondere al paggio com'egli non potesse tenere lo invito. Ma la gentilezza cavalleresca, non lasciandogli trovare una scusa dicevole al rifiuto, gli porse un migliore consiglio, e senza risponder verbo, si fece a seguitare l'adolescente, che per un gran giro di sale lo condusse dalla parte opposta del castello, fino agli appartamenti delle donne.

Il cuore gli batteva forte allo entrare nella camera dove il paggio gli disse di fermarsi e di attendere; ma ben pi?? forte ebbe ad essere la sua commozione, allorquando, invece di Peretta o di Agnese, e' vide venirgli incontro quella che il cuor suo desiderava, ma che mai avrebbe ardito sperare, la stessa Giovanna, la divina Giovanna.

La vista della donna amata ha in s?? (chi lo ignora?) alcun che di cos?? forte, di cos?? acuto, che a prima giunta non torna neppure a diletto. Siccome avviene di certi fiori pi?? odorosi, che la loro fragranza va diritta al cervello, quell'??incognito indistinto?? di splendori e di fragranze che si sprigiona dal volto e da tutta la persona di lei, t'investe il cuore per guisa, che il sangue bolle e sollecito rifluisce alle tempie, lo sguardo si offusca, e pare che la forza di reggerti in piedi sia per fuggire da te.

??? Messere, ??? disse Giovanna con voce tremante, ??? non vi fate meraviglia del mio ardimento....

??? Oh, che dite voi, madonna? Vedervi ?? ventura che il cielo non saprebbe mandar la migliore, e non lascia luogo ad altri pensieri. Io, poi, bene intendo come tutto ci?? che oggi ?? avvenuto....

??? S??, per l'appunto di ci?? volevo parlarvi.

??? Vi ascolto, madonna! ??? disse Morello, sedendosi sull'orlo della scranna che la bella castellana gli aveva additata, nell'atto di sedersi ella stessa daccanto a lui.

Non era quello il tempo di pigliar la strada pi?? lunga, e Giovanna di Torrespina, guardando fiso in volto il giovine Morello, gli volse questa dimanda:

??? Conoscevate voi Ugo di Roccam??la?

??? No, madonna; ??? rispose il giovine, ??? di lui seppi, soltanto l'altro d??, che mi era congiunto di sangue.

??? E allora.... ??? disse ella, con una sospensione che pareva compendiar tutto l'accaduto della giornata.

??? Madonna, ??? fu pronto a soggiungere Morello, con una di quelle frasi improvvise, rapide ed efficaci come il lampo, ??? io odio Ansaldo di Leuca!

??? Ah! e perch???

??? Perch?? egli vi ama; ??? proruppe Morello.

Giovanna non soggiunse parola; stette a lungo muta, ed egli del pari, ambidue cogli occhi bassi.

Quando ella finalmente li alz??, fu per dirgli soavemente:

??? Messere, quello che voi avete scoverto, io medesima non ho saputo mai, fino all'altro d??, che mi parve accorgermi di qualche cosa e ancora non ne avevo certezza.

??? Ed ora che v'?? noto, madonna, ??? disse Morello incalzando, ??? ora vi duole di ci?? che avverr?? domattina....

??? S??, mi duole; ??? rispose Giovanna, senza badare allo intendimento riposto delle parole di Morello, ??? mi duole per voi, che mettete a tal repentaglio la vostra utile vita; mi duole, poich?? voi lo diceste pur mo', che io mi sia la cagione di questo combattimento; ma ho speranza che Iddio v'aiuti, messere, perch?? la buona causa ?? quella che voi sostenete.

??? Ahim??, madonna, a che mi approder?? il vincere? ??? disse Morello, chinando mestamente il capo sul petto.

??? Che dite voi ora, messere?

??? Che voi non mi amate, ??? grid?? egli, tendendo le palme verso di lei, ??? e che, non amato da voi, mi sar?? forse miglior sorte il morire.?????

Queste di Morello erano parole che volevano una pensata risposta, imperocch?? da essa dipendeva, non pure il dialogo di quella sera, ma la sorte sua presso di lei.

Madonna lo guard??, ma senza sdegno; chin?? i grandi occhi di smeraldo; torn?? a volgerli su lui; quindi con piglio solenne, stendendo la mano in atto di far giuramento, gli disse:

??? Morello di Monferrato, se uomo al mondo potessi amare tuttavia, voi sareste quel desso.?????

Egli cadde ginocchioni, afferr?? quella mano, e la cosperse di baci e di lagrime, senza che ella pensasse a ritrarla.

??? Ma voi non morrete, ??? prosegu?? ella, ??? voi non morrete, cavaliero gentile, nato alle grandi imprese, per cui va giustamente famoso il vostro legnaggio. Il mondo ha dovizia di donne, pi?? di me a gran pezza leggiadre, ed ognuna di esse sar?? superba dell'amor vostro. Che potrei darvi io, in quella vece? Il mio cuore, divorato da una profonda amarezza, non ha pi?? luogo per l'affetto.?????

L'anima di Ugo di Roccam??la suggeva avidamente quelle meste parole; ma il cuor di Morello era triste; e Morello ed Ugo, la carne nuova e lo spirito antico, furono ad una per dire a Giovanna:

??? Oh, io non amer?? mai altra donna che voi!

??? Mai! ??? ripet?? Giovanna, sorridendo malinconicamente. ??? La ?? una grave parola. Chi ardisce dir ??mai?? quando non ?? alcuna fidanza del futuro, e nulla ?? durevol quaggi???

??? Voi stessa, ??? rispose prontamente Morello, ??? voi stessa che dite nel vostro cuore non essere pi?? luogo all'affetto, come se la carne inferma non potesse risanare, come se....

??? Tacete, messer Morello, tacete! E per ricordarvi di me, togliete questa sciarpa di verde zendado, che cingerete, se pur l'avete in qualche pregio, intorno al vostro giaco di maglia, e che io desidero abbia a portarvi ventura.?????

Il giovine non trov?? parole da rispondere; strinse la sciarpa sul seno, e rimase ginocchioni, estatico a guardar lei, che, con un leggiadro gesto di commiato, si era mossa per andarsene. I suoi occhi la seguirono fino all'uscio interno per dove era venuta dapprima; col??, innanzi di sparire, ella mand?? al cavaliero un altro saluto amorevole.

Quando torn?? nel suo appartamento, Morello fu meravigliato di scorgere il lume acceso nella camera di Rambaldo.

??? Che fai tu? ??? chiese egli, affacciandosi sul limitare.

??? Non vedi, Morello? Forbisco e metto in assetto i pezzi delle nostre armature.

??? Fatica rubata agli scudieri! ??? disse Morello.

??? No, ??? rispose Rambaldo, ??? io penso che in questi negozi assai meglio vedano gli occhi del cavaliero. Egli ha da indossare le armi, egli ha da esser sicuro del fatto suo, segnatamente allorquando, com'io ora, egli non ha certe guarentigie...

??? Che vuoi tu dire?

??? Che io non ho, ??? soggiunse Rambaldo ghignando, ??? favori di dame da sospendermi al collo, n?? cuori innamorati a palpitare per me.?????

Morello non rispose nulla ai motti di Rambaldo; volt?? le spalle, e and?? nella sua camera a coricarsi sul letto.

CAPITOLO XII.

Nel quale si legge della differenza che corre fra astori e barbagianni.

I primi albori del giorno rischiaravano appena la morta campagna, e gi?? gli arcieri di Torrespina erano costretti a calare il ponte, per dare uscita a due cavalieri che andavano alla quercia di Marenda, seguiti da loro scudieri e donzelli.

Quantunque vestiti di pesante armatura, essi cavalcavano due palafreni. Ma gli scudieri che venivano dietro a loro conducevano per le redini due poderosi destrieri, bardati sulla cervice e sul collo con lamine di ferro, e coperti di sotto all'arcione con ricche gualdrappe di tela d'argento e di rosso. Ciascheduno de' donzelli, poi, recava sulle spalle la lunga lancia di ferro e la mazza ferrata del suo signore.

Gli arcieri salutarono i due gentiluomini con l'aria di persone le quali sapevano la cagione di quella gita mattutina. Infatti, fin dalla sera innanzi, la voce della disfida era corsa e ognuno facea voti pel giovine cavaliero del Monferrato. Tanto era amato a Torrespina messere Ansaldo di Leuca!

??? Viva Morello di Monferrato, e il barone San Giorgio gli dia vittoria de' suoi nemici! ??? grid?? il capo degli arcieri, scuotendo la berretta col braccio teso sopra la testa.

Morello rispose con un sorriso e con un cenno della mano all'augurio del soldato, ed usc?? galoppando all'aperto. Egli portava il suo ghiazzerino, armatura di cuoio cotto, contesta di lamine di ferro. Sul ghiazzerino scendeva il sorcotto, del suo prediletto colore amaranto. L'elmo non aveva corona, poich?? il secondogenito di Guglielmo il grande, non esercitava ancora il comando di terre e castella, ma era in quella vece sormontato da due grand'ali spiegate, le quali, crescendo maest?? alla sua bella figura, significavano voler egli innalzarsi piuttosto col suo valore che con la casuale nobilt?? dei natali.

Rambaldo di Verr??a, vestito anch'egli di ferro, appariva di fuori tutto rosso come un cardinale, o come un gambero cotto. Il suo elmo portava due magnifiche corna, o trombe di torneo, contrassegni allora di chi era stato riconosciuto nobile e blasonato due volte nei torneamenti, cio?? pubblicato due volte a suon di tromba dagli araldi.

I due amici cavalcarono silenziosi fino alla quercia di Marenda, luogo molto acconcio ad un combattimento, siccome aveva notato Morello, e che gi?? pi?? volte doveva aver servito ad uso di giostra o torneo. Era esso un campo assai lungo e di conveniente larghezza, pulito e piano come un'aia, fiancheggiato da un ciglione, sul cui declivio sorgeva una gran quercia, stendendo i lunghi e nodosi rami, a guisa di padiglione, fino a mezzo l'arringo.

Il sole non era anco spuntato, e certe nuvole che coprivano il cielo lasciavano intendere ch'egli per tutto quel giorno non si sarebbe mostrato. L'aria mite faceva presagire un'altra nevicata imminente.

Morello, come fu giunto sotto la quercia, scese d'arcione, e lasciato il palafreno ai donzelli, si ferm?? con le braccia incrociate sul petto a contemplare la campagna e i monti lontani.

??? Che guardi tu, ora? ??? gli chiese Rambaldo.

??? Di l?? da que' greppi, verso Roccam??la, dov'?? morta e sepolta la felicit?? di conte Ugo....

??? Ahi poca fortezza d'animo! ??? disse Rambaldo. ??? La mesta sapienza di Morello non val forse la sciocca felicit?? del cieco signore di Roccam??la?

??? Sar??, ??? rispose il giovine, mettendo un sospiro, ??? ma io ero felice!...

??? S??, ??? soggiunse l'altro ghignando, ??? col tuo fedele Ansaldo di Leuca....

??? Ah! non mi parlare di lui!

??? Sto zitto; eccolo appunto col sozio, che viene a questa volta. Ve' i capi scarichi! E' stancano fin d'ora i destrieri.?????

Infatti Ansaldo di Leuca e il Corradengo venivano di buon trotto al luogo del convegno sui loro destrieri di battaglia, e con le lance sull'arresto della staffa.

Appena li ebbe veduti, Morello, che gi?? era smontato dal palafreno, siccome s'?? detto, fu sollecito a salire sul destriero. Raffermatosi in sella, volle sincerarsi che la sua mazza d'armi pendeva dall'arcione. Cal?? la visiera, imbracci?? lo scudo e tolse la lancia dalle mani del donzello; si curv?? un tratto per carezzare con la manopola le nari del cavallo, e il generoso animale rispose a quel tocco amorevole del suo signore, con un dolce nitrito; quindi, dato di sproni, lo fe' voltare indietro per pigliar campo, intanto che gli avversarii giungevano.

Rambaldo, da esperto cavaliere, lo aveva prontamente imitato.

??? O che vuol dire, messeri, ??? grid?? Rambaldo, salutando con una arguzia i nuovi venuti, ??? che il sole di questi Appennini ?? tanto scortese con voi?

??? Perch?? dite voi ci??? ??? chiese ruvidamente il Corradengo.

??? Perch?? egli mi sembra, ??? rispose Rambaldo, ??? che non voglia punto saperne di ammirar le prodezze de' barbagianni delle Langhe contro i poveri astori del Monferrato.?????

Il Corradengo si morse il labbro e non rispose; ma per lui rispose il braccio, crollando fieramente la lancia in atto di minaccia.

??? Ah! ah! Sta bene; ??? soggiunse Rambaldo ghignando, giusta il costume, ??? che cosa intendete di dire con quel vostro giunco in aria? Calatelo alla misura della mia testa, e vedremo!?????

Fu quello il segnale del combattimento. Ficcati gli sproni ne' fianchi ai destrieri, corsero tutti e quattro, rovinarono gli uni sugli altri, con le visiere calate, il corpo piegato sul dinanzi, lo scudo raccolto sul petto e la lancia bassa. A que' tempi non era anche inventata la resta, grosso ferro saldato alla corazza, su cui poggiare l'impugnatura della lancia perch?? il colpo riuscisse meglio assestato, epper?? l'antenna si volgeva diritta al petto dell'avversario tenendola a gran forza di braccio raccomandata sotto l'ascella.

Le lance dei due maggiori combattenti si scontrarono con tutta la veemenza che era loro conferita dall'impeto delle cavalcature. Ma la lancia di Ansaldo colse di sguancio un lato dello scudo di Morello, e il colpo and?? a vuoto; laddove il ferro della lancia avversaria imbrocc?? il suo cos?? forte che essa si pieg?? ad arco, e, rimanendo egli saldo in arcioni, and?? in ischegge fin quasi all'impugnatura. S'impenn?? a quel cozzo il cavallo di Ansaldo, e fe' cadergli la lancia di pugno. Ambedue allora, seguendo l'impeto dei destrieri, trascorsero il campo, andando a fermarsi pi?? lunge, l'uno al posto dell'altro.

Morello intanto era stato sollecito a gittar via l'inutile troncone, dando in quella vece di piglio alla sua mazza, arma poderosa la quale portava ad uno dei capi, raccomandata ad una breve e solida catena, una grossa palla di ferro, armata di aculei, che dovevano essere la misericordia di Dio per quelle membra sulle quali andassero a cadere. E gi?? fornita la carriera, il valoroso giovane avea voltato il cavallo per muover da capo sull'avversario; ma ci?? ch'egli vide accadere in mezzo al campo, tra gli altri due combattenti, lo fe' rimanere ammirato a guardare.

Ansaldo di Leuca, s'era fermato del pari, ma con animo ben diverso, imperocch?? aveva veduto il suo compagno a mal partito, disteso a terra supino, con un piede ancor nella staffa e le mani aggrappate alle redini del suo destriero, che sparava calci per liberarsi da quella stretta, e frattanto, ne' suoi sbalzi a dritta e a manca, lo trascinava dietro di s??.

Ora, ecco come era andato il negozio. La lancia del Corradengo era passata tra i due corni dell'elmetto di Rambaldo, che per cansare il colpo s'era prontamente curvato fin sul collo del suo destriero, intanto che la sua lancia, pi?? fortunata, coglieva l'avversario sotto la gorgiera, e lo balzava a dirittura di sella. Tardo delle membra com'era, e per giunta stordito dal colpo, il Corradengo era rovinato a terra, e, non potendo rimettersi sulle gambe, stringeva per moto istintivo le redini del cavallo, in quella medesima guisa che l'affogato s'aggrappa ad ogni cosa che gli venga tra mani.

??? Lasciate le redini, messer barbagianni, lasciate le redini!?????

Il Corradengo, che gi?? pi?? non sapeva a qual santo votarsi, segu?? il consiglio dell'avversario, il cavallo fatto per tal guisa padrone di s?? medesimo, scapp?? via spaventato, non senza aver ricevuto sulla groppa la puntura della lancia di Rambaldo, che continuava a ridere senza misericordia.

Tutto indolenzito dalla caduta, ma furibondo pe' motteggi dell'avversario, il Corradengo si rizz?? in piedi, mentre Rambaldo, sceso gi?? da cavallo e lasciate le redini al donzello, mettea mano alla spada.

??? Io mi penso, messer barbagianni, ??? disse quest'ultimo, ??? che noi possiamo far capo a quest'arma. La vostra mazza se l'ha portata via il destriero, ahi poco fedele! ed io rinunzio a far uso della mia, sebbene sarei in diritto di giovarmene e pettinarvi con essa quel po' di cervello che avete.?????

Il Corradengo, che mal poteva schermire di lingua col trovatore di Monferrato, non rispose; ma al piglio con cui si fece a cavare la sua pesante spada dal fodero, era agevole argomentare che la rabbia tendesse i nervi del gigante.

Egli era, siccome ho detto, di membra poderose, e la mezzana statura di Rambaldo, messa a raffronto con la sua, non avrebbe certamente tenuto in sospeso il giudizio di uno spettatore. Al Corradengo parve allora di potersi rifare in un tratto del suo primo svantaggio e di tutti i sarcasmi del suo avversario.

??? Astore del Monferrato, prendi questa! ??? grid??, precipitandosi con un fendente su lui.

Ma Rambaldo non s'era tolto nemmeno il fastidio di parare il colpo. Agile e pronto come una lucertola, egli era guizzato da un fianco, e il Corradengo, non avendo altro a tagliare che l'aria, era andato bocconi sul terreno a contare la sua seconda caduta.

??? Ah, ah! il barbagianni! ??? Ma se la dicevo io, che se il sole non ha voluto comparire quest'oggi e' doveva averci le sue gravi ragioni!?????

Furibondo, il Corradengo fe' per alzarsi, ma la spada di Rambaldo fu pi?? pronta di lui e gli piovve addosso una tempesta di colpi. Il povero gigante ricadde, sotto quella rovina, per non sollevarsi pi??, e per la rotta gorgiera, per le spezzate piastre che custodivano l'omero, spicciarono rivi di sangue.

Pigliatasi quella satolla, Rambaldo si ferm??, e al cenno ch'ei fece di averne abbastanza, accorsero i donzelli del Corradengo, per trarre il loro semivivo padrone fuori del campo.

??? Che ne dite voi, messere Ansaldo di Leuca? Vi par egli che fosse tanto l'ippocrasto cioncato da Ugo di Roccam??la, quant'?? il sangue spillato dalla botte del vostro compare bugiardo?

??? Non cantate cos?? presto vittoria! ??? grid?? Ansaldo di Leuca. ??? I valorosi possono cadere, ed essere vendicati eziandio! A voi, Morello di Monferrato, e fate buona custodia delle vostre membra leggiadre!?????

Cos?? disse, e, rotando la mazza sopra l'elmetto, spinse il cavallo a carriera. L'animoso Morello non volle dal canto suo rimanersi ad attenderlo e galopp?? del pari verso di lui, andando a ricevere sullo scudo la prima mazzata di Ansaldo. Qui spesseggiarono i colpi, come le martellate dei favolosi Ciclopi nelle fucine dell'Etna, facendo balzar scintille dalle armature percosse.

??? Bene! ??? gridava Rambaldo dall'alto del ciglione, dov'era andato a piantarsi, come un mastro di combattimento; ??? questo ?? un colpo che val quanto pesa; e non badate al bisticcio, che ?? di sovra mercato. Ah, benissimo quest'altro! Morello, amico mio, tu me lo conci pel d?? delle feste, il leggiadro garzone! Oh??, bada a' fatti tuoi! Gitta lo scudo, che ormai non serve che ad impacciarti. Ottimamente! Ve' ve' quest'altra mazzata! Fischia la palla e va a battere l'elmetto. Addio, roba mia! L'ha tocco: habet, habet! direbbe mastro Benedicite, che sa di latino. Compare Ansaldo, come vi sentite voi ora??????

Il compare Ansaldo, pesto e sanguinante per tutte le membra, sbalordito dall'ultimo colpo di Morello, che gli avea rotto sul viso la ventaglia dell'elmetto, andava riverso sulla groppa del suo destriero, e, brancicando l'aria con le mani irrigidite, cadeva sul terreno, dove Morello di Monferrato, balzando da cavallo, gli fu subitamente col ginocchio sul petto.

??? Ansaldo di Leuca, mi conosci tu? ??? disse egli con voce bassa ma concitata, in quella che, alzata la visiera, metteva i suoi occhi contro gli occhi del caduto.

Ansaldo lo guard??, e mise un grido di orrore. Egli aveva conosciuto sotto quella visiera la pallida figura di Ugo di Roccam??la.

??? Ansaldo di Leuca, ??? prosegui Morello, col medesimo accento di prima, ??? chiedi perdonanza delle tue scellerate menzogne!

??? No! no! ??? url?? Ansaldo di Leuca; e, tratto il pugnale, cercava di piantarlo nel fianco del suo nemico.

??? No? no? e tenti ancora di ferirmi? aspetta a me, e va in tua malora!?????

Alle parole di Morello andarono gli atti compagni. Cavato egli pure il pugnale che gli pendeva dal fianco, lo immerse tre volte nella gola dello sleale cavaliero. Gli occhi si ottenebrarono ad Ansaldo; tent?? parlare, e gli sgorg?? dalle labbra un fiotto di sangue; volle alzare la fronte, ma tosto ricadde, coi denti stretti e gli occhi sbarrati; era morto.

??? Ora, a noi! disse Rambaldo, saltando nel campo, e prendendo pel braccio l'amico. ??? Il furfante t'aveva ammaccato per bene, ma tu hai picchiato pi?? forte di lui, e me ne congratulo teco, tanto pi?? schiettamente in quanto che Apor??ma ?? rimasto affatto neutrale. Su, in arcioni, adesso, e ognuno seppellisca i suoi morti!?????

CAPITOLO XIII.

Dove si stilla in dieci pagine ci?? che potrebbe stemperarsi in cento.

Ho letto, non so pi?? in qual libro, di un filosofo che sud?? di molte camicie a cercare se il tempo fosse un gran veneno, come l'ha dichiarato il Petrarca, o un gran rimedio, siccome ?? dimostrato da tanti e tanti casi della vita. Inutile studio, a parer mio! Spesso i veleni pi?? possenti riescono farmachi, e i farmachi pi?? blandi riescon veleni. La scienza vi discorre e vi spiega queste apparenti contraddizioni della natura; e a me l'esperienza, questa durissima scienza della vita, ha insegnato che il tempo, rimedio e veleno, non rammargina le antiche piaghe se non per aprirne di nuove, che la immagine di un alto dolore scorre impunemente su quelle fibre che nel tempo antico avea fatte frizzare, e un lieve rammarico, fresco di quel d??, fa metter grida e guaiti pi?? forti che non ne mettesse Prometeo sulla rupe, ai colpi di rostro del vorace avoltoio.

Ahi, Ugo di Roccam??la! ahi, povero martire d'un dubbio! Tu volevi sapere, e non ti peritasti di mettere la posta pi?? grossa nel tuo esperimento doloroso. Ora ecco che noi, senza fatica, senza stregonerie, riusciamo a saperne altrettanto; poniamo a sindacato gli affetti del cuore, tiriamo gi?? la sua brava equazione, troviamo la formola che li crea e quella che li distrugge. La vita, per tal modo considerata, ci si dimostra una cosa assai pi?? da ridere che da piangere, e da non francar sempre la spesa d'esser vissuta.

Ma lasciamo l'algebra del cuore in disparte. Perch?? parlavamo noi del tempo? Volevamo chiedergli cinque anni, da farli trascorrere in un batter d'ali, per comodo del nostro racconto. Ed ecco, i cinque anni sono passati, mie belle lettrici, e quel che pi?? monta, senza mescolare un filo d'argento nei vostri capegli, senza scavarvi una ruga traditora alle tempie. Se cos?? fosse mai sempre, se gli anni passassero, senza avvizzirci sulle guance il fiore della giovent??, senza raffreddarci a gradi a gradi il lago del cuore, chi non amerebbe invecchiare, poich?? lo andare innanzi negli anni non ?? altro che vivere? Ma ohim??, il tempo passa e, non pure ogni anno, ogni giorno ci ruba qualcosa; il miracolo di far volare il tempo senza danno d'alcuno, non ve lo fa che un romanziero, e pur troppo gli ?? un miracolo per celia!

Basta, sono trascorsi cinque anni dalla morte di Ansaldo di Leuca. Il savio lettore ha gi?? capito che Morello ha tolto commiato quel d?? medesimo dalla corte di Torrespina. Non si sta accanto ad una donna con le mani tinte del sangue di chi pure l'am??. Il combattimento era leale, necessario; la vostra vittoria desiderata; ma guai a rimanere dopo quel combattimento e dopo quella vittoria!

Tutto ci?? aveva inteso Morello, anche prima di sentirselo a dire dal suo fedel consigliero. Inoltre, che cosa poteva egli sperare di ottenere eziandio? Quella donna aveva fatto per lui tutto ci?? che le era concesso dal suo stato d'allora. Egli portava sul petto una sciarpa di verde zendado, testimonio, se non d'amore, di benevolenza singolare, e scolpite nel cuore queste gravi parole: ??se uomo al mondo potessi amar tuttavia, voi sareste quel desso.?? Chieder di pi?? in quel momento, fermarsi a mendicare un quotidiano sorriso, sarebbe stato un cadere in quella mediocrit??, che pu?? parer d'oro a molti, ma che non ha uscita, n?? speranza di fortuna migliore. Savio consiglio il partire; un amore che vicino spaventa, o infastidisce, lontano si vagheggia senza timore, cresce quasi inavvertito e soggioga.

In tal guisa e con tali propositi, Morello si part?? da Torrespina, n?? per cinque anni pi?? vide quei luoghi. Dorm?? egli cinque anni in una notte, o gli passarono dinanzi agli occhi rapidi come un baleno? Questo ed altro potea fare Apor??ma.

Comunque ci?? fosse, la storia dice che Morello di Monferrato fu alla corte paterna; quindi, per la via di Lamagna, fino a Tessalonica, reame di sua famiglia, e di l?? navig?? a Costantinopoli e corse molta terra d'Asia, dappertutto celebrando la bellezza sovrumana della figliuola del Lionello del Cengio, e rompendo in onor suo molte lance contro francesi e saracini.

E Giovanna, nella solitudine del suo maniero, udiva di frequente il nome di Morello. Talfiata gli era un povero monaco, che se ne tornava pedestre dal sepolcro di Cristo, e le recava novelle del prode e memore cavaliero, insieme con un pezzettino del santo legno; tal altra un gaio menestrello, che le ripeteva d'udita i versi, divenuti famosi, del giovine innamorato.

Ma che sapeva egli del cuore di lei? Apor??ma gli aveva chiesto di dar tempo al tempo, ed egli assaporava la triste volutt?? di un mutamento, lontano o vicino, ma certo; spiava ansioso e tremante il giorno che la memoria di Ugo di Roccam??la fosse tradita nel cuor di Giovanna.

E gi?? forse non era? Che cosa avea ottenuto Ugo in suo vivente, da lei? Ci?? che ebbe a dire pi?? tardi un altro martire del dubbio: parole, parole, parole! Morello potea dunque, e ragionevolmente, argomentare di esser giunto ad uguale ventura, e il suo sperimento avrebbe potuto credersi finito, se un nuovo dubbio non fosse nato nell'anima sua.

??? Amer?? me finalmente.... Apor??ma lo giura. Ma, se pure ci?? avvenga, che vorr?? dire? potr?? io farne colpa a lei e crederla dimentica dell'amato estinto? Se lo spirito che muove queste membra ?? quel desso di prima, non potr?? dirsi che ella, amando Morello, obbedisca all'arcana possanza dello spirito di Ugo?...

E qui nuove incertezze, ed una tenerezza ineffabile per quella donna. E con questo pensiero, vagheggiato nella mente senza farne motto al compagno, un cavaliero, male in arnese e stanco in apparenza come chi abbia fornito assai lungo cammino, saliva l'erta di Roccam??la, una mattina di novembre, sei anni dopo la morte di Ugo, andando a chiedere ospitalit?? al nuovo signore del castello.

Ora il nuovo signore del castello non era altri che quel burlesco personaggio, gi?? noto ai lettori, di mastro Benedicite, il vecchio strozziere.

Com'egli di vassallo fosse giunto a quell'alto stato s'?? detto, e son note le grasse risa che ne erano state fatte a Torrespina. Ma ben pi?? avrebbe riso la corte di messere Corrado, se avesse saputo in qual modo l'antico falconiere di Ugo rispondesse al nobile ufficio di successore. A me, per dipingervi a modo questo ridevole castellano, bisognerebbe la penna e il buon umore di Rabelais; ma poi ch'io non l'abbo (direbbe Dante) mi ridurr?? al pi?? modesto ufficio di raccontarvi come il nuovo signore passasse i suoi giorni feudali.

Anzitutto ei dormiva, oh! dormiva come un ghiro, e non c'era verso che il ponte di Roccam??la si calasse prima delle undici del mattino, ora in cui l'ottimo gaudente si alzava dal suo letto comitale. Chiunque avesse bisogno di entrare, era cortesemente pregato di attendere, foss'anco stato Carlomagno redivivo. Que' che volevano uscire innanzi l'ora ci avevano la scappatoia delle scale di corda; ma qui bisognava farla netta; se no, guai al trasgressore della comune disciplina; il castellano non lasciava correre lo scherzo!

I negozi del castello andavano innanzi, come al tempo di Ugo il felice, con questo solo divario che i parassiti dell'estinto signore erano stati con bel garbo messi fuori e che lo stesso Fiordaliso, il quale era di nobil sangue, non volendo stare ai servigi di un villan rifatto, se n'era andato, sua sponte, da Roccam??la, per cercarsi ventura altrove.

??? Buon viaggio! ??? aveva detto Benedicite. ??? I in malam crucem! ??? aveva soggiunto tra' denti.

Ma se il paggio era andato, il castellano non era altrimenti rimasto senza un fedele compagno. Un certo fra Gualdo, buon bernardone del monistero vicino (ho detto fin dal principio di questo racconto che cosa fossero i bernardoni e perch?? chiamati in tal guisa), faceva compagnia quotidiana a messer lo conte. E se il castello non risuonava pi?? degli accordi del liuto e delle gaie canzoni del biondo Fiordaliso, echeggiava per contro delle nasali salmodie del cirsterciense e del suo protettore, arcades ambo, e cos?? bene pasciuti, che l'uno pareva sant'Antonio, e l'altro.... quel suo collega che sapete.

Il conte Benedicite s'incamminava di buon passo sulla via della santit??. Egli e fra Gualdo recitavano ogni giorno insieme il breviario, e tra un salmo e l'altro, tra un'antifona ed un oremus, solevano bagnarsi l'ugola, per rinfrescare la voce. Cominciavano a centellare, a sorseggiare quel famoso vin di Cipro, che l'uguale (giusta la nota frase di Benedicite) non si beveva alla mensa del serenissimo doge di Venezia; poi tracannavano addirittura le ci??tole; e finivano ogni sera col disfidarsi a chi bevesse meglio a garganella, senza imbrodolarsi la giubba.

Per tal modo non riusciva strano che ogni notte fossero in cimberli, e il pi?? delle volte i famigli fossero costretti a raccappezzarli sotto la tavola, per levarli di peso e portarli a dormire.

Il conte Benedicite! Notate rotondit?? di nome! Ma al castellano non gli andava ai versi. Diventato padrone, egli s'era affrettato a ribattezzarsi col suo antico nome di Anacleto, comandando, sotto pena di andare a marcire nei sotterranei della rocca, che nessuno fosse tanto ardito da dimenticarselo.

Ma le furon novelle. A nessuno veniva fatto di chiamarlo conte Anacleto; e qualche esempio da lui dato a' trasgressori fece s?? che nel rivolgergli il discorso non gli si desse pi?? verun nome. Lui assente, del resto, non si diceva altro che conte Benedicite, ed anzi v'era taluno la cui lingua ribelle non sapeva dir ??conte?? e tirava innanzi a dir mastro Benedicite, come nel tempo passato.

Il solo che lo chiamasse col suo vero nome, troppo tardi svecchiato, era lo strozziere di Roccam??la, persona nuova, e successore del nuovo padrone in quella aucuparia dignit??. Conte Anacleto (lo storico imparziale gli far?? anch'egli il torto di non chiamarlo a modo?), conte Anacleto avea fatto venire assai da lontano quel personaggio, perch?? avesse cura delle sue nobilissime bestie.

Di insegnare il mestiero all'Anselmuccio non gli era infatti pi?? nulla. Quel biondo nipotino, che i lettori conoscono per la sua lezione sulle varie generazioni di falchi, poteva essere allora sui diciassett'anni, e nato, come era, da una sorella di Benedicite, il quale non aveva figliuoli, diventava per conseguenza il contino, l'erede della corona, salvo (s'intende) il caso d'una rivoluzione, od altro accidente che avesse a turbare il prestabilito ordine dinastico.

Lass?? si andava bisbigliando che l'Anselmo fosse un figlio extra torum di Roberto il taciturno e fratellino carnale di conte Ugo. Benedicite, che in ogni altra occasione si sarebbe recato di questa diceria come di ingiuria gravissima alla memoria della sorella, or la lasciava correre, come quella che gli pareva una consacrazione del diritto di successione. Onore umano, come cangi spesso di nome e di luogo!

Ma, il lettore dir??, e non c'era il testamento per raffidarlo? Ahim??, nessuno lo aveva veduto, quel testamento, e non se ne parlava che d'udita, perch?? lo avea detto egli...

Cos?? il conte Anacleto passava il suo tempo abbastanza felice. Egli era una specie di Macbeth, senza i delitti, ma con tutte le sperticate ambizioni e con la pi?? sperticata ingratitudine verso la memoria del suo estinto signore.

Al nuovo feudatario non mancava che una cosa, la castellana. Talfiata, nelle sue bacchiche conversazioni con frate Gualdo, e quando il vino gli dava nell'elegiaco, il conte Anacleto Benedicite si lasciava ire alla tristezza di questo pensiero.

??? Vae soli, frate Gualdo, vae soli! lo ha detto re Salomone; ed egli doveva intendersene, che, pel timore di rimaner solo, s'era tolto settecento mogli, e trecento... ausiliarie. Or dove ne trover?? io una?

??? Che dite voi, messere? ??? rispondeva frate Gualdo, il quale aveva un altissimo concetto del vino di conte Anacleto. ??? Qual donna non si recherebbe a ventura di avervi in marito, felicem adire thalamum?

??? Voi non direste male, pater reverendissime, se io fossi giovane, si mihi rideret ??tas. Ma oramai la ?? passata, l'et?? degli amori onnipossenti, e qual Sabina di queste castella si lascierebbe rapire da un vecchio par mio?

??? Mi viene in mente una bella pensata; ??? disse fra Gualdo. ??? O non potreste sposare la figlia dell'armaiuolo? Quella ?? una bellissima femmina, mulier formosissima, non troppo giovine....

??? Ah, ah! ??? grid?? mastro Benedicite, cio?? scusate, il conte Anacleto. ??? Bibisti quam maxime, pater reverendissime! Voi mi proponete di far casaccia....

??? O come, casaccia?

??? Mais??, un gramo parentado. O che, vi par egli dicevole? Un signore di Roccam??la.... la figlia d'un fabbro.... Ella ?? belloccia, mehercle! e non nego che se fossi il re Salomone, non avrei nessuna difficolt?? a farla la millesima prima....

??? Messer Anacleto! ??? interruppe scandolezzato il monaco. ??? Re Salomone cadde per questi suoi peccati in disgrazia di Dio.

??? Ah, me n'ero scordato; ma basta, io non corro di simiglianti pericoli, a questi lumi di luna. Io volevo dirvi soltanto che un signore di Roccam??la non pu?? scender di condizione, e che i vostri argomenti peccano contro il senso comune.

??? Io dicevo cos?? per dire; ??? rispose fra Gualdo. ??? Non ne parliamo pi??.?????

??Non ne parliamo pi???? gli era presto detto! Cotesto era in quella vece il discorso che veniva in tavola ogni giorno, poich?? il pensiero del matrimonio era l'unica spina del conte Anacleto.

Per ventura, ogni sera, il vin di Cipro veniva pietoso ad affogare il dolore del conte.

E adesso che abbiamo rifatta conoscenza, con gli abitanti di Roccam??la, ripigliamo il filo del nostro racconto, torniamo al forastiero, che ha avuto tempo a salir l'erta, agio ad aspettare la calata del ponte, e modo di giungere fino alla gran sala del castello, dove il conte Anacleto, quondam strozziere, seduto sulla scranna feudale, riceveva i cavalieri e rendeva giustizia ai vassalli.

CAPITOLO XIV.

Nel quale si legge di mastro Benedicite, come tornasse ad aver paura del diavolo.

??? Che vuoi tu? ??? chiese l'antico strozziere, dopo che ebbe squadrato dal capo alle piante il nuovo venuto. ??? In qual tuo bisogno pu?? egli giovarti il conte Anacleto di Roccam??la!?????

Il conte di Roccam??la! E' bisognava vedere come egli si gonfiasse, mettendo fuori quel nome, che aveva (cos?? pensava egli) ad abbacinare il nuovo testimone della sua grandezza. Ma ohim??, nulla ?? durevole quaggi??, e quell'impeto di felice superbia aveva ad essergli ricacciato in gola.

??? Voi? ??? esclam?? il nuovo venuto, con atto di beffarda incredulit??. ??? Vive egli forse un conte di Roccam??la, poich?? messer Ugo il felice ha pagato il suo tributo alla gran madre antica??????

Il conte Anacleto (conte per grazia sua, come i lettori gi?? sanno) fu ad un pelo di uscire dai gangheri. Un'occhiata di frate Gualdo, che era l?? presso e gli mostrava il cielo con le palme tese, giunse in tempo a trattenerlo. Si morse il labbro e quindi, sorridendo a malincorpo, usc?? in queste parole:

??? Tu vieni da lunge?

??? S??, messere; vengo da terre assai lontane, e diverse eziandio di costume da questa, imperocch?? laggi?? non si usa favellare cos?? alla domestica coi forastieri, come voi fate ora, dando del tu a cui non conoscete.

??? O che? ??? rispose lo strozziere ghignando. ??? Sareste per avventura il duca Namo di Baviera?

??? Lasciate le arguzie da banda; io mi son cavaliero e basta, se pure non ce n'?? d'avanzo.

??? Sia, messere; ma, in verit??, il vostro arnese....

??? L'abito non fa il monaco! ??? sentenzi?? il nuovo venuto. ??? Chiedetene al vostro reverendissimo sozio.

??? Eheu nimirum! ??? soggiunse fra Gualdo, facendo occhi da santo. ??? S??, certamente, voi dite il vero, messer cavaliero; siamo tutti peccatori, e il glorioso san Bernardo, nostro patrono, fu il primo a dire....

??? Ma insomma, ??? grid?? il castellano, dando sulla voce a frate Gualdo e al suo glorioso patrono, ??? che chiedete voi, messer cavaliero, al nome di Dio?

??? Ah! ??? disse tranquillamente l'interrogato. ??? Ci?? che mi ha condotto quass??, risguarda un vecchio strozziere, e mi vedo in quella vece dinanzi ad un conte. Me ne duole, per verit??, dappoich?? gli ?? un negozio d'alto rilievo....?????

Benedicite, che gi?? stava per mandarlo in falconeria, mut?? subitamente consiglio a quelle parole dello sconosciuto.

??? Messere, ??? diss'egli, andando, come suol dirsi, a cercar le frasi col fuscellino, ??? io veramente.... poich?? ci?? che avete a dirci ?? cosa d'alto rilievo.... non vi sar?? ignoto quali siano, e come variabili, i giuochi della fortuna.... Tempora mutantur, et nos mutamur in illis.

??? Oh dictum bene! ??? soggiunse fra Gualdo, con la sua arietta beata.

??? Che vuol dir ci??? ??? chiese lo sconosciuto.????? Io non v'intendo....

??? Non sapete di latino, a quel che pare! Orrevole idioma, il latino; e bisognerebbe non parlarne mai altro, perch?? avesse finalmente a rifiorire da noi. Io, vedete, vecchio qual sono, ho ripigliato a studiarlo, insieme con questo reverendo amico.... Ma lasciamola l??, se non vi garba. Volevo dirvi, con quella mia citazione, che io sono.... quel tale di cui cercate, e sono altres?? il signore di Roccam??la. La qual cosa vi sarebbe chiarissima da un pezzo, se non veniste, come dite, a longinquis regionibus; e sapreste del pari che di questo dominio avr?? tra non molto l'investitura dallo imperator di Lamagna, al quale ho mandato....

??? S??, s??! ??? interruppe lo sconosciuto. ??? Questo io so bene, quantunque venga a longinquis.... come voi dite. Gli avete fatto il presente, per renderlo propizio alla vostra dimanda, de' pi?? leggiadri e destri randioni che il gran maestro de' cavalieri di Malta avesse mandato a suo nipote, il conte Ugo, che Domineddio l'abbia in gloria! Ma egli sar?? un donativo sprecato, ed io vi giuro per la mia fede di cavaliero, che non avrete il diploma di Cesare.

??? Domine, fallo tristo! ??? url?? Benedicite, facendosi pavonazzo dalla rabbia, e balzando dalla seggiola, come per avventarglisi contro.

??? Chetatevi, messere Anacleto! ??? disse fra Gualdo, a mani giunte. ??? Esto prudens!

??? Che prudens! che prudens! Le mani, le mani mi prudono ora, e non so chi mi tenga ch'io non lo faccia balzare da quella finestra....

??? Provate! ??? disse lo sconosciuto, incrocicchiando superbamente le braccia sul petto.

??? Che s??.... che s??.... ??? seguit?? Benedicite, sempre pi?? riscaldandosi; ma fra Gualdo, levatosi da sedere, a malgrado del ventre, and?? a trattenerlo, e non senza fatica lo ridusse da capo sulla sua scranna di cuoio cordovano.

??? Pax tibi, messere Anacleto! E voi, ??? aggiunse il rubicondo bernardone, voltandosi a dare la parte sua allo sconosciuto, ??? non dovreste uscire in cosiffatte sentenze, o metterle fuori con un po' pi?? di garbo. Est modus in rebus....

??? La mia gente! ??? gridava intanto Benedicite. ??? La mia gente! e sia messo fuor del castello lo sciagurato!

??? No, neppur questo! ??? soggiunse il paciere, ??? non si usa tal villania ad un forastiero, per una cosa mal detta. Oltre di che, vi bisogna sapere chi egli sia...

??? S??, orbene.... Lasciatemi, pater reverendissime, non mi state dinanzi; sono tranquillo, non ho pi?? nulla.... Ah, cos?? va bene. Diteci dunque, messer cavaliero, chi siete voi?...

??? Ah! ??? rispose quegli, sorridendo. ??? Di qui avevate a cominciare, e non vi sareste guastato il sangue.... prima del tempo. Io sono il conte di Roccam??la.?????

Come si rimanesse il conte posticcio a quella improvvisa dichiarazione, argomenti il lettore. Io dir?? solamente che egli sent?? traballarsi sotto le membra la sua scranna feudale, e s'aggrapp?? forte ai bracciuoli, come per sostenerla. Passato quel lampo di stupore e di paura, si prov?? a ridere; ma le labbra sole si mossero e fecero una brutta smorfia; il riso non venne dal cuore.

??? Ah, ah! il conte di Roccam??la! Questa ?? nuova di zecca.... E per ci?? appunto vi siete partito da casa vostra?

??? Messere, ??? disse l'altro senza scomporsi, ??? questa pergamena vi far?? fede dell'esser mio. Mi chiamo Ulrico di Roccam??la, e son figlio ad Ottone, il fratello minore di Ruberto il taciturno. Questa ?? la genealogia de' miei maggiori, che potrete raffrontare a quella del castello, la quale il mio cugino Ugo non avr?? certamente portata seco sotterra. Che ne pensate voi?

??? Penso.... penso.... che tutto ci?? ?? mirabilmente trovato, ma che non m'importa un frullo. Le pergamene si possono scrivere....

??? Sane! ??? interruppe fra Gualdo, in quella che prendeva a sua volta dalle mani del suo vecchio sozio la pergamena di Ulrico. ??? Le pergamene hanno questo pregio singolare, che esse non si richiamano mai delle bugie che il tornaconto umano ci scrive. Ma, se questo ?? per avventura un pregio per chi le ha da metter fuori, e non lo ?? di certo per coloro che le hanno da leggere.?????

Quell'altro non bad?? alle considerazioni del frate, e, volgendosi a Benedicite, gli disse:

??? Questa pergamena porta il nome di un insigne araldo, e voi, dubitando della sua autenticit??, vi chiarireste, per ci?? solo, indegno di cingere spada. Ma, mettiamola pure in disparte; il mio volto non dice nulla a voi, vecchio abitante di questo maniero, e testimone di tre generazioni? Non vedete voi qui la fronte spaziosa, gli occhi fosforescenti e l'aspetto leonino dei Roccam??la? Non vedete qui derivata la sporgenza del loro labbro inferiore, il quale dimostra da due secoli che siamo nati per comandare?

??? Non qui, mio bel sere, non qui! ??? grid?? Benedicite, stretto, incalzato nelle sue ultime ridotte. ??? Conte Ugo mi lasci?? sue erede universale, e ci ho un buon testamento che lo prova.

Il forastiero sorrise mestamente, in quella che volgeva una rapida occhiata al monaco, e prosegu??, in atto di chi, accostate le labbra ad un'amara bevanda, vuol pure trangugiarla fino all'ultima stilla.

??? Io non dir?? del vostro testamento quello che voi pur mo' della mia pergamena. Vi dir?? in quella vece che il vostro testamento non approda, se vi manca il diploma di Cesare, che voi vassallo innalzi a condizione di cavaliere e v'investa del dominio di cos?? forte e ricco arnese. Ora, siccome vi ho detto, questo diploma non avrete mai fino a tanto che io viva, io conte Ulrico, io unico superstite del sangue dei Roccam??la.

Qui il conte Anacleto, che gi?? stava assai male in arcioni, perdette a dirittura le staffe.

??? Ah! ??? grid?? egli di rimando. ??? E credete non ci sia pi?? qui, non rimanga nessuno di cos?? nobile schiatta? Andate, tornate in Lamagna, ad bibendam cerevisiam vestram; qui comanda il vecchio Anacleto, erede di conte Ugo per forza di testamento e zio tutore del giovine conte Anselmo, un vero e pretto Roccam??la, e, quel che pi?? monta, di casa.

??? Tristo ed abbietto! ??? tuon?? il forastiero.????? Voi calunniate vostra sorella!

??? Alla croce di Dio! ??? grid?? Benedicite, in atto di scagliarsi su lui.

Ma innanzi ch'egli avesse potuto colpire il suo avversario, fu colto da un manrovescio cos?? forte nel petto, che lo sbalestr?? come un batuffolo di cenci sulla sua scranna feudale.

Gli occhi, che aveva dovuti chiudere, videro nel buio delle palpebre un subisso di fiamme; gli zufolarono le orecchie, e rimase un tratto come tramortito. Quando finalmente pot?? trarre il respiro e riaprir gli occhi, si trov?? nelle braccia del monaco. Il forastiero era scomparso.

??? Frate Gualdo! ??? diss'egli, con un fil di voce. ??? A che tempi siamo!

??? O tempora! o mores! ??? rispose il monaco, alzando gli occhi alle travi del soffitto. ??? Pazienza, amico mio, pazienza ci vuole!

??? E in casa mia! e dentro una r??cca munita! ??? prosegu?? Benedicite, a cui tornava coi sensi la parlantina. ??? E nessuno che si trovasse qui a darmi man forte! E neppur voi vi siete mosso, fra Gualdo!...

??? O che potevo io, fili mi dilettissime? Come avrei potuto parare un colpo cos?? improvviso? E poi, a dirla schietta tra noi, non aveva egli un pochettino di ragione?

??? Come? ??? esclam?? Benedicite, guardando in viso il compagno.

??? S?? certo, quella genealogia ei non l'aveva inventata; c'era il nome di Guarnerio, uno dei pi?? riputati araldi del tempo nostro....

??? E sia pure; ??? rispose il castellano; ??? ma il mio testamento val tutte le pergamene araldiche del mondo.

??? Se fosse autentico! ??? soggiunse con piglio sarcastico il cisterciense.

??? Frate Gualdo!

??? Mastro Benedicite!?????

A queste due esclamazioni tenne dietro una breve pausa, durante la quale mastro Benedicite stette guardando attentamente fra Gualdo e fra Gualdo rimase imperterrito a guardar Benedicite; questi, reggendo la muta tranquillit?? del suo interlocutore, fu primo a rompere il silenzio.

??? Egli mi sembra, pater reverendissime, che voi dimentichiate un tratto chi io mi sia,...

??? No, siete voi che lo dimenticate; ??? ripigli?? con un insolito accento il cisterciense; ??? ed io vo' rinfrescarvi la memoria. Voi siete il fratello di latte di Ruberto il taciturno; avete veduto bambino e cullato sulle vostre ginocchia Ugo il felice. Tutto ci?? v'ha fatto dar di volta il cervello. Il conte Ugo vi amava, il poverino, e lasciava a voi molta pi?? autorit?? che non si addicesse ad uno strozziere. Che dico strozziere? Voi non lo eravate gi?? pi?? che per vostro diletto, per amore ai falconi, non pi?? per debito d'ufficio. In quella vece eravate voi il visconte, il capitano degli arcieri, il gran siniscalco, il ser faccenda della r??cca, n?? si moveva qui foglia che voi non voleste. Quando messer lo conte d'improvviso mor??, voi giuraste di tenere in custodia il castello e i dominii di Roccam??la, fino a tanto non giungesse il nuovo signore, che si diceva esser vivo ancora, l?? dalle parti di Lamagna. Ma, cresciuto di autorit??, cresceste eziandio di superbia; e la superbia, fili mi dilectissime, ha perduto animi pi?? forti del vostro. Experto crede! Allora, solo ed ozioso, incominciaste ad amare un tantino di pi?? le anfore e le botti e ad ubbriacarvi sette giorni per settimana....

??? Con voi, fra Gualdo, con voi! ??? interruppe mastro Benedicite, che fino a quel punto non aveva potuto frenare quella r??ffica d'eloquenza.

??? S??, con frate Gualdo, non lo nego; ma nel vostro vino avete affogato la voce della coscienza, e i fumi di quel vino si sono tramutati in un sogno che piaceva al vostro orgoglio, in quella che recava offesa al buon nome di vostra sorella....

??? Fra Gualdo! fra Gualdo! Io perdo la pazienza....

??? Gittatela a vostra posta; io tiro di lungo. Come se ci?? non bastasse, avete anco inventato un testamento....

??? Fatto da voi, frate Gualdo!... fatto da voi!

??? S?? anche stavolta, s??; io ci ho posto l'ingegno dell'amanuense. Ahim?? frate tapino! Amavo il vin di Cipro, io, l'ippocrasto, e sedere in panciolle.... Gi?? al convento si mena una trista vita, si mangia scarse pietanze in salsa di paternostri; e mi pigli il canchero, il vermocane, se ogni altro soldato della milizia di San Bernardo, messo al mio posto; non si sarebbe lasciato cogliere all'esca. Fra Gualdo ha peccato per la gola, e ne avr?? da far penitenza; ma il primo, il vero colpevole siete voi, perch?? a voi profittava il negozio. Cui prodest? Nonne tibi?

??? Frate! ??? grid?? Benedicite, provandosi a star su. ??? Io ti far?? chiudere in tal chiostro che ti serva di cantina e di sepoltura!...

??? Bene! optime! Ingrato.... calunniatore.... falsario.... f??tti anche omicida!?????

E cos?? dicendo, il frate, di breve e corpacciuto ch'egli era, s'andava allungando e curvando sempre pi?? sulla persona di Benedicite, facendolo rannicchiare da capo sulla scranna.

??? Gualdo, amico mio! ??? mormor?? egli, spaurito. ??? Voi non mi avete mai parlato in tal guisa....

??? Perch?? aspettavo il mio giorno; perch?? vo' lasciarti ora, innanzi di partire, un ferro rovente nel cuore!?????

Il tapinello chiuse gli occhi per non vedere quella sinistra figura, che era ancora fra Gualdo e gi?? incominciava a non esserlo. In quel mezzo, una voce nasale si fe' udire sull'uscio.

??? Pax Domini sit semper vobiscum!

L'interlocutore di Benedicite volse lo sguardo, e vide quel che aspettava. Ma il nuovo venuto non s'aspettava per fermo a quello che vide, cio?? alla sua immagine, al suo ventre, alla sua tonaca, a tutto s?? stesso insomma, raffigurato in un'altra persona, presso la sedia del castellano.

Frate Gualdo, l'autentico frate Gualdo, fece per moto naturale il segno della croce. Il suo Sosia si mise a ridere sgangheratamente. Benedicite, che al suono dell'amica voce aveva riaperto gli occhi, guardava l'uno e l'altro esterrefatto. E guardando pi?? attentamente quello dei due che gli era stato tutta la mattina da fianco, lo vide farsi lungo, lungo, sottile, diafano, e finalmente sparire in uno scroscio di risa.

Per quel d?? non fu bevuto n?? Cipro, n?? ippocasto, con sommo dolore del vero fra Gualdo. Mastro Benedicite, preso dal farnetico, fu posto dai suoi famigli a letto. Col??, egli vedeva fiamme e diavoli da ogni parte, e perfino nella faccia rubizza e contenta del suo collega e complice, che non ne capiva una iota.

CAPITOLO XV.

De' progressi che avea fatto il biondo Fiordaliso nell'arte di poetare.

Era una notte sullo scorcio di novembre, una notte stupendamente serena, e rallegrata dal mite chiarore della luna crescente. L'amica dei notturni viandanti, spuntando dietro al castello di Torrespina, facea risaltare nel limpido cielo le opache sue cime, a guisa d'un nero merletto su d'una veste bianca, e mandava uno sprazzo di luce sul sentieruolo, che, costeggiando il fosso, saliva fino in capo all'erta dov'era l'antico mastio della rocca.

Per quel sentieruolo andavano di buon passo salendo due uomini, chiusi nelle loro cappe di pannolano, imperocch?? l'aria notturna incominciava a pungere, sugli Appennini.

Andavano, ho detto, di buon passo, ma non di buona voglia ambedue; ch?? l'uno pareva trascinar l'altro quasi riluttante, o almeno infastidito di quella briga ch'ei si era tolto di seguire il compagno. Come furono giunti a mezza l'erta, il primo si ferm??, e additando il muro del castello dov'era aperto un verone illuminato, disse al vicino:

??? ?? l??! Madonna s'?? ridotta nelle sue stanze. Qui possiamo saltare nel fosso, che andando pi?? oltre potremmo essere scorti da qualcheduno.?????

L'altro, come non avesse inteso lo invito, stava fermo a guardare il verone.

??? Coraggio, figliuol mio! qui si parr?? la tua fortezza d'animo. Molto io t'ho detto, e pi?? ancora ti resta a vedere.

??? Ma come? ??? disse l'altro, senza muoversi tuttavia. ??? Egli ardirebbe?....

??? Oh bella, e perch?? non vuoi tu che egli ardisca, se madonna acconsente? Messer Corrado ?? da sei giorni alla corte d'Ivrea; ella ?? rimasta a Torrespina, a cagione di una infermit?? che non saprei dirti. Nel viluppo delle malattie femminili non ci trova il bandolo nemmanco il demonio. Basta, eccola laggi??, l'inferma! La sua ombra si fa scorgere nel vano della finestra.?????

Infatti, era lei; Giovanna si avanzava sul verone, a respirare la fresca aria della notte. Avvicinatasi alla balaustrata, si assise, appoggi?? il mento nella palma della mano, e rimase atteggiata per modo che il suo bel volto apparve intieramente rischiarato da un raggio di luna. Su quel raggio per fermo ven??a difilato un genio notturno, a baciare quel viso divino, e forse era lo stesso Oberone, che per lei dimenticava Titania e le caste gioie del talamo.

??? Come ?? bella! come ?? bella! ??? esclam?? uno dei due, tendendo a quella volta le palme.

??? Zitto! ecco l'altro che viene. Suvvia! non ti lasciar stregare, e scendiamo nel fosso.?????

Cos?? dicendo, il M??ntore, pigliato per un braccio l'amico, lo trasse con s?? fino all'orlo del fosso, ove calarono prestamente ambidue, andando a nascondersi dietro uno svolto di muro. Gli era tempo, imperocch?? un cavaliere, dalla persona snella e dal pronto passo, giungeva sul ciglio, appunto in quella che i due si appiattavano, e, dopo aver agitata una sciarpa di zendado, spiccava un salto al basso, e correva sotto ii verone.

Uscito appena dalla penombra in cui era nascosta una parte del fosso, i contorni del suo volto apparvero distinti allo sguardo scrutatore de' due primi venuti. La luna rischiarava i biondi capelli inanellati, sui quali posava una picciola berretta piumata, le apollinee forme del petto, piuttosto messo in mostra che coverto da una leggiera saracina, la spigliata e graziosa andatura delle gambe, chiuse in molli calze divisate di seta, e le mani impedite dalla spada e da un liuto, arnesi che aveva dovuto sollevare dal fianco, innanzi di spiccare il suo volo.

??? Ve' come si ?? fatto aitante della persona e di bella guisa! ??? susurr?? il M??ntore nell'orecchio all'amico. ??? Cinque anni son presto passati, e il fanciullo ?? diventato uomo, proprio come quell'Anselmuccio, che oggi, la tua merc??, si godr?? in pace il retaggio di Roccam??la. Un bel cavaliero, in fede mia, e non mi fa stupore che madonna se ne sia avveduta. L'uomo ?? fatto per la donna e tuttedue per mettere il diavolo alla prova. Ma ecco, egli d?? di piglio all'istrumento; or vediamo s'egli abbia progredito nell'arte di poetare; ch?? invero quella sua ballata di cinque anni or sono, la non valeva un frullo, ed io gliel'ho lodata da fratello in Apolline, vo' dire per misericordia.?????

La voce di Fiordaliso, ch?? era egli infatti, interruppe le chiacchiere con cui Apor??ma andava trafiggendo lo spirito d'Ugo, di quel conte Ugo che dovea passare alla posterit?? con l'appellativo di felice. Ed ecco che cosa cant??, salendo soave al verone dove era assisa Giovanna, la voce del biondo Fiordaliso:

??? Un giorno mi piacque
Di gaie canzoni
Il folle concerto
Tra' colmi bicchier;
O, lente le redini,
E fermo in arcioni,
Spronare all'aperto
L'ardente corsier.
??
Or vinta dal tedio
?? l'anima mia;
Di strano languore
Morendo sen va.
Ah, contro l'effluvio
D'arcana mal??a,
Il povero core
Difesa non ha!?????

??? Povero cuoricino! e' mi strappa le lagrime! ??? borbott?? fra i denti Apor??ma.

Ugo non disse verbo; ma ci?? che dentro sentisse chiar?? ad Apor??ma la sua mano, che convulsivamente gli strinse il braccio, accennandogli di non interrompere il canto.

Fiordaliso, che non sapeva di avere cos?? numeroso ed attento uditorio, ma che non pensava a rallegrare altri orecchi fuor quelli dalla divina Giovanna, cos?? prosegu?? la ballata:

??? Smeraldo vivissimo
D'angelici lumi
Io vedo tra i cento
Doppieri brillar;
Galoppo e nell'aria
I noti profumi
D'un crine mi sento
Sul viso spirar.
??
Gioite, ?? vostr'opera,
Gentile mia fata;
Ma sensi pi?? umani
Vi parlino al cor!
Vi prega d'un farmaco
La mente turbata....
Amore risani
Il male d'amor.?????

??? Ah! ah! ??? soggiunse ghignando Apor??ma.????? Un'inferma lass?? e un infermo quaggi??. Togli lo spazio che li divide e saranno due sani. Madonna, se Iddio vi aiuti, usategli misericordia e mandategli il dittamo per le sue piaghe. Bene, del resto, bene! ei mi s'?? fatto poeta daddovero e voglio congratularmene seco lui.... Ah, eccolo finalmente, il farmaco aspettato! E' scende pietoso, con la velocit?? d'una carta legata ad un sassolino.?????

Cos?? dicendo, Apor??ma usc?? carponi dal suo nascondiglio.

Frattanto un involto di piccola mole era caduto dall'alto del verone a' piedi di Fiordaliso, e cinque dita raccolte alle labbra della divina ascoltatrice dei suoi versi gli mandavano un bacio. Il cantore era rimasto estatico a raccogliere il bacio; donde avvenne che non si chinasse subito a raccogliere il messaggio, e quando, sparita la dama dal verone, si volse per farlo, una mano traditora gi?? l'avesse ghermito.

Come si rimanesse Fiordaliso al non trovar pi?? l'involto, che pure avea veduto cadersi a' piedi, lascio che vel pensiate voi, o lettori. La luna s'era poco dianzi nascosta dietro un querceto, e l'oscurit?? non gli dava modo di veder molto lunge; tuttavia, guardando istintivamente dintorno a s??, gli parve di scorgere un'ombra che sgattaiolasse verso lo svolto del muro.

Animoso qual era, trasse incontanente il pugnale e si avvent?? da quella banda. L'ombra nera gli si fece ritta dinanzi; ei s'avvinghi?? rabbiosamente a quel corpo, e gi?? colpi alla disperata. Ma nulla! la punta del suo pugnale si rintuzzava su quel petto, e migliaia di scintille sprizzavano dagli inutili colpi.

??? Chi sei tu? ??? grid?? egli allora, balzando indietro esterrefatto.

??? Sempre poeta! ??? rispose l'altro, ridendo. ??? Voi gi?? vedete una stregoneria dove non c'?? che un giaco di assai buona tempera. Io porto sempre quest'arnese sotto il farsetto, per custodirmi dalle furie dei poeti come voi. La ?? questa una consuetudine che io vi consiglio del pari, imperocch?? adesso potrei rendervi pan per focaccia, e voi lasciar qui la vita come un cane, dopo aver cantata come un cigno la vostra ultima canzone. Una leggiadra ballata, in verit??, e se voi mi uccidevate, non avrei potuto darvene quella lode che vi si addice. Bene, per Dio, giovinotto; se tu segui la tua stella (ve lo dir?? con un poeta che non l'ha scritto ancora) non puoi fallire a glor??oso porto.?????

Fiordaliso tremava a verghe; quella voce stridula e quel piglio beffardo non gli erano ignoti. Ancora non sapeva raccapezzarsi, ma un arcano terrore gli serpeggiava per tutte le vene.

??? Messere, ??? si prov?? egli a dire finalmente, ??? voi avete posto mano su d'un involto che non era per voi.

??? N?? per voi, messer Fiordaliso, e certo sta meglio nelle mie mani che nelle vostre. Sareste voi per avventura uno di que' giullari da dozzina, i quali vanno attorno, di corte in corte, di monte in piano, a rallegrar le brigate con le loro coble e sirventesi, per farsi pagare di poi?

??? Che volete voi dire?

??? Che quella borsa, gittatavi da Madonna Giovanna di Torrespina, non ?? fatta per voi, trovatore di alto grido, vincitore di giostre alla corte di Napoli e armato cavaliero da Ataulfo imperator di Lamagna. Madonna ha fatto gramo giudizio di voi, pagandovi per tal modo un'ora di sollazzo. Voi, nobil cantore, spregiate l'oro e lasciate che ne goda un povero menestrello. Non lo credete? Sono anch'io, ve lo giuro pel re David, nostro santo patrono, un cultore della gaia scienza.... Non del vostro valore, s'intende, non del vostro valore.... Io, a dir vero, non ho ricevuto mai in premio una collana d'oro, come voi, cinque anni or sono, dal vostro signore, dall'amante di quella gentil dama, a cui test?? chiedevate un farmaco per il male d'amore.

??? Ah! ??? sclam?? Fiordaliso, che avea finalmente riconosciuto Apor??ma. ??? Il pellegrino di Roccam??la!?????

E cadde al suolo, tramortito dallo spavento.

??? Il bighellone! Mi ha riconosciuto alla perfine; gli era tempo! Ugo, figliuol mio, che fai tu ora? Animo, animo! Non vedi lass??.... da quel verone?....

??? Io non vedo nulla. La luna ?? nascosta....

??? Guarda pi?? attentamente; c'?? lass?? un'ombra bianca. La vedi tu ora? Sta bene; e sai tu che faccia?

??? Or via, dillo, che fa?

??? Rafferma alla balaustrata una.... Mi duole in verit?? di avertelo a dire; ma, tanto e tanto, l'avevi a sapere.... Anche questo messaggio pu?? fartene testimonianza....

??? Ma dimmi, alla croce di Dio, che fa ella ora?

??? Oh, una cosa da nulla! Le sue mani delicate raffermano il capo di una scala di seta, che spenzola nel fosso.

??? Ah! per costui? ??? url?? conte Ugo, mordendosi le mani.

??? Per costui! chi lo dice? ??? soggiunse Apor??ma. ??? Se ti d?? l'animo, potr?? essere per te.

??? Per me? in qual modo! ??? chiese il giovane trasognato.

??? S?? certamente, per te! Suvvia, avventurato Fiordaliso! ??? disse Apor??ma, percuotendolo con dolce dimestichezza sull'omero. ??? Voi siete nato vestito, e ancora non ve ne siete avveduto!

??? Fiordaliso!... che dici tu mai?

??? Dico, e puoi sincerartene dal capo alle piante, che tu se' biondo, che porti sulla z??zzera una berretta piumata, che indossi una saracina e le calze divisate di seta, che sei cresciuto di tre pollici, e che hai tra mani un liuto.... ma questo puoi lasciarlo in basso, che oramai non ti sarebbe d'alcun giovamento lass??, e potrebbe anco tornarti d'impaccio nella tua corsa da scoiattolo.

??? Ah! ??? grid?? conte Ugo, a cui balen?? negli occhi un lampo di gioia sinistra.

E piantato Apor??ma accanto al corpo dello svenuto, s'inoltr?? verso il verone, donde infatti spenzolava una tenue scala di seta.

CAPITOLO XVI.

Qui si conta di un angelo, il quale aveva perdute le ali.

La bella castellana era seduta nella penombra della sua camera, di ricontro al verone, in atto di donna che pensi.

A che pensate, madonna? A nulla, per fermo. Quel momento che precede l'arrivo e il primo bacio dell'uomo amato, non ?? invero da lunghi pensieri, n?? da soliloquii di coscienza, e gran merc?? se il passato pu?? scorrere, immagine fuggitiva e sbiadita, dinanzi agli occhi dell'anima. Il pensiero ?? geloso come un sultano; vuol esser solo a regnare.

Ma pensate voi mai? Vi giova egli alcuna volta raccogliervi da sola a sola con questo interno signore che non patisce rivali, con questo giudice che fa salire alle guance le vampe del rossore non visto, con questo accusatore che parla le tristi e le dure verit??, con questo tormentatore che fa dar volta dolorosamente sul pi?? molle de' guanciali, che ronza e morde, molesto, ostinato, come la zanzara, nelle lunghe, interminabili ore di una notte d'estate?

E a cui non avviene di pensare in tal modo, di soggiacere a questo incubo? ?? la legge comune dei nati dalla creta; e voi pure siete di creta, o angelo di bellezza: voi pure sentite i mali dell'umanit??, e i rimorsi del cuore.

Orbene, in quelle ore solitarie, non pensaste voi mai ad Ugo di Roccam??la? La sua pallida figura non vi si offerse mai alla mente, spiccata come un'immagine del sogno, gli occhi atteggiati ad un muto rimprovero?

Ahim??, madonna! Dove n'and?? quella virt?? severa, virt?? pi?? bastionata ancora del vostro castello, virt?? che si lasciava ammirare, adorare eziandio, ma sempre fuori del tratto della balestra? Come lungi da quel tempo! E per che, poi, e per chi? Per qual filiera di ravvedimenti, la dea, crudele co' buoni, ?? giunta a farsi pietosa co' tristi?

Ahi, cuore umano! ahi, cuore della migliore tra le donne!

A lui, schietto e gentile amatore, nulla! Lo amavate, diceva ognuno, e a voi pure pareva. Era bello, possente, dalle donne desiderato, dagli uomini temuto, e vi piacque lasciarvi amare da lui. Certo, se altri avesse chiesto in merc?? di poter baciare pi?? oltre della vostra mano regale, i vostri occhi avrebbero mandato lampi di sdegno; laddove a lui, a' suoi preghi, a' suoi confessati dolori, soleva rispondere un angelico riso, il quale non dava e nemmanco toglieva la speranza. Questa era la gran differenza tra lui e il volgo de' vostri corteggiatori; le conseguenze, pari. E lo amavate!

Pi?? assai dell'estinto s'ebbe Morello di Monferrato, falcon pellegrino che vi trascorse un giorno da lato, e strapp??, passando, uno spicchio dal vostro cuore.

Pi?? assai d'ambedue dovr?? oggi ottenere un nuovo venuto, un traditor dell'antico, quegli che al pari d'Ansaldo di Leuca dovrebbe farvi risovvenire di Ugo?

Ma, ohim??! Noi si dimentica. La nostra fibra non regge alla tensione degli affetti. Soventi volte dissimuliamo sotto il nome di amore una ebbrezza del senso, e quando l'ebbrezza ?? svaporata, diamo cagione al tempo della morte d'amore. Il tempo! povero tempo! Gli antichi lo accusarono di mangiare i suoi figli; ora i suoi figli lo addentano con ogni maniera di calunnie. Oh almanco la creta vile non cercasse scuse all'oblio! Ma no; ella che ha mestieri di credersi alito di Dio immortale, ella che dimanda superbamente l'eternit?? dopo la morte, e non sa concederla poi nella vita agli affetti, ella ha scoperta l'assoluzione del pi?? grave tra tutti i peccati, l'oblio, non nella sua propria fragilit??, ma nella forza delle cose. Non vedete come tutti fanno? Se dimentica Fiordaliso, perch?? non dimenticherebbe Giovanna? Cos??, reputandoci angioli, e superiori ad ogni altra creatura nel volo, amiamo, quando ci torni, reputarci tutti di una forza e d'una misura nella caduta; cos?? la colpa nostra chiede la scusa ed accetta l'esempio nella colpa d'un altro.

Per Fiordaliso adunque, per questo tornitore di versi leggiadri, oscurato il raggio della severa virt??, la domestica quiete turbata, accolte con grand'animo le ansie, i terrori della colpa! Qual nuovo pregio lo facea degno di un tanto olocausto? Una simigliante volutt?? di acri profumi, che Ugo avrebbe volentieri pagata col sagrifizio della vita presente e delle speranze future, Fiordaliso la otterr?? dunque per nulla?

O donne, a cui date troppo spesso il cuor vostro! O migliore delle donne, come vi siete fatta pari alla moltitudine delle figlie d'Eva! O angelo, come avete perdute le ali!

Ma infine, povera donna! E perch?? Ugo non seppe aspettare? Ella era sull'alba degli affetti; il cuor suo era tocco, ma le voci arcane che comandano di amare non avevano ancora parlato. Perch?? mor?? egli? perch?? non attese?

Morello venne, e turb??, non il suo cuore, l'anima sua; la turb?? perch?? era un nobile garzone; la turb?? dolcemente perch?? aveva difeso la memoria d'un caro estinto contro le villanie d'un uomo dappoco.

Ella per fermo non aveva mai amato Ansaldo di Leuca, n?? altri, n?? altri! Che si domanda di pi?? ad una donna? Che abbia a morire, perch?? un uomo ?? morto? Di simiglianti tragedie si sono gi?? viste; ma la scienza dir?? che l'aneurisma e la tisi presuppongono il male preparatore, di guisa che una testimonianza di pi?? fine sensibilit?? non sarebbe altro che l'effetto di un guasto dell'organismo.

Suvvia, che volete di pi??? Chiedete la continuazione dell'amore dopo la morte? Vorreste venire la notte, vampiri, a riposarvi sul cuore della superstite e suggerle il sangue? Non vi basta ch'ella si condanni alla solitudine?

E la solitudine, vedete, ?? traditrice; abbiate dunque misericordia. Egli ?? nella solitudine che l'anima va trascinata in bal??a dei sogni fallaci. Una donna, fatta segno all'amore di taluno, ?? sempre alle difese; combatte, perch?? il pericolo ?? presente, armato di tutte le sue lusinghe, di tutti i suoi incantesimi. Ma lasciatela sola, lungamente sola. Il sapere che nimici non incalzano al vallo, rallenta la vigilanza del presidio. Si spalancano le porte, giova uscire all'aperto, vedere i deserti accampamenti. Qui fummo stretti! qui potevamo cedere! E allora venga pure, ci sopraggiunga il pericolo; il cavallo di legno fa quello che non aveva fatto Achille, nato di Dea, n?? il Tidide, n?? il Telamonio; l'occasione afferra e carpisce quello che un affetto ardente, verace, profondo, non aveva potuto ottenere.

Cos?? cade la donna; cos?? cadeva Giovanna, la miglior delle donne.

Angioli del domestico lare, celatevi il volto! Il verone ?? superato; un'ombra nera scende dalla balaustrata; l'aspettato ?? giunto.

Fu scritto che un gran dolore ?? muto; e un grande amore io credo sia muto del pari. Il giovine innamorato cadde alle ginocchia di lei, e rimase a lungo in quella postura, estatico a contemplarla. Dalle prime angosce di un colloquio, da que' naturali ritegni del pudore che ?? l'ultimo ad abbandonare la donna, la sciolse un nembo di baci, o pi?? veramente un bacio solo, ma lungo, errabondo, che volea dirle: perdonate a me, perdonate a voi stessa. L'adorazione vince la vergogna della caduta. La donna non ?? pi?? angelo; ma che importa, se, in cambio d'angelo, ?? dea?

O volutt??, volutt?? dell'anima, che precorri e fai pi?? divina, ritardandola, quella dei sensi! In queste ore celesti, la donna ?? sulla terra quello che la divinit?? sull'altare. Soventi volte, l'amante ?? Pigmalione che adora l'opera delle sue mani; altre volte ?? un felice, che, giunto a sollevare il lembo del velo d'Iside, aspetta animoso la morte, pur d'essersi inebbriato nella contemplazione di ci?? che non videro mai gli occhi del volgo profano. Ma, comunque sia, quella donna si vede, si ode, si sente adorata, nella forma e nella sostanza; dea sul piedestallo, scorge un giovine ed amato sacerdote che le si prostra, le inonda il pi?? divino di baci e di lagrime, e le riflette nella sua l'adorazione di una moltitudine che il suo sguardo trapela fra mezzo una nube d'incenso. I desiderii s'innalzano a lei, soavi odori di mirra eletta, e la inebbriano; ogni sguardo di quegli occhi peritosi ma ardenti, ogni tocco di quelle mani paurose ma dardeggianti elettriche scintille, dice a lei che ?? la divina delle donne, che nessun'altra al mondo ?? amata, adorata, venerata al pari di lei. Ardono i ceri tutt'intorno; l'incenso sale in fumanti spire fino alla volta del sacrario; le canne di un organo invisibile sciolgono celesti armonie; come potrebb'ella ravvisarsi angiolo caduto, in quell'oceano di splendori, di fragranze e di suoni?

N?? manco felice, n?? manco inebbriato ?? il sacerdote. Ogni parola che esca dalle labbra della dea, ?? una musica ineffabile; ogni sguardo che si posi su di lui, ?? un raggio di luce; l'alito che scende a carezzargli la fronte, ?? un'aura di paradiso; da tutta quella persona, dai veli che l'adornano, dall'aria stessa che la circonda, si svolge un incognito indistinto di mille odori, una soavit?? di promesse, una novit?? di arcane attrazioni, che fanno raggiar gli occhi, precipitare il sangue, sprigionarsi tutte quante le forze dell'esistenza e sciogliersi dintorno a lei in un palpito di solenne agonia.

Ore dolci, ore divine di un colloquio che nulla turba, n?? sguardo importuno, n?? minaccioso rumore di passi vicini! Ore in cui l'anima, sciolta d'ogni sospetto, si espande rigogliosa e distende i rami flessuosi, all'ombra de' quali due vite confidenti riposano! ?? sonno o veglia? ?? vita o visione? E quei nonnulla che labbro mormora a labbro, che l'orecchio non ode e che la bocca respira! E il bacio traditore che improvviso scocca e confonde le due esistenze!...

Angioli del domestico lare, celatevi il volto!...

Giunse l'alba, e con l'alba un gran dolore nell'anima del felice. Sollevandosi per condurre la donna a respirare la fragranza del nascente mattino, vide la faccia sua riflessa nella spera metallica che pendeva dalla parete. E' ricord?? per quale inganno fosse penetrato lass??, e qual virt?? vendicatrice in lui fosse.

Il volto del felice garzone non era ancora quello di Ugo, ma non era gi?? pi?? quello di Fiordaliso.

E allora gli scese nel cuore una immensa piet?? per quella donna, che perduta pendeva dal suo braccio. Sent?? quel cuore palpitare di rincontro al suo braccio. Quella bocca, che egli aveva divorata coi suoi baci, sospesa al suo omero, ripeteva ancora sommessamente: ti amo!

??? La uccider?? io, discoprendomi a lei? Ugo di Roccam??la, giustiziero di uomini, fulminer?? il suo sdegno contro una donna? contro questa creatura cos?? fragile, ma pur cos?? bella??????

E mentalmente chiese una grazia ad Apor??ma.

??? La mia ?? anima tua, demonio, ma non uccider costei, ma lasciami ancora un istante il volto di Fiordaliso!

??? Fanciullo! ??? mormor?? una voce nell'aria.

Egli croll?? le spalle al sarcasmo; si guard?? da capo nella spera, e mise un respiro.

Ella alz?? gli occhi turbati, e, mettendogli le braccia al collo, gli disse:

??? Che hai tu, mio dolce signore?

??? Nulla; io penso che tu sei bella, divinamente bella. Vedi, guarda l?? dentro!?????

E le accennava la spera.

Ella rivolse da quel lato la faccia ridente, ma senza toglier le braccia dal collo di lui.

E la spera, illuminata dolcemente dai barlumi dell'alba, riflesse un sorriso, un amplesso ed un bacio.

CAPITOLO XVII.

Come il conte Ugo ragionasse della sua felicit?? senza pari.

La sera del 29 novembre, sesto anniversario dello arrivo del rom??o alla mensa di Ugo il felice, era giunta.

Il cielo buio incombeva come una cappa di piombo sui bastioni di Roccam??la. Il tuono brontolava nell'aria; spessi lampi solcavano quell'ammasso di negri vapori; la tempesta era vicina.

Nella torre del Negromante nulla era mutato. Lo stipo dalla fascia di ferro, il letto dalle nere colonne, il seggiolone di velluto dalle borchie dorate, ogni cosa, insomma, era al suo posto consueto.

Senonch??, cosa inusitata e non pi?? vista da sei anni, nella triste camera la lucerna era accesa, e nel seggiolone di velluto era assiso, o, a dire pi?? veramente, sprofondato, un giovine pensieroso.

Giovine! Tale almeno appariva dalla snellezza delle membra e dal lampo degli occhi. Ma i capegli erano imbiancati da un verno precoce; ma un fascio di rughe gli solcava il mezzo della fronte, mostrando sopracciglio raccostato a sopracciglio per effetto di interna convulsione; il suo viso pallido e smunto era d'uomo pur mo' uscito dalla tomba, anzich?? vissuto nel consorzio dei suoi simili.

E bello cionondimeno era quel viso; bello per la severa nobilt?? dei contorni, bello per l'aria di profonda inconsolabile tristezza onde era come velato, bello per il raggio della mente che traluceva dagli occhi, e tutt'intorno appariva giustamente diffuso.

Il labbro inferiore proteso in atteggiamento d'infinita amarezza, i pugni stretti sui bracciuoli della scranna, gli occhi fisi in un punto ignoto, egli pensava. Ed ecco i suoi pensieri quali erano:

??Nessuno ?? felice quaggi??.

??L'uomo nasce maledetto: le sacre carte dissero il vero. Egli ?? plasmato di fango; e di ci?? non si dubita. Egli ?? avvivato da una particella dello spirito di Dio; e ci?? non ?? vero, le sacre carte hanno mentito.

??Invero, se l'invisibile nume avesse spirato in questa sordida creta alcuna parte di s??, ei non l'avrebbe fatta in pari tempo malvagia; le avrebbe dato un'anima per intendere il vero, non per vagar di continuo d'errore in errore; le avrebbe dato un cuore da affinarsi nell'amore e nella ricordanza, non da invilirsi nell'odio e nell'oblio.

??O non saremmo noi piuttosto lo effetto di una grande baldoria d'ignote possanze? Ecco, in apparenza, ci ha fatti germogliar dalla terra il caso, quegli che ?? quel che non ??, quel negativo eterno male divinizzato dagli antichi, il quale ha fatto volare il germe della pratellina accanto a quello della parietaria nel crepaccio d'un muro. E forse, non dissimilmente da me, non previsto n?? meditato frutto di un istante d'ebbrezza, il cielo, la terra, e tutto quanto essa contiene, non sono che il frutto degli amori del nume ignoto con la nota, ahi! troppo nota materia, frutto a cui egli non avr?? badato pi?? che tanto, dopo la sua apparizione nel vuoto.

??Comunque ci?? sia, la materia ci ?? madre, noi riteniamo di lei! Pensanti! come? perch??? pi??, forse, e meglio della bestia? No, diversamente; ecco tutto. L'uomo non ?? il leone, per ci?? solo che il leone non ?? uomo. Siamo i migliori, s?? veramente; ce ne fa accorti il soffrire. La virt?? del pensiero e della parola, congenita in noi, ci fu aguzzata via via dalla turpe necessit??. La guerra per la vita ?? l'origine del verbo; il quale in principio non era.

??Viviamo, siccome la farfalla, la nostra vita d'un giorno; ieri vermicciuolo, oggi larva, domani crisalide, quindi verme da capo, senza curarci del giorno di poi; cercando talvolta e non trovando mai il perch??.

??Siamo tristi? Forse neppure cotesto; siamo soltanto figli della materia, fragili al pari di lei. E v'hanno forse eccezioni? Nemmanco; vasi meglio costrutti, di pi?? delicata fattura, pu?? essere; perfetti no. Tutti abbiamo l'egoismo nel mezzo del cuore, coi sette peccati capitali che gli fanno onorato cort??o. Temperati, paion virt??; appunto come avviene di lui, sovrano di tutti.

??La virt??! Donde ?? nata? ?? ella una forma della nostra mente? No, gli ?? assurdo. Noi i quali non sappiamo far altro che copiare, o raffazzonare in altre guise ci?? che ?? in noi o si specchia in noi, non possiamo di certo aver tratto una forma nuova, assoluta, da ci?? che ?? relativo; n?? mai potremmo far sorgere ad esemplare della vita quello che in noi non esistesse e non comandasse dapprima. Esiste, sorride a noi l'esemplare della virt??; essa dunque non ?? una nostra finzione.

??Il filosofante la negher??, argomentando ch'ella non ?? un concetto assoluto; che qui assume una forma, l?? un'altra, per conseguenza non ?? che un modo di vivere, mutevole secondo i luoghi, i tempi, i costumi. Egli vi ebbe infatti una gente che soleva ardere i cadaveri dei parenti; un'altra che solea seppellirli; un'altra ancora che li uccideva, per sottrarli ai mali della vecchiezza; e tutte operavano per reverenza ai maggiori, e quella che in un modo faceva, gli altri reputava inumani. L'argomentazione non regge. Tutti quei modi svariati concordavano in cotesto, di rendere omaggio agli antichi; il concetto era dunque uno, superiore alle forme diverse della sua manifestazione.

??Contraddico a me stesso? Non mi pare. Io non ho gi?? negato Dio; ho detto che non lo intendo, e che non intendo le cagioni dell'esser mio.

??Ma se la virt?? esiste, perch?? non c'?? egli un uomo, un sol uomo che si conformi a lei? Se Dio ci ha creati, se ci ha spirato il suo soffio, perch?? non ci ha fatti migliori? Questa virt??, ?? specchio di un passato distrutto da una colpa nostra? ?? adombramento di un atteso e preparato futuro? Giungeremo al vertice, o tutto ?? infinito, anche il nostro andar tentoni nei secoli?

??Ah, povero spirito, che cerchi? Ecco, io non so ancora quel che io mi sia, e gi?? chieggo quel che sar??!

??Intanto, io soffro; intanto io sto per morire. La fede, questa fallace compagna della vita, mi ha preceduto nell'abisso. Credevo, ed ho veduto.... ho veduto! E avventurato ancora tra gli altri, i quali vivono nell'inganno, stolti! e non ardiscono guardare pi?? oltre, simili al fanciullo che in una notte tempestosa si rimpiatta sotto le coltri, per non iscorgere il bagliore dei lampi!

??L'esperimento ha trascorso i confini segnati alla umana natura. ?? un male? Forse. Noi siamo dannati all'apparenza delle cose. Ma perch?? si svegli?? in me questa sete di verit??? Perch??, sire Iddio, m'avete indotto in tentazione, per modo che io volessi scrutare i cuori e le reni di coloro che io proseguiva della mia amicizia, del mio amore e dei miei benefizi? Ecco ora, li ho conosciuti alla prova; erano fragili e tristi. E poi? Sono forte io? sono migliore? Altro mistero! Mistero! sempre mistero!...

??Apor??ma, che ne sai tu?...???????

??? Nulla! ??? rispose una voce, che, quantunque invocata, fe' trasaltare Ugo di Roccam??la.

E dopo quella parola, insieme con la luce di un lampo e col fragor d'un tuono, comparve nella camera del Negromante il fido Apor??ma, non sotto la forma del rom??o, n?? di Rambaldo di Verr??a, n?? di frate Gualdo, sibbene sotto quella splendidissima, abbagliante, dell'arcangelo fulminato nei cieli.

CAPITOLO XVIII.

Nel quale ?? dimostrato che il diavolo non ?? cos?? brutto come lo si dipinge.

??? Anzitutto, diss'egli, ??? tu non mi chiamerai pi?? con questo misero nome di Apor??ma.

??? E perch??? ??? dimand?? conte Ugo.

??? Perch?? cos?? sogliono chiamarmi i profani. Apor??ma (sive dubium, direbbe un commentatore) ?? nome mondano, che mi serve per viaggiare incognito. Il vecchio di lass?? me lo ha imposto, dopo una certa puntaglia che abbiamo avuto a sostenere tra noi, e nella quale egli, in cambio di buone ragioni, m'ha risposto saette. Il nome che piace a me, che ho avuto da principio, e che riavr?? un giorno per fermo, ?? quello di Helel.

??? Helel! Non significa dubbio?

??? No, significa luce, apportatore di luce.

??? Ah, invero, tu l'hai portata, la luce! ??? esclam?? conte Ugo. ??? Lo sperimento ?? stato fatto, ed hai vinto.

??? Ed ora tu maledici al mondo?

??? Perch?? lo conosco, e posso ripetere oramai con re Salomone: vanit?? delle vanit??, ed ogni cosa ?? vanit??.

??? Or bene, segui l'esempio di Salomone, vivi e sorridi; ammetti ogni cosa e non credere a nulla; godi di sapere, e di comandare agli elementi; disprezza gli uomini e adoprali a procacciarti quel che ti giova; non metter tua fede nell'amor di una donna ed amane mille.

??? Vivere pel senso? Aff??, non mi garba! ??? rispose Ugo, crollando la testa. ??? C'?? la saziet?? in fondo alla coppa di tal piacere a cui la volutt?? dell'anima non conferisca il suo pregio. Sapere che una cappa ?? sconcia, e seguitare ad indossarla; passeggiare nel fango e inzaccherarmi i calzari.... nauseabonda esistenza! Odimi; o che io non sono pi?? saldamente convinto del re sapiente, o ch'io non son cos?? forte da reggere al paragone; in ogni modo non vo' durarla com'egli.?????

Ci?? detto, conte Ugo si sprofond?? vie pi?? nella gran seggiola di velluto e vi rimase taciturno, col mento sul petto e gli occhi a terra.

Lo spirito gli si accost??, si curv?? amorevolmente sulla spalliera e gli parl?? in questa guisa:

??? Ti ho fatto un triste dono, e adesso l'hai contro di me!

??? No, Helel, no, alla croce di Dio! ??? rispose conte Ugo, volgendosi a lui concitato. ??? Io rendo grazie a te, che m'hai mostra la verit??, qualunque ella sia. Ho a dirti di pi??? Fossimo pure sei anni addietro, in questa notte medesima, io tuttavia sarei pronto a bere il rosso liquore dell'anello di Apor??ma.?????

A queste parole, Helel atteggi?? le labbra ad un dolce sorriso.

??? Mi gode l'animo, ??? ei disse, ??? nello udirmi a ringraziare da alcuno. Ci?? m'accade ogni cent'anni una volta. I tuoi simili, per solito, non sanno che maledirmi. Fatico per essi come un bue sotto il giogo: vogliono ad ogni costo che io li faccia sapienti; poi; quando hanno capito il giuoco, mi gridano la croce addosso, come se fosse colpa mia che il giuoco ?? siffatto. Tu sei un uomo, Ugo di Roccam??la; dovresti vivere e sorridere.

??? Non posso, ed amo meglio darti ci?? che ormai ti appartiene.

??? Ah, baie! Tu m'hai profferto la tua vita per piet?? della vita di quella donna.... Ma io non la voglio; io mi contento ad ammirare la tua magnanimit??. Tu hai regalmente pagato una notte di gioie avvelenate.

??? Helel!...

??? Orbene, dimmi di no! Non eri tu per diventare, al primo lume dell'alba, Ugo il vendicatore, una vera testa di Medusa, che avrebbe fatto rimanere quella donna di pietra? Eri per farlo; il dovevi; questi erano i patti. Non l'hai voluto; il tuo sdegno, implacato cogli altri, s'?? sciolto dinanzi al rossore di una donna, e mi hai chiesto una grazia....

??? Per la quale ti ho profferto l'anima mia! ??? interruppe Ugo.

??? Sta bene, ??? soggiunse Helel, ??? e fu mercede regale. Perch?? ti duole che io lo ponga in sodo, se ?? vero??????

Ugo non seppe risponder pi?? verbo; ma il suo labbro, seguendo un intimo pensiero, mormor?? sommessamente: ??? povera donna!

??? S??, povera donna, tu l'hai detto! ??? continu?? lo spirito. ??? Povera donna, invero, poich?? oggi ella vedr?? Fiordaliso, Fiordaliso che non si ?? mosso fino all'alba dal luogo ove cadde svenuto, Fiordaliso che ha riconosciuto il suo diabolico competitore nella gaia scienza, Fiordaliso che ha letto, poich?? io gliel'ho lasciato da' piedi, il messaggio di lei, e le chieder?? perdonanza di non avere scalato il verone....

??? Ah! ??? sclam?? Ugo atterrito. ??? Ed ella?...

??? Ella! ??? sentenzi?? lo spirito della luce. ??? Il morir subito le sarebbe ventura.

??? Helel! te ne supplico!... Vedi, io stringo le tue ginocchia. Non ho pi?? nulla a profferirti; ma se avessi cento vite e cento anime, io le porrei a' tuoi piedi. Helel, non uccidere quella donna, non fare ch'ella abbia ad arrossire di s??!

??? Che mi domandi tu ora? ??? rispose Helel. ??? Vedi, io non posso mutar nulla quaggi??. Quello che avvenne tu l'hai voluto. Io ti ho mostrata la verit??; ti ho fatto scorgere, sceverare l'apparenza dalla realt??, oltre il costato de' tuoi simili, come si scorge la luce, scomposta in sette colori, attraverso le facce d'un prisma. Per te ho potuto rinnovare l'inganno delle forme mentite; altro non ?? in mio potere. Torniamo a noi. Vivi, e tienti l'anima tua! Ricordi quel ch'io t'ho detto, la prima notte, in questo luogo medesimo? ??Io non ti pongo alcun patto; non ti chieggo l'anima tua; non ti punger?? una vena perch?? tu abbia a sottoscrivere una carta; Apor??ma ?? cavaliere, e non un giudeo che presti ad usura.?? Io, insomma, ho adoperato con te come col primo Ugo, col tuo grande antenato; ti ho servito senza mercede; ti ho dato la sapienza; fanne tuo pro'; sei forte, e l'uomo forte pu?? dominar l'universo.

??? No, mille volte no! ??? disse Ugo ricisamente; ??? tornar nella vita, dopo tutto ci?? che ho veduto, non franca la spesa.

??? E scegli dunque il morire??????

Meravigliato, Ugo guard?? fiso in volto il suo interlocutore.

??? Helel, ??? diss'egli ??? io non ti riconosco pi??. Sei tu, lo spirito familiare di Roccam??la, tu lo scongiurato dal vescovo Gualberto, che mi parli in tal guisa e ricusi l'anima mia?

??? Io, s??, io! ??? rispose lo spirito della luce. ??? M'hanno calunniato, e tu ora, tu, animo forte, aggiusti fede alle panzane del volgo. Vedi, m'hanno messo in voce di nimico dell'uomo, e non ?? punto vero. Sbalestrato nel mondo, confesso di averlo amato da principio assai poco; ma la necessit?? e la consuetudine m'hanno mutato per modo, che io mi sono avvezzo a questa dimora e l'amo come si finisce mai sempre ad amare una terra d'esilio. Gli uomini erano ciechi; io mi son fitto in capo di restituir loro la potenza visiva e di insegnar loro a leggere nel gran libro della vita. Ho gittato dapprima, e per molti s??guito a gittare la semente in un gramo terreno. D?? loro la scienza del bene e del male; che fanno eglino, i tristanzuoli? S'appigliano al male. Taluno m'intende; la pi?? parte, o mi fuggono, o venendo con me, mi passano il segno. Hanno sempre passioni che la mia scienza accarezza, raramente virt?? che ella fortifichi. Laonde io mi sono gi?? fatto parecchie volte a pensare se non sia per avventura miglior consiglio, ed uso migliore del mio tempo, lasciarli in bal??a di s?? medesimi e non darmi pensiero che di alcune schiatte pi?? nobili, di alcuni spiriti eletti, i quali, per le tarde ma sicure vie del progresso, conducano al meglio l'umanit?? bambina, e me vadano facendo migliore del pari. Ti sa di strano? Orbene, sappilo, la mia virt?? spirituale si accresce, col crescere, col progredire degli uomini. Per tal guisa, Helel fu un tempo lo spirito malvagio, lo spirito che turba; fu poscia lo spirito dubitatore, lo spirito che indaga, e non andr?? molto ch'egli diventi, non pure per pochi, ma per la umanit?? tutta quanta, lo spirito della luce, lo spirito che consola.

??? Che dici tu mai? ??? interruppe Ugo. ??? Anche tu segui la legge dell'uomo?

??? S?? certamente. Non sono io disceso? Posso adunque risalire. Per le donnicciuole e pe' monaci ignoranti, sono sempre quel desso, Satana, l'avversario, il tentatore. Pei violenti, pei tristi, sono il compiacente consigliero, la chiave del male. Ma ?? colpa mia, se uno strumento di bene anco al male si adopera? I venturi ne vedranno di belle! Vedranno, verbigrazia, le armi forbite e scintillanti del progresso impugnate dalla rugginosa manopola della tirannide. Ma la contraddizione non sar?? che apparente. L'arma giover?? a lei, ma l'elsa fatata corroder?? la manopola e brucier?? la mano che l'avr?? impugnata. Il bene vince il male; la vittoria ?? dei meno. Ugo di Roccam??la, io ho amata la tua schiatta, amo te senza fine; vuoi tu essere uno di costoro? Egli c'?? molto da operare ai d?? nostri. Il nuovo Olimpo e il nuovo Tartaro sono gi?? anch'essi tarlati: l'edifizio minaccia rovina. S??, figliuol mio,

Tempo verr?? che il grande iliaco regno
E Priamo e tutta la sua gente cada!

Non vedi? gi?? il vecchio sire ha spartito col figlio, e chi sa che non abbia anco a venire il nipote? Anche il diavolo, brutta copia del Pane dei campi, lascier?? dietro una siepe le corna e le unghie caprine, per ridiventare il gran Pane, quegli che fu gridato morto dalla voce misteriosa sulle acque del Tirreno. Oggi, io Satana, io Apor??ma, non sono che un concetto di questa et??: ma canger??, mi trasformer?? senza morire; morr?? in cambio questa et?? di violenza, di superstizione; il raggio di poche anime divinatrici muter?? la faccia dell'universo. Anco a loro malgrado io far?? gli uomini migliori; per la storia dell'errore io filtrer?? loro la verit??. Mi crederanno la pietra filosofale, la polvere d'oro, l'elisire della vita, ed io insegner?? loro la chimica, che scopre e sommette gli elementi del mondo. Mi chiederanno l'oroscopo, le influenze dei pianeti sulle loro passioni, ed io insegner?? loro l'astronomia, che descrive a fondo tutto l'universo. Il favoleggiato prete Janni, la sognata Antilla e l'inganno ottico dell'Isola di San Brandano, scopriranno un nuovo mondo, e la sete dell'oro sfrutter?? la scoperta. Intanto, io l'ho gi?? fatta vaticinare da Seneca. Ai monaci poi ed ai tormentatori della coscienza io serbo tal cosa che li mander?? a rotoli, la stampa, che toglier?? dalle loro mani il traffico del libro, e il privilegio di tenere sospeso lo spegnitoio sul lucignolo della ragione. Altro ed altro far??, che il narrarti partitamente troppo mi menerebbe ora a dilungo. Io t'amo, Ugo di Roccam??la, perch?? tu sei forte e gentil cavaliero; perch?? mi hai guardato in volto senza tremare; perch?? mi hai profferto l'anima tua. Ma che ne farebbe il vecchio diavolo, di questa, dato e non concesso che sia un'eredit?? sicura oltre i confini della vita, e un patrimonio di cui si possa far donazione inter vivos? Helel ha mestieri di uomini in questo mondo, non d'anime ignude e disutili nei regni della morte. Suvvia, poich?? un doloroso esperimento t'ha sollevato sopra le illusioni della vita, vuoi tu essere un gigante? Vuoi tu adombrare in un Novum organon il progresso d'altri tempi? Vuoi tu esser un martire di nuovi concetti? lo scopritore di una forza che faccia sparir le distanze, o che faccia volare il pensiero? il campione di un popolo? Bacone, Giordano Bruno, Galileo, Washington, Bolivar, Garibaldi? Scegli e cominciamo fin d'ora!?????

Ugo era rimasto attonito, trasognato, all'udire quel discorso di Helel, al veder quasi grado a grado dipingersi, rilevarsi, illuminarsi sotto le prodigiose parole la trasfigurazione dello spirito dannato; e gi?? gli pareva d'esser preso per mano e condotto via con un rapido volo verso gli splendori lontani d'uno sterminato orizzonte. Il silenzio di Helel lo ricondusse in s?? medesimo; stette alquanto meditabondo; poi con mestissimo accento rispose:

??? Tu mi fai scorgere invano le meraviglie dei secoli venturi. Io non sono un forte come tu pensi; sono un povero guerriero trafitto nella prima mischia della vita; non ho la virt?? che in me vedi, troppo amorevole consigliere, e se pure l'avessi, ad altro vorrei adoperarla. Vedi, tutta la possanza che tu mi profferisci, tutta la gloria del martirio, tutta la volutt?? del trionfo, tutto io darei ora, pel solo, per l'umile, pel ristretto potere di far salva una donna!...

??? Cotesto non ?? in mia bal??a, te lo dissi.

??? Orbene, io vo' morire.

??? Per l'ultima volta, da senno?

??? S??, per tutti i miei affetti contristati, per l'angoscia ineffabile che mi siede nel cuore, per la vanit?? della mia esistenza, te lo giuro!

??? Sia fatta la tua volont??; nel primo lampo di folgore che solcher?? l'aria, noi partiremo. Ma in questa partenza ?? l'ultimo saluto di Helel. La sua dimora ?? sulla terra; egli non ti seguir?? dove vai.

??? E dove andr?? io dunque?

??? Non so! ??? disse lo spirito, a cui il volto si dipinse di profonda mestizia.

E raccolto Ugo il felice nelle sue braccia, gl'impresse sulla fronte il bacio dell'addio.

Il bagliore d'un lampo illumin?? in quel punto la camera; la folgore scoppi?? sulla torre del Negromante, che croll?? con orribile frastuono dalle sue fondamenta.

CAPITOLO XIX.

Qui si narra dell'ultima sbevazzata di frate Gualdo cisterciense.

Torniamo, se non disgrada ai lettori, un passo indietro, e dalla torre del Negromante rechiamoci nella gran sala del castello.

Qual mutamento! La sala di giustizia, sala severa, dalle cui pareti pendevano i pennoncelli dei Roccam??la, i loro stemmi e quelli delle famiglie ad essi congiunte per vincoli di parentado, dove si ammiravano le armi dei valorosi antenati, dalla corazza di Ugo il negromante fino alla spada di Ruberto il taciturno, era diventata una cantina, e delle peggio ordinate, per giunta. Idrie, guastade, anfore d'ogni forma e d'ogni misura, occupavano i ripiani degli armadii spalancati, le lastre dei canterani, l'ammattonato del pavimento. Una botte, col?? recata per maggiore comodit??, faceva bella mostra di s?? in un cantuccio, con la sua spina pronta a spillare i liquidi topazii di Cipro. Un'altra botte stava seduta nel mezzo sulla scranna feudale; ed era fra Gualdo, il sozio fedele del conte Anacleto Benedicite, tondo come l'O di Giotto, vera effigie di Sileno in tonaca da cisterciense.

Fra Gualdo era il vero padrone di Roccam??la. Egli aveva piantato, come suol dirsi, la labarda nel castello, n?? s'era pi?? mosso di lass??, dopo la malattia dell'amico, il quale era tocco nel nomine patris e non c'era verso di fargli ricuperare la ragione smarrita.

Il vecchio strozziere soleva alzarsi per tempo, innanzi l'aurora, e, memore del suo primo mestiere, andava a curare i falconi, con grandissima consolazione del nuovo falconiere, il quale poteva dormir della grossa. Questa era l'unica ora del giorno che mastro Benedicite, non ricordandosi d'altro, potesse parer sano di mente. Tornato di l??, egli impazziva da capo; non faceva che ridere mostrando i denti, come un melenso; stava le intiere giornate seduto, o ritto in piedi nella strombatura d'una finestra, con le mani raccolte sul petto, e le dita intrecciate, facendosi girare i pollici l'uno intorno all'altro, e non si smuovendo da quel suo lavoro, se non per tracannare le ci??tole di vino che gli ministrava l'amico.

Il nipote Anselmo da parecchio tempo non dimorava pi?? a Roccam??la. Desideroso di spendere utilmente la vita, egli s'era dato al mestiero delle armi, e militava sulle galere della repubblica genovese capitanate da Enrico di Mare. Mastro Benedicite non avea dunque pi?? altri che il monaco, e questi lo curava a modo suo, tanto pi?? volontieri, in quanto che beveva egli pure le medesime pozioni.

Talfiata il pazzo ci aveva i suoi lucidi intervalli. E allora vedeva conte Ugo, vedeva il demonio; aveva paura di frate Gualdo, che gli pareva lungo lungo, e gridava come un ossesso, chiedeva merc?? e cadeva spossato sul pavimento. Altre volte aspettava il cavaliero di Lamagna; comandava che fossero messe in pronto le stanze migliori del castello per accogliere degnamente il nuovo signore; borbottava di mali consigli del monaco, di testamento falso, ed altre cose simiglianti, che faceano correre i brividi per l'adipe a fra Gualdo e gli mettevano le ali a' piedi per andare alla botte, spillarne una coppa e darla a bere al disgraziato castellano.

??? Bibe, fili mi, ??? diceva egli, ??? In vino veritas, e non dirai pi?? sciocchezze.

??? Vade retro, Satana! vade retro! ??? urlava sovente Benedicite, respingendo il ventre del cisterciense e facendogli rovesciare il vino sulla tonaca.

Quella povera tonaca era proprio inzuppata degli umori di Bacco, e tra pel vino e pel grasso delle vivande che ogni giorno le sgocciolava su, s'era coperta di frittelle. A cagione delle quali, e degli occhi sempre luccicanti come carbonchi, e del naso bitorzoluto che appariva sempre rosso come un peperone maturo, i famigli, gi?? rotti allo spropositare latino, solevano chiamarlo col nome di Pater Vinosus; n?? egli mostrava adirarsene.

D'altra parte, il corruccio non gli sarebbe tornato a vantaggio; che anzi!... Avete a sapere che frate Gualdo, di giorno, alla luce del sole, ci aveva un cuor di leone, ma alla sera, e segnatamente a notte inoltrata, diventava un coniglio. Per?? suonata l'avemmaria, incominciava a bere per quattro; chiamava al simposio i famigli; li teneva a bada con cento chiacchere e con versate continue; poi, quando fosse ben cotto, era portato di peso nella sua stanza e issato a gran forza di braccia nel letto. N?? permetteva che lo lasciassero subito; voleva che stessero un tratto in preghiera con lui, alternando le sorsate co' paternostri, e finalmente si addormentava, dicendo loro:

??? Vigilate et orate, ut non intretis in tentationem!

Cotesto far?? intendere ai lettori che paura s'avesse in corpo fra Gualdo la sera del 29 novembre. La tempesta s'era proprio tutta addensata su Roccam??la. Per le ampie finestre era un lampeggiare continuo; il tuono assordava; e' pareva l'inferno scatenato, alla distruzione del castello.

Il pazzo stava immobile accanto ad una finestra e sembrava non addarsi di nulla, n?? della tempesta che incalzava di fuori, n?? del tramest??o di allegrezza e di spavento che regnava dentro la sala.

Lo spavento era del monaco, che biascicava testi latini ad ogni guizzo di lampo; l'allegrezza era dei famigli, che cioncavano alla sua salute e gli davano la baia.

??? Reverendissimo pater Vinosus, o perch?? non bevete? ??? gridava il capo degli arcieri, che i nostri lettori rammenteranno ancora, per un certo suo dialogo con mastro Benedicite sul principio di questa storia. ??? Vinum bonum laetificat cor hominis.

??? Ah s??! egli c'?? altro da pensare in questi momenti ??? rispondeva il monaco. ??? Pregare bisogna, pregare che Domineddio ci abbia in custodia. Siete eretici, voi altri?

??? Che dimanda, pater Vinosus! ??? entr?? a dire un altro della brigata. Noi siamo tutti credenti; non ?? egli vero, Guercio?

??? Sicuro! ??? rispose quegli ch'era stato chiamato in causa con quel nome e che ben lo meritava, a cagione di un occhio assente. ??? Io sono credente come il patriarca No??, buon'anima sua. Nel buon vino ho fede, e credo che sia salvo chi ci crede.

??? Optime! optime! come dice il nostro fra Gualdo, quando ?? di buon umore.

??? A proposito! ??? soggiunse un altro. ??? Fra Gualdo, quando ?? di buon umore, ci canta un certo salmo....

??? Ah s??, un inno della Chiesa! Io lo so per filo e per segno, e se vi garba....

??? Figliuoli! figliuoli! ??? interruppe fra Gualdo, che stava come rannicchiato nel mezzo. ??? Non mettete in tavola le marachelle di un povero peccatore, il quale ora ne domanda perdonanza a Dio. Pregate, pregate per voi e per lui! Ah! Domine salvum fac servum tuum!?????

Le interiezioni e il testo latino del monaco erano cagionati da uno scroscio di folgore, che, a giudicarne dalla simultaneit?? del lampo e del tuono, doveva aver dato l?? presso, sull'erta della rocca. Il pauroso s'era fatto bianco nel volto come un cencio lavato; le sue mani avevano esclusivamente afferrato uno dei famigli che gli stava vicino.

??? Coraggio, pater Vinosus, coraggio! Gli ?? nulla.... un tuono pi?? asciutto degli altri.... Suvvia, bevete questo cordiale, che vi rimetter?? un po' di sangue nelle vene.

??? S??, figli miei, forse avete ragione; date qua!

??? Oh! cos?? va bene. E adesso mandate gi?? quest'altro; repetita.... repetita.... O come dite voi che non me ne ricordo pi???

??? Repetita juvant, ??? soggiunse il monaco. ??? S??, veramente, io penso che mi faccia bene.

??? Bevete dunque, e state di buon animo!

Rinfrancato da quelle chiacchiere e dal vin di Cipro, fra Gualdo incominciava a respirare. La tempesta di fuori pareva anche rimettere un tratto della sua furia. L'allegrezza della brigata cresceva, e il nostro pauroso frate non si scandolezz?? punto, quando il capo degli arcieri intuon?? l'inno che egli aveva insegnato.

??? Ave color vini clari!
Ave sapor sine pari!
Tua nos inebriari
Digneris potentia. ???

E tutti in coro, seguendo il ritmo e imitando la voce nasale del sacro cantore, ripeterono il ritornello:

Tua nos inebriari
Digneris potentia.

??? La seconda strofa! la seconda strofa, Tebaldo!

??? Riempite le ci??tole e ci vengo:

Primum gotum bibe totum!
Ad secundum vide fundum!
Tertium erit sicut primum;
Et sic semper bibe vinum.

??? E adesso, figliuoli, tutti in coro, da bravi!

Bibitores exultemus
Vinum bonum quod habemus;
Adaquantes condemnemus
In ??ternam tristitiam.

??? Amen! ??? cant?? istintivamente fra Gualdo.

E tutti a ridere sgangheratamente, in quella che il loro Sileno vuotava d'un fiato la ci??tola.

??? S??, figli miei, state allegri; lo raccomanda anche il Salmista: servite Domino in l??titia. In fondo in fondo, che cos'?? il vino? Una orrevol bevanda, che al figlio di Dio, sceso in terra per le nostre peccata, non dispiacque di assumere a simbolo del suo santissimo sangue. Beviamo dunque, e adoriamo i decreti della divina provvidenza. Tebaldo, riempitemi la tazza!?????

Il capo degli arcieri fu sollecito ad obbedirlo. Ma in quella che fra Gualdo stava per accostar la ci??tola alle labbra, il pazzo mise un grido acuto, che gliela fece rovesciar sulla tonaca.

??? Che ?? stato? ??? diss'egli, alzandosi a stento per andare verso la finestra. ??? Messere Anacleto, che avete voi ora?

??? Ah! ??? grid?? il pazzo, con le braccia tese e gli occhi sbarrati. ??? Non vedete voi??????

E accennava fuori della finestra.

??? Ma che? ma dove? ??? dimand?? il monaco. ??? Io vedo i lampi che solcano l'aria e abbarbagliano la vista. Non temete, messere Anacleto, io reciter?? la preghiera contro la tempesta. Domine Jesu qui imperasti ventis et mari, et facta fuit tranquillitas magna, exaudi preces famili?? tu??, et pr??sta ut, hoc signo sanct?? crucis, omnis discedat s??vitia tempestatum.

??? No la tempesta! no la tempesta! ??? gridava il pazzo. ??? Vedete, vedete, l?? nella torre! Ah, egli ?? l?? dentro, lo spirito punitore!...?????

Guidato dalle parole di Benedicite, fra Gualdo aguzz?? gli occhi verso la torre, e nell'intervallo di due lampi, vide la finestra del Negromante illuminata d'una luce rossastra.

Anche i famigli erano corsi ai veroni, per vedere che fosse che metteva tanto spavento al castellano.

??? To'! ??? disse Tebaldo, ??? C'?? lume nella torre.

??? Gli ?? un brutto segno! ??? sclam?? un altro.

??? Baie, di tanto in tanto lo si vede, e il mondo non si muta per ci??.

??? No, ti dico; sono anni ed anni che il prodigio non si ?? pi?? ripetuto. ?? l'anima del vecchio conte che viene a visitar casa sua, e ogni qual volta ci viene, una disgrazia accade in Roccam??la.

??? Raccontale a' tuoi bambini.... quando ne avrai!

??? Ma vedi, vedi quella ombra nera che passa in mezzo alla luce!

??? S??, e che perci??? Adesso andremo a vedere che diavol c'??. Il bernardone sa a menadito tutte le formole per cacciare i demonii, e la faremo finita con questo. Oh??, pater Vinosus!

??? Che dite, voi, Tebaldo?

??? Che noi si va alla torre, e che voi ci avete a venire in compagnia, per dire una parolina a questo spirito, il quale si piglia spasso de' fatti nostri.

??? Che vi salta in mente, figliuol mio? Andare alla torre....

??? O che volete che faccia a voi il demonio, se pure gli ?? un demonio e non un capo scarico che ha voglia di ridere? Voi portate la tonaca del glorioso san Bernardo, e i diavoli hanno paura di essa come dell'acqua santa.

??? Non dico di no.... Ma adesso, in verit??....

??? Suvvia! suvvia! Che peccati vi pesano sull'anima, che avete pi?? paura di noi??????

Con queste e con altre simiglianti esortazioni, e meglio ancora, mandandolo innanzi a furia di spintoni, gli avvinazzati arcieri condussero il frate nel corridoio che metteva alla torre. Il povero Sileno tremava a verghe; un sudor freddo gli sgocciolava dalla fronte gi?? per le gote paffute; e tra spinte e sponte andava pure innanzi, facendo crocioni in aria, l'un dopo l'altro, e borbottando parole latine.

Giunto a poca distanza dalla porta temuta, si ferm??, e tirandosi a fianco qualchedun altro, disse alla brigata:

??? O non vedete, figli miei? L'uscio ?? aperto.

??? Tanto meglio! ??? rispose Tebaldo. ??? Segno che qualcuno c'?? entrato, od ?? uscito.

??? Ma vedete! c'?? lume!

??? Che novit??! Una lucerna accesa; ecco il grande prodigio che vi fa tremare cos??. Io metto pegno che sar?? qualche sguattero, il quale avr?? portato quass?? i suoi amori di cucina, e adesso, udito il nostro avvicinarsi, avr?? scantonato. Ma noi gli metteremo le mani addosso, e voi, Pater Vinosus, li congiungerete debitamente in facie Ecclesi??, perch?? non si dia scandalo alla comunit??.?????

Una risata universale accolse l'arguzia dell'arciero.

??? Avanti, fra Gualdo, avanti, e benedite gli sposi!

??? Adjuro te, Satana.... ??? borbottava intanto il povero monaco, gi?? pi?? morto che vivo.

??? Suvvia, l'uscio ?? questo, e non dalla parete...?????

Fra Gualdo, come il lettore avr?? indovinato, voleva entrare in compagnia di qualchedun altro; per?? rallentava il passo e si tirava da un lato. Ma un ultimo spintone di que' capi scarichi gli fece, a suo malgrado, varcare la soglia.

??? Ah! ??? grid?? egli; e fu l'ultimo grido.

Ma la gaia brigata non lo intese; esso and?? perduto in un lampo, in un rombo, in un frastuono, in un polverio, che fecero balzare indietro e cader tramortiti gli arcieri.

Quando si riebbero, un gran vuoto era dinanzi a loro; i lampi, rischiarando l'aria, mostrarono il vasto cielo nuvoloso. La torre del Negromante s'era inabissata, e fra Gualdo, il malo consigliero di mastro Benedicite, si era sprofondato con essa.

CAPITOLO XX.

Come espiasse il suo fallo la dama di Torrespina.

Povera donna! Bene avea detto Ugo, la notte che fu di sua morte, pensando ai dolori che le erano serbati.

Povera donna! Tutto ci?? che Helel avea presagito di lei, era pure avvenuto. Il morir subito, dopo ci?? che ella seppe, le sarebbe stato ventura.

Che cuore fu il suo, come rimase di sasso, allorquando Fiordaliso si scus?? a lei del non essere salito al ritrovo, il lettore potr?? indovinare, non io per fermo descrivere. E colui che aveva scalato il verone? Non aveva egli il volto, la persona, i modi tutti del giovine trovatore? Poteva ella forse ingannarsi?

Ma il suo stupore divenne terrore, allorquando Fiordaliso, stretto dalle sue dimande, soggiogato dalla sua ansiet??, ebbe a narrarle dell'incontro notturno, dello spirito malvagio e del cavaliero sconosciuto che gli stava daccanto. Chi era costui? Se lo infausto pellegrino di Roccam??la era tornato, il cavaliero sconosciuto non poteva esser altri che Ugo, venuto ai suoi danni, orrenda visione, dal regno della morte.

A mutare il dubbio in certezza, giunse due giorni di poi una paurosa novella. Il fulmine aveva distrutto la torre del Negromante in Roccam??la, facendola precipitar nel torrente. I messaggieri raccontavano, coi capegli ritti sul fronte e colla voce tremante, i particolari della luce rossastra che i famigli del castello avevano veduta apparire dal luogo maledetto, e come fosse fatto uno scongiuro, e come nella rovina della torre fosse perito fra Gualdo. I monaci del vicino convento erano andati il giorno appresso a rovistar le macerie per disseppellire il compagno. E l'avevano rinvenuto, orrendamente sfracellato, per modo che soltanto dai brandelli della tonaca s'era potuto chiarire chi egli fosse. Ma in quel mezzo (cosa da far raccapriccio!) i pietosi cisterciensi avevano trovato altres?? il corpo d'un giovine cavaliero, che fu da tutti agevolmente riconosciuto per Ugo, conte di Roccam??la, morto e sepolto sei anni innanzi, da un altro lato del castello. Quel cadavere era fresco ed intatto; soltanto mostrava una cicatrice, quasi un marchio rosso, nel mezzo della fronte.

Cotesto aveva grandemente turbati gli animi dei vassalli della rocca. A tutti allora era sovvenuto della notte del 29 novembre, di sei anni innanzi, e della ospitalit?? concessa al maledetto rom??o. Andati incontanente alla tomba di Ugo, l'avevano scoperchiata: era vuota! Impossibile il dubitare pi?? oltre; quel cadavere fresco ed intatto era del conte Ugo. Un nuovo arcano recava la spiegazione del primo.

Ma dov'era stato per sei anni, e che cosa avea fatto il conte redivivo? Questa era la dimanda che tutti facevano. Fu allora che Enrico Corradengo venne fuori con una storia che mai fino a quel giorno aveva ardito narrare. Ansaldo di Leuca era vissuto pochi istanti ancora, dopo la partenza dei due vincitori dalla quercia di Marenda, ed egli aveva raccolto le sue ultime parole, nelle quali il nome di Morello era alternato col nome di Ugo di Roccam??la, come se il morente volesse dire di aver ravvisato l'estinto Ugo nel volto del vincitore, quando s'era inginocchiato su lui, per dargli il colpo della misericordia. Egli, Corradengo, l'aveva creduta sempre una ubb??a di Ansaldo, l'effetto di una allucinazione dell'agon??a, epper?? non ne aveva mai fatto parola ad alcuno. Ora intendeva ogni cosa; e come fosse stato ucciso Ansaldo, e come egli, Corradengo, il forte Corradengo, avesse potuto esser vinto e beffato da un Rambaldo di Verr??a. Quello era un giuoco infernale, la vendetta di uno spirito.

Dopo queste novelle, era venuta in campo la pazzia del vecchio strozziere; la storia del cavaliero di Lamagna, che, comparso una volta, non era pi?? tornato a ripetere il suo; il falso frate che, dopo avere straziato co' rimorsi il cuore di Benedicite, si era dileguato ghignando, e simili altre novit?? che poco lume avrebbero potuto recare da sole, ma che unite, disposte intorno ad un fatto, lo rischiaravano in ogni sua parte e ne faceano balzar fuori il concetto recondito.

Dolorosa, senza fine dolorosa, fu nella mente di quella povera donna la ricostruzione del passato, operata a stento con tutti que' particolari che giungeva tratto tratto a risapere. Che significavano tutte quelle vendette? Perch?? Ugo il felice aveva eletto di finire a quel modo? La leggenda di Roccam??la, da lui reputata uno spauracchio d'anime volgari, era dunque vera? Lo spirito familiare del Negromante era venuto, e gli aveva fatto scorgere la vanit?? d'ogni cosa? Tutti coloro che la sua collera avea colpiti, tutti avevano obliato l'estinto. Ella stessa!... Il falso Morello.... Il falso Fiordaliso.... Gi?? col primo infedele, sebbene nel pensiero, alla memoria dell'estinto, ella aveva ceduto al secondo!... Lo spirito esacerbato era stato mai sempre daccanto a lei; aveva vuotata a lenti sorsi la coppa del suo disinganno.

Cos?? guidata da un tenue filo, ella avea indovinato, quantunque imperfettamente, ogni cosa. E ricordava allora le amare volutt?? di una notte d'amore, certi sospiri, certe occhiate malinconiche dell'innamorato, che parea sopraffatto dalla sua medesima felicit??; com'egli la stringesse forte nelle sue braccia, quasi volesse soffocarla, come si dimostrasse tenero, come tremasse all'avvicinarsi dell'alba. Ah, ma se ad Ansaldo di Leuca, all'amico traditore, egli si era fatto scorgere nell'ultima stretta, perch?? a lei pure non s'era mostrato? Perch?? non l'aveva uccisa allora, nel suo ultimo amplesso? Qual piet?? era mai quella, che la condannava a struggersi lentamente di terrore, di rimorso e di vergogna?

Povera donna! povera donna! Sentirsi morire, e dover dissimulare la sua agonia al cospetto della sua gente, del marito e degli ospiti! Sapersi colpevole verso due, scorgersi involta in una trama mezzo umana e mezzo infernale, era un supplizio orribile ch'ella non potea a lungo durare.

Vers?? la piena delle sue angoscie a' piedi d'un santo monaco. Frate Alberto era santo perch?? umile; la sua mente non era ricca d'ingegno, ma il suo cuore aveva tesori di piet??, e le sue labbra spandevano sulle ferite i balsami del perdono. Il povero vecchio ud?? quel lungo e doloroso racconto, trem?? tutto e vide a quante orribili prove fosse dannata la creatura; lev?? gli occhi al cielo, ador?? l'ignoto, l'incomprensibile, e assolse quella donna, a gran pezza pi?? infelice che rea.

Quasi sarebbe inutile il dire che il biondo Fiordaliso, fallita la prima occasione, non ottenne pi?? il farmaco invocato al suo male d'amore. E' lo port?? altrove, farfalla vagabonda, il suo male, e parve aver trovato un farmaco in Provenza, alla corte del Poggio. Ma il suo risanamento non piacque al marito della gentil medichessa; il volto del biondo trovatore fu orridamente sfregiato, e insieme con la bellezza and?? la fortuna. Il paggio infedele di Ugo, diventato un vile borsiere, mor?? di mala morte, dopo aver trascinata una lunga ed ignominiosa vita, non di castello in castello, ma di tugurio in tugurio.

Madonna Giovanna rimase in vita, ma peggio che morta. Ella aveva apparenza di spettro, anzich?? di creatura vivente. La morte di messer Corrado, avvenuta qualche anno di poi, la sollev?? del peso di mentire e le diede agio a struggersi in pace. Era tempo!

Ella comper?? da Anselmo, rimasto erede di Benedicite che s'era spento in silenzio, la signoria di Roccam??la, e col?? si ridusse a vivere, dopo aver ceduto il mani??ro e le ville di Torrespina ad un congiunto del marito. Aveva i capegli bianchi come neve; la persona pareva una statua di cera, che si muovesse per sottile artifizio d'ordigni nascosti. Per tutti i paesi circonvicini, nei quali ella spendeva ogni suo avere in limosine ai poverelli ed alle pi?? bisognose famiglie, era chiamata la Santa di Roccam??la.

La sera del 29 novembre dell'anno 1295 aveva termine il suo martirio sulla terra. La notte innanzi ella aveva avuto una visione, la prima dopo cinque anni che recasse qualche sollievo alla sua anima travagliata. Ugo, il diletto Ugo, le era apparso, le avea perdonato, e la chiamava con s??. Svegliatasi, le parve di sentirsi meglio; passeggi?? a lungo per la collina; sorrise e di?? la mano da baciare a tutti i vassalli che s'abbattevano in lei e si ponevano ginocchioni sul passaggio della santa. La sera si rec?? a pregare presso la tomba di Ugo; la mattina vegnente vi fu trovata morta, distesa supina, le mani giunte, come esemplare all'artefice che doveva effigiarla sul sarcofago a lei preparato sotto la medesima v??lta.

Roccam??la, per suo testamento, convertita in monastero, dur?? ancora tre secoli; poi cadde, come tutto cade quaggi??, sotto i colpi del tempo e delle umane vicende. Di presente ell'?? un ammasso di rovine, neppur visitato da' viaggiatori eruditi, poich?? non si trova sulla via consueta di Firenze, o di Roma, e gli italiani conoscono a menadito i castelli del Reno, sanno ogni leggenda delle montagne svizzere, ma non si danno un pensiero al mondo delle antichit??, n?? delle memorie paesane.

Cotesto ?? forse pel loro meglio; imperocch??, fatti pi?? dimestici con le antiche storie e con le forti schiatte vissute prima di loro, avrebbero troppa ragione di arrossire.

Me i casi della giovinezza, pi?? che curiosit?? d'antiquario, condussero a quelle, come a tant'altre rovine di castelli vicini. Il signore di que' luoghi, che ?? il marchese di Ponzone (non si dolga l'ottimo gentiluomo che io scriva il suo nome e paghi un tributo di lode alla sua cortesia co' vivi ed al suo rispetto pei trapassati), ha con imitabile esempio fatto restaurare quanto pi?? si poteva dell'antico mani??ro, dando onorato luogo alle lapidi sparse, e facendo un ossario di tutte le umane reliquie male sepolte qua e l?? sotto le macerie.

Ho letto, non tutte bene, poich?? ve n'ha di assai guaste, le iscrizioni sepolcrali di Roccam??la. Eccovi questa, che era la pi?? grande tra tutte, scolpita in caratteri gotici, la quale fa fede della barbara latinit?? monastica del secolo XIII:

Postquam lux abiit vigesima nona novembris,
Mille ducentis quinque et nonaginta peractis
Annis a Christo, tumulo requiescit in isto
Mente pia cunctis praestans comitissa Joanna
Quae potuit dici tamquam sine labe Susanna.
Praeteriit sed non obiit; Deus ille deorum
Hanc rapuit simul et statuit super astra polorum.
FINE.

DELLO STESSO AUTORE
(Edizioni in-16).
Capitan Dodero (1865). Settima edizione L. 2?????
Santa Cecilia (1866). Quinta edizione ?? 2?????
L'olmo e l'edera (1867). Settima edizione ?? 2??50
I Rossi e i Neri (1870). Seconda edizione ?? 6?????
Le confessioni di Fra Gualberto (1873). Seconda edizione ?? 3?????
Val d'Olivi (1873). Seconda edizione ?? 2?????
Semiramide, racconto babilonese (1873). Seconda ediz. ?? 3?????
La legge Oppia, commedia (1874). ?? 1?????
Castel Gavone (1875). Seconda edizione ?? 2??50
Come un sogno (1875). Quarta edizione ?? 2?????
La notte del commendatore (1875). ?? 4?????
Tizio Caio Sempronio (1877). Seconda edizione ?? 3?????
Diana degli Embriaci (1877). ?? 3?????
Cuor di ferro e cuor d'oro (1877). Seconda edizione ?? 5?????
Lutezia (1878). Seconda edizione ?? 2?????
La conquista d'Alessandro (1879). ?? 4?????
Il tesoro di Golconda (1879). ?? 3??50
La donna di picche (1880). ?? 4?????
L'undecimo comandamento (1881). ?? 3?????
O tutto o nulla (1881). ?? 3??50
??
D'IMMINENTE PUBBLICAZIONE
??
Il ritratto del diavolo.

PREZZO DEL PRESENTE VOLUME: L. 2.
ROMANZI ITALIANI

Archinti (Luigi).

D'Aste (I. T.).

Per pigliar sonno, racconti L. 2?????

Ermanzia L. 1?????

Barrili (A.??G.).

Castelnuovo (Enrico)

Capitan Dodero L. 2?????

Alla finestra. Novelle L. 3?????

Santa Cecilia L. 2?????

Nella lotta L. 3?????

L'olmo e l'edera L. 2??50

La contessina L. 3?????

I Rossi e i Neri. 2 volumi L. 6?????

Cordelia.

Val d' Olivi L. 2?????

Il Regno della Donna L. 2?????

Fra Gualberto L. 2?????

Prime Battaglie L. 2?????

Come un Sogno L. 2?????

Vita Intima L. 2?????

Castel Gavone L. 2??50

Dopo le nozze. (Sotto i torchi).

Semiramide L. 3?????

De Amicis (Edmondo).

Diana degli Embriaci L. 3?????

Novelle L. 4?????

Cuor di ferro e cuor d'oro L. 5?????

Vita militare L. 4?????

La notte del Commendatore L. 4?????

Donati (Cesare).

Tizio Caio Sempronio L. 3??50

Flora Marzia L. 2?????

Lutezia L. 1?????

Edoardo.

La Conquista d'Alessandro L. 4?????

La moglie nera L. 2?????

Il tesoro di Golconda L. 3??50

Gualdo (Luigi).

La donna di picche L. 4?????

La gran rivale L. 1?????

L'XI comandamento L. 3?????

Costanza Gerardi L. 1?????

O tutto o nulla L. 3??50

Guerrazzi (F. D.).

Bersezio (Vittorio).

L'assedio di Firenze. 2 vol. L. 2?????

Povera Giovanna L. 1?????

Il Destino L. 2?????

La carit?? del Prossimo L. 1?????

Marchesa Colombi.

Il debito paterno L. 1?????

In risaia L. 2?????

La Vendetta di Zoe L. 4?????

Melmenti (P. G.).

Il segreto di Matteo Arpione L. 4?????

Clara-Dolor! L. 1?????

Bett??li (Parmenio).

Petruccelli della Gattina.

Carmelita L. 1?????

Memorie di Giuda L. 5?????

Il processo Duranti L. 1?????

Notti degli emigrati a Londra L. 3?????

La favorita del duca di Parma L. 1?????

Il sorbetto della regina L. 1?????

Giacomo Locampo L. 1??50

Il re prega L. 3?????

Boito (Camillo).

Sara.

Storielle vane L. 3?????

Farfalla L. 1?????

Capranica (Luigi).

Maritata s?? e no L. 2?????

Papa Sisto. 2 volumi L. 7?????

I peccati degli avi L. 1??50

Donna Olimpia Pamfili L. 1?????

Il primo dolore L. 1?????

La congiura di Brescia L. 2?????

Serra-Greci.

Maschere Sante L. 1?????

Adelgisa L. 1?????

Giovanni delle Bande Nere L. 2?????

La fidanzata di Palermo L. 2?????

Fra Paolo Sarpi. 2 volumi L. 2?????

Verga (G.).

Racconti L. 2??50

I Malavoglia L. 5?????

Caccianiga (Antonio).

Eva L. 2?????

Villa Ortensia L. 3?????

Storia di una capinera L. 2?????

Il bacio della Cont. Savina L. 1?????

Novelle L. 2??50

Il Roccolo di Sant'Alipio L. 3??50

Vita dei Campi L. 3?????

Sotto i ligustri L. 3??50

Il marito di Elena. (Sotto i torchi).

Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves editori in Milano.


Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, cos?? come le grafie alternative (contea/cont??a, maniero/mani??ro, rocca/r??cca e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Sono stati corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale):

6 ??? mi costringe a prendere [prendare] una viottola
20 ??? con vostra licenza [liconza], messer lo Conte
30 ??? soggiunse [seggiunse] il paggio
39 ??? dalla marchesina [marchesana] di Monferrato
41 ??? Ugo era sopra pensieri [ponsieri]
112 ??? tra i singhiozzi [singhozzi] a sfogare
139 ??? ufficio [ufflicio] di successore
164 ??? Soventi volte dissimuliamo [dissimuliano]
190 ??? la finestra del Negromante illuminata [illumiminata]
198 ??? le parve [darve] di sentirsi meglio

*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LIBRO NERO ***

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Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg???

Project Gutenberg??? is synonymous with the free distribution of electronic works in formats readable by the widest variety of computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need, is critical to reaching Project Gutenberg???'s goals and ensuring that the Project Gutenberg??? collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg??? and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation web page at http://www.pglaf.org .

Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Its 501(c)(3) letter is posted at http://www.gutenberg.org/fundraising/pglaf . Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan??Dr. S.??Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered throughout numerous locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email business@pglaf.org. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation's web site and official page at http://www.pglaf.org

For additional contact information:

Dr.??Gregory B.??Newby
Chief Executive and Director

Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

Project Gutenberg??? depends upon and cannot survive without wide spread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit http://www.gutenberg.org/fundraising/donate

While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: http://www.gutenberg.org/fundraising/donate

Section 5. General Information About Project Gutenberg??? electronic works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg??? concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For thirty years, he produced and distributed Project Gutenberg??? eBooks with only a loose network of volunteer support.

Project Gutenberg??? eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper edition.

Each eBook is in a subdirectory of the same number as the eBook's eBook number, often in several formats including plain vanilla ASCII, compressed (zipped), HTML and others.

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