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Forse che s?? forse che no, di Gabriele D'Annunzio /head>

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Project Gutenberg's Forse che s?? forse che no, by Gabriele D'Annunzio









This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with




almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or




re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included




with this eBook or online at www.gutenberg.org














Title: Forse che s?? forse che no









Author: Gabriele D'Annunzio









Release Date: May 9, 2013 [EBook #42673]









Language: Italian









Character set encoding: UTF-8









*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK FORSE CHE S?? FORSE CHE NO ***
























Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara




Magni and the Online Distributed Proofreading Team at




http://www.pgdp.net (This file was produced from images




generously made available by The Internet Archive)


































Copertina

FORSE CHE SI FORSE CHE NO

ROMANZO DI GABRIELE D'ANNUNZIO.

PRESSO I FRATELLI TREVES IN MILANO. MCMX.
???
17.?? migliaio.


PROPRIET?? LETTERARIA ED ARTISTICA.

I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.

Copyright by Fratelli Treves, 1910.

Tip. Fratelli Treves.


A FRANCESCO COSELSCHI
?? DEDICATO QUESTO LIBRO

DE AMICITIA

LIBRO PRIMO.

[1]

 

??? Forse ??? rispondeva la donna, quasi protendendo il sorriso contro il vento eroico della rapidit??, nel battito del suo gran velo ora grigio ora argentino come i salici della pianura fuggente.

??? Non forse. Bisogna che sia, bisogna che sia! ?? orribile quel che fate, Isabella: non ha alcuna scusa, alcuna discolpa. ?? una crudelt?? quasi brutale, un'offesa atroce al corpo e all'anima, un disconoscimento inumano dell'amore e d'ogni bellezza e d'ogni gentilezza dell'amore, Isabella. Che volete voi fare di me? Volete rendermi ancor pi?? disperato e pi?? folle?

??? Forse ??? rispondeva la donna, aguzzando il suo sorriso che il velo pareva confondere [2] e quasi fumeggiare nei mobili riflessi, di sotto alle due ali ferrugigne che le coprivano gli orecchi inserite nel suo cappello a guisa d'elmetto intessuto d'una paglia larga e forte come tr??cioli di frassino.

??? Ah, se l'amore fosse una creatura viva e avesse gli occhi, potreste voi guardarlo senza vergognarvi?

??? Non lo guardo.

??? Mi amate?

??? Non so.

??? Vi prendete gioco di me?

??? Tutto ?? gioco.

Il furore gonfi?? il petto dell'uomo chino sul volante della sua rossa macchina precipitosa che correva l'antica strada romana con un rombo guerresco simile al rullo d'un vasto tamburo metallico.

??? Siete capace di metter la vita per ultima posta?

??? Capace di tutto.

Parve guizzarle tra i denti e il bianco degli occhi l'acutezza del sorriso formidabile come il baleno d'un'arme a doppio taglio. Con la destra il furibondo afferr?? la leva, acceler?? la corsa come nell'ardore d'una gara mortale, sent?? pulsare nel suo proprio cuore la violenza del congegno esatto. Il vento gli mozzava le parole su le labbra arsicce.

[3] ??? Ora ho la vostra vita nelle mie mani come questo cerchio.

??? S??.

??? Posso distruggerla.

??? S??.

??? Posso in un attimo scagliarla nella polvere, schiacciarla contro le pietre, fare di voi e di me un solo mucchio sanguinoso.

??? S??.

Protesa ella ripeteva la sillaba sibilante, con un misto d'irrisione e di volutt?? selvaggia. E veramente l'uno e l'altro sangue si rinforzavano, balzavano; l'uno contro l'altro parevano ardere ed esplodere come l'essenza accesa dal magnete nel motore celato dal lungo cofano.

??? La morte, la morte!

Non sbigottita ma ebra, ella mirava l'imagine di lui nel fanale mediano, ch'era come un teschio orecchiuto, costrutto di tre metalli: mirava nella spera convessa del rame il capo rimpicciolito, ingrossato il basso del corpo, la mano sinistra enorme su la guida dello sterzo. Percotendo il sole nella spera, il foco divorava la faccia; e dell'imagine allora non appariva a lei se non il mostruoso torace decapitato e il pugno gigantesco nel guanto rossastro.

??? Mi tenterai e mi deluderai anc??ra?

??? Forse.

[4] ??? Vedi quel carro, laggi???

??? Lo vedo.

Le parole erano come faville fulminee che si partissero non dalla bocca senza respiro ma dall'apice del cuore lottante. Il vento le rapiva e le mesceva all'immenso vortice di polvere alzato nella traccia spaventosa. Parevano non avere la figura del suono ma quella dell'ardore, disumanate dalla brevit?? nella luce, dalla solitudine nello spazio.

??? Chiudi gli occhi, dammi le labbra.

??? No.

??? Mordimi, e chiudi gli occhi.

??? No.

??? Moriamo.

??? Eccomi.

Combattevano senza toccarsi ma invasi dallo stesso delirio che agita gli amanti acri d'odio carnale sul letto scosso, quando il desiderio e la distruzione, la volutt?? e lo strazio sono una sola febbre. Il mondo non fu se non polvere dietro di loro; le forze si alternarono e si confusero. La donna era separata sul suo sedile, n?? sfiorava pur col gomito il compagno; ma soffriva e gioiva come se i due pugni dominatori non reggessero il cerchio, ben lei tenessero presa per gli ??meri squassandola. E trasposta era in lui l'illusione medesima, ch?? egli sentiva sotto le sue mani nella potenza dell'impulso [5] grandeggiare il palpito della creatura agognata. Ed entrambi, come nella mischia ignuda, avevano il viso cocente ma nella schiena il brivido gelido.

??? Non temi?

??? Non temo.

Ella guardava la morte e non credeva alla morte. Vide l'ombra d'un pioppo su la via splendida; distinse sul ciglio erboso il fiore intatto del vento, il labile globo di piuma sul gambo sottile; si contrasse, divenuta un solo istinto vitale dalla nuca al tallone, imitando il guizzo delle rondini vive che sfioravano il cofano pieno di fremito. E non mai aveva conosciuto la sua propria forma come in quel punto, non mai nel suo letto, non mai nel suo bagno, non mai davanti al suo specchio: le lunghe gambe lisce come quelle dei chiari Crocifissi d'argento levigate da mille e mille labbra pie; l'esiguit?? delle ginocchia agevoli in cui era il segreto del passo ammirabile; le piccole mammelle sul petto largo come il petto delle Muse vocali, dall'ossatura palese di sotto i muscoli smilzi; e le braccia non molli ma salde che pur sembravano portare la pi?? fresca freschezza della vita come una ghirlanda rinnovata a ogni alba; e chiuse nei guanti flosci le magre mani fino alle unghie screziate di bianco, sensibili come il cuore purpureo, ricche di un'arte pi?? misteriosa [6] che i segni scritti nelle palme; e tutto il calore diffuso sotto la pelle come una stagione dorata, e l'inquietudine delle vene, e l'odore profondo.

??No, non moriamo. Il cuore ti trema. Il tuo furore ?? vano. Godi e soffri di me. Non sono mai stata cos?? forte e cos?? desiderabile??.

I suoi pensieri nascevano dal suo brivido. Ed ella portava sotto le due ali basse il suo viso di d??mone non come una maschera di carne ma come la sommit?? stessa della sua anima accesa nel vento sonoro e velata di fallacia.

??? Isabella! Isabella!

Simile al cavallo nervoso che sente dinanzi all'ostacolo mancare il coraggio del cavaliere ed ?? certo che non andr?? dall'altra parte, ella sentiva l'esitazione nei pugni del guidatore; e gi?? misurava con l'occhio lo spazio tra il carro e il canale ove le ninfee biancheggiavano. Un grido involontario le sfugg?? quando una rondine urt?? contro i bugni del radiatore camuso uccidendosi.

??? Paura?

??? Per la rondine.

??? Vuoi?

??? Sia.

??? Isabella!

Allora ella guard?? il viso raso del compagno, non nella spera di rame ma nel rombo [7] del pericolo al suo fianco: il viso bronzino, disseccato e indurito su le ossa evidenti, chiuso fino al mento come da una sorta di camaglio; onde sporgeva carnosa la bocca quasi fosse gonfia di sete e di disperazione. Poi guard?? innanzi a s??. Subitamente l'orrore le arrest?? il palpito, ch?? il carro era l??, carico di tronchi immani che si protendevano oltre le corna delle due coppie di buoi aggiogate. L'ultimo battito delle palpebre afferr?? netta la forma degli strati legnosi nel taglio dei fusti. Poi ella chiuse gli occhi: fu scossa dalla violenza dello sterzo, ud?? gli urli dei bovari e un muggito l??gubre come se la macchina micidiale passasse sopra le bestie stritolate. Apr?? gli occhi: qualcosa di verde, di candido, di fresco le entr?? nelle pupille. La macchina correva, muggendo dalla sua sirena, lungo il margine erboso del canale ove le ninfee galleggiavano innumerevoli. Dietro, il vortice della polvere nascondeva il passo della morte. E un repentino riso stridette per entro l'ondeggiamento del velo, sotto le ali dell'elmetto, su la faccia incolume e invitta.

Era un riso involontario, un convulso riso femineo, che le riempiva di lacrime il cavo degli occhi, la piegava a mezzo del corpo e pareva fosse per spezzarla in ogni sussulto. Ma ella diede alla sua debolezza e al suo male l'apparenza dello scherno vittorioso.

[8] ??? La morte! La morte! ??? singhiozz?? nella gola stridula. ??? L'ultima posta! Avete ucciso una rondine e prestato un muggito di spavento a quattro buoi troppo placidi.

Ella non poteva domare quel riso che le si partiva dalle viscere, dal pi?? profondo di s??, dall'ignoto abisso della sua sostanza, con un suono inimitabile che pur sembrava falso alla sua anima e a quella di chi l'udiva. E il compagno taceva, senza guardarla, oppresso da un'angoscia annodata come un rancore inerte, che gli impediva di raccogliere l'irrisione e di volgerla in lieve allegrezza.

??? Tutto ?? gioco ??? disse.

Moderava la corsa. Ora la strada era solitaria; e tutta la pianura in quel punto era una solitudine lontana come una ricordanza musicale, fatta di segni e d'intervalli costanti; ch?? gli argini verdi, e sovr'essi le pallide vie diritte, e i canali molli, i filari di salci di pioppi di gelsi, tutte le linee consentivano a quella dell'orizzonte, in concorde lentezza si prolungavano verso l'infinito. E il regno era del cielo inoccupato; ch?? qualcosa d'aereo, per tante quiete acque specchianti, alleviava la terra come i grandi occhi all??viano il volto umano.

Sopra la pulsazione del motore e sopra il riso della donna, che parevan salire dalla stessa meccanica inconsapevolezza, egli percepiva il [9] silenzio senza confine. E da quella chiara libert?? del cielo sgombro, e da tutte quelle bianche liste ricorrenti per la verdura, e dal balenare delle rondini sul fiso sguardo degli stagni, gli si compose l'imagine del suo volo. E imagin?? di condurre non la rapidit?? che striscia ma quella che si solleva; imagin?? di ritrovarsi nella lunga fusoliera che formava il corpo del suo congegno ded??leo tra i due vasti trapezii costrutti di frassino d'acciaio e di tela, dietro il ventaglio tremendo dei cilindri irti d'alette, di l?? dai quali girava una forza indicibile come l'aria: l'elica dalle curvature divine.

La donna aveva soffocato il riso, che di tratto in tratto rinasceva come un singulto infantile.

??? Credo che siamo folli, Paolo ??? disse con una voce che si pos?? sul cuore dell'uomo come una mano cauta in atto d'imprigionare qualcosa che sia per fuggirsi.

Egli rivide, in un lampo, Isabella Inghirami sotto la tettoia che crepitava alla pioggia primaverile, l??, fra i rotoli dei fili d'acciaio, fra le lunghe verghe di legno, fra i mucchi dei trucioli, negli stridori della sega, nei gemiti della lima, nei colpi del martello, mentre una tacita febbre umana pareva quasi raggiare intorno al grande airone inanimato che aveva gi?? la tela tesa su le c??ntine delle sue ali. Ah perch?? d'improvviso quell'opera delicata e misteriosa [10] come il lavoro dei liutai, fatta di pazienza di passione di coraggio, e di eterno sogno e di antica favola, perch?? era divenuta una incerta carcassa al paragone della somma di vita accorsa da tutti i punti dell'Universo e adunata meravigliosamente su quel volto quasi esangue i cui s??biti rossori commovevano come gli accenti sublimi dell'eloquenza e come le grida dei fanciulli? Quanto ingegno teso e ostinato, quanta accortezza e destrezza, quante prove e riprove nel trovare i modi delle legature, delle giunture, degli innesti! E per qual segreto, a un tratto, ecco, le fragili falangi di quelle dita ripiegate all'angolo di quella bocca socchiusa potevano assumere un valore che aboliva tutto l'acume della ricerca e tutta la gioia dell'invenzione? Egli rivide la visitatrice, poggiata senza peso il gomito contro una costa della fusoliera, presso il timone verticale, sotto una s??rtia rigida d'acciaio, con la mano senza guanto fra la gota e il mento a reggere il viso chino nell'attitudine dell'ascolto, sembrando l'ombra del cappello alato raccogliere l'astuzia molteplice e la seduzione sagace di Mercurio imberbe.

??? Anc??ra pensate male di me, Paolo? O sognate il volo di domani?

Gli parve che in lei corresse un lieve fremito.

??? Penso ??? rispose ??? a quel giorno che entraste per la prima volta nel mio piccolo cantiere sul prato di Settefonti.

[11] ??? Me ne ricordo.

Ella risent?? gli sguardi timidi e diffidenti degli artieri, il fresco d'una larga gocciola caduta dalla tettoia su la sua mano ignuda, il frusc??o dei trucioli all'orlo della sua gonna, il dolore alla caviglia impigliata in un filo d'acciaio, l'odore della vernice e della pioggia, l'ansia dissimulata del suo cuore sotto il suo artificio.

??? Entraste, come chi apre una porta e comanda a un estraneo: ??Lascia tutto e vieni con me??. E non dubita dell'obbedienza.

??? Sapevo ??? ella disse ??? una parola bella e strana come un nome di maga, che significa: ??Vieni-con-me??. E non me ne ricordo pi??.

??? Il vostro vero nome.

??? Per voi o per tutti?

Subitamente egli pat?? la bruciatura profonda, senza comprendere, senza riflettere. Or come con una qualunque parola quella voce poteva far tanto male? Come poteva con un solo accento rimescolare tante cose torbide, rappresentare l'oscurit?? del passato inesplorabile e l'incertezza del domani impuro?

In una carne ch'egli desiderava si converse per lui tutto il desiderio del mondo; e l'immensit?? della vita e del sogno fu ristretta in un grembo caldo.

Egli la guard??. Cos?? con un colpo di stecca iroso il modellatore scancella nella creta l'effigie, [12] la ragguaglia alla massa informe. Egli agogn?? ch'ella pi?? non avesse quelle palpebre, quella bocca, quella gola, ch'ella pi?? non fosse qual'era. E rievoc?? il duro carro, i lunghi tronchi protesi all'urto senza scampo.

??? Ah se l'amore, che offendete e abbassate cos?? forsennatamente, si vendicasse di voi e vi torturasse come mi torturate! Se un giorno voi non poteste pi?? dormire n?? sorridere n?? piangere!

??? L'amore, l'amore! ??? sospir?? ella abbandonando in dietro il capo, socchiudendo i cigli, rilasciando le braccia e le mani come chi illanguidisce, con la bocca avida, quasi a bere tutto il filtro dell'estate dalla tazza riversa del cielo coronata di foglie. ??? Se sapeste come amo l'amore, Paolo!

Profer?? queste parole inchinando il viso velato verso il compagno, con un accento ch'era simile a un sapore e a un sentore segreti, quasi che la voce per giungere alle labbra avesse attraversato la pi?? profonda sensualit??. Egli impallid??. Fu diminuito; fu rotto come un sermento che debba esser gettato nella fiamma con altri mille. Per lui il desiderio era quell'elezione irrevocabile che di quelle due braccia faceva il luogo unico della luce e del respiro. Ma il desiderio di lei era senza cerchio, senza limite, senza tempo come il male dell'essere e la malinconia della terra?

[13] ??? L'amore ?? il dono ??? disse egli.

??? ?? l'attesa ??? disse ella.

??? Non l'indugio perverso. A ogni ora voi siete per donarvi e vi rattenete, siete per concedervi e vi negate. Fin da quel giorno, sotto la tettoia, girando intorno alle ali morte, simulaste nel passo i movimenti della volutt??.

??? I vostri occhi sono malati.

Egli la rivedeva ondoleggiare intorno al grande apparecchio aereo, con la pieghevolezza quasi fluida delle malvage murene prigioniere nell'aquario.

??? Perch?? vi lamentate sempre come un bambino capriccioso, voi che mi piaceste soltanto come l'amico del pericolo? Pensate che io sono il vostro pi?? gran pericolo, Tarsis. L'amore che io amo ?? quello che non si stanca di ripetere: ??Fammi pi?? male, fammi sempre pi?? male??. Non eviter?? mai nessuna pena, n?? a voi n?? a me. Fuggite, giacch?? avete le ali, giacch?? studiate il vento.

Ella non sorrideva; ma sembrava che s'appoggiasse su ogni parola come per comunicare a ciascuna il suo proprio peso, il peso della sua potenza e della sua imperfezione e di tutto l'ignoto ch'ella portava dentro. E gli stridi delle rondini su per gli stagni le fendevano l'anima come il diamante fende il vetro, e dubbio ?? qual dei due strida.

[14] ??? Amico, amico, ??? ella proruppe, di s??bito invasa da uno scoraggiamento ansioso, quasi che la corsa rallentata e il giorno declinante le diminuissero il respiro ??? no, non m'ascoltate, non mi rispondete. Non parlate pi??, non voglio pi?? parlare. Non vi far?? mai tanto male quanto ne fa a me la pi?? piccola di quelle foglie, e tutto questo cielo!

Divine erano la dolcezza e la tristezza del giorno su la pace della pianura ove le ombre e le acque e l'arte agreste avean composta una ordinanza tanto semplice che pareva condotta secondo il flauto di tre note tagliato nella canna palustre. I salci spogli, con una lieve ghirlanda di frondi in sommo, miravano negli stagni riflesso un aspetto tanto socievole che pareva si fosser gi?? tenuti per mano e allora allor disgiunti dopo una danza serena. E tanto eran fresche le ninfee nei canali che la donna credeva sentirne l'umidit?? intorno ai suoi propri occhi arsi.

??? Aldo e Vana saranno anc??ra molto in dietro? ??? domand?? ella con un'ansia oscura che non si placava.

??? Ci raggiungeranno.

??? Andiamo! Andiamo!

Paolo Tarsis acceler?? la corsa. Il vortice di polvere, il rombo guerresco, l'ululo della sirena respinsero la mite e straziante melodia.

[15] Apparivano in lontananza le mura rossastre, i baluardi saglienti, le torri quadrangolari della citt?? forte.

??? Mia sorella non vi piaceva pi?? di me, prima? ??? disse ella anc??ra, con un tono acre di provocazione, sollevando gli angoli della bocca a fiore delle gencive nel sorriso irritato e come sospeso sopra un poco di sangue roseo.

??? Non volevate pi?? parlare, Isabella.

Una inquietudine intollerabile agitava la donna, come s'ella dovesse dire e fare qualche cosa che sola in quel punto era consentanea a s?? e al tutto ma non potesse n?? dire n?? far quella, anzi la contrariasse con ogni pensiero, con ogni parola, con ogni movimento e perfino col polso, col respiro. E stava curva come sotto la tempesta, come per comprimere la sua vita e opporsi a un salire subitaneo di onde ch'ella non sapeva se recassero il bisogno di ridere o di piangere. E, provando un dolor sordo alle scapole, propagava ella medesima quel dolore fino alle dita dei suoi piedi e delle sue mani, con la piet?? d'esso dolore. Ed ecco, la stanchezza la occupava come il nero peso d'un sonnifero e le dava una voglia accorata di piegare il capo su la spalla del compagno e di dimenticarsi in un letargo senza fine. Ed ecco, tutte le forze del suo desiderio con tutte le imagini della volutt?? le balzavano dentro e rotavano in una vertigine di delirio.

[16] ??? ?? il pi?? lungo giorno! ??? esclam??, come chi si risvegli nel sussulto dei ricordarsi. ??? Oggi ?? il pi?? lungo giorno, ?? il solstizio d'estate. Non lo sapete?

E per alcuni attimi aspett?? che la mano sinistra del compagno lasciasse il volante e la toccasse, nella speranza impetuosa che una novit?? nascesse da quel tocco. E tutta la sua anima si dibatteva sbigottita con un fremito innumerevole come se tutte quelle rondini vive fossero prese in una rete sola e nel terrore si rompessero le penne.

Contratto egli taceva, intento a dominare s?? stesso, la sua macchina fida e infida. Ed ella volle guardarlo deformato nel rame del fanale; e pi?? parole crudeli trov?? per ferirlo, e non ne scelse alcuna ma le contenne e n'accrebbe il suo rancore. E cerc?? qualche altra cosa da opporre a quel male, da gettare a quella specie d'insana fame che distruggeva in lei l'intera massa della vita vissuta e non le lasciava su la lingua se non un gusto di sangue e di polvere.

Allora le ingiurie rauche e i pugni tesi dei cozzoni di cavalli le raddrizzarono in un sussulto energico le reni indolenzite.

??? Avanti! Non vi fermate! Avanti!

La mandra scalpitava sprangava s'impennava intorno alla macchina fragorosa: lunghe criniere, [17] lunghe code arrossate dall'intemperie; teste montonine con la favilla bianca dello spavento nell'angolo dell'occhio; poledri villosi come orsatti, su le alte gambe gracili; e l'urto degli zoccoli, e l'onda delle groppe, e l'odor selvaggio nel soffocante nuvolo.

??? Muoio di sete ??? ella disse, quando il tumulto e il clamore furono superati. ??? Ho sete di quell'acqua verde; ho voglia d'inginocchiarmi sul margine e di tuffare il viso tra due ninfee.

Ella sollev?? il velo, mostr?? il viso nudo. Egli si volse a guardarla, con qualcosa di cavo nel petto, ch'era come l'impronta di quella nudit?? sempre nuova. Ella si prendeva le labbra tra i denti alternamente, inumidendole d'una stilla tratta con uno sforzo penoso dal fondo della gola. E i suoi occhi parevano aver perduta la pupilla, erano senza centro, pieni d'un tremol??o chiaro di forze che scaturivano dal buio come il gorg??glio delle dure polle nel letto delle fontane; e il segno nero nell'orlo della p??lpebra inferiore, segnato dall'arte mattutina, persisteva netto rilevando l'inumana chiarit?? delle iridi, allargando la larga orbita, appassionando la bellezza per la volont?? di farsi pi?? acuta.

??? Ah, che cielo! Non lo vedete?

Era pallido il cielo, quasi candido, con un'apparenza [18] eguale, eppure per ovunque variato come una mescolanza indefinita di ardori che salissero dalla terra e scendessero dal sommo, come una fluttuazione continua di cose diafane e sensibili che quella faccia riversa ricevesse su i cigli e con un battito di cigli rimandasse fino ai limiti del silenzio.

??? Che faremo?

La sua ansia le diceva che il suo destino era sospeso nella luce del pi?? lungo giorno. Ella aveva dinanzi a s?? l'imagine della sua felicit?? riversa come la sua faccia nell'atto di mordere il dolore come un frutto maturo che la bagnasse di succo vermiglio. E non sapeva se volesse continuare senza termine quella corsa o se volesse fare una sosta in una solitudine sconosciuta. Il pensiero involontario incurvava la sua spalla secondo la forma del braccio maschile.

??? Aspetteremo Vana e Aldo sotto la porta?

Appariva una esedra rossa su un prato sparso di gelsi ove pascolavano cavalli bai. Dinanzi erano le mura della citt?? fendute di feritoie.

??? Paolo, Paolo, ??? disse ella abbandonandosi perdutamente a quell'ansia ch'ella non dominava pi?? ??? vi prego, fermiamoci a vedere la Reggia. Bisogna ch'io la veda. ?? la Reggia d'Isabella. Sar?? anc??ra aperta a quest'ora? Voglio, voglio entrare a qualunque costo. Vi prego! Bisogna che oggi io la veda. Fatemi questo dono!

[19] Il suo meraviglioso tormento e il suo furore di volutt?? e la sua riluttanza e il suo orgoglio e la sua stanchezza e la sua sete ora a un tratto si dissolvevano e si confondevano in una visione allucinante dell'amore su la ruina. Ella guard?? l'inchinato sole per fermarlo col suo v??to.

??? ?? la Reggia d'Isabella. Bisogna ch'io la veda.

??? Forse ?? tardi.

??? Non ?? tardi.

??? Son passate le sei.

??? Il giorno dura fino alle nove, oggi.

??? Il custode non ci aprir??.

??? Bisogna che apra. Voglio.

??? Proviamo.

??? Sono certa. Voglio.

La macchina s'arrest?? alla porta. I doganieri s'appressarono. Nel rombo assordante, ella chin?? verso di loro la sua faccia che ardeva tra le due ali come illuminata dall'ispirazione. Anelava.

??? Dov'?? la Reggia?

Un di loro attonito indic?? la via. Taciturna e quasi deserta era la citt?? distesa nella sua palude e nella sua tristezza. Le memorie la empivano d'un silenzio che le rondini laceravano con le strida e traevano a lembi nei loro piccoli artigli pel cielo argentino.

[20] ??? E Vana? E Aldo?

??? Certo, giunti alla porta, domanderanno se siamo passati.

??? Domanderanno? Ecco la piazza!

La piazza era solitaria e lunga, fra palagi e torri e moli sacre, con grandi ombre respiranti in una storia di magnificenza, di gentilezza, di lussuria, di tradimento e di uccisione. Le rondini vi gettavano un clamore quasi deliro. La Reggia era chiusa. E parve alla creatura febrile che chiuso vi fosse il suo pi?? profondo destino. Ella balz?? a terra, anelante; e, simile alla figlia scacciata che ritorna in demenza, si pose a battere l'imposta coi due pugni chiusi.

??? Ma che furia! Isabella, vi farete male alle dita. Certo, cos?? spaventerete il custode che rifiuter?? di lasciar entrare a quest'ora una piccola folle polverosa.

Paolo rideva, rapito tuttavia da quella vitalit?? volubile, da quella diversit?? d'aspetti e d'accenti, da quell'ardore e da quel tumulto che del luogo ov'ella era sembravano fare il punto pi?? sensibile dell'Universo.

??? C'?? il campanello ??? disse una voce timida. Ed entrambi soltanto allora si accorsero che dietro i due sedili emergeva, di mezzo a un cumulo di cerchioni sovrapposti, il meccanico trasfigurato dalla polvere in un busto di gesso parlante.

[21] L'impaziente si maravigli??, poi rise. Cerc?? il campanello, tir?? con tutta la forza. Il tintinno si propag?? nell'ignoto. S'ud?? un passo, un borbottio, uno scrocco di chiave; l'imposta s'apr??; il custode apparve su la soglia. Barbato e canuto, era la figura volgare del Tempo senza clessidra n?? falce. Non gli diede agio d'aprir bocca ella, ma s??bito lo avvolse nella sua implorazione irresistibile.

??? Lasciateci entrare! Siamo di passaggio. Ripartiamo prima di notte. Non torneremo forse mai pi??. Vi prego, vi prego! Nessuno vede, nulla pu?? accadere. Lasciate che entriamo, per un'occhiata almeno! Mi chiamo Isabella.

Pi?? di quella grazia infantile e di quella calda voce supplichevole e di quel nome dominante valse l'offerta del compagno. Il Tempo sorrise nella barba gialliccia, e si scans??.

Allora ella si tolse il velo, si tolse il mantello; e tanta fu la luce de' suoi giovani occhi che per qualche attimo ella sembr?? vestita di quella sola. Ma, quando ella si mise per la vasta scala, Paolo Tarsis ud?? in s?? i colpi sordi del suo cuore come se la portasse su le sue braccia: pesante? leggera? Anche il corpo di lei era ingannevole, quasi duplice, come dissimulato e rivelato in una perpetua vicenda. Ecco, ella saliva di grado in grado con una pieghevolezza che pareva allungarle ancor pi?? le gambe, [22] attenuarle i fianchi, assottigliarle la cintura; era magra, snella, veloce, come un giovinetto allenato alla corsa. Ecco, ella si soffermava sul ripiano traendo un gran respiro; e l'occhio a un tratto si stupiva nello scoprire la larghezza delle sue spalle, la profondit?? del suo torace, la potenza delle sue reni, la rettitudine della sua ossatura su i piedi non piccoli ma dal fiosso arcuato cos?? che si equilibravano sul calcagno e sul pollice come quelli della Libica michelangiolesca.

Si sofferm?? ella; poi fece qualche passo verso la prima sala. Il gioco dei suoi ginocchi creava nella sua gonna una specie di eleganza interiore, una grazia alterna che di dentro animava ogni piega. Anc??ra si sofferm??, senza pi?? traccia di sorriso e d'allegrezza, come oppressa da un presentimento troppo grave, con le palpebre basse. L'amico era poco discosto, occupato da un'angoscia che pareva tutto abolire in lui e non lasciargli se non la possibilit?? d'un sol gesto nelle braccia pendenti ove si addensava l'attesa. Non lo guardava ella ma assisteva nel suo proprio corpo al fluire e all'adunarsi d'un mistero ch'ella non dominava e che pure le apparteneva pi?? dell'intima sua midolla.

E all'improvviso dal suo corpo, dalla sua grazia, dalla sua potenza, dalle pieghe della sua veste, da tutte le linee della sua persona, [23] da quel ch'era la sua vita e da quel ch'era apposto alla sua vita ??? con la fatalit?? dell'acqua che va alla china, del vapore che tende all'alto ??? si form?? qualcosa di breve e d'infinito, qualcosa di fuggevole e di eterno, di consueto e d'incomparabile: lo sguardo, quello sguardo.

E fu tutto. E si presero per mano, trascolorati, senza parola, vinti da un amore ch'era pi?? grande del loro amore, come per entrare nella casa della loro unica anima o delle loro ombre congiunte. La lor felicit?? terribile non pi?? si tendeva a mordere il dolore ma ad ascoltare il grido della bellezza dilaniata e derelitta. Pareti e volte decrepite; vecchie tele sfondate; tavole e seggiole sgangherate dalle gambe d'oro misere; tappezzerie lacere accanto a intonachi che si scrostavano, a mattoni che si sgretolavano; vasti letti pomposi, riflessi da specchi foschi; impalcature alzate a reggere i soffitti; e l'odore della muffa risecca e l'odore della calcina fresca; e pel vano d'una finestra due torri rosse nel cielo, un cigolio di passeri, uno schiamazzo di monelli; e pel vano d'un'altra una strada deserta, una chiesa senza preghiere, il picchierellare di due stampelle; e appeso un lampadario a gocciole di cristallo, e obliqua una striscia di sole sul pavimento; e un altro lampadario e un'altra striscia, [24] e pi?? triste la cosa lucida che l'estinta; e anc??ra lampadarii in fila, guasti, pencolanti, simili a fragili scheletri congelati. O desolazione, desolazione senza bellezza! ??Che faremo noi dell'anima nostra???

??? Un giardino! ??? grid?? la visitatrice traendo verso la finestra il compagno, per una sala ampliata dalle imagini dei Fiumi.

Ed entrambi s'affacciarono. Non disgiunsero le mani; stettero in ascolto come per cogliere vaghe onde di musica.

Era un giardino pensile, chiuso da un gentile portico palladiano a colonne bine; le quali apparivano pi?? quiete perch?? quivi duravano in coppie costanti e, avendo tra i loro fusti un intervallo eguale, potevano ravvicinarsi nella fedelt?? delle lor lunghe ombre. Piante varie v'erano confuse, arbusti e cespi vi s'affoltavano; ma tutto il verde non valeva se non per sostenere il languore appassionato di qualche rosa bianca.

Quando Paolo accost?? il suo viso a quello desiderato, cos?? che l'alito si mescol?? all'alito, l'amica si ritrasse e si rivolse e guard?? dietro di s??. Poi fece, sommessa, con la bocca molle:

??? No. Ce n'?? un altro, pi?? bello.

Credeva di udire il preludio indistinto d'una musica che tra breve fosse per irrompere con la veemenza del torrente.

[25] Varcarono una soglia; e li coperse il cupo azzurro d'un cielo notturno ove i segni zodiacali scintillarono riflettendosi nell'acqua stagnante degli specchi. Per la finestra saliva il profumo cocente e possente della magnolia, ebrezza delle costellazioni.

??? Un altro giardino?

Era un triste cortile abbandonato. E i lampadarii di pallido vetro riapparvero in sale pompose e vuote; e riapparvero i letti insonni; e le vecchie tele cieche rossicarono e nereggiarono su le mura delle lunghe gallerie, simili alle pelli bovine tese e appese dai conciatori; e il coro dei passeri dagli embrici rotti cigol?? gi?? per le armature sconnesse delle travi, gi?? pei travicelli attraversati, gi?? pei graticci sfondati dei palchi in ruina; e tutto fu anc??ra desolazione senza bellezza.

??? Vana! Aldo e Vana!

Lo sbigottimento spegneva il grido d'Isabella. Vedeva ella venirle incontro, pel silenzio d'una stanza occupata dall'ombra di un letto lugubre come un feretro, due creature silenziose e fisse come quelle che senza pianto dal fondo della loro stessa vita vanno incontro al destino lacrimabile.

??? Aldo, Vana, siete voi? siete voi?

??? No, Isabella. Siamo noi, nello specchio. Perch?? tremate cos???

[26] ??? Noi!

Era un alto cristallo che, in bilico tra due colonnette, rasentava il pavimento specchiando l'intera persona diritta in piedi. Il fascino n'emanava come da un parallelogrammo magico.

??? Perch?? tremate cos???

Vinta e riluttante, ella si appressava all'imagine traendo per la mano il compagno inquieto; entrava nell'ombra funerea del letto; fissa, non riconosceva il suo sguardo in quegli occhi che la guardavano quasi nudati, quasi privi di cigli, privi di battito, immensi, pi?? misteriosi della tomba, misteriosi come la follia.

??? No, no! Ho paura.

Ella balz?? lontano, fuggi per le stanze contigue, sotto cieli d'oro e d'oltremare, sotto cieli dolci come le turchine malate e le dorature sdorate, sotto pallide ricchezze diffuse e sospese; sotto un silenzio scolpito e inevitabile.

??? Isabella!

La desolazione si trasfigurava. Si mutavano ora in lembi di melodia patetici come i gridi del desiderio e dello spasimo le vaghe onde di musica ondeggianti intorno alle rose bianche dell'orto pensile. La ruina, liberata dai vestigi della vanit?? e della miseria intruse, respirava nell'antica grandezza per tutte le bocche delle sue ferite, respirava e soffriva e moriva anelante verso il pi?? lungo giorno. Tutti [27] i segni erano eloquenti, tutti i fantasmi cantavano. Le Vittorie mostravano l'anima di ferro sotto gli stucchi disgregati, e non pi?? la corona fronzuta tendevano ma il cerchio di rugginoso ferro. Le Aquile sublimi abbrancavano i festoni di frutti putrefatti e caduchi.

??? Isabella!

Ella andava andava, esitando tra l'una e l'altra stanza, non sapendo in quale l'anima sua fosse per trarre un pi?? profondo sospiro. E le stanze si moltiplicavano; e la bellezza s'avvicendava con la ruina, e la ruina era pi?? bella della bellezza. E gli occhi si dilatavano per tutto vedere, per tutto accogliere; e l'intero viso viveva la vita dello sguardo. E l'anima si ricordava; ch?? le forme scomparse rinascevano e si ricomponevano in lei musicalmente, e traeva essa la gioia della perfezione da ci?? ch'era imperfetto, la gioia della pienezza da ci?? ch'era menomato. E il giorno era protratto dal prodigio ma nessun indugio era concesso; e su ogni soglia il piede si posava temendo il divieto ma lontana era tuttavia la soglia della sera.

??? C'?? in l?? un altro giardino, ??? diceva ella errando ??? un altro giardino.

E, attraverso una grata, apparve una corte ingombra di macerie e d'erbe fra mura fendute ove rimanevano tracce di ornati dipinti [28] a nodi; e, oltre le mura, una zona di palude rifulse, e riudito fu lo strid??o delle rondini, e traudito fu il gracid??o delle rane, nel cielo, nell'acqua, in un solo ardore indistinto. E la straziante Estate chiam??, tra l'una e l'altra voce.

??? Non ?? questo.

Ella vacillava sul pavimento sconnesso, ancor qua e l?? inverdito dallo stillicidio; e sopra lei le macchie pluviali scurivano i lacunari azzurri del soffitto ove un oro pi?? nobile e pi?? solido di tutti gli ori s'ammassava in volute, in rosoni, in pigne scolpiti con robustezza romana. Le Sirene s'incurvavano, tra i fogliami sporgenti come le mammelle dei bei mostri marini, in un fregio di cos?? forte rilievo che eguagliava la misura dei grandi versi memorabili. Lungo gli stipiti delle alte finestre le Vittorie tendevano all'estremit?? dei moncherini i cerchi di ferro rugginoso.

??? No, Paolo, no! Non qui, non qui! Vi supplico!

Ella sfuggiva alle mani tremanti del compagno. Gli mostrava un viso che pareva decomporsi e ricomporsi come nella vicenda del terrore e dell'ebrezza. Ed entrambi, da una soglia all'altra, dalla luce all'ombra, dall'ombra alla luce, perseguitavano la loro angoscia senza fine.

??? ?? questo? ??? disse Paolo chinandosi a un davanzale.

[29] Era la squallida memoria d'un altro giardino pensile, ingombro di ortiche, di rottami, di vecchie docce contorte. Un Tritone sonava la b??ccina su una parete forata e maculata; qualche papavero ardeva qua e l?? come una fiammella spersa. Pi?? nere parevano le rondini in un cielo pi?? lontano.

??? Ci pu?? essere una cosa pi?? triste in terra? ??? disse la donna ritraendosi.

Ricominciava la desolazione: la cappa demolita d'un camino nera di fumo; una serie di finestre murate; un corridoio cosparso di calcinacci; un'aula biancastra con su le pareti le tracce del lordume umano e dei tramezzi sovrapposti; una scala di pietra consunta; e un altro corridoio simile alla corsia d'un ospedale evacuato; e poi un'altra scala immensa, discendente fra nicchie deserte a un'orrida porta fatta di assi sconnesse e di travi traverse, che pur pareva pi?? inespugnabile del triplice bronzo, inchiodata sopra un varco senza nome.

??? Isabella!

??? Ho paura, ho paura.

Ella aveva in sommo della gola l'atroce pulsazione della sua vita. Perduta era dentro di s??, fuori di s??.

??? Dove siamo? Si fa sera?

Egli l'aveva anc??ra presa per la mano come per condurla; e dentro di s?? e fuori di s?? era [30] perduto. Camminavano sul loro stesso tremito, come su una corda tesa e oscillante.

??? Ah, non posso pi??!

Chi dei due aveva esalato quell'anelito? Ancor due erano le bocche ma una era l'ambascia, e le loro due forze confuse non la sostenevano.

??? Non posso pi??!

D'improvviso rientravano nell'azzurro e nell'oro, riudivano la melodia dominante, rivedevano splendere il pi?? lungo giorno.

??? Forse, forse, forse....

Verso l'oro e l'azzurro ella aveva levato la faccia; e la sua stessa anima era diffusa sul suo capo ricca e inestricabile, effigiata nelle sue mille ambagi. Ella leggeva con gli occhi torbidi la parola spaventosa inscritta innumerevoli volte, tra le vie ded??lee, nei campi oltremarini.

??? Forse, forse, forse....

Gli disse quella parola entro la bocca, sotto la lingua; glie la disse entro la gola, alla sommit?? del cuore; ch?? egli le aveva preso con le dita il mento e con le labbra il fiato, il pi?? profondo fiato, quello che sanno le vene i sogni i pensieri.

Allora furono due creature che allucinate e riarse per un deserto di mobili dune giungono col medesimo anelito alla cisterna occulta e insieme vi discendono, vi si precipitano, [31] si protendono verso l'acqua che non vedono, nell'angustia si urtano, si dibattono; e ciascuna vuol bere prima e di pi??, e sente dietro le sue labbra molli crescere la rabbia mordace, e l'ombra e l'acqua e il sangue sono al suo delirio un solo sapore notturno.

Egli bevve il primo sorso, ch?? un succo divino riemp?? d'un tratto sino ai margini il calice nudo; e, per non perderne una stilla, egli reggendo con le dita il mento pose l'altra mano dietro la nuca, di sotto alle ali, e tenne il bel capo come si tiene un vaso senza anse. E teneva forte, serrava troppo forte, inspirando l'istinto alla sua bramosia l'atto di spremere, il primissimo gesto insorto dalla cecit?? del nato d'uomo; ch?? gli sembrava di nutrire per la prima volta la sua pi?? profonda innocenza.

Ella si vuot?? di dolcezza, si fece tutta vacua e lieve come se un'aria calda circolasse nella concavit?? delle sue ossa prive della midolla insensibile; e un gemito sommesso, quasi una implorazione senza suono, accompagnava quel miracolo. Ma, quando si sent?? distrutta sino al fondo, volle rinascere; e scosse un poco il capo per allentare la presa e liber?? dalle labbra le labbra e le riattacc?? sovrapposte per avere quel che aveva donato. E la vicenda si fece cruda come una lotta di feritori; ch?? l'una e l'altro cercavano giungere qualcosa d'ancor pi?? vivo [32] e segreto, i precordii, gli spiriti balzanti dell'intima vita. Ed entrambi sentivano la durezza dei denti nelle gencive che sanguinavano. E arrossato da una sola piccola goccia era tutto il fiume carnale che fluiva sul mondo.

Un lento fiume si partiva da loro, generato da quella congiunzione, da quell'immensit?? di gioia ch'essi avevano contenuta sino a quel punto inconsapevoli. Inondava la Reggia, passava per le innumerevoli soglie ov'era passata la loro angoscia, traeva seco tutti i resti della bellezza, sboccava nei giardini ch'essi avevano contemplato e in quelli ch'eran rimasti invisibili, traversava la palude, solcava la pianura, si perdeva senza foce nell'estate senza confine. E il gemito sommesso, debole come il fiotto d'un bambino infermo, accompagnava il miracolo; ch??, pur mordendo, la donna non cess?? da quella implorazione quasi senza suono, onde la volutt?? pareva soffusa di dolore e velato di piet?? il combattimento.

??? Non pi??!

??? Anc??ra! Anc??ra!

??? Non pi??!

Un gran sobbalzo la distacc?? dall'amante. E le sue p??lpebre gravi battevano per respingere la nube addensata, per riacquistare il lume, per distinguere il fantasma dalla presenza certa. Era anc??ra l'imagine nello specchio? Era [33] anc??ra lo sguardo della follia negli occhi suoi divenuti estranei? Era il pallore stesso della sua perdizione quello? Ah, non credeva di poter essere tanto livida!

Era Vana, Vana nel colore della morte ma respirante, appoggiata contro lo stipite come chi sia per stramazzare, aperta gli occhi come chi non possa pi?? serrarli. Era la sua piccola sorella.

E la voce di Vana era quella che parlava, se bene irriconoscibile. Con affannosa rapidit?? Vana, senza potere ancor muoversi, disse:

??? Ora viene Aldo.

S'udiva il passo del fratello nella stanza contigua. Lo sforzo della dissimulazione fu concorde. L'adolescente apparve su la soglia, corrucciato.

??? Ah, siete qui? Vi troviamo finalmente! Avreste ben potuto aspettarci, o almeno degnarvi di lasciar detto qualcosa per noi alla Porta Pusterla.

??? Credevamo che tu fossi l?? l?? per raggiungerci ??? rispose Isabella, domato il turbamento. ??? C'era parso di udire la tua cornetta, Aldo. E abbiamo pur lasciato il custode gi??.

??? Sorte, che Vana ?? indovina! Per tutta la strada non abbiamo fatto che mangiar polvere.

??? Al momento di partire, non t'ho io proposto d'andare avanti? ??? disse Paolo Tarsis.

[34] ??? Ma tu hai una torpedine da corsa e io ho una testuggine di palude.

??? Ottima per questo paese, dunque.

Paolo desider?? di scomparire, di ritrovarsi in qualsiasi parte ma lontano. In quella falsa gaiezza si risolveva la sua gioia di porpora!

??? Piccolo, via, non mi tener broncio. Sei sempre scontento ??? disse Isabella, morbida, lisciando con l'anulare i fini sopraccigli del fratello velati come di cipria.

??? Isa, promettimi che vieni con me pel resto della strada e mandi Mor??ccica con Paolo.

??? S??, se vuoi.

??? Voglio, voglio.

??? Ah, come ti vizio!

??? Che hai nei denti?

??? Che ho?

Ella serr?? la bocca e di sotto fece scorrere su i denti rapida la lingua.

??? Anche nel labbro.

??? Che ho?

??? Un po' di sangue.

??? Sangue?

Ella cercava il fazzoletto; e si traeva indietro con moti quasi coperti, chinando sotto le ali ferrugigne il viso ch'ella credeva di fiamma. Con una tenerezza accigliata ch'era una crudelt?? inconsapevole, il fratello insisteva da presso; stendeva la mano verso di lei; le prendeva [35] tra il pollice e l'indice il labbro inferiore; diceva:

??? Hai un piccolo taglio.

Involontariamente Paolo si volse dall'altra parte, con l'atto di guardare sul camino di marmo rosso lo specchio barocco in una ghirlanda di Amorini alati, stretto dall'ansia, temendo che su lui apparisse la medesima traccia. Scorse il capo di Vana alzato verso il labirinto del soffitto e percosso da un fascio di luce sinistra. Con un colpo sordo nel cuore, ud?? l'accento della voce ammirabile nella menzogna. Conobbe la nuova qualit?? di quella voce, che diceva:

??? Ah s??, forse, quando son caduta, dianzi laggi??, mettendo il piede in una buca dell'ammattonato....

Ed ella cercava il fazzoletto per coprirsi la bocca come se le fosse tutta una ferita cocente.

??? Tieni ??? disse Vana porgendole il suo.

Era rimasta col capo levato verso il soffitto, come assorta, come attenta a udire il custode narrarle l'avventura di Vincenzo Gonzaga, che illustrava l'emblema parlante; ma non aveva mai distolto dalla sorella lo sguardo obliquo, quell'iride chiara s?? duramente torta nell'angolo delle p??lpebre. E Paolo vide nel fascio di luce il risalto del bianco, intenso come smalto, su la stretta faccia olivastra; vide quella mano tesa. E nella faccia e nella mano era tanta [36] forza d'espressione e d'illuminazione ch'elle parevano sorpassare la realt?? e intagliarsi nel cielo stesso del fato, come quando il crinale delle Dolomiti solo arde nei crepuscoli inciso contro tutta l'ombra, e ciascuno dei suoi rilievi s'addentra nell'anima di chi mira, e vi s'eterna.

??? Forse che s?? forse che no ??? disse l'adolescente con una voce ch'era gi?? velata dalla malinconia, leggendo il motto inscritto negli intervalli dello scolpito errore. ??? Perch??, Isa, tra l'uno e l'altro Forse c'?? un ramoscello e non un'ala, non la tua ala, Tarsis? L'ala di Dedalo o il filo di Arianna. Perch?? dunque un ramoscello?

??? Non so ??? rispose la bocca baciata.

??? Non so ??? rispose il costruttore d'ali incatenato alla terra.

??? Perch??, Mor??ccica?

??? Non so ??? rispose la vergine oscura che aveva voluto esser macchiata dalla goccia del sangue voluttuoso.

??? Non so ??? rispose a s?? medesimo l'adolescente oppresso dei suoi anni cos?? pochi e cos?? carichi d'ignota pena.

E non sapevano; e in ciascuno era una strana esitanza a uscire da quel luogo, a volgersi altrove, ad andare avanti o a tornare indietro, come se dall'alto le liste d'oro si prolungassero in una zona pieghevole che invisibilmente li circuisse e li annodasse di continuo.

[37] ??? Andiamo ??? disse Aldo ponendo il braccio sotto quello d'Isabella. ??? Io voglio vedere il Paradiso, e nulla pi??.

Quando per la scaletta di tredici gradini il custode li condusse agli scrigni della principessa estense, quando riudirono la rondine stridere nella perla sospesa del giorno, la potenza chimerica della vita li percosse tutti nel mezzo del cuore, quivi fece pi?? crudamente dolere i mali e i sogni inconfessabili. E l'uomo nel rigoglio della virilit?? esperto d'ogni rischio e d'ogni m??ta, immune da ogni paura e da ogni abitudine, armato di diffidenza e di dispregio, che aveva conosciuto giorni innumerevoli in cui la disciplina della sua virt?? piantata su le due calcagna gli bastava a vivere, guard?? il meraviglioso ingombro del corpo omai promesso e oppose al presentimento della sciagura l'imagine dell'orgia liberatrice, memore del marinaio disceso nel porto per ripartir pi?? leggero domani verso l'Oceano; e gli gonfi?? le vene l'impazienza di saziarsi. Non ignara del piacere e bisognosa di gioire soffrendo, smaniosa di sporgersi all'orlo delle tentazioni pi?? terribili, con un cuore timido e temerario, soave e spietato, la donna aspirava intorno a s?? l'ardore delle anime simile all'odore sulfureo dell'uragano; e non formava alcun disegno, non si preparava contro l'impreveduto; pesava sul ritmo de' suoi [38] ginocchi la divina bestialit?? del suo corpo, covava la sua astuzia e la sua lussuria nel suo calore pi?? profondo. Ma la vergine e l'adolescente non avevano difesa contro lo strazio, non contro il profumo della magnolia, non contro la pallidezza della palude, n?? contro l'estasi dell'aria, pieni entrambi di forze discordi che facevano un cupo tumulto disperdendosi e risollevandosi a ogni soffio intorno un'ombra che forse aveva una sembianza da non poter essere guardata fisamente senza terrore.

??? Ecco il mio giardino ??? disse Isabella piegandosi sul davanzale, con l'accento medesimo ond'ella avrebbe detto all'inizio d'una confessione impetuosa: ??Ecco la mia colpa, ecco la mia gloria??.

Un'ebrezza perversa si partiva da lei, mista di spontaneit?? e d'artifizio, espressa ora col viso nudo ora con la maschera, ora con l'affettazione dell'attrice sapiente ora con la pi?? ignara grazia animale.

??? Te l'imaginavi cos??, Aldo?

Al fianco di lei si piegava il fratello, cingendole col braccio la cintura, su la pietra calda.

??? Guarda, Mor??ccica. Guardate, Tarsis.

Vana e Paolo s'appressarono; ed ella si scans?? perch?? giungessero a scoprire i rosai. Attir?? Vana contro s?? per sentirla fremere; e sul capo chino di lei fece passare il suo sguardo verso [39] l'amante, uno sguardo che non era un baleno ma qualcosa che pesava, che colava come una materia fusa. E stavano l?? tutt'e quattro in un gruppo, nel calore, nell'odore, invasi da un intorpidimento leggero che somigliava il principio di un incantesimo.

Anche il giardino era intorpidito, quasi imbiutato d'un silenzio pingue come il miele come la cera come la gomma. Era un abbandono e una tristezza che si consumavano in profumo tardo. Gli spiriti dell'olio si sprigionavano dal cociore dello spigo e del rosmarino; le albicocche pendevano m??zze nella fronda floscia, qualcuna sfatta, aperta sul n??cciolo, stillante; i rosai non potati avevano sprocchi tanto lunghi e teneri che s'incurvavano sotto una rosa scempia; e la pallida palude vergiliana appariva di l?? dagli alti gigli tanto ricchi di p??lline che n'eran lordi.

??? Quando io vivevo ??? disse piano l'incantatrice, col volto quasi vaporato dalla squisitezza del sorriso ??? il mio giardino era pieno di pecchie e di camaleonti.

Un'ape entr??, sonora. Gli occhi dell'adolescente la seguirono con una meraviglia che rese straordinario il volo. Tutt'e quattro, raccolti nello strombo della finestra, ascoltarono il lungo errante ronzo. Poi si guardarono tra loro fuggevolmente, e videro che tutt'e quattro avevano [40] gli occhi chiari ma diversi, attoniti come se questa simiglianza dissimile scoprissero per la prima volta.

??? Ah come sapevo vivere! ??? soggiunse Isabella affascinata dal suo gioco stesso. ??? Nelle mie piccole stanze, sul margine dei miei stagni pigri, possedevo i sogni delle citt?? famose. Vedete, vedete: quelle del settentrione e quelle del mezzogiorno, le brune e le bionde, le grige e le bianche....

E apparivano nelle lunette le piante dipinte delle citt?? circondate di mura e di torri, bagnate dal mare, attraversate dal fiume, fondate sul monte: Parise e Gerusalemme, Ulma e Lisbona, Berna e Marsilia; e quelle che sono per le imaginazioni degli uomini come gli aromi gli ozii le febbri i filtri le danze: Algeri, Toledo, Messina, Malta, l'egizia Alessandria.

??? Isa, Isa, ??? sospirava l'adolescente ??? perch?? non siamo stanotte nella vecchia Algeri, su una terrazza bianca, vestiti di seta, con molti cuscini, con molte bevande, con qualcuno che ci canti qualche lunga storia che noi s'ascolti e non s'intenda!

??? Taci, taci ??? ella disse con l'indice su la bocca, avanzandosi lievemente verso l'altra soglia. ??? Ascolta l'ape.

L'artefice studiosa era passata nella saletta contigua; e il bombo pareva cambiar tono, farsi [41] pi?? sonoro, come moltiplicato da una tavola armonica, simulando il vibrare della corda bassa.

??? Ascolta, che musica!

??? Suona la viola bordona ??? disse Aldo, sommesso, appressandosi in punta di piedi, tratto dall'istinto mimico dell'adorazione a imitare i modi della sorella.

Si sporse dalla soglia l'incantatrice, poggiando le mani all'uno e all'altro stipite; guard?? intorno, guard?? in alto; poi senza parlare volse la faccia irradiata dal riflesso del tesoro scoperto. E tutti gli occhi chiari intorno ricevettero il grande bagliore.

Entravano nella cassa dorata d'un clavicembalo? entravano in una teca votiva lavorata dal principe degli orafi per custodire gli avorii miracolosi dell'arpa di Santa Cecilia? Il bombo dell'ape era come la vibrazione della corda sotto la penna di corvo in una cadenza allungata; ma il silenzio era come il silenzio che vive dentro i reliquiarii.

??? Isabella! Isabella! ??? ripeteva l'adolescente, abbagliato, leggendo per ovunque il nome della divina Estense.

E la sorella con un sorriso di felicit?? infantile guardava attorno interrogando lo stupore di ognuno, come per una foggia della sua eleganza, come quando metteva una bella [42] veste nuova e chiedeva: ??Ti piace? Vi piace? ?? tutta mia l'invenzione??.

??? Quando io vivevo ??? disse piano ??? qui si faceva musica, verso quest'ora. Te ne ricordi, Vanina?

??? Io me ne ricordo ??? disse Aldo, movendo a vuoto le dita della sinistra come usava lungo il manico del suo violoncello. ??? Forse la mia viola da gamba ?? ancora chiusa l??, in quello stipo.

Pi?? delicata della filigrana era l'opera del soffitto, intorno all'arme delle due aquile e dei tre gigli d'oro. Alle pareti erano gli stipi per gli strumenti e per le intavolature, e nel legno figurati a tarsia il dolzemele il buonaccordo la viola la virginale l'arpa, e miste alle figure musicali erano strane imagini di palagi e di verzieri come per significare i luoghi inesistenti a cui sul fiume della melodia l'anima anela pur dal pi?? lieto dei soggiorni. E, quivi anche, sopra uno stendardetto era intarsiato il nome soave.

??? Certo ?? l??, la tua viola ??? assent?? l'incantatrice, con gli occhi fissi. ??? La vedo bene, Aldo. Ho sempre invidiato quel suo colore rossobruno, pei miei capelli. Ah, se tu potessi mai cavare una nota che gli somigli! E quelle chiazze giallastre della vernice sul fianco, pi?? trasparenti dell'ambra! E dietro, nel mezzo della [43] cassa, quella doratura a strisce di zebra, ricca e dolce come la gola di un uccello tropicale! Il dosso del manico ?? pallido, levigato dalla tua mano.

??? Mor??ccica, e che bel liuto avevi tu per cantare! ??? disse l'adolescente inebriandosi. ??? La cassa era costruita come la carena dei navigli a liste di legno alterne, chiare e scure, ma pi?? leggera d'un guscio di noce. E la rosa era traforata cos?? sottilmente che appena appena ci passava un raggio di sole quando la mettevi contro luce perch?? si leggesse in fondo il nome del famoso liutaio.

Stavano essi addossati agli stipi, come immemori, indugiandosi nella misteriosa tregua. Pareva che tutto divenisse musica, per cui la stanza angusta abitata dall'antica anima era congiunta alla lontananza immensurabile. Non il suono delle campane faceva biancheggiare il cielo esausto d'aver s?? lungamente risplenduto? S'udiva nelle pause dalla palude salire il primo coro delle rane; e, quasi illuse dalla rispondenza, n'eran bianche le acque. E tutto era bianchezza e lentezza: anc??ra i veli della sera vegnente per quella fiumana d'oblio erano indistinti, se bene i salici avessero gi?? nelle capellature un poco d'ombra.

??? Questo cielo, Aldo, mi fa ripensare a quella parola che mi mostrasti in una dedica d'un [44] Libro di Cantate, forse dedicato a me quando vivevo. Te ne ricordi?

??? Me ne ricordo. ??Il cielo stesso come Autore della Musica sia testimonio....??

??? Autore della Musica!

??? Era un libro di Cantate a voce sola, del Mazzaferrata. E ce n'era una per oggi, una per quest'ora: ??Ove con pi?? d'argento??. Era rilegato in pergamena impressa, lucida come i cofanetti di pastiglia; e sul rovescio della legatura era scritto a mano: ??Doppio ardor mi consuma??. E la carta era fragile, molle, consunta nei margini: cominciava a morire per le estremit?? come le foglie d'autunno. Te ne ricordi? Anche il libro dev'essere nello stipo.

Isabella consentiva alla fantasia dell'adolescente con quel suo sorriso durevole, sospeso su la piccola ferita del labbro.

??? Vanina, ??? ella disse ??? perch?? non prendi il tuo liuto e non ci canti sotto voce una canzone?

??? La canzone di Thibaut de Champagne roy de Navarre: ??Amors me fait commencier Une chanson novelle....?? ??? disse Aldo. ??? Oppure quella d'Inghilterra, cos?? dolce, su le parole di Ben Jonson il Tragico, quella che finisce: ??O so vhyte, o so soft, o so sweet, so sweet, so sweet is shee!?? A che pensi?

Vana esit??, quasi temendo di non aver pi?? [45] la sua voce primiera, quasi credendo di dover parlare per la prima volta con la mutata voce. Poi rispose:

??? Mi domandate di cantare, e io pensavo alle parole di quell'altro tuo poeta. ??O rondine, sorella rondine, io non so come tu abbia cuore di cantare.... Ti prego di non cantare, almeno per un poco!?? Domandiamo una pausa alle rondini, intanto.

??? ?? vero ??? disse Isabella.

Veramente i gridi delle rondini laceravano l'estasi del pi?? lungo giorno. A tratti, gli stormi passavano dinanzi la finestra come saettamenti disperati.

??? Quanto mi piace oggi, Vana, la tua malinconia! ??? disse Aldo.

??? Anche a me ??? disse Isabella.

Addossata allo stipo, con la testa appoggiata alle tarsie, con le mani senza guanti abbandonate in gi??, con le lunghe ciglia brune socchiuse sopra lo smalto luminoso, Vana aveva il volto di chi sentendosi venir meno rattenga tra i denti la sua propria anima e la gusti. La sua bocca era lievemente convulsa da un sapore simile a quello di certe erbe che masticate forzano i muscoli del sorriso.

??? Isa, ti ricordi di quella tavoletta di Cesare da Sesto in quella bella cornice sdorata, che vedemmo a Francoforte? ??? disse Aldo. ??? ?? [46] una Santa Caterina d'Alessandria, in un paese di boschi di acque di monti, vestita di verde, elle posa le mani su la ruota dentata del suo martirio. Le estremit?? delle sue dita smorte sono presso i denti di ferro crudeli. Ma lo spirito musicale di quella pittura ci entr?? in cuore. Mi ricordo che tu dicesti: ??Le sue dita si posano su la ruota cos?? dolcemente che sembra t??cchino i tasti d'un arpicordo??.

??? ?? vero.

??? Cos?? ?? Vana oggi.

Paolo Tarsis taciturno ascoltava il dialogo fantastico; e l'aspetto e la voce dell'adolescente gli movevano una sorda gelosia, e l'angustia di quella stanza e l'afa del passato e quelle imaginazioni e quelle morbidezze lo soffocavano. Egli a quando a quando vedeva la nuda brughiera lontana, il suo grande airone bianco ricoverato sotto la tettoia di ferro e di assi, le tuniche azzurre de' suoi meccanici occupati intorno al congegno. E dal turbamento, che gli davano i sogni musicali, nascevano le forme delle vaste nuvole che dovevano rendere patetico il cielo della sua vittoria. E, come passava rasente la finestra lo stormo a saetta, egli era percorso da una sorta d'impazienza muscolare e riudiva in s?? il sibilo dell'elica.

??? Quanto mi piace questo! ??? disse Isabella dopo una pausa, come una che abbia morso [47] la polpa d'un frutto e ne lodi la bont?? con la bocca bagnata di succo; ch?? la sua voce rendeva sensuali anche le sottigliezze dell'intelligenza.

??? Rimaniamo qui? ??? disse Aldo. ??? Riprendi possesso del tuo Paradiso? Stanotte avremo la pi?? grande sinfonia di rane che mai si possa udire. Le rane mantovane sono famosissime: superano perfino le ravennati in arte armonica.

??? ?? la notte pi?? breve.

??? Io non voglio dormire.

Di nuovo egli s'era appressato alla sorella con la grazia d'un paggio, seguito dall'inquietudine di Paolo. Era tanto bello che avanzava di bellezza le due creature del suo sangue. La forma della sua fronte su l'arco dei sopraccigli era simile a quella dei giovini Immortali; e chi la guardava non poteva cessare di guardarla, ch?? involontariamente risaliva di continuo a quella perfezione. Ond'egli, accorgendosi che di continuo lo sguardo altrui non s'affisava ne' suoi occhi ma pi?? su de' suoi occhi, aveva il sentimento di portare una corona ammirabile; e ne pareva accresciuta la fiamma della sua spiritualit?? come la leggerezza delle sue movenze.

??? Bisogna dunque andare? ??? disse Isabella.

E rimir?? la filigrana del soffitto, ove ancora l'ape dimenticata bombiva come lungh'esse le [48] cellette dell'alveare. E rivide negli scomparti il suo nome, il motto magnanimo, l'Alfa e l'Omega, l'enigmatico numero XXVII, i segni musicali, il candelabro a triangolo, la sigla intrecciata, il mazzo di polizze bianche.

??? Nec spe nec metu! Ma io spero quel che temo, e temo quel che spero.

??? ?? per te ??? disse Aldo ??? quel madrigale di Gerolamo Belli d'Argenta che Vana ti canter??: ??L'onde de' miei pensier portano il core Hor ai lidi di speme hor di paura....??

E il sogno ebbe un torbido intervallo. E tutti gli occhi chiari s'incontrarono fuggevolmente.

??? Che vuol significare il numero ventisette? ??? chiese Vana, che nella confusione del suo spirito si volgeva con un'ansia superstiziosa verso gli indizii e i presagi.

??? Non me ne rammento ??? rispose Isabella. ??? Ma ?? un numero che forse non dimenticher?? pi??.

E guard?? il taciturno per ricordargli che il ventisette era la data prossima della gara suprema nella Festa ded??lea. E lo sguardo impose l'attesa, promise: ??Dopo??; e fu per lui come l'ondeggiare delle lunghe fiamme in cima alle aste delle m??te aeree.

??? E il fascio di cartelline? ??? chiese Vana.

??? Sono le polizzette del gioco di ventura ??? rispose Aldo ??? quelle che si traggono dall'urna cieca della sorte.

[49] ??? Bianche?

??? S??, bianche.

??? Cedimi questa impresa, Isabella ??? disse Vana.

??? O non piuttosto quella delle Pause? ??? disse Aldo.

??? Che ?? l'impresa delle Pause?

??? Quella dei segni musicali su la rigata, che vedi l??; ed era la pi?? cara a Isabella.

??? Tu che decifri le intavolature, la sai l??ggere?

L'adolescente si volse e balz?? a sedere sul largo davanzale per essere pi?? presso alla cornice ove poggiava il cielo dell'imbotte scolpito ad anelli a rosoni a legacci, ne' cui fondi eran ripetute tutte le imprese fuorch?? quella delle Pause ricorrente sola nel fregio vaghissimo.

??? Se non sbaglio, c'?? la chiave di contralto; e poi ci sono i segni dei quattro tempi; e poi i segni di tre pause di valore decrescente: due, una, mezza; e poi un sospiro del valore di una minima; e poi le tre pause in ordine inverso; e infine il segno del ritornello doppio.

Tutti i volti erano in su, pensosi; tutti gli occhi chiari scrutavano il cartiglio.

??? ?? la notazione del silenzio ??? fece Vana.

??? La canzone che non canterai, Mor??ccica ??? fece il fratello ancor seduto sul davanzale, stendendo verso di lei la mano e toccandole la [50] spalla. ??? Che strana impresa, e come profonda! Isa, tu l'avevi cara pi?? d'ogni altra, tanto che alla Corte di Ferrara per le feste in onore di Lucrezia Borgia comparisti vestita di una cam??ra ??recamata di quella invenzione di tempi e di pause??.

??? M'?? sempre cara ??? fece l'incantatrice. ??? ?? il valore di quel che non dissi non dico non dir?? mai.

Sorrideva col viso in profilo, met?? nella luce e met?? nell'ombra.

??? Riassumo da oggi l'impresa delle Pause ??? ella soggiunse. ??? Ora andiamo.

Si volse per passare nel camerino attiguo.

??? Ma come non l'abbiamo veduta? ??? fece con un grido di meraviglia, e s'arrest??.

Una piccola porta di marmo era dinanzi a lei, una porta gemmea, trattata anch'essa con ceselli da orafo come quella d'un ciborio, a cui i dischi di nero antico alternati coi tondi candidi in basso rilievo davan qualcosa di funebre quasi che s'aprisse sopra il sepolcro d'una delle ??pute?? mantovane, forse di Livia, forse di Delia, morta di baci. Un fregio di grifi sovrastava all'architrave; i fondi dei riquadri brillavano di pagliuzze d'oro come incrostati di venturina; e la figura avvolta d'un peplo piegoso, in atto di tenere il flauto di Pan, era la Musica ed era Isabella. Ma chi era, nel basso rilievo [51] sottoposto, la donna ignuda avente sul capo i chiusi volumi, sotto il piede un teschio umano?

??? Ecco un'allegoria oscura come l'impresa delle Pause ??? disse Aldo inginocchiandosi per indagare l'imagine. ??? Tu stessa l'ispirasti a Tullo Lombardo?

Ella si chinava con le due mani su le spalle di lui a guardare.

??? Ti somiglia ??? soggiunse sottovoce il fratello.

??? ?? vero ??? ella assent?? sommessa.

Ed entrambi rimanevano intenti, s'indugiavano. La sorda gelosia rimorse il cuore del taciturno.

La figura scolpita a guisa di un cammeo aveva anch'essa le lunghe gambe lisce e l'un ginocchio molto proteso innanzi nell'atto d'incedere con quella maniera espedita che dava tanta pieghevolezza al passo della giovine signora e distendendo la stretta gonna palesava nel gioco alterno il disegno della coscia fino all'anca e l'inflessione del grembo sparente.

??? Aldo, Aldo, scacciala!

Ella si raddrizz??, si scherm??, sentendo il ronz??o dell'ape presso la sua gota. Con un balzo varc?? la soglia; e i suoi piccoli gridi sonavano sotto il cielo d'oro, ch?? l'ape la perseguitava importuna; e le sue mani s'agitavano alla difesa puerile.

[52] ??? Ahi! M'ha punta!

In uno di quei gesti scomposti la pecchia provocata l'aveva punta alla mano manca, nel polpaccio del pollice.

??? Mi fa male! Bisogna suggere forte, Aldo!

Aldo non rideva pi??. Ella gli tendeva la mano supina, ed egli pose le labbra su la puntura per medicarla.

??? S??, cos??.

Egli suggeva pi?? forte.

??? Basta!

Ella rideva d'un riso che a Paolo sconvolto pareva l'eco attenuata di quello gi?? udito lungo il canale delle ninfee dopo il passaggio del carro carico di tronchi.

??? Basta. Non mi duole quasi pi??. Mi brucia un poco soltanto.

L'occhio di Vana era cattivo. La sorella empieva della sua ilarit?? tutta la stanza, trascorrendo intorno con una grazia di movimenti cos?? forte ch'ella sembrava emanare da s?? quella stellante ricchezza d'azzurro e d'oro come il pavone apre la sua rota sid??rea.

??? Riconosco, riconosco. Non avevo in questi armadii le mie pi?? belle vesti? Non erano tappezzati di velluto cr??misi i miei stipi?

Ella aveva scoperto in un angolo del nudo legno un frammento del prezioso drappo.

??? Non li ho lasciati qui i miei broccati, i miei rasi, i miei tab???

[53] ??? Isabella! Isabella!

Aldo leggeva il nome nelle targhette che allacciava il meandro d'ulivo.

??? Eri anche allora la pi?? elegante dama d'Italia ??? disse egli adulando la giovine donna come soleva. ??? Oggi hai per rivali Luisa Merati, Ottavia Santeverino, Doretta Ladin??; allora gareggiavi con Beatrice Sforza, con Renata d'Este, con Lucrezia Borgia. Allora la marchesa di Cotrone ti mandava a chiedere per modello una sb??rnia, come oggi Giacinta Cesi ti manda a chiedere un mantello. Che erano al confronto i grandi corredi d'Ippolita Sforza, di Bianca Maria Sforza e di Leonora d'Aragona? Ma quella Beatrice era veramente la spina del tuo cuore. S'era fatti ottanta quattro vestiti nuovi in due anni! Tu l'anno scorso per le quattro stagioni te ne facesti novantatre. E la Borgia, quando and?? sposa ad Alfonso aveva con s?? duecento camicie meravigliose! Tu superasti e l'una e l'altra. Chiedevi ai tuoi corrispondenti milanesi e ferraresi notizie minutissime delle due duchesse, in vestiario e in biancheria, per non restar mai indietro. Anche allora tu eri una inventrice di fogge nuove. Tu inventavi le mode. Portasti a Roma quella della carrozza. Avevi il desiderio smanioso delle novit?? eleganti. Ti raccomandavi ai tuoi fornitori perch?? cercassero ??di cavar de sotto [54] terra qualche cosetta galantissima??. Anche allora amavi gli smeraldi, ed eri riuscita a possedere il pi?? bello dell'epoca. A Venezia, a Milano, a Ferrara avevi mediatori con orefici. Non ti contentavi d'aver le pi?? belle gioie ma le volevi squisitamente legate: anelli, collane, cinture, bottoni, braccialetti, catene, frange, sigilli. Il tuo orefice prediletto fu quell'ebreo convertito, di nome Ercole de' Fedeli, che fece lavori di niello e di cesello incomparabili, tra cui forse la famosa spada di Cesare Borgia, ch'?? in Casa Caetani, e la cinquedea del marchese di Mantova, ch'?? al Louvre.

Egli pareva aver bevuto il vino di quattro cent'anni in uno di quei vasi di calcedonio o di diaspro forniti d'oro che la Estense aveva raccolti innumerevoli negli armarii della Grotta in Corte Vecchia. Era ebro di passato ma provava un piacere quasi malsano nel mescolare le cose vive alle cose morte, nel confondere le due eleganze, nel frugare le due intimit??. Ella lo secondava, quasi per una volont?? d'inesistenza, con le ciglia senza palpito e col sorriso durevole dei ritratti magnetici.

??? Ricordami anc??ra! ??? ella diceva per incitarlo, a ogni intervallo, come s'egli non le narrasse cose nuove ma le risvegliasse la memoria.

??? La duchessa di Camerino, Caterina Cibo, [55] faceva fare a Mantova i suoi vestiti sotto la tua sorveglianza come ora Giacinta Cesi non va dalla sarta se tu non l'accompagni.

??? Ricordami!

??? Nel tuo viaggio di Francia, l'ammirazione per le tue guise fu unanime, come oggi gli occhi delle Parigine ti divorano quando tu esci da un teatro o entri in un salotto ben frequentato. Perfino Francesco I ti chiese qualche veste da donare alle sue donne; e Lucrezia Borgia, la tua rivale, dovette rivolgersi a te per avere un ventaglio di bacchette d'oro con piume nere di struzzo, dopo aver cercato invano d'imitare quella tua ??capigliara?? a turbante che porti nel ritratto tizianesco.

??? Avevo i capelli che ho, castagni?

??? Castagni con forti riflessi biondi; e, per averli tanto tempo gonfiati a turbante, ora li serri in due trecce e li giri e li schiacci con le forcine e ti fai una piccola piccola testa che mi piace assai pi??.

??? Belle mani?

??? Pi?? belle ora: ti si sono smagrite e allungate. La destra dipinta dal Vecellio, con l'anello nell'indice, ha fini le dita ma un po' grasso il carpo. Per curarle, facevi ricerca delle forbici pi?? sottili e aguzze e delle ??lime da ungie?? pi?? delicate. E ordinavi i tuoi guanti a Ocagna e a Valenza, i pi?? morbidi e i pi?? odorosi del mondo.

[56] ??? Perch?? amavo anche allora i profumi.

??? N'eri folle. Li componevi tu stessa. Ambivi il nome di ??perfecta perfumera??. La tua ??compositione?? era d'un'eccellenza insuperabile. Tutti imploravano la grazia d'un bussoletto. Ne donavi a re, a regine, a cardinali, a principi, a poeti. E il tuo Federico, quand'era in Francia, non ti chiedeva mai denari senza chiederti profumi e tanto spesso gli uni, credo, quanto gli altri.

??? Eri ben tu Federico allora? Ti riconosco.

Risero forte entrambi, prendendosi le mani, guardandosi negli occhi splendidi.

??? Ma spesso tu mandavi invece di denari un bussoletto, perch'eri piena di debiti.

??? Oh no!

??? S??, s??; ne avevi fin sopra ai capelli, affogavi.

??? Federico!

??? Avevi sempre una voglia pazza di comprare tutto quello che ti piaceva; e poi non potevi pagare. Allora, debiti su debiti.

??? Non ?? vero.

??? Perfino con Sua Santit??, e poi col Sermoneta, col Chigi.... So tutto. C'?? la lettera al Tr??ssino. ??Miseria extrema di dinari....

??? Mi smungeva Federico.

.... per non haver ancora restituiti molti ducati tolti in prestito....??

[57] ??? Federico!

??? E mettevi le gioie in pegno.

Ridevano come monelli, con una gaiezza irresistibile che travolgeva il sogno, con qualcosa di furbesco nell'angolo dell'occhio, quasi fossero soli, immemori dei due che dal vano della finestra parevano assistere a una scena di mimi.

??? E le maschere, le maschere!

??? Quali maschere?

??? Come le amavi! Ne fabbricavano tante nella tua Ferrara. Ne mandasti cento in dono al Valentino: cento maschere a Cesare Borgia!

??? Quanto mi piace questo! ??? disse Isabella con un s??bito mutamento di tono, perch?? aveva sentito dietro di s?? l'ostilit?? dei due spettatori ed era di nuovo pronta a far soffrire. ??? Se ne ritrovassi qualcuna dentro gli armadii?

??? Una vecchia maschera, una vecchia veste, una vecchia catena. Apri, apri.

Ella aperse. Le ributt?? il triste odore.

??? ?? pieno di ragnateli ??? disse, e richiuse.

??? Sono certo i ricami portentosi di quella femminetta greca che avesti da Costanza d'Avalos.

E fu l'ultimo sorriso della finzione; ch?? dall'armadio aperto un soffio di malinconia s'era diffuso, e lo spirito delle Pause, il canto senza parole, l'ardore senza concento.

[58] ??? Andiamo, andiamo.

Ella ripass?? per la porta gemmea, ritravers?? la cassa dorata del clavicembalo senza tastiera, ridiscese la scaletta di tredici gradini. La seguivano gli altri, in sil??nzio. I passi risonarono per un lungo andito bianco; poi gi?? per un'altra scala desolata; poi per l'ombra d'un'aula cinta di nicchie in forma di conche, verdastra come una caverna marina. Una porta stridette su cardini rugginosi; e tutto l'argento del vespero brill?? fra le due imposte, per mezzo a un gran ragnatelo lacerato; e su la pietra giacevano un pipistrello nericcio e una lucertola grigiastra, e l'una guizz?? via e l'altro prese il volo, come se i due lembi del ragnatelo si fossero di s??bito animati.

??? Sempre si rinnova l'incanto?

Si sporse nell'aperta loggia l'adolescente con un profondo respiro.

??? La bellezza non ha piet?? di noi? non ci d?? tregua?

Tutti respiravano verso il cielo di Vergilio, ricevevano l'immensa pace sul petto in tumulto.

??? Il giorno senza fine!

Un alito fresco saliva dai salci dalle canne dai giunchi, prossimo come quel d'una bocca silvana che abbia bevuto a gorgate il gelo della fonte senza asciugarsi.

??? Che faremo? Che faremo?

[59] Erano tutt'e quattro in uno dei poggiuoli inferriati a vista della palude. Dietro di loro taceva nell'abbandono la vasta corte erbosa delle antiche giostre, circondata dalle logge a colonne avvolte che avevano udito il ringhio dei barbareschi. Dinanzi, una sovrana purit?? si perpetuava come in un mondo immune dall'ombra; e la luce era sonora fino al culmine del cristallo empireo.

??? Sorella, sorella, non vedi? non vedi?

Un'ansia inane vuotava il cuore dell'adolescente, e poi di s??bito lo gonfiava uno smisurato impeto come se moltitudini di ferrei cavalieri gridando irrompessero dalle profondit?? per galoppare su tutta la terra.

??? Isa, le tue mani sono di perfetto marmo!

Meravigliose erano le due mani ignude su la ruggine della ringhiera, levigate nei nodelli, marmoree veramente, come abbandonate dalla vita sanguigna e trasfigurate da un'arte sublime. Ella era una creatura tutta palpitante e anelante di tristezza, di desiderio, di ricordanza, di timore, di promessa, con due mani di statua.

??? La puntura ti duole anc??ra?

??? Mi brucia soltanto.

??? Ti sei ferita due volte. Asp??ttati la terza ferita.

La mano di marmo disegn?? un gesto di supplice [60] verso la bellezza della candida sera; poi col dorso appena appena tocc?? il labbro che non sanguinava pi??. Il saett??o disperato delle rondini strid?? su l'immobile argento. Il capo del fratello s'inclin?? verso la spalla diletta. Egli aspettava un dono che non gli era dato, e non sapeva quale; e la voce della sua anima era un alto lamento, se bene si esalasse in piccole parole.

??? Che faremo? Mi chiuderete laggi?? in una stanza d'albergo, fra poco? Io non voglio dormire.

Paolo Tarsis guardava quel volto di giovine iddio decaduto che travagliavano cos?? torbidamente gli affanni umani; e il rancore dei suoi trentacinque anni esperti e indurati si appesantiva dinanzi a quella grazia inquieta come una convalescenza febrile. E ogni attitudine dell'adolescente verso la sorella gli moveva un malessere indefinibile.

??? Vieni con me su la brughiera ??? disse.

??? A vegliare la veglia d'Icaro?

??? Ad aspettare l'alba.

??? Sotto un'ala del tuo grande airone?

??? Alla diana far?? un volo di prova. Le prime stelle e le ultime sono propizie a quest'arte.

??? Espero ?? il tuo buon genio?

Aldo non guardava il costruttore d'ali ma, col capo presso l'omero della sorella, era fiso [61] nel cielo di Vergilio. Tutto era puro come nella pi?? divina delle ecloghe. Non un soffio moveva le cime delle canne, le vermene dei giunchi, le fiammelle dei papaveri, lo specchio delle acque. Solo il coro delle rane diffondeva il senso del moto in forma di ritmo, simile alla vibrazione della bianchezza.

??? Quale altro cielo, se non questo, si chiamer?? firmamento? Stasera potresti volare all'infinito. Ah, insegnami!

Trasognato egli si volse, e guard?? l'uomo: riconobbe l'ossatura della volont?? temeraria, la biliosa faccia scarnita dall'ardore di vincere, la pupilla fulminea del predatore, quegli angoli vivi che parevano fatti per fendere come i conii la resistenza, quelle dure mascelle che per contrasto portavano la carne rossa della bocca come un frutto molle in una tenaglia d'acciaio. E uno sgomento subitaneo lo invase, ch?? non era quegli il suo compagno n?? il suo maestro.

??? T'insegner?? ??? disse Paolo Tarsis con l'accento della condiscendenza, come chi risponda a un bimbo che domandi un balocco; e sorrise.

L'ombra cadde su le ciglia del trasognato, e gli riemp?? l'orecchio un confuso rombo, e il cuore gli puls?? contro la gola; ch?? egli aveva scorto, tra l'uno e l'altro dente di colui che sorrideva, un filo di sangue, un sottilissimo [62] grumo, e un lieve gonfiore lividiccio nel labbro rilevato dal sorriso.

??? Aldo, che hai? ??? gli domand?? Vana. ??? Come sei divenuto pallido!

L'imagine del bacio selvaggio gli si cre?? nel lampo della divinazione.

??? Sembro pallido? ?? questa luce. Non ho nulla. Anche voi sembrate cos??.

Non dominava il suo sgomento cieco. Le giunture gli si scioglievano come nel p??nico. Si chin?? su la ringhiera, e credette che il battito del suo polso risonasse sul ferro come il martello su l'incudine. Lo stormo frenetico delle rondini s'era allontanato perdendosi ai confini della palude, ed egli l'ud?? tornare verso la loggia come una forza ruinosa e strepitosa che fosse per trascinarlo seco. Negli attimi d'attesa rivide le cose pi?? lontane della sua infanzia. Poi lo scagliamento disperato gli trapass?? tutta l'anima tramortita.

??Addio! Addio!?? ripeteva in s??, ma senza sapere come la parola gli si formasse dentro e gli si staccasse dal cuore; ch?? non era se non suono interno di gemito, simile a quello inarticolato che la tortura strappa alla carne vile. ??Addio! Addio!??

E raccolse un po' di forza per ricomporre il suo viso, per dissimulare l'ambascia; si sollev??, si volse come a guardare la desolazione [63] del cortile erboso; fece qualche passo furtivo verso la porta che s'empieva d'ombra. Sentiva pesare entro di s?? un pianto accumulato. Il bisogno folle di sfuggire lo prese, lo cacci?? tra le pareti ignote, di soglia in soglia, d'andito in andito, di stanza in stanza, per l'irremeabile ruina. Da prima corse anelante, con un velo su gli occhi, come chi abbia il fuoco appreso alle vesti e pi?? avvampi nell'aura della fuga. Poi le figure superstiti nell'enormit?? di quella morte escirono dall'ombra e l'assalirono, e s'ingigantirono del suo dolore; e i contorcimenti dei grandi corpi rossastri nelle mura piene di battaglia furono come l'agitazione della sua demenza; e gli squarci e le fenditure e i mucchi furono come i resti del suo crollo; e tutto l'oro scolpito e sospeso e infranto sul suo capo fu come la perdizione del suo sogno ponderoso. Ed egli andava andava, di soglia in soglia, d'andito in andito, di stanza in stanza, per l'irremeabile ruina. E a tratti, come se soffiasse la r??ffica, gli giungeva l'alto canto palustre, lo stridore del saettamento ostinato, la squilla della salutazione angelica, e il gemito stesso della sua propria anima. ??Addio! Addio!??

Non l'ombra entrava per le finestre ma si creava dentro, ma sorgeva da ogni cavit??, occupava i luoghi profondi, s'accumulava come una cenere fosca, s'addensava come una moltitudine [64] tacita. Una porta fu piena di minaccia; una scala fu piena di terrore; un corridoio fu come un abisso.

??? Isabella! Isabella!

Il nome echeggi?? come in una caverna; ma, dopo, la vita del silenzio si moltiplic??, ebbe mille volti sparenti.

??? Isabella!

Il nome cadde senza risonanza, come qualcosa che s'afflosci. Un chiarore violaceo appariva pel tetto squarciato. Nell'ombra era un aliare molle di nottole. Vene di gelo vi s'insinuavano come se pei crepacci stillasse l'acqua degli stagni.

??? Isabella!

Smarrito nell'intrico della ruina, egli barcollava su i pavimenti sconnessi, urtava contro le travature cadute, varcava gli usci palpando gli stipiti freddi, rabbrividiva per tutte le ossa appressandosi alle forme ignote. E sopra il terrore l'imagine del bacio selvaggio, l'imagine della volutt?? sanguigna, si apriva dentro le sue pupille con l'intermittenza e la violenza dei bagliori in occhi infermi; ch?? forse egli era passato, ch?? forse egli passava l?? dove s'eran congiunte le bocche crudeli. E il mare del pianto gli ondeggiava a sommo del petto fragile, a sommo dell'anima senza limite; e per ricacciare il singhiozzo egli ripeteva quel nome che pur [65] dianzi aveva risonato nel riso come gli acini balzanti d'una collana disciolta.

??? Isabella!

??? Aldo, Aldo, dove sei? dove sei? Ti sei perduto?

Trasalt?? egli udendo la voce angosciosa che rispondeva all'orribile angoscia; e si volse; e in fondo all'andito l??gubre scorse un'ombra nell'ombra.

??? O Vana!

E si corsero incontro; e non parlarono, perch?? entrambi traboccavano di pianto. E furono soli; e non s'ud?? alcun altro passo fuorch?? quello cauto del vecchio. E non si guardarono ma s'abbracciarono disperatamente.

[66]

 

Or d'improvviso i Latini si ricordavano della prima ala d'uomo caduta sul Mediterraneo, dell'ala icaria composta con le verghe dell'avellano, con l'omento secco del bue, con le penne maestre degli uccelli rapaci. ??Un'ala sul Mare ?? solitaria?? aveva gridato il poeta della stirpe, alle vedette.

Chi la raccoglier??? Chi con pi?? forte

lega sapr?? rigiugnere le penne

sparse per ritentare il folle volo?

D'improvviso i Latini rimemoravano il sogno del Nibbio che visit?? in culla il novo Dedalo creatore d'imagini e di macchine, il Prometeo senza supplizio, colui ch'ebbe in s?? ??la radice e il fiore della volont?? perfetta??; e quella culla era ardua come il nido stesso del desiderio sovrumano sospeso nell'Ignoto. E riapparivano per baleni di gloria, su piani su colli su laghi d'Italia bella, altre ali d'uomo invermigliate di sangue temerario, rotte come le ossa, lacere come la carne, immote come la morte, immortali come nell'animo l'avidit?? del volo.

Un Barbaro della Magna aveva osato interrogare l'ombra marina d'Icaro, aveva anch'egli dato alle vermene del vinco la curvatura della [67] vita, aveva coperto l'armatura lieve d'un tessuto pi?? lieve, aveva studiato il vento e ascoltato la parola del Precursore intorno al congegno: ??Non gli manca se non l'anima dell'uccello, la quale anima bisogna che sia contraffatta dall'anima dell'omo??. Ben egli l'aveva contraffatta librandosi nell'aria con la sua sola forza vigile, volando ogni giorno pi?? a lungo, ogni giorno pi?? in alto, precipitando infine e stampando nell'aspro suolo germanico l'impronta del suo cadavere come l'Ateniese aveva legato all'azzurro dell'onda ellenica il fiore del suo nome.

Discepoli eran sorti, avevan raccolto il rottame, avevan ricostruito e raddoppiato il congegno; avevan celato la loro favola in lande solitarie, in contrade di sabbie e di tumuli; avevano ancor macchiato di vermiglio le verghe connesse e la tela tesa. Alla vasta brezza costante dell'Atlantico, non al chiaro ponente meridiano del Mediterraneo, s'era rialzata e aggrandita la speranza della vittoria sul cielo cavo! In un rigido mattino d'inverno, sopra dune ignude in vista d'una baia aperta verso l'Oceano, s'era alfine compiuto il prodigio. Due fratelli silenziosi, figli del placido Ohio, infaticabili nel provare e nel riprovare, per spingere la macchina alata avevano aggiunto la forza di due eliche all'ostinazione dei due cuori.

Ora i Latini venivano alla riscossa. Il nuovo [68] strumento pareva esaltare l'uomo sopra il suo fato, dotarlo non soltanto d'un nuovo dominio ma d'un sesto senso. Come il veicolo fulmineo di ferro e di fuoco aveva divorato il tempo e lo spazio, l'ordigno ded??leo trionfava d'entrambi e del peso. A uno a uno la Natura aboliva i suoi divieti. Contro la maschera velata del mistero brillava il viso diamantino del rischio. Il d??mone della gara traeva il combattente sul margine dei pi?? voraci abissi. La morte era una Circe conversa, donna solare che trasfigurava i bruti in eroi con l'ebrezza dei suoi beveraggi. Come quando tutta l'Ellade si moveva per la corona d'oleastro, l'Estate ridiveniva sacra agli agonisti. L'inno aveva principio in ogni grido di moltitudine ma il croscio della celerit?? lo mozzava alla prima sillaba.

L'uomo fu pronto a lottar contro il vento e contro l'emulo nell'aria, non pi?? col disco di bronzo ma con l'ala di canape. Il cielo incurvato su la pianura fu un immenso stadio azzurro, chiuso dalle nubi dai monti dai boschi. La folla trasse allo spettacolo come a un'assunzione della sua specie. Il periglio sembr?? l'asse della vita sublime. Tutte le fronti dovettero alzarsi.

Il concorso era come a una dieta di guerra. Il luogo aveva l'aspetto dell'arsenale e della cittadella. In lungo ordine le tettoie di travi e [69] di tavole a doppio pendio davano imagine di quelle usate un tempo a ricovero di galere disarmate o racconce. In cima ai pennoni, in cima alle alte m??te piramidali, in cima alle torri di vedetta le bandiere e le fiamme multicolori sventolavano come nelle pavesate di gala. E, come gli antichi pavesi delle fanterie di comune, le fronti delle coperture erano dipinte gioiosamente: coi colori delle nazioni, con gli emblemi delle officine, coi nomi dei timonieri celesti.

Imagine di eternit?? incontro a quell'apparato precario, forma di perfetta bellezza sopra quelle linee senz'arte, fra tutto quel legno polito materia insigne colorata dai segreti dei secoli e dagli spiriti della terra, nel mezzo del campo sorgeva alla sommit?? d'una colonna romana la statua della Vittoria. Liberata dal carcere astruso, fuor del triste museo ingombro di are di plinti e di anfore discesa pei deserti gradi di pietra invasi dall'erba, era venuta non con la sua quadriga trionfale ma con un carro rustico, col plaustro dei coloni di Roma, tratto da sei duri buoi lombardi per la strada che conduce al contado di Vergilio. Le aveva fatto corteggio il popolo prode. Imp??sta al capitello corinzio involto di acanti corrosi, ora viveva nel cielo come quando il giovanissimo capo e l'omero potente e l'apice dell'ala aquilina coronavano [70] il fastigio del tempio eretto a pi?? del Cidneo da Flavio Vespasiano fondatore di anfiteatri. Verde come la fronda del lauro, glauca come la foglia dell'oleastro, su la svelta colonna dalle scannellature cupe ella perpetuava il gesto misterioso con le mani dalle dita tronche ove ancor lucevano le tracce dell'oro ces??reo.

Non la riconobbero i nuovi agonisti, non la venerarono; ma la temettero come un ostacolo da evitare. Ognun di loro non aveva occhi se non per l'asta attrezzata dei segnali e per gli indizii dei vessilli.

??? Che dice il segnale del vento? ??? domand?? Paolo Tarsis chino presso la sua macchina a esaminare la tensione dei fili d'acciaio, mentre il capo dei suoi meccanici finiva d'intonare il motore ed egli prestava l'orecchio acutissimo alla settupla consonanza.

??? Pi?? di dieci metri al secondo ??? rispose Giulio Cambiaso scorgendo su la tabella del semaforo il disco bianco accanto al quadro nero e al rosso. ??? Non si vola.

S'udiva il clamore della folla impaziente di l?? dagli steccati.

??? Tentiamo? ??? disse Paolo Tarsis.

E venne al limitare della tettoia; guard?? la palpitazione delle fiamme in cima delle aste, scrut?? lo spazio con l'occhio del cacciatore e [71] del marinaio. Soffiava su la brughiera un vento fresco di tra ponente e ostro, in un cielo grandioso come quei cieli di battaglie navali dove le forme delle nuvole sono eroiche al pari delle prue e degli stendardi. Sotto gli enormi cumuli raggianti s'incupiva l'azzurro dei monti verso il Garda, in fondo i poggi leni imitavano il lineamento del mare, s'inargentava la cortina interminabile dei pioppi al limite della campagna di Ghedi. La vastit?? dell'aria era deserta e muta, non interrotta n?? da un volo n?? da un richiamo d'uccelli. Attendeva l'uomo.

??? Il vento sta per cedere ??? disse Paolo. ??? Tenter?? oggi di battere Edgard Howland nella durata, nella velocit?? e nell'altezza.

??? Anch'io ??? disse Giulio Cambiaso.

Si guardarono negli occhi leali sorridendo, emuli e fratelli. La loro fraternit?? vigeva gi?? dalla prima giovinezza, nata sul ponte d'una nave da guerra, nei primi anni del servizio, quando a ogni primavera credevano essi venuto alfine il tempo di puntare i cannoni delle torri corazzate contro un bersaglio che non fosse quello delle gare di tiro nella rada di Gaeta. S'era cementata nell'inferno dei battelli sottomarini, entro il chiuso scafo ove non ?? per l'uomo altro posto che il posto di manovra o di combattimento, tra i fumi dell'olio bruciato, tra i vapori della benzina, tra i miscugli [72] d'idrogeno e d'ossigeno svolti dagli accumulatori elettrici, nel pericolo assiduo dello scoppio, nella tenebra improvvisa causata dal corto circuito, nella lotta costante dell'attenzione contro il tossico sonnifero dell'anidride carbonica, nel silenzio sostenuto per ore lunghe come giorni con l'occhio fiso ai quadranti indicatori, con l'orecchio teso al linguaggio metallico degli apparecchi di misura e di governo. Ben quivi entrambi avevano cominciato ad acquistare il senso della terza dimensione manovrando i timoni orizzontali e correggendo per innumerevoli esperienze l'instabilit?? nel verso dell'asse, che a ogni pi?? lieve causa drizza lo scafo per prua fuori dell'acqua o lo piega a dar di becco nel fondo.

Insofferenti di disciplina esterna, aspiranti a un'azione pi?? libera, insieme avevano rinunziato il servizio. Insieme avevano intrapreso un lungo viaggio di anni nell'Estremo Oriente, attraversato la Corea, la China, la Mongolia, girando la Muraglia, ascendendo monti, risalendo fiumi, valicando steppe, soggiornando alla ventura nelle citt?? dell'interno e della costa; poi per le Filippine, per l'arcipelago di Sulu, per l'Australia compiuto il periplo delle isole nello stretto di Torres studiando gli Aborigeni; poi per la Tasmania, per l'India, per l'Arabia, raggiunto l'Egitto. Avevano domandato all'animo [73] e al corpo tutto quel che potevano dare e oltre: la risolutezza era divenuta in entrambi un istinto servito dalla rapidit?? del pensiero; la resistenza era divenuta come l'osso del dorso. Avevano fatto la pelle al freddo e al caldo, usando abiti leggeri tanto sopra le aspre nevi coreane quanto sotto le fiamme tropicali di Mindanao. Avevano sopportato quattro giorni di digiuno con un cammino quatriduano di cento trenta miglia nell'Altai deserto; percorso in trentadue ore circa ottanta miglia a piedi, nell'isola di Negros, per raggiungere in tempo su la costa una lancia spagnuola che, partita, non sarebbe tornata se non dopo un mese e mezzo. Avevano cavalcato nelle steppe diciotto ore su le ventiquattro, e continuato cos?? per settimane senza stancarsi. D'avventura in avventura, di lotta in lotta, avevano acquistato la destrezza che moltiplica le forze con la sagacia nell'adoperarle, soccorsa dalla scienza anatomica del corpo animale nell'assestare i colpi. Uno di loro in un tempio indico aveva potuto alzare una gravissima pietra, sol per un certo suo modo di equilibrarla. Il medesimo aveva reso le sue mani tanto pieghevoli che, essendo incatenato in Luzon, era riuscito a farle scorrere per gli anelli di ferro; e tanto forti che la pressione delle dita poteva dare novantotto libbre inglesi nel misuratore e spezzare l'ulna pi?? robusta.

[74] Ma quante volte, sazii di stampare la volont?? e il calcagno su le dure vie terrestri, avevano risognato il sogno sottomarino, rivissuta la vita silenziosa nell'elemento profondo! Quante volte, dinanzi agli spettacoli pi?? nuovi, avevano ripensato gli attimi incomparabili della manovra di battaglia: il battello emerso, lo scroscio dell'onda in coperta, lo strepito dei motori a scoppio e le s??bite vampe fra le pareti metalliche; poi la sola torricella di comando emersa e il dorso a fior d'acqua, in vedetta; poi emersa la sola sommit?? della torre coi suoi cristalli pi?? alti, in agguato; poi tutto lo scafo immerso, con solo fuor d'acqua il lungo tubo del cleptoscopio armato del portentoso occhio vitreo; alfine, l'immersione totale, accertata la rotta, corretta la mira, pronto il siluro nella camera di prua; la corsa fatale nel silenzio subacqueo, il lancio segreto contro la carena gigantesca!

Un giorno per caso, al Cairo, in vicinanza d'un ammazzatoio publico, s'erano abbattuti in un uomo singolare dal capo fasciato d'una benda leggera di lino; il quale teneva fissi al cielo fiammeggiante due occhi immuni dal barbaglio, quasi fossero forniti della terza p??lpebra, per osservare il volo dei corvi, dei nibbii e degli avvoltoi che roteavano a grande altezza. Era un augure forsennato? Era un ornitologo [75] deliberato di rapire ai rapaci il segreto del volo senza remeggio. Si chiamava L??on Dorne.

Per qualche tempo l'avevano avuto compagno sapiente e fervente della loro nuova ricerca. I due manovratori di battelli sommergibili avevan rivolto il senso statico delle tre dimensioni verso il cielo.

??? Alis non tarsis ??? diceva l'ornitologo implume, facendo il bisticcio sul cognome di Paolo.

Posatoi rupestri del Mokattam, pregni di splendore come gli alabastri delle meschite, dove nel mattino gli avvoltoi fulvi s'indugiano al sole che dissecchi la rugiada su le lunghe remiganti disgiunte e curano i fusti teneri delle penne nascenti e a quando a quando starnazzano per esercitar le giunture e, nel sentire il soffio, di s??bito si gettano gi?? abbassandosi per un tratto di frombola senza batter l'ali e partono di primo volo e salgono al sommo e poi discendono col becco al vento e s'aggirano spiando tutta la contrada e si sospendono nell'aria immobili e poi risalgono e poi ridiscendono, senza mai batter l'ali! Specchi della Palude Mareotide, coperti d'ampie ninfee natanti che sorgono all'improvviso con uno strepito simile a quello dei cigni; e sono i pellicani dall'occhio scarlatto, i gravi pellicani dal sacco gutturale venato come le d??lie; e s'ode il lor grido rauco [76] simile al raglio, e lo schiocco delle larghe palme che si posano su l'isolotto di melma, e di nuovo lo strepito pi?? forte pel pi?? alto volo quand'essi ripiegano il collo tra gli omeri come gli aironi e alzandosi contro il vento cangiano la gravit?? palustre nella pi?? ardua grazia e non remano ma veleggiano sopra le nubi! Immense lande liquide dei Barari, folte di canne e di tamerici sul pattume salmastro, interrotte da cumuli di mattoni e di cocci che sono le ruine obliate delle citt?? regie senza nome divenute nido innumerevole alle dinastie delle m??ropi; ove su le grandi assemblee degli acquatici volteggia il grifone indagando le ripe se qualche carogna di bufalo vi approdi portato dai canali, mentre a quando a quando capovaccai e corvi trapassano in voli veementi con ombre di morte come tratti dalla fame sagace verso un campo ignoto di carneficina ai limiti del deserto! Passione del deserto, palpitazione visibile della vampa su l'aridit?? commossa, odore elettrico dello spazio in attesa, quando la grande aquila sola sui rossi torrioni del Khamsin valica in un attimo il campo del pi?? pronto sguardo umano e col fato della turbinosa metropoli di sabbia e d'angoscia si dilegua per sempre!

??? Alis non tarsis.

I due compagni avevano vissuto, lunghi e [77] lunghi giorni, assorti in questi spettacoli e in un sogno d'avventure celesti. Tornati in patria, s'erano messi con ardentissima pazienza all'impresa. Da principio avevano costruito apparecchi semplici, veramente ded??lei, privi di forza motrice, simili a quelli usati dai primi esperimentatori nelle prime prove, non affidati se non alla resistenza dell'aria, non equilibrati se non dalle inclinazioni istintive del corpo sospeso; e, per addestrarsi al veleggio, avevano scelto nel Lazio il ripiano di ??rdea, la rupe di tufo tagliata ad arte, l'arce italica di Turno nomata dal nome dell'uccello altovolante. Qual posatoio pi?? atto all'esperimento periglioso? Tutto esprime la forza e la grandezza nella muraglia della prisca citt?? fondata da una schiera d'Argivi spinti alla spiaggia dal vento di mezzod??. La valle dell'Incastro ?? una conca piena del medesimo silenzio ch'empie i sepolcri cavi dei Rutuli primevi; la chiostra dei monti, dagli aricini ai lanuvini, dagli albani ai veliterni, ?? come un ciclo di miti impietrati; nell'epica luce sembrano vaporare gli spiriti delle stirpi; i massi squadrati hanno per eterno cemento la parola di Vergilio: et nunc magnum manet Ardea nomen.

I due compagni avevano quivi sentito, meglio che in qualunque altro luogo della terra, come la morte sia un'operaia gioiosa.

[78] Dopo prove e riprove, avevano compiuta una macchina leggera e potente la cui ombra somigliava l'ombra dell'airone. E le era rimasto il bel nome italico: ??rdea; e nel nome il proposito di volare sopra la nube.

Quella e un'altra eguale fremevano ora sotto le tettoie attigue aspettando la volont?? conduttrice.

??? Bisogna partire prima che il campo di slancio sia invaso dal pollame ??? disse Paolo Tarsis, alludendo ai molti trab??ccoli strepitosi che non riescivano mai a distaccarsi dal suolo.

??? Sai ??? disse Giulio Cambiaso ridendo ??? sai che perfino il re negro dei pugilatori Sam Mac Vea si propone di volare?

??? E il fantino O'Neil.

??? E il maratoneta Shrubb.

??? E il ciclista Mazan.

??? E il nuotatore Geo Read.

??? E il pattinatore De Koning.

??? E il giocatore di pelota basca Chiquito de Cambo!

Risero di quel forte riso unanime che tante volte aveva rallegrato le soste all'addiaccio o sotto la tenda, di quel riso ch'essi non ridevano con altri, essendo un modo della loro concordanza, una espressione duale della fierezza sprezzante ond'essi giudicavano gli eventi e gli uomini. Era gi?? vivace in loro il sentimento sdegnoso della piccola aristocrazia che [79] s'andava formando dall'accozzaglia della novissima gente volatrice.

??? Hai veduto l'ornitoptero di Adolfo Pado?

??? E il multiplano di Guido Longhi?

Le tettoie nuove, dalle fronti dipinte alla maniera degli antichi pavesi, custodivano i pi?? diversi mostri artificiati con le materie pi?? diverse, coi pi?? diversi ingegni. Per mezzo alle ampie tende di tela agitate dal turbine delle eliche in prova, apparivano a quando a quando le strane forme delle chimere senza bellezza e senza virt?? partorite dalla man??a pertinace o dalla presunzione ignara, condannate irremissibilmente a sollevare la polvere e ad arare il suolo: ali ricurve e aguzze costrette al remeggio con uno stridore di usci in c??rdini rugginosi; adunazioni di celle quadrangolari, simili a mucchi di scatole senza fondo; lievi scafi oppressi da impalcature sovrapposte, simili a fragili canghe; alberi giranti forniti d'una sorta di cilindri cavi come i burattelli di stamigna nei frulloni dei fornai; lunghi fusi ferrei con un gran cerchio a ogni estremit??, fatto di cotonina imbullettata su stecche, a simiglianza della ruota a pale nel mulino natante; congegnature di aste e di v??ntole in guisa di quegli arnesi mobili che servono a ventilare le stanze nelle colonie torride; difficilissimi intrichi di sartie, di traverse, di longherine, di tubi, di stanghe, di spranghe; [80] tutte le composizioni del legno, del metallo, del tessuto intese all'impossibile volo.

E ciascuna macchina aveva in s?? il suo fabro come il ragnatelo ha il suo ragno, indissolubile. Sotto sopra le ali, tra due serbatoi a forma di obice, dietro l'elica solitaria, addosso all'alveare del radiatore, ora coperto ora scoperto, ora dominato ora dominante, l'uomo era prigione del mostro da lui partorito. Taluno col gesto perpetuo dei dementi manovrava una leva, volgendosi di continuo a osservare l'effetto; e mostrava cos?? or di fronte or di profilo una faccia barbuta di buono astrologo, con due occhi sporgenti arrossati e gonfiati dall'insonnia o dalla polvere o dalle lacrime. Altri, ben raso, rotondo, rubicondo sorrideva a s?? medesimo, tenendo i vasti piedi sul regolo, sicuro di portare il suo adipe fino alle stelle. Altri, emaciato e illuminato come gli asceti, pareva sedesse dinanzi al suo telaio ideale e continuasse a tessere il suo sogno senza fine. Altri, testardo e cupo, covava il suo furore contro il carcame inerte che aveva deluso una fatica decenne; e sembrava inchiodato per sempre nel suo sedile e nel suo proposito: ??Tu non ti moverai, n?? io mi mover????. Altri era pallido e dolce come il ferito su la barella, scotendo a quando a quando il capo scoraggiato. Altri dalle arterie gonfie del collo taurino [81] eruttava bestemmie tonanti a riempiere le pause del motore affievolito. Di tettoia in tettoia il tragico e il buffonesco si avvicendevano, come nelle corsie dei manicomii. L'ombra mon??cola di Zoroastro da Peretola si chinava a commiserare con l'occhio di ciclope la pedonaglia starnazzante. Un beffatore invisibile, con un crudele strascico di voce, gittava di tratto in tratto il richiamo fatale: ??Icaro! Icaro!?? E allora lo schiamazzo della folla impaziente si mutava in uno scroscio d'inestinguibile riso.

??? Eppure ??? disse Giulio Cambiaso ??? questi Icarotti con troppe ali, che son qui per tenere i piedi a pollaio, mi piacciono assai pi?? di quei mercenarii insaccati nei braconi alla lanzichenecca e camuffati con la cervelliera di cuoio, che accendono a ogni momento la sigaretta della temerit??.

Erano costoro i pratici del vol??no, vincitori di corse in circ??ito, che consideravano il nuovo apparecchio come un veicolo alleggerito su tre sole rotelle elastiche e munito di semplice o doppia velatura intelaiata. In servizio dei fabbricanti d'uccelli artificiali, mettevano a guadagno le ossa e l'ardire, avendo fiutato il favor popolare pel nuovo gioco circense. Essi avevano gi?? la loro divisa, la loro maniera, il loro gergo, le loro millanterie, le loro ciurmerie, le loro cabale.

[82] ??? Che guardi, Paolo?

??? Nulla.

??? Ci sono oggi su le tribune pi?? penne pennacchi piume e piumoline che nel c??m di Sandaleh o nella garzaia di Malalbergo. Comincia l'emigrazione verso il recinto, con licenza dei commissarii.

??? Il vento gira. S'abbassa il quadrato rosso e monta il nero: da sette a dieci metri. ?? issata la fiamma bianca.

??? Peccato che non abbiamo pensato a portar qui i nostri aironi protettori nelle gabbie di papiro da sospendere alle travi delle tettoie, per divertire dame e damigelle!

??? Diventi misogino?

??? Scherzo. Tuttavia c'?? qualcosa di sinistro in certe sfingi che covano l'enigma tra le latte di benzina e le brande dei meccanici.

??? Sei pi?? severo di Dedalo, che fu tanto compiacente verso Pasife.

??? Saggezza del sottile Ateniese! Giusta assegnazione d'ufficio! Costruendole la vacca infame, assegn?? al toro quello d'intrattenerla. Ed egli, che praticava il volo basso come Henry Farman, and?? ad atterrarsi in Sicilia, immune dalla panna figliale. Ammirabile esempio!

??? Vuoi ammonirmi?

??? N?? anche per sogno. Hai guardato l'amica di Roger N??de? ?? una Cretese escita or ora [83] dal simulacro vaccino ed entrata in una spoglia serpentina di ??chez Callot??.

Era spaventosa; quasi sempre in fondo alla tettoia rude come nell'ombra d'un'alcova molle, visibile a traverso i fili d'acciaio, a traverso il polver??o che il vento dell'elica sollevava dal suolo rossastro, fra gli scoppii del motore in moto, fra le tuniche azzurre dei meccanici lucenti di sudore e di olio, inguainata nella stretta gonna come nella pelle della sua pelle, tutta distinta di particolarit?? squisite che squisitamente vivevano su lei come le sue ciglia, come le sue unghie, come la pelurie della sua nuca, come i lobi delle sue orecchie; liscia odorante e lubrica, con una bocca dipinta ch'era dipinta dal rosso del minio e forse di queste parole: ??Dal cuore premuto dell'onta ??? spremetti la dolcezza del frutto ??? ch'era mortifero, onde non resta ??? se non la semenza di morte??. Simili a lei altre creature apparivano l?? dove gli uomini s'apprestavano a giocare il gioco che poteva essere di fuoco e di sangue, vive e artificiali, lascive e sfuggenti, ora prossime come minacce, ora lontane come larve, simili a quella e simili tra loro nelle maschere nelle attitudini nelle fogge, suscitando con le lor simiglianze il sogno dell'enorme Vizio invisibile dalle cento visibili teste; ch?? le loro teste coperte dai larghi cappelli sorgevano su i lunghi f??deri dei [84] corpi come su i lunghi colli della bestia di Lerna.

Ma altre tettoie erano cangiate in ginecei dalle donne legittime, dalle floride figliuolanze, perfino dalle nutrici e dai pedagoghi. La famiglia palpitante vigilava il portentoso uccello concepito nel suo seno, asciugava le care gocciole della fronte geniale, si turava con le molte mani i molti orecchi allo strepito prenunziatore del prodigio, contava nel grembo l'oro imaginario del premio giusto, spingeva lo strumento della nova felicit?? verso il campo dell'aratura, soffiava e risoffiava le sue speranze nella viadana o nell'olona insensibile, poi respingeva lo stupendo aratro nel ricovero, quivi deplorava l'inclemenza del cielo e l'incostanza degli stantuffi.

??? Il vento gira. Quarta a ponente ??? disse Paolo Tarsis. ??? Soffia per colpi; vuole attacco per attacco. Io parto. E tu?

Egli aveva riconosciuto di lontano il passo ondeggiante d'Isabella Inghirami. E lo stringeva un'ansiet?? simile al terrore. E, senza indagare la causa, voleva anc??ra evitare come aveva fino allora evitato l'incontro della sua amica col suo amico.

??? E tu, Giulio?

??? S??bito dopo di te.

??? Hai mutata l'elica?

[85] ??? L'ho mutata.

??? Sei pronto?

??? Pronto.

??? A rivederci in alto.

??? Spero che ti raggiunger??.

Si strinsero la mano; e stavano per separarsi, andando ciascuno al suo c??mpito: che era di superare il compagno, tutti gli altri e s?? stesso. Ma Paolo Tarsis segu?? l'emulo per qualche passo; lo salut?? ancora una volta.

Sembrava ch'egli volesse riempirsi il cuore di quel gran sentimento virile, inebriarsi di quella pienezza, sentire il pregio di quel dono a lui fatto dalla sorte robusta. Quasi tutte le amicizie umane sono fondate su la ragion leonina; ove l'uno prende pi?? di quel che dona, l'altro fa atto d'offerta e d'abnegazione, si sottomette e si umilia, imita e consente, ?? tiranneggiato e protetto. Ma la loro amicizia era fatta di due stature eguali, di due pari potenze, di due libert?? e di due fedelt?? indomabili. Ciascuno misurava dal valore dell'altro il suo valore, riconosceva dalla tempra dell'altro la sua tempra, sapeva che il pi?? difficile posto poteva esser tenuto a vicenda e che il pi?? crudo avversario non poteva prevalere nella sostituzione. Quante volte l'uno aveva vegliato sul sonno dell'altro, per turno, in notti d'insidie, con le armi al fianco! E nulla pi?? [86] dolce e pi?? grave di quella veglia, in cui a volta a volta era parso dalle grandi costellazioni australi creato pel dormente un destino pi?? profondo.

Ora nell'occhio del compagno era una domanda assidua che non scendeva alle labbra: ??In quali mani sei per rimettere la tua vita? Da quali unghie lucenti lascerai disfare la tua durezza???

Egli l'aveva seguito, s'era indugiato per dare a quella domanda la sua risposta: ??Ti ricordi, tu di quel b??ttero che per bravata, il giorno della merca, nella tenuta dei Cesarini, da solo legava insieme le quattro zampe al giovenco e lo sollevava da terra? Cos?? io faccio della bestia oscura che cresceva dentro di me e minacciava di soverchiarmi. La lego e la sollevo, e poi la marchio per la sua servit??. E mi scrollo, e li do la mano, e ce ne andiamo per la nostra conquista liberi??. Ma il compagno, oppresso da una improvvisa tristezza, non aveva voltato il capo.

 

Giulio Cambiaso a traverso la cortina udiva la voce d'Isabella Inghirami, ricca di toni di dissonanze di passaggi di sbalzi di spezzature come un canto incantevole, ora bassa ora [87] soprana, ora infantile, quasi leziosa, ora maschia, quasi violenta, a volta a volta squillante e roca, ineguale e ambigua come certe voci rotte dalla conturbazione della pubert??: qualcosa di straordinariamente vivo ed insolito, qualcosa d'inverosimile, che lo attirava e lo irritava a un tempo. Egli stesso allora prese l'elica per le due pale e impresse il moto. Il rombo fece tremare le tavole, agit?? la cortina, sollev?? la polvere. Tra i lembi palpitanti apparve un volto bruno come l'oliva, e si sporse. Il vento sconvolse le rose di seta sul cappello tessalico, offese le lunghe ciglia che si chiusero su gli occhi chiari e sbigottiti.

??? Si guardi, La prego, signorina! ??? egli grid??, con un gesto brusco. ??? Non rimanga l??!

Vana non indietreggi?? ma avanz?? guizzando fra i lembi che garrivano.

??? C'?? pericolo?

??? Se il legno dell'elica si rompe o si scheggia, la forza del pi?? piccolo frammento scagliato ?? incalcolabile.

Ella spalanc?? i grandi occhi pallidi come gli opali d'acqua. I meccanici la guardavano, tenendo con le braccia nerastre e untuose le traverse della fusoliera. Una striscia obliqua di sole, come gi?? nelle aule ducali di Mantova, penetrava per una fenditura della parete rivelando il nervo d'un'ala, brillando nelle s??rtie [88] d'acciaio, nei quattro metalli del motore bianco giallo rosso bruno.

??? Pu?? accadere? E se l'elica si rompe mentre si vola?

Ella aveva la voce un poco tremula; e le pareva che la paglia del suo cappello inghirlandato risonasse come il bronzo d'una campana.

??? Preghi il Cielo che questo non m'accada mai ??? rispose il timoniere celeste.

Egli era come in un intervallo della realt??, dinanzi a quella creatura quasi sconosciuta, in una condizione dello spirito simile all'indeterminato ricordarsi.

??? La morte dunque ?? sempre l???

??? L?? e dovunque.

??? L?? pi?? che dovunque.

??? ?? la compagna d'ogni gioco che valga la pena d'esser giocato.

??? ?? orribile.

A un tratto il motore s'arrest??; le pieghe della cortina ebbero pace; la polvere decadde; i muscoli nelle braccia fosche s'allentarono; l'elica divina non fu se non un'asse verticale dipinta di colore d'aria. Il silenzio parve uccidere un grande essere fantastico che riempisse di s?? tutto lo spazio chiuso, una specie di grande angelo abbagliante che si fosse dibattuto sotto le travi e abbattuto e spento [89] in terra come un cencio terreo. E la striscia di sole fu triste, come nella stanza ducale; e apparvero le cose tristi ed eloquenti: le brande di ferro chiuse, onde pendevano i lenzuoli gualciti, le coperte di lana bigia; le rozze scarpe arrossate e polverose; i vecchi abiti appesi ai chiodi, quasi afflosciati da una squallida stanchezza; e qua e l?? le scatole di latta, i pezzi di carta, gli stracci, una catinella, una spugna, un fiasco vuoto.

??? Sia prudente ??? disse Vana abbassando la voce che tuttavia era tremula, quasi supplichevole, d'una supplicazione inopportuna.

??? La prudenza non vale. Soli valgono l'istinto il coraggio e la sorte.

??? Il Suo amico....

Ella s'interruppe; poi riprese, rapida.

??? Il Suo amico Tarsis parte prima di Lei?

??? I meccanici trasportano gi?? l'apparecchio sul campo di slancio.

??? ?? troppo ardito.

??? Non bisogna mai tremare per lui.

??? Perch???

??? Non si sa perch?? certi uomini nascano al pericolo, che li fa immuni.

??? Crede questo?

??? Certo.

??? Anche per s???

??? Anche per me. A Madura, nell'ombra della [90] pagoda di Vichnou, un indovino dalla testa rasa, masticando le foglie chiare del betel, ci presag?? che, avendo vissuto della stessa vita, moriremo della stessa morte.

??? Crede al presagio?

??? Certo.

??? E perch?? sorride?

??? Perch?? ora mi ricordo....

??? Di che si ricorda?

S'udiva giungere dagli steccati il clamore della moltitudine, ora prossimo ora lontano. Il cavallo d'un cavalleggere nitr??. Il galoppo d'una pattuglia rison?? sordamente su la brughiera.

??? Giovanni, ?? pieno? ??? domand?? Giulio Cambiaso all'uomo che versava l'essenza nel serbatoio.

Aveva quasi forzata la sua attenzione verso quella realt??, come per vincere l'indefinibile sentimento di assenza e di distanza ond'era occupata la profondit?? della sua vita. Egli rivedeva le chiostre della pagoda, le piscine gremite di torsi ignudi e di teste rase, il popolo d'iddii di d??moni di nimostri scolpito nelle lunghe logge cupe, nei tabernacoli nelle nicchie nei pilastri, lordato dagli escrementi dei pipistrelli innumerevoli. Riudiva il mugghio dei buoi, il barrito degli elefanti che s'inginocchiavano nel loro fimo.

??? Manca poco ??? rispose l'uomo, estraendo [91] la piccola canna introdotta nel f??ro del serbatoio per misurare la quantit??.

??? Sia pieno, fino al tappo.

L'uomo, ritto sopra una capra, col volto lucido di sudore, riprese a versare pianamente l'essenza dal vaso cubico nell'imbuto avvolto in un filtro di tela giallastra. Come la striscia di sole passava a quell'altezza, si vedeva il liquido colare tra le dita ferme luccicando.

??? Di che si ricorda? Dica! ??? soggiunse Vana con timida insistenza, arrossendo lievemente sotto il cappello tessalico.

??? Mi ricordo che, mentre l'indovino proferiva il presagio profumato dal gengivario, una giovane Indiana dalle pastoie d'argento era presso il banco di un mercante; e si volse verso di noi.

Egli affisava in lei uno sguardo di sogno, un sorriso smarrito.

??? Olivigna, se bene lisciata con la radice della curcuma, aveva quella purit?? di lineamenti che ?? propria delle pi?? delicate miniature indo-persiane dove la Bella s'inchina a bevere l'anima della rosa mentre passa il Cavaliere in drappi d'oro sul palafreno di color cilestrino balzano da tre. Come Le somigliava!

??? Oh no!

??? Se chiudo gli occhi, la rivedo viva. Se li apro, la rivedo pi?? viva.

[92] ??? Oh no!

??? Oggi ?? senza gioielli; allora n'era carica, per la festa sacra. Comperava dal mercante il croco purpureo, la mandorla dell'areca ridotta in polvere, la ghirlanda di rose gialle.

??? Oh no! Quelle che porto?

Ne aveva d'arida seta intorno al cappello, di fresco roseto alla cintura.

??? Quelle. Ma erano per l'offerta, erano per gli idoli. Udimmo il tintinno dei cerchi d'argento alle caviglie, quando si mosse per andare verso le due grandi statue levigate di diorite gi?? mezzo sepolte sotto i fiori. Una rosa le cadde gi?? pel suo panno azzurro, su le lastre che riflettevano i suoi piedi nudi. Lesto mi chinai per raccoglierla, ma la devota fu pi?? lesta di me.

??? Eccola ??? disse Vana spiccando una rosa gialla dalla sua cintola azzurra come l'oltramarino smortito nei fondi delle lunette sacre.

E la porse all'evocatore. E si stup?? che quella parola e quel gesto si fossero partiti dallo spirito misterioso ond'era piena, da un indicibile spirito di ricordanza e di ritornanza suscitato senza causa. Ma quando vide la sua rosa all'occhiello di quell'uomo quasi sconosciuto, voleva soggiungere: ??No, no! Ho fatto per gioco; non so perch?? l'ho fatto. Me la renda. La getti. Sono una piccola sciocca??.

[93] E tuttavia si piaceva e s'indugiava nella finzione; come sua sorella, come ogni donna viva, si piaceva d'entrare e d'intrattenersi in un simulacro insolito di s??, in una forma imaginaria di esistenza. Per prolungare l'incanto voleva soggiungere: ??E poi? Dove and?? l'Indiana dalle pastoie d'argento, ch'era fine come le miniature? che fece del suo croco, della sua polvere, della sua ghirlanda??? Ella sentiva il colore olivigno del suo proprio volto, la linea ovale della sua propria finezza; imaginava il freddo delle lastre polite sotto le piante dei suoi piedi nudi; intravedeva qualcosa di vago, come una speranza e una paura senza oggetto, come un evento senza tempo, come una enormit?? nascosta che somigliava quegli enormi idoli di pietra nascosti dai fiori. N?? meno fantastica le pareva la sua presenza tra le cose presenti. Prima di guizzare tra i lembi della cortina, la sua figura era forse pi?? dissimile da quella alzata presso il banco del mercante nella pagoda di Vichnou che da quella alzata presso il congegno ded??leo nella tettoia piena di rombo?

I suoi pensieri si sfogliavano sul suo cuore come si sfogliava lungo le pieghe della sua gonna la rosa vicina dell'altra ch'ella aveva colta dalla cintola col gesto inconsiderato. ???? possibile che anch'io me ne ricordi? Si sogna sempre. Perch?? sono qui? Anche questo ?? sogno. [94] Isabella mi cerca, Aldo mi cerca. Sono stata presa nel vento dell'elica come una festuca. Nessuno m'ha vista. Ah, mi so nascondere da voi. Sono lontana, sono lontana! Un grande amore improvviso? Qualche volta l'amore si parte dall'estremit?? della terra, a piedi nudi, per portare una rosa. ?? il fratello di Paolo. Ha i denti piccoli e puri come quelli d'un bimbo. Non voglio pi?? piangere. Mi potrei consolare? Qualche volta nasce un soffio e ci porta il nostro vero destino. Che direbbe Paolo? e Isabella? Ci sar?? una pena anche per loro. Forse gi?? m'ama. Sono sciocca. Ma come tutto questo sarebbe strano! Ora parte, ora vola, ora se ne va nell'aria, se ne va con la mia rosa gialla nel cielo; la rosa si sfoglia, le foglie cadono, chi sa dove; e tutto finisce, tutto ?? dimenticato. Un giorno ricever?? un libro di miniature.... Ah, forse Paolo ?? gi?? partito. Non bisogna temere per lui. Perch??? Moriranno della stessa morte! Non ?? dolce Paolo per Isabella in questi giorni, oh no. Che m'importa? Che mi giova? Non voglio pi?? sapere, non voglio pi?? vedere. Ha gli occhi lionati. Che penser?? di me? Sono venuta da Madura, con l'indovino che mastica le foglie di betel.... Ah, non ?? vero. Il mio cuore non ?? qui. Per andarmene, gli stringer?? la mano? Dopo, mi cercher??? Mi vorr?? rivedere? La luce mi fa male, la folla mi fa male. Potrei [95] rimaner qui, sedermi su una di quelle brande per aspettarlo, con un libro di miniature.... Vanina vana, piccola Indiana impastoiata!??

Cos?? i suoi pensieri lievi si sfogliavano sul suo cuore; ma dentro persisteva l'inquietudine cruda come un'angoscia, che l'aveva spinta in quel luogo ignoto come in un rifugio. ??Ah, mi so nascondere da voi. Sono lontana, sono lontana!?? Ella era separata dai suoi carnefici; sfuggiva alle tratte della tortura; riprendeva respiro in una specie di aura fortunosa che forse era per trarla pi?? lungi anc??ra. E tra la sua pena e la sua maraviglia, tra la sua paura e la sua speranza, tra il suo ricordo e il suo presentimento s'insinuava una specie di piacere vendicativo quando ella vedeva negli occhi lionati accendersi un bagliore di fosforo e brillare i piccoli denti bianchi nel fulvo della barba simile al rame dorato che si sdora. E soltanto quel piacere era certo, ch?? tutto il resto era confuso. Ed ella sentiva in s?? la sua giovinezza come una immortalit??.

??? Una rosa perduta, una rosa ritrovata! Chi La manda a me? Veramente viene di Madura? Ha fatto tanto cammino? ?? la prima volta che porto un fiore nel cielo. Crede che sia leggero? Forse pesa quanto un doppio destino. Lo porter?? in alto, in alto. Le prometto che lo porter?? oggi a un'altezza non raggiunta mai da me n?? da altri, sopra le nubi.

[96] ??? Oh no!

??? Non me l'offre per questo? Non per questo la Sua cintura ?? azzurra? Dal minimo cerchio al massimo cerchio dello stesso colore.

Egli era animato da una ebrezza inconsueta, e da un sorriso ammirabile che temperava la sua energia e la sua malinconia. Sembrava che l'apparizione improvvisa di quella creatura sognata e sognante risvegliasse in lui una musica di gloria onde il mondo sorgeva splendido fervido libero come non mai. La sua diffidenza e il suo dispregio lo abbandonavano. Tutta la sua anima era avvolta intorno a una nuova fatalit?? e n'era rischiarata ma la nascondeva, come un velo ricco intorno a una lampada notturna. Qual genio aveva condotto verso di lui quella creatura ch'era la sorella della donna che il suo amico amava? in virt?? di quale armonia segreta?

??? Pronti pel campo! ??? comand?? egli ai suoi uomini, e assicur?? la rosa a sommo del suo petto.

Il grande angelo abbagliante si dibatteva ancora sotto le travi? La tettoia era in quel punto piena di turbine e di fragore; ch?? l'elica aveva ripreso i suoi giri, non pi?? legno visibile ma astro d'aria nell'aria. E i meccanici ne provavano la forza, avendo legato la fusoliera con un canapo a un misuratore metallico e questo [97] a un palo; e il canapo si tendeva allo sforzo come se la grande ??rdea prigioniera fosse impaziente d'involarsi; e un uomo inginocchiato osservava la freccia dell'indice.

??? Pronti ??? rispose al comando una voce fedele.

E l'elica s'arrest??; l'??rdea fu sciolta, cessato il battito del suo cuore settemplice. Afferrandola per le traverse del corpo e per le c??ntine delle ali, gli uomini si accinsero a spingerla verso il campo di slancio. Le tende scorrevoli si aprirono; una opulenta luce bionda flu??, come venuta dall'oro delle pi?? lontane m??ssi italiche. Un cumulo di nubi apparve, alpe ariosa d'ambra e di neve. Il clamore della moltitudine dava il fiotto marino alla pianura selvaggia. Un uomo era nel cielo, fragile e invitto, con tutto il busto emergente dal dosso dell'airone, disegnato contro la vasta bianchezza. Primi i due occhi chiari lo riconobbero.

 

Come l'aquila nella valle arenosa non balza a volo ma parte con rapido passo, corre accompagnando la corsa con un crescente fremito di penne, si separa dalla sua propria ombra salendo con debole erta, alfine si libra su la vastit?? dell'ali rimontando il filo del vento: [98] prima gli artigli segnano impronte profonde, dopo a grado a grado pi?? lievi, sinch?? sembrano appena scalfire la sabbia, e l'ultima traccia ?? invisibile: cos?? la macchina su le sue tre ruote legg??re correndo nel fumo azzurrigno, quasi che l'erbe secche della brughiera le ardessero sotto, lasciava la terra.

Rapidamente s'inalz??. Alla manovra del timone d'altura beccheggi?? fuggendo i mulinelli che sorgevano dal calore del suolo per aggirarla in piccole volute. Affront?? il vento; e aveva l'oscillazione del gabbiano quando rimonta, simile a quella dell'acrobata su la corda tesa. S'inchin?? verso la prima m??ta nella virata, si raddrizz??; diritta e veloce a saetta percorse la linea verde della pioppaia di Ghedi; sorpass?? i casali, contrastando ai r??foli, orzeggiando di continuo; entr?? nel riverbero candido delle nuvole, fu bella come la figura del dio solare di Edfu, come l'emblema sospeso su le porte dei templi egizii, tutt'ala.

Giulio Cambiaso non aveva mai sentita cos?? piena la concordanza fra la sua macchina e il suo scheletro, fra la sua volont?? addestrata e quella forza congegnata, tra il suo moto istintivo e quel moto meccanico. Dalla pala dell'elica al taglio del governale, tutta la membratura volante gli era come un prolungamento e un ampliamento della sua stessa vita. Quando [99] si curvava su la leva a manovrare contro un colpo un salto un buffo, quando inchinava il corpo verso l'interno del circolo nel veleggio roteante per muovere con la pressione dell'anca il congegno inteso a inflettere la velatura estrema, quando nell'andare all'orza manteneva l'equilibrio con un bilanciamento infallibile intorno al centro di stabilit?? e trovava a volta a volta il modo di trasporre l'asse del volo, egli credeva esser congiunto ai suoi due bianchi trapezii con nessi vivi come i muscoli pettorali degli avvoltoi che avea veduto piombarsi dalle rocce del Mokattam o aggirarsi su l'acquitrino di Sakha.

??Fratello, fratello, siamo solitarii, siamo liberi, siamo lontani dalla terra tormentosa!?? pensava Paolo Tarsis che, avendo gi?? compiuto il primo giro, veniva sopravvento al suo compagno per raggiungerlo. ??Non voglio pi?? esser triste, non voglio pi?? divorarmi il cuore, non voglio pi?? nasconderti il mio supplizio. Ho bisogno di chiamarti, di gittarti il mio grido, di riudire la tua voce nel volo. Se tu vinci, io vinco. Se io vinco, tu vinci. Com'?? virile il cielo, oggi!??

Egli lasciava dietro di s?? la turbolenza della sua passione, il riso agitante d'Isabella, lo sguardo febrile e ostile dell'adolescente, la vanit?? delle amiche, la stupidit?? degli accompagnatori, [100] tutto quello stuolo intruso che l'aveva assalito e oppresso. Ritrovava il suo silenzio, il suo deserto, il suo c??mpito.

??? ??rdea!

Mille e mille voci conclamavano il bel nome laziale. Dalle tribune, dagli steccati, dai carri fermi su la strada di Calvisano, su la strada di Montichiari, su i crocicchi delle strade candide, dai grappoli umani appesi agli alberi di confine, dai mucchi nereggianti su i colmigni delle cascine, dall'immensa moltitudine di fronti alzate verso le vie divine, dall'innumerabile meraviglia saliva il clamore come un tuono o come un fiotto intermessi.

??? ??rdea!

Paolo Tarsis raggiungeva il compagno, gli passava a portata di voce, era preso nel vortice dell'elica gemella, sbandava, rullava, guizzava fuor della rotta, scivolava con la velocit?? del vespiere, piombava a un tratto come l'astore, risaliva quasi verticalmente come il germano, mostrava contro il fulgore le nervature delle sue tele, virava intorno all'asta della m??ta cos?? stretto da radere con l'ala inflessa la punta della fiamma ondeggiante. Egli aveva gittato verso il compagno il grido di riconoscimento e di allarme, consueto a entrambi nelle scorrerie nelle cacce nei bivacchi. Gli era giunto? La risposta s'era perduta nel rombo?

[101] ??? ??rdea!

La folla iterava il clamore inebriandosi a quel gioco grazioso e terribile, a quella gara di eleganza e di ardire, a quella disfida allegra tra due volatori della medesima specie. In un golfo ceruleo lunato tra cumuli d'ambra, apparvero entrambi inseguendosi come due cicogne prima della cova librate su le lunghe ali rettilinee; poi si persero bianchi nella vasta bianchezza. E, suscitati dall'esempio, altri si lanciarono, altri si levarono, s'inseguirono. Tutte le tettoie rombarono e soffiarono, gonfie di procella come le case di Eolo. Trascinati a braccia sul campo, trattenuti dalle braccia muscolose, rapiti infine dall'astro violento dell'elica, i vel??voli partivano l'un dopo l'altro a conquistare il cielo magnifico, taluni giallicci come i capovaccai, taluni rossastri come i fiamminghi, taluni cinerognoli come le gru. Scoccavano come i silvani, volteggiavano come i rapaci, strisciavano come le gralle. Nello strepito imitavano da lungi l'applauso come i colombi, il tintinno come i cigni, la raffica come le aquile. Tutte le forze del sogno gonfiavano il cuore dei Terrestri rivolti all'Assunzione dell'Uomo. L'anima immensa aveva valicato il secolo, accelerato il tempo, profondato la vista nel futuro, inaugurato la novissima et??. Il cielo era divenuto [102] il suo terzo regno, non conquiso col travaglio dei macigni titanici ma col fulmine fatto schiavo.

E il cielo viveva come la moltitudine, come quella ebro di maraviglia e di gioia, di superbia e di terrore, di violenza e d'infinito. Era uno di quei sublimi cieli d'Italia che rinnovano in un'ora le trasfigurazioni secolari degli artefici operate nelle volte dei palagi e nelle cupole dei templi, creano e distruggono tutte le imagini della grandezza, conciliano l'argentea volutt?? del Veronese e la terribilit?? pietrosa del Buonarroto. Le nuvole erano un'architettura e una stirpe, una materia foggiata dallo statuario e dal f??gulo, una gerarchia di angeli, una genia di mostri, un paradiso di fiori. Sorgevano dai monti, si adeguavano alle colline, si laceravano alle cime dei pioppi. Simili a trombe d'acqua lattescente, vibravano di luce in sommo come le sensitive trasparenze degli esseri marini abitate dall'inquietudine di un fuoco spirtale. Simili alla carne giunonia nel punto della metamorfosi che ingann?? il Lapite reso folle dal nettare, s'irradiavano d'un sangue improvviso; poi s??bito si coprivano di macchie smorticce come le squame caduche dalla pelle infetta di lebbra. Simili a un'argilla diafana sul tagliere d'un vasaio che la foggiasse con dita invisibili, prendevano la forma dell'urna; [103] e un'ansa nasceva dal fianco, docile s'incurvava appiccandosi al labbro, nel vano includeva l'azzurro, e tutto lo sparso azzurro intorno non era come quel poco. Altre simigliavano altre figure altre creature altre favole altre arti. Il mondo dei miti e dei sogni rioccupava la cavit?? del cielo, evocato dal nuovo sogno e dal nuovo mito.

Allora fu visto uno dei grandi uccelli ded??lei inchinarsi verso terra, risollevarsi, sbandare, nella virata bassa urtare contro il suolo, restare immobile su l'ala infranta con alzata l'ala intatta senza il battito dell'agonia, esanime avanzo di vergelle e di canape, lordo di olio nero. L'uomo balz?? dai rottami, si scroll??, guard?? la sua mano sanguinante, e sorrise.

Allora fu visto un altro vel??volo, come quei rapaci notturni che abbarbagliati dal sole cozzano contro l'ostacolo e tramortiscono, precipitarsi contro lo steccato, abbatterlo per un lungo tratto fra alte strida, capovolgersi con tutte le tele lacere, tutti i nervi recisi, tutte le ossature stronche, silenzioso dopo lo stroscio in un cerchio d'orrore, muto sfasciume sul suo cuore di metallo ancor caldo e fumante. La folla sbigottita e avida fiut?? il cadavere, non apparendo dell'uomo se non le gambe prese nei fili d'acciaio aggrovigliati. Ma quegli fu tratto dall'intrico, fu dissepolto, fu rimesso in [104] piedi. Pallidissimo, vacill??, si ripieg??, mozz?? tra i denti il ruggito dello spasimo, sotto le dita che lo palpavano. Aveva il femore in frantumi. Due soldati lo trasportarono sopra una delle tavole abbattute dal cozzo, supino con gli occhi verso le nubi. L'ombra d'un volo vittorioso pass?? su la sua disperazione.

Allora fu visto di s??bito apprendersi ad altre ali il fuoco senza colore, che non appariva nel giorno se non pel rapido annerirsi e involarsi della tela su per le nervature di faggio e di frassino gi?? crepitanti come sermenti. Divampava nella rapidit?? l'incendio, scoppiando le fiamme dalle valvole semiaperte. Come una grande falarica avvolta di stracci intrisi in olio incendiario, scagliata dalla corda della balista, l'ordegno percosse la terra con tale impeto che vi s'addentr??. Esplose nell'urto il serbatoio inondando la carcassa schiantata e l'uomo vivo. La fusoliera ardeva come un brulotto. Nella coda simile alla cocca del quadrello, erette le timoniere stridivano.

E allora fu visto l'uomo vivo avviluppato dal fuoco senza colore rotolarsi su l'erbe arsicce con una furia cos?? selvaggia che il suo cranio dirompeva il suolo friabile. La folla url??, presa alle viscere non dalla piet?? pel morituro ma dalla frenesia del giuoco mortale. Un altro uomo, che volava nella nube, con un colpo [105] temerario del timone d'altura cal?? gi?? a piombo come l'avvoltoio sul pasto; a poche braccia da terra si libr?? seguendo lo strazio dell'affocato che anc??ra s'avvolgeva sopra s?? stesso invincibilmente; si sporse alquanto per riconoscerlo; lo guard?? spento arrestarsi; rapido s'impenn??, risal?? per l'aria, s'inazzurr?? nell'ombra, si dor?? nel sole, continu?? la sua rotta. Lo raggiunse l'urlo della folla in delirio.

??? Tarsis! Tarsis!

Il soffocatore della vampa era sorto in piedi, nericcio, fumido, oleoso, coi capelli strinati, con le vesti incarbonite, con le mani cotte, atrocemente vivo. A duecento metri da lui, del suo ordegno distrutto non rimaneva se non il motore arroventato fra i tubi contorti e divelti. Egli guard?? le sue mani che avevano strozzato il fuoco ribelle.

Un delirio crudele ven?? di rosso i mille e mille e mille occhi levati verso il convesso circo celeste. La cruenta gioia circense riflu?? nei precordii ansiosi. Un s??bito aumento di vita estu?? sotto l'imminenza della morte. Le ali dell'uomo parvero non pi?? fendere il cielo insensibile ma l'anima oceanica della specie, gonfiata come una marea sino alla linea del pi?? alto volo. Gli elementi asserviti, le forze naturali sottomesse, le divinit?? constrette erano pronti sempre a insorgere per lacerare, per annientare [106] il fragile tiranno, come quelle belve prigioni che si scagliano contro il domatore se a pena egli batta le palpebre o distolga la punta dello sguardo. La lotta era incessante, il pericolo era onnipresente. Come l'Ort??a sanguinaria dell'antica Tauride, l'Ignoto non stava assiso ma ritto in piedi su l'ara esigendo i sacrifizii umani. Le vittime osavano guardarlo con pupille inflessibili, fino al limite del Buio. Che erano mai al paragone i giuochi dell'anfiteatro? L'uomo non pi?? andava alle fiere nell'arena angusta, ma alle macchine micidiali su le vie della terra del mare e del cielo; e il pollice riverso era di continuo sopra lui. Un'ombra tragica e una luce tragica a volta a volta oscuravano e irraggiavano lo spazio.

??? Tarsis! Tarsis!

L'??rdea continuava la sua rotta, girava le m??te nel decimoquinto giro. Il Latino era per ritogliere il primato al Barbaro. Nella calca efimera e indistinta le radici eterne della stirpe fremettero. Tutti i cuori furono alati per sostenere il volo eroico. Tutte le gole riverse gittarono al prode il suo nome come un soffio sonante che incitasse la rapidit??. Gli comandarono di vincere.

??? Tarsis!

Egli sosteneva il volo con la sua pazienza, incitava la rapidit?? con la sua febbre. A quando [107] a quando, contro la nuvola o contro l'azzurro, il suo busto emergente appariva proteso come per l'istinto di acuirsi, di sfuggire al contrasto dell'aria, di adeguarsi alla forma del fuso e del dardo. E gli occhi pi?? perspicaci o i meglio armati scorgevano il suo capo scoperto, a cui il vento aveva rapito il camaglio; scorgevano il suo viso affilato, onde pareva esalarsi l'ardore dello sforzo come di fra le alette dei cilindri il calore dell'attrito, quel viso fatto quasi di fluida violenza, quasi che il vento rovesciasse indietro non soltanto i capelli di su la fronte ma dal mento alle tempie tutte le fibre dei muscoli palesi.

??? Tarsis!

Egli era omai solo. Il cielo ridiveniva deserto. Qua e l?? sul campo i vel??voli s'atterravano: si posavano come migratori affaticati, cadevano sul fianco o sul rostro come falchi feriti. Una luce fulva, lo splendore distante delle biade mature, si spandeva su la brughiera selvaggia. L'abete degli steccati brillava come oro forbitissimo. Le mura delle cascine, le facce delle chiese e delle ville, i culmini dei campanili e delle torri in lontananza ardevano. Le ombre delle m??te, delle travi, delle antenne s'allungavano.

Egli era solo: non vedeva pi?? nulla, se non l'astro vorticoso dell'elica; non udiva pi?? nulla. [108] se non il palpito eguale del motore, la settupla consonanza. ??? Dov'era il suo compagno? che gli era accaduto? quale cagione l'aveva costretto a discendere? ??? Percep?? una pausa in un cilindro, un'altra pausa in un altro, poi pi?? pause intermesse; e il cuore gli si serr??, e gli parve di farsi esangue come se le sue arterie si vuotassero nei tubi metallici. ??? La sorte lo tradiva d'improvviso? ??? Orz?? di punta, contro un r??folo; manovr?? di gran forza, radendo contro strettamente quanto pi?? poteva; gir?? la m??ta penultima virando a pochi pollici dal pennone; di tutta la sua volont?? fece un dardo inflessibile, fece uno di quei dardi che i feditori chiamavano soliferro, tutto ferro asta punta e cocca; tracci?? con l'animo sino al traguardo una linea pi?? diritta di quella che le maestranze segnano col filo della sinopia. Quando l'animo che aveva trapassato i sensi rientr?? nel cuore, egli pot?? udire con l'orecchio pacato il lavoro dei cilindri ridivenuto unisono, il palpito energico ed esatto. Per istinto, come se il suo compagno fosse l??, modul?? la voce gutturale ch'era il segno del contento nel loro gergo bizzarro di tenda e di ventura appreso dalle bestie domesticate e dai linguaggi barbarici. Rise in s?? solo, pensando come in quel punto dovesse agitarsi l'enorme pomo d'Adamo su e gi?? nella gola secca di John Howland. Gli torn?? nella [109] memoria lo strano riso dell'ornitologo amico degli avvoltoi, simile a quel rumore di tabella che fanno col becco le cicogne: ??Alis non tarsis??. Vag?? per pensieri involontarii e informi, come se d'un tratto la sua attenzione si fosse dispersa, come se l'evento avesse perduto ogni valore. Poi ebbe il petto traversato dall'imagine d'Isabella: rivide il viso di f??scino e di periglio sotto la larga falda ornata dell'airone bianco a lunghe piume tremule, rivide il gioco dei ginocchi nella gonna cinerina che con l'arte di due pieghe inesplicabili imitava due ali chiuse. Fu pieno d'ebrezza e di vendetta. Anc??ra un giorno d'attesa!

Subitamente l'intervallo si chiuse; il nucleo della forza si ricompose. Di nuovo egli sent?? che le sue vertebre armavano tutto il congegno e che l'ossatura delle ali simile all'omero tubulare dell'uccello era penetrata dall'aria stessa dei suoi polmoni. Di nuovo gli si cre?? nei sensi l'illusione di essere non un uomo in una macchina ma un sol corpo e un solo equilibrio. Una novit?? incredibile accompagn?? tutti i suoi moti. Egli vol?? su la sua gioia. Una intera stirpe fu nuova e gioiosa in lui.

??? ??rdea! Tarsis!

Scorse issato su l'albero dei segnali il disco che segnava la sua vittoria. Ud?? salire il fiotto marino. Guard??: intravide la massa grigia della [110] folla, pallida di facce, irta di mani. Se bene volasse a calata per girare la m??ta, gli parve di alzarsi vertiginosamente per superare un culmine immobile. S'inchin??, vir??, pass??, in un tuono di trionfo, in uno sprazzo di fulgori, bianco e lieve, sfavillante di rame e d'acciaio, sonante di fremito, messaggero della pi?? vasta vita.

 

Allora, mentre il vittorioso proseguiva la sua rotta per superare la sua vittoria cos?? che ogni speranza di rivincita nel vinto fosse vana, su l'albero dei segnali apparvero i due triangoli neri che nominavano Giulio Cambiaso, e il quadro bipartito bianco e rosso che indicava la gara del pi?? alto volo.

Durava tuttavia nella moltitudine la violenta fluttuazione che succede alla tempesta. Nell'anima immensa ferveva e luceva il solco eroico lasciato da colui ch'era scomparso anche una volta tra ombra e luce per cercar di porre ancor pi?? lontano la sua erma nell'intentato. L'ansia era anc??ra aspettante. L'annunzio della nuova prova era una promessa magnifica e tremenda sospesa nel vespero. Quando il compagno di Paolo Tarsis mont?? su l'??rdea per partire, ogni tumulto cadde. L'elica romb?? nel silenzio.

[111] ??La rosa di Madura, la rosa ritrovata! ?? la prima volta che porto un fiore nel cielo. Dove sar?? la piccola Indiana olivigna? Forse mi guarda, forse ha paura, forse la sua dolce anima trema nella sua cintola azzurra, sotto il cappello inghirlandato. Che strana visita! La rivedr?? quando sar?? disceso? la incontrer?? pi?? tardi? Paolo trover?? anc??ra un pretesto per tenermi lontano.... La rosa gialla di Madura! La porter?? in alto, in alto??.

Il polo del cielo era sgombro, in forma di orbe, come veduto dall'arena di un anfiteatro, cupola incurvata su l'ordine dei pilastri e degli archi. I portici colossali delle nubi lo sostenevano, domato l'incendio. Uno spirito misterioso inspirava le figure informi che su i fastigi s'allungavano s'inchinavano si rovesciavano come la Notte e l'Aurora su i sepolcri medicei, come nel volume della Sistina i Profeti e le Sibille. Sparivano la citt?? di legno e le sue piccole cose, ma le grandi s'ingrandivano con l'ombra e con l'ansia. Ora la Nike su la colonna romana era grandissima.

??La porter?? a un'altezza non raggiunta mai da me n?? da altri, sopra le nubi??. E l'??rdea gir?? con largo giro intorno al bronzo verde. L'ala rettilinea fu bella come l'ala solare consacrata dal culto egizio. Il popolo, che aveva tratto la dea sul carro e ridato al vento il [112] peplo dorico, sent?? la duplice bellezza e grid?? la prima sillaba dell'inno senza lira. Incominciava per lui un'atroce gioia.

A onde, a cerchi l'??rdea saliva. D'onda in onda, di cerchio in cerchio il rombo si faceva pi?? fievole; d'attimo in attimo perdeva ogni violenza: fu come il battito della maciulla su l'aia, fu come il ronzio d'uno sciame nell'arnie, fu come i rumori agresti che cullano i sogni, fu come i canti che lontanano, come i canti che lontanando aprono l'infinito della tristezza e del desiderio; parve inazzurrarsi come la macchina, come l'uomo; s'ammutol??, non fu pi?? nulla; non pot?? pi?? essere udito se non da quel solo.

La folla era protesa in ascolto, con l'anima nelle pupille, trattenendo il respiro. E la diminuzione graduale del suono creava in lei un sentimento della lontananza cos?? profondo che la sua vista n'era illusa. L'uomo sembrava gi?? assunto in un'altezza incalcolabile, interamente disgiunto dalla sua specie, solo come nessuno mai fu solo, fragile come nessuno mai fu fragile, di l?? dalla vita come il trapassato. Lo spavento dell'ignoto incav?? tutti i petti.

??Non pi??! Non pi??!?? diceva lo spavento. ??Anc??ra! Anc??ra!?? diceva lo spasimo avido d'un altro spasimo.

??Non pi??! Sei gi?? troppo alto. D??i la vertigine??.

[113] ??Anc??ra! Sali! Tocca almeno l'orlo di quella nube??.

??Non pi??! Un soffio pu?? ucciderti, un nulla: un filo che si spezza, una scintilla che s'interrompe??.

??Anc??ra! Non cedere! Dove tu sei, fu gi?? un altro uomo. Bisogna che tu superi il punto, che tu conquisti un cielo nuovo??.

??Non pi??! Ecco, precipiti??.

??Anc??ra! La morte ti ammira??.

E un urlo di tutti i petti vent?? verso l'intrepido; ch?? su l'albero attrezzato biancheggiava il segno di gloria. L'??rdea fendeva un cielo nuovo.

??Non pi??! Hai vinto??.

??Anc??ra! Stravinci??.

Lo spasimo della folla era come la pulsazione incessante d'una febbre unanime, che si comunicasse all'aria insensibile e giungesse fino a quell'ali d'uomo. L'unanimit?? sublime e selvaggia era come un elemento che si mescesse all'elemento e ne alterasse la natura e ne facesse come un modo di vita inopinato. Il cielo fu come un destino imminente.

??Anc??ra! Anc??ra!??

Pareva che la legge delusa non potesse pi?? esser vendicata, che di l?? dal limite il pericolo fosse scomparso, che per eccesso d'ardire l'uomo divenisse immune e impune. Omai l'ordegno [114] non era se non una freccia sospesa per incanto nel cielo impallidito. L'attimo era eterno. Nessuna parola poteva esser detta. La moltitudine respirava nella favola come se l??, dove s'affisavano le miriadi delle sue pupille, fosse per risplendere una nuova costellazione.

??? Discende! Discende!

Il fascino fu rotto. Fu detta quella parola, prima a bassa voce poi con clamore ineguale.

??? Discende!

Si vedeva la freccia ingrandirsi, rapidamente ridivenire congegno alato. Qualcosa di lucido e d'opaco, a volta a volta luccich??o lieve ed ombra indistinta, solcava l'aria sott'essa. Forse tal fu la prima penna caduta dall'??mero d'Icaro sul mare.

Una voce di terrore grid??:

??? L'elica! Una pala dell'elica!

E il terrore si propag?? per tutta la folla, non da voce a voce ma da carne a carne. Come si scolorava la nube, la folla si scolor??, irriconoscibile: un solo pallore occhiuto, col bianco d'innumerevoli occhi nelle orbite sbarrate, fiso alla sorte dell'uomo.

??? Cade!

Le voci, i rumori avevano un innaturale rimbombo, non nell'aria ma nell'anima.

??? Cade! Cade!

E nessuno pi?? grid??, nessuno pi?? respir??. [115] Tutta quell'umana angoscia ebbe una sola faccia convulsa, un solo sguardo seguace: vide le ali dell'uomo oscillare, inchinarsi dall'una all'altra banda come in un rull??o folle; vide ai colpi del timone la lunga fusoliera impennarsi, beccheggiare, per alcuni attimi adeguare i piani nella librazione della discesa, dare in un baleno la speranza della salvezza, poi d'improvviso precipitare innanzi, senza pi?? sostegno piombare con la velocit?? del peso morto, urtare la terra con uno schianto che nel silenzio cavo dell'anima parve un tuono.

Grido non part??, gesto non si lev??. Per alcuni attimi, tutto fu immoto, tutto somigli?? a quel fascio di tele e di verghe, a quel mucchio biancastro, a quel gran lenzuolo funerario, che distava dieci passi dalla base della colonna romana. Non la luce del vespero ma la luce dell'evento rischiarava le genti e le cose. La pianura ebbe un aspetto oceanico, le nubi furono come un ciclo di mondi, il cielo fu come il diamante impenetrabile. Il dominio delle forze eterne fu restituito.

Poi s'ud?? il galoppo dei cavalli accorrenti. Poi di sopra gli steccati la folla si rovesci?? sul campo, avida di vedere il sangue, di guardare la carne lacera. Poi, su la folla che gi?? ridivenuta selvaggia s'incalzava e si batteva per lo spettacolo atroce, stettero la colonna e la [116] statua solitarie, due creature immortali dell'artefice efimero, che armavano di bellezza l'orgoglio invitto dell'uomo. Le ali di bronzo testimoniarono per le ali di lino.

??? ?? morto? Respira? ?? schiacciato? Ha il cranio aperto? stronche le gambe? rotta la schiena?

Le domande lugubri comunicavano l'orrore agognato. Respinta dai cavalleggeri la folla ondeggiava, tumultuava. Le bestie crinite scalpitavano, sbuffavano, col sudore su i fianchi, con la schiuma nei freni. Per vedere, i pi?? avidi si chinavano sotto le pance dei cavalli, s'insinuavano tra le groppe, restavano stretti fra sprone e sprone.

Come i rottami furono rimossi, districate le s??rtie, sollevate le tele, apparve il corpo esanime dell'eroe. L'occipite aderiva alla massa del motore per modo che i sette cilindri irti d'alette gli facevano una sorta di raggiera spaventosa, lorda di terra e d'erba sanguigne. Gli occhi leonini erano aperti e fissi; la bocca era intatta e tranquilla, senza contrattura alcuna, senza traccia d'ambascia, coi suoi puri denti di giovine veltro nel fulvo della barba fine come lanugine. L'arteria della tempia, recisa da un filo d'acciaio con la nettezza d'un colpo di rasoio, versava un rivo purpureo che riempiva l'orecchio, il collo, la clavicola, le cellette [117] sottostanti del radiatore contorto, un pugno semichiuso. Chinandosi un medico sul petto per ascoltare il cuore che non batteva pi??, sent?? contro la guancia prona il fresco d'una foglia di rosa.

??? Tarsis! Tarsis!

Un nuovo fremito corse allora la folla ebra e costernata quasi che la doglia del compagno superstite s'irradiasse in lei. S'udiva distinto, nell'alta quiete del vespero, approssimarsi il rombo del volatore infaticabile che girava la m??ta.

 

La sera su tutte le strade era come una sera di battaglia. L'apparizione del fuoco e del sangue nel giuoco eroico aveva esaltato anche le pi?? umili vite. Indelebile rimaneva nella memoria l'imagine del cadavere avvolto nella fiamma rossa dei segnali e trasportato su la barella fra il popolo taciturno, per la triste landa, sotto l'albore crepuscolare inciso dal novilunio.

Ora su tutte le strade era l'inferno del fuoco e del ferro. I veicoli fragorosi, furenti di rapidit?? contenuta, fatti d'ombra informe e di splendore accecante, s'incalzavano, s'accalcavano. Fra gli scoppii e gli sprazzi, gli squilli rauchi delle trombe e gli ululi l??gubri delle sirene si [118] rispondevano come le voci del pericolo e dell'allarme. Il fumo e la polvere turbinavano in zone di luce violenta; un odore acre avvelenava l'afa; le figure umane apparivano e sparivano come larve, quasi perdute su i mostri ruinanti.

??? Ah, orribile, troppo orribile! ??? lament?? Isabella Inghirami, tutta chiusa nel mantello e nel velo, stringendosi addosso a Vana che batteva i denti come nel ribrezzo della febbre. ??? Non s'arriva mai. Aldo, passa innanzi, passa, passa!

Un'impazienza irosa sibilava nelle sue parole. La sosta, nel fragore e nell'orrore, pareva senza termine.

??? C'?? il fosso a destra.

??? Non importa!

??? Ecco, si va.

La macchina avanzava per breve tratto, coi fanali contro il serbatoio di quella precedente; poi s'arrestava, pulsando, sussultando. Le sirene ulularono. Un cane latr?? sul ciglio del fosso: colpiti dai raggi, gli occhi gli sfavillarono d'un bagliore demoniaco, pi?? verdi degli smeraldi contro il sole.

??? Vana, batti i denti?

??? Ho freddo.

??? Tanto freddo?

??? S??.

??? Hai forse un poco di febbre?

[119] ??? Non so.

Entrambe erano velate, e neppure intravedevano i loro volti. La sera di giugno era umida ed elettrica. Lampeggiava, laggi??, verso il Garda. Vana teneva su le ginocchia le rose della sua cintura, per preservarle. Tutto era oltranza audacia e constrizione, dentro di lei.

??? Ti senti anc??ra svenire?

??? No.

??? Far?? sapere a Giacinta Cesi che non andremo a pranzo.

??? S??. Ma tu puoi andare, forse.

Vana aveva gi?? il suo proposito occulto.

??? Credi?

Entrambe, oscure l'una per l'altra, sentivano soffrire le loro voci come si sente soffrire una mano bruciata, una caviglia distorta. Chiuse nella dissimulazione, caute, si palpavano con le loro voci come con qualcosa di dolente a cui ogni pi?? lieve tocco sia un urto che l'offenda e strazii. Dall'ora di Mantova, separate all'improvviso per uno di quei piccoli fatti che sono come un colpo di cesoie in un filo teso, si spiavano, si esploravano. Sotto le apparenze della loro vita comune covavano i loro istinti di dolore, di menzogna e di lotta, l'una facendosi forte della pazienza terribile ch'era in fondo alla sua furia vitale, l'altra consumandosi negli eccessi nelle contraddizioni nei languori della [120] sua verginit?? sospesa fra tanta inconsapevolezza e tanto conoscimento. Talvolta una bont?? subitanea le ammolliva; e le assaliva un bisogno quasi carnale di stringersi l'una contro l'altra, di schiacciare fra l'uno e l'altro petto la pena inconfessata. Strette, mute, rievocavano intorno alle loro anime il torpore delle loro culle, il calore della protezione materna, lungamente immobili come il malato che teme di risvegliare lo spasimo assopito; ma sentivano a poco a poco nel silenzio riformarsi, con la materia stessa delle vene delle ossa dei polmoni del cuore fusa in una massa cieca, riformarsi e dilatarsi quel che le faceva soffrire e nascondere.

??? Ah, Vana, non battere i denti cos??!

??? Scusa. ?? un freddo nervoso. Non posso vincerlo.

Ella prese fra i denti il suo velo; e prese la sua ragione e la tenne ferma, come si prende fra le mani il capo che duole e vacilla. Ma le sfuggiva, pareva disgregarsi, decomporsi in imagini rilevate come le cose reali e brutali. Ora rivedeva i denti di Giulio Cambiaso, i denti minuti e candidi, il sorriso smarrito dell'uomo che non era pi??, il movimento delle labbra nel proferire le parole del sogno: ??Una rosa le cadde gi?? pel suo panno azzurro, su le lastre che riflettevano i suoi piedi nudi??. Anche [121] negli occhi che li aveva guardati c'era un poco di morte; anche quello sguardo, che s'era piaciuto di quel sorriso, era morto; quel freddo, ch'ella ora pativa, le veniva da quel cadavere, ???? la prima volta che porto un fiore nel cielo. Crede che sia leggero? Forse pesa quanto un doppio destino. Lo porter?? in alto, in alto....?? Non era egli stato ucciso da quella rosa? dalla rosa di Madura?

Ella sobbalz?? sul sedile, in un violento sussulto.

??? Mio Dio! Che hai? che hai, Vana? Come ti sei sbigottita! C??lmati.

??? Abbi pazienza. Isabella. Mi calmer??. Non badare ai miei nervi scossi.

??? Mi fai troppa pena, povera povera Vanina!

Ora la semplice tenerezza parlava nella voce, senza cautela. La sorella maggiore attir?? a s?? la minore, come per cullarla. Un arresto repentino della macchina le scroll??, le gett?? l'una contro l'altra. Vana s'accorse che il braccio d'Isabella le girava intorno alla cintura. Il groppo dentro le si sciolse per singhiozzi brevi e sordi. In quel punto ella non sent?? se non la sua disperazione e la sciagura sospesa nella notte funesta. Singhiozz?? pianamente, all'ombra della ghirlanda di rose gialle.

??? Povera povera piccola!

[122] E gi?? quella compassione indefinita pesava al suo orgoglio selvaggio. S'era appena allentato il nodo, e gi?? si restringeva, si raddoppiava, ridiveniva durissimo. ??Mi compiangi? per quale cagione? Sai tu forse di che io soffra? Non sai nulla, n?? quel che ho fatto n?? quel che far??. Mi compiangi perch?? mi schiacci, perch?? mi vinci, perch?? m'impedisci di vivere? Vedrai, vedrai??.

Nell'inferno del ferro e del fuoco le sirene ululavano come per le sere di nebbia in vicinanza dei porti irraggiati dai fari e appestati dal lezzo delle sentine. L'acredine era irrespirabile.

??? Vana, Vana, coraggio! Siamo in citt??, finalmente! Ti veglier??, ti addormenter??.

Le sirene tacevano. Squillavano le trombe. Una fanfara guerresca traversava le vie ondeggianti di bandiere, folte di popolo. Un grido sinistro s'iterava nel fragore: ??La morte! La morte!?? Da lungi, da presso un altro grido rispondeva: ??La vittoria! La vittoria!?? Uomini scapigliati, curvi da una banda come storpii pel cumulo di carta che gravava il braccio, correvano a gara gridando il nome della vittima e il nome del vittorioso, sventolando il foglio ancor umido d'inchiostro, ignobili, sozzi di schiuma, fetidi di vino. Ma la torre della Pallata, la Loggia, il Broletto, la Mirabella, i baluardi [123] del Castello visconteo, le vecchie pietre del Comune e della Signoria, ardevano di luminarie nell'assalito cielo. E tutta la citt?? prode, come al tempo dei Consoli e dei Tiranni, era piena di fragore, di ardore, di morte e di vittoria.

 

??? Aldo, ??? disse Isabella sommessamente, con una commozione grave nella parola, dopo una lunga pausa occupata dal giro tormentoso della profonda ruota a cui le vite segrete delle tre creature erano avvinte ??? Aldo, tu dovresti tornare a Montichiari stanotte, per vedere Paolo Tarsis, per chiedergli se abbia bisogno di te....

??? Bisogno di me?

??? Per dirgli che siamo con lui, che siamo col suo dolore.

??? Credi che questo lo consolerebbe?

??? Non so se lo consolerebbe, ma mi sembra che tu debba fare questo passo.

??? Che gli importa di me? che gli importa del mondo intero? Gi?? tu m'hai mandato una volta. Se tu lo avessi veduto, ora penseresti che ?? meglio lasciarlo solo.

Un aspro affanno travagliava l'adolescente, una sorta d'invidia ascetica verso la potenza di quel dolore, un'aspirazione tumultuosa verso [124] l'inaccessibile solitudine di quello spirito. Egli voleva tutto dalla vita. Tutto era dovuto alla sua giovinezza dalla bella fronte. Ogni spettacolo dell'altrui passione o dell'altrui piacere gli suscitava il rancore come per un privilegio che gli fosse tolto. Egli soffriva di ritrovarsi in quella vecchia stanza d'albergo ingombra di bauli, piena dell'odore languido emanato dalle vesti femminili sparse per ovunque, dai veli, dalle piume, dai guanti, dalle tante squisite cose vane; mentre laggi??, nella brughiera selvaggia, sotto il nudo ricovero, un vincitore vegliava il cadavere del suo compagno avvolto nel vessillo della gara e disteso sul letto da campo, con un dolore magnanimo che agguagliava quella tettoia d'abete e di ferro alla trabacca d'abete e di paglia costrutta dai Mirm??doni, ove portarono gli Achei la spoglia di Patroclo Act??ride.

??? Vuol esser solo. Ha congedato quelli che s'erano offerti di far la veglia d'onore per turno. Ha dato ordini brevi ai suoi meccanici. Ha fatto calare la barra. Quando io gli parlavo, mi guardava come se non m'avesse mai conosciuto.

N?? egli stesso l'aveva mai conosciuto. N?? mai gli era apparso tanto estraneo, tanto diverso, d'una razza tanto distante dalla sua, d'una statura tanto pi?? fiera. N?? mai aveva egli mirato da presso un dolore umano che somigliasse a [125] quello, che ingrandisse cos?? straordinariamente un mortale, che fosse non un affetto palpitante ma qualcosa di fermo e d'impenetrabile, una sorta di armatura senza fallo, una mole solida e intera scolpita in effigie d'uomo.

??? Se m'accompagni, io vado ??? disse repente la donna, guardando negli occhi il fratello con uno spasimato ardire.

Il cuore di Vana balz??. Ella era distesa sul letto, supina, con le palpebre socchiuse, con gli orecchi intenti; e lo sforzo dei suoi pensieri sollevava pesi enormi che le ripiombavano sopra.

??? Sei pazza ??? rispose Aldo con una pronta asprezza. ??? Credi ch'egli abbia bisogno di te?

??? E se io avessi bisogno di lui? ??? disse Isabella con una voce sommessa e pure imperiosa, ch'era come un colpo coperto.

Il fratello impallid??. Ella gitt?? un'occhiata al letto occupato dalla forma bianca e immobile. L'amore turbin?? dentro di lei, travolse tutto, esasperato dall'impedimento, infiammato da una gelosia insana contro quel grande dolore che usurpava il suo dominio. Perch?? Paolo non l'aveva cercata? non aveva tentato di vederla almeno per un minuto? non le aveva dato alcun segno? E perch?? egli aveva tenuta quasi nascosta quell'amicizia, s'era sempre studiato di non parlare dell'amico e di non mostrarlo, [126] come per una diffidenza oscura, come per una precauzione istintiva contro un pericolo o un maleficio? Quella gli era forse pi?? cara del suo amore? E l'amore era vinto dal lutto? forse offerto in sacrifizio all'Ombra fraterna?

La volutt?? e la crudelt?? di Mantova le rifluirono nelle vene. Ed ella riud?? le parole ambigue da lei dette nella stanza delle tarsie, nella cassa dorata del clavicembalo, quando Vana aveva chiesto il significato del numero XXVII; riebbe sotto le p??lpebre lo sguardo che aveva imposto la nuova attesa, consentito il termine memorabile.

??Domani, domani!?? ella pensava sconvolta come se a un tratto, dopo aver s?? crudelmente indugiato, non volesse pi?? attendere. ??Potrei fargli dimenticare il suo dolore? Conosce la mia bocca. Che far?? egli? Partir??? accompagner?? la salma del suo amico? non mi torner?? pi??? o quando???

Ora ella lo amava con tutte le forze della sua vita, perdutamente; e implorava dal suo amore una potenza senza limiti, una virt?? d'incanti. ??Entraste, come chi apre una porta e comanda a un estraneo: ??? Lascia tutto e vieni con me. ??? E non dubita dell'obbedienza??. Le si riaccendevano nella memoria le parole di Paolo dette su la via della morte, dopo la corsa folle contro il carro carico di tronchi. [127] E raccontava al suo cuore divenuto puerile: ??Ecco, ora vado al campo; m'accosto alla sua tettoia; separo le cortine e sporgo il viso. Egli ?? seduto accanto al letto funebre. Mi sente, mi guarda, si alza, cammina come un sonnambulo, si lascia prendere per la mano, dimentica tutto, viene con me, nella notte, nell'alba??.

Il fratello non aveva risposto, non aveva pi?? parlato. Facendo schermo della mano agli occhi contro la luce delle lampade, di sotto la mano guardava la sorella, considerava quel viso di delicata polpa che un sentimento misterioso modulava come un'aria sempre eguale e sempre diversa, quel viso d'anima e d'arte a cui un pensiero disegnava il mento il sopracciglio la gota e un altro cancellava il disegno per rinnovarlo con una curva pi?? dolce, con un'ombra pi?? eloquente, con un rilievo pi?? fiero. ??Perch?? mi ferisci? Perch?? mi ardi??? Ora quello era il viso stesso dell'amore, malato d'angoscia, simile a un fuoco che sotto la pioggia svenga e non si spenga. Era il viso della passione e della mag??a, con quegli occhi socchiusi per attirar l'invisibile, di sopra e di sotto vestiti dalle cupe viole delle palpebre che non velavano lo sguardo, perch?? anch'esse guardavano come in certe imagini del Cristo che, fisate lungamente, mutano l'ombra delle occhiaie in due pupille indimenticabili. Era il [128] viso della volutt?? e della crudelt??, con quella bocca atteggiata a mordere l'ambiguo dolore come uno di quei frutti pallidi che l'innesto fa sanguigni. ??Perch?? mi riapri la piaga???

Egli gi?? aveva attenuata di dubbii la subitanea divinazione del bacio selvaggio; aveva persuaso a s?? medesimo la possibilit?? d'essersi ingannato; s'era acquetato nella continua vigilanza. Ed ecco, ella confessava il suo amore, pi?? con quel suo viso muto che con le inattese parole; rompeva i ritegni; era pronta alla ventura. Gli ritorn?? nell'anima il gemito che l'aveva accompagnato nelle ambagi della ruina. ??Addio! Addio!??

S'udiva a quando a quando lo squillo d'una tromba, il fragore d'una ferrea corsa a traverso la notte, un fischio di richiamo, uno scoppio di voci violente. La citt?? era insonne.

??? ?? viva la madre di Giulio Cambiaso? ??? domand?? Isabella, con molta dolcezza, perch?? pesavano anche a lei le ultime sue parole. ??? Aldo, non sai?

??? Non so.

??? Se vive, chi le dir?? la sua sciagura?

??? Uno strillone brutale, sotto la sua finestra, all'alba, nel dormiveglia. Prima frantender?? il nome; poi l'anima sola, pi?? desta della povera carne, ascolter??. Non creder?? di avere inteso; ascolter?? anc??ra quella voce pi?? lontana, [129] che sar?? rauca d'acquavite. Nell'intervallo udr?? cantare la rondine sotto la gronda, come negli altri mattini. Senza sangue, senza respiro, vuota di tutto, nel buio della stanza, con gli occhi sbarrati, vedr?? lo spavento del giorno entrare per le fessure....

??? Ah, perch?? imagini quest'orrore?

Vana si lev?? a sedere sul letto, palpitante.

??? Vana, t'abbiamo svegliata? T'eri assopita?

??? S?? ??? rispose la piccola sorella, dopo un indugio, simulando la voce assonnata.

??? Sognavi?

??? Sognavo.

??? Non vuoi coricarti?

Vana si lasci?? ricadere sul letto come ripresa dal sonno invincibile.

??? Lasciami dormire cos?? anc??ra! ??? mormor?? con un profondo sospiro.

??? Anch'io muoio di stanchezza e di tristezza. Ora ti mando Chiara a spogliarti.

??? Dopo, dopo. Tu prima....

Mormorava interrottamente come affievolendosi nel sonno. Gi?? pareva dormire quando Isabella si accost?? al letto col suo passo lieve. Sent?? ella il profumo delle rose bionde che erano l?? presso a ravvivarsi in un vaso d'acqua. Si chin??, tocc?? appena con le labbra i capelli addormentati. Si ritrasse.

??? Va, rip??sati anche tu, Aldo ??? disse teneramente [130] al fratello, porgendogli la gota. ??? Anche tu hai l'aria d'essere molto stanco.

Egli fece l'atto di baciarla ma non la giunse.

??? Il broncio? ??? disse ella con un sorriso penoso.

Egli, ch'era per uscire, si volse e senza sorridere prese la testa di lei fra le sue mani, con un gesto appassionato; la inchin?? per guardare perdutamente il viso stesso dell'amore.

??? Aldo! ??? chiam?? ella con la voce rotta da un colpo sordo del cuore appesantito, sentendo il gelo delle mani fraterne.

Egli la lasci??, usc?? fuggendo. Ella si sofferm?? ad ascoltare il respiro della sorella. In quel punto la strada taceva, ma s'udiva un fragore lontano di carri. Imagini incoerenti si avvicendavano nel suo spirito e l'allucinavano. Quella del suo amico le riapparve difforme come nella spera convessa del fanale, col mostruoso torace decapitato, col pugno gigantesco nel guanto rossastro. Ben era sveglia, ma l'incubo premeva la sua stanchezza come s'ella gli soggiacesse supina. Una nera paura la occup??: le forze fatali della notte si precipitavano sopra di lei come per predarla. Verso quel triste letto d'albergo, ove tanti passeggeri sconosciuti avevano lasciato il calore e l'impronta, ella port?? il suo corpo carico di mille anime. Quando sedette dinanzi allo specchio e diede nelle mani [131] della cameriera le sue trecce strette come i torticci dei marinai, mir?? attonita la sua bellezza che le parve meravigliosamente maturata in quei pochi attimi all'ardore dei suoi mali. Quando i capelli sciolti la copersero contendendole la vista di quel volto troppo nudo, ebbe un senso di sollievo e di refrigerio come sotto un tremol??o di rivi.

Rimasta sola, Vana aveva spalancato gli occhi. Ora ascoltava, spiava. Tutti i pensieri tutti gli affetti cedevano al risveglio dell'istinto profondo: ella pi?? non era intesa al suo dolore ma al suo gioco scaltro, all'esito del suo accorgimento. Il fatto d'esser gi?? riuscita a eludere l'attenzione della sorella le dava, pur nell'angoscia, una specie d'allegrezza felina. L'astuzia le era agevole come il respiro, le sviluppava in tutto l'essere una energia facile e pronta. Ella era simile a una giovine fiera che, avendo penosamente valicato un terreno aspro e ignoto, rientri nel suo dominio di caccia, nella sua giungla o nella sua pampa natale. Sottilmente, provava in s?? le inflessioni ingannevoli delle parole ch'ella era per dire, le particolarit?? degli atti ch'ella era per compiere. Si guardava da ogni errore.

Aspett??, coricata sul fianco, rivolta verso il vaso delle rose, ch'era accanto al capezzale: ??E se Isabella fosse ripresa dalla smania di [132] andare? se ora si preparasse ad andar sola, o accompagnata da Chiaretta??? L'ansia rimescol?? tutte le doglie. Ella cerc?? in s?? un modo di opporsi a questo evento. Le pareva che ad ogni costo ella non dovesse desistere dal proposito; il quale omai le era divenuto come un comandamento dell'anima, a cui le fosse necessario obbedire sotto pena di un'oscura punizione. Bisognava che in quella notte ella si ritrovasse alla presenza di colui che aveva sognato con lei l'ultimo sogno; bisognava ch'ella deponesse ai piedi del cadavere il fascio di rose ancor vivo ond'aveva tolta quella del pi?? alto volo. La febbre delle sue imaginazioni aveva mutato in un legame misterioso le vaghe possibilit?? ondeggianti su quel colloquio tanto recente e gi?? tanto remoto. Il suo v??to funebre era come il v??to d'una fidanzata segreta. Ella aveva sorriso di s?? dicendo a s?? stessa, nella tettoia piena di rombo: ??Ora parte, ora vola; la rosa si sfoglia; e tutto finisce, tutto ?? dimenticato....?? Ma il genio della morte aveva raccolto lo stelo della rosa sfogliata; che nelle mani inviolabili era divenuto come un pegno fedele. Ella non sorrideva pi?? ma persuadeva a s?? stessa: ??Io sono la fidanzata segreta d'un'Ombra??. Solo il compagno superstite vegliava la spoglia sanguinosa; ma una sola creatura ??? dopo colui e dopo la madre ??? aveva [133] diritto alla visitazione estrema: quella che per portare un fiore aveva fatto tanto cammino. E il segreto favoriva il fervore del suo sentimento straordinario; ch?? ella aveva nascosto a tutti lo strano incontro, lo strano colloquio, aveva giustificata con un pretesto la sua scomparsa, aveva serbato il silenzio come sotto il suggello del giuro. E, nel punto dell'orribile schianto, era entrata anch'ella nel buio, era caduta gi?? senza conoscenza, aveva smarrita l'anima: l'anima aveva seguito il suo fidanzato segreto fino al limitare della morte. Non era forse vero, questo? non era vero? Udendo Isabella nominare la madre lontana, udendo l'atroce racconto di Aldo, col pi?? tenero suo strazio aveva pensato: ??Chi le dir?? la sua sciagura, se non io? Chi potr?? piangere con lei, se non io? Ho raccolto le ultime parole, l'ultimo sorriso, l'ultima dolcezza. Il suo compagno era gi?? in alto, allo sforzo. Il destino m'ha mandato a portargli un segno che io non sapevo, ch'egli non sapeva. M'ha riconosciuta. E ci siamo ricordati! Poteva esser dolce, quando voleva? Non so. La madre lo sa, che gli aveva fatto quei piccoli denti di fanciullo. Ma forse egli ?? stato cos?? dolce soltanto con me, in quel momento che per lui e per me non era simile ad alcun altro. Cominciavo a provare un tal bene che non sapevo andarmene, come se [134] mi sentissi le pastoie d'argento alle caviglie, quelle della piccola Indiana di Madura. Egli sorrideva, pareva un poco ebro o smarrito; e forse quella gentilezza non era ancor mai apparsa sul suo viso.... Ah, chi sapr?? parlare alla madre, se non io??? E s'era ridistesa col suo segreto.

Ora poteva un qualunque caso impedirle di sciogliere il v??to? ??Andr?? a piedi, sola; ritrover?? la via; mi protegger?? la mia disperata volont?? di giungere. E che dir?? a colui che veglia??? Tutto fu tumulto entro di lei, anc??ra una volta.

Chiara entr?? pianamente, s'accost?? al letto.

??? Vuole che La spogli?

Vana aveva gli occhi chiusi, il viso affondato nel guanciale. Si smosse con un sospiro lungo come un gemito.

??? Sono io, sono Chiara. Vuole che La spogli?

Vana parve lottare contro un sopore invincibile.

??? Ah, sei tu, Chiaretta? Isabella s'?? gi?? coricata? ??? chiese con una voce fioca di bimba sonnacchiosa.

??? S??, signorina.

??? L'hai spogliata?

??? Ho fatto tutto. Sono qui per Lei.

Vana non parl?? pi??. Parve ripiombata nel sonno. Come sent?? su la nuca la mano leggera [135] della donna che cercava di sganciarle il collaretto, mormor?? lamentosa:

??? No, lascia. Sono troppo insonnita. Lasciami cos?? anc??ra. Mi spoglier?? da me. Va a letto.

??? Rimanga pure distesa. Cercher?? di spogliarLa senza che si levi.

??? No, no. Lasciami, lasciami.

Ella s'agit?? infastidita; si rivolt??; riaffond?? il viso nel guanciale, fiottando. Chiara obbed??. Poco dopo, si fece un gran silenzio. Un'ora dalla mezza notte era gi?? passata. Bisognava osare senza indugio: bisognava escire dalla stanza, scendere a svegliar Filippo il meccanico, dare l'ordine in modo da ottenere l'obbedienza, partire con la vettura non dalla porta dell'albergo ma dalla rimessa. La pi?? piccola contrariet?? della sorte poteva compromettere l'esito. ??Isabella dorme? Aldo ?? forse andato fuori. Non ?? rientrato ancora? Se l'incontrassi per le scale! Mi crederebbe impazzita??? Il rischio eccitava la sua audacia febrile.

Fu pronta, col cappello, col mantello, col velo. Prese la cintura azzurra e la tagli?? alle estremit?? con due colpi di forbici: ne fece un nastro, l'avvolse intorno agli steli delle rose.

[136]

 

Paolo Tarsis vegliava senza lacrime la salma del suo compagno, nella notte breve: rotto il pi?? ricco ramo della sua stessa vita, distrutta la pi?? generosa parte di s??, menomata per lui la bellezza della guerra. Egli non doveva pi?? vedere in quegli occhi raddoppiarsi l'ardore del suo sforzo, la sicurezza della sua fede, la celerit?? della sua risoluzione. Egli non doveva pi?? conoscere le due pi?? candide gioie d'un cuore virile: il chiaro silenzio nell'assalto concorde, il dolce orgoglio nel proteggere il riposo del suo pari. Egli non vegliava pi?? il sonno della stanchezza, sotto la tenda cento volte piantata nel bivio del tradimento e dell'eccidio; ma aspettava la diana per chiudere in quattro assi un misero corpo, spezzato e dissanguato, una spoglia pi?? lacera che s'egli l'avesse ritolta ai becchi ingordi degli avvoltoi.

Non aveva pianto, non piangeva. Il grande dolore ?? come una congelazione repentina di tutto l'essere: comunica allo spirito la durezza e la trasparenza del pi?? alto ghiacciaio, e lo rischiara di quel lume adamantino che solo s'inarca sul picco inespugnabile. Egli era lucido e libero come non mai. Nulla d'estraneo rimaneva in lui; non lo turbava alcun desiderio. Stava nel mondo come una forza funesta. Considerava gli atti da compiere sospesi su la sua volont?? come decreti.

[137] A quando a quando si levava per guardare il buio, per indagare il piano verso la Colonna, l?? dove era stata infissa un'asta a segnare il punto della caduta. Vedeva talvolta rilucere le sciabole sguainate dei quattro cavalieri che custodivano la Vittoria. Era una notte umida ed elettrica. Lampeggiava senza tuono, dietro il Monte Baldo. Passavano soffii come aneliti; nuvole passavano come criniere in cui s'impigliassero stelle; gocciole cadevano larghe e tiepide come al principio d'uno scroscio, poi cessavano. Gli assioli cantavano su i pioppi. Un cane uggiolava in un casale. Cigolava un baroccio su la strada maestra. Era come una notte nota che ritornasse nel giro degli anni, di molto molto lontano.

Egli si volgeva; e rivedeva il cadavere composto sul letto da campo, avvolto nella rascia rossa del guidone, con intorno al capo il drappo nero accomodato a celare il taglio della tempia, la frattura dell'occipite. Rivedeva quell'alta sembianza di asceta avventuriere, quell'ottima struttura ligure prodotta da una stirpe di navigatori e di statuali, fine come certi ritratti gentileschi di Antonio van Dyck che splendono nell'ombra dei palazzi genovesi, soffusa d'un oro fumoso che gi?? s'infoscava intorno alle narici e alle palpebre, ancor pi?? nobile e pi?? fiera sotto il drappo lugubre che dava imagine [138] della berretta di panno quadrilatera dalle gronde pendenti, simile a quella portata dal Doria, insegna degli antichi almiranti.

Quattro ceri, del duomo di Montichiari, ardevano agli angoli del letto. Curava le fiammelle un marinaio addetto al servizio dei segnali, un siciliano di Siracusa, che aveva gi?? servito sotto gli ordini di Giulio Cambiaso in una torpediniera d'alto mare. Questi medesimo, alcune ore innanzi, aveva issato su l'albero il disco bianco della vittoria.

??? Chi viene? ??? si domand?? Paolo Tarsis, udendo lo squillo della cornetta e il rombo energico approssimarsi.

Dalla tettoia attigua, a traverso le cortine, gli giungevano i rumori discreti d'un lavor??o cauto e diligente. A un tratto l'ombra d'un artiere s'ingigantiva su la tela, levando un braccio smisurato fino alle travi col gesto di chi schiaccia; poi si rimpiccioliva, scompariva. I sibili della pialla, gli stridori della lima, i colpi del martello s'attenuavano nella reverenza della morte.

??? Chi viene a quest'ora? Va e vedi, Cingria ??? disse egli, aspro, udendo la vettura fermarsi davanti ai cancelli.

Come il marinaio usc??, gli balen?? sul rigore dell'animo il pensiero che potesse a un tratto apparirgli Isabella. E non ebbe se non la volont?? [139] rude di vietarle il varco, d'impedire ch'ella ponesse il piede nel luogo funebre. E ripens?? il commiato ch'egli aveva dato al compagno nel riconoscere di lontano il passo ondeggiante della tentatrice; ripens?? il rinnovato saluto e l'indugio esitante e le parole non proferite e la misteriosa tristezza.

??? Una persona velata domanda di Lei ??? disse a bassa voce il marinaio rientrando.

??Isabella??? Egli le si fece incontro, all'aperto. Travide nell'oscurit?? una forma feminea. Il cuore gli si contrasse. Ma, come pi?? si appress??, nell'aria il suo sangue prima di lui sent?? che non era quella. Chi era? Forse una creatura ignota che recava all'eroe una testimonianza d'amore e di piet??? una donna gentile che di nascosto veniva a implorare la grazia di rivederlo? Lo tocc?? il profumo delle rose nell'ombra.

??? Sono Paolo Tarsis, eccomi ??? egli le disse inchinandosi, con quella strana voce da cui ogni calore s'era ritratto. ??? Che posso fare, signora?

??? Perdonarmi, perdonarmi. Sono io, sono Vana.

Soffocatamente aveva parlato ella, sollevando il velo di sopra la faccia come di sopra a una piaga viva; ch?? la vita batteva in quel poco di nudit?? come l?? dove il male imperversa.

[140] ??? Voi, qui, sola? e come? Che mai accade?

Con gli occhi abituati all'oscurit?? nella corsa notturna, ella lo scorgeva sul fondo illuminato delle tende chiuse, lo vedeva bene; lo divorava, si saziava di lui come se fosse giunta ad essergli vicina dopo un'attesa interminabile. Tutto quel che era dietro, nella notte, ora le pareva sogno confuso; s'esalava il fervore del v??to; la volont??, tesa cos?? terribilmente fino a quel punto, s'allentava, s'annientava. Ella aveva un desiderio mortale di prendergli le mani e di baciargliele, e poi di lasciar cadere a terra le rose e s?? stessa perch?? egli passasse sopra.

??? Vi dir??.... Lasciatemi respirare.

Alenava come se fosse venuta trascinandosi per la via.

Che cosa era per dirgli? Tante parole gli erano nate nell'anima, durante la corsa, ed ella le aveva custodite per proferirle. Ma non le ritrovava.

??? Come siete venuta qui, sola? Qualcuno ?? l??, che v'ha accompagnata?

??? No, nessuno: Filippo.

??? Ma che accade mai? Parlate dunque.

??? Vi dir??, vi dir??.

Ella voleva dirgli: ??Sono venuta perch?? non potevo pi?? vivere un'ora senz'aver guardato quel che il dolore ?? nella vostra faccia??. Ella cerc?? le altre parole, quelle del sogno dileguato, quelle [141] che bisognava ritrovare e proferire, quelle che i fiori tra le sue mani sapevano e volevano.

Ella ebbe una voce sconosciuta, come quei flutti del fondo che portano al lido le cose obliate della Sirena scomparsa.

??? Io sono la fidanzata segreta di colui che ?? l??, dietro quelle cortine, senza vita.

Paolo sent?? una vena di gelo salire nel suo gelo. Credette che quella fosse la voce della foll??a; e lo sgomento e la piet?? lo strinsero. Egli si chin?? a guardare pi?? da presso il povero viso insensato. Tutta la notte gli parve piena di sciagura.

??? Queste rose bisogna che io le deponga su i suoi piedi congiunti. Per ci?? sono venuta.

Lampeggiava senza tuono dietro il Monte Baldo.

??? Oggi le avevo alla mia cintura. Sono entrata l??, mentre mia sorella era con voi; sono entrata all'improvviso, non so perch??, nel vento dell'elica.

Passavano soffii come aneliti.

??? Parlavamo di voi, ed egli mi ha detto quel che l'indovino di Madura aveva presagito: a entrambi la stessa morte.

Nuvole passavano come criniere in cui s'impigliassero stelle.

??? E poi s'?? ricordato di me, s'?? ricordato [142] della giovine Indiana ch'era presso il banco del mercante e che si volse verso voi due, mentre comperava la ghirlanda di rose gialle.

Gocciole cadevano larghe e tiepide, come al principio d'uno scroscio.

??? Ha detto che quella mi somigliava. ?? vero? Ha chiuso gli occhi per rivederla viva; li ha riaperti per rivederla pi?? viva. Io ero dinanzi ai suoi occhi. E m'ha detto che, quando quella si mosse, una rosa le cadde gi?? pel suo panno azzurro. ?? vero?

Le gocciole cessavano.

??? E m'ha detto ch'egli si chin?? lesto per raccoglierla ma non riusc??. ??Eccola?? io gli ho gridato allora, spiccando una rosa dalla mia cintola azzurra.

Gli assioli cantavano su i pioppi.

??? Ed egli l'ha presa e m'ha detto: ??Veramente viene di Madura? Ha fatto tanto cammino? ?? la prima volta che porto un fiore nel cielo. Crede che sia leggero? Forse pesa quanto un doppio destino. Lo porter?? in alto in alto??.

Un cane uggiolava in un casale.

??? E poi l'orrore, e poi la morte orrenda! Quando voi l'avete preso nelle vostre braccia, portava anc??ra sul petto insanguinato la rosa di Madura, la mia rosa? Ditemi, ditemi!

Ella ora sentiva d'avere attirata a s?? l'anima di quell'uomo con quell'incantamento, ella ora [143] lo vedeva ansioso e attonito. Ed ecco, il fervore che s'era esalato, si riaccendeva in lei; il sogno che s'era dileguato, la rioccupava tutta; ch?? quel fervore e quel sogno la avvicinavano al cuore solitario pi?? che una parola d'amore, la vestivano di fatalit??, la rendevano misteriosa e potente.

??? Ditemi, Paolo!

??? Non so, non ho veduto; non era possibile.

Un tremito nuovo entrava nella rigidezza del suo dolore, e ignote figure nascevano dalla sua superstizione e scomparivano pei cammini dove egli aveva camminato col suo fratello e per quelli ov'egli doveva camminar solo. E straordinarii disegni si componevano dentro di lui, senza ch'egli vi consentisse; e poi si dissolvevano. E un presentimento ondeggiava nel fondo e non prendeva forma; e pareva a lui che, se avesse potuto fermarlo e interpretarlo, avrebbe avuto la chiave della sua sorte. Qualcuno in lui ascoltava tutti i rumori e li seguiva fino all'estremo fondo della vita. Gli assioli cantavano su i pioppi. Un cane uggiolava in un casale. Cigolava un baroccio su la strada maestra. Era come una notte nota che ritornasse nel giro degli anni, di molto molto lontano.

??? Almeno lo stelo ?? anc??ra l??, forse ??? disse la vergine oscura sommessamente. ??? Chi sa chi primo ha messo le mani sopra lui!

[144] E fece un passo verso la cortina soffusa d'un chiarore vacillante.

??? Volete entrare? ??? le chiese il trasognato.

Ella sollev?? nelle sue mani il fascio delle rose.

Camminarono l'una a fianco dell'altro. Come furono sul limite e Paolo fece l'atto di scostare i lembi, ella si strinse contro di lui con un sussulto di terrore. Egli la sorresse e la sospinse. Entrarono.

Allora ella vide davanti a s?? vacillare le quattro fiammelle funeree in un'ombra vacua. La tettoia, ch'ella ricordava occupata dall'apertura delle ali bianche, le sembr?? d'una vastit?? spaventosa e sotterranea come quella d'una catacomba. ??? Dov'era il grande angelo abbagliante che si dibatteva sotto le travi? ??? Chiuse gli occhi, vacill?? come le fiammelle, abbandonata dalla forza, incapace di dominare il suo sgomento. E sentiva le mani di Paolo che la reggevano; e desiderava di non pi?? rinvenire ma di perdersi in lui.

??? Vana! Vana!

Egli la scoteva lievemente, la chiamava a bassa voce. Ed ella nell'udire il suo nome, proferito cos?? da quel dolore, fu compresa d'una dolcezza tanto divina che cominci?? a piangere senza singhiozzi. Ed egli ebbe care quelle lacrime silenziose che bagnavano la sua aridit?? [145] come se il pianto fosse pianto dentro di lui. E da una lontananza infinita gli tornarono nel cuore antiche parole, ben note, d'un compagno allo spettro d'un altro compagno: ??Ma pi?? da presso mi vieni, ch?? un poco, abbracciandoci insieme l'uno con l'altro, possiamo godere del pianto di morte!??

Allora anch'ella am?? d'un amore sublime l'esanime perch?? egli lo amava; e lo guard?? a traverso le lacrime, e lo vide composto in una bellezza ch'ella non aveva veduto sul volto vivente, e lo ricevette nella profondit?? della memoria per custodirlo; e fu vedova dell'Ombra.

La forza era venuta in lei; che non era quella di lei fuggita, non era la sua ma delle mani che la sorreggevano, del cuore che le stava da presso. Fece qualche passo, tese il fascio dei fiori, lo depose su i piedi congiunti e avvolti nella fiamma rossa. Ella sentiva che ogni sua lacrima, ogni suo gesto erano dolci al dolore virile, e che la sua verginit?? la faceva degna d'accostarsi alla morte.

Disse, estinguendo lo spirito della voce:

??? Sento che lo stelo della prima rosa ?? ancora l??, sul suo petto.

L'uomo cess?? di sorreggerla; s'avanz?? verso il fianco della salma; esit??. Ella rimase in piedi, rigida, udendo i colpi del suo cuore sotto le sue calcagna; e vedeva tra le labbra livide dell'esanime [146] i denti piccoli e puri di fanciullo. Come la mano del compagno si lev?? tremante, ella lo guard??; e le parve che i due volti in quel punto avessero il medesimo pallore. E la paura del presagio la prese cos?? forte ch'ella appena contenne l'impeto cieco di gettarsi sopra il superstite per trattenerlo con le sue braccia all'orlo dell'abisso. Ud?? sibilare la pialla, stridere la lima, battere il martello, con un'attenuazione di sogno, dietro la cortina stessa ch'ella aveva varcato nel vento dell'elica.

La mano tremante scost?? con infinita cautela il lembo del drappo che copriva il petto immobile; trov?? lo stelo e il calice sfogliato.

Allora tutto divenne misterioso come un rito. Vana cadde in ginocchio, con la fronte contro il ferro del letto mortuario. La sua preghiera era per il suo dio; ma la sua imaginazione poneva dietro le sue spalle, laggi??, nell'angolo buio, dove biancheggiavano i rottami funesti, i due idoli enormi di pietra sepolti sotto le offerte e l'indovino dalla testa rasa che masticava le foglie di betel. Sinistri le giungevano i rumori dell'opera invisibile, a traverso la cortina rischiarata su cui passava a quando a quando l'ombra gigantesca d'un gesto ripetuto. Ella pens?? che i costruttori d'ali costruissero coi medesimi arnesi la cassa pel cadavere. A un colpo pi?? forte, sobbalz??, si lev??.

[147] ??? Che fanno? ??? chiese sbigottita, ravvicinandosi a Paolo ch'era assorto nelle cose inesplicabili.

??? Riparano un'ala.

??? Quale?

??? La mia.

Poich?? il marinaio s'era ritratto, le fiammelle dei torchi non vigilate fumigavano e le gocciole della cera gocciolavano su le padelle dei candelabri con un gemit??o sordo. L'aria si faceva pi?? scura e pi?? grave, tra sbattimenti rossastri.

??? Perch?? la vostra?

??? L'ho rotta urtando col lato sinistro il terreno nella discesa troppo rapida.

Egli trasse Vana verso la cortina, per il bisogno subitaneo d'un sorso di luce. Ella bisbigliava, trepida.

??? Di qui mi sono intromessa, quando l'elica agitava la tela e la polvere.

Si sporsero, in un barbaglio bianco. Una vita ardente ed esatta animava la tettoia costellata dalle lampade elettriche. La grande ??rdea ferita occupava tutto lo spazio. Gli artieri attendevano a riparare l'armatura sostituendo le c??ntine di frassino e i ferzi cuciti a sopraggitto. Inserivano le verghe, tesavano i fili, imbullettavano i vivagni. Come la remigante del rondone scorciata o rotta si racconcia e si raddrizza da s?? pel vigore elastico della sua stessa [148] vita, cos?? rapidamente l'ala dell'uomo si ricostruiva per un prodigio di fervore operoso nella notte breve.

??? E perch?? tanta febbre? Fanno la nottata perch??? ??? chiese Vana guardando il vincitore doloroso con i suoi occhi inquieti e gi?? supplichevoli.

??? Per esser certi di riuscire in tempo, per esser pronti nella mattina.

S'erano rivolti insieme verso l'ombra squallida, verso le fiammelle funeree, verso la vuota vastit?? ove biancheggiava a terra lo sfasciume miserabile.

??? Perch??? ??? chiese ella con uno spavento che le stravolgeva tutta quella povera faccia estenuata dalla passione e dalla stanchezza.

Gli occhi erano fisi in lui e nella risposta, con una intensit?? cos?? atroce che gli fendevano l'anima alle radici come gi?? gli occhi aperti del compagno ucciso; e, come per quelli, veniva alle sue mani l'atto istintivo di chiuderli, di ricoprire con le palpebre e con le ciglia uno sguardo che poteva essere eterno. Fece un gesto vago, ma non rispose parola.

??? Perch??? ??? chiese ella anc??ra, non creatura di carne ma spirito d'angoscia disumanato, come distrutta dalla violenza del suo sentimento, simile a quelle volute di sabbia sospese un istante su le spiagge ventose.

[149] Parlava con bassissima voce, l?? dove il silenzio era suggellato.

??? Non debbo io salire dov'egli ?? salito? rifare la sua via?

Cos?? piano aveva parlato egli in altre notti di sosta, per non risvegliarlo.

??? Ah, no, non farete questo! Vi supplico, vi supplico, per quel capo spezzato, per quel viso senza sangue, per quelle labbra che non vi hanno detto addio! Ah, giuratemi che non lo farete! Ascoltatemi! Io non son nulla, non sono nulla per voi; ma la sorte ha voluto che io raccogliessi l'ultimo suo sorriso, l'ultima sua dolcezza. Che questo mi valga, che questo solo mi valga, non per esservi cara ma perch?? non vi sdegniate se oso supplicarvi. Ascoltatemi! Ho l'orrore dentro di me.

L'orrore del presagio la riempiva di visioni e di grida; ma le grida gridavano dentro di lei, e la sua voce non era se non un'ambascia appena udibile. Tutta la riceveva egli nel profondo petto, la nascondeva quivi.

Le prese le mani, la trasse con lieve bont?? verso l'aria aperta, verso la notte gi?? forse impallidita. Le parlava con l'accento persuasivo che consola le pene puerili.

??? No, Vana, non bisogna sbigottirsi cos??. Nulla accade, nulla accadr??.... Forse l'ala non sar?? pronta, certo non sar?? pronta.... Pace, pace, [150] piccola buona. Siete senza riposo. ?? l'ora di partire. Fra poco albeggia. Come siete venuta? Qualcuno lo sa? vi aspetta?

Ella scoteva il capo, senza guardarlo; ch?? di sotto l'ambascia una felicit?? sorgeva pi?? difficile a portarsi che qualunque pena. Egli la teneva per mano, la consolava, la chiamava ??piccola buona??! Perch?? non poteva ella nascere da quella parola, morire di quella parola? Perch?? doveva tornare laggi??, rientrare di nascosto nell'orribile stanza, trovare forse su la soglia quella ch'ella aveva elusa, anc??ra lottare, anc??ra ingannare, anc??ra vivere di fuoco e di veleno? ??Ah, mio amore, mio amore??, diceva la sua felicit?? disperata ??lasciatemi anc??ra qui, tenetemi con voi anc??ra un poco, anc??ra un poco! Ch'io resti qui nell'ombra, nell'afa della cera e della morte, ch'io non vegga l'alba su le colline, ch'io non mi separi da voi sotto l'ultime stelle, ch'io non sappia che un altro giorno incomincia senza di voi, mio amore! Non ho pi?? forza, muoio di stanchezza. Lasciatemi qui, in un angolo, vicino a quei rottami. Nessuno mi vedr??. Sar?? come quegli stracci di tela, quieta, senza respiro. Solo vi domando che mi ripetiate quella parola. E metter?? il braccio sotto il capo, e il braccio e il capo e tutta me appogger?? su quella parola; e cos?? chiuder?? gli occhi chiari, che sono chiari come [151] i vostri; e mi addormenter??. E non mi sveglier?? pi??, se voi non mi svegliate, mio mio amore??.

Prima di porre il piede fuor del luogo santo, prima ch'egli la precedesse, ella si volse indietro a riguardare il rude letto da campo, la pace scolpita nel viso altiero, il corpo rigido nella rascia sanguigna, le rose posate su i piedi congiunti. E si chin??, e si fece il segno della croce.

Ma, quando la tenda ricadde ed ella vide a un tratto la notte con tutte le sue stelle tremolare sotto la prima onda argentina, la vena del pianto si riaperse. Ella si sofferm?? nell'affanno. Le ginocchia le si scioglievano, tutti i nodi in lei si disnodavano. Poich?? il suo amore le stava da presso, ella gli si pieg?? sul petto, senza singhiozzi piangendo, quasi che l'intera sua vita si compisse in quell'atto, quasi che quella vena dal fondo della sua culla scendesse a quella china. Ed era come il rivo che fluisce sotto il macigno, senza farsi udire.

 

Paolo Tarsis aveva conosciuto le catene dei pi?? ardui monti, i corsi delle pi?? vaste acque, e i deserti di sabbie i deserti di pietre i deserti di sterpi; e l'ombra dei paesi ardenti [152] che sembra nera e, quando l'occhio vi penetra, ?? chiara come un'altra luce; e le pi?? diverse generazioni d'uomini su le pi?? diverse vie con le loro some, con le loro armi; e le razze intorpidite che vivono sonnecchiando addosso ai vecchi muri, col mento su i ginocchi; e le dominatrici che vivono sempre in piedi agitando il mondo con la frenesia della loro forza; e gli alti fuochi vulc??nii che creano i fiumi di ferro colante nelle citt?? novelle, e gli scarsi fuochi solitarii alimentati col fimo secco del bestiame; e la polvere stupenda sollevata dai grandi movimenti umani, e le azioni che dormono nei popoli come il feto rannicchiato nel conio materno. Aveva veduto per ovunque nascere quelle strane figure di cui parla il Mistico, quelle figure che si generano dagli eventi e dagli esseri sotto la deit?? del Caso, misteriose come gli screzii nei marmi, i poliedri nei cristalli, le stalattiti negli antri, i gruppi della limatura intorno al magnete, i rapporti tra il numero degli stami e il numero dei petali nei fiori.

Volont?? militante, usa a maneggiare la materia e a possederla, egli s'era anche avventurato in quei confini ov'essa par finire; e sapeva quel che le labbra non possono esprimere, quel che gli occhi non possono accennare. L'enigma delle Pause, inscritto nell'oro e nell'azzurro dello scrigno [153] estense, egli l'aveva letto su pareti di granito. Per ci??, dispregiatore di tutte le abitudini, egli serbava quella del silenzio e quella dell'attenzione.

Un giorno, nell'isola di Sulu, egli e il suo compagno erano a cavallo con una torma di cavalieri americani. Ed ecco, di lontano videro avanzarsi verso di loro un uomo vestito di bianco, che brandiva un lungo coltello scintillante. Era uno di quei fanatici maomettani che gli Spagnuoli chiamano juramentados, missionarii selvaggi che vengono a traverso l'Asia partendosi dall'Arabia, dal Bokhara, dal Turkestan, valicando tutta l'India a piedi e quindi il Malacca e quindi in piroghe il mare fino all'isola di Borneo, invasati di passione feroce, ebri di scongiurazione, non d'altro bramosi che di versare il sangue cristiano. E colui s'avanzava per la gran piazza orrida di sole, incontro ai cavalieri, col suo coltello in pugno, con in cuore la sua volont?? di uccidere. Una scarica di piombo lo invest??. Non cadde, ma continu?? ad avanzare verso la vittima. E Paolo Tarsis vide che quelle pupille inflessibili lo fisavano. Una palla colp?? il demente nel cranio raso. Prima di cadere egli scagli?? il coltello contro il designato. Con atto fulmineo due sproni entrarono nella pancia d'un cavallo che s'intravers??, s'impenn??, ricevette nel petto la lama [154] acuta. Giulio Cambiaso arcato in sella teneva la sua gota contro la criniera.

Ora, non nella memoria della mente ma in una memoria ben pi?? profonda, il superstite confondeva la testa rasa del pellegrino con quella dell'indovino e, in un sentimento d'infinita lontananza, la fatalit?? del coltello con quella della rosa. E tutto era comunione e legame, in un luogo della sua vita inesplorato. E mistica nel supremo cerchio dell'anima era l'eco di quella dimanda: ??Ha fatto tanto cammino???

L'atto ch'egli era per compiere al conspetto della folla era un atto di silenzio, un atto religioso, comandato da una necessit?? interiore ch'egli non indagava ma che nessuna forza di persuasione avrebbe potuto abolire. Andava egli incontro al presagio? sfidava la morte? sperava nella morte? Non v'era in lui n?? l'ansia del presentimento n?? l'eccitazione della prodezza; s?? v'era una pacata potenza di dolore e di attesa come s'egli andasse a un alto colloquio desiderato dalla cara Ombra fraterna. Egli sentiva in s?? quello stupendo gelo che accompagna la volont?? di l?? dal limite noto, quando sembra che l'anima si muti in un monte di rigido diamante e non lasci vivere sul suo culmine aguzzo se non un solo pensiero aquilino.

Ma l'apparenza era semplice e netta, come un dovere soldatesco. Inscritto nella gara, egli non [155] si ritraeva. Resi gli onori funebri al suo compagno, egli tornava sul campo. Compiuto il gioco, avrebbe nella notte scortato la salma fino al Cimitero di Staglieno.

Quando l'??rdea con l'ala ricostrutta esc?? dalla tettoia, la folla ammutol?? come il giorno innanzi: uno straordinario brivido la corse in un attimo tutta quanta come un sol corpo vertebrato d'una sola spina.

Era un pomeriggio nemboso. La giovine Estate combatteva nel cielo come un'Amazone maschia lanciando i suoi stalloni bianchi e leardi, scagliando le sue saette d'argento e d'oro. Le nuvole si scomponevano e si ricomponevano, si diradavano e s'incalzavano come nella zuffa le torme della cavalleria peltata. All'improvviso una pioggia chiara e sonora dardeggiava brevemente, tra sprazzi diritti di raggi. Il tuono rimbombava cupo dietro una collina carica d'acqua plumbea. Uno squarcio d'azzurro s'apriva come una tregua.

Bagnata dagli scrosci la Nike di bronzo su la svelta colonna era verde come la fronda del lauro, glauca come la foglia dell'oleastro. Molte corone pendevano intorno all'asta infissa nel terreno consacrato dal corpo infranto dell'eroe ic??rio; pi?? altre, coprendo in giro l'erba che aveva bevuto il buon sangue, formavano un'aiuola gloriosa.

[156] L'elica romb?? nel silenzio, come gi?? quella funesta. Il volatore intese l'orecchio all'unisono delle sette voci. Il tono era eguale e possente. Rapita dalla veemenza l'??rdea si lev?? nel nembo, piena di fato come l'airone di cui portava il nome, sorto dal lutto della rocca in ruina.

S??bito conquist?? la solitudine, fu aerea nell'aria, lucida nella luce. ??Riconosco la sua via??? chiedeva a s?? stesso il superstite credendo sentire sparsa nello spazio la santit?? che gli s'adunava nel cuore. ??Riconosco il solco del suo fuoco???

Non quando nelle sue mani intormentite dalla lunga fatica egli aveva sollevato il capo del compagno gi?? grave di grumi, non quando aveva preso nelle sue braccia il corpo inerte sentendo le ossa cedere orribilmente, non quando lo aveva avvolto nella ruvida porpora e composto sul letto di guerra, n?? quando per tutta la notte aveva contemplato in lui la bellezza abbattuta della sua propria vita, n?? quando aveva ascoltato in s?? stesso piangere il pianto della vergine oscura, non mai non mai l'Ombra gli era stata presente come in quell'ora. Egli la sentiva tra l'una e l'altra ala, simile a uno spirito del vento, simile a un pilota invisibile che gli segnasse la rotta e gli mostrasse l'altura.

Ma, quanto pi?? egli saliva, quanto pi?? egli [157] lottava, tanto pi?? gli si rivelava quella presenza animosa, ??Dove giungesti? dove fermasti il volo? dove ti raggiunse il soffio mortale? anc??ra pi?? in alto? Tutto ?? scomparso. La terra ?? una nuvola pi?? opaca. ?? nostro il cielo??. Vivido e torbido come una giovent?? impaziente era il cielo. Un riso indocile vi correva, or s?? or no, a scrosci, a sprazzi. Le righe della pioggia v'eran tiepide come i raggi; gli sprazzi del sole v'eran freschi come la pioggia, a volta a volta; i vapori vi si laceravano come gli orli delle tuniche sotto i piedi che danzano. Il nembo danzava con proterva allegrezza fra i tuoni. La nuvola immobile della terra era piena di delirio, era piena d'un clamore che non s'udiva nel cielo. La potenza eroica crosciava su la moltitudine remota come un nembo mille volte pi?? forte. Non la Nike soltanto ma tutta la gloria della stirpe era alzata su la colonna di Roma. Ch?? le miriadi delle pupille avevano veduto anche una volta su l'albero il segno del limite superato!

??Anc??ra pi?? in alto??? chiedeva l'eroe al suo pilota invisibile. Di l?? dagli schermi di metallo guard?? l'indice incerto. E il cuore gli trem?? d'un tremito nuovo, d'un tremito che per la prima volta moveva l'essere umano.

Non rotava egli entro l'ultimo cerchio toccato dal compagno nel volo? Gli trem?? il cuore [158] profondo. Abbandon?? il timone d'altura. Le ali si librarono senza pi?? salire. L'Ombra gli stette a viso a viso, gli respir?? nel respiro, fu pi?? viva di tutte le cose che vivevano nel combattuto silenzio, fu pi?? viva del suo proprio dolore. ??Non ?? questo il tuo punto? Anc??ra tu volevi ascendere, anc??ra pi?? in alto volevi portare il fiore della tua ebrezza, quando il colpo tacito ti spezz?? l'impeto e t'oscur?? l'ardire. Non mi chiamasti? Non mi cercasti con gli occhi pel vuoto? Ecco, ora sono con te dove tu fosti solo??.

E il cuore gli trem?? perch?? v'era nato il pensiero d'andare pi?? oltre.

??Tu vuoi? Tu vuoi??? Il desiderio eroico aveva assunto l'aspetto dell'Ombra, ed egli l'interrogava. E con una meravigliosa ansiet?? attendeva la risposta del suo desiderio larvato. E certo non avrebbe egli voluto andare pi?? oltre se gli fosse riapparsa l'imagine del corpo disteso sul letto, del corpo rinchiuso tra le assi inchiodate; non avrebbe egli voluto strappar la vittoria al supino. Ma egli sentiva sopra s?? la presenza raggiante, una immortalit?? incitatrice. ??Tu vuoi???

E il cuore gli trem?? perch?? dentro vi cresceva il pensiero d'andare pi?? oltre.

E, mentre egli rotava nel limite librandosi su le ali adeguate, scorse un fantasma celeste, una [159] tenue larva lucente, una labile apparenza spettrale che si colorava di sangue, d'oro, di viola, ???? il tuo segno???

E lo spettro s'incurv??, s'ingigant??, abbracci?? lo spazio tra nube e nube, incoron?? il nembo, arco di trionfo brill?? di sette zone.

Era l'Iride.

E il superstite, portando su la cima del suo coraggio l'immortalit?? del dolore, sal?? di l?? dalla vittoria.

[161]

LIBRO SECONDO.

[163]

 

??? O Lunella, mia Lunella,

oggi di che ti sovviene?

Che d??i tu alla sorella

che ti fa la cantilena?

Che le d??i per la sua pena?

Qual de' sogni tuoi le porti,

che ti nevicano dal cuore?

Oh raccontami le tue storie

con le forbici tue lucenti,

fin che tu ti rammenti,

fin che io non mi scordi!

Lunella accompagnava col cenno del capo chiomoso la rimatrice improvvisa, mentre gli occhi cigliuti color di nocci??la le rimanevano serii e il sorriso le schiudeva appena appena la [164] bella bocca imbronciata come quella di Antinoo. Aveva in mano un foglio di carta bianca, e dentro v'intagliava figure con un par di forbici sottili. Ella era seduta sul murello tondo che cerchiava il tronco del leccio patriarcale, nel giardino degli Inghirami; e Vana le stava da presso, inginocchiata su l'erba sparsa di piccole ghiande vaie, con lo sguardo fisso all'opera incantevole. Di l?? dal tetto del palagio, di l?? dai vecchi embrici chiazzati di gromma, sorgevano le torri fulve e bige di Volterra nell'ardore di luglio. I balestrucci a stormi tessevano e ritessevano l'azzurro tra il Duomo e la Rocca.

??? Se tu mi canti anc??ra, ti fo una gatta coi suoi gattini ??? disse la bimba distaccando con la punta delle forbici la figura intagliata nella carta e lasciandola cadere nel grembo di Vana. ??? Se no, smetto.

??? O Lunella, o tirannella,

aquiletta senz'artiglio,

se tu s??mini il bianco

io raccoglier?? il vermiglio.

Se tu sei come il giglio,

sar?? come l'amaranto.

Accompagnami il mio canto

coi tuoi bianchi sogni lenti,

coi tuoi torvi occhi assorti,

fin che tu ti rammenti,

fin che io non mi scordi!

[165] Cos?? Vana giocava con la sua pena ritrosa e con la sua sorellina scontrosa, ginocchioni su l'erba, facendo balzare come le murielle dalla palma sul dorso della mano e dal dorso nella palma le piccole ghiande lucide sgusciate fuori delle lor cupole secche. Dalla punta delle forbici caddero intagliate in profilo le minuscole imagini con disegno cos?? scaltro e cos?? netto che parevano condotte non di memoria ma su l'ombra del vero.

??? Oh, come sei brava! ??? esclam?? Vana prendendole fra le sue dita e ammirandole sul fondo dell'erba corta.

La grazia dell'infanzia felina v'era colta in contorni e scorci d'un'arditezza e d'una giustezza degne di mano maestra, proprie a quei vecchi pittori dell'Estremo Oriente che con l'esile pennello volante traducevano su i lunghi rotoli di carta serica i pi?? freschi movimenti della vita animale.

??? Se tu mi canti anc??ra, ??? disse la salvatichetta ponendo la punta delle sue forbici magiche all'orlo d'una carta vergine ??? ti fo la Chioccia d'oro coi suoi tredici pulcini, che ?? in fondo al Monte Voltraio ma nessuno l'ha mai veduta. Se no, pi?? niente.

??? Tirannella, tirannella,

fammi un'ala per volare,

ch'io m'involi da Volterra,

[166]

dalle Balze fino al mare!

Ma se l'ala non puoi fare,

fammi un altro incantamento

con le tue dita di fata,

per la pallida contrada

ch'io somigli ai dolci Morti,

fin che tu ti rammenti,

fin che io non mi scordi!

L'artefice puerile anc??ra seguiva l'assonanza col lieve cenno del capo, ma era tutta intenta alla chioccia del Monte Voltraio, un poco aggrottando gli occhi che Vana aveva chiamati torvi, serrando la bocca broncia, tutta nell'ombra della capelliera ch'era sciolta e folta come quella d'un angelo del Melozzo, violetta come un penzolo d'uva rinaldesca. Sopra lei stormiva il Leccione al maestrale del pomeriggio, movendo la fronda cupa su le nove braccia nodose e rugose che si protendevano dal tronco int??gro. I nocchi, le giunture, le screpolature, le cicatrici delle potature e degli schianti, tutti i segni dell'alta et?? e della lunga guerra facevano venerando l'albero come lo stipite d'una gente indomita. Tanto pervicace era il suo vigore a traverso i secoli, che il suo fogliame appariva in rigoglio come quel d'un giovine lecceto maremmano sul cocuzzolo d'un poggio; ma la sua corteccia era ferrigna come il pi?? vecchio masso etrusco esposto a settentrione e il suo aspetto civico [167] faceva pensare che al suo pedano potesse arrotar le zanne solo il cinghiale del Popolo, sporgente su la mensola rozza dalla Torre del Podest??.

??? Se tu mi canti anc??ra.... ??? riprese a dire Lunella.

??? Ah, non pi??.

??? Perch???

??? Non so pi??.

??? Perch???

??? Non trovo pi?? le mie rime sghembe.

??? Perch???

??? Perch?? me le beccano a volo i balestrucci.

??? Non ?? vero.

??? Ora lascia cantare il Leccione. Ascolta.

Il vento, che investiva quella magnanima vecchiezza, era passato su le maligne piagge grige, su le crete gibbose e scagliose, su le immense biancane senz'ombra, su le rotte lacche, su le bolge discoscese, su tutta la desolazione della terra sterile che isolava la citt?? murata, sotto il segno canicolare. Pareva che a quando a quando la polvere dell'alabastro funebre biancheggiasse in lui. Pareva ch'egli seco recasse l'alta malinconia del viaggio ultimo, dell'estremo congedo, quale effondono le figure delle urne raccolte negli ipogei. Vana rivedeva quel giovine cavaliere che cavalca agli Inferi tutto chiuso nel suo mantello, coperto dal lembo la bocca [168] ammutolita, e il Genio alato gli ?? presso alle briglie, e incontro gli vengono i Mani.

??? Isa quando ritorna? ??? chiese malcontenta Lunella.

??? Non so.

??? Dov'?? andata?

??? Non me l'ha detto.

??? Tu certo lo sai, Mor??ccica.

??? Ti dico che non so.

??? Quest'anno non ci conduce al mare?

??? Sembra.

??? Rimarremo qui tutta l'estate?

??? Forse.

??? Ma non sai nulla?

??? Non so.

??? S'?? corrucciata con te.

??? T'inganni.

??? S'?? fatta cattiva, molto cattiva.

??? Credi?

??? Ecco la chioccia di Monte Voltraio!

E Lunella dalle dita di fata lasci?? cadere nelle palme di Vana l'imaginetta compiuta: una falda di neve su l'ardore.

Chi le aveva infuso quell'arte? Quale istinto misterioso guidava la punta delle sue forbici esatte su la linea di vita? Qual virt?? di divinazione era in quegli occhi limpidi, che talvolta parevano tanto severi? quasi torvi talvolta, come gli occhi del divino Infante che a [169] un tratto scorge l'ombra della Croce trastullandosi nella bottega del legnaiuolo di Nazaret.

??? Oggi fai meraviglie ??? disse Vana. ??? Le metto nel libro.

Aveva un libro di pagine nere ove disponeva quelle imagini bianche, un libro bianco e nero come la faccia del Battistero, come gli archetti di San Michele, come lo zoccolo di Sant'Agostino, come l'avorio e l'ebano della tastiera, come il suo cuor folle, come il giorno e la notte.

 

Era tardi. Era sorta la luna logora dietro il Mastio mediceo. La magnolia, solitaria nel cortiletto inverdito di muschi, insaporava del suo profumo il silenzio notturno, possente di mollezza nella notte contro il grand'elce austero, tutta molle della sua cerea carne. Gi?? nel palagio tacevano le opere dei servi. Gi?? Volterra, muta come i suoi sepolcreti, dormiva respirando l'immensit?? dalle sue bocche di macigno.

??Chi sa come gli usignuoli cantano, alla porta di Docci??la!?? pensava Mor??ccica, presso il davanzale, svogliata di coricarsi, disperata di respirare, soffocata come se col respiro dovesse sollevare le mura della sua stanza. ??Chi sa come cantano alla fonte di Mandringa, alla Badia!??

[170] Imagin?? sotto la Badia le smisurate masse delle ombre per entro agli scheggioni delle Balze, il luccichio del filo d'acqua che sbava nel fondo della bolgia spaventosa, le biancane nell'albore lunare simili alla crosta d'un pianeta estinto.

??Che far?? laggi?? Attinia, che non ho riveduta anc??ra? Culla il suo bambino? Dorme in pace??? Si raffigurava la contadina battezzata nel nome della dolce martire, la placida custode della Badia diroccata; e s'incamminava in sogno per visitarla, passava per lo stretto sentiero battuto che divide il pratello come uno spartimento fatto col pettine; volgeva a sinistra gi?? per il ciglio erboso che declina sotto il muro ove s'affacciano gli elci schiantati e torti, rimasti nani sotto l'oppressura dei venti, simili ai mendicanti monchi e storpii che si pongono in fila allo svolto d'una via per l'elemosina; s'addossava al muro, e guardava la voragine; e vedeva tremare su l'orlo i tristi fiori gialli, cari all'umilt?? di Santa Greciniana e di Santa Agatinia, delle due vergini sorelle in Cristo e in supplizio. L'agghiacciava il f??scino; ed ella rabbrividendo si ritraeva a tentoni lungo il muro scabro.

??Com'?? strano! Quei lecci monchi li ho dentro di me, quel muro lebbroso l'ho dentro di me. Lo toccavo or ora, sentivo il freddo della pietra. Ho sognato a occhi aperti? Chiudere gli [171] occhi, intessere le mani dietro la schiena, inchinarsi un poco.... Dopo quanto i piccoli fiori udrebbero il tonfo sordo? Dopo un tempo infinito. Si cade, si cade per un'eternit??, sino al cuore della terra.... Ah, se lo facessi!?? Impeti di vendetta insorgevano all'improvviso dal fondo e disperdevano la ragione. Ella cercava un qualunque mezzo per dare una pena a quelli che la penavano; e voleva porre contro di loro la sua propria morte per separarli. ??Non varrebbe, neppur questo varrebbe. Quanto ?? durato il lutto per l'amico indimenticabile! Non si sono essi cercati dopo cinque giorni, appena chiuso il sepolcro? Non dimenticano tutto, non calpestano tutto??? L'amarezza le torceva l'anima. E, come ud?? giungere dalla Rocca il suono fioco della campana che tien d??ste le sentinelle sul cammino di ronda, eguagli?? la sua sorte a quella dei reclusi. Non era anch'ella una trista prigioniera? Non era una ignobile schiavit?? anche la sua? Condannati all'ozio invece che al lavoro, ella e Aldo e Lunella in quella casa estranea non erano come in un ergastolo addolcito?

Dopo la morte della madre, dopo che il loro padre Curzio Lunati era passato in seconde nozze con la concubina, la sorella maggiore rimasta vedova di Marcello Inghirami ed unica erede d'una larga fortuna li aveva raccolti tutt'e [172] tre dal disagio e sottratti all'umiliazione del nuovo giogo familiare. Ridotti quasi in povert?? dalla turpe dissipatezza paterna, ora non vivevano se non di lei e senza angustia vivevano ma in una specie di sottomissione larvata ch?? ogni atto libero e ogni libera parola potevan sembrare un disconoscimento del benefizio, provocarne e il raffaccio e il peso. Nessuno di loro aveva altra risorsa, altro rifugio. Tutt'e tre eran legati alla vita della sorella, ai suoi casi, alle sue sorti. Ovunque e sempre ella li ospitava e li provvedeva; ma se taluno di loro avesse voluto distaccarsene, avrebbe dovuto discendere nella strada spietata o tentare di battere alla porta odiosa col dubbio di non vederla aprire.

Ora una minaccia soprastava ardente; e bisognava aspettarla senza scampo, come quei forzati all'ombra del Mastio, costretti di bruciare nella galera se invasa dal fuoco.

??Intessere le mani dietro la schiena come quando canto in piedi al pianoforte, chiudere gli occhi, inchinare la persona, cadere cadere all'infinito come quando sogno dormendo a sinistra sopra il cuore.... Domattina voglio andare alla Badia, a rivedere Attinia, a rivedere anche il mio muro; voglio cogliere sul margine i fiori gialli, le c??ppite, come li chiama la Volterrana. Le rose di Madura, le c??ppite delle [173] Balze! Non io le porter?? questa volta; le porter?? un'altra messaggera....?? Cantando lontano un assiolo ??? dove? su le mura della Rocca vecchia? pi?? lontano, laggi??, verso la Porta all'Arco? ??? Vana stava per rompere in pianto, contro il davanzale; quando ud?? qualcuno battere all'uscio della stanza. Sobbalz??.

??? Chi ???

??? Sono io, Mor??ccica. Sei gi?? a letto?

??? Non anc??ra.

??? Posso entrare?

??? Entra, Aldo.

Era il fratello. Entr?? come uno spirito, senza rumore. Aveva gi?? il suo vestito da notte, di seta leggera, e i piedi nudi nei sandali di sparto. Esalava l'odore della sigaretta oppiata e dell'abluzione recente.

??? Anche tu non hai sonno. Che facevi, Mor??ccica?

??? Nulla. Stavo alla finestra.

??? Non ho voglia di andare a letto. Ho anc??ra voglia di musica.

??? Anc??ra?

??? Come hai cantato oggi!

??? Bene?

??? Non come un bene ma come un male. Non posso guarirne.

Egli si gett?? sopra un piccolo divano basso ch'era accanto a una tavola ingombra di libri. [174] La sua mano pallida e nervosa ne prese qualcuno, poi lo lasci??.

??? Ogni nota aveva il valore d'un grido nel silenzio. Certe volte, quando tu canti, mi fai rammentare di quella sera che cadesti, all'Alberigna, e ti rompesti il braccio. Eravamo bambini. Te ne ricordi? Per tutta la strada non facesti che gridare in tal maniera che, con quel petto di cardellino, pareva tu riempissi del tuo spavento il mondo. Ogni grido pareva l'ultimo, e non era. Certe volte, ora, canti cos??.

Ella tent?? di ridere.

??? Un vero strazio, povero Aldo! E pensare che io m'illudevo d'avere appreso un poco d'arte!

??? Non mostrare di frantendere. Tu hai capito quel che volevo dire. Hai cantato quel tremendo Vom Tode di Beethoven come se, abbandonando la carne, tu dicessi le novissime parole all'anima tua e a tutte le anime in ascolto. La tua voce era sopra un abisso. Stavo pensando a quel che potrebbe essere il S??ume nicht, denn Eins ist Noth se tu lo cantassi sul ciglione delle Balze in una notte stellata. Chi sa chi ti risponderebbe di gi??!

Ella si sedette su una sedia, accanto alla tavola; poggi?? ambo i gomiti, e tra le dita congiunte e inflesse mostr?? il suo viso pi?? misterioso di quelle urne etrusche che hanno le due [175] mani rituali all'estremit?? del coperchio fastigiato. Anch'ella era piena di cenere e di ori funebri.

??? Forse io stessa a me.

Il fratello la guard?? fisamente, con quell'amore della bellezza patetica, che tanto gli rendeva profondi i giovani occhi. Egli immerse il suo male in quella disperazione ammirabile. E lo assal?? un bisogno imperioso di scoprire la piaga nascosta, di toccarla, di farla sanguinare e di macchiarsene. Ma troppo gli tremava il cuore.

??? Che viso hai fatto, Mor??ccica! ??? disse, dandole quel nomignolo di selvatico sapore ch'egli aveva inventato per vezzo. ??? Non eri anc??ra compiuta. C'?? qualcuno che ci scolpisce da dentro. Colui in questi giorni ha dato gli ultimi colpi alla tua figura. Tu mi commuovi ogni volta che ti guardo.

Egli aveva un accento caldo e pieno che dissimulava il tremito ma non cos?? che non si rivelasse in qualche sillaba; e quell'ardita inspezione che dava una novit?? impreveduta alla sua cotidiana domestichezza.

??? Non mi turbare, Aldo. Sono senza difesa ??? disse ella abbassando le palpebre come per nascondere tutto il volto sotto l'ombra dei cigli.

Egli distolse lo sguardo.

??? Quanti libri su la tua tavola, confusi! C'?? un dolore che ammucchia intorno a s?? i libri come lo strame per giacervi. Lo conosco.

[176] Egli toccava i libri, li alzava, li mutava di posto, li ordinava, li tralasciava; ma quel movimento visibile rispondeva al sentimento di colui che voglia afferrare qualcosa di difficile presa e la volti e la rivolti e la tenti da ogni parte e studii il modo utile.

??? Oh, il pi?? infiammato libro d'amore! Le poesie spirituali di Jacopone. Dove hai preso questo?

Con un gesto involontario ella allung?? la mano e la sovrappose alla vecchia pergamena gualcita che legava il volume del Pazzo di Cristo.

??? L'ho trovato nella biblioteca d'Isabella.

??? Lasciami vedere.

??? No, Aldo.

??? Perch???

??? Non so: perch?? sono sciocca.

Ella tentava anc??ra di ridere; e rideva come se potesse il suo riso essere un soffio fresco che le spegnesse su la faccia la vampa del rossore.

??? Quando Messer Jaco accorse a disseppellire la sua donna dalle rovine del solaio crollato nel festino e la cav?? mezza morta, voleva dislacciarla; ma quella, con le poche forze che le rimanevano, resistette finch?? spir??. Allora, aperta la vesta, le fu ritrovato il cilicio segreto alle carni.

??? Resisto per il cilicio?

??? Non so.

[177] ??? Ho per questo libro una predilezione di cantatrice. Nessun poeta canta a tutta gola come questo frate minore. Se ?? pazzo, ?? pazzo come l'allodola.

Egli le carezzava la mano, che cedette. Aveva ora un viso velato di dolcezza; ma i sobbalzi del cuore lo soffocavano, mentre egli dislacciava i leg??ccioli di sovatto che serravano il volume dal taglio rossastro ove qua e l?? l'oro finiva di morire. Le ruote e le aquile degli Inghirami erano impresse nella cartapecora, e v'era questo distico:

Dal folle sapientia

E da la spina, rosa.

??? Ci vedrai nelle pagine tanti trifogli a quattro foglie ??? diceva Mor??ccica con quella modulazione di flauto ch'ella aveva quando ridiveniva la fanciulla docile e incantevole. ??? Ne ho trovati nel campo della Piscina, quasi ogni giorno, con Lunella. Quegli altri segni sono di ricordi musicali. C'?? una strofa che si potrebbe cantare su la melodia di Hugo Wolf per le parole di Fortunato Iesu benigne A cuius igne....

Ella s'affrettava s'affrettava a parlare, col sentimento medesimo di chi batta forte le palpebre per dissipare un'allucinazione che si formi. Le pareva che un fantasma inoppugnabile [178] stesse per sorgere da quel libro appena aperto. S'era alzata; e china strisciava intorno alla tavola, s'appressava al fratello, aveva gi?? la sua gota presso la gota di lui. E l'una e l'altro avevano nell'orecchio lo stesso romore di tumulto.

??? Questo l'hai trovato oggi stesso.

??? S??.

Era un grande trifoglio della buona sorte, ancor fresco, che copriva la prima strofa della prima satira.

Udite nova pazzia

Che mi viene in fantasia.

Viemmi voglia d'esser morto...

??? Mor??ccica, Mor??ccica, ??? disse Aldo posando il libro e prendendo la sorella fra le sue braccia ??? pensi molto alla morte?

??? Oh no!

??? Oggi l'hai veduta da per tutto.

??? L'ho veduta cantando.

??? Era bella.

??? S??, era bella.

??? Due cose belle ha il mondo.

??? Due cose belle.

??? E una sola importa.

??? Eins ist Noth.

??? Io so quale.

??? Anch'io so.

[179] Ella aveva socchiuso gli occhi ma vedeva per la lunga fenditura il bellissimo viso dell'adolescente inebriato di dolore. E dall'una giovinezza s'apprendeva all'altra il fascino del Buio, e ciascuna sentiva ingigantirsi la sua infelicit?? non confessata; e li accomunava entrambi il contagio letale; e la melodia ammonitrice li cerchiava del suo cerchio elastico come la pulsazione delle loro tempie. E intorno, presso e lontano, sentivano essi quel medesimo orrore che avevan sentito nella ruina irremeabile della Reggia estense quando s'erano stretti senza parlare e senza guardarsi; ch?? gli stessi fati facevano terribile la notte della Citt?? di vento e di macigno sospesa su la sua bolgia tra le mura della Rocca piene di colpa e le case di San Girolamo piene di demenza.

??? Ma dimmi che non andrai sola.

??? Tu vuoi venire con me?

??? Giurami che me lo dirai.

??? Vuoi venire con me?

??? Giurami, Vana.

??? Soffri molto?

??? S??.

??? Da non poter pi?? resistere?

??? S??.

??? E di che, Aldo?

Parlavano sommessi, smorti, come due feriti nella stessa barella i quali s'interroghino a vicenda [180] sul loro patire mescolando il nero sangue che cola dalle ferite ch'essi non sanno.

??? Di che? ??? ripet?? Vana con la voce strozzata da una commozione nuova, che le prendeva, le infime radici dell'essere e tuttavia non si rivelava alla sua coscienza.

Egli allent?? le braccia, le lasci?? cadere; si distacc?? da lei, si ritrasse, con uno sgomento che gli mozzava il respiro. E si guard?? intorno come per accertarsi che la cosa mostruosa non era uscita da lui; perch?? egli l'aveva sentita a un tratto esternata, vivente, palpitante, con un fiato, con un calore, con un odore.

??? Di che? ??? ripet?? Vana per la terza volta.

??? Ah, non dimandare. Non ti vale sapere di me. Ma tu? ma tu?

Schermendosi, egli l'assaliva.

??? Ti confidi a questo libro, non al tuo fratello.

Egli riaperse il libro del Pazzo di Cristo.

??? Li cogli sotto i cipressi i tuoi trifogli di fortuna? Eccone un altro. Che dice il cantico quinto?

Ella lo guardava sbigottita, a quella improvvisa violenza.

Egli lesse:

O Amore muto,

Che non vuoi parlare,

Che non sie conosciuto.

[181] Le parole ch'era per dire gli scottavano le labbra. Le doveva dire, non poteva trattenerle. Una specie di delirio era entrato in lui, una strana voglia di tormento. I colpi profondi del cuore precedevano le sillabe.

??? Isabella ?? con Paolo Tarsis. Non ?? vero?

Crudamente i due nomi erano congiunti, i due amanti erano commisti. Una materia umana era presa l??, con i due pugni, e posta innanzi; e bisognava mirarla. Una visione inevitabile era alzata in mezzo alla notte, una visione di volutt?? in mezzo all'odore della notte.

??? Aldo, perch?? dici questo a me, in questo modo? ??? balbett?? la creatura smorta, come se il fratello a un tratto l'avesse percossa. ??? Non merito che tu mi risparmii?

??? V'?? qualcosa di meglio da risparmiare in te, che non il tuo candore o il tuo rossore, Vana. Vuoi che viviamo nella dissimulazione perpetua? Vuoi che viviamo qui, ciascuno nella sua cella ferrata, come i nostri vicini dell'Ergastolo?

??? Perch?? domandi a me, se sai?

??? Sento la tempesta fra te e l'altra. Prima del commiato palese, che vi diceste, l??, nella stanza di Andronica? Passavo dinanzi alla porta, e udii le vostre voci nemiche.

??? T'ingannasti.

??? A me fu mentito. A te fu detta la verit???

??? Perch?? mi torturi?

[182] ??? Tarsis l'aspettava a C??cina.

??? Ah, taci! Non ?? meglio che io ignori tutto questo? Aldo, perch?? mi torturi?

??? Vuoi ignorarlo! Ma non ne muori?

Ella si gett?? contro il fratello selvaggiamente; nascose la faccia nel petto di lui, ud?? il battito terribile. Ambedue ansavano come se avessero lottato. Il vento notturno gonfiava le tende della finestra, entrava nella stanza, prendeva le loro anime dalle cento pupille e le portava lontano; le trascinava laggi??, nel luogo ignoto, perch?? vedessero, perch?? guardassero.

??? Te l'ha tolto? ??? chiese egli, senza ritegno, con la gola disseccata.

Erano come due fanciulli, tremavano come due fanciulli smarriti; eppure pareva che la vita feroce imperversasse entro di loro sommovendo una fosca esperienza accumulata. Parevano entrambi gi?? pieni del male umano. L'adolescente aveva le parole che pesano e che stroncano, gi?? pieno di amarezza e di perdizione; e il suo terrore sembrava audacia, e il suo furore sembrava possanza, e il suo dolore sembrava bont??.

??? Non ci furono giorni in cui tu lo credesti tuo?

Ella era curva, annodata in s?? stessa.

??? Non era nato un sogno in te?

Ella vedeva s?? inchiodata allo stipite della porta nella stanza del Labirinto.

[183] ??? Avevi udito una parola d'amore?

Ella sentiva su s?? la macchia del sangue voluttuoso.

??? Speravi; ?? vero? Speravi.

Ella sentiva su s?? le lagrime della veglia f??nebre.

??? Te l'ha tolto

Ella si sentiva pronta a balzare, armata d'artigli.

??? Leva il viso. Guardami. Parla. Non avere onta.

Ella gli rispondeva senza parole: ??Parlami tu anc??ra, parlami di lui. Muovimi il coltello nella piaga. Tormentami. Vuoi che io la odii? La odio. Vuoi che t'aiuti a odiarla???

Egli le si chin?? fin su i capelli, abbass?? ancor pi?? la voce.

??? Credi ch'io non sappia che quella notte andasti su la brughiera, sola?

Ella sussult??, ma non lev?? il capo.

??? Non parli. Ah s'io potessi vendicarti!

Una collera sorda lo strinse. ??Perch?? dei due compagni la sorte ha abbattuto quello inoffensivo? Perch?? non ha spezzata la schiena all'altro??? L'imagine maschia lo urt?? nel mezzo del petto come quando l??, sul poggiuolo in vista della palude mantovana, egli aveva veduto tra i denti forti il filo di sangue. Risospinse la sorella, si lev??; cammin?? per la stanza [184] portando un viluppo enorme di mostri sul passo elastico dei suoi piedi nudi nei sandali di sparto. S'appress?? al davanzale, si sporse, bevve la frescura, l'ombra violetta, il profumo della magnolia.

Nella valle biancheggiavano le crete lunari come un'adunazione di mausolei; laggi??, perfidamente luccicava la C??cina serpigna; laggi?? laggi??, fra Montescudaio e Guardistallo, il suol marino era una profondit?? eterea come la dimora dei Mani.

Dov'erano gli amanti, nella notte d'estate? Sul mare? su una terrazza bianca ornata di oleandri? coricati nel bosco su un rosso letto d'aghi di pino?

 

S'inebriavano di musica. Esaltavano la passione disperata nella vertigine sonora. Trascorsero i pomeriggi, le sere, le notti nei colloquii degli strumenti, nei soliloquii del canto, nei concerti a quattro mani, seduti dinanzi alla tastiera, col gomito presso il gomito, con la gota presso la gota, intenti alla duplice pagina, nel volgerla incontrandosi con le dita febrili, sentendola vivere d'una vita arida ed elettrica come quella carta lignea che nei giorni secchi uscendo tesa di sotto i cilindri delle cartiere scoppietta di scintille.

[185] La sala non era nel palagio edificato da Gherardo Silvani, ma nella parte vecchia, in quella delle bugne e delle bifore: vasta, parata di damasco, con alte portiere, con altissime tende, con una volta a botte ove il michelangiolesco Daniele da Volterra aveva dipinto una storia grandiosa dell'Antico Testamento. Un braccio piegato del Leccione giungeva a una delle finestre; e appariva pel vano il tronco titanico. Due soli quadri pendevano dalle pareti a riscontro, insigni: il ritratto di Fedra Inghirami, opera purpurea del Sanzio, e la Deposizione di quel Rosso fiorentino che il Vasari dice ??bonissimo musico??, ??ricco d'animo e di grandezza??.

Il luogo era fatto pel grido lirico e per la meditazione appassionata. V'entrava la luce della foresta e del giardino. La massa cupa del lungo pianoforte orizontale vi riluceva polita come un'arca costrutta col marmo notturno della Palm??ria. Quando Aldo sollevava il coperchio, vedeva due mani esangui escire dal buio; ed erano le sue proprie mani riflesse dall'ebano come da un nero specchio.

Vana gli stava al fianco alzata, per cantare, nella sua attitudine immutabile come quella d'una statua, con le dita intessute dietro il dorso, con il peso del corpo su la gamba destra, con la sinistra un poco innanzi, piegato lievemente [186] il ginocchio, protratta oltre l'orlo della gonna la punta del piede mosso a quando a quando dall'urto ritmico. Ella gettava le grandi note rovesciando indietro il capo; e per un attimo i suoi lineamenti sembravano sparire come sotto una vampa che li cancellasse. Ella si consumava nel canto come se accendesse di s?? un rogo per ogni canzone. Talvolta, quando terminava rimanendo fissa, pareva che nel silenzio musicale si formasse su la sua persona quella falda di cenere onde si coprono i tizzi tratti dal focolare.

??? Ripetiamo anc??ra questo! ??? pregava Aldo, insaziato di gaudio e di strazio.

Era il sospiro d'un'arietta, era il gorgheggio d'una di quelle antiche villanelle italiane che sembrano accompagnare il Cup??do sbracato che danza su le serpi o la Grazia discinta che compone la ghirlanda con le mani trafitte. Era un arioso, era un lamento, una monod??a di Cristoforo Gluck, simile a una pura nudit?? dolorante nel suo proprio fulgore. Era una confessione improvvisa di Roberto Schumann in un rotto singhiozzo, in un grido irrevocabile, con una bocca severa, con uno sguardo forsennato.

??? Non posso ??? rispondeva ella talvolta. ??? Ho dato tutto.

Faceva qualche passo; andava verso la Deposizione, chiudendosi gli occhi con le palme. [187] Li riapriva dinanzi al quadro, considerava la muta tragedia; poi si sedeva in disparte, senza distogliere lo sguardo.

??? Ti sembra di crearlo ogni volta; ?? vero? ??? le diceva il fratello. ??? Nacque dalla musica; rinasce dalla musica. E forse tu sei quel giovinetto bruno come l'oliva, che regge lo scal??o con le sue due braccia nude e guarda la capellatura della Maddalena, attorta come un groppo di rettili decapitati. Senti come grida la Peccatrice? Senti come singhiozza il Prediletto?

Veramente la rossa veste della donna prona alle ginocchia della Santa Madre era come il grido della passione ancor tumida di torbo sangue. Gli sbattimenti interrotti della luce sul mantello giallastro del Discepolo erano come i singhiozzi dell'anima percossa. Gli uomini su gli scal??i erano come presi nella violenza d'un vento fatale. La forza s'agitava nei loro muscoli come un'angoscia. In quel corpo, ch'eglino traevano gi?? dalla croce, pesava il prezzo del mondo. Invano Giuseppe d'Arimatea aveva comprata la sindone, invano Nicodemo aveva recata la miscela di mirra e d'aloe. Gi?? il vento della Resurrezione soffiava intorno al legno sublime. Ma tutta l'ombra era in basso, tutta l'ombra sepolcrale era sopra una sola carne, era sopra la Madre oscurata, sopra il ventre che [188] aveva portato il frutto di dolore. ??La luce m'?? sparita?? aveva detto ella nell'antico lamento. Fra Maria di Cleopa e Salome, tra le due femmine ignare e caduche, ella era gi?? come un lembo della notte eterna.

??? Ricordi la ventesima delle variazioni beethoveniane sul tema del Diabelli dedicate ad Antonia Brentano? ??? diceva Aldo, svegliando nella profondit?? della nera cassa quegli accordi in cui per una miracolosa trasfigurazione il tema primitivo ?? irriconoscibile. ??? Non sembra armonizzata su quel fondo ove la croce le scale i corpi i singhiozzi le grida gli aneliti la luce non p??netrano? Ascolta; e guarda quell'azzurro opaco, sordo, eguale, senza raggio, senza nube, di l?? da cui spazia forse quella regione della vita ove ??una sola cosa importa??.

Era Vana allora, che pregava:

??? Da capo! Ricomincia!

Annegavano nell'infinito i loro mali. La loro infelicit?? superava i duri lidi entro cui doveva agitarsi, e si placava dilatandosi su tutte le cose, confluendo nella doglia universa.

??? Due cose belle ha il mondo ??? diceva l'adolescente ??? ma una terza ?? la loro divina sorella.

??? Ah non dire due e una, non separarle! ??? rispondeva la cantatrice. ??? Sono due sole; e quella che ti sembra la terza non ?? se non la sostanza di cui le due sono fatte.

[189] ??? ?? vero. Ma io pensavo alle tre Sirene dell'urna, sedute su gli scogli dinanzi alla nave d'Ulisse.

Andarono a rivederle, lass??, nelle piccole sale rosse e nere del Museo.

??? Guarda ??? diceva l'adolescente pieno di sogni. ??? Guarda. Tutt'e tre sonavano istrumenti, facevano concerto. Ma la prima ha perduto il suo doppio flauto, e soltanto lo spazio per la stretta ?? tra le due braccia in atto di tendersi. La terza forse toccava la lira; ed ora ?? senza lira e senza effigie, divenuta simile al suo scoglio, simile a un sasso scolpito di pieghe sterili. Fra l'una e l'altra ?? quella che soffia i suoi spiriti nelle sette canne di Pan disposte in forma d'ala d'uccello. Guardala: ?? intatta.

??? Ma vedi? ??? rispondeva la cantatrice. ??? Due sono le ombre dietro di loro, due sole.

Infatti sul campo liscio dell'alabastro le figure rilevate ponevano due sole ombre.

Cos?? essi dovunque con occhi intentissimi scoprivano indizii del lor proprio destino, imagini manifeste dei lor pi?? segreti pensieri.

??? Vana, credi tu che Ulisse sia legato all'albero? Ha le mani dietro il dosso, come tu suoli quando canti; ma un eroe non pu?? essere legato come uno schiavo. Se in tutta la sua vita travagliosa egli ha inseguito quelle tentatrici per tutti i mari, come pu?? temere di ascoltarle? [190] Non ha vincoli: le mani incallite nelle opere e nelle lotte egli le cela per inutili, poich?? vive d'una vita in cui l'azione non ha significato alcuno. Ora comprendo. Un istinto misterioso, quando tu canti, quando tu sali alla tua vita vera, ti compone nella medesima attitudine.

??? Forse ??? ella mormor?? vedendo s?? stessa intessere le mani dietro la schiena, chiudere gli occhi, inclinare la persona verso la voragine.

E tralasciavano d'osservare su le urne i miti scolpiti di Tebe e di Troia per contemplare il viaggio agli Inferi, non pi?? la nave del Laertiade ma quella dalla vela ammainata, ove s'imbarca colui che deve trapassare, e il commiato ?? senza lacrime.

??? Che alto silenzio in cos?? piccole stanze! ??? diceva il fratello camminando con cautela sul pavimento di marmo a bande bianche e nere.

??? Chi parte, non piange; chi resta, non piange. Si guardano fissi, con la mano nella mano; si accomiatano senza parole, presso il limite sepolcrale. E il testimone alato non ?? se non la divina Tristezza; perch?? la Tristezza ?? la musa etrusca, ?? quella che accompagner?? per le vie dell'esilio e dell'inferno un grande Etrusco colorato dalla bile atra. Non hai mai pensato che Dante ha ripreso l'arte dei dipintori di vasi e l'ha ingigantita col suo polso strapotente? Quasi tutta la prima cantica non ?? di figure [191] rosse su fondo nero, di figure nere su fondo rosso? Taluni suoi versi non li vedi rilucere di quel nero metallico che hanno certi f??ttili? E le sue Ombre non sono simili ai Vivi, come i Mani scolpiti in questi alabastri?

I Mani, a piedi, a cavallo, venivano incontro ai viaggianti in carpento, in lettiga, in quadriga. I corsieri aggiogati ai carri chinavano il collo cos?? che la criniera toccava la terra, come quella del Sauro d'Achille nel presagio di morte. Un giovine cavaliere cavalcava tutto avvolto nel mantello, con la bocca nascosta dal lembo, pel lungo cammino senza ritorno.

??? Non ?? questa l'imagine mia? ??? diceva l'adolescente, indugiandosi. ??? Fra tutti i viaggi agli Inferi mi piace l'equestre.

S'indugiavano presso l'urna, immoti nella loro visione, posseduti dallo stesso genio. E intorno, adagiate su i coperchi quadrilunghi, poggiate sul cubito manco, le figure obese dei defunti dal grosso labbro semiaperto erano in pace, con nella destra la patera, il flabello, le tavolette. Ma tutte quelle mani sinistre poste su i cuscini nell'attitudine immutabile, rozzamente tagliate, enormi talune, talune corrose, talune monche, davano a entrambi una vaga angoscia come se le sentissero premere su i loro cuori.

??? Uno lo tent?? prima di me: quel Volterrano che di notte spinse il suo cavallo sopra le Balze, [192] alla Guerruccia; e il cavallo sul ciglione s'arrest?? netto, rincul??, fece il voltafaccia; n?? gli speroni valsero a ricacciarlo innanzi, verso il baratro. Credi che Caracalla si rifiuterebbe?

??? E Pergolese?

??? Pergolese ha poco cuore.

??? Ma quando il compagno gli fa la strada, non c'?? caso che ricusi.

??? C'?? poco spazio alla Guerruccia per spingere a fondo un cavallo; e ora il terreno ?? solcato.

??? In prossimit?? della Guardiola conosco una specie di varco nella muraglia, che somiglia a una maceria franata della Campagna romana. Ma i rottami del macigno nascondono il vuoto. Se la bestia ?? spinta con risolutezza come a un ostacolo comune, certo s'inganna e salta....

Parlavano a bassa voce, come nella notte del contagio, con una mutua eccitazione d'energia, lacerato il velo dei sogni, rimessa a nudo la bruciatura intollerabile.

??? Andremo a esplorare, domani. Vuoi?

??? Voglio.

??? Prima ch'ella torni, sar??.

??? S??, prima che torni.

??? Oggi ?? il decimo giorno.

??? E non una parola!

??? La credevi tu tanto feroce?

Il giardino del Museo era dinanzi a loro, coi [193] suoi cippi in forma di pigne, con le sue urne di tufo senza coperchio divenute nerastre come il basalte, coi suoi avanzi di calidario dai doccioni di terra cotta inverditi, con la sua pergola di pampini al sole trasparenti, con i rari suoi rosai che somigliavano i rosai del giardino mantovano, coi suoi gelsomini di Spagna che rendevano un odore folto come l'odore vaporato dei tur??boli.

??? Dove sono? dove sono?

[194]

 

Gli amanti erano su la marina pisana, in una villa solitaria fra la pineta e la prateria salmastra. Una terrazza scialbata di calcina e lastricata di maiolica vi si sporgeva dal fianco verso il Tirreno, simile a quella sognata da Aldo nel Paradiso della principessa Estense, ove i sogni delle citt?? brune e bionde colorano le lunette e presso Ulma che in arnese cavalca il Danubio azzurro ?? Algeri che porta un cipresso per piuma al suo turbante bianco. Ma cos?? forte la batteva il sole che le ciocche nate al mattino su gli oleandri vi languivano gi?? tinte di fulvo in sul mezzogiorno e riarse innanzi sera vi morivano. Soltanto lungo il muro maestro, dove s'apriva la porta, un tendaletto rigato come la gandura d'una Mzabita faceva ombra sul tappeto ricoperto di cuscini ove gli amanti passavano gran parte delle ore diurne e notturne accarezzandosi.

??? Dove siamo? ??? diceva Isabella respirando l'odore della salsedine e della resina con un respiro che sembrava arieggiarle tutto il corpo dalla gola al pollice del piede scalzo. ??? A El-Bahadja? E quella ?? la bocca dell'Arrach? e quelle laggi?? sono le montagne della Cabilia? e tutto quel turchino quel verde quel bianco ?? [195] il Sahel? Guarda i cammelli che brucano l'erba salina su quella lama di sabbia!

Erano i cammelli di San Rossore, che venivano dal Gombo su la spiaggia sottile ove l'onda dispone le alghe secondo la sua propria curva in guisa di mezze ghirlande.

??? Ah, Paolo, bisogna che stasera tu salga fino al crocicchio di Si-Mohammed-el-Scheriff, sai?, dalla parte della Kasbah. L??, quasi dirimpetto alla fontana delle abluzioni, ?? il caff?? moresco che frequenta il sonatore di flauto Amar. Bisogna che tu mi cerchi Amar e me lo conduca; perch?? stasera voglio danzare per te, Aini.

Egli non guardava le spiagge n?? i boschi n?? le montagne; non sentiva l'odore della resina e della salsedine. Non poteva n?? volgere il capo n?? distogliere gli occhi; non poteva se non aspirare l'aria che vibrava intorno a quel corpo quasi nudo in una mussolina cos?? leggera che dava imagine di certe garze chiamate dagli Indiani ??acque correnti??.

??? Non puoi sbagliare. Alla porta della bottega c'?? un usignuolo che canta, in una gabbia costrutta coi lunghi pungiglioni dell'istrice. Forse Amar ?? seduto sotto la gabbia, su la panchettina bassa. Lo riconoscerai. Quando faceva il suo digiuno, era un poco pi?? pallido dell'ambra chiara e aveva un po' pi?? di languore sotto le palpebre dipinte. Porta sempre un fiore dietro [196] l'orecchio, che gli pende su la gota. Oggi avr?? certo un fiore di melograno. ?? sempre vestito di colori delicatissimi, con una predilezione pel grigio di perla e pel roseo di pesco su i larghi pantaloni bianchi a mille pieghe immacolate. Ah come suona il suo flauto di canna quando ?? in vena!

Anch'ella faceva musica con la sua voce e col suo ricordo; e faceva uno dei suoi incanti consueti a s?? stessa e al suo amico. E, come il suo amico pareva intento a levigarle le gambe con le labbra, ella dalla pressione viva e perfino dal mutamento di calore e dai pi?? lievi sussulti sentiva come il silenzioso fosse bruciato dalle parole. Per ci?? le rendeva pi?? ambigue.

??? Gli Arabi dicono di lui: ??Ha le labbra tanto dolci che saprebbe poppare le leonesse??. Mentre suona, le sue braccia ondeggiano e tutto il suo corpo ondeggia come nel principio della danza. A poco a poco s'accende. Le sue palpebre dipinte si riempiono di passione e di volutt??. ?? l'emulo dell'usignuolo prigioniero nella gabbia d'aculei: grida e si spegne, gorgheggia e sospira, ha una gola di ruscello e un cuore di fiamma. Nessuno pi?? fiata intorno. Le tazze restano piene e fumano. Sotto l'arco della porta le stelle sono cos?? larghe che sembra si sieno appressate per ascoltarlo.... Ah, va, cercalo, e conducimelo, Aini! Danzer?? per te.

[197] Egli aveva fermata la carezza sul f??solo della gamba, senza pi?? scorrere; ch?? il suo piacere s'avvelenava. Il suo amore era aizzato come la fiera nel serraglio, con la punta rovente. Il suo desiderio gli faceva male come se una malvagia droga glie lo eccitasse affocandogli le reni. Egli ora sentiva l'immensit?? dello spazio intorno, la purit?? del vento, l'incenso dei boschi salubri, tutta la forza dell'Estate; ed era come un uomo infermo su un inquieto guanciale i cui orli angusti gli limitavano il mondo. Egli pos?? il capo su le ginocchia distese della sua tormentatrice; e sorrise. L'odio insorto in lui diceva: ??L'ora era deliziosa, l'ora del tuo breve sopore quando tu ti lasci addormentare dalla mia carezza cauta, quando fingi di non svegliarti se ardisco di pi??. Perch?? a un tratto mi scrolli? ?? vero, tu fai uno dei tuoi giuochi puerili, sogni uno dei tuoi sogni colorati. Ma conosco omai la tua arte. So come con l'angolo della bocca avveleni la parola che hai scelta. ?? come se una piccola bolla di saliva vi apparisca. Vuoi ch'io pensi che l'effeminato dalle palpebre dipinte una notte ti piacque? Vuoi ch'io imagini che lasciasti toccare senza disgusto dalle sue mani profumate di muschio questa pelle ch'io bacio? Vuoi ch'io mi precipiti sopra di te come sopra una meretrice a cui tutto fu lecito e nulla e ignoto???.

[198] Ma egli, come soleva, and?? incontro al tormento. Disse, disinvolto:

??? Quando fosti in Algeri? con chi?

??? L'anno scorso, dal settembre al novembre, con Giacinta Cesi, con Maud Hamilton, con altri loro amici e miei, e con mio fratello, in comitiva. Come vorrei tornarci con te e abitare su un colle una casa bianca fra due giardini!

I miei piedi sono d'avorio oggi. Vedi. Allora avevo preso l'abitudine di farmeli miniare con l'henn??; e i calcagni arrossati dal minio somigliavano due mandarini. Poveri piedi tristi!

??? Chi te li tingeva?

??? Yasmina, la mia negretta, una creatura adorabile, che sempre rimpiango: svelta e pieghevole come un giunco marino, tutta riso, tutta un riso abbagliante che le fendeva sino a mezzo delle gote un volto funebre come quello di Proserpina. La mandavo sempre vestita di verde e di nero, acconciata all'egiziana, coi bottoni d'argento e di smalto sul corsetto sanguigno. Era di forme cos?? vive che, quando camminava, anche sotto il largo futa i muscoli le si palesavano come sotto un lino bagnato e aderente. S'innamor?? di Aldo; e rise molto pi?? di rado, ma gli occhi carezzevoli le divennero pi?? belli. Il pianto le fece l'effetto del koheul.

??? E Aldo non aveva gusto per la Venere nera?

[199] ??? Veramente, non ho approfondito. Aldo si lascia adorare. Omai si sa ch'egli ?? un giovine dio in esilio. Ma gli piaceva di udirla raccontare lunghe storie senza intenderla. Yasmina aveva una parlatura melodiosa come il linguaggio d'un uccello silvano. Deliziava anche me. Ho preso da lei qualche gruppo di note. Credo che, sotto il pretesto di raccontargli una storia, ella gli faceva un discorso d'amore. Troppe volte ripeteva ??Aini??, occhio mio, e ??Ro'hadiali??, mia anima. Una notte si coric?? a traverso la porta perch?? egli le passasse sopra. Egli la salt??, ridendo. Ella non si mosse fino alla mattina. La casa s'impregnava d'amore. L'aria v'era irrespirabile; anche perch?? portavamo sempre di quelle collane di z??gare fresche che fabbricano i giudei, avvolte al collo in due o tre giri. Odoravano cos?? forte che io vivevo in una continua vertigine.

Ella spirava la volutt?? parlando, sorridendo; e vedeva posato su le sue chiare ginocchia quel viso bronzino che le pareva d'aver gi?? intravisto in una fantasia alzato su un grande stallone arabo dal mantello di raso bianco tra lo sventolare del haik e il roteare del fucile in una nube acre di polvere e di fumo, laggi??, nella Mitidja, una sera di festa, prima della gozzoviglia preparata sotto le tende coniche della razza guerriera.

[200] ??? In una vertigine di castit??? ??? disse l'uomo, un poco roco, sorridendo anch'egli, d'un sorriso che gli straziava su i denti le labbra tumide.

??? Forse che s?? forse che no, Aini ??? ella susurr?? socchiudendo le palpebre orlate di nero dall'antimonio come quelle delle donne maure.

E tanto era certa di far soffrire che credette sentir su le sue ginocchia il peso del selvaggio dolore. E preparava profondamente la sua carne all'irruzione preveduta del desiderio micidiale.

??? Ti piacque Amar?

??? Mi piacque un giovine imperatore sconosciuto al cui paragone la grazia di Amar era una grazia tra d'istrione e di mezzano. Veniva dal Deserto, in una frotta di cavalieri dai lunghi moschetti damaschinati, eretti su i pi?? bei cavalli ch'io abbia mai veduti caracollare con le gualdrappe, con le criniere, con le code al vento, fra il tintinnio delle campanelle e degli amuleti. Veniva dal Sahara. Tra la sua scorta di color variato egli era tutto vestito di lana bianca, avviluppato in un semplice mantello bianco senza ricami, che lasciava appena vedere nelle staffe i suoi stivali senza speroni e il suo pugno senza guanto sporto a tener la briglia come una fanciulla tiene il nastro con cui si legher?? la treccia. Montava uno di quegli stalloni che gli Arabi paragonano al colombo [201] nell'ombra, nero come la capelliera della mia Lunella, cos?? nero che i riflessi azzurri e violetti gli correvano nei fianchi come i marezzi nella seta cangiante. Chi dei due aveva occhi pi?? belli, il cavallo o il cavaliere?

Ella fece una pausa perfida; e le sue narici palpitarono nel suo volto segretamente astuto ove le ciglia sembravano porre una scurit?? d'agguato. Il cuore le tremava d'un delizioso terrore; perch?? l'amante aveva mosso il capo come per guardarla pi?? da presso, e ora le poggiava la gota non pi?? su le ginocchia ma su la coscia. Com'ella supina aveva il busto rilevato dai cuscini, egli di sotto le vedeva il mento illuminato dal riverbero della maiolica e scorgeva tra le labbra mosse dalla parola la perlagione della genciva e dei denti in una umidit?? di conchiglia frescamente dischiusa.

??? Anche ora, se ci ripenso, non so dirlo. E il cavaliere era un giovinetto o una vergine travestita? L'occhio avrebbe potuto dubitare se non avesse veduto quell'estrema delicatezza dominare con tanta facilit?? lo stallone potente. Qualcosa di sfrontato e di scaltro, di altiero e di molle, di meditativo e di trasognato era in quel caldo pallore imperiale. Due slughi, col marchio della grande razza sul garetto, seguivano la coda strascicante. Chi era l'inviato del Deserto? Come fu presso di noi, egli sollev?? all'improvviso [202] il morello da terra con i quattro zoccoli eseguendo quell'aria che in vecchio termine di cavallerizza si chiama la ballottata, portento dei cavalieri arabi. Alle nostre grida egli ruppe in un gran riso, rovesciandosi in dietro contro l'arcione di velluto, fermata la magnifica bestia su le quattro zampe. Poi si chin?? rapido e mi baci?? su la gota, come se io gli appartenessi....

Ella grid?? come allora; che l'amante in un movimento impreveduto, quasi strisciandole sopra, l'aveva afferrata agli ??meri con le mani dure.

??? Aini, Aini, era mio fratello, era Aldo che uno sceicco aveva invitato alla caccia.... Tornava con la scorta, e col dono del morello e dei due slughi.... Ah, non mi far male, Aini!... S??, s??, fammi male, fammi a brani, fa di me quello che vuoi. S??, anc??ra pi?? forte! Sono tua, sono la tua cosa. Eccomi tutta. Ti adoro.

 

Ella era cangiante come il fianco del morello, come il colombo nell'ombra e nel sole. In un filo di verit?? ella infilava le sue fresche menzogne con l'arte rapida ond'eran composte quelle collane mattutine di z??gare che am?? avvolgersi al collo in due o tre giri. Ella possedeva un dono e una sapienza onnipotenti sul cuore maschile: [203] sapeva essere e parere inverisimile. La massima parte delle donne amanti tenta di abolire il proprio passato, tenta di rinascere, di rinverginarsi; fa all'amato l'offerta illusoria dei suoi sensi ignari perch?? egli li risvegli e li istruisca, della sua anima rasa perch?? egli v'inscriva la sua legge; e spesso l'ingenua frode avvolge il credulo. Ma ella invece sapeva dare al suo passato una indefinita profondit??, alzare la sua giovinezza sopra un immenso sfondo di vita, come quei pittori di ritratti che pongono dietro la figura la veduta d'un portico senza termine o una illimitata lontananza di paesi e di acque. Sembrava che le sue attitudini si disegnassero su un gioco perpetuo di prospettive ch'ella non cercava di coprire ma di equilibrare come quei ritrattisti che conoscono nel quadro il valore degli spazii. La sua novit?? emergeva dal suo passato come la sirena dal sale amaro, arcana, quasi ne fosse ancor stillante. Il pi?? impreveduto dei suoi gesti pareva avere attraversato un elemento oscuro per manifestarsi, aver mosso dietro di s?? un'onda cupa di desiderio per volgersi al desiderio di quell'uno. Tale dei nostri Antichi chiam?? alch??mia il liscio delle donne. Anch'ella amava rilevare col nero e col rosso la freschezza dei suoi venticinque anni; e sempre poneva il lutto alle palpebre intorno alle iridi chiare, e talvolta insanguinava di non nat??o cinabro la [204] bocca. Ma la sua alch??mia era ben pi?? ardua e strenua, produceva ben altre maraviglie. Con quali fuochi trasmutava ella la materia della sua vita in bellezze di cos?? patetico potere? Certe arie del suo volto condensavano la poesia d'un giardino, d'una tragedia, d'una fiaba. Un qualunque atto dell'esistenza cotidiana ??? il togliersi il guanto lentamente facendone strisciare la pelle su la lieve lanugine del braccio; il togliersi la lunga calza di seta, delicata come il fiore che si gualcisce in un attimo, stando accosciata sul letto; il togliersi dal cappello gli spilli sollevando le braccia in arco e lasciando scorrere la manica sino al poco oro crespo dell'ascella ??? un qualunque atto comune prendeva da lei tanta forza espressiva che lo sguardo mirandolo si rammaricava di non poterlo fermare in perpetuo.

Per ci??, pur cos?? fragile cos?? elastica e cos?? lasciva, ella s'apparentava con le grandi creature di Michelangelo. La contradizione non era se non apparente pel contemplatore acuto. Certo, quando ella s'adagiava sul divano e il suo corpo s'annegava sotto il flutto piegoso della mussolina o del tulle, non somigliava alla Libica se non forse pel fiosso arcuato del piede emergente dal flutto. Ma, se a un tratto con un colpo di reni da danzatrice di cordace ella si risollevava protendendosi dall'ombra nel cerchio [205] della lampada per dire la sua parola in un dibattito appassionato, la virt?? del suo rilievo era tanta che i prossimi ne avevano il sentimento d'una creazione e d'una apparizione geniali. All'occhio dell'artista ella era il genio stesso del rilievo, quello che noi imaginiamo aver vissuto nel fuoco del cervello michelangiolesco. In un momento di ardore ella pareva estrarre s?? medesima dal suo blocco e occupare l'aria come il ginocchio, come l'omero, come il cubito, come il seno dell'Aurora la occupano; i quali fanno violenza allo spazio, spostano quasi visibilmente le masse aeree, prendono il lor luogo nella Natura discostando o limitando le altre forme, e si contornano di solitudine.

Allora nessuna sostanza organata era potente come la sua. Le sue vesti vivevano con la sua carne come le ceneri vivono con la bragia. Gli oggetti intorno rientravano nell'ombra, le comuni apparenze erano abolite; la luce si trasmutava su lei. Non era pi?? la luce del giorno n?? quella della lampada; ma era la fiamma fortunosa che dal cominciamento del mondo rischiara le lotte, i lutti, i fasti dell'uomo. Ella dimostrava come dicesse il vero colui che disse ogni incanto essere una foll??a provocata con arte; ma ciascuno allora, nel cerchio di quella foll??a, sentiva ch'ella era promessa a un destino severo.

[206] Cos?? nell'amante si ripeteva di continuo la sensazione gi?? patita su la strada polverosa quando ella, dopo il passaggio dei cavalli bradi, aveva sollevato il suo velo mostrando il viso nudo ed egli s'era volto a guardarla con qualcosa di cavo nel petto ch'era come l'impronta di quella nudit?? sempre nuova. Veramente ella, per vivere in lui, gli scavava il petto, glie lo scerpava, glie lo rodeva, senza dargli tregua; e pareva talora incastrarvisi, serrarvi e schiacciarvi ogni altra cosa ancor viva, distruggervi ogni fibra non accordata al suo tono, e dal pi?? nero dolore volgere la pi?? chiara delle volutt??.

Dov'era mai la muta promessa fatta al compagno nell'incerto commiato che doveva esser l'ultimo? la prodezza del b??ttero nel giorno della merca? la bestia legata e sollevata e marchiata per la servit??? il duro scrollo? S??, certo, quando pi?? forte lo rimordeva il ricordo del fratello scomparso, quando pi?? gli ridoleva il segno di quel virile vincolo troncato, egli iroso cercava di afferrare la bestia oscura e di tenerla ferma innanzi alla sua anima e di considerarla. ??Dunque, tu sei l'amore??, le diceva ??quell'amore a cui la mia semplicit?? dava la bellezza e la gentilezza, e due occhi che la mia tentatrice non avrebbe potuto guardare senza vergognarsi! Te ne ricordi? Tu sei l'amore, diverso dunque da quello che conoscemmo nell'avventura pel vasto mondo, quando sbarcavamo nei porti, quando [207] sostavamo nei bivacchi, quando il grido della femmina rovesciata sul giaciglio basso o su la proda del fossato bastava alla nostra breve foia. Sei certo l'amore, poich?? ti nutri e cresci della mia vita pi?? calorosa, poich?? non posso colpirti senza temere che il mio proprio sangue si versi tutto per le tue ferite, poich?? tu sei pi?? me che tutto me intiero. E ora che credo di tenerti e di staccarti da me un poco per guardarti meglio, sento che tu non mi lasci e che anzi ti conficchi pi?? forte nella mia forza e mi fai pi?? male. Ma ti guardo; e non ho mai avuto a caccia nella mira della mia carabina una fiera tanto nemica. Soffrivo di te nell'indugio perverso, quando la tentatrice era per donarsi e si ratteneva, era per concedersi e si negava. Mille volle pi?? soffro, ora che la posseggo, ora che non un grano della sua pelle m'?? sconosciuto. Avevo serbate intatte le profondit?? dei miei sensi perch?? ella vi discendesse. Ella vi discende; e vi risveglia i mostri da me intraveduti in qualche notte d'orgia esotica, quando il maschio non sapeva se pi?? gli piacesse versare il seme o il sangue. E quei mostri ti somigliano (somigliano a te che sei l'amore!); perch?? non nell'approdo, non nella scorreria, non dopo la lunga navigazione, non dopo la cavalcata senza sosta, io ho conosciuto la furia originaria e selvaggia del desiderio come qui, [208] tra due braccia pi?? fresche e pi?? odorose del gelsomino dopo la pioggia. Su la strada ardente, non te ne ricordi?, nel vortice della polvere, io le desiderai spezzate dall'urto; imaginai tutto il corpo della tormentatrice ridotto su le pietre un mucchio sanguinoso; agognai ch'ella pi?? non avesse quelle palpebre, quella bocca, quella gola, ch'ella pi?? non fosse qual'era. E il carro era l??, coi lunghi tronchi protesi all'urto senza scampo. Or bisogna che io ti guardi bene per scoprire se tu sei l'amore o se tu sei l'odio, o se tu sei biforme; perch?? ella m'ama e vuole ch'io l'ami cos?? che anc??ra e sempre quell'imagine di morte accompagna il mio delirio, e la mia volutt?? si rattrista per non poter cancellare la bellezza di cui non si sazia??.

Egli non s'illudeva sul suo pericolo. Lo fisava, come gi?? nello scafo sommerso o nella fusoliera librata, con occhio diritto; sapeva tuttavia di non poter nulla per superarlo. E questa consapevolezza non gli sbigottiva ma gli esaltava l'animo. Egli era entrato nella pi?? misteriosa regione del suo viaggio umano, in una specie d'ombra venefica che gli ricordava quella smisurata foresta scoperta da lui e dal suo compagno nell'interno dell'isola di Mindanao; dove vive nella tenebra verde fra l'intrico delle liane una trib?? dalla pelle pi?? bianca della camelia bianca e dai grandi occhi pi?? neri del nero velluto, [209] fabbricando le sue case come nidi d'uccelli, scivolando nel fogliame come i cigni nell'acqua. Rivedeva il pallore spettrale di quegli indimenticabili esseri, che gli parevano nutriti di veleni, il fascino di quegli occhi notturni apparsi e scomparsi tra enormi corolle; riaveva in s?? il senso di quel calore morbido e umido, di quel fermento occulto e malsano, di quella oscurit?? arborea illuminata da quei magnetici sguardi.

Come allora, non poteva tornare indietro. Come allora, l'ignoto l'attraeva fuor d'ogni salute. Come allora, egli vedeva in agguato per l'ombra mille creature che avevano i medesimi occhi, i fantasmi d'innumerevoli inganni affascinanti, gli aspetti d'inafferrabili tentazioni, e quei fiori troppo grandi per essere colti, e quei frutti troppo grandi per essere addentati.

Confessava a s?? stesso il suo male. Riconosceva che l'alch??mia della menzogna tramutava anche il suo valore. Da quanti giorni aveva egli lasciato il suo compagno sul limitare del Buio? Eppure quanto gi?? gli sembrava estraneo e distante il lungo periodo di vita comune, sostenuto dalla lealt?? e dalla fedelt??, dall'eguaglianza e dalla sicurezza! In pochi giorni, come per una di quelle infezioni che si manifestano con una gran febbre improvvisa e rapidissime si diffondono per tutte le vene, il suo sentimento della [210] convivenza s'era pervertito in acredine e in inquietudine, in angoscia e in terrore, in tirannide e in crudelt??. Allora egli era col suo compagno verso l'ignoto; ora egli era nell'ignoto contro la sua compagna, e questa contro lui, in un combattimento palese e coperto, di tutti gli attimi, per stabilire una signoria e un servaggio. Ma l'avrebbe egli amata diversa? Quali doni l'attraevano in lei se non quella molteplicit?? di aspetti, quel potere di trasfigurazioni, quella stupenda arte di mentire mista a quella tremenda voglia di soffrire, quelle maschere tragiche alternate con quelle grazie puerili, quelle maniere d'imperatrice e di schiava, quel furore armato e quella fragilit?? inerme, tutti quei contrasti e quei dissidii che la rendevano innumerevole come la concordia discorde degli elementi? Fin allora le donne non erano state per lui se non una veloce vittoria, un piacere breve, un disgusto vanito, un confuso ricordo; e, s'egli avesse dovuto riconoscerne alcuna nella greggia, non l'avrebbe riconosciuta a un bagliore d'anima ma all'odore singolare, simile a quei mercanti di schiave che col fiuto riconoscevano la stirpe. Una grande amicizia militante preserva dall'indugio negli amori vani, affranca dai vincoli vili, difende la mutua libert??. I primi indizii della passione soverchiatrice gli avevano in fatti suscitato un sentimento di timore e quasi di rimorso [211] verso l'amico, e un bisogno istintivo di celarglieli, e una illusoria volont?? di soffocarli. Ma, come nel fresco taglio del tronco s'incastra il ramo selvatico e si rammargina la ferita facendo ricongiungere le scorze di modo che non vi possa entrar nulla e la pianta innestata sparga le vene con l'altra, cos?? ora l'amore interamente riempiva la fenditura dolorosa e s'allignava per tutto, se bene persistesse nel fondo il rimorso fraterno e rendesse pi?? cupa talvolta la tristezza carnale dopo gli oblii deliranti.

Ah, di quante larve e di quanti segreti era composta quella creatura che poteva nascondersi dietro lo scuro delle sue ciglia meglio che dietro le pieghe delle sue vesti? Perch?? tanto spesso ella gli si manifestava secondo le linee della rimembranza e del presentimento? Forse le amanti della figura anteriore appena disegnate nell'oscurit?? della memoria, forse quelle appena intravedute per le mille vie e non inseguite ma sognate un'ora sola nella malinconia del mondo, forse anche quelle ch'erano per sopraggiungere senza richiamo e senz'annunzio, tutte s'adunavano nella sua ansia e nella sua bellezza?

Egli esplorava s?? stesso, in silenzio, seduto presso la parete, nella stanza fatta violacea dal crepuscolo. Era solo. E pareva che il ritrovarsi [212] alfine solo, sopra una sedia addossata a un muro nudo, con la faccia rivolta alla finestra aperta pel cui vano appariva il mare senza vele e il cielo senza nuvole, solo coi suoi pensieri e con la sua perspicacia, gli fosse di sollievo. Ma qualcuno in lui, a un tempo, era in ascolto se mai udisse un passo leggero avvicinarsi; qualcuno in lui era come il fanciullo occupato da un indefinito orrore, che imagina una presenza terribile al suo fianco e la vede con la visione senza pupilla, la vede pi?? reale delle sue proprie mani ch'egli tiene smorte su le sue ginocchia, e resta immobile, e non volge il capo, e vive nel filo di gelo che nasce dal mezzo della sua schiena curva.

Qualcosa d'argenteo lustr?? nell'ombra, come se fosse quivi giunta e spirasse la voluta d'una di quelle onde rare che si levavano dalla dolcezza del mar cinerino. Era entrata Isabella, senza romore, coi sandali ch'ella usava per camminare su la sabbia.

??? Paolo! ??? chiam?? ella sommessa.

Egli non rispose n?? si mosse. Ella anc??ra abbagliata non lo scorgeva.

??? Paolo!

Ascolt??, aspett?? per qualche attimo, chin?? la testa. Scontenta e attonita mormor??:

??? Non c'??.

E un cinguettare improvviso la sorprese. Si [213] avvicin?? alla finestra. E il cinguett??o era cos?? vivo che pareva fosse dentro la stanza, di qua dal davanzale. Ancor pi?? s'avvicin??, guardinga, con l'occhio teso, cercando d'indovinare l'origine del suono. Egli ora le vedeva il collo nudo, i capelli partiti su la nuca in due trecce attorte e fermate dalle forcine per modo che aderivano alla forma del piccolo capo. E uno straordinario turbamento lo vinceva allo spettacolo nuovo di quella vita che viveva dinanzi a lui testimone occulto. Desiderava ch'ella si volgesse; perch?? credeva che, sapendosi non guardata e sola, ella dovesse avere il suo volto di riposo con tutte le linee ricomposte e tranquille o il suo volto di Medusa pietrificante.

??? Ma che ??? ??? parlava ella da s??, chinandosi sul tappeto.

La voce era bassa, tutta fra gola e labbra, come anc??ra appresa alla carne, fresca e segreta come la pruna avvolta nella foglia.

??? Ah, ?? una rondinetta!

Ed ella ebbe un moto infantile d'esitazione, prima di raccoglierla. Poi la prese nelle sue mani palpitante; la tenne chiusa nel cavo delle due palme sovrapposte, prima di guardarla. Socchiuse le palpebre sopra un sorriso che scendeva dalle ciglia alle labbra, troppo fievole per muoverle. Sentiva palpitare la tiepida piuma. Cos?? gran palpito in cos?? piccolo cuore!

[214] ??? Come sei venuta? Sei caduta dal nido?

Cautamente ella le lasci?? mettere il becco fuori tra il pollice e l'indice arrotondati.

??? Ah, sei gi?? forte.

Ella si sporse dal davanzale e guard?? verso la gronda, ma non v'era nido. Il cielo le tocc?? la faccia supina con un chiarore tra d'argento e di viola. Dietro il suo busto sfondava il mare perlato. Ella fu come l'imagine della giovine Sera a cui sta per brillare in fronte il primo pianeta mentre ella ha sorpreso nel cavo delle sue mani azzurrine la rondine tardante per rilasciarla cangiata in pipistrello.

??? Dunque volavi?

Ella gitt?? un grido di ribrezzo ma fioco, perch?? era fasciata di silenzio che l'attutiva. Aveva scoperto tra il suo dito e l'ala un insetto vivo. Lo scosse via.

Forse inseguendolo, la rondinetta inesperta aveva urtato contro la cortina della finestra ed era caduta sul tappeto.

??? La tua prima preda?

Ella le aizzava il nero becco vorace tra la fronte e la gola di color rugginoso. E sentiva il gran battito del piccolo cuore, e l'acume degli unghielli nei piedini rattratti, e quella tepidezza tenera e selvaggia, quello spirito di libert?? pulsante nella piuma soave.

??? Se ti rilascio, saprai volare? Fin dove?

[215] E, come tocca da un avviso magnetico, ella alz?? gli occhi, scorse d'improvviso nell'ombra gli immobili occhi che la guardavano; e gitt?? un grido di spavento, non pi?? fioco; e lasci?? cadere dalle mani tremanti la prigioniera.

??? Ah, Paolo! Sei tu? Eri l??? Mi guardavi? Mi guardavi? No, no, non mi guardare cos??!

Ella indietreggiava, con un riso convulso che pareva fosse per rompersi in singulti.

??? Perch?? hai fatto questo? Perch?? mi fai questa paura?

Egli s'era alzato, e le andava incontro. Ella indietreggiava ancora.

??? Ah, che occhi! No, no, non mi guardare cos??! Chiudili! Mi fai paura, mi fai paura.

Ella rideva e singhiozzava insieme, con un sussulto del petto profondo; gli comunicava quel pazzo sgomento. Levandosi dall'immobilit??, egli aveva sentito le fitte nelle reni; e ora alzato sentiva la fiacchezza delle ginocchia intormentite, le contratture nei muscoli delle gambe, una pesante tristezza corporea per ovunque sparsa, le tracce della volutt?? letale, e i suoi occhi smisuratamente ingranditi nelle sue occhiaie cupe.

??? Via, via, Isabella! Che fanciullaggine!

??? Ma che occhi hai!

??? Bambina!

??? Chiudili.

??? S??, li chiudo.

[216] Ella gli si gett?? addosso; gli pose su le ciglia le palme che avevano serrata la piuma palpitante. Il riso somigliava ancora al singhiozzo ma s'addolciva. Ella lo baci?? in bocca.

??? Hai le labbra fredde.

Il brivido ch'egli ebbe gli fu dato dall'accento di quelle parole. Un terrore indistinto vagava in fondo alla sua carne. E il silenzio si fece in loro e nella stanza. Ed essi riudirono il cinguett??o sotto il davanzale.

??? Chiama aiuto ??? disse Isabella, sotto voce.

E sospir?? come i fanciulli quando hanno finito di piangere ed esalano il cruccio dal cuore che si sgonfia. Poi si chin?? sul tappeto, ginocchioni, e cerc?? pianamente nell'ombra la desolata. La trov??, la prese; si rialz??.

??? Eccola. Le diamo la via?

??? S??, lasciala andare.

??? Vieni vicino.

Erano entrambi al davanzale. La sera portava la sua pi?? bella collana d'ametiste. Espero tremolava sul delicato mare.

??? Credi che voler???

??? Prova.

??? ?? piccola ma ha il cuore forte. Vuoi sentire?

Ella accost?? il suo pugno alla gota dell'amato.

??? Non ?? troppo tardi? Certo s'incontrer?? con un pipistrello; e la paura le far?? smarrire la sua via, povera rondinetta!

[217] ??? Bambina! Deve abitare vicino, lungo il fiume, tra le cannucce. Son finite le cove.

??? Non credi che potrei darle l'ospitalit?? per questa notte?

??? Sar?? molto infelice.

Ella esitava come se, trattenendo nella sua mano la calda prigioniera, comunicasse con la vita misteriosa che saliva d'ogni parte nella purit?? della sera.

??? Allora la lascio.

??? Prova.

Ella fu corsa da un lieve fremito. La prateria salmastra era gi?? immersa in una umidit?? violetta. Qualche pozza d'acqua riluceva, divina come un'imagine del cielo di sopra Oltr'Arno le selve di San Rossore nereggiavano come un attendamento di caravane al limite del Deserto. Su la lingua di sabbia lunga come una tiorba il mare in bonaccia faceva la sua fievole melodia. La bellezza del tutto era cos?? dolce che trapassava l'amore come una spada di fuoco.

??? Baciami, prima ??? ella disse, traboccante d'angoscia voluttuosa.

E pens?? a Lunella, e pens?? a Vana, e pens?? al giovinetto imperatore; e alla troppo nera ombra del leccio su la vecchia casa, e ai suoi cipressi allineati sotto la muraglia inesorabile dominata dal Mastio, e al canto notturno del [218] vento fra torre e torre, fra porta e porta, fra sepolcreto e sepolcreto.

Si baciarono. Ella tese il braccio, apr?? il pugno, con una pena nel cuore.

??? Addio, rondinetta!

E s??bito la sua mano fu vuota.

 

??? Aini, che hai?

Ella gli si abbandonava sul petto supino; gli prendeva il mento per tenerlo fermo; col volto sospeso sul volto, gli scrutava il fondo delle pupille, gli vietava la vista del cielo deserto a cui lo sguardo era fiso.

??? Parla. Che hai oggi, Aini?

Tanto di lui ella temeva il silenzio quanto di lei egli temeva la parola.

??? Ah, che grinta dura tu hai oggi! Tutt'osso.

??Un teschio con le labbra?? pens?? ma non disse, ch?? le ribalen?? alla memoria la donna ignuda del basso rilievo su la piccola porta preziosa nella saletta mantovana delle Pause, dinanzi a cui Aldo s'era inginocchiato.

??? Se ti bacio, mi faccio male.

Egli non s'era mai accorto che tanto ella pesasse: pesava come il marmo, gli schiacciava le costole. Ma sotto le costole egli aveva una ben altra tortura: il becco dell'avvoltoio [219] invisibile, che gli lacerava il fegato. Non udiva le ciance della lusingatrice, ma dentro di s?? una estranea voce virile. ??La mia macchina ?? a ordine, di tutto punto. Il sopraccarico del cilindro d'aria appena appena ne diminuisce la potenza. Ho un'elica nuova che rende a meraviglia. Sento con gioia un soffio che viene dalla terra, un vento di marea che mi spinger?? verso lo Stretto??.

??? Guarda le mie braccia pomellate d'azzurro e di viola! Mi fai vergognare davanti a Chiaretta, che ?? una pia francescana nata e cresciuta all'ombra della Porziuncola.

Con una grazia ostinata ella gli andava strisciando sul viso la pelurie delle braccia che odoravano forte come i sacchetti da odore perch?? ella li aveva inondati d'essenza. Egli era insensibile alla carezza; e i suoi lineamenti divenivano sempre pi?? ermetici. ??Tutto ?? pronto. Attendo il levare del sole. Il mio amico, agitando un guidone su la duna, mi fa segno che il disco ?? apparso. Tutto ?? gi?? in moto, tutto vibra e romba. Al comando, i meccanici abbandonano. Eccomi nell'aria. Filo dritto verso il mare; mi sollevo a grado a grado; supero la duna, odo l'augurio amichevole; vedo le acque sotto di me; lascio alla mia destra la torpediniera che col suo fumo denso mi oscura il sole. Nessun turbamento, nessun mutamento. [220] Tutto ?? tranquillo in me, intorno a me. Non una bava di vento, e per ci?? non una manovra di governo o d'inflessione. Le mani oziose, inerti. Non ho il senso del volo. Mi sembra d'essere immobile. Vedo l'onda, sempre la medesima onda....??

??? Non riesco a farti aprire la bocca! Ora vedrai.

Una sorda irritazione si moveva gi?? sotto la sua puerilit?? lasciva, qualcosa di simile all'impazienza ond'era presa talvolta quando una delle sue scatole tonde d'avorio per solito agevoli resisteva all'improvviso cos?? che per nessuno sforzo riesciva ella a girarne il coperchio, n?? pur le valeva il sacrifizio iroso d'un'unghia aguzzata e polita con tanta cura di lima e di polveri! Ella si nud?? il petto e prese fra le sue dita delicatamente una delle piccole mammelle rimaste verginali, simili a quelle che la Martire porta come due coppette riverse nel vassoio d'argento.

??? Ora vedrai.

Egli era serrato nell'ostilit?? nell'invidia e nel sogno. Vedeva il Canale color d'acciaio tra le coste frastagliate a picco; e dietro l'astro dell'elica, dietro il ventaglio dei tre cilindri, l'eroe solo, con la sua segreta di panno bruno, con la sua tunica azzurra d'artiere su la cinta di salvamento, col suo profilo aquilino di Franco che ha abbassato [221] la fr??mea, paralo la bocca dai baffi come da una baviera. Si ricordava d'averlo veduto a Montichiari, d'avergli parlato. Si ricordava della mascella robusta, dei pomelli saglienti, della ciocca ritrosa sul mezzo della fronte rimasta pallida nel volto rossastro. Anche si ricordava della donna semplice e possente che gli stava accanto, esule dal focolare, nella tettoia come sotto una trabacca di guerra, simile a una moglie di leudo che tralasci di riporre il lino nei forzieri e di distribuire la lana alle serve per brandire la mezzapicca e la francisca, attenta a incantare il pericolo con la forza di quel sorriso che le scopriva tutti i denti sani e le scavava nelle gote due fosse fonde. ??La torpediniera ?? rimasta indietro, non ?? pi?? visibile. Ora sono solo, perduto nell'immensit?? delle acque cupe, non veggo all'orizzonte n?? una linea di terra, n?? un fumo di piroscafo, n?? un albero di veliero. Nel silenzio, sempre il rombo del motore; nell'immobilit??, sempre la medesima onda. Quanti minuti passano? Pochi, ma interminabili. Scorgo a levante una linea grigia che ingrossa di continuo. ?? la costa inglese. Dirigo il volo verso la roccia biancastra. Sono assalito dal vento e dalla nebbia. Attente le mani alla manovra, attenti gli occhi alla rotta. Acciaio e ferro sotto di me: una flottiglia di torpediniere, una squadra di corazzate. [222] Vedo i gesti dei marinai che mi salutano, odo le loro grida fioche. Navi mercantili navigano lungo la costa, con la prua verso la mia sinistra. Comprendo che il porto ?? prossimo, che Dover ?? a ostro ponente. Viro da quella banda, ma il vento mi ricaccia in basso. Lotto ancora. Scopro il castello. Volo sul bacino di Dover. Passo fra due corazzate, entro in una specie di avvallamento. La terra ?? sotto di me; ?? verde, ?? concava come la palma d'una mano amica che sia l?? perch?? io mi ci posi. Ma, mentre discendo, un mulinello perfido m'aggira. Impaziente, spengo l'accensione; accelero la discesa; m'atterro con un urto che mi torce l'asse delle ruote e mi scheggia l'elica. Metto il piede su l'erba del Regno. Ho traversata la Manica. Ho l'ali intatte??. Il racconto breve dell'eroe gli sonava dentro come i colpi successivi del vento nella velatura che tende a rovesciarsi. La visione gli si svolgeva per lampi. Ma era il racconto di cose gi?? sapute, la visione di cose gi?? vedute. Era come s'egli si ricordasse d'aver compiuta quell'impresa, d'aver valicato il mare, d'aver sorvolato le navi, d'aver mirato lo scoscendimento biancastro, d'essere entrato nell'ombra del vallone, d'essersi posato su l'erba; ma in un viaggio assai pi?? lungo, in un volo infinito, sopra un'onda ch'era sempre la stessa e sempre diversa, sopra un'onda che come quella [223] del Lete gli toglieva ogni memoria della riva di gi??.

E sent?? su la faccia l'odore dell'amante, l'odore caloroso dell'ascella; sent?? su le sue labbra il piccolo frutto duro del seno che palpitava nello scroscio soffocato del riso. L'insofferenza fu aspra come uno scoppio di collera.

??? Basta! ??? proruppe, sollevandosi di colpo, afferrando la donna per i gomiti e respingendola. ??? Basta!

La spinta fu cos?? brutale ch'ella cadde riversa; e aveva su le braccia l'impronta delle tanaglie. Non grid??, non si lament??. Poggiandosi sopra un fianco, alenava seminuda; e sotto le ciglia aggrottate il suo sguardo ardente era inesplicabile. Le narici le palpitavano come all'approssimarsi del piacere. Qualcosa di acre e di felice, un'ambiguit?? sfuggente, una perversit?? incerta brillava e s'oscurava a volta a volta nel bel viso di d??mone.

Egli non la guardava. Era crucciato contro s?? stesso per l'atto violento ma non poteva scusarsi. Quel rammarico serrava ancor pi?? l'angustia della sua vita. Udiva alenare la donna, e temeva ch'ella fosse per piangere; e attendeva quel pianto come il peggiore dei supplizii. Intessute le mani dietro la nuca, poggiato il capo al parapetto, egli fisava di l?? dal limite bianco della terrazza, tra le foglie degli oleandri assetati, [224] il Tirreno sparso di pecorelle. La Gorgona appariva come una nuvola, di l?? da una striscia pi?? scura che annunziava l'arrivo del maestrale. Una schiera di gabbiani biancheggiava come una sola massa, alla foce, su la punta di sabbia; e a quando a quando un branco si levava sparpagliandosi a fior della schiuma. Dalle Lame di Fuori veniva il canto delle allodole. E laggi??, su le acque, era un punto eroico ove il lido diveniva invisibile. E pi?? gi??, ad austro, di l?? dall'Arcipelago, era la grande isola selvaggia, ricca d'avvoltoi.

E gli rison?? all'improvviso nel centro dell'anima la voce del buon compagno che determinava la rotta: ??Ponente una quarta a libeccio!?? E rivide il ripiano di ??rdea, la rupe di tufo tagliata ad arte, la valle dell'Incastro, la chiostra dei monti laziali. E rivisse i giorni della gran febbre operosa, e l'ardore delle speranze, e l'audacia dei sogni, e la grandezza del sogno pi?? disperato. ??Ponente una quarta a libeccio!?? Era la rotta fra la spiaggia ardeatina e il capo Figari all'ingresso del Golfo di Terranova: cento trentacinque miglia marine, una distanza non molto maggiore di quella ch'egli aveva percorsa nei suoi giri su la brughiera interrotti dall'orribile schianto.

E il mondo era pieno d'un'altra gloria, e d'ogni parte salivano gli inni, e le nazioni gi?? [225] credevano aboliti i confini, e santificate erano le ali dell'Icaro vittorioso! Che faceva egli su quel tappeto d'aremme ove la volutt?? pareva regolata dal flauto di Amar? Che era divenuto egli ondeggiando fra il terrore dell'annientamento e il desiderio sempre pi?? arido? Bene gli s'addiceva l'atto puerile dell'amante che gli aveva porto la mammella perch??, come il languido sonatore algerino dalle palpebre dipinte, imparasse a poppare le leonesse.

Balz?? in piedi. Si sporse dal parapetto verso la prateria ov'era alzata la tenda che ricoverava l'??rdea inerte. Cedendo all'impazienza chiam??:

??? Giovanni!

Era l'artiere prediletto da Giulio Cambiaso, quello che per l'ultima volta aveva riempito d'essenza il serbatoio.

??? Giovanni!

Nessuno rispose. La tenda era chiusa e muta. Anche i meccanici forse erano ai loro ozii e ai loro piaceri.

??? Perch?? chiami? ??? chiese Isabella con una voce dolcissima, quasi umile, balzando anch'ella e andando verso lui meravigliosamente splendida di amore.

??? Voglio destare l'??rdea.

??? Veramente?

L'allegrezza le folgorava nel viso, le scrollava tutta la persona e pareva sollevarla su [226] i pollici dei piedi elastici. Come aveva indosso una di quelle tuniche tenui a minutissime pieghe, stampate da un rinnovatore ingegnoso coi motivi marini dell'arte micenica, pareva che il giubilo stesso del suo sangue la colorasse fino all'orlo. Le nuvole bianche agglomerate su i Monti Pisani la irraggiavano d'un riverbero argenteo, che le si diffondeva su la pelle nuda e le s'insinuava su ogni piega rosea della veste come quella pruina che inargenta i petali delle massime rose.

??? S??, bisogna che tu la d??sti. Non osavo dirtelo. E mi prenderai con te, mi prenderai con te, Aini!

Ella gli s'era accostata ancor pi??, con uno di quei suoi movimenti ariosi che parevano commuovere tutto lo spazio intorno a lei e aumentare la luce agitandola. Egli la mirava attonito, posseduto sino all'infima delle sue vene.

??? Senza paura?

??? Ric??rdati della strada bianca tra i canali delle ninfee.

??? Veramente verrai con me?

??? Dovunque.

??? Sul mare, sul fiume, su i boschi, e anche laggi??, su la citt??, intorno alle cupole, intorno alle torri?

??? Dovunque, sopra le nuvole, di l?? dall'arcobaleno.

[227] Anch'egli allora fu invaso da un'allegrezza impetuosa. All'improvviso la sollev?? su le sue braccia. Ella cedette tutte le membra, fu fresca e leggera come una bracciata di foglie.

??? Quanto poco pesa la grande Isabella!

E, cos?? reggendola, sporse le labbra verso la mammella ancor seminuda della leonessa.

 

Allora entrarono in una felicit?? inaudita. Deposero le armi, guarirono d'ogni male, dimenticarono la scienza del tormento. Ebbero la tregua celeste.

Ogni giorno, prima del tramonto o prima dell'aurora, l'??rdea li rapiva nei pi?? alti sogni. L'incanto teneva l'incantatrice. Sorridendo ella aveva sentito nascere nel suo petto il cuore selvaggio di quel giovanissimo vento condottiere di uccelli migratori chiamato Orn??tio, che i marinai sorpresero ai Tre Porti addormentato su un banco di sabbia in mezzo a uno stormo di rondini stanche.

??? Io sono Orn??tio ??? diceva al volatore con un'aria di mistero che pareva inazzurrarle il viso e porle qualche filo d'erba o qualche grano di semenza nella bocca gonfia.

??? Non hai in mente quella deliziosa favola salmastra di Gabriele d'Annunzio? Ebbene io [228] sono Orn??tio. Quando la testa di Dardi Seguso cadde sotto la scure dell'uomo rosso, io la raccolsi sanguinante e m'involai seguita da tutte le mie rondini verso il mare. La portai fino al T??naro, alla soglia di Dite, nel territorio della Serenissima tuttavia, perch?? in cima al promontorio i Veneziani avevano costruita con le pietre di Sparta una torre quadrata contro i Turchi. Piegai gli asfodeli. Trovai Euridice. Le lasciai cadere il teschio nel grembo per ingannarla....

Ella parlava con quell'accento che faceva spalancare gli occhi alla sua Lunella quando le raccontava una novelletta.

??? Son tornato. Pi?? d'una volta ho dormito l??, alla foce, su la lama di sabbia; ma non m'hanno sorpreso i marinai, non m'hanno legato coi vimini. In memoria del maestro vetraio, son tornato spontaneamente all'amore dell'uomo. Hai anche tu intorno al collo un filo di scarlatto, che non si vede, Paolo Tarsis.

Parlava all'ombra del suo cappello bianco, tessuto d'una paglia fine trasparente e un poco rigida come il vetro filato di Murano, munito di due grandi ali bianche tolte all'airone maggiore, che prendevano leggerezza dall'esser commiste con le lunghe penne sottili del dorso e dell'occipite.

??? Non sospettasti di nulla, l'altra sera, l??, [229] nella stanza, al davanzale, quando venne a cercarmi la rondinetta? Per?? tu mi spiavi, senza fiatare. Ma certo non sapevi perch?? fosse entrata e non capivi quel che mi cinguettasse....

Ella si avvolgeva una cordella intorno alla gonna affinch?? le pieghe le rimanessero aderenti alle gambe, nel sedile arduo.

??? Mi lego perch?? non mi venga la voglia di fuggire e di andarmene errando ad libitum e anche di farti qualche tiro non compreso nella Rosa dei Venti.

Veramente ella aveva l'aspetto di un fanciullo malizioso, sfavillante di allegrezza e di audacia.

??? Andiamo, dunque, Orn??tio!

Scoppiava il tuono settemplice. L'elica azzurra diveniva un astro d'aria nell'aria. Affumicando un tratto di erbe arsicce, rapida l'??rdea lasciava la spiaggia. Salendo traversava la foce, poi s'abbassava con una virata a ponente, sbandava a sinistra come se la guidasse la malizia di Orn??tio, verso la lama di sabbia ove si vedeva biancheggiare un biancume simile a quei mucchi di lunghe alghe risecche che inargentano il Gombo. O meraviglia! Nel turbine dell'elica il mucchio compatto si rompeva, si disgregava, s'involava: era un immenso fremito d'ali, un balen??o di penne, un grid??o chioccio, una fuga di candore e di ombra su l'acqua crespa, uno sbigottimento sonoro contro la vasta c??nape, [230] un che di cinericcio, un che di nero nel candido. I gabbiani!

??? Orn??tio! Orn??tio!

Il volatore non si volgeva, chiamando il nome gioioso. S'alzava sul mare, superato lo stormo disperso. Sentiva presso di s?? la creatura vibrare come una s??rtia. Tutte le forze della sua vita erano un solo acume intento.

??? Orn??tio!

Ella s?? lo guardava senza saziarsi, attonita ed ebra di una novit?? impensata, sicura di lui pari a un dio sagace. Sovrumano le appariva quel capo scoperto, libero d'ogni ingombro, ossa e carni trasmutate come i legni dell'elica in una forza aerosa: quel viso fatto quasi di fluida violenza, quasi che il vento rovesciasse indietro non soltanto i capelli di su la fronte ma dal mento alle tempie tutte le fibre dei muscoli palesi.

??? Portami pi?? su! In??lzati anc??ra! Non temo.

Egli manovr?? il timone d'altura. L'??rdea fu simile alla chiglia che monta in sommo d'una smisurata onda oceanica. Per qualche attimo il petto della compagna parve vuotarsi; le mani si contrassero come per aggrapparsi al timoniere; le palpebre si chiusero. Lo spavento cess??. L'??rdea si librava su l'ali adeguate descrivendo un ampio cerchio tranquillo fra cielo e mare. Le vele latine ardevano come fiammelle [231] su i gusci bruni delle paranze. Erano le vele rosse della colonia picena immigrata a Bocca di Magra. Gli occhi riaperti le riconobbero.

??? Orn??tio, una punta sul Serchio ??? disse il timoniere virando a greco levante e filando a discesa verso la spiaggia selvosa.

Ella lo vide sorridere come a un gioco non palesato. Il dolce fiume di Lucches??a divideva col suo nastro verdechiaro i boschi di San Rossore dai boschi di Migliarino, il dominio regio dal dominio ducale. Si scorgeva il forte quadrato, il ponte della Sterpaia, la Torre dei Riccardi. Si scorgeva su la foce sabbiosa e bionda nereggiare un nerume simile ai mucchi di detriti e di rottami che le libecciate spingono sotto le dune.

??? Orn??tio! Orn??tio!

In un fosco nuvolo s'era converso il mucchio subitamente, in un nuvolo vivo dai margini palpitanti, pieno d'un gracid??o roco, dilatandosi in fuga verso i canneti, rompendosi in aspre strida, penetrando nelle chiome dei pini, addensandone l'ombra, riempiendole come d'un lembo notturno. Le cornacchie!

L'umidit?? fluviale attirava l'??rdea come in un risucchio. Nella corrente pigra si specchiavano come in uno stagno immobile le grandi ali senza battito. Tra i canneti tra i salci tra le v??trici, lungo le ripe di belletta arenosa e di radiche [232] scalzate, l'uccello gigantesco visse per qualche attimo la vita solinga e guardinga del piombino verdecilestro, quasi rasente l'acqua. Poi si risollev??, sorpass?? gli argini, vol?? su le paludi su i pascoli su i silenzii compresi fra l'Anguillara e il Fiume Morto come fra il Cocito e il Flegetonte. La bellezza dell'Elisio e dell'Ade sorrise e pianse nel vespero. Tutto fu ricordo e sogno. Tutto fu melodia e visione.

Ebra ed attonita, coi sandali bianchi poggiati alla traversa sottile, con la veste serrata dalla cordella come la fascina dalla vermena, con tutta la persona liberata dal peso e penetrata dall'illusione della trasparenza, la larva di Orn??tio era china verso l'Elisio e verso l'Ade, prona il bel volto che la corrente aerea pareva levigare sino alle vene pi?? azzurre. L'anima memore e presaga spiava per le pupille sognanti, riconosceva l'antico paese del suo dolore e del suo amore, divinava il ritorno del suo pi?? remoto destino.

Le acque tartaree cingevano una solitudine di sabbie e di erbe. Le selve s'oscuravano e vaporavano all'orizzonte. L'odore della cuora, della resina e del legno arso era cos?? dolce e triste che pareva nascere da un rimpianto di terra lontana, dalla malinconia di un infinito esilio.

??Ah, f??rmati!?? voleva ella pregare.

[233] Ed ecco, sotto le innumerevoli cupole dei pini, un bagliore d'incendio, un profondo fuoco misterioso ove mille e mille colonne embricate, in portici di piropo, fiammeggiarono.

??La selva arde? Perci?? esala tanto incenso??. Era il sole basso nel mare, il disco di rame rovente tra la zona delle nubi e il limite delle acque; che percoteva coi raggi obliqui i fusti, lasciando le chiome nell'ombra. Tutto ne rosseggiava come bragia il suolo coperto di aghi aridi. Una frotta fulva di daini fuggiva per l'ardore, appariva e spariva per gli intervalli dei rami, selvaggina alipede inseguita dai cani di Atteone e dalle saette del Centauro.

??Ah, f??rmati!??

Il fiume di Dante era trasfigurato, fulvido di fulgore come la riviera accesa dal riso di Beatrice, colmo fino all'orlo come una plenitudine sempiterna che non avesse foce ma origine nel mare e tutta si versasse nel cuore della citt?? pietosa inginocchiata presso l'urna quadrilunga ov'ella custodisce pei secoli un pugno di terra santa.

??? Madonna Pisa!

Obbed?? a quel sospiro il grande airone sormontando la fiumana rosea.

??? Madonna Pisa della Spina Ardente!

Una chiara pace era nell'aria; ma il petto dell'amante si gonfiava d'un fervore grave come [234] un affanno. In tutta quella luce di gaudio pareva ch'ella sentisse la spina di passione custodita nel tabernacolo di marmo e di preghiera sospeso su la ripa, e che il suo sangue ravvivasse la reliquia. Ella non poteva pi?? tenere l'anima nel serrame delle sue ossa, tanto il rapimento era forte. S'avvicinava all'estasi della citt?? con le ali di un Arcangelo folgorante. Il rombo stesso del volo si faceva remoto nel suo orecchio come nel meandro d'una conca marina. L'??mpito della poesia nel suo cuore era s?? veemente ch'ella ebbe volont?? di piangere.

E nella miracolosa dolcezza il grido del Pazzo di Cristo sorse dalla sua memoria, sorse dalla pagina di quel medesimo volume a cui le dita febrili di Vana erano per apprendere il color bruno che ??procede innanzi dall'ardore??.

Amor amore, che s?? m'hai ferita,

Altro che amore non posso gridare;

Amore amore, teco sono unita,

Altro non posso che te abbracciare.

Amore amore, forte m'hai rapita:

Lo cor sempre si spande per amare.

Per te voglio spasmare,

Amor, ch'io teco sia!

Inginocchiata veramente e affocata d'amore era la Citt?? ai piedi del suo santuario. Soli grandeggiavano [235] sul fiume di luce i marmi radiosi come i topazii danteschi, gli ordini delle colonne saglienti come i cerchi delle bianche stole. E l'Adorante stava umile e prona, coperta dei suoi embrici, innanzi all'erma bellezza, come nel basso delle tavole d'oro ove splende la gloria della divina Imagine sta il Donatore a mani giunte vestito di scuro lucco.

L'??rdea rote?? nel cielo di Cristo, sul prato dei miracoli. Sorvol?? le cinque navi concluse del Duomo, l'implicito serto del Campanile inclinato sotto il fremito dei suoi bronzi, la tiara del Battistero cos?? lieve che pareva fosse per involarsi gonfia di echeggiamenti. Come pi?? si estingueva il fulgore paradisiaco del vespero convertendosi in cerulea cenere, pi?? s'impregnavano di luce mistica i marmi; e la serbavano nella lor pia sostanza bionda cos?? lungamente contro l'ombra, che pareva vi trasparissero per vene alabastrine dall'interno le luminarie degli altari.

??? Il Camposanto! ??? preg?? Isabella nell'orecchio del timoniere celeste. ??? Ora scendi verso il Camposanto!

L'??rdea rasent?? le lastre di piombo. Con tutte le preghiere del silenzio la donna implor?? che l'ala rimanesse sospesa nella visione di vita e di morte.

??Ah, f??rmati!??

[236] Non fu se non un attimo scoccato all'apice dell'anima. Fu come un'urna scoperchiata e richiusa: la grande urna quadrilunga ove la forza della Citt?? dorme fra un cipresso e un roseto, con i piedi congiunti, con le mani in croce sul petto, ben profonda nella terra del Calvario recata dalle gal??e dell'Arcivescovo Ubaldo.

??Ave Maria??. La salutazione angelica inchinava lo stelo del Campanile a ostro.

Il volo s'allontan??: lasci?? sul prato in disparte, incontro alla muraglia ghibellina e alla porta bruna come il sangue cagliato, l'albore della santit?? marmorea non anche estinto; lasci?? i tetti gi?? lambiti dalla notte, il fiume ancor pallido tra due righe di faville d'oro, il canale ingombro dal nero sonno dei navicelli. Volse a scirocco su la rasa pianura ove qua e l?? lucevano i fossi, pass?? gli acquitrini e i pascoli di Coltano, valic?? la bandita di Arno Vecchio dove sembra vivere pur sempre l'umido spirito del fiume deviato, si libr?? su l'amara selva del Tombolo ove forse la lonza si aggira. E ancora la bellezza dell'Ade vapor?? nell'estremo crepuscolo. E ancora vi si diffuse l'odore doglioso della cuora, della resina e del legno arso.

Larve tacite si movevano nella nebbietta rischiarata dal novilunio, ondeggiavano, dileguavano: erano le mandre dei cavalli bradi. Un grande occhio rotondo guardava dall'oscurit?? [237] del forteto: era una piscina per gli armenti. Tumuli cupi fumigavano nella radura fenduti di fiamma come gli avelli roventi del Sesto Cerchio: erano le carbonaie. Ma quei vasti letti di silenzio e d'ombra, separati da lunghe zone di selvaggia notte, quegli ??lvei senza corso e senza foce tra argini che ruppe un tempo la piena del duolo, non erano i fiumi inariditi delle valli averne? non erano l'Erebo e lo Stige, il Lete e l'Acheronte?

[238]

 

E Lunella pregava:

??? Non te n'andare, Vanina, non te n'andare anc??ra! Resta un altro poco, Duccio! Conducimi anche me alla Badia. Ti prego, ti prego!

??? No, Lunella, no. ?? l'ora del tuo pranzo. Sii buona. Miss Imogen ?? gi?? l??. Troppe cose in un giorno. Oggi hai avuto tanta musica. E vedi come ti riduci? Hai anc??ra il singulto.

??? No, Vanina. Se bevo un sorso d'acqua, mi passa.

??? Ma non ti passa l'angoscia, e poi stenti a dormire.

??? Tutto mi passa.

Ella supplicava con gli occhi ancor venati di rosso dalle lacrime, tenendo tra le braccia Tiapa, la bambola prediletta; e il minuscolo viso di porcellana dalle gote rubiconde stava contro quella gota ancor umida che gi?? pareva lievemente ondeggiata dalla sensibilit?? precoce e ombrata non soltanto dall'ombra dei capelli. Ma ella aveva sparso il suo pianto subitaneo anche su la gonnellina di Tiapa tutta quanta merlettata e increspata a falpal??, cos?? a dentro il lamento del violoncello le aveva tocco la piccola anima inquieta. E ora l'anelito le risaliva alla gota di tratto in tratto, scotendola.

[239] ??? Via, Lunella, andiamo. Sii buona. Ti accompagno.

??? Duccio, Duccio, perch?? non dici nulla? perch?? non mi difendi?

Il fratello la trasse a s?? con uno di quei gesti quasi violenti ch'egli usava verso la salvatichetta pel vezzo di aizzarla come una cucciola permalosa che nel gioco imbizzisce e mordeggia. La imprigion?? fra le sue ginocchia e le rovesci?? la testa folta. Ma una tenerezza accorata era nel suo sorriso.

??? Che vuoi da me, Forbicicchia?

??? Ahi, mi tiri i capelli, mi fai piangere un'altra volta.

??? Perch?? hai pianto?

??? Perch?? guardavo le tue dita.

??? Quali dita?

??? Sul manico.

??? Ebbene?

??? Erano tanto malate.

??? Malate?

??? S??, come il Salonico.

??? Ah, Forbicicchia stramba!

Il Salonico era un vagabondo a cui ella aveva messo il nome di quei predoni spaventosi che stavano sul Monte Voltraio dalla chioccia d'oro. Ella lo aveva veduto una volta cadere di schianto in convulsioni sul lastrico, e non l'aveva dimenticato pi??.

[240] ??? Mi conduci dunque alla Badia?

??? No. Oggi no.

??? Perch???

??? Non vedi che Tiapa ha sonno?

La bambola inclinata sul braccio socchiudeva gli occhi di vetro turchini come lo zaffiro.

??? Ed ?? pi?? malata del Salonico e delle mie dita.

??? Perch???

??? Non vedi che ha una gamba rotta?

Ella subito tir?? gi?? la gonnelletta per ricoprirla.

??? Ma da questa gambina non ci sente.

??? E il naso schiacciato.

??? Oh, un pochettino.

??? E mi pare che da un occhio sia guercia.

??? No, questo no.

??? Guercia, bircia, orba e lusca.

Ella rise d'un breve riso che sembr?? venuto su dall'anelito; e Vana e Aldo ne tremarono, e si guardarono.

??? Ma sar?? il sonno. Portala dunque a dormire.

??? Bene, la porto se Mor??ccica le canta la ninna nanna.

??? No ??? disse Vana ??? non ho voglia. Non me ne ricordo pi??.

Ma, come indovin?? su la bella bocca imbronciata un nuovo scoppio di pena, soggiunse:

[241] ??? Bene, canto la ninna nanna a Tiapa.

Era quella di Modesto Mussorgski ??per ninnare la bambola??, una cantilena lene e lamentevole, minacciosa e persuasiva, che sembra illuminata dagli ultimi guizzi del ceppo riflessi nel metallo dell'icona e misurata su la voce del vento nella steppa deserta.

??? Su, Aldo, diamo vinta anche questa alla Forbicicchia prepotente.

Si guardarono con una indicibile malinconia.

Aldo pose le mani su la tastiera; Vana s'appress?? al pianoforte ma si accinse a cantare verso Lunella, che aveva sorriso appena appena. Aveva sorriso e poi s'era fatta grave, tenendo su le braccia Tiapa inclinata in modo che non chiudesse anc??ra gli occhi. Stava in piedi su le sue gambe di paggio snelle e nervose, pendendo dalle labbra della cantatrice; e le forbici sottili dalle punte d'acciaio e dalle branche d'oro, artefici delle imagini bianche, le brillavano sul fianco legate a una catenina interrotta di pietruzze d'ogni colore come quelle infilate in certi monili egizii.

Oe, ninna nanna, Tiapa!

Tiapa, non chiudi gli occhi?

Se tu non dormi, bada

che l'Orco non ti crocchi.

[242]

Ti crocchia se t'azzanna,

t'ingolla: ha un gozzo enorme.

Ma Tiapa ?? a nanna, ?? a nanna.

Gi?? dorme Tiapa, dorme.

Con un atto precipitato, ov'era forse un poco di spavento vero, Lunella abbass?? il braccio che reggeva la testina di Tiapa; e gli occhi di vetro in bilico si chiusero, ma i suoi rimasero aperti smisuratamente verso il f??scino del canto, perch?? Vana non cantava soltanto con la gola ma con tutta l'espressione della faccia china verso la bimba e la bambola a disegnare l'orrore del mostro famelico.

Se mi dici il tuo sogno

io ti canto una fiaba,

domani. Ora c'?? l'Orco.

Oe, ninna nanna, Tiapa!

Un pan tondo in un pozzo

in un pozzo di panna,

domani. Ora c'?? l'Orco.

Oe, Tiapa, ninna nanna!

Le ultime note spirarono come un soffio su la bambola addormentata. Lunella cercava di tenere le braccia immobili sotto quel sonno supino, invasa da un vago sbigottimento. Nel viso di porcellana ambe le palpebre erano chiuse [243] ma una, quella dell'occhio guercio, lasciava scorgere in un angolo un poco di bianco azzurrognolo.

??? Gridagli che Tiapa dorme ??? sussurr?? ella alzandosi su le punte dei piedi per andarsene cautamente. ??? Il covo dell'Orco ?? in fondo alle Balze.

E usc?? trattenendo il respiro, col viso atteggiato a una sollecitudine e a una inquietudine materne, sotto la sua chioma d'angelo magnifico.

 

Le Balze erano piene di luce e d'ombra, percosse dal sole occidente; e la luce era gialla come se percotesse nell'ocra, e la sua ombra era quasi fulva. Il colore del deserto e del leone colorava in quell'ora il primo cerchio che cinghia l'abisso; ma il cerchio secondo era cinerognolo e grommato d'una muffa verdastra, il terzo era livido e sbavato di colaticci. Gi?? per gli scheggioni per le rosure per le grotte s'ingolfava il vento, e riempiva di compianto tutta la rovina. Sul cupo tumulto delle sue favelle i falchi gittavano le strida acute roteando.

??? ?? orribile ??? disse Aldo.

??? Ti fa paura? ??? chiese la sorella.

Un f??scino rapinoso pareva turbinare intorno alla fossa in arco torta, una specie di perpetua [244] bufera avvolgente come quella che mena la schiera ov'?? Dido. Nessun piede umano si sentiva fermo su la proda, nessun'anima si sentiva diritta. La vertigine vuotava le tempie ai pi?? intrepidi.

??? Mi fa orrore ??? rispose l'adolescente. ??? Quando penso alle Balze, mi sembra che non vi sia in terra solitudine pi?? sola. Quando le guardo e le ascolto, sento che qualcuno le abita, non so quale vita avviluppata e aspettante. Se io cadessi, credi tu che il mio corpo sarebbe ricevuto dalla creta e dal sabbione? Chi ha mai guardato veramente sino al fondo? La pupilla non resiste.

??? Perch?? forse nel fondo c'?? una luce allucinante.

??? Credi?

??? Voglio guardare.

??? Non cos??. Vana! Cos?? ?? impossibile.

Egli l'afferr?? mentre ella faceva l'atto d'appressarsi all'orlo e d'inchinarsi; la trasse indietro, la tenne per qualche attimo stretta. Ed ella lo sent?? tremare nelle intime ossa.

??? Come tremi! ??? disse ella, con una voce severa e tranquilla, dopo una pausa in cui parl?? il vento parole di dolore accenti d'ira gi?? per la rotta lacca.

Il cuore le diveniva adamantino, sentendo il tremito fraterno. Glie lo rinsaldava un coraggio [245] orgoglioso, per contrasto. Il disdegno rig?? quella subitanea durezza e stridette nel breve riso.

??? Pensi all'Orco di Lunella?

Egli ebbe in s?? un terrore pi?? profondo del primo tremito, perch?? quella irrisione gli rinfacciava il patto di morte. Ed era simile a colui che, per tentare un gioco terribile, si serve d'un istrumento micidiale e a un tratto s'accorge che questo lo trascina con una volont?? cieca assai pi?? potente della sua e che la sorte s'inverte perch?? egli non ?? omai se non una misera cosa trepidante avvinta a una veemenza indomabile. Bisognava dunque veramente morire? Non era pi?? tempo d'indietreggiare? Bisognava adempiere il proposito e il patto?

??? Andiamo ??? disse Vana. ??? Andiamo alla Badia.

Egli non le lasci?? la mano ma la tenne nella sua anc??ra convulsa. Non egli ma la giovine vita delle sue vene, pi?? forte della sua angoscia e della sua onta, si attaccava con tanta tenacia alla vita di quelle vene e si confortava nel calore persistente. Respirava, sottraendosi al f??scino tetro.

Disse, e la voce aveva un suono sordo e falso come per una fenditura del metallo:

??? Era forse per oggi? Ma la vertigine poteva prenderti su l'orlo. Perch?? lasciare al caso quel che ?? premeditato?

[246] Il disdegno riapparve nel lievissimo sorriso di lei. Ella non rispose. Ora un d??mone spavaldo la trascinava, quasi che dalla debolezza del fratello venisse a lei qualcosa di virile, una superiorit?? maschia. Camminava con la testa alta, con un passo franco e spedito, lungo il filo di ferro irto di punte come un rovo da piegare in corone di spine, che teso fra le stele rozze di pietra chiudeva l'orto innanzi al grande edifizio di color tra di ruggine e di piaga. Il fratello la teneva per la mano; ma ella aveva l'aria di condurlo come un fanciullo, come se a un tratto i due anni scarsi di differenza fra le loro et?? fossero divenuti dieci.

??? A ciascuno la sua ora e la sua scelta ??? disse alfine, senza gravit?? ma con una sprezzatura quasi lieta. ??? Lasciamo i compagni di viaggio imaginarii su le urne etrusche.

Egli sent?? ch'ella lo umiliava. E si form?? in lui, sul suo terrore istintivo, uno di quei sentimenti fittizii che a un tratto occupano e deformano l'anima giovenile.

??? Vana, ti insegner?? una cosa ??? disse soffermandosi. ??? Una volta, per guardare bene in fondo, mi misi a giacere bocconi su l'orlo, col viso sporgente nel vuoto. Per ci?? dianzi t'ho detto: non cos??.

??? Ah!

??Non ?? vero?? fece ella dentro di s??. E sciolse [247] la mano da quella del fratello; e sembr?? ch'ella riprendesse anche la parte di dolore che aveva lasciato scorrere in lui. E, come la gora si rigonfia e colma gli argini se il varco sia occluso, quel dolore le riflu?? su tutta l'anima e s'aument??. Ella riebbe intero il sentimento della sua solitudine. Pareva lo contenesse dietro le sue labbra serrate, dietro la sua fronte contratta, nella fermezza di tutto il suo viso smagrito. Camminava sola, innanzi, su per il pendio erboso, tra i lunghi cipressi schiomati, tra i piccoli olivi distorti. Portava il cappello tessalico dalla ghirlanda di rose gialle, ch'era la sua ghirlanda funebre; e il vento le scoteva le larghe falde intorno ai pensieri, le sconvolgeva i fiori di seta, come s'ella fosse di nuovo entrata nel turbine dell'elica. E di nuovo le pareva che la paglia risonasse come il bronzo d'una campana e che nel rombo le parlasse il fantasma. E ripeteva a s?? stessa: ??Io sono la fidanzata secreta d'un'Ombra??. Rivedeva il sorriso vivente di Giulio Cambiaso, i denti minuti e puri come quelli d'un bimbo; credeva che nessuna creatura umana fosse stata per lei tanto dolce e nessuna le fosse ora tanto vicina. Gli diceva: ??Fra poco, fra poco verr????. Lo riamava d'un amore sublime, come quando era coricata sul letto nella notte di Brescia aspettando l'ora di sciogliere il v??to.

[248] ??? Perch?? corri cos??? dove vuoi andare? ??? disse il fratello che la seguiva ansioso come s'ella lo traesse a un immediato destino.

??? Corro?

Non s'accorgeva di correre; che tutte le cose intorno avevano l'atteggiamento dell'assalto o della fuga. Le nuvole inseguendosi parevano rasentare le muraglie diroccate, lacerarsi agli spigoli della torre mozza. Tutta la campagna gibbosa era sonora come se ogni monticello fosse un timpano rovescio. Simili ai sassi scagliati dalle frombole i rondoni fendevano l'aria con acutissimo strido e sparivano come se colpissero il segno incastrandosi nel nemico percosso.

??? Vedi? vedi questa piccola porta, Aldo? ?? stretta, come quella di Mantova, come quella delle Pause, dove dicesti: ??La canzone che non canterai, Mor??ccica??. Te ne ricordi? Non ha i dischi di marmo nero; ma hai tu mai veduto un'edera pi?? nera di questa?

Era una porticella di pietra, con l'architrave carico di nera edera. Quando ella pose il piede sulla soglia rotta, Aldo ebbe il cuore in sussulto come se la vedesse sparire per sempre. Egli non riusciva a dominare la sua paura cieca. Ogni pietra era alla sua imaginazione come nelle urne il limite sepolcrale ove i congiunti arrivano e si accomiatano. N?? poteva egli rimanere di qua. Ma pass?? anch'egli la soglia [249] e non entr?? nel buio: vide oltre il murello e gli sterpi, le maligne piagge nello sprazzo del sole colcato, i meandri delle vie dubbie, qua e l?? un luccich??o di acque sinistre.

??? La canzone che non canterai! La canzone che non canterai! ??? ripeteva la moritura sorridendo e guardando il giovinetto con uno sguardo che lo agghiacciava come fosse il suo medesimo veduto di notte in uno specchio quando l'imagine specchiata non ?? la nostra ma quella dell'intruso che abita in noi e usurpa la nostra sostanza.

??? Perch??, sorella, ti sei sciolta dalla mia mano? ??? egli le disse. ??? Perch?? ora mi separi da te?

Ella non distolse da lui lo sguardo intollerabile. Disse:

??? Di che soffri?

E aspett??, senza crollo nell'agitazione del vento.

L'orrore s'accumul?? in quel breve spazio, contro il muro diruto dell'abside scoperchiata, sotto la torre mozza, fra le macerie che serbavano il vampo canicolare. Pareva ch'ella dovesse chinarsi, raccogliere una pietra e scagliarla.

??? Ah, che importa, ??? rispose egli cupamente ??? se voglio morire?

??? Lasciami sola! Lasciami sola! ??? ella proruppe con una violenza repentina. ??? Non ti conosco pi??.

[250] ??? Sei folle, Vana.

Ella scans?? il gesto del fratello, rivalic?? la soglia, entr?? nel chiostro; cammin?? lungo i gialli pilastri quadrangolari, tra le fascine di sermenti, tra le mannelle di paglia. Il cigol??o incessante dei passeri era triste come il rumore della gran falce invisibile il cui taglio fosse da taluno assottigliato su le lastre disgiunte intorno il pozzo cinto di ferro al pari d'una cripta o d'una muda.

??? Attinia! Attinia!

Ella chiamava la custode della Badia, che la riconobbe alla voce e accorse festosa. Ossuta, adusta, con le labbra sottili, con gli zigomi forti, con le orecchie discoste, somigliava quell'Etrusca della gente C??cina adagiata su l'urna ov'?? scolpito il viaggio in carpento. Portava su i capelli lisci il grigio feltro volterrano. Parlava della sua annata, del suo uomo, della sua figliuolanza, del suo asilo scosceso con una bont?? paziente, con una pazienza serena.

??? Attinia, lasciami rivedere il cavallo bianco.

??? Ah, se ne ricorda sempre? Ora prendo le chiavi.

Una bambina seminuda tir?? la donna pel grembiule e barbugli??:

??? Mamma, c'?? il pazzo.

La donna soggiunse:

??? Venga, venga. Non abbia tema. ?? buono.

[251] E s'avvi?? pel chiostro; che aveva su ciascuna parete interna piccole porte cieche di pietra murate di mattoni, ove nessuno entrava pi??, onde nessuno usciva pi??.

??? Ne hai preso uno anche tu, quest'anno, Attinia?

??? Che vuole? Bisogna campare. Ma ?? tanto docile.

Anch'ella s'era adattata alla nuova industria del contado. Aveva ricevuto in custodia dalle case di San Girolamo un demente, e l'ospitava e accudiva ai suoi bisogni e alle sue miserie, e ogni settimana lo riconduceva laggi?? per mostrarlo ai medici; poi, fatta la visita, lo riprendeva in casa, lo mescolava alla vita familiare, con la tranquillit?? della gente semplice dinanzi all'uomo vivo divenuto pi?? misterioso del cadavere.

??? Come si chiama?

??? Viviano.

??? Di dove?

??? Della Maremma trista, della terra di Soana.

Aldo rivide la morta citt?? degli Aldobrandeschi, scolpita nel tufo come un sepolcreto, fra i due lordi fossi febbricosi.

??? ?? giovine?

??? Di mezza et??. Ma buono, poveretto. Vuole di molto bene ai bambini. Porta al pascolo la mucca. Parla poco. Sempre sorride.

[252] S'erano soffermati su la soglia del Refettorio. Il cigolio dei passeri non si quetava mai, ma ben lasciava udire il profondo gemito del vento nelle vuote mura. La porta era socchiusa; la chiave era nella serratura e le altre in fascio pendevano da quella, rugginose.

??? Passi, passi pure ??? diceva la donna spingendo l'imposta.

??? Vana, Vana, non entriamo ??? preg?? Aldo all'orecchio della sorella. ??? Non facciamo questo! Andiamo via.

Vana entr?? con risolutezza, come superando un impedimento; e rapida guard?? intorno, guard?? in tutti gli angoli, scrut?? tutta l'ombra. Il gelo le colava gi?? per le spalle. Il Refettorio era deserto. Ella rivide su la parete il gran cavallo bianco cavalcato dal cavaliere portatore dell'Aquila; e, l?? presso, i Santi spettrali dalle lunghe cappe bianche. Il vento scoteva le assi inchiodate alle finestre, che scricchiolavano. Una sala era aperta; e v'apparivano le Balze, e sul ciglio la nuda mole di San Giusto simile a un colosso di ghisa, e la strada curva su la collina magra, e il pallore tormentoso dell'uliveto.

??? Non eri mai entrato qui, Aldo. Eppure te ne ricordi. Sono certa che te ne ricordi. Siamo anc??ra nella Reggia d'Isabella, siamo nel Paradiso. La voragine ha inghiottito i giardini, la canicola ha prosciugato la palude, l'oro e [253] l'azzurro sono distrutti. Sono rimasti i ragnateli, si sono moltiplicati, non vedi?, tremano dovunque. Un ragno ha presa l'ape.

Ella gli parlava sommessamente, con un aspro ardore in cui l'ironia strideva come il sale sul carbone rosso.

??? Guarda l??: ?? rimasta la cappa del camino squarciata, ?? rimasto il nero della fuliggine, il mattone sgretolato, il calcinaccio, l'odore della muffa, l'odore della morte, e nulla pi??. Nulla pi??, fuorch?? il nostro orrore nascosto. E andiamo, andiamo anc??ra, di soglia in soglia, di stanza in stanza, andiamo dunque, cerchiamoci, chiamiamoci anc??ra. ??Aldo, dove sei? Ti sei perduto???

Ella lo teneva pel braccio, e lo stringeva, e gli parlava come dentro l'anima; e pareva che avesse smarrita la ragione, e pur pareva che nella pi?? remota profondit?? tutto vedesse. E quelle parole ch'ella aveva gridate nell'ombra della ruina irremeabile, ora le ripeteva con una voce segreta che scavava il petto al fratello non confessato e glie lo empiva di sgomento.

??? Ma non ci ritroveremo, ma non ci abbracceremo come allora, non piangeremo insieme senza lacrime. Tutto ?? nudo, non c'?? pi?? traccia di bellezza, non c'?? pi?? nulla per sognare.

Ella s'arrest?? e sobbalz??; poi fu tutta di gelo.

??? Guarda quella porta. Guarda chi c'??, nella Reggia d'Isabella!

[254] Una larva smorticcia era apparita su la soglia, venuta dal fondo d'un muro cieco, dal fondo dell'opaco silenzio, come una di quelle figure estinte che l'intonaco ancor serrava presso il grande cavallo bianco.

??? Viviano, salutate ??? disse la mite Attinia ch'era indietro riguardosa.

La larva fece un gesto vago, si scoperse il capo. S'avanz??. Non era un uomo, era un sorriso, era come un sorriso in una pietra. Da quale recesso dell'ombra veniva egli? che aveva veduto? che aveva ascoltato? quale suono era per uscire dalle sue labbra scolpite come quelle dei vecchi idoli dipinti che sorridono all'inconoscibile in eterno?

Vana e Aldo, l'una presso l'altro, mentre egli s'avanzava, con un moto involontario si ritrassero. La finestra era dietro di loro; e gli stormi passavano come saettamenti disperati, come quelli che nel pi?? lungo giorno avevano ferito il cielo di Vergilio.

??? Viviano, che facevate qui solo solo? ??? disse la mite Attinia.

Il demente sorrideva. Il sorriso impietrava la sua bocca e impediva che la parola si formasse. Portava egli una specie di sacco grigio che gli giungeva alle ginocchia; aveva il colore della parete derelitta, sembrava una falda dell'intonaco scrostato; e la sua faccia glabra era come la lampada fioca della casa deserta.

[255] ??? Non rispondete, Viviano?

Il sorriso tremol?? appena, quasi fosse il riflesso lontanissimo d'un movimento avvenuto nell'infinito gorgo della vita. E Aldo, che riviveva in un ritorno spaventoso l'ora della sua perdizione, pens?? a un tenue bagliore ch'egli aveva veduto tremolare laggi??, nella Reggia d'Isabella, su pel graticcio sfondato d'un palco, ed era il riverbero di chi sa quale acqua solitaria salito a traverso i vetri coperti di polvere e di ragne.

??? Andiamo, Vana. ?? tardi ??? disse egli, sospingendo la sorella; perch?? riudiva dietro di s?? lo stormo frenetico tornare come una forza ruinosa e strepitosa che fosse per trascinarlo seco un'altra volta.

Ma li seguiva pel chiostro il passo della larva, molle come di chi strascichi nella belletta. E si ritrovarono davanti a una porta socchiusa, donde alitava un odore amaro. Su l'architrave di pietra era scritto in lettere corrose: Domus mea. Vana spinse l'imposta, entr??.

??? La casa mia! La casa mia! ??? ella disse avanzandosi fra le erbe amare, su le macerie sacre.

La vasta chiesa era smantellata, le mura erano pericolanti, tutti gli altari erano distrutti; i rocchi delle colonne erano abbattuti fra il pietrisco; altri erano ritti, e sopra vi riposavano i [256] rudi capitelli dalle tre foglie e dai tre grappoli. Nell'abside dall'arco fatto di cunei neri e bianchi, nella sacrestia irta di rovi, qua e l?? nelle scaglie di scialbo rimaste su la panchina fulva, rosseggiavano vestigi di affreschi, simili a chiazze di sangue indelebile. Ogni imagine era vanita; soltanto il rosso persisteva come il testimonio d'un martirio insigne. E superstiti erano anche i due piedi trafitti del Crocifisso, accanto a una cupa tunica color di grumo. E la testa mozza di San Giusto, la testa quadra e barbata, lebbrosa di lichene, giaceva tra le c??ppite gialle.

??? La casa mia!

E il sorriso del demente era l??, era il sorriso d'una pietra, era il sorriso di tutte quelle pietre che o prima o poi dovevano finire inghiottite dalla voragine, dovevano rotolare in fondo ai botri, trovare laggi?? l'ultima pace, riseppellirsi nella terra.

??? Addio, addio, Attinia!

Anch'ella, Vana, ora credeva di sorridere cos??; credeva di sentirsi suggellare nei muscoli della faccia quella medesima contrattura infinita. Due o tre volte fece con la mano su la bocca il gesto di chi scaccia, di chi cancella.

??? Dove vai? dove vuoi andare? Non correre! ??? pregava Aldo seguendola perdutamente nel sibilo della r??ffica.

Discesero per la china; rividero il ciglio erboso [257] di sotto il muro, gli elci nani simili ai mendicanti monchi e storpii, il girone oscurato, la valle d'abisso; riudirono le voci alte e fioche, i sospiri, gli ululi, i guai. Ripresero la via verso la Guerruccia, a piedi. Avevano ordinato che la vettura li aspettasse presso la Porta Menseri.

??? Ah, f??rmati. Vana! Sei ansante. Respira. Lasciami respirare. Che furore ti prende?

Il selvaggio masso di Mandringa dominava la via.

??? Ardo dalla sete. Lasciami bere. Bevi anche tu un sorso d'acqua.

La fonte pullulava sotto un arco chiomato di caprifogli e di pruni.

??? Non voglio bere ??? disse la sorella.

Nell'ombra umida era un cicaleccio di femmine, un luccich??o di mezzine, un chioccol??o di cannelle.

??? Aspettami un minuto!

Egli scese alla fonte; si scopr?? il capo, tergendosi; domand?? di dissetarsi. Tutte le acquaiuole si volsero a un tempo verso il bellissimo adolescente. E gli occhi brillarono nella frescura verdastra, sotto i cappelli di feltro; i gomiti si urtarono; parole sussurrate, lievi risa corsero.

??? Senza bicchiere?

??? Alla mezzina?

??? Alla cannella?

[258] ??? Qui ?? l'acqua bona.

??? Meglio che al pozzo degli Inghirami.

??? Chi sciacqua le lenzuola

alla Docci??la,

convien che l'acqua attinga

alla Mandringa.

??? Ecco la mia brocca.

??? ?? pi?? lustra la mia.

??? Questa ha il becco pi?? stretto.

??? Questa! Questa!

Sotto l'arco sonoro le voci chiare echeggiavano, le braccia nude sollevavano le mezzine colme e le tendevano. Egli sentiva intorno a s?? fremere la gentilezza popolana, scorgeva nella frotta la grazia di qualche viso pi?? giovine. Porse le labbra al sorso, abile nel non toccare il rame, nell'evitare il troppo.

??? Come sa bere a garganella!

??? No, a zinzini.

??? E come netto.

??? ?? un vero bacio.

??? Fa venir l'acqua in bocca a chi non beve.

??? Beata la sua dama!

??? Fiore d'acacia! ??? stornell?? la pi?? ardita, fra l'ilare brus??o, fra il lampeggio delle pupille, fra l'urteggiar dei gomiti, mentr'egli lesto raggiungeva su la via l'impaziente. ??? Fiore d'acacia! E chi bene sorseggia, meglio bacia.

Si ritrov?? nel vento, nella forza implacabile [259] che lo trascinava verso l'altro aspetto del mostro. Le nuvole andavano a oste contro Volterra, come un d?? le genti del Montefeltro. Riarsa era la campagna come dopo il guasto degli Approvvigionati. Di tratto in tratto qualche rudere della cerchia antica sporgeva dal dosso cretoso, come una vertebra disgiunta.

??? Sai che torna? ??? disse Vana all'improvviso.

Camminava con la testa bassa.

??? Torna?

??? Ha scritto al maestro di casa che prepari la villa. ?? fidanzata.

??? Che vuoi dire, Vana?

??? Isabella s'?? fidanzata a Paolo Tarsis.

La campagna pareva piena di grida.

??? L'ha scritto?

??? L'ha scritto.

??? E perch?? me lo dici ora soltanto?

??? Perch?? l'ho saputo oggi.

??? E torna con lui?

??? Con lui.

La campagna pareva che girasse tutta in un sol vortice.

Dunque non c'era scampo. Si preparava il legame legittimo. Isabella diveniva il possesso di un uomo. Tutto nella sua e nell'altrui vita era per trasmutarsi. Tutto crollava.

??? Sei certa? Hai veduta la lettera?

[260] ??? L'ho veduta.

Aldo si sofferm?? perch?? temette di stramazzare, come se il vento gli fosse passato a traverso e lo avesse vuotato di tutto.

Anche Vana si sofferm?? alenante, e disse:

??? Comprendi? La mia casa non ?? quella che abbiamo visitata dianzi? E non ?? anche la tua, omai?

Ella si volse a guardare verso la Badia scoscesa che disegnava la sua massa di mattone e di panchina sul chiarore di ponente.

??? Il tetto ?? scoperchiato.

Egli vide veramente scoperchiato il suo tetto, egli consider?? veramente la spoliazione inevitabile, l'abbandono di tutte le cose che gli facevano bella e molle la vita; e non guard?? dietro a s?? quel mucchio di pietre rischiarato dal sorriso della larva smorticcia, ma guard?? dinanzi a s?? Volterra come una citt?? condannata al saccheggio, come una signoria perduta. Ebbe lo sguardo del venturiere. E le parole brutali gli sfuggirono.

??? Rinunzia cos?? a tutta la sostanza di Casa Inghirami.

??? Bisogna.

Era per essi il ritorno alla povert??, la separazione, la dispersione, la vita di lotta e di strettezza, forse il ricovero nella casa odiosa del padre e della matrigna, forse il lavoro umiliante, [261] tutto l'orrore dell'avvenire incerto. Ognun d'essi era due volte colpito, due volte tradito. Nel fratello il furore sopraffaceva lo sgomento, e dalla sua natura tirannica sorgevano in confuso disegni di rappresaglia e di perfidia, imagini impure che lo bruciavano e pensieri perigliosi che gli moltiplicavano la brama di vivere e di gioire.

??? Siamo alla Guerruccia ??? disse Vana sordamente, afferrandogli il braccio.

D'improvviso furono ripresi nel f??scino delle Balze. In lui tutta l'anima repugn??, tutto il sangue si ritrasse.

??? La vettura ci aspetta l??, alla Porta Menseri ??? disse. ??? ?? tardi.

??? Io non rientro.

Ella lasci?? il braccio del fratello e cammin?? per le zolle del campo inculto, nella sterpaia sparsa di fiori gialli, verso i macigni della muraglia etrusca superstiti su la proda infida. Il terrore sciolse le ginocchia dell'adolescente.

??? Vana! Vana! ??? egli chiam??.

Ella non si volse.

??? Vana!

Ella seguitava a camminare col suo passo vacillante ma ostinato, su le zolle su i sassi su gli sterpi. Allora egli vinse l'orribile fiacchezza e si mise a correre per raggiungerla, col cuore alla gola, con l'impeto di gettarsi a terra [262] innanzi a lei, di abbracciarle le ginocchia, di supplicarla, di piangere. Sentendolo vicino, ella s'arrest?? e lo guard??.

??? Hai tanta paura? ??? disse.

Egli era per rispondere: ??S??, ho paura. Non voglio che tu muoia, non posso morire??. Ma si contenne. Rispose:

??? Non ti comprendo. Non so che cosa tu abbia risoluto, che cosa tu voglia fare, Vana.

??? Nulla. Ma lasciami sola. Voglio pensare a me stessa.

??? Non debbo lasciarti.

??? Bisogna. La mia via non ?? pi?? la tua via.

??? Perch???

??? Dimmelo tu, Aldo.

Allora un'ira selvaggia gli proruppe dal cuore compresso.

??? Vuoi gettarti gi??? Vuoi ch'io mi getti con te, ora, s??bito? Eccomi. Sono pronto.

Egli era pi?? pallido della morte. Ella era presso la muraglia, in piedi, col fianco e con l'omero contro quella. Tacque, ma qualcosa di spietato era nel suo profilo che si rilevava dal piano del masso fulvo, qualcosa di spietato e di serrato. Entrambi stettero in silenzio, sospesi nella vertigine, con tutte le potenze e tutte le fatalit?? della vita imminenti alla loro giovinezza miserabile.

Tuono d'infiniti guai udivano nella valle [263] d'abisso. Lo sterpeto era deserto. La mole ferrigna di San Giusto si levava su l'altura munita di scarpate e di contrafforti come uno spalto. Dietro il colle la Citt?? di vento e di macigno drizzava contro l'incursione delle nuvole le sue torri, i suoi campanili, il suo Mastio feroce, lo sprone formidabile della Rocca vecchia, le mura gigantesche costruite dagli scavatori di sepolcri e quelle cementate dal sangue civico. Le campane sonavano a doppio. A quando a quando la raffica simulava pi?? alto quel clamore che perpetuo suona dentro la cerchia e sotto le porte dal giorno che la fellon??a del conestabile chiam?? al bottino i fanti del Montefeltro: ??Sacco, sacco!??

??? Non cos??, dunque, come facevo ??? disse Vana con un sorriso dubbio. ??? Tu m'hai insegnato che, per guardare bene in fondo, bisogna mettersi a giacere bocconi su l'orlo.

Egli le vedeva straordinariamente rilucere nell'ombra il bianco degli occhi; e tra quel bianco e il sorriso esiguo credeva scoprire un'astuzia lugubre. La voragine era l??, a due passi: con un guizzo rapido ella poteva lanciarsi nel vuoto. Egli era nella tenaglia dell'angoscia mortale, ma non osava levare la mano per tema di provocare il salto. Il cuore gli si ferm??, quando ella alz?? le braccia per togliersi gli spilli che configgevano la paglia. Egli si sentiva come col capo [264] sul ceppo, sotto la scure sospesa d'un carnefice lento. Ella si tolse la ghirlanda di rose, appese il cappello tessalico a una sporgenza del masso.

??? Che vuoi fare? ??? disse il fratello senza udire la sua propria voce.

??? Provare.

??? Allora dammi la mano.

Ella glie la diede; perch?? un maleficio mutuo emanava da loro, indicibilmente, e le loro due vite si ricongiungevano e si confondevano annientandosi. Dall'uno pass?? all'altra il terrore. Il terrore, non la volont??, pieg?? le loro ginocchia. Con la mano nella mano, sentendo il sudor gelido tra palma e palma, restarono inginocchiati su l'arsa erba dell'orlo. La vita in entrambi palpitava come quelle fiammelle che il soffio iterato sembra rapire a ogni attimo e non ispegne.

Da quella proda, pi?? che dall'altra di laggi??, la voragine era spaventevole. Dalla profonda erosione centrale si creava un golfo d'ombra ove un dirupo irto di croste e di schegge si protendeva a piombo, smisurato come la ruina prodotta dal tremor dell'Inferno nel punto dell'estremo sospiro di Cristo. Quivi era la fauce inestinta che aveva gi?? inghiottito le case degli uomini e di Dio, i borghi i monasteri le basiliche, e gli ipogei e le mura delle antichissime [265] genti, e i cipressi e gli elci dalle radici inespugnabili. Come grofi di sale, come gromme di tartaro, come coaguli di sangue, biancheggiavano rosseggiavano le crete e i tufi gi?? per le ripe e per le lacche. Era la riviera del bollor vermiglio quella che fumigava a valle della vecchia roccia? Quella che luceva tra le grotte allamate era la lorda pozza ove Dante vide fitti nel limo gli iracondi? I sospiri, i pianti, le strida si rinnovellavano.

??? Fratello! Fratello! ??? grid?? una voce disperata.

E Vana s'abbatt?? su la faccia, come se il vento la schiantasse.

Allora una repentina forza entr?? nel giovinetto. Egli afferr?? la sorella per la cintola, la sollev??, la trascin?? indietro, ricadde con lei su gli sterpi.

??? No, no, Vana! ??? le diceva, prendendole il capo, guardandola nella faccia sfigurata. ??? Non morire! Non morire! Io non voglio morire. Voglio patire, voglio lottare, voglio tentare. Non sei perduta, non sono perduto. La pazzia ci travolge. Resisteremo all'orribile f??scino. Ci siamo avvelenati. Guariremo. Qualcosa accadr??, qualcuno ci verr?? incontro. No, no. Vana, piccola piccola sorella, ah per questo caro viso!

Egli le accarezzava i capelli le gote il mento con le dita tremanti, accosciato negli sterpi [266] accanto a lei. E, mentre le sue dita si bagnavano, mentre la creatura estenuata gli singhiozzava presso il cuore, guard?? la proda discosta, guard?? la sterpaia costellata di fiori, la luna rosea sospesa su la collina di viola, il fuoco morente d'una nuvola sul colosso di San Giusto; e l'inconsapevole gioia della giovinezza respir?? in lui dall'intimo. Egli viveva: dilatava i suoi polmoni sani nel suo petto, adunava nei suoi occhi la bellezza mutevole del mondo, risuscitava il sapore dell'acqua nella sua bocca che aveva turbato le donne alla fontana, celava nella sua anima l'arte di conciliare l'inconciliabile. Egli viveva, era incolume con tutti i suoi mali ma con tutte le sue armi. E conosceva il brivido dell'agonia e la potenza dell'abisso.

Si sollev??, aiut?? la sorella a sollevarsi. Fu anc??ra carezzevole, ch?? una tenerezza quasi voluttuosa gli gonfiava il cuore. Le asciug?? le lacrime; le scosse dalle pieghe della gonna gli steli secchi e i frantumi della zolla.

??? Ah, piccola cara, che sogno angoscioso abbiamo sognato! Sei tu? Sei Vanina? Sei la mia Mor??ccica? Dove sei stata? Di dove ritorniamo?

Ella aveva un viso di convalescente, una dolcezza sommessa e triste, simile a una creatura che si svegli dopo una lunga convulsione. Il d??mone era uscito da lei, l'aveva lasciata vuota di forze e immemore. Ella non si ricordava se [267] non del sorriso di Viviano: le pareva che fosse ora in lei qualcosa di quel sorriso fatto di nulla e di tutto. S'abbandonava alla nuova tenerezza del fratello con un languore desolato.

??? Guarda! ??? egli le disse volgendole il capo verso la collina.

La luna insensibile saliva spandendo l'antico incanto, quel medesimo che nelle notti d'Etruria aveva ammollito le donne adorne giacenti su i coperchi delle urne, i giovini cavalieri in sosta presso il limite sepolcrale.

??? E il tuo cappello?

Guardarono entrambi verso la muraglia dolorosa. Ma rapita dal vento la ghirlanda era scomparsa nel baratro.

[268]

 

La luna insensibile, d'una delicatezza quasi carnale, priva di raggi, con una vita senza fuoco, nata di quaggi??, simile a un grande fiore palustre, emergeva dalla torpida trasparenza dei Monti Pisani, mentre non maggiore di lei sul limite del Tirreno il sole ardeva d'un ardore cos?? forte che s??bito s'inceneriva. Le nuvole basse e raccolte gli erano sopra come falde di cenere; che crollavano e si riformavano. Quando la linea dell'acqua tagli?? il disco, parve che solo un cumulo di bragia rimanesse, covato, e fosse per estinguersi. Tutto fu cenere ineffabile. Allora il mare divenne il divino peplo della Sera, una veste dalle pieghe tanto soavi che Isabella ne desider?? un lembo.

??? Aini, se di quella seta potessi vestirmi!

Ella aveva prolungato la volutt?? per tutto il pomeriggio. E l'ora seguente le era parsa sempre pi?? bella; ma quell'ora era pi?? bella d'ogni altra e voleva da lei qualche segno di predilezione, qualche pegno di grazia. Tutte le carezze erano sul suo corpo come le foglie della rosa folta, l'una su l'altra, calcate. Ella desider?? di aerarle, d'indurre fra l'una e l'altra l'aria spirabile.

??? Aspetta ??? disse. ??? Non ti muovere.

[269] Si part??, lasciando su la terrazza il suo amico. Sembr?? a lui che il momentaneo fiore di tutte le cose sfiorisse, in quella breve assenza. La luna perse la sua levit?? di corolla; si riemp?? d'oro nuovo, spiccandosi dai monti. L'immensa veste marina perse il mai veduto colore che la rendeva ineffabile.

??? Che porto? Indovina ??? disse ella riapparendo.

Sembrava ch'ella si fosse partita per compiere un'opera d'incanti. Con l'arte della maga colchica, aveva dedotto dalla luna quel primo aspetto spoglio di raggi? Su i Monti Pisani il plenilunio era gi?? chiaro; ed ella rievocava la vita senza fuoco, il grande fiore palustre.

??? Una serpe incantata in un cofanetto di cipresso?

??? No.

Ella era avvolta in una di quelle lunghissime sciarpe di garza orientale che il tintore alchimista Mariano Fortuny immerge nelle conce misteriose dei suoi vagelli rimosse col pilo di legno ora da un Silfo ora da uno Gnomo e le ritrae tinte di strani sogni e poi vi stampa co' suoi mille bussetti nuove generazioni di astri, di piante, di animali. Certo alla sciarpa d'Isabella Inghirami egli aveva dato l'impiumo con un po' di roseo rapito dal suo Silfo a una luna nascente.

[270] ??? La lanterna di Aladino?

??? No.

Che mai portava ella inviluppato in quel pezzo di stoffa? Lo reggeva con le due mani, sorridendo; e mirabili erano nelle sue braccia i rilievi leggeri dei muscoli, le strie glauche delle vene, la peluria simile a quella delle foglie e dei frutti.

??? L'uccellin Belverde?

??? Credi che sia tanto pesante!

??? Dicono, quand'?? morto.

??? Credi che possa morire!

??? Per rinascere.

??? Non muore mai: va e viene, fugge e torna.

??? Mi do per vinto. Che porti dunque?

??? Stendi l??, in mezzo alla terrazza, il tappeto pi?? largo.

??? Questo?

??? No, quello di Bokhara.

Egli trascin?? e stese su le mattonelle di maiolica il bel tappeto amarantino, variato d'azzurro cupo e di bianco avorio, morbido e intenso come l'antico velluto di Lucca.

??? Ora siediti su quei cuscini. Danzer?? per te.

??? Senza il flauto di Amar?

??? Taci e guarda.

Ella aveva deposto in un angolo della terrazza l'arnese ignoto, lasciandolo coperto col quadro di seta. Si chin?? e lo tocc?? di sotto al velame. [271] Un ronzio cupo, come quel d'un calabrone in un orciuolo, son?? per qualche attimo.

??? Un nido di vespe?

??? Taci.

Ella lasci?? le babbucce all'orlo del tappeto, che vi stettero come una coppia di tortore col capo sotto l'ascella. I talloni apparvero coloriti di cinabro, simili alle due met?? d'una melagrana. Guardandola, Paolo s'accorse che una piccola stella cilestrina, del colore delle vene, la segnava in mezzo alla fronte d'un segno magico.

Ed ecco, il ronzio mutandosi in una musica di tintinni simile a un concerto di sistri, incominci?? la danza.

La prima percussione del ritmo parve trasmutare in cosa vivente la lunga zona tenue intorno al corpo nudo. Le mani abili, avvolgendola e svolgendola, comunicavano agli orli quella vita natante che di continuo vibra nell'estremit?? orbicolare della medusa marina. Talora la danzatrice, avendole impresso un moto spirale, l'abbandonava; e quella proseguiva la sua spira alzata sul lembo come un mulinello di sabbia rosea; poi s'afflosciava ed era per cadere ai piedi, quando i tocchi rapidi delle dita la rianimavano, la suscitavano, le davano una nuova attitudine, un nuovo giro. Talvolta, con le sue indistinte imagini bestiali, era simile [272] alla larva labile dello zodiaco intraveduta nell'aurora.

Seduto su i cuscini, addossato al muro bianco, fisso come a un'allucinazione dei suoi propri sensi, l'amante mirava la danzatrice in un rapimento senza termine. Dietro di lei, tra i rami degli oleandri, egli vedeva lo sfondo delle coste falcate, le rive pinose della Versilia e della terra di Luni, le Alpi di Carrara cos?? aeree che figuravano anch'esse, una figura di danza, una catena di alte vergini, forse inchinate verso l'Oriente dal ritmo del coro.

Come colei che dalle matasse numerose con gesti alterni elegge e deduce i varii fili al suo ricamo, ella sembrava trarre dalle circostanze e dalle lontananze le linee pi?? belle per comporle in quella creazione d'istantanea bellezza; ella sembrava attenuarle e prolungarle fino a s?? e mescolarle alla sua musica muta, e rivelare nel suo movimento fugace lo spirito di ci?? che era immobile e duraturo. Tutte consentivano a lei, quelle che si disponevano secondo il cerchio dell'orizzonte e quelle che s'inalzavano secondo l'asse del polo. Dal vertice della rupe statuaria sino alla punta della bassa penisola arenosa, tutte convergevano in quel gioco di apparenze e si esprimevano in quella vicenda d'invenzioni.

Ella cos?? viveva la vita vespertina, quale s'era [273] rivelata alla sua anima in un solo attimo quando dal davanzale della finestra aveva steso la mano esitante per liberare la rondine prigioniera. Ella sentiva compiersi quel ch'era appena apparito; cangiava quel breve anelito in un respiro armonioso. La luce ambigua, ove l'oro lunare cominciava a diffondersi nel chiarore occiduo, pareva farla mediatrice fra il giorno e la notte. Ella pareva muovere i suoi piedi scalzi su l'esiguo istmo invisibile che separa il diurno dal notturno mare.

Ma, quando i suoi occhi dati alle cose si riaffisarono in quelli che la miravano, ella cangi?? i suoi modi. Raccolse a un tratto i suoi larghi gesti orizontali; mostr?? d'esser ferita dallo sguardo dell'uomo. Si copr?? il volto con un lembo del velo, si nascose tutta nelle volute, fu simile a una metamorfosi imperfetta che mostrasse tutte le membra converse in nube e i piedi ancora umani. Poi sembr?? che la primitiva natura ribalenasse e vibrasse per entro alla nube; ed ecco, la met?? del volto riapparve sbigottita, e una mano timida, e la punta dell'anca, e una spalla sollevata, s??bito ricoperte. Ella imitava la danza amorosa delle alm??e: il pudore, il timore, la resistenza, la languidezza, l'abbandono. Ella imitava con la danza il gioco stesso della sua perfidia: la lusinga, l'offerta, il rifiuto, la disfida, la lotta, la paura temeraria, [274] il sospiro nella violenza, l'annientamento nel piacere.

??? L'ape! ??? disse all'improvviso con un piccolo grido, schermendosi, come aveva fatto dinanzi alla porta di marmo nel Paradiso mantovano.

Il ricordo si drizz?? vivo agli occhi dell'affascinato. Ella imitava con la sua danza lo spavento puerile, i guizzi, i balzi, le fughe, le difese, come se il pungolo dell'importuna la perseguitasse e la minacciasse anc??ra. La zona si curvava in arco sul capo, svolazzava, strascicava, ora floscia, ora gonfia, ora distesa.

??? Ahi! Ahi!

Ella gemette, s'arrest??, congiungendo le gambe in un'attitudine che rendeva al suo corpo tutta la sua divina lunghezza, falcando le reni, riversando il capo dalle trecce quasi disfatte. Il primo gemito fu di dolore, ma l'altro imit?? quello ch'ella soleva quando il suo amico posava su lei la mano del possesso ed ella sentiva spandersi in tutte le vene il languore senza scampo. Il viso madido fra le ciocche lisce e dense aveva quella improvvisa maturit?? che in certi momenti l'assomigliava a una giovinezza troppo a lungo macerata nel fortore degli aromi e trascolorata nell'ombra dei cortinaggi.

??? Ahi!

Egli trem?? di desiderio; che quel gemito era [275] il noto richiamo, triste e selvaggio. Ella scivol?? contro di lui nei cuscini. E gemeva:

??? M'ha punta qui.

E le labbra dell'amato la medicavano.

E ogni volta gemeva:

??? M'ha punta qui, e poi qui, e anche qui.

E ogni volta le labbra la medicavano. E tutta l'estate, tutta l'estate della spiaggia pisana e della Versilia verdebionda e della val di Magra, quella intiera ch'essi ogni giorno sorvolavano con l'ali di lino e fiutavano nella sua vastit?? concentrata dal volo come si fiuta un sacchetto di nardo, quella medesima odorava per lui nella pelle calorosa. E una stilla di quel sudore bastava a dissolvere tutti i pensieri, tutti i disegni, tutti i rimpianti, tutte le inquietudini. E nessuno dei paesi ch'egli aveva percorsi era profondo come quel corpo sensibile. Ed egli sapeva l'ebrezza di chi entra in una gola di monti e al termine del valico possiede d'improvviso con uno sguardo l'inopinata magnificenza d'una terra senza confine; ma quanto pi?? acre ebrezza era il penetrare perdutamente in quel mistero che due braccia potevano scuotere!

Placata, stropicciata d'essenza ristoratrice per tutti i muscoli, avvolta in un doppio cafetano di mussolina senza maniche, Isabella godeva il vento serale che soffiava a traverso le pinete ancor tiepide.

[276] Il tintinno dei sistri taceva, in quell'angolo della terrazza, sotto il quadro di seta. Ed ella sorrise e disse:

??? Aini, ti piaceva la musica della mia danza? Ma non sai anc??ra quel che c'??, l?? sotto.

??? Una stregheria.

??? Una malinconia.

Ella si lev??, prese la cosa nascosta e la port?? presso i cuscini. Nell'aria, ch'ella aveva abbellita di tanta vita bella, ora l'alba lunare si diffondeva per l'ombra composta d'una vena violetta e d'una vena verdiccia che si mescevano tacitamente. Come taluno si china su un tizzo fioco e col soffio ne suscita vive faville sonore, ella aveva ravvivato e moltiplicato con l'agitazione dei suoi incanti le note interrotte. Ora scopriva una piccola cosa morta, una specie di cassetta funebre per Tiapa, per la bambola di Lunella.

??? Guarda.

Ci si vedeva anc??ra. Ella apr?? il coperchio. Egli si chin?? a guardare da presso. Era una vecchia scatola armonica, con l'anima di metallo costrutta d'un pettine d'acciaio i cui denti vibravano al girare d'un cilindro irto di punte.

??? Dove hai scavato questo scarabattolo?

??? Non scarabattolo ma scarabillo.

??? Sembra il modellino d'uno strumento di tortura.

[277] ??? Si chiama scarabillo, dall'infanzia.

Ella rise; poi vel?? di malinconia il suo riso parlato.

??? Vedi: il pettine ?? un poco rugginoso e al cilindro manca qualche punta. Se tu sapessi quante volte m'insanguinavo le dita contro queste punte, quando il cilindro s'incantava! Avevo sei anni quando trovai questa scatola in un ripostiglio. Doveva esser l?? dal tempo di Nonna Diana, fabbricata a Vienna verso il mille ottocento cinquanta. Chi pu?? dire perch?? una vecchia cosa meccanica ci diventi amica, si leghi a qualche fibra della nostra vita intima e non possiamo mai separarcene senza temere di far morire un po' di noi stessi? Vedi: qui c'?? una specie di doppia aletta imperniata che, quando si carica, si mette a girare vertiginosamente e fa quel ronz??o di vespaio, prima che la sonatina incominci. Era l'aura dei miei sogni puerili. Anche ora non posso udirla senza un certo ondeggiamento del cuore. Per nessuna cosa ho avuto il sentimento della propriet?? come per questo scarabillo (?? il nome che gli diedi, non so perch??). L'ho difeso contro Vana, contro Aldo, contro tutti. L'ho preferito a qualunque altro giocattolo. Tutta la mia fanciullezza ?? stata cullata dalla sua voce tintinnante, che non somiglia a nessun'altra voce. Chi ha composta la sua musica? Chi pu?? riconoscere [278] una di queste piccole danze? Mi ricordo che sul coperchio c'era anc??ra un frammento del cartello che portava la lista delle sonatine. S'?? perduto. Ci rimase per qualche anno. Ci si leggeva soltanto: La pavane lacrym??e.

Ella si chin??, prese la chiave e caric?? il cilindro ispido. S'ud?? il ronzio del calabrone nell'orciuolo. Ella accost?? la mano per sentire l'aura della doppia aletta girante. Poi richiuse il coperchio, lo ricopr?? col quadro di seta ch'era un conopeo di ciborio.

??? L'ho portato sempre con me, il mio scarabillo. Qualche volta lo lascio dormire in fondo a un baule o a un tiretto per mesi e mesi. Poi lo risveglio. E m'incanta e mi culla anc??ra. Mi ricordo che quando ero bimba facevo gighe e volte e sarrabande, sola sola, intorno alla scatola posata per terra. Ma come mai stasera lo scarabillo della mia innocenza ha accompagnato la danza della mia perdizione, Aini?

Ella rig?? d'un riso esiguo la sua malinconia; poi tacque, ascoltando la voce piccola e infinita. Era un gran silenzio, con qualche frusc??o, con qualche sciacqu??o raro, con qualche pallido pianeta, con qualche pipistrello aliante. Le cose cominciavano a segnare le ombre, sotto il plenilunio, ma appena.

[279]

 

Erano a tavola, presso il balcone. La chioma d'un pino toccava l'inferriata, movendosi nell'ombra con quel moto lento e animale che hanno le piante subacquee.

??? Quanto mi piaci stasera, Aini! ??? disse Isabella a bassa voce, nel fumo e nel profumo della sigaretta, tenendo su la tovaglia i due gomiti nudi, facendo intorno al suo viso continui gesti con le lunghe mani senz'anelli. ??? Ti prego, fa anc??ra cos??.

Ella imit?? un piccolo moto nervoso che gli era involontario: una rapida contrattura che dalla radice del naso, ov'era incisa la grande ruga verticale, scendeva a serrare le nari e a muovere il labbro superiore: una specie di baleno muscolare, indefinibile, un nulla. Egli sorrise.

??? Ti burli di me?

Era tutto perduto in lei. La guardava, la divorava insaziabilmente, s'affannava a possederla in tutti gli attimi, vigilava con un'acuit?? assidua perch?? nulla di lei gli sfuggisse. Ben egli mille volte avrebbe voluto ripetere quella parola: ??Fa anc??ra cos??!??

??? Chi pu?? dire quel che pi?? ci attragga nella creatura che amiamo? ??? disse ella, guardando [280] lui con lo stesso ardore avido. ??? Un certo riso, una piega lievissima della bocca, un modo di socchiudere le ciglia, un nulla; ed ?? tutto. In quel non so che guizzo che ti passa ogni tanto sul viso senza che tu te n'avveda, sei tutto tu.

??? Ah, ma chi dir?? come sei?

Ella allung?? verso di lui le braccia pi?? lisce e pi?? fredde delle porcellane che rilucevano su la mensa.

??? Come sono? Come sono?

??? Dove hai preso quest'odore di gelsomino? Stordisce.

??? Non sai che io ho un giardino di gelsomini, tra due sepolcreti?

??? A Volterra?

??? Un giardino chiuso in quattro muri folti di gelsomini, e non so se pi?? odori quello di levante o quello di mezzod??. Senti!

Inchinandosi, ella strisci?? la bocca di lui prima con l'un braccio poi con l'altro, mollemente, dal polso al cavo della piegatura glauco d'arterie, dal gomito all'ascella ove pochi fili d'oro s'inanellavano.

??? Senti, ??? diceva ella con quella voce che attenuandosi creava l'increato ??? sono freschi? Piove piano su i gelsomini, contro il muro che conserva il calore del sole. Una gocciola basta a riempire il cuore d'ogni fioretto bianco; e non ?? pi?? una gocciola di pioggia ma d'essenza, [281] d'essenza forte come quella che i profumieri estraggono in Chiraz, in Ispahan, nei paesi che tu hai veduti, che tu hai in fondo a questi occhi che per ci?? sono come due turchesi, due turchesi malate di me, ora, molto malate di me, povero Aini!

Egli entrava come in un torpore magnetico, in cui il profumo la voce e la carne erano una cosa sola.

??? Senti, senti! La pioggia cresce. ?? anc??ra una carezza per le rose, ma i gelsomini sono troppo delicati. Un rametto cade a terra. Chi dice che somiglia a un uccellino disteso, con le zampe rotte? Il poeta del Divano, che Aldo mi legge. Pensa! Ho un giardino cantato a gara da Nizami, da Dschami, da Hafiz, fra due sepolcreti etruschi, sopra un colle volterrano, poco discosto dalla Reggia della Follia. E ho anche una gazzella.

Era scivolata quasi su le ginocchia di lui, con quell'arte di aderire e di avviluppare ch'era istintiva nelle sue membra come nei viticci del tralcio.

??? Conosci gli amori di Leila e di Madschnun? Madschnun significa il Folle, folle in estasi di passione. Vuoi che ti chiami cos??? Una gazzella s'era impigliata nelle reti. Madschnun la vide, accorse, la copr?? di baci, le medic?? le ferite, la trasse dai lacci, la accarezz?? dal capo [282] ai piedi, perch?? lo sguardo di quei grandi occhi teneri gli suscitava l'imagine di Leila; e le diede la libert??. Ora l'ho io, proprio la stessa, ma trasfigurata in Vergine da un pittore senese che si chiama Priamo di Piero. Te la mostrer??. Guarda con gli stessi occhi con cui ella guardava Madschnun. Ha un collo lungo lungo, un viso fine fine, un mento stretto come il muso del suo tempo selvaggio, le mani come le mie, con le dita disgiunte. Ma certo mi vince in gambe; perch??, se si alza dal trono, chi sa dove batte l'aureola, quell'aureola d'oro che ?? come la beatitudine che il cielo persiano le poneva un tempo fra le due corna in forma di piccola lira. E porta una veste orientale, rossa broccata a garofani d'oro, che dev'essere una veste di Leila.

Anc??ra una volta con la musica delle sue imaginazioni ella faceva un incanto che era una follia artificiata. Pareva ch'egli non l'ascoltasse con gli orecchi ma con le labbra, con le labbra premute sul collo.

??? Che mi fai, Madschnun?

Ella gli guizz??, gli scivol?? di su le ginocchia; si ritrasse su la sua sedia. Accese un'altra sigaretta, sorridendo. Aveva sul collo una macchia rosea.

??? Non hai mai fumato l'oppio o la foglia di canape, laggi??, in qualche porto oleoso?

??? Non amo i veleni.

[283] ??? E me, dunque?

??? Te soltanto.

Ella stette per qualche attimo assorta, con quel sorriso sospeso che pareva interrompere la vita esterna su l'intimo spettacolo. E la mensa era sparsa di frutti, di confetture, di vini chiari, di cristalli, di argenti. La cenere e un rimasuglio di tabacco biondo galleggiavano in una coppa, e il vino vi ferveva intorno senza spuma.

??? L'anima ?? il veleno pi?? potente ??? ella disse.

I piccoli paralumi gialli in cima ai candelieri la coloravano d'un lume dorato. Qualche farfalla notturna aliava intorno alle fiammelle. A quando a quando, pel vano del balcone, il pino susurrava sotto la luna.

Ella disse, all'improvviso, lacerando l'incanto.

??? Sapete, Paolo, che noi siamo fidanzati?

Egli la interrog??, attonito.

??? Oh, non abbiate paura. Fidanzati per ridere, o per piangere.

??? Non comprendo.

??? Omai, dopo i nostri voli, il segreto non ?? pi?? chiuso tra queste mura. Credo che viaggi pel mondo mondano e che sia entrato nella citt?? degli Inghirami, per la porta pi?? solenne, per la Porta all'Arco. Non pensate che io tema d'essermi compromessa. Ma ?? utile che noi giochiamo [284] il gioco dei promessi sposi, utile non tanto per le solite convenienze quanto perch?? io vi possa condurre nel giardino dei gelsomini.

??? Il gioco solo? ??? disse egli turbato, dubitante, con una intenzione di rammarico e di rimprovero gentile, incertamente espressa.

??? Paolo, Paolo, il vostro impaccio ?? delizioso! ??? grid?? ella in uno scoppio d'ilarit??. ??? Sono sicura che temete un tranello.

Egli protestava.

??? Sono sicura che pensate ch'io vi abbia detto questo per tastarvi il polso. Ma no, ma no! ?? un fidanzamento non di sequestro ma di comodit??. Morir?? vedova, morir?? Isabella Inghirami, morir?? nel mio doppio I su cui non ho mai messo il punto. Lo metto ora, su l'uno e su l'altro, ecco. C'?? un benedetto codicillo nel testamento maritale. Se mi lasciassi sposare da voi, perderei il giardino dei gelsomini con la gazzella e con tutto il resto. Non mi rimarrebbe che lo scarabillo. Codicillo, scarabillo! ?? troppo crudele.

Turbato, egli protestava ancora, non senza un'ombra di gofferia.

??? Via, Paolo. Vi dispenso da ogni onesta dichiarazione. Resteremo promessi sposi in eterno, se volete. Ma sar?? pi?? facile trovare un pretesto per rompere, molto pi?? facile, ahim??!

[285] Cess?? di ridere. Riprese tra le labbra la sigaretta, e con qualche boccata si vel?? tutta di fumo. Egli era in un malessere che non trovava posa.

??? Bisogna che io ritorni a Volterra, almeno per un po' di tempo ??? ella disse. ??? Non posso pi?? lasciare le mie sorelle e mio fratello lass??, abbandonati, dimenticati. Ho gi?? annunziato il mio ritorno e il nostro fidanzamento. ?? necessario che io sembri in regola, o quasi, davanti a Aldo, a Vana. Voglio che tu mi accompagni.

Egli ripugnava a quella finzione penosa. Rivedeva in s?? la faccia febrile della vergine olivastra, se la sentiva piangere contro il petto; riviveva l'angoscia della veglia funebre. E le maniere ambigue dell'adolescente gli riapparivano.

??? Non posso ??? disse.

E guard?? con ansia le labbra dell'amata, temendo le parole ch'erano per uscirne.

??? Perch???

Ella aveva parlato con una voce bassa, coperta d'ombra. Ora aveva il suo viso di d??mone, la sua pi?? perigliosa bellezza, quella emanata dalla sua pi?? nociva alch??mia.

Gett?? nella coppa la sigaretta accesa che spegnendosi frisse. Prese uno dei grandi garofani color d'ardesia che ornavano la mensa, e lo gualc?? fra palma e palma. Pareva che le occhiaie le divenissero pi?? larghe e pi?? cave, piene [286] di un azzurro violetto simile a quello del cielo sul pino, ove le pupille fosforeggiavano come quando l'anima era per divenirle ??il veleno pi?? potente??.

??? Per Vana?

Egli non rispose. Non aveva mai avuto paura di maneggiare francamente anche le armi ignote, ma sentiva una repulsione invincibile contro le schermaglie di parole. Attese, con lo sguardo diritto. Elia ben gli conosceva quell'attitudine, quell'armatura di silenzio, ed era anche abile ed acre nell'arte di smagliarla.

??? Che cosa c'??, o almeno che cosa ci fu fra te e Vana?

??? Nulla pi?? di quel che sai.

??? Non so nulla. So che Vana ?? perdutamente innamorata di te.

??? Credo che t'inganni, spero che t'inganni.

??? Sono certa. Parlami con franchezza. Non sono gelosa: voglio dire che la mia gelosia non ?? tale che tu possa comprenderla. Nei primi giorni, quando eri assiduo presso di lei, avevi una pi?? o meno vaga intenzione di un pi?? o meno lontano matrimonio? Confessa.

??? Isabella, non so a che giovi questo interrogatorio inopportuno. Stanotte voglio andare con l'??rdea su le mura di Lucca, risalendo il Serchio, voglio passare su la torre dei Guinigi.

??? Non le parlasti mai d'amore in quei primi [287] giorni? Qualche volta rimanevate soli. Non una parola tinta d'amore? nulla?

??? Non ricominciare il tuo gioco perverso, Isabella.

??? S??, qualcosa ci fu. Se no, come sarebbe cos?? accesa di te? Lo sai, che t'ama. Dimmi che lo sai e che ci pensi.

??? Sei folle.

??? Non ti ricordi, a Mantova, quando apparve su la porta mentre mi baciavi? Era come una morta.

Entrambi la rividero livida ma respirante, appoggiata contro lo stipite come chi sia per stramazzare, aperta gli occhi come chi non possa pi?? serrarli.

??? Forse era gi?? l?? da qualche tempo, e teneva que' suoi occhi fissi su noi mentre tu mi bevevi, mentre io gemevo: ??Non pi??!??, mentre tu rispondevi: ??Anc??ra!??

??? Ah, perch?? sei cos???

??? Non la udimmo. Io non la udii, ch?? gli orecchi mi rombavano. Ma certo era l??, e vide. Io non ci vedevo; avevo la vista annebbiata, quando mi distaccai. Ma mi parve che dietro di me ci fosse un fantasma, e mi volsi. E avevo la bocca tutta gonfia di quel bacio cos?? lungo e cos?? feroce. E Vana mi vide quella bocca.

Ella parlava basso con un crescente ??nsito che le sollevava il seno bianco a traverso l'oro [288] della trina, con una specie di volutt?? nemica che le contraeva i muscoli del viso, che le atteggiava di nuovo le labbra a quella gonfiezza.

??? Ti ricordi? Ti ricordi? E Aldo sopravvenne. E Aldo mi scoperse il sangue nei denti, il piccolo taglio nel labbro. Ah, perch?? allora tutto il desiderio mi riflu?? nelle vene, mentre chinandomi cercavo di far ombra sul mio viso che temevo mi s'accendesse non di pudore ma di ardore?

Come con un tizzo ella lo affocava col suo viso sfrontato e convulso, ove l'impudicizia dell'anima ardeva come un'insana tristezza, ove gli occhi sembravano perdere i cigli e soffrire d'essere cos?? nudati, ove il respiro era come un'esalazione morbosa che attossicasse e decomponesse i pensieri.

??? Ti ricordi? E cercavo il fazzoletto per coprirmi la bocca, e Vana a un tratto mi disse: ??Tieni??. Vana mi diede il suo, con una mano secca, con una mano di febbre e di rancore. La rivedi come io la rivedo? E m'asciugai quel poco sangue del bacio. La prima volta premetti e poi guardai: c'era la macchiolina rossa. Poi premetti anc??ra. Tu eri attento? Di tutto mi ricordo, e non di questo: c'?? una pausa nella mia memoria. Le resi il fazzoletto? Ella me lo riprese? Puoi dirmelo?

[289] Egli scosse il capo,

??? Neanche tu lo sai? Per quanto io ci pensi, non riesco a rammentarmene. Era un piccolo fazzoletto color lilla, profumato di gelsomino, del gelsomino di Volterra. Certo, quando entrammo nel Paradiso, io non l'avevo pi??. Forse Vana me l'aveva ripreso nel momento in cui tutti eravamo con gli occhi levati verso il Labirinto. Forse che s?? forse che no....

Come la corrente del riscontro agit?? la leggera tenda indiana su la porta, ella si volse con uno strano sussulto. L'imagine della sorella era cos?? viva in lei ch'ella credeva fosse per apparirle un'altra volta all'improvviso come nella camera di Vincenzo Gonzaga. Abbass?? ancor pi?? la voce, le diede una torbida intimit??, la fece calda ascosa e acre come l'ascella.

??? Ora so. L'ha serbato, con la macchiolina di sangue; l'ha nascosto, e non osa ritrovarlo. O forse l'ha inzuppato di lacrime, l'ha lavato col pianto.

Egli l'ascoltava, con sordi tonfi nel petto, con una repulsione che bruciava come un desiderio, con un desiderio che si torceva come una repulsione.

??? Tu non sei ardito quando voli dentro di te come quando voli nell'aria. Ci sono cose che tu non comprendi, che tu aborri.... Il tuo amore ?? ancor quello a cui tu davi occhi tanto [290] puri e tanto severi che io non avrei potuto guardarlo senza vergognarmi?

Ella si abbandon?? indietro, su la spalliera della sedia. Tenendo nella mano il gambo del garofano gualcito, percoteva col fiore la sponda della mensa; e, con tutto il volto dorato dal riflesso dei candelieri, sogguardava l'uomo.

??? Eppure tu serri tanti istinti atroci in te, puoi essere tanto crudele, e sai come la volutt?? non sia se non un martirio divino che urla con urli di belva.... Ma quel tuo amore, quello che non ero degna di rimirare, ?? un pastore decrepito che conduce le solite coppie timidette al solito pascolo della moderazione. Ti sembra che passi qualche sera, l?? sotto la terrazza, e ti richiami?

Ella lo irrise con la luce nei denti, rovesciando indietro il piccolo capo stretto ermeticamente fra le trecce dense cos?? come si lega e si salda la chiusura d'una fiala piena d'essenza volatile.

??? Saresti capace di rispondere arditamente se io ti domandassi di ravvivare in te una sensazione oscura e fuggevole?

Egli sentiva il suo malessere incupirsi e fasciargli le tempie come una cattiva ebrezza. Guardava la mano lunga della tentatrice percuotere col garofano l'orlo della tavola, e s'attendeva che la corolla si spiccasse dallo stelo. Come [291] se un vento interrotto gli attraversasse lo spirito, egli riudiva lembi della voce di Vana: ??Ah no, non farete questo! Vi supplico, vi supplico, per quel capo spezzato, per quel viso senza sangue.... Io non son nulla, non sono nulla per voi.... Ascoltatemi! Ho l'orrore dentro di me??. Rivedeva lo spavento di quella povera faccia estenuata. Rivedeva s?? medesimo sotto la tettoia, laggi??, nella brughiera deserta, dinanzi al cadavere del compagno composto sul letto da campo, avvolto nella rascia rossa del guidone; e quel vegliatore, chiuso nel suo lutto come nel diamante, non gli somigliava pi??. Egli era separato da lui per un'infinita notte.

??? Ti ricordi ??? gli diceva la tentatrice; con un'espressione di ardore cos?? folle che sembrava un rapimento ??? ti ricordi quando nella prima stanza del Paradiso io era presso il davanzale e mio fratello mi cingeva col braccio la cintura su la pietra calda, e io chiamai te, chiamai Vana, e vi avvicinaste, e restammo tutt'e quattro nel vano della finestra, e Vana fremeva contro il mio petto, e io lasciai passare sul suo capo il mio sguardo che ti vers?? nel cuore la mia volutt?? nuova?

??? Ah, taci!

??? Sono orribile?

Ella aveva anc??ra quel viso sfrontato e convulso, quello sguardo nudato, quel respiro bruciante; [292] e in tutta la sua carne triste quella sensuale attesa del martirio, ch'era quasi luce.

??? Mi ricordo ??? disse egli con una voce sorda che a lei parve minacciosa ??? mi ricordo quando tremavi in quella stanza occupata dall'ombra di un letto, quando tremavi di paura vedendo verso noi venire due figure in silenzio....

??? Aldo e Vana!

??? Noi stessi, nello specchio cupo

??? Aldo e Vana e noi stessi.

??? E la foll??a.

??? Ciascuno in uno specchio ha una foll??a che l'atterrisce e l'attira. Vuoi andartene da me? Vuoi che ci separiamo domani? Vuoi che non ci rivediamo pi???

Uno spavento repentino turbin?? dentro di lui e lo vuot?? d'ogni forza. Ella parve entrare tutta quanta in quel vuoto, sola e nuda pesarvi con tutto il suo peso carnale.

??? Domani risalgo a Volterra.

 

Correvano su la rossa macchina precipitosa, nel pomeriggio d'agosto, come in quel gi?? tanto lontano vespro di giugno per la via di Mantova. Correvano verso l'inferno di Volterra.

Non gli argini verdi, non le pallide vie diritte, non i canali molli, non i filari di salci [293] di pioppi di gelsi; non acque, non ombre, non arte agreste di festoni e di ghirlande; ma una terra senza dolcezza, un paese di sterilit?? e di sete, una landa malvagia, un deserto di cenere.

??? Vedi? vedi? ??? ella diceva al suo compagno disperato, chinandoglisi contro la gota scarna.

??? Sono io cos??, dentro di te? ?? cos?? la tua arsura?

Fenditure innumerevoli, arsicci labbri anelanti, per ovunque s'aprivano nelle crete sitibonde. Qua e l?? nei campi abbandonati rosseggiava il gabbro, d'un rosso di fegato; le pietre laminose rilucevano come frantumi di spade; tanto brillavano gli schisti che parevano quasi crepitare come le stoppie in fiamme.

??? ?? cos?? la tua passione? Tutto ?? riarso in te?

I crepacci di color d'ocra intersecati erano simili a una immensa rete di corda falba, dalle maglie larghe e ineguali, distesa per insidia su le biancane di mattaione cinericcio.

??? Vedi dove io ti trascino?

Letti aridi di torrenti, ghiare calcinate come le carcasse dei cammelli su le vie delle caravane, splendevano d'una bianchezza acuta come un grido breve. Splendevano, dileguavano.

??? Come farai tu, come faremo noi per essere pari a questo ardore? come faremo per superarlo?

Qualche casale appariva, tristo come i tufi, [294] circondato da mucchi di paglia simili a torri mozze, con un solo cipresso a guardia, con un solo cipresso nero in tanta pallidezza, ritto su la sua ombra corta.

??? Non mi ami anc??ra. Forse anch'io non ti amo anc??ra. Anc??ra non soffri assai di me; non soffro anc??ra di te come voglio. Che l'amore mi sia come questa desolazione! Vedi? Vedi? Una desolazione che nessuna abondanza eguaglia. Tutto il resto ?? fiacco. Che sono dietro di noi le foreste di r??sina, le sabbie marine, i falaschi degli stagni? Guarda le mie crete!

Ella parlava in una specie di delirio solare. Egli si ricordava delle sue febbri tropicali, delle grandi allucinazioni luminose. In quei luoghi onde la vita era esclusa, entrambi sentivano la loro vita moltiplicarsi.

??? Guarda!

Il fuoco del solleone sembrava piovere a dilatate falde come sopra il sabbione ove Dante vide star supini e immobili i rei di violenza contro Dio, di continuo correre le greggi delle anime nude, la tresca delle misere mani senza riposo scuotere le vampe, e solo giacere senza cura dell'incendio quel grande. Come l'arena dello spazzo infernale, la creta s'accendeva ??a doppiar lo dolore??, si faceva brace, si risolveva in cenere. L'infinito riverbero trascolorava il cielo, struggeva l'azzurro. Negli zolloni di [295] tufo i nicchi scintillavano come il diamante. Qua e l??, su pei dossi, su pei gibbi, la fioritura salina luceva come il tritume del vetro, come la limatura del ferro. A quando a quando tutto l'ardore ripalpitava e si rinfocava nel vento. Un lungo e cupo compianto si diffondeva per la solitudine dolorosa come se ogni crepa esalasse un sospiro o un gemito.

??? Ah, Paolo, su questa via non c'?? il carro carico di tronchi n?? tu mi minacci di schiacciarmi contro un mucchio di sassi; ma facciamo un viaggio ben pi?? dubbio. Lo sai? Eppure io posso anc??ra ripetere: ??Non temo??. E tu?

Egli non rispondeva. Con i pugni al volano, con gli occhi fissi alla via sparsa di selci taglienti, egli pativa in s?? un'angoscia ben pi?? fiera di quella che aveva patito. Gli accadeva ci?? che un tempo gli sarebbe parso impossibile come il respirare senza polmoni. Egli si sentiva disarmato della sua volont??, in balia a una forza estranea ch'era per trascinarlo verso eventi cui gi?? la sua infausta veggenza dava gli aspetti del vizio, del delitto e della tortura. Aveva ceduto all'imposizione dell'amante insensata; ma gi?? cos?? intimamente l'aveva corrotto il contagio, che in fondo alla sua riluttanza era l'ansiet?? d'esperimentare il nuovo, era una curiosit?? amara e ardente della colpa arcana, della promiscua pena, era il fascino dell'inferno.

[296] ??? ??Se un giorno voi non poteste pi?? dormire n?? sorridere n?? piangere!?? Ti ricordi di queste parole? Che mai valevano in quella campagna molle? Ma allora io pensai al mio deserto di cenere. Guarda!

La desolazione si faceva sempre pi?? tremenda. A destra, a manca, dinanzi, ovunque appariva tutta la terra ondeggiata come un immenso deposito risecco d'alluvioni bibliche le quali avessero trasportato quivi le braci delle citt?? maledette, i residui degli incendii espiatorii, la polvere delle trib?? punite. Le sorti annunziate dai Profeti erano quivi compiute. La parola pronunziata dal Signore era adempita: ??Ecco, io accendo in te un fuoco, che consumer?? in te ogni albero verde, ed ogni albero secco; la fiamma del suo incendio non si spegner??, e ogni faccia ne sar?? divampata, dal Mezzod?? fino al Settentrione??. Tutta la terra era come il ceneraccio che rimane nella conca del ranno. Non v'era albero, n?? verde n?? secco; n?? pur le spine e i pruni d'Isa??a vi crescevano. Soltanto qua e l?? qualche tamerice assetata e scolorata vi languiva, abbandonata anche dalla sua propria ombra.

??? Mi ami? mi ami? ??? chiese ella, chinandosi ancor pi?? verso la gota scarna, assalita da uno sgomento subitaneo al pensiero di quell'altro amore che ardeva lass??, nella Citt?? di [297] vento e di macigno, e che poteva vincere il suo.

??? Mi ami? Sei bruciato cos?? anche tu? Non c'?? pi?? nulla in te se non il tuo desiderio? Dim??nticati, dim??nticati dei nostri giorni e delle nostre notti; dim??nticati dei nostri rantoli e delle nostre grida; dim??nticati che cento volte abbiamo agonizzato l'uno nell'altra, che cento volte abbiamo domandato piet?? senza ottenerla. Dim??nticati d'ogni carezza e d'ogni violenza; perch?? lass?? non ci toccheremo neppure con lo sguardo, patiremo una sete peggiore di questa, saremo com'eravamo prima del bacio sanguinoso.

Inspirata da un istinto profondo ella sopprimeva la volutt??, sottraeva la sua carne, riprendeva il dono del suo corpo, imponeva di nuovo il divieto crudo; ch?? ella sentiva qual forza fosse l'essere intatta, per colei che lass?? era sola col suo amore e col suo dolore. Un profondo istinto la inspirava a eguagliare la condizione di colei, a ridivenire un giardino chiuso, pi?? desiderabile forse per chi ne fu espulso che per chi non mai vi penetr??. Ed ella ben sapeva come facilmente e rapidamente la donna, pur dopo la pi?? lasciva mescolanza, possa ridivenire lontana ed estranea agli occhi dell'uomo. Ella conosceva quell'attitudine feminile che sembra all'improvviso togliere ogni realit?? alla pi?? supina dedizione e, con quelle dita stesse che [298] rinfrescano le pieghe gualcite della gonna, creare il distacco insuperabile. ??Dim??nticati!?? ella diceva; e si sentiva gi?? ridivenuta l'Isabella dell'indugio perverso, ch'era per donarsi e si ratteneva, ch'era per concedersi e si negava. Ma ora non pi?? una volont?? di gioco, s?? bene una volont?? di martirio imperversava nel suo corpo ancor maculato dall'orgia. Raffigurandosi le lividure su la sua pelle intrisa di gelsomino, ella gi?? pregustava il supplizio dell'astinenza come una volutt?? pi?? acre d'ogni altra. E imaginava con ansia la sua prima notte nella villa volterrana piena d'insonnio in ascolto.

??? Volterra!

Dietro una calva collina di marna gessosa, su la sommit?? del monte come su l'orlo d'un girone dantesco, all'improvviso era apparso il lungo lineamento murato e turrito. Entrambi vi s'affisarono, rallentando la corsa. La macchina romb??, ans??. Tre cavalli neri, impastoiati, con lunghe code, con lunghe chiome, saltabellavano su per un pascolo di sterpi, rilucendo nel sole, mentre il galestro si sfaldava sotto gli zoccoli. E la citt?? disparve.

Vana era salita sul ripiano del Castello, dietro il Leccione, e dal parapetto guardava verso la valle, spiava la via terribile? Ora Isabella ne creava in s?? l'imagine viva, e si rappresentava il tristo luogo della vedetta: quel prato solitario [299] su cui s'allunga l'ombra del Mastio che emerge dalla cintola in su dominando il cammino di ronda fra i due torrioni angolari, e l'albero degli Inghirami che di quivi appare senza tronco, simile a una cupola posata su l'erba, vasta come quella del Battistero a riscontro emergente di l?? dal tetto del palagio, di l?? dalle banderuole di ferro che in perpetuo stridono portando l'Aquila su la Ruota; e sotto il parapetto la perpetua tempesta degli elci abbarbicati nell'erta, l'incessante mugghio che affatica la fronda bruna.

Non era forse l?? in quell'ora, china a scoprire una nube di polvere, la stretta faccia olivigna? Non era l?? sotto il sole, con tutta la sua vita d'odio e d'amore protesa verso la via bianca, la piccola sorella indomabile? Quale era su la tempesta degli elci la tempesta di quella vita?

Ed ella trem?? di sgomento per tutte le ossa pensando che quella passione poteva essere pi?? grande e pi?? selvaggia della sua passione. Di quelle settimane d'assenza e d'attesa ella ignorava tutto, e la fantasia le si sollevava su quella ignoranza. Vedeva s?? nella dolce marina pisana, s?? distesa nei cuscini dei piaceri, s?? voluttuosa e obliosa; e l'altra, la creatura chiusa e tenace, audace e nascosta, lass??, nella Citt?? di vento e di macigno, tra spettacoli di duolo e di morte, col suo canto e col suo amore intenta [300] di continuo a esaltare la sua disperazione. E la invidi??, e la temette; e la imagin?? carica di forze accumulate, pronta a combattere, pronta a morire.

??Torniamo indietro, torniamo indietro!?? voleva pregare, sopraffatta dall'ansiet??. E, udendo il fragore della macchina sforzata all'assalto dell'erta, desider?? che qualcosa scoppiasse, che qualcosa si spezzasse.

Una greggia era ammassata sul cocuzzolo d'un poggio nudo, appesa tristamente come a una mammella arida, smorticcia come il mattaione ove qua e l?? lustravano gli ammassi di test??cei e le l??mine di talco. Su una pendice del monte di Caporciano, arrossato dai filoni di gabbro che serrano la vena del rame, Montecatini di Val di Cecina mostr?? il torrione quadrangolare dei Belforti. Un astore cinerino come le crete rote?? nell'aria incandescente. L'esecrazione d'Isa??a divor?? la terra etrusca. Tutto nel crudele riverbero delle biancane moriva. Dagli squarci, dalle crepe, dalle rosure, dalle frane, dai botri, dall'immoto travaglio della sterilit?? esalava la doglia non mitigabile. E la lamentazione del vento cominci??, d'altura in altura, ad elevarsi.

??? Vedi? vedi dove ho relegato mia sorella, mio fratello, la mia tenera Lunella? Come hanno vissuto? che legger?? nei loro occhi? Imagini [301] tu quel che questa terra pu?? fare d'un'anima? Guarda le Balze!

Su dal riverbero di tanta cenere rovente sorgeva il monte lunato con le corna volte a Borea, scosceso di dirupi, irto di ronchioni e di schegge, levando contro il torrido biancore del cielo una citt?? di ferro rugginoso escita dall'istessa fucina ond'esc?? quella a cui Flegi??s tragitt?? l'Etrusco pellegrino e il duca suo.

??? Dove ti attiro? dove porto il mio amore? Non alla felicit??, non alla felicit??; ma a qualche cosa di pi?? terribile. Lo so. E perch?? faccio questo? Una demenza ?? in me, pi?? antica di me, che non mi d?? requie. La sento, la soffro, e non la conosco. Credi che io potrei diventar folle? M'?? parso di leggere questo timore ne' tuoi occhi, qualche volta. Rispondimi!

Ora la terra era tutta occupata da tumuli in forma di quelli ch'ella aveva intraveduti nella selva pisana, simili ai monimenti del castigo ??pi?? e men caldi??. Sul culmine d'un poggio cretoso tre cipressi eran fitti come i tre patiboli sul Calvario. Il vento era come l'agitazione sonora d'un immenso vampo.

??? Ah, voglio tornare indietro.

Il p??nico le afferrava la vita, su quell'erta spaventosa, e la rivoltava. Un terrore cieco e subitaneo la faceva pi?? bianca delle biancane sterili. Ed ella voleva dire: ??Contro un muro [302] scialbo le pazze sono sedute a cucire i ferzi delle lenzuola; e intorno gracidano le oche. I dottori hanno lunghi c??mici, e l'aria indifferente.... Bisogna passare di l??. Prima di giungere sul sagrato di San Girolamo si vede la Casa, di l?? dalla rete di ferro. Invece del cancello, c'?? un telaio di legno, dipinto di rosso, con la rete di ferro, come davanti a un pollaio. Ah, tutto m'?? presente. Poi s'entra fra due muri, e di l?? dal muro si rivede la Casa, si rivede il tetto.... E poi San Girolamo, la loggia, il convento, la mia cappella, la cappella degli Inghirami, quella del mio sposalizio. Le mie mani sono nella tavola di Benvenuto, lunghe, con un piccolo libro rosso. Ma Santa Caterina non ?? quella che somiglia alla malinconia di Vana, no: ha il manto rosso, e la ruota del martirio le ?? caduta ai piedi.... Fabbricano, fabbricano sempre, essi stessi; perch?? non c'?? pi?? posto. Il numero cresce ogni anno. Essi stessi portano la calcina, portano le pietre. S'intravede un muro fresco che s'alza. C'?? l'odore di quella cosa nell'aria. Qualche volta s'incontra per un sentiere, tra gli ulivi, uno che si ferma a guardarti e ride ride, sotto un povero berretto bianco, con un'aria dolce.... E il giardino dei gelsomini ?? l??, sul poggio di sotto, nascosto dietro i cipressi, dietro i lecci. ?? chiuso, ?? tutto murato, con una porta stretta....?? Imagini le balenavano [303] incoerenti sul sangue congesto; ma parevano scoppiare come bolle, all'altezza del cervello, prima di formarsi nella parola.

??? Voglio tornare indietro.

??? Vuoi? ??? disse il compagno, strozzato dall'ambascia, con la mano su l'impugnatura della leva, senza riflettere, tanto la voce della donna lo aveva toccato a dentro.

??? Voglio tornare indietro. Arresta!

Egli fren?? inconsideratamente su l'erta troppo ripida, e sent?? che le ruote arrestate cominciavano a retrocedere. L'aria non pi?? rotta divenne un'afa soffocante; l'alito di mille fornaci s'addens?? nel riverbero. Con una manovra energica egli contrast?? il pericolo. La macchina possente riassalt?? l'erta, con un fragore di collera, con l'acredine di tutti i suoi gas aperti, in un nembo di fetore e di polvere.

??? ?? impossibile arrestarsi qui, impossibile voltare ??? disse egli affrontando la tortuosit?? repente. ??? Bisogna andare avanti.

??? S??, andiamo, andiamo. Che terrore m'ha presa? Sono stata vile. Andiamo. ?? destino.

Intorno era un mare di fango inaridito, giallastro, qua e l?? trasfigurato dalla luce in onde di velluto lionato, in ombre d'un azzurro acqueo, cos?? misteriose che somigliavano gli inganni della Fata Morgana.

??? Vedi la cortina della Rocca? vedi l'ultimo [304] torrione a ponente? Vedi, accanto, una macchia nera di lecci su la scarpata? Quelli sono i miei lecci, sotto lo spiazzo del Castello. Dal parapetto, in alto, si scopre tutta la distesa fino al mare e la strada con tutte le sue svolte. Son certa che Vana ?? l??, e spia. Ti trema il cuore? Tutto arde, e sono certa che nessuna cosa arde come lei. Pensa! Fra poco la prender?? fra le mie braccia.

Smilzi cipressi intristiti, pagliai nerastri, fornaci di laterizii, cumuli di mattoni crudi, mucchi di fascine secche, miseri olivi contorti accompagnavano il cammino. Tutto pareva prossimo a incendiarsi nel vento come una stoppia di maremma, a divampare in un attimo, a consumarsi in un attimo, a disperdersi per la desolazione, fuoco nel fuoco, cenere su la cenere.

 

E la notte era venuta.

Le forze inverisimili della vita avevano giocato un gioco di maschere meraviglioso. Le passioni ebre di dolore di vendetta di bramos??a e d'annientamento avevano sorriso negli occhi chiari. Soltanto le bocche, le vive bocche troppo nude, avevano tradito a quando a quando la volont?? dissimulatrice: eran parse talora piagare i volti, muovere la suprema contrattura d'uno spasimo in mezzo ai muscoli dominati.

[305] Ed era alfine venuta la notte. Ciascuno ora si ritrovava solo con s?? stesso e col suo d??mone, nella stanza quieta, dinanzi al letto ignavo.

??? Parla piano, non far rumore, che la bimba non si svegli ??? diceva Isabella a Chiaretta che la svestiva.

Ella aveva disposto che la stanza di Lunella fosse attigua alla sua. E l'uscio comune era aperto. Ma non giungeva di quel sonno alcun segno, non s'udiva respiro. Tutto era silenzio nella villa murata. Per la finestra aperta saliva l'odore dei gelsomini, l'odore delle tuberose, l'umidore del grande vivaio. A quando a quando la ventarola gemeva sul colmigno, per un soffio improvviso, e seguiva il gemito quel lungo mugol??o che sempre ha il vento nella campagna di Volterra, come se si generasse dai sepolcreti.

??? ?? la notte di San Lorenzo ??? sussurr?? Chiaretta, sfuggendole di tra le dita l'uncinello, a un sobbalzo della signora.

Nel vano della finestra, una stella fatua aveva solcato l'azzurro d'un solco abbagliante.

??? Faceva un bel pensiero?

Senza rispondere Isabella s'accost?? al davanzale, seguitando la donna a spogliarla. Guard?? il cielo, ricevette il fresco su le sue braccia nude, su le sue spalle, sul suo petto. Laggi??, di l?? dall'Era, su i Monti Pisani, lampeggiava senza tuono. Nuvole come gramaglie lacere qua e l?? [306] velavano la Via Lattea. Una lacrima di fuoco bianco sgorg?? e col?? su la faccia della notte; e poi un'altra, e un'altra anc??ra. Il fiato notturno dei gelsomini struggeva l'anima frale. Ignote forze si precipitavano dall'alto sopra di lei come per predarla.

??? Sbr??gati: sono stanca ??? disse.

Le ginocchia non la reggevano. Si volse; sedette dinanzi allo specchio e diede nelle mani della cameriera le sue trecce strette come i torticci dei marinai.

??? Lascia, un momento. M'?? parso di udire un sospiro. Forse Lunella....

Ascolt??, inclinata verso l'uscio aperto. S'ud?? soltanto il ferro stridere sul colmigno, e poi nulla pi??. Le mani silenziose la pettinarono. La sua anima inquieta entr?? in uno stato d'indefinito ricordo. Le pareva che quella notte fosse incominciata chi sa quando; chi sa quando, come in una favola confusa. I suoi capelli scorrevano, scorrevano come un'acqua lenta, e con essi mille cose della sua vita informi, oscure, labili, tra oblio e ritorno. E a un tratto, sopra quel fluire, sembrava che le pareti si serrassero, massicce, minacciose, inesorabili. E la realt?? era in loro come il mattone, come il cemento. Ed ella sentiva vivere nella casa le creature che soffrivano di lei, che soffrivano per lei. Sentiva su s?? tutta la casa pesante come una nube [307] d'angoscia. E si chiedeva: ??Perch?? ho fatto questo??? E, mentre cercava dentro di s?? la risposta, tutto anc??ra si difformava, si dissolveva, fluiva. Il passaggio iterato del pettine nella massa dei suoi capelli era come un incantesimo che da tempo durasse, che fosse per continuare senza fine. Il suo viso in fondo allo specchio s'allontanava s'allontanava senza lineamento, poi si ravvicinava ritornando dal fondo, e non era pi?? il suo viso.

Ella si lev??, sbigottita.

??? Ho anc??ra da annodare il nastro ??? disse Chiaretta.

??? Non importa. Lascia cos??. Dammi la veste da camera. Puoi andare.

??? E domattina?

??? Chiamer??.

Rimasta sola, ella fu presa da un'agitazione cos?? violenta che si premette il pugno su la bocca per reprimere le grida. Temendo di far rumore, camminava sul tappeto scalza, da un angolo all'altro della grande stanza; e la sua ombra s'inalzava e s'allargava su le pareti. S'arrest??, soffocata dal cuore, presso il limitare della stanza attigua. E si chiedeva: ??Perch?? ho fatto questo??? E dal suo male non le veniva la risposta, ma un male ancora pi?? sordo. Contenne l'ansito, fece un passo. Vide il lettino bianco, e sul guanciale la macchia fosca della capellatura. [308] S'appress??, a poco a poco, temendo di svegliare la sorellina col suo palpito. Alla luce fievole della lampada, la scorgeva supina.

Si chin?? a guardare la sua dolce dormente. Sussult??. Lunella aveva gli occhi spalancati.

??? Piccola, non dormi?

??? Non ho sonno.

??? T'ho svegliata io?

??? No. Stavo cos??.

??? Da quando?

??? Ho sentito che tu hai detto a Chiaretta: ??Parla piano??.

??? Ma da quando sei sveglia?

??? Da sempre.

??? Non hai dormito punto?

??? Punto.

??? E perch???

??? Perch?? sono infelice.

??? Oh, no, no, no, piccola mia!

Ella la prese fra le sue braccia, la strinse contro il suo petto lacerato. La gravit?? di quella voce infantile, che senza pianto proferiva quella parola di donna, le diede un rimorso intollerabile. Ora ella credeva d'esser pronta a ogni sacrificio, purch?? la sorellina sorridesse.

??? No, piccola. Che hai detto? Perch?? sei infelice?

??? Perch?? tu sei tanto cattiva.

??? Cattiva?

[309] ??? Ah s??.

??? Che ho fatto?

??? Non vuoi pi?? bene a Forbicicchia.

??? Sei la mia tenerezza.

??? E neppure a Mor??ccica.

??? Come puoi dirlo?

??? E neppure a Duccio. A nessuno pi??.

??? Come puoi dir questo? che ho fatto?

??? Nessuno lo sa.

??? Dio mio! Sono stata per qualche giorno lontana. Non volevi?

??? Certo, hai fatto una cosa brutta contro Vanina.

??? Io?

Ella avrebbe voluto volgere a riso e a gioco il corruccio puerile, cacciarlo con le carezze e con le parolette; ma il cuore le tremava profondamente sotto quello sguardo tanto severo, quasi torvo, in quel viso di tristezza precoce. A ogni accusa, ella sentiva in s?? un tonfo sordo, come se le piombasse gi?? un gomitolo di sangue.

??? La fai piangere.

??? Come lo sai? Raccontami.

Stretta dall'angoscia, ella sollev?? sul letto la sorellina, la pose a sedere sul capezzale, contro la testiera. Qualcosa cadde sul pavimento.

??? ?? caduta Tiapa ??? grid?? Lunella sporgendosi, inquieta.

??? Eccola, eccola. Non ?? nulla, cara ??? disse [310] Isabella raccogliendo la bambola, che aperse gli occhi.

La bimba la prese, la cull?? un poco su le sue braccia, tastandole la gambina sbilenca; poi la riadagi?? al suo fianco, con infinita cautela, come se omai al mondo non avesse altro bene. Ella comunicava una strana vita a quella figuretta di porcellana, di legno e di cencio.

??? Raccontami. Vanina ha pianto?

??? Ah s??.

??? Davanti a te?

??? Sempre si nascondeva ma io lo sapevo. Per?? stamani....

??? Stamani? Racconta.

??? Stamani ?? venuta prima che Miss Imogen mi facesse il bagno. S'?? seduta accanto; ed era come quando mi racconta una novella, perch?? diceva: ??Forbicicchia, povera Forbicicchia, sai che ci mandano via? sai che non possiamo pi?? stare con Isa? Bisogna andare andare, prendere Tiapa e le forbici e un foglio bianco e niente altro, e mettersi in cammino, e andare coi nostri piedi, chi sa dove....?? Era come una novella, e non pareva che dovesse finire in pianto. Ma a un tratto m'ha serrata forte, e ha gridato: ??No, non posso, non posso. Ti porto via, ti porto via.?? E singhiozzava, e mi bagnava i capelli, la faccia....

L'affanno serr?? la gola della creatura; e il [311] tremito scoteva tutta la sua gracilit?? penosa; e la pena nel suo tenue petto era come l'uragano su la canna, come il torrente sul vimine. Una forza precoce di sogno e di dolore giaceva in fondo a quel delicato e selvaggio essere, pronta sempre a prorompere e a travolgere.

??? Isa, Isa, mandalo via, mandalo via! ??? grid?? gettandosi perdutamente al collo della sorella e stringendola in una stretta convulsa che la soffocava, come atterrita dall'apparizione subitanea d'un fantasma.

??? Chi? Chi?

??? L'uomo.

??? Chi?

??? Quello, quello che ?? venuto con te. Mandalo via!

Al primo urto, Isabella sgomenta aveva volto gli occhi per scorgere chi fosse apparito, ch?? qualcosa d'imprevedibile era sempre imminente alla sua inquietudine. Ma quel brivido d'incerto terrore, suscitatogli dal grido e dall'atto, accompagn?? l'imagine dell'amante evocata dalle altre parole di Lunella. E l'ombra della sciagura le scese sul cuore in tumulto.

??? C??lmati, piccola! C??lmati! Perch?? sei cos?? agitata? Vana t'ha messo nella testina qualche brutto pensiero?

La bimba scoteva la sua fosca foresta; e gli aneliti le rompevano il petto.

[312] ??? Quello ?? un amico, un buon amico, che ti vuol bene.

Ostinata, la bimba scoteva la chioma intorno al suo viso indurito dal rancore.

??? Anche tu gli vorrai bene se gli t'accosti, se non fuggi come oggi.

Ostinata la bimba diniegava, con la bocca gonfia di violenza.

??? Prendilo! Tienilo! ??? proruppe, dislacciandosi dalla sorella, respingendola. ??? Mandaci via, manda via noi.

Si rivolt?? bocconi sul letto, contratta, singhiozzando, col viso in lacrime accanto a quello di Tiapa.

??? Ce n'andremo, ce n'andremo, laggi??, laggi??, chi sa dove, soli, coi nostri piedi....

 

Consolata dalle promesse, accarezzata, cullata, cedeva alla stanchezza, s'addormentava. Una lacrima le luceva ancora all'angolo dei cigli, il singulto sempre pi?? fievole le risaliva di quando in quando alla bocca socchiusa. Anche Tiapa dormiva, sul medesimo origliere, senza ninna nanna, senza la minaccia dell'Orco. Le forbici d'acciaio e d'oro lucevano sospese per la catenina, sul capezzale. ??O stanchezza, stanchezza, addormenta anche me!?? sospirava [313] nel cuore Isabella, posando il capo su la proda del piccolo letto candido, estenuata e affannosa. Era in lei come una vicenda d'annientamento e d'insurrezione. Una parvenza di sonno le veniva incontro; e il bisogno di tutta la sua carne s'addensava, ne faceva qualcosa di materiale come una creta tenace in cui volesse ella ficcare la sua fronte e suggellare i suoi occhi. E nella densit?? una fenditura si apriva, un crepaccio simile a quelli ch'ella aveva veduti innumerevoli nell'orrenda via; e cresceva, e diventava un antro, una voragine, un abisso mobile per ove risalivano tutti i pensieri tutte le paure tutte le angosce. E del sonno non rimaneva se non l'incoerenza delle visioni che non dissipava il battito volontario delle palpebre. Una di quelle femmine, ch'ella aveva veduto contro il muro scialbo cucire i ferzi del lenzuolo, le apparve; pos?? anch'ella il capo su la proda, stette con gli occhi stravolti nella penombra, con l'odore sinistro nel grembiule rigato.

L'insonne lev?? la fronte bagnata di sudore; e l'atto ch'ella compiva le fu presente come in uno specchio. Una sensazione confusa di duplicit?? era nel suo corpo. Ella stessa pareva trarre s?? fuori di s??. Poi dalla sua sostanza si foggiavano cose mostruose, come quelle malattie che ci deformano nei sogni e che talvolta sono un indizio latente. E il silenzio viveva ingannevole, [314] inafferrabile, traversato da suoni che mutavano di natura quando l'orecchio era per riconoscerli. Qualcosa di simile a un passo vi s'iterava, qualcosa di simile a una pesta lieve ma assidua, onde sorgeva l'imagine indistinta della fiera che senza posa percorre su e gi?? la gabbia con le sue zampe elastiche e concitate.

??Chi cammina? dove??? Nell'allucinazione del senso, nel romor??o che le riempiva le tempie dolenti, ella non riusciva ancora a determinare l'origine del suono. L'aveva ella in s??? nella sua mente malata? Le parole di Lunella le ritornarono: ??Bisogna andare andare, mettersi in cammino e andare, coi nostri piedi, chi sa dove....?? Il terrore di nuovo l'agghiacci??. Ella temette che la sua ragione fosse per decomporsi, e che quel passo continuo fosse gi?? un fantasma della sua demenza, e ch'ella dovesse udirlo sino alla morte, ch'ella dovesse fino alla morte essere abitata da quell'essere estraneo che camminava camminava senza posa. Le riapparve la femmina dal grembiule rigato, dai capelli rossicci e lisci, dal viso sparso di lentiggini, dagli occhi albini. ??Andare, andare....??

Balz?? in piedi, si prese il capo fra le palme. Il passo diveniva pi?? forte: era sopra di lei. Allora ella guard?? la volta, dove ondeggiavano le ombre mosse dalla fiammella oscillante della lampada. E a un tratto si ricord??, comprese. La [315] stanza superiore era quella di Vana. Il passo era il passo di Vana. Era Vana, lass??, che non aveva requie.

E una smania irresistibile l'assal??. ??Bisogna che io salga da lei, bisogna che io la veda. Sar?? sola? sar?? con Aldo??? Poi una imaginazione insana la sconvolse, una gelosia furente la squass??. Ella travide l'imagine di Paolo. ??Certo divento folle??. E tutto le parve ch'ella potesse affrontare e patire, fuorch?? rimanere pi?? a lungo con s?? medesima in quella disgregazione della sua coscienza. Le parve ch'ella non potesse recuperare una parte della sua anima se non strappandola a viva forza dalle mani che la serravano.

Si riavvicin?? al piccolo letto, si chin??, ascolt??. Lunella dormiva d'un sonno tanto profondo che pareva doloroso, come una pena rimasta intera ma addentrata nell'oblio. ??Povera cara! Fino a domani non si sveglier??, non chiamer??. E se si svegliasse di soprassalto e mi chiamasse, e io non fossi l??? Che penserebbe? Ah sorellina, sorellina ardente e amara, sdegnosa e tirannica, anche per te l'anima sar?? il tuo veleno, come per Isa!?? Esit??. Pass?? la soglia, rientr?? nella sua stanza. Per la finestra aperta rivide in fondo alla notte i muti baleni, respir?? il fiato dei gelsomini, riud?? il ferro stridere sul colmigno. Una lacrima di fuoco bianco sgorg??, col??, si consunse.

[316]

 

Una musculatura leonina, i tendini d'un leone balzante aveva il dolore di Vana. Era una potenza irrefrenabile, che la sopraffaceva e la traeva senza scampo, la scoteva e la sbatteva senza piet??. N?? ella tentava di resistere, n?? pensava che in una tregua potesse ella trovare sollievo. Tale forse la vergine cristiana che il bestiario legava alla fiera preparata pel gioco circense.

Non aveva alcuna consapevolezza dei suoi moti. Si lanciava da una parete all'altra, dall'uno all'altro angolo; e, nella rapidit??, si stupiva di ritrovarsi dinanzi agli occhi sempre lo stesso quadro, lo stesso armadio, la sedia stessa, immutati, fermi, indifferenti. Un bisogno iroso di farsi male la spingeva a urtare contro il muro i pugni; e non sentiva quel dolore, ma soltanto lo spasimo del cuore chiuso, ove le mani non sapevano giungere. E, nel ripetere gli urti, pi?? s'adirava contro il ritegno istintivo che le rompeva il gesto, che le contrastava l'impeto, che le risparmiava la ferita.

??Sono vile, sono vile. Potevo gi?? esser morta, potevo gi?? essere laggi??. Sono vile??. E, spossata, piombava di traverso sul letto, mordeva il lenzuolo. Imaginava d'avere la faccia conficcata nella terra molle, la bocca piena di melma. I dirupi tenarii delle Balze pendevano sopra lei.

[317] ??Cos??, cos??, tutto il male ?? finito. Non ho pi?? nulla, non sento pi?? nulla. Ecco, ora viene; e mi rivolta e mi solleva e mi prende su le sue braccia; e mi dice, come quella notte, mi dice: ??? Pace, pace, piccola buona. ??? E non si pu?? rinascere da una parola, come si pu?? morire d'una parola??? Tutti i ricordi della notte di giugno le colmavano l'anima, non lasciavano luogo ad alcun'altra imagine, dal sopore simulato alla fuga anelante, dall'arrivo su la brughiera alla visita funebre, dall'orrore del presagio al pianto mattutino. E pensava: ??Per un'ora, per un'ora sola gli fui cara, per un'ora sola mi tenne presso il cuore; ma quell'ora non gli vale una vita intera? Mai mai l'altra gli potr?? dare quel che io gli ho dato. Io lo so, egli lo sa. Dinanzi alla spoglia del suo compagno egli non poteva piangere, e io ho pianto dentro di lui; e quali lacrime! Stasera due volte mi ha guardato, con una tristezza ch'era come quella tristezza, con un segreto che era come quel segreto. Che vale la bocca insanguinata dell'altra, se tra due creature un tale sguardo pu?? congiungere la morte e la vita??? Allora il suo amore le gonfiava le vene come un orgoglio onnipotente. L'amato le appariva come la vittima di un sortilegio, il prigioniero d'un malefizio, che s'attendesse la liberazione. Ella si sentiva armata di armi infallibili pel combattimento [318] supremo. Una impazienza feroce la risollevava dalla giacitura. E si rimetteva in piedi; ed era tutta rotta come l'inferma dopo la lunga febbre; e i crampi le serravano lo stomaco come nello sforzo di vomire, quando la bile e il sangue empiono la bocca e freddo il sudore cola e l'intera vita umana non ?? se non un sussulto ignobile.

??Morire senza morire!?? La disperazione la riafferrava; squassava quel corpo estenuato, lo trascinava seco, lo scagliava qua e l?? per lo spazio chiuso, con la musculatura leonina, coi tendini della fiera balzante.

E d'improvviso la porta s'apr??, spinta da una mano impetuosa; e la disperazione si volse, si torse come un turbine. E l'altra insonne era l??! E l'una stette di fronte all'altra, non come una vita contro un'altra vita ma come due apparizioni evocate da una medesima agonia.

Non parlarono; si guardarono. Quel che era indomato dolore e furore imbelle e orrore attonito, si restrinse, si concentr?? nello sguardo e nell'alito, divenne angusto e attivo. Entrambe avevano i capelli sciolti, una semplice veste, le braccia nude. Erano quali una stessa madre le aveva fatte, la maggiore e la minore sorella, spoglie d'ogni ingombro, libere d'ogni costringimento, senz'altra testimonianza che il loro sangue, senz'altra misura che la loro passione.

[319] Quando parlarono non domarono se non il gesto e la voce.

??? T'ho sentita ??? cominci?? Isabella. ??? Di gi?? t'ho sentita camminare. Avevo addormentata Lunella; stavo al suo capezzale. T'ho sentita. Sono venuta su. Non potevo pi?? resistere. Soffri? Anch'io soffro come non so dire.

??? Eri da Lunella? non eri altrove? Non vieni da un'altra stanza? Mi stupisco. Vieni perch?? io ti asciughi la bocca un'altra volta? Vieni per mostrarmi su le braccia quelle lividure, non avendo osato di mostrarmele a tavola iersera?

L'acredine dell'odio era tale in ciascuna di quelle domande, che Isabella vacill?? come sotto percosse iterate.

??? Non essere cos?? dura contro di me, Vana. Non mi avevi abituata a questo esame crudo della mia persona. E non sapevo che tu avessi occhi tanto esperti per distinguere la natura di certi segni....

Anch'ella subitamente ridiveniva ferina; ch?? la mancanza di pudore nel modo e nell'accento della sorella riagitava il suo pi?? torbido fondo. Gli occhi scrutatori la bruciavano.

??? Ah, non sapevi. Ora ti scandalizzi della mia sfrontatezza! Ma a che spettacoli non m'hai tu abituata, a che contatti, a che allusioni, a che linguaggio? Non t'ho servita di coperchio pi?? d'una volta? Non ti sei eccitata sopra la mia [320] ingenuit??? Certo, in casa tua ho imparato a non aprire le porte senza battere e a non passare per quelle aperte senza tossire. A tutte le prudenze e a tutte le compiacenze tu m'hai abituata. Laggi??, a Mantova, non te ne ricordi?, per asciugarti la bocca giunsi ad offrirti il mio fazzoletto.... Non ti basta? No, non ti basta. M'avevi gi?? costretta a farti da testimone e da avvisatrice perch?? Aldo non ti cogliesse. Pochi minuti dopo, ridevi, recitavi la tua commedia, assottigliavi la tua grazia per ferirmi. A un tratto m'attirasti, mi serrasti contro di te, giocasti con la mia pena, volesti sentirla viva sotto le tue unghie, palparla, irritarla.... Ah perversa, perversa!

Era stupenda di furore e di onta, con quel suo stretto viso fosco a cui lo smagrimento aveva alterato la purit?? dell'ovale, con quella capellatura di viola che diffusa la faceva rassomigliare a Lunella, con quel bianco degli occhi intenso come l'incorruttibile smalto. E l'accusata la mirava senza opporle difesa, senza interromperla, sentendo nel suo segreto nascere uno strano sorriso e temendo che non le salisse fino alle labbra; perch??, contro ogni sua volont?? e contro ogni suo pentimento, ella si compiaceva di ci?? che le era rinfacciato come scelleratezza.

??? Non ti basta, no. Non ti basta d'avere esasperata la mia pena, d'avere spiata ogni contrattura [321] del mio spasimo, d'avere simulata la piet?? per umiliarmi; non ti basta d'essertene andata al tuo piacere e d'avermi relegata in una casa che ?? sotto l'ombra dell'Ergastolo, e d'avermi tolta brutalmente ogni ragione di vivere, e d'avermi lasciata a faccia a faccia con la pi?? orrida morte. Tutto questo non ti basta. Sei tornata conducendo con te il tuo amante....

??? Il mio fidanzato.

Un riso atroce stridette nella gola dell'accusatrice.

??? Ah, ridi, ridi anche tu! Non ti contenere, non ti frenare. Si vede che ti sforzi di non ridere. Il tuo fidanzato! Ma ?? il terzo dei tuoi fidanzati onorarii, se non sbaglio. Potevi trovare questa volta qualcosa di pi?? nuovo, di meno risaputo, per ottenere l'indulgenza del gaio mondo e per ospitare il peccato sotto il tetto vedovile senza troppo scandalo.

??? Vana!

Pallidissima sotto l'irrisione, ferita a dentro, ella guardava con sgomento l'avversaria adoperare le armi avvelenate. Non aveva pi?? dinanzi a s?? la fanciulla inquieta e inerme ma una creatura inaspettatamente maturata dall'odio, una rivale pronta a nuocere, audace fino all'impudenza.

??? Ti cuoce, quel che ti dico? Ti meravigli di ritrovarmi in questo aspetto? Ma non sono [322] io l'opera tua? non sono la tua alunna? non m'hai fatta cos?? tu stessa, alla tua scuola, per anni? Senz'accorgertene, senza badarci, m'hai riempita di scienza. Ma non credevi che questa scienza potesse un giorno diventare tanto amara e potesse ritorcersi contro te. L'ho tenuta nascosta, l'ho coperta di malinconia per non lasciarla trasparire, l'ho sopita col mio canto. Ora, a un tratto, lo vedi, mi diventa un veleno, mi diventa un'arme. Tu m'incalzi, mi serri, non mi dai quartiere, mi sei sopra come una nemica che non si contenta di vincere ma vuol martoriare, vuol profanare il corpo e l'anima con una tortura che sembra una libidine....

??? Taci, taci! Sei fuori di te. Non sai quel che dici. Io non ho fatto questo.

Sotto l'impeto ostile ella si curvava come sotto la burrasca; ma non la sbigottiva la violenza, s?? bene quell'imagine di s?? ch'ella vedeva foggiata dalle parole di Vana, ch'ella vedeva l??, esternata, come una creatura che vivesse in lei ed ora fosse escita da lei e palpitasse l?? nella vergogna.

Ripeteva, curvata sul letto della sorella, con gli occhi smarriti:

??? No, non ho fatto questo.

E non v'era nella sua voce il contrasto del ribattere, non il risentimento, non lo sdegno, ma qualcosa di pauroso e di supplichevole, qualcosa [323] che era come un raccapriccio confuso e come una interrogazione tremante.

??? Hai fatto quel che soltanto la malvagit?? obliqua ordisce per offendere con l'offesa che umilia: obliqua e forse volgare. Quando io e mio fratello pi?? ci sentivamo intrusi, in una casa dove tu stessa sei un'intrusa, dopo giorni e giorni d'un silenzio ch'era pesante come un dispregio, non da te sapemmo che tu ritornavi con la tua avventura ridipinta di falso decoro, non da te lo sapemmo....

??? Ah, non ?? vero. Non ho fatto questo.

??? Questo hai fatto, questo sai fare. E ch'io non ti sembri ingrata. Tu m'hai presa nella tua casa, tu mi tieni con te; tu mi colmi di doni, tu mi adorni e mi inghirlandi; e tu giuochi con la mia vita come se la mia vita pi?? profonda non valesse il pi?? fugace dei tuoi piaceri. Io non sono per te pi?? di quel che Tiapa sia per Lunella. Ma Lunella piange se Tiapa cade sul pavimento e si spezza il piede o s'ammacca la fronte; piange e si dispera, e la veglia, e cerca di guarirla. Tu sei della razza feroce. Tu mi apri il petto per vedere quel che c'?? dentro.

??? Ingiusta! Ingiusta! Nostra madre non avrebbe potuto avere per te una tenerezza pi?? attenta della mia.

??? S??, attenta a recidere tutto quel che di [324] vivo nascesse da me, attenta a impedirmi di vivere. ?? forse la prima volta che tu ti frapponi fra me e il mio bene, fra me e l'ombra del mio bene? Era non so che smania, non so che capriccio geloso. Bastava che qualcuno s'accostasse a me, che la pi?? vaga delle simpatie si disegnasse, perch?? tu intervenissi a esercitare un tuo strano diritto di prelazione. Mostrare di far la corte alla minore era il mezzo quasi sicuro per giungere alla maggiore. Ah, ho colto pi?? d'un epigramma crudele, dietro le mie e le tue spalle. Ma che m'importava del tuo gioco! Non valeva mai la pena d'adontarsi n?? di rammaricarsi e tanto meno di lottare, di resistere. Che m'importava delle mie disfatte! Non c'era nulla di comune fra il mio sogno e il tuo trionfo. Questa volta....

S'interruppe, come se un brandello del cuore le facesse groppo alla gola ed ella per continuare dovesse gettarlo via di tra i suoi denti. L'altra, ch'era curva, si sollev?? verso l'apparizione dell'amore con un'ansia quasi luminosa; e la sua mano ricacci?? indietro i capelli che le ingombravano la faccia.

??? Questa volta.... ??? sollecit?? con suono d'anelito, tendendosi, quasi appendendosi alle labbra che prolungavano l'intervallo.

Vana fu tutta di gelo, fu tutta di quel colore che l'aveva fatta simile a un fantasma su la soglia del Laberinto sospeso.

[325] ??? Questa volta ??? disse con la voce bassa che penetrava pi?? del grido, pi?? della fiamma ??? quello che tu m'hai tolto ?? pi?? del mio sogno e pi?? della mia vita; perch??, per essere felice e per ringraziare il Cielo d'esser nata e per perdonarti, ora mi basterebbe di appoggiarmi sul suo petto e di piangere anc??ra un poco e di addormentarmi e di non svegliarmi pi??.

Era di gelo perch?? riviveva il momento dell'alba di giugno, perch?? le stelle tremolavano anc??ra alla sua anima sotto la prima onda argentina, perch?? in quell'atto s'era compiuta l'intera sua vita, perch?? era orribile che la sorte l'avesse costretta a trascinarsi nell'inutile martirio. ??Pace, pace, piccola buona??.

??? Tanto l'ami?

??? Come tu non saprai amarlo mai.

??? Credi che tu l'ami di pi???

??? Non di pi??. L'amo io sola.

??? Io no?

??? Tu non puoi amare se non te stessa, se non il tuo piacere, se non la tua perfidia. ?? il tuo castigo.

??? L'amore pi?? forte non ?? quello che vince?

??? ?? il mio quello che vince.

??? Su chi?

??? Su te e su lui.

??? Egli ?? folle di me. Posso fare di lui quel che mi piace.

[326] ??? Ma non puoi amarlo. Per ci??, non avendo l'amore, sei attirata dal mio amore che ti vince. Lo so, lo so. Ho compreso, ho veduto. Tu ora speri di poterlo amare attraverso di me. Tu speri che il tuo cuore si riempia del mio cuore.

??? Fa dunque ch'egli t'ami.

??? Confessa che non potevi pi?? vivere, che non potevi pi?? godere, che non avevi pi?? oblio, che sempre io t'ero presente, che mi vedevi apparire su ogni soglia come su quella, che la tua volutt?? invidiava il mio dolore.

??? Fa dunque ch'egli t'ami.

??? Confessa che gi?? cominciavi a sentirti esausta, perduta; perch?? credevi di accrescere ogni giorno il tuo potere e lo consumavi ogni giorno, e rimanevi serrata nel cerchio medesimo del tuo maleficio, ed eravate soffocati entrambi dall'angustia, costretti a ripetere sempre gli stessi gesti come nelle man??e. Ma io quass?? ero sola, ero intatta, ero nuova, ero bella come chi sta tra la vita e la morte.

??? Fa dunque ch'egli t'ami.

??? E se mi amasse gi???

Parlavano a viso a viso, l'una anc??ra piegata contro la proda del letto, l'altra poggiata le mani alla lettiera che di tratto in tratto gemeva, entrambe scapigliate e trascolorate, con qualcosa di bestiale come la fame nel loro [327] modo di mangiarsi l'anima, con qualcosa di simile alla voracit?? dei cavalli in una posta, che pigliano a grandi boccate quel ch'?? loro messo innanzi, come per tema di rimanere indietro. E certo lo spavento era sotto l'audacia provocatrice della pi?? giovine; ma uno spavento ben pi?? profondo era nell'altra che sentiva percosso il suo cuore da quella condanna di sterilit?? e veramente sotto le imagini della tormentosa orgia dubitava d'avere amato.

??? Se mi amasse? ??? ripet?? Vana, meglio segnando l'accento che fa supporre quel che non si esprime.

Isabella si raddrizz??, scosse indietro la sua capellatura, inarc?? le sue reni, magnifica e formidabile, si scroll?? come per riporre nel serrame delle sue ossa e nel viluppo della sua carne la sua anima tratta fuori. And?? verso la finestra, si sporse dal davanzale, respir?? dal pieno petto. L'odore dei gelsomini, l'odore delle tuberose, l'umidore del grande vivaio salivano dal chiuso. Laggi??, di l?? dall'Era, sui Monti Pisani lampeggiava senza tuono. Nuvole come gramaglie lacere qua e l?? velavano la Via Lattea. Una lacrima di fuoco bianco sgorg?? e col?? su la faccia della notte; e poi un'altra, e un'altra anc??ra. Ella risent?? al suo collo alle sue spalle aggrapparsi l'amante con lo sforzo supremo di chi sia per piombare nell'abisso, e riud?? il [328] suo grido di dannato, la sua implorazione orrida e divina dietro il getto violento della vita. Si volse e disse:

??? Se t'amasse per piet???

Vana le si avvicinava, un poco ondeggiando, con le mani tessute dietro la schiena come quando era in atto di cantare. Si ferm?? e disse:

??? Tutto quel che hai avuto ed hai ed avrai da lui non vale quel ch'io sola ebbi in un'ora senza pari. O prima o poi non ti rimarr?? nulla. Egli potr?? dimenticarti, tu potrai dimenticarlo. Ma io non dimenticher?? n?? egli dimenticher?? fino alla morte e oltre.

Ella non poteva pi?? tenere il suo segreto. Le si versava dagli occhi.

??? E quale fu la sua ora?

??? L'ora funebre.

Ella guardava dietro il capo della rivale i muti lampi, simili a quelli ch'ella aveva veduti lampeggiare sul Monte Baldo.

??? Quale?

Il mento d'Isabella tremava.

??? Non ti ricordi della notte di giugno, della notte in cui egli solo vegli?? la salma del suo amico?

Anc??ra le nuvole per la Via Lattea erano come criniere in cui s'impigliassero stelle.

??? Non ti ricordi quando tu dicesti a Aldo: ??Se m'accompagni, io vado??? Non andasti. Io [329] andai. Nessuno mi accompagn?? fuorch?? il mio mazzo di rose e il mio segreto.

Innumerevoli le stelle rigavano l'azzurro. Su la terra senza dolcezza, nel paese di sterilit?? e di sete, sul deserto di cenere, la notte piangeva il suo pianto di luce.

E nessun'altra parola fu detta. E non vi fu saluto fra le due sorelle quando la maggiore usc??, quando la minore si fece al davanzale.

 

Quel che era inconciliabile fu conciliato; quel che era impatibile fu patito. Come il paese etrusco aveva la sua citt?? sotterranea abitata dai morti, cos?? ebbero essi la loro citt?? interiore abitata dagli spiriti violenti. Camminando pel giardino dei gelsomini, essi sapevano dove la terra fosse cava perch?? la sentivano talvolta risonare sotto la traccia. Guardandosi con i loro occhi chiari, parlandosi con le loro voci caute, non erano intesi se non al tumulto nascosto delle loro passioni, ai volti dolosi delle loro brame, ai v??ti esiziali dei loro odii, alle occulte onde di volutt?? che uno sguardo un gesto un passo generavano. Tutt'e quattro teneva la seduzione del fuoco che non sceglie la materia di cui si nutre ma quel che ?? puro e quel che ?? impuro converte in un medesimo ardore. [330] Due d'essi teneva la tentazione d'uccidere, che senz'atto ha la virt?? di aggiungere la forza e il mistero d'una vita nemica all'ansia dell'altra vita nemica. Evitavano di toccarsi; eppure, nella instabilit?? e nella celerit?? perpetua dei loro esseri, nulla avrebbero essi potuto afferrare se non con le loro mani tristi; e ci?? sapevano. La pi?? comune delle loro parole aveva un senso indefinito, e scendeva rapidamente al fondo come quelle pietre cadute nell'acqua cupa, che forse non vi sono ancor posate quando a fiore i cerchi sono gi?? scomparsi. Ma taluna risonava come la pietra scagliata contro la figura di bronzo. E taluna creava all'improvviso una commozione cos?? insolita o cos?? inumana ch'essi guardavano chi l'aveva proferita pronti a perdersi, dimentichi dei ritegni, simili a quegli infidi che nei tempi delle fazioni sedendo a ragionare pacati nella loggia balzavano in piedi al minimo gesto sospetto e s'apprestavano a versare il sangue.

La musica, che gi?? aveva esaltata la disperazione dei due nella vertigine sonora, li aggir?? tutti in avversi delirii. Per il balcone aperto non apparivano le case di San Girolamo, nascoste da una ruga del colle: sfondava a valle il Monte Voltraio solitario tra l'Era viva e l'Era morta, spesso di querci e di leggende, ombrato e fosco, in mezzo alle biancane sitibonde; ma [331] l'invisibile Reggia della Follia sembrava mutare il colore dell'aria, l?? dove gli ulivi nodosi e involti somigliavano gli alberi strani che l'Etrusco pellegrino ud?? lagnarsi. Ebra e perduta si sentiva allora Isabella, ch?? tutto era domato dal canto di Vana e tutta la passione andava a lei come nella favola il liocorno indocile va alla vergine e posa il capo su le ginocchia inviolate. L'onda vocale sembrava talvolta palpitare su la cantatrice come il calore del meriggio su le crete riarse. Ella risonava intera come l'istrumento risona per tutte le fibre del legno. La vena del collo nudo si perdeva nella veste e sembrava giungere fino al calcagno come la corda ?? tesa fra manico e cordiera. Poich?? nelle grandi note il fianco la coscia la gamba tremavano, veramente pareva che la vibrazione della lunga vena canora traversasse l'intero corpo.

Quando Aldo sedeva stringendo il violoncello come per possederlo e girava nel tallone occhiuto dell'arco la vite di tensione con un orgasmo palese, quasi che non tendesse il crino bianco ma il fascio dei suoi nervi pi?? delicati, Isabella non osava guardarlo. Ella soffriva meravigliosamente, con la vicenda della vampa e del gelo nel solco delle sue spalle. Vicino al pianoforte di lucido palissandro dai cupi riflessi violetti (di sotto apparivano a traverso la [332] lira dei pedali i piedi sensitivi dell'accompagnatrice) egli inchinava un viso di strazio e di estasi lungo il manico trascorso dalla mano che aveva fatto piangere di piet?? Lunella. Il suo strumento era ben quello che il sogno d'Isa aveva veduto nello stipo della Estense, colorato di quel colore rossobruno ch'ella invidiava pe' suoi capelli, con quelle chiazze giallastre della vernice sul fianco pi?? trasparenti dell'ambra, con nel mezzo della cassa quella doratura a strisce di zebra, ricca e dolce come la gola di un uccello tropicale. E il suo arco pareva divenuto quasi igneo. E tanto la sua fronte imperlata di luce era bella che a volta a volta avrebber potuto incoronarsene l'Arcangelo combattente di Ludwig Beethoven e il Cherubo austero di Sebastiano Bach.

Paolo si ritraeva nell'ombra, poggiava il capo alle due palme, per ascoltare; e in disparte beveva la sua malinconia a lunghi sorsi, come un esule inconsolato. Isabella gli rimaneva lontana ma pur l'occupava come se l'ombra di quell'angolo fosse la stessa ombra di lei, che l'avviluppasse. China, col respiro sospeso, con un ginocchio sollevato e sorretto dalle dita intessute, piena di forze funeste e senza nome, ella era intentissima a distinguere nel dialogo dei due strumenti quel ch'ella sola doveva comprendere. Quando il fratello si levava anelante e [333] poggiava lo strumento e deponeva l'arco, e nel silenzio musicale tutto l'essere alfine s'allentava come dopo l'amplesso, ella con un s??bito moto nascondeva il suo volto. Soleva inclinarlo su l'arco che deposto pareva seguitasse a vivere la sua vita elettrica, pareva conservasse lo spirito igneo nelle fibre della bacchetta ottagonale dalla curva misteriosa di virt?? come la cartilagine della laringe, come l'inflessione della parola, come ogni cosa inimitabile. Le mani, che un tempo avrebbero asciugato le tempie stillanti e accarezzato i capelli spartiti, toccavano l'estremit?? fasciata d'argento, il tallone d'ebano ove l'occhio di madreperla era espressivo. Le nari aspiravano l'odore della colof??nia, caloroso come l'odore della ragia nelle pinete pisane.

Si spegneva la luce su la fronte dell'adolescente; e vi sottentrava un pensiero cos?? forte che pareva talvolta lasciarvi il segno di quella grande ruga verticale ond'era inciso alla radice del naso il taciturno. Egli, quando Paolo Tarsis non era volto verso di lui, lo perseguitava con l'odio vorace delle pupille. Quegli volgendosi, egli divergeva lo sguardo infesto. Poi gli si riavvicinava con una dolcezza ambigua.

??? Paolo, ??? gli disse un giorno sorridendo ??? vuoi venire con me oggi in fondo alle Balze? Di gi??, lo spettacolo ?? dantesco. Imagina Malebolge. Andremo a cavallo. Io conosco la strada. [334] ?? tutt'altro che buona; ma Vana ti lascer?? montare Pergolese che ?? ottimo nei passaggi difficili.

??? Vengo ??? rispose Paolo.

??? Mor??ccica, andremo in cerca del tuo cappello, della tua ghirlanda di rose gialle.

??? In fondo alle Balze? ??? fece Isabella, che aveva dato l'orecchio vigile a tutte le modulazioni di Aldo, mentre infilava i fiori della tuberosa in un filo di seta verde cercando d'imitare le collane di z??gare.

??? Ah, non sai ??? disse Aldo ridendo, con un'aria frivola, velato dal fumo della sua sigaretta ??? non sai che, in una sera di disperazione e di libeccio, dopo una ubriacatura di musica, io e Vana alla Guerruccia pensammo di gettarci gi??? Invece il vento rapi e port?? gi?? il cappello inghirlandato che Vana aveva sospeso a un macigno del muro etrusco.

Vana aveva il capo rovesciato su la spalliera della sua sedia di paglia; e sorrideva immobilmente, ricordandosi del sorriso di Viviano, di quel sorriso in una pietra.

??? ?? vero, Vanina? ??? domand?? Isabella, legando le due estremit?? del filo su la collana aulentissima.

??? Mor??ccica, vuoi scommettere che stasera ti riporto la tua ghirlanda? Forse un poco sfatta.

??? Prendi intanto questa ??? disse Isabella accostandosi [335] alla sorridente che si lasci?? toccare senza mutarsi.

Le pose una mano dietro la nuca, le sollev?? il capo che rimaneva inerte, le cinse la collana avvolgendola in tre giri intorno al collo; poi le riadagi?? il capo su la spalliera supino. E batt?? le palpebre per dissipare l'imagine che nasceva da quella immobilit?? e da quel sorriso fisso e da quei fiori sul petto non mosso dal respiro.

??? Vana, il viaggio equestre agli Inferi! ??? disse il fratello con una voce pi?? bassa ma con un riso pi?? strano.

E, dopo, egli s'allontan?? in compagnia dell'ospite. Subitamente, quando i due erano gi?? a cavallo e in cammino, un'ansiet?? arcana occup?? le sorelle e le travagli?? fino a sera. L'una e l'altra cercarono la loro dolce artefice di sogni bianchi; e s'inginocchiarono davanti a lei scontrosa che rimaneva chiusa e muta e chiesero qualche attimo d'oblio.

??? Siamo qui, Forbicicchia. Non ci guardi? Lunella non rispondeva. Intagliava con la punta delle sue forbici le sue favole d'animali.

??? Vedi la bella collana che io ho data a Vanina? ??? le diceva Isa, con la sua voce pi?? carezzevole, per illuderla. ??? Vuoi che ne faccia una anche per te, di gelsomini?

Lunella non rispondeva; non credeva ai segni [336] di tenerezza che le due inginocchiate si scambiavano dinanzi a lei cingendosi col braccio e accostando le gote. Le sentiva nemiche. E, invece di lasciar cadere nel grembo dell'una e dell'altra l'imagine compiuta, con due o tre colpi rapidi delle stesse forbici le distrusse.

??? Fino a quando dunque mi terrai broncio? ??? si lamentava l'una.

Dimandava l'altra:

??? E a me fino a quando?

E Lunella rispondeva, con un barlume di sorriso:

??? Fin che tu ti rammenti, fin che io non mi scordi!

Anc??ra, l'ombra di un leccio cadeva su quella cadenza di cantilena. Il grande lecceto simmetrico ombreggiava lo sprone del poggio, radicato nel tufo cavo ch'era la volta d'un vasto ipogeo. Un'afa di tempesta aggravava il pomeriggio caliginoso. E le due sorelle, accosciate su l'erba, s'indugiavano, non parlavano pi??, si dislacciavano a poco a poco ma restavano nella nube della medesima angoscia. A qual punto del cammino erano giunti i cavalieri? Cavalcavano in silenzio? Qual era il loro testimone invisibile? Vana ripensava taluna delle parole fraterne proferite dinanzi alle urne sepolcrali.

Laggi??, verso ponente, tra i dorsi nudi di [337] marna e di mattaione, tra gli zolloni di tufo pieni di nicchi, su pei lastroni pietrosi, per le scappie d'alberese, per le sterpaie di tign??mica e di spigo selvatico, nelle ghiare, negli acquitrini, nelle genghe, Aldo Lunati e Paolo Tarsis cavalcavano in silenzio, attenti al terreno difficile, conducendo al passo i cavalli che di tratto in tratto affondavano nella creta sdrucciolavano nel galestro inciampicavano nello scarico. Per discendere i pendii franosi le buone bestie si lasciavano scivolare su le zampe anteriori tese strisciando con le natiche. Affrontavano le erte brevi e ripide con grandi falcate, come andando a una banchina cedevole: lo zoccolo si spiccava dalla p??sta e la frana ruinava di sotto nel tempo medesimo. Gi?? si coprivano di schiuma bianca, come dopo un galoppo severo, e i loro fianchi battevano.

??? Assra! ??? grid?? Aldo incollerito scorgendo la sua cagna color di perla apparire su una cresta d'ocra rancia.

Nel punto di montare in sella, egli aveva ordinato al palafreniere di trattenere Assra che voleva seguirlo. Certo essa era fuggita e aveva ritrovato le tracce. La cagna si avvicinava simulando il movimento flessuoso d'una piccola onda, per vincere la collera con la grazia; e l'onda aveva due dolci occhi di cortigiana cerchiati di bistro.

[338] ??? Perch?? la gridi? ??? disse Paolo.

??? Non volevo che venisse perch?? teme l'acqua limacciosa e, quando non la pu?? saltare, si rifiuta di passare a guado. E qui ?? pieno di marazzi e di rigagni.

Il cielo era un solo faticoso manto; la terra, sordido ceneraccio.

??? Non mi sono mai ritrovato in un luogo pi?? tristo di questo. Chi ?? passato per qui prima di noi?

Apparivano nella biancana impronte profonde. S'udiva a quando a quando nel silenzio un rombo fugace, di natura indistinta.

??? Chi sa!

??? Sono p??ste fresche di cavallo.

??? Come scopri che sono di cavallo se non hanno forma? Sembrano buchi.

??? Diciamo: di quadrupede. Ma guarda quella: ha lo stampo del ferro.

??? ?? vero.

??? Non sei forse passato di qui tu stesso?

??? No.

??? ?? strano. Chi pu?? mai essere? Siccome per scendere quaggi?? a cavallo ci vuole un certo grado di demenza, dev'essere uno dei pazzi di San Girolamo fuggito sul ronzino del dottore.

??? O lo spettro di Neri Maltragi.

??? Chi era Neri Maltragi?

??? Un Volterrano balzan da due che col suo [339] puledro di maremma balzan da quattro balz?? nelle Balze.

??? Credi agli spettri?

??? Io s??.

??? Allora ci precede.

??? Non si va senza duca in questo inferno. Alza gli occhi! Guarda!

Le Balze strapiombavano dal cielo come la stagliata rocca al cui piede si ritrov??, scosso dalla schiena di Gerione, quel grande Etrusco colorato dalla bile atra. Per le paurose cavit?? vaneggiava l'ombra, tra gli sbiancati dirupi simili a gigantesche pile in ruina. Le moli di San Giusto e della Badia, l'una ferrigna l'altra ferrugigna, pareva fossero per precipitare nella fauce; e con esse le restanti mura, e il Borgo, e la Citt?? sospesa, e tutte le sedi degli uomini piccole e fragili come i nidi delle rondini in sommo dell'immenso e inesorabile orrore.

??? Di lass?? cadde la ghirlanda di Vana, ??? disse Aldo con un accento singolare, che diede un lieve brivido a colui che montava Pergolese. ??? Vedi?, proprio di lass??, da quella muraglia etrusca che di qui sembra un mucchio di sassuoli.

Paolo aveva fermato il suo cavallo; e guardava, rapito nella tragica visione.

??? Vuoi che la cerchiamo? ??? soggiunse l'adolescente, con la sua dolcezza ambigua.

[340] S'ud?? il latrato di Assra, un latrato di lagnanza e di soccorso.

??? Certo la cagna ?? al guado ??? disse Aldo impazientito.

E fischi??. Il latrato gli rispose. Egli fischi?? anc??ra. Il mugol??o esprimeva la distretta, troppo lugubre per quelle morte biancane. Egli volt?? il cavallo verso il richiamo. Assra mugolava di l?? dall'acquitrino, disperata di passarlo. Il fischio, il comando, la minaccia non valsero. La bella creatura color di perla ondeggiava su le sue zampe delicate, implorando da' suoi dolci occhi di cortigiana seducente.

??? Paolo! Paolo! ??? grid?? il cavaliere verso il tumulo color di cenere che nascondeva il nemico. ??? Paolo!

Il cuore terribile gli saliva alla gola col grido; ed egli per comprimerlo contraeva la sua volont?? tortuosa come quella d'una donna. Esplor?? con l'occhio veloce il deserto. Riconobbe un filone inclinato di pietra arenaria giallastra ove lucevano miste scagliette di talco; e, pi?? lontano, una cresta sbiancata, pi?? pallida d'ogni altra. Fiut?? l'aria, e vi colse un leggero nidore. Segn?? con lo sguardo un cammino parallelo a quello seguito dalle impronte del duca misterioso.

??? Paolo!

Il nemico mirava anc??ra le alte lavine su cui ora le nubi fumigavano per quell'aria senza [341] tempo tinta. La sua destra accarezzava il collo di Pergolese e la sua anima si smarriva in una tristezza e in un orrore irremeabili come quell'emblema sotto i cui segni egli aveva veduto straordinariamente illuminarsi la faccia alzata e la mano tesa della vergine olivastra. Ud?? il grido distinto sul mugol??o della cagna supplichevole e sul rombo intermesso che rombava per le alture della Valdera. Volt?? il cavallo e raggiunse il fratello di Vana. Non riesciva a orientarsi in quel vallone travaglioso.

??? Assra non guada?

??? Andiamo lungo l'acquitrino, che laggi?? finisce.

Cavalcarono l'uno dietro l'altro per un tratto. L'uno non vedeva il viso dell'altro. Gli zoccoli s'affondavano sino al nodello nel ceneraccio. La cagna era inquieta, di l?? dal pantano. D'improvviso part?? a saetta, si perse tra le gobbe e le groppe del mattaione, squitt??.

??? Deve aver veduta una volpe ??? disse Aldo.

??? Peccato che non si possa galoppare.

??? Senti quest'odore di solfo?

??? Viene da qualche mofeta.

Egli rispondeva senza volgere il capo, andando verso quella cresta sbiancata pi?? pallida d'ogni altra. Si ud?? lo squittire della cagna.

??? Guarda l?? su la ripa le p??ste di Neri Maltragi!

[342] Ed egli spinse al trotto Caracalla su una zona d'arenaria sfarinata dai gemitivi.

??? Tu passa per l??; io giro il poggio. Assra! Assra!

Egli pareva eccitato come al principio d'una caccia. L'odore sulfureo gli entrava nella gola. Si volse a guardare il nemico che scompariva di l?? dalla cresta bianca come di salgemma e di gesso. Il cuore gli scoppiava d'orribile tumulto. La cagna non squittiva pi??.

??? Aldo! Aldo!

Ud?? il grido. Arrest?? il cavallo. Attese; e l'attimo fu eterno, il silenzio fu di morte su tutta la valle d'abisso.

??? Aldo!

La voce era forte, era viva. Bisognava accorrere o attendere anc??ra? Egli ud?? nettamente gli zoccoli di Pergolese risonare su un filone di pietra. Scelse con l'occhio per la ripa una crosta resistente e vi spinse la sua bestia al galoppo. Scorse dall'alto il nemico che si salvava su pel filone, travide qualcosa di biancastro giacente nello spiazzo della mofeta.

??? La cagna ?? l?? morta! ??? gli grid?? Paolo arrivandogli addosso, fermando su la cresta il cavallo ansante. ??? L'ho vista cadere come fulminata.

??? C'?? la putizza? ??? disse Aldo, pallidissimo, coi segni della costernazione. ??? Anche tu stavi per entrarci?

[343] Paolo Tarsis scroll?? le spalle e corrug?? un poco le sopracciglia; poi drizz?? Pergolese gi?? per il pendio, senza rispondere. L'adolescente guard?? anc??ra la carogna biancastra su lo spiazzo mortifero.

??? Povera Assra! Sembra che abbia voluto morire. Aveva gli occhi troppo belli, oggi.

Discese anch'egli. Il nemico andava pensoso innanzi, seguendo le tracce ch'essi avevano lasciate. Riguadarono l'acquitrino; cavalcarono di nuovo tra i nudi tumuli, tra il tufo e il margone, per le sterpaie, per le ghiare, pel dolente deserto di cenere, in silenzio. Il giorno declinava percorso dagli spiriti frenati dell'uragano. A ponente, tra il suol marino e l'orlo della cappa eguale, il sole sanguinava come per i labbri d'un lunghissimo taglio.

Paolo si volse a riguardare le Balze che ora sembravano i crolli e gli squarci delle meschite vermiglie. Incontr?? gli occhi audaci del giovinetto.

??? Sai? ??? gli disse col suo possente sorriso. ??? Laggi??, dove finivano le p??ste, ho veduto lo spettro di Neri Maltragi. Per?? stasera non lo racconteremo.

??? Non lo racconteremo ??? assent?? quegli, senza batter ciglio. ??? Ma la ghirlanda?

Le sorelle guardavano, ciascuna dal suo davanzale; e ascoltavano a ogni istante se udissero [344] il passo dei cavalli per gli ulivi della collina. Tuttavia le serrava l'angoscia inesplicabile e il lento tormento della sospesa tempesta affaticava sopra tutte le cose vive i loro cuori.

D'attesa in attesa crebbe l'affanno. E nell'una e nell'altra i pensieri le imagini ripresero a balzare armati subitamente di musculature leonine. E ciascuna nella sua stanza ridivenne la fiera incarcerata; e senza tregua s'agit?? tra muro e muro, tra finestra e porta.

Rimbombando il tuono gi?? per le ambagi sterili della Valdera, crosciando le prime larghe gocciole su i lecci aspri, non pi?? resistettero. Si cercarono, s'abbracciarono come per lottare, urtarono l'un contro l'altro i loro cuori selvaggi in una stretta discorde e concorde; piansero, si baciarono, si morsero.

 

Il desiderio coceva cos?? forte il volto d'Isabella Inghirami ch'ella ne aveva onta; e all'aria aperta lo velava d'un velo, o lo inclinava in attitudini sfuggenti come s'inclina una fiaccola or a seconda or a contrasto dei soffii per evitare che il fuoco s'appicchi. Ma negli scorci irrequieti la sua bellezza si faceva tanto acuta che il cuore d'ognuno vi si feriva come contro una lama presentata di punta e di taglio. Paolo Tarsis [345] non poteva guardarla senza che la vista gli vacillasse nella vertigine. Quando le loro pupille s'incontravano, egli scopriva tra i cigli di lei uno sguardo ben pi?? remoto dello sguardo umano, che sembrava espresso dalla terribilit?? di un istinto pi?? antico degli astri. Allora quella carne frale assumeva una grandezza insormontabile, gli appariva come un confine della vita, gli limitava il destino come un monte limita un regno. E sentiva che, per tenerla anc??ra una volta fra le sue braccia, avrebbe mille volte tradito la sua propria anima e gittato leggermente il resto.

??? Non posso pi??! ??? ella gli disse sotto voce, accosto accosto, con quelle labbra che erano malate di quelle parole, con quell'alito che non era il suo ma del fuoco che s'era appreso a lei come s'apprende al mucchio di legna e d'aromi per divorarlo.

Ella aveva mantenuto il divieto fino a quel giorno, veramente ??candidata in foco di dolore?? come nel cantico del Pazzo di Cristo. Aveva consunto le notti nel suo letto fasciata di fiamme, simile a quella madonna senese di Taddeo di Bartolo, ch'ella teneva sul suo capezzale, cinta dalle ali degli angeli rossi come dalle lingue dell'incendio. Quante volte aveva detto al suo supplizio: ??Ora mi levo, ora vado. Vado perch?? egli non muoia. Sento che muore d'attesa e [346] d'aridezza??. Quante volte s'era levata, era andata alla porta, era rimasta a piedi nudi su la soglia, vedendo nel corridoio buio un turbin??o di faville, cercando di ascoltare il respiro di Lunella e non potendo intendere se non il fragore del suo sangue imperversato su la sua volont?? vacillante! Ma riafferrava la sua anima, la teneva ferma nelle sue mani convulse, irrigidendosi contro la tentazione, quasi impietrandosi nella sua durezza, simile alla pietra cruda del Palagio onde sporgono quelle atroci pugna di ferro per gli stendardi.

Ora come il Passo del Signore, come il Libro dell'Ardore, ch'ella aveva ripreso a Vana e vuotato dei quadrifogli e riempito di gelsomini senza stelo, ella implorava l'alleviamento del suo voluttuoso martirio.

Di fiori e frutti

M'?? fornito il core.

Di amorosi lutti

E d'ardore si more.

Li miei sensi tutti

Languono in fervore.

T??mperisi l'amore,

Ch'io nol posso portare!

La passione di quei cantici, quella ??Pazzia non conosciuta??, quella ??Pazzia illuminata??, rinnovava [347] nelle sue notti i delirii della musica. Il battito della sua anima propagava il suo male fino alle stelle, spandeva il suo fuoco senza raggi verso le cose eterne in travaglio onde colavano a quando a quando quelle lacrime labili come per toccarla prima di estinguersi. L'Amatore ??dall'anima dilatata?? cantava in lei per l'amore dell'amore, come gli usignuoli indomiti che cantano finch?? con essi non canti l'intero Universo. Il sonno dell'alba le veniva come su la vittoria d'una vita tanto tenace da non poter essere sradicata n?? dalla doglia n?? dalla volutt??.

D'improvviso, ella si svegliava al ??novo tempo d'ardore?? con la figura del bacio connaturata alle sue labbra, con tutta la sua sensualit?? sollevata nel suo corpo come la fame d'una moltitudine.

??? Non posso pi??.

Ritrovava le parole anelate nell'ora quando perduta era dentro di s?? fuori di s?? ed entrambi camminavano sul loro stesso tremito come su una corda tesa e oscillante. Ritrovava quelle parole, e il terrore di quei primi sorsi.

Anch'egli, come in quel punto, e dentro di s?? e fuori di s?? era perduto.

??? Stanotte? ??? fece soffocatamente, non osando guardarla per non cedere alla violenza che gli torceva tutto l'essere.

??? No. Parti. Torna laggi??. Verr??.

[348] ??? Attendere anc??ra?

??? Bisogna.

??? ?? impossibile, impossibile.

??? Bisogna.

Vedendolo impallidire e tremare, ella ridiveniva forte e crudele contro lui, contro s?? stessa. Gioiva di quella tortura come d'una profonda carezza.

??? Parto stasera?

??? Domani.

??? Un'altra notte cos???

??? La pi?? bella!

??? Mi accompagnerai domani?

??? No. Ti raggiunger??.

??? Non posso pi??. Ho voglia d'ucciderti.

Egli diceva le parole d'agonia e di minaccia, debole e tremante, in preda al gorgo elementare che aggirava la sua vita come un rottame o un'alga. Erano essi in fondo al lecceto, su lo sprone della collina proteso come un promontorio verso le maligne piagge grige, verso le crete gibbose e scagliose, verso le immense biancane senz'ombra. L'impeto e l'ebrezza del volo risorsero dal loro desiderio constretto. Essi riudirono il sibilo dell'elica, riebbero sul viso il vento della rapidit??, sentirono nell'azzurro la bianchezza della grande ??rdea come il colore stesso della loro gioia aerea. Imaginarono di varcare lo spazio in un solo veleggio fino al [349] Tirreno che luceva laggi??, di l?? dalla Valdera, di l?? dai Monti Pisani, tra Migliarino e Boccadarno. Sorvolarono la pineta del Tombolo, scesero su la prateria salmastra; ritrovarono la villa solitaria, la terrazza lastricata di maiolica, il tappeto della danza, i cuscini delle carezze.

??? Isa! ??? chiam?? Aldo dall'ombra dei lecci.

La sorella si volse. Per l'opacit?? verdastra ove cadeva l'oro solare crivellato dalla fronda, ella lo vide venire svelto e pieghevole con in pugno una fiaccola fumante. Vana e Lunella lo seguivano.

??? Vuoi che scendiamo? ??? disse egli avvicinandosi e guardando i due trasognati con quel suo sguardo intollerabile ove il fosforo grigio sembrava crepitare come la ragia nella torcia.

??? S??, eccoci ??? rispose la sorella, accesa d'un rossore subitaneo che sgomenta aveva sentito salire alla sua faccia e pi?? divampare nello sforzo vano di dissimularlo.

Il giovinetto teneva la fiaccola discosta e riversa bruciacchiando l'erba. Era vestito di tela bianca, aveva il capo scoperto, portava i sandali; e pareva che dalla sua negligente eleganza si rivelasse la proporzione del suo corpo degna di quella che segna il ritmo nella Cavalcata fidiaca.

??? Paolo, ??? disse ??? non sei mai disceso in un sepolcro etrusco?

??? S??, a Tarquinia.

[350] ??? Ah, ti ricordi nella grotta del Convito quegli uomini tutti rossi, quelle donne tutte bianche.... Qui non ci sono pitture; ma vedrai che ornamento!

??? E chi sa quanti pipistrelli! ??? disse Isa rabbrividendo. ??? Forbicicchia, non hai paura?

La salvatichetta si stringeva contro il braccio di Vana, lanciando di tratto in tratto un'occhiata torva all'ospite, di sotto il lustro nero blu della sua capellatura.

??? Mi farai cadere ??? fece Vana sotto voce, vacillando gi?? pei sassi della viottola.

??? Quest'anno non dev'esserci entrato nessuno ??? disse Aldo. ??? Il caprifoglio ha quasi ricoperta l'imboccatura del cunicolo.

??? Sai, Aldo, ??? disse Isa, rapida ??? Paolo se ne va domani.

??? Di gi???

Vana s'arrest??, soffocata dal fumo della torcia che la investiva.

??? Duccio, tu ci affumichi! ??? si lagn?? Lunella.

??? Paolo, e non vedrai i bulicami di Monte C??rboli dopo le bolge di San Giusto.

??? S??, s??, ??? fece Isa ??? domani l'accompagneremo fino ai Lagoni: ?? un tratto di strada.

??? Lungo la C??cina perfida, forse t'apparir?? un altro cavaliere avventuroso che fece il viaggio equestre agli Inferi uscendo da Volterra: Michele Marullo.

[351] Non era acre di sarcasmo, non era dubbia d'ambiguit?? la voce dell'adolescente quando si volgeva al nemico; eppure dava a Isabella una cos?? penosa inquietudine ch'ella s'affrettava a coprirla col suo tono gaio, come se l'ultima sillaba lasciasse nell'aria uno strascico d'odio.

??? E non lo racconteremo ??? disse Paolo Tarsis sorridendo male.

??? Che cosa? che cosa? ??? domand?? Isabella.

??? Abbiamo un segreto ??? disse l'amato.

??? Il segreto di Neri Maltragi ??? disse il portatore di fiaccola ridendo su l'ingresso dell'ipogeo, sotto i festoni di caprifoglio, tra l'ondeggiare degli ultimi papaveri e delle alte avene. ??? Oggi io sono il savio duca.

E disparve nel profondo corridoio mortuario.

??? Che segreto? che segreto? ??? ripeteva Isabella sbigottita, entrando nel buio dietro i guizzi rossastri della torcia fumosa.

Tutti rabbrividivano, ch?? il gelo sotterraneo si faceva sempre pi?? crudo.

??? Lunella, hai freddo? hai paura?

La bimba si stringeva sempre pi?? al braccio di Vana. L'orrore della tenebra la percosse. Ella s'arrest?? di s??bito. Pontando i piedi, tentava di trascinare indietro la sorella.

??? No, no, non voglio andare!

??? Vieni, vieni, piccola. Non aver paura.

[352] ??? Non voglio.

??? Vieni. Guarda com'?? bello!

Erano nella vasta tomba partita in quattro tribune e sorretta da immani pilastri tagliati nel medesimo tufo che cavato formava la volta. Le casse cinerarie biancicavano su lo zoccolo intorno sporgente; e le figure adagiate su i coperchi quadrilunghi, poggiate sul cubito manco, le figure obese dei defunti dal grosso labbro semiaperto erano in pace, con nella destra la patera, il flabello, le tavolette. Ma su per i pilastri, ma su per la volta, ma su per le pareti una misteriosa vita serpeggiava s'intricava s'aggrovigliava, una vita di silenzio e di ribrezzo, vegetale e animale, t??rtile e p??nsile, informe e multiforme, a cui gli sbattimenti intermessi della fiaccola parevan dare aspetto innumerevole di scaglie e d'ali, moto indistinto di palpito e di respiro.

??? Forbicicchia, Forbicicchia, non aver paura. Guarda! ??? grid?? Aldo sollevando il braccio con tutta la sua forza e percotendo con la torcia il viluppo strano.

Due ali aguzze sbatterono, una cosa floscia strise, si rappigli??, si raggricchi??, ma non venne a terra.

??? I pipistrelli! I pipistrelli!

E Forbicicchia e Mor??ccica e Isa, tutt'e tre, gridarono, si serrarono, si scansarono.

[353] ??? Lasciali! Lasciali! Non li aizzare! Se volano, ci tagliano.

??? Non si staccano. Muoiono, ma non si staccano.

Aldo teneva la torcia levata. E appariva, per tutto, il prodigio di sotterra. Dalle fenditure e dalle crepe le radiche degli antichi lecci eran penetrate diramandosi e moltiplicandosi; avevano occupato con le lor mille e mille barbe e barbucole tutta quanta la volta, rigirato i pilastri, conquistato gli spartimenti fino allo zoccolo, in guisa di reti e di graticci tessuti di corde strambe; e per l'umidit?? accagliata sul tufo inserendo le minutissime fibre dentro gli screpoli cercavano ovunque l'umore dell'ombra. Spessi come i ragnateli in una soffitta, ciondolavano dalle radiche i pipistrelli nerastri, attaccati coi piedi di dietro, fasciati dalle membrane grinze, solo sporgendo il muso e gli orecchi tra la commettitura dell'ali. E tanto eran tenaci che parevan fare con le radiche una sola vita mostruosa, come se gli alberi fogliassero sotterra quel fogliame floscio e v'incominciassero a formare gli occhi per guatare nel sepolcro.

??? Non s?? staccano. Si lasciano schiacciare, si lasciano sbruciacchiare, ma non si staccano ??? bramiva Aldo seguitando a percuotere con la torcia gli ostinati, invaso da una specie di frenesia [354] crudele. ??? Muoiono, ma non si staccano.

Morivano dibattendo l'ali, stridendo. Si raggruppavano, si raggrinzivano, pesti, arsi, con un puzzo di strinato, con un sibilo di vessiche sgonfie; ma restavano appesi pe' loro uncini alle radiche.

??? Gi??, gi??, uno almeno, uno almeno!

Vana, Lunella, Isabella non pi?? parevano sbigottite ma s'erano disgiunte per seguire quel folle gioco; e, prese dal contagio, accompagnavano la distruzione con le loro voci rotte. Per arrivare alla volta, l'affocatore si drizzava con tutta la persona, sobbalzava e trasaltava come in una danza incomposta. Le faville crosciavano intorno al suo capo veemente. Egli sapeva evitarle. I suoi occhi lampeggiavano a quando a quando, nella luce rossa e fumosa, verso Isa che per istinto secondava coi moti involontarii l'insania del fratello.

??? Non uno! Non uno!

Subitamente, a una percossa pi?? cruda, la fiaccola si spense. Tutto il sepolcro fu nero.

Lunella gitt?? un grido acutissimo di terrore, senza muoversi, impietrita per alcuni attimi.

??? Vanina! Vanina!

La fiaccola era a terra, accusata dalla moccolaia ancor rossa. Pareva che l'insania roteasse nella tenebra.

[355] ??? Vanina! Isa!

A un tratto, Paolo si sent?? toccare. La sua mano fu afferrata, fu premuta da due labbra fredde, perdutamente.

??? Isa!

Come nel pi?? lungo giorno, come sotto l'azzurro e l'oro intersecati dalla parola spaventosa, Isabella aveva ceduto intera la bocca al bacio selvaggio. Aveva sentito all'improvviso le dita tremanti palparla, prenderla pel mento e per la nuca, tenerla forte. Aveva sentito una sete mortale aspirarle il pi?? profondo fiato, come allora. Nel primo istante, nella cecit?? della brama, avviluppata dall'irresistibile fiamma, aveva ceduto intera la bocca, quel che nella bocca aveva di pi?? nudo e di pi?? occulto.

Non era il bacio dell'amante! Era un bacio di frode e di perdizione. Se n'accorse essa, si dibatt??, respinse la violenza, con un fremito che i pianti disperati di Lunella copersero.

E tutto dur?? qualche istante, e fu eterno, sotterra.

 

Su la strada delle Moie, dove per la continua pioggia notturna la polvere era divenuta melma simile al mattaione nel color cupo di cenere, la Citt?? di vento e di macigno apparve crucciosa e minacciosa nel cielo piorno.

[356] Paolo Tarsis la guard?? mormorando:

??? Addio. Non torner?? pi?? mai alle tue porte.

Vana gli era vicina. Aveva quella povera faccia stravolta ch'egli conosceva bene per averla gi?? veduta al lume delle fiammelle funeree. S'erano fermati per un lieve guasto alla macchina. Erano discesi, mentre il meccanico lavorava nel cofano aperto. Aldo e Isabella li precedevano, diretti alle Pomarance e ai Lagoni. Ora non pioveva; ma i nuvoli acquosi aggravavano tutta la Val di C??cina sino alla Maremma trista, fra le cime vaporate di Castelnuovo e quelle di Campiglia.

??? Mai pi??? Non tornerete mai pi??? Non vi vedr?? mai pi???

Novamente l'orrore dei presagi la riempiva di visioni e di grida; ma le grida gridavano dentro di lei, e la sua voce non era se non un'ambascia appena udibile.

??? Anche voi, povera piccola buona, non avete abbastanza sofferto? Ricomincereste a vivere giorni come questi? Tutto ?? preferibile a quest'inferno.

Ella disse, non creatura di carne ma spirito d'angoscia abbrancato all'amore:

??? Tutto ?? preferibile all'assenza, all'esservi lontana, all'essere dimenticata. Non vedervi ?? peggio della morte. Io rimpianger?? quest'inferno.

[357] Egli avrebbe voluto chiuderle la bocca, porle su la bocca la mano ch'ella aveva premuta nel sepolcro.

??? Vana, Vana, che far?? io se mi parlate cos??? dove ritrover?? il mio coraggio?

Ella volgeva il suo sguardo di supplicazione a tutte le cose; ella prendeva il suo cuore e l'opponeva allo spazio, l'opponeva al tempo; prendeva il suo dolore e sbarrava la strada, murava l'orizzonte, serrava ogni varco.

??? Perch?? mi avete tratta fuori da quel buio? Ora tutta la terra ?? vuota sotto di me, e non ho se non la volont?? di sprofondarmi. In quell'attimo di demenza, quando cercavo la vostra mano, la cercavo come si cerca qualcosa che ci far?? morire. Ero certa che non poteva esserci pi?? nulla, dopo. Ero certa. Pensavo: ??Ecco, tutto il male che porto sta per cessare. Ora tutto finisce. Non ci sar?? pi?? nulla. La luce non torner?? pi??. Non vedr?? pi?? nessun viso terribile??. Vi giuro che questo avevo nell'anima, in quell'attimo, che questa era la mia demenza. E non so dire, non so dire; ma ieri mi sembr?? che la luce mi profanasse, che qualcuno mi avesse disseppellita e rigettata nella vita come in una di queste pozzanghere, con la faccia nel fango.

Ella parlava con bassissima voce, come allora l?? dove il silenzio era suggellato. Egli riceveva [358] ogni parola come un aumento di dolore, come una pena che entrasse nella sua pena e la dilatasse e risollevasse dal fondo qualcuna delle forze che un tempo avevano fatta la bellezza della sua guerra. Gli pareva di riudirla nella sua solitudine di quella notte, con qualcosa di quella sua potenza e di quella sua piet??. Il pianto che colava sotto quella voce senza inumidirla, gli pareva quello ch'ella aveva pianto dentro di lui innanzi al compagno esanime, quello che tanto gli era stato dolce nell'arido lutto. Una commozione dileguata gli si riadunava dentro: egli la sentiva crescere fino alla pienezza. E, come per una fenditura irreparabile, una fuga era in lui continua, una fuga dell'intima sua sostanza, quasi che di continuo il suo sangue, le ossa del suo petto, gli organi stessi del suo respiro divenuti un solo miscuglio fluido e affannoso lo abbandonassero, se ne andassero, seguissero una traccia, un cammino: la corsa di quei due gi?? fuori della vista, gi?? scomparsi nella caligine.

??? ?? la seconda volta che io sopravvivo a quel punto della mia vita, che mi pareva il supremo. E non so morire, come non ho saputo essere quella che tace e s'immola accanto a colui che ignora e non cura. Non so morire e non so vivere, e neppur so pi?? dove io sia. Ma dove posso essere se non in colui che amo? Lasciatemi, [359] lasciatemi dire questa parola, lasciatemela dire, per la prima volta, per l'ultima volta, senza speranza e senza vergogna. Non so come si sia separata dal mio cuore, a un tratto, e sia salita, e sia uscita. Vi amo, vi amo.

Ella chiudeva gli occhi, come se le ciglia prendessero fuoco da quella parola; chiudeva gli occhi, levava il mento, alzava il suo stretto viso olivigno fasciato dal velo come da una benda; mostrava un viso di cieca e di sorda, un viso di creatura chiusa in s?? stessa, che non vede e non ode e non abbandona quel che ha afferrato con tutta la forza dell'anima come con le due branche, non l'abbandona, non lo lenta, sinch?? non ne sia uccisa, non ne muoia.

??? Vi amo.

Egli la guard?? con uno sgomento che lo rapiva come dinanzi a un'incarnazione mistica; guard?? quella parola che non sonava come un suono ma si foggiava come un'effigie, si stampava come un'impronta, si faceva figura umana in sigillo d'eternit??. E la medesima parola gli apparve impressa nell'altro volto, nel volto consanguineo, ch'egli aveva avuto accosto su per la medesima erta nella vampa del solleone. ??Mi ami? mi ami? Sei bruciato cos?? anche tu? Non c'?? pi?? nulla in te se non il tuo desiderio? Dim??nticati, dim??nticati....?? E seppe quel ch'egli perdeva, ma non temette quel che l'attendeva. [360] Un presentimento gli ondeggiava nel fondo e non prendeva forma; e pareva a lui che, se avesse potuto fermarlo e interpretarlo, avrebbe avuto la chiave della sua sorte.

??? Come risponder??? ??? disse egli; e Vana sent?? nella voce maschia un tremito che per lei trem?? sopra tutta la solitudine. ??? Come potr?? io separare dal mio cuore la sola parola che dovrebbe esser detta?

Con gli occhi sbarrati ella fu cieca un'altra volta, fu senza lume come chi sta per perdere i sensi e per piombare a terra. Il mondo rote?? intorno a lei come il vortice intorno al naufrago sommerso. ??? Qual'era, qual'era quella sola parola? la medesima ch'ella aveva osato proferire? ??? Il baleno dell'illusione bast?? ad atterrarla. La paura della felicit?? fu infinitamente pi?? grande che la paura dello strazio e della morte. Ella attese che la gioia la folgorasse. La voce si tacque.

??? Addio? ??? grid?? allora ella senza grido. ??? ?? questa la parola? Addio?

??? Vana, cara cara piccola sorella, ho dentro di me il silenzio di quell'ora, il silenzio che respirammo davanti al mio compagno disteso, quando voi poneste il fascio delle rose su i piedi congiunti. Vivrete sempre dentro di me con quel silenzio che ?? la pi?? profonda pausa della mia vita. Non vi mescoler?? mai alle cose [361] torbide e crudeli. Vi difender?? pur contro me stesso. ??Io sono la fidanzata segreta di colui che ?? l??, dietro quelle cortine, senza vita.?? Come potrei violare il mistero di quella notte? Piangeste il pianto che io non potevo piangere. Ma ?? rimasto su voi non so che bagliore, qualche cosa che riluce soltanto per me, qualche cosa che non deve pi?? spegnersi: quell'ultimo sorriso che voi raccoglieste.

Ella ascoltava, con gli occhi verso la terra, verso la cinerea melma solcata dai carri; e non sentiva la tenerezza di quella voce, ma soltanto sentiva com'egli la separasse da lui, com'egli ponesse irreparabilmente tra loro quel sorriso quelle rose e quell'Ombra.

??? Per ci?? non so che darei per vedervi sorridere, piccola buona. Quando guardo un cielo piovoso come questo, con qualche sprazzo che sfugge tra i nuvoli, ho sempre l'ansia di vedere apparire l'arcobaleno, quello che al domani mi apparve nel volo pi?? alto, come il suo segno. Quando guardo la vostra pena ho un desiderio infinito del vostro sorriso; che ?? vostro e che per me ?? anche l'ultimo suo. Voi siete l'imagine della mia parte di bont?? di fedelt?? e di purezza, che la sorte m'aveva data e poi m'ha tolta; siete il ricordo di quella limpida gioia che il mio compagno ha portata con s?? nel buio e non riavr?? pi?? mai. Ah, se potessi liberarvi dal [362] male, proteggervi da ogni sciagura, essere il vostro fratello vigilante e distante!

Ella ascoltava, con gli occhi verso le selci aguzze, verso la carreggiata tortuosa, verso i cumuli di creta ove le rosure dell'acqua si disponevano come le nervature nelle foglie macere o come le rughe e le grinze nelle zampe enormi dei pachidermi schiaccianti. In tutte le cose s'addensava una tristezza tetra, una pesantezza brutale, una inimicizia inerte. ???? la prima volta che porto un fiore nel cielo. Crede che sia leggero? Forse pesa quanto un doppio destino.?? Ah, certo, ella non sapeva che tanto potesse pesare una rosa! E, sapendo che la crudelt?? pu?? rendere felice, non sapeva che la dolcezza potesse di tanto accrescere un male gi?? insostenibile.

??Distante!?? Aveva bene udito? Egli non parlava pi??: camminava al fianco di lei, ridivenuto silenzioso, a capo chino. Ella ud?? il suono del passo sul suolo molliccio. Attese ch'egli parlasse anc??ra. L'intervallo si prolungava. Entrambi calpestavano il silenzio. Ma per lei la parola ultima si moltiplic?? in ogni orma, si sparse nella solitudine, raggiunse l'orizzonte, fu lo spazio, fu l'immensit??, fu ogni cosa lontana e inaccessa. L'ululo della sirena lacer?? l'aria grigia. Entrambi sobbalzarono e si volsero.

??? Il meccanico avverte che la macchina ?? pronta ??? egli disse.

[363] E s'accorsero che, invece di discendere a valle, erano risaliti a monte.

??? Siamo tornati verso Volterra ??? egli disse. Ella disse, amara e violenta:

??? Verso la maledizione, verso la dannazione.

Sostarono, prima di rifare il cammino. Guardarono la Citt?? funesta de' cui peccati troppe volte Iddio trasse vendetta col ferro col fuoco con la fame e con la pestilenza. Mentre in basso l'aria era morta, lei percoteva la sua bufera eterna; ch?? i cipressi di sotto la Rocca svettavano, i lecci di sotto il Castello tumultuavano. La fuga delle nuvole testimoniava la saldezza delle mura, delle torri, delle porte, che tra fumo e grumo ritenevano indelebili i colori dell'arsione e della strage. La torre del Pretorio annerita dal solfo che soffoc?? Pecorino e il Barlettano gittati in piazza su le picche e le corsesche; l'immane prua di mattone appuntata a levante dallo smugnitore Gualtieri fatto tiranno; la porta a Selci spalancata dai consanguinei dei fuorusciti ai mercenarii di Federico Montefeltro; la porta all'Arco che serr?? tra valva e valva Bocchino Belforte scavalcato dal figlio d'Inghiramo Inghirami e infunato come belva; la porta di San Francesco dai tre merli ignudi onde penzol?? impiccato il tamburino del Maramaldo; il bastione di Docciola ove a scherno di Fabrizio notte e d?? miagolarono i gatti infissi [364] negli spiedi lunghi; il Mastio fortificato d'ingiustizia e di dolore, che disfece la bellezza di Caterina Picchena premuta dallo spettro sanguinoso del paggio; le case munite, dalle cui finestre grandinarono le pietre pugnerecce moltiplicate da quella che Luisa Minucci scagli?? al fante invece di pane; ogni casa, ogni torre, ogni muro, ogni porta issava un fantasma di virt??, d'eccidio, di rapina o di tradimento. ??Sacco! Sacco!?? Notte e d??, senza tregua, la r??ffica vi simulava il selvaggio urlo che tante volte aveva agghiacciato il cuore della Citt?? funesta: ??Sacco! Sacco!??

??? Addio, Volterra ??? sospir?? Paolo Tarsis, oppresso dalla forza di passione e di destinazione ch'esprimevano i macigni squadrati e collegati sul monte precipite.

??? Chi sa! Chi sa! ??? disse Vana, ridivenuta intorta e nascosta. ??? Forse ci tornerete, a cercare anc??ra una volta invano la ghirlanda di rose gialle.

Si voltarono, rifecero il cammino verso la macchina che rombava su la via aspettando di riprendere la corsa.

??? Forse che s?? forse che no ??? soggiunse, piano, con un sorriso che poteva anche esser l'ultimo, la fidanzata dell'Ombra.

Egli pat?? silenziosamente la trafittura. Non parl?? pi??. Fu intento agli ignoti disegni che [365] gli nascevano dall'angoscia e scomparivano pel cammino ov'egli s'affrettava piegato sul volante per raggiungere quella che aveva sospeso il suo amore tra la sentenza del Laberinto e l'enigma delle Pause.

Alle Moie i fumaiuoli rossi e neri fumigarono tra i cipressi. La C??cina luccic?? nelle ghiare, dietro le file dei pioppi. Le biancane desolate s'avvicendarono coi macchioni aspri. Dilegu?? il colle delle Pomarance coperto dai lastroni d'arenaria cavernosa, tutto scavi e risalti. Monte C??rboli apparve inerpicato su per la sua rupe conica di gabbro. Le ripe incenerite della Possera biancicarono, come il tristo ruscello ove Filippo Argenti ingozza il fango. L'odore sulfureo, la nebbia del bollore, il sibilo e il rugghio annunziarono la valle infernale.

??? Come hanno corso! ??? disse Vana discendendo nello spiazzo. ??? Sono gi?? entrati nell'inferno.

Involontariamente Paolo affrettava il passo, avanzando la guida che li conduceva. Un fumo denso candido caldo a un tratto li avvilupp??, li accec??, li soffoc??. Si arrestarono brancolando. Si presero per le mani, non pi?? scorgendo il suolo dove posavano. Un fragore di vulcano rimbombava per tutta la pendice del monte. Colpi improvvisi di vento abbattevano i nugoli del vapore, li sparpagliavano, li spazzavano, [366] scoprendo i bulicami bui, i cumuli di ceneraccio e di sassi, i getti d'acqua e di fango. I nugoli si riaddensavano, palpitavano intorno alle buche, si laceravano ai castelli di travi, alle gigantesche trivelle, ai tubi di ferro per ovunque diramati, ora proni ora irti, in intrichi rugginosi e ruggenti.

??? ?? l'inferno.

Giravano per la lorda pozza. L'acqua, simile a una broda bigia, viscosa, untuosa, bolliva levando bolle simili a vesciche involute di belletta, che a ogni scoppio schizzavano falde di fango contro le ripe tinte di giallo e di sanguigno. Bolliva e soffiava come se per entro vi salisse l'??nsito e il gorgoglio dei dannati fitti nel limo, come se nel fondo vi s'agitasse la mischia perpetua degli iracondi. Di tratto in tratto una bolla vi si gonfiava smisuratamente, con la violenza di una scaturigine: pareva fosse per rompersi e per iscagliare tra spruzzi e schiume un groppo di genti fangose che a brano a brano si troncassero e dilacerassero. Un getto di vapore con un sibilo assordante vinceva ogni altro strepito. Il fetore del solfo riempiva la vasta nebbia estuante.

??? ?? l'inferno. Dove sono? si sono perduti?

Giravano di proda in proda, di bulicame in bulicame, e non udivano le loro parole nel fragore che le copriva, nel vento che le rapiva, [367] nel fumo che le affiochiva. Vacillavano su le pomici nere e rosse, su l'alberese calcinato, su i crepacci del loto misto di tritumi e di croste. Non un filo d'erba, non uno sterpo, non uno stecco su le ripe dolenti. Il suolo sgrigliava sfarinandosi, sgretolava tritandosi sotto i piedi come i rosticci del ferro colati dalle fornaci, come la carbonella cenerosa avanzata dai forni. A quando a quando da uno spiracolo terragno un soffio torrido li investiva, con l'anelito d'un torace immane che il macigno gravasse. Un rigagnolo di sangue fumido attraversava il passo: era tinto dallo scolo d'uno strato di rubrica, dopo la pioggia dirotta. Una r??ffica repente schiacciava il vapore contro il suolo, lo ricacciava nelle pozze, lo addensava negli anfratti del monte. Tutto si confondeva nella nebbia crassa.

??? Si sono perduti? Chiamateli! Chiamateli!

Allora, l'una contro l'altro, avvolti dal fumo che nascondeva ogni cosa e anche la loro angoscia frapponendosi tra i loro volti, essi chiamavano, chiamavano. Rispondeva il sibilo dei soffioni, il gorg??glio dei bulicami, il rugghio dell'ira sommersa. Di l?? da un rip??tido bollente, di l?? da un turbine di vapori che s'avvallava per una lacca smorticcia, la voce del fratello rispose finalmente.

Videro su per la ripa avvicinarsi le ombre indistinte, traudirono parole interrotte.

[368] Come Paolo per entro alla lacerazione del nugolo basso moveva incontro girando la proda solforosa, Vana gli abbranc?? il braccio e lo trattenne. Lo trattenne con un guizzo di forza.

??? Addio ??? gemette; poi gli si abbandon?? addosso, come esanime.

Aldo era l??, Isabella era l??, spiriti esciti dalla bufera infernale.

??? ?? svenuta?

Non intendevano quel che dicevano. Il vento li fasciava di fumo, empiva di fumo i loro occhi, le loro bocche. Per farsi intendere gridavano. Gittavano un clamore confuso intorno al corpo inerte. Tutta l'ira sommersa soffiava e rugghiava intorno a loro.

Per trarla fuori da quell'inferno, Aldo e Paolo sollevarono di peso la creatura che non vedeva pi??, che non udiva pi??, che non aveva se non una parola impressa sul suo stretto viso olivigno fascialo dal velo come da una benda sacra.

La portarono a traverso la nebbia, di proda in proda, di bulicame in bulicame, gi?? per la lorda pozza. Una pioggia fredda e greve si rivers?? sul bollore che parve fumigar pi?? forte. Essi credettero andare verso nuovi tormenti e nuovi tormentati, come in un sogno d'oltremondo. Pi?? forte rimbombava il fragore dietro i loro passi incerti. Tutte le genti fangose doloravano.

[369] ??? Vana! Vana!

La sorella accosto accosto seguiva il trasporto. Con le sue mani e col lembo del suo velo, curvandosi, ella cercava di difendere dalla pioggia il viso esangue.

??? Vana!

Curvandosi fin su la gola, a quando a quando ella gridava il nome, con uno spavento che le cresceva di traccia in traccia. E curva attendeva che le lunghe ciglia ripalpitassero.

[371]

LIBRO TERZO.

[373]

 

??? Che orrore! Che orrore! ??? disse Orietta Malispini ritraendo graziosamente la sua bocca, piccola rotonda e rossa come una corbezzola, dietro il gran mazzo di mammole doppie ch'ella portava appuntato molto in alto, a sinistra del collo, contro la gota, quasi grande come la sua faccia. ??? Io non ho dormito tutta la notte.

??? Ah, io confesso che mi piacerebbe d'essere amata cos?? ??? disse Adimara Adimari, con un lungo brivido che parve correre anche su per la sua giacca di chinchilla tanto squisitamente accordata alle due perle grige e tiepide del suo sguardo.

??? Compresa la catastrofe? ??? chiese Dorothy Hamilton, con quell'accento strambo che dava qualcosa di buffo a ogni sua parola, accavalciando [374] una gamba su l'altra mascolinamente e scotendo la cenere della sua sigaretta di tabacco bruno.

??? La catastrofe ma con salvazione.

??? Con Salvatore.... Serra di Lubriano, dei Lancieri di Novara.

??? Dolly, sei insopportabile.

??? Io sono certa che se Driade potesse risuscitare dalle sue ceneri, si metterebbe a riamare disperatamente il suo assassino ??? disse Novella Aldobrandeschi senza cessare di toccar s?? stessa con quei suoi gesti carezzevoli, ora strisciandosi il manicotto di martora sotto il mento, ora premendosi su le labbra qualcuno degli amuleti che portava in fascio appesi alla lunga catena, ora lisciandosi con le dita il ginocchio che tondeggiava sotto il velluto della gonna color tan?? come i suoi caldissimi occhi. ??? Non ho ragione, Vana?

??? Ma non so di chi parli ??? disse Vana Lunati, che s'era scossa udendo il suo nome.

??? Tu caschi sempre dalle nuvole, Vanina! ??? fece Simonetta Cesi, ridendo con quella sua larga bocca dagli angoli rilevati, che all'ombra della capellatura fulva e indocile l'assomigliava a una faunella coronata di pino.

??? Passione nascosta. Tutti i segni.

??? Per chi? per chi?

??? Passione non corrisposta. Ahi, ahi!

[375] ??? Come quella del pastore di Fondi?

??? Non vedete che ?? diventata uno stecco?

??? E ogni giorno pi?? scura.

??? Con nessuna di voi si confida?

??? Con me, no.

??? E neppure con me.

??? Con me, niente.

??? E con me, niente affatto.

??? Quanto siete sciocche! ??? disse Vana con un riso impaziente. ??? Non sono stata sempre cos???

??? La Vergine del Cilizio.

Tutto era odio e oltranza e constrizione, dentro di lei. Ella era l??, seduta nella poltrona bassa, accanto alla sua tazza di t??, accanto alle paste e alle confetture che l'ospite le aveva accumulate sopra un deschetto, nella fragranza dei fiori sparsi per ovunque, nel tepore blando, nel suo grazioso abito di casimir nero a cui un poco d'oro un poco di blu e una striscia sottile di zibellino davano un'impronta che rivelava il gusto d'Isabella Inghirami; ma la sua anima nascosta non respirava se non nel pi?? arido orrore. Turbini di forza nascevano dentro di lei, roteavano, si dissolvevano. Una certezza le sovrastava evidente come le cose che vedeva, come le cose che poteva toccare, ??Dunque, ?? vero. Non c'?? dubbio. ?? vero, ?? proprio vero?? ripeteva dentro di s?? con la continuit?? di chi, [376] nel primo urto della sciagura, spera tuttavia che una voce risponda: ??No, non ?? vero. Hai sognato. Rientra in te??. Ed ella medesima, in fatti, si sforzava di sfuggire a quella certezza; piegava la sua attenzione verso le lievi amiche, verso la futilit?? della vita; beveva un sorso di t??, sorrideva a Simonetta; imaginava di essere come una di loro, contenta del suo bel vestito, occupata specialmente dall'attesa del gran ballo ch'era per dare Ortensia Serristori, con un peccato di gola per i pistacchi tostati e salati, con un fidanzato molto ricco o con un amoretto molto dispettoso. E pensava: ??Come siete felici, come siete felici! Ci vuole cos?? poco per essere felice! Se io ora potessi levarmi quest'orribile male, se potessi prendere una cartina di qualche cosa come quando ho l'emicrania e liberarmene, se potessi scrollare da me quest'incubo, sarei felice anch'io. Stasera canterei, domani ballerei. Ridiventerei bella come nella miniatura persiana. Proprio stamani ho ricevuto un vestito da ballo, delizioso. Volete che ve lo descriva, per farvi un poco di rabbia? Mia sorella non ?? stata mai tanto generosa con me....?? Irresistibile come la frana, una massa compatta di dolore si rovesciava sopra i suoi pensieri incoerenti, schiacciava tutto, seppelliva tutto. Una volont?? disperata di nuocere vi risorgeva per entro, accompagnata da un balen??o [377] d'imagini violente. ??Ah no, no, non posso tacere. Accada qualunque cosa, bisogna che io gli dica tutto, bisogna ch'egli sappia l'infamia. E se li uccide??? Ella volgeva su le sue amiche quegli occhi subitamente sbarrati che le faceva ridere o maravigliare. Era tutta chiara e gaia, in quel pomeriggio di Marzo, la stanza ove Simonetta Cesi le aveva radunate a prendere il t?? per la festa del suo nome. Era parata con quelle tappezzerie d'Olanda, in velluto di lino, ove l'arte di Agata Wegerif imita la variet?? dei marmi venati e vergolati come i broccatelli i cipollini i pavonazzetti, e sopra vi compone con le vecchie figure geometriche novissimi ritmi di fregi. Ovunque, su i mobili di lacca precisi e nervuti, le rose i garofani i giacinti le orchidee sorgevano da snelli vasi di maiolica ricchi di colature intense come smalti. E, in quell'acuta armonia moderna, le piccole sfingi nubili avevano una grazia di gatte che sieno per diventare tigri, una dolcezza di giovini fiere pronte a ruzzare e a graffiare, una golosit?? di tutto nelle bocche zuccherine che parlavano della passione selvaggia.

??? Non conosci dunque il fatto di Fondi, Vana? ??? insistette Novella Aldobrandeschi, curiosa di scoprire il sentimento della sua amica olivastra su quella vendetta d'amore che eccitava il suo vecchissimo sangue maremmano. ??? No?

[378] ??? Racconta, racconta! ??? fece Orietta, piegando la gota su le sue mammole intiepidite e disponendosi alla delizia di sbigottirsi un'altra volta, quasi con due facce gemelle, con una di carne e una di fiori.

??? Ah le parole di lui! ??? fece l'Adimari in rapimento. ??? ??Se mi schiacci le ossa dentro ci trovi te sola; se mi tagli le vene, te sola; se mi spacchi il cervello, te sola; se mi apri il cuore, te, te sola, sempre te, in tutto me, a vita e a morte!??

??? Mi meraviglio che ragazze ??per bene?? stieno a sentire di queste enormit?? nefande! ??? disse Dolly Hamilton imitando la smorfia e il tono d'un catone da circo equestre, mentre soffiava il fumo dal suo nasino volto all'in su. ??? Volete voi perdere diffinitivamente il vostro ??reputation???

Ella pronunzi?? l'ultima parola, nella sua lingua, con una buffoneria cos?? seria che le altre non poterono trattenersi dal ridere.

??? Simonetta, ??? grid?? Novella irritata ??? mandala via, che vada a pattinare.

Dolly tracann?? d'un fiato una tazza di t?? gi?? fredda e mise un'altra sigaretta nel bocchino d'ambra, imperturbabile.

??? Che fondo di tragedia ?? Fondi! ??? disse Bianca Nerli. ??? Mio padre ci fu quando cacciava nelle Paludi Pontine. Un piano di fossi [379] e di macchie pantanose, un lago morticcio, una citt?? bassa con due cinte di muraglie, la miseria e la febbre alle porte....

??? Il pastore feroce aveva ventidue anni ??? disse Novella. ??? La vittima ne aveva ventuno. Si chiamava Driade di Sarro.

??? Che nome strano!

??? Era bellissima e intrepida.

??? Imagina che, dopo il primo tentativo di ratto, si provvide d'una rivoltella, e si esercitava contro i tronchi delle roveri.

??? Non passava giorno ch'egli non la perseguitasse e non la minacciasse.

??? Era un ossesso d'amore. Si faceva esorcizzare dagli stregoni. Beveva i filtri d'erbe, che non lo guarivano. Chiara t'ha ripetuto le parole del suo male. Perduta ogni speranza, non potendo pi?? vivere, egli non pens?? che a vendicarsi.

??? Ascolta, ascolta.

??? L'altra sera, la Driade con una sorellina di undici anni, con un piccolo cugino di tredici e con la zia ottantenne, dormiva in una capanna del suo campo, distante da Fondi alcune miglia. Era tardi quando arriv?? a cavallo un fratello di lei, un giovanetto, che scorse un'ombra presso la porta e riconobbe il pastore. Questi gli tir?? due colpi di fucile per freddarlo: il primo and?? a vuoto, il secondo uccise il cane.

[380] ??? Imagina ch'egli aveva assicurata la porta di fuori con funi e con traverse perch?? di dentro non si potesse aprire; e la capanna, fatta di fascine e di falasco, non aveva se non quell'apertura, poco pi?? larga d'una feritoia.

??? Il fratello illeso fugg?? di galoppo per andare a chiamare in aiuto certi suoi parenti che dormivano in un'altra capanna distante due miglia.

??? Allora il pastore, nella notte, chiam?? a gran voce l'amata. ??Driade, sv??gliati! Sono io. Fuoco per fuoco!??

??? E appicc?? il fuoco ai quattro lati della capanna.

??? Fu un attimo, tutto arse, tutto fu una sola vampa.

??? E il pastore cant??!

??? Si mise a cantare una canzone d'amore, una disperata, e a saltare intorno al rogo ardente, mentre veniva per la macchia troppo tardi il soccorso.

??? Tra il pianto dei bambini e il rantolo della vecchia, riconosceva il grido della giovine contro la porta sbarrata; e rispondeva col canto.

??? Poi cant?? al rugghio delle fiamme, perch?? nessuno pi?? pianse, nessuno pi?? grid??. Le quattro vittime caddero ai piedi della porta e ci restarono, a incarbonirsi, in un mucchio.

??? Orribile! Orribile!

[381] Vana aveva piegato il viso fin sul braccio convulsamente. Le narratrici eccitate e inorridite si protendevano verso di lei, un poco anelanti nella gara dell'atrocit??, con gli occhi lustri, con le gote accese in sommo come dal riflesso dell'incendio, ma Dolly tendeva il capo commiserandole dai suoi occhi beffardi, lunghi e stretti come quelli che guardano di dietro le fessure della bautta.

??? All'alba, le ossa calcinate furono raccolte tra la cenere e avvolte in un pannolino, poi furono trasportate a Fondi, per la macchia, dalla scorta.

??? A mezza macchia, il pastore si fece innanzi solo, con la sua doppietta, e intim?? che il fardello gli fosse consegnato.

??? Ah, sono certa, sono certa che avrebbe riconosciuto, che avrebbe sentito nel mucchio le ossa della sua Driade!

??? Gli furono puntate al petto le canne delle carabine.

??? Allora si gett?? sul giumento che portava la soma funebre, riusc?? ad abbrancarla; e, senza una parola n?? un grido, stramazz?? su quella crivellato dal piombo, su quella spir??, rest??.

??? Vana, Vana, che ti sembra?

Le fanciulle palpitavano, a quell'apparizione ferina dell'amore implacabile, come un roseto all'annunzio dell'uragano, inconsapevoli del loro [382] mistero che portava in s?? tutte le sorti. Ciascuna credeva sentire su la sua morbidezza una mano cruda, ciascuna era una preda e una vittima. E palpitavano, offerte alla passione che doveva devastarle.

Vana disse, alzandosi, con un viso di morta:

??? C'?? un'aria che s??ffoca, qui. Apri una finestra, Simonetta.

L'odore pi?? acuto era quello dei rami di lilla bianchi. Per la finestra aperta apparve un cielo di primavera, verde come l'acquamarina, sparso di bioccoli rosei.

??? Son tornate le rondini! ??? grid?? Simonetta.

??? Dove? dove?

??? Le vedi?

??? N'?? passato un branchetto.

Tutte accorsero, col fremito della primavera nel cuore turbato. Si sporsero dal davanzale, urtando fra loro le falde e le piume dei cappelli.

??? Io non vedo nulla.

Era un tempo umido e dolco. Il calore s'esalava dalle gote accese. Ciascuna sentiva a traverso la gonna le gambe dell'altra.

??? La luna nuova! ??? grid?? Orietta Malispini, come se avesse scoperto un miracolo. ??? ?? a sinistra. Fortuna a tutte!

??? Dov'??? dov'???

Si scorgeva appena, nel cielo verdino, tanto era esigua, simile a un'armilla spezzata.

[383] ??? Ecco le rondini! ??? grid?? Simonetta. ??? Ripassano. Attente!

Allora, spinta dall'onda terribile del suo cuore, anche Vana si sporse insinuando tra quei corpi freschi e sani la sua magrezza cocente, le sue ossa bruciate nelle midolle, come un fastello di stipa tra floridi rami di mandorlo.

??? Le vedo, le vedo ??? disse Adimara.

??? Le vedo ??? disse Novella.

Portavano a loro il messaggio d'oltremare, il messaggio del principe di terra lontana, un'allegrezza affannosa, una nova avidit?? di vivere. Ma per Vana erano come le saette incarnite nella piaga, che a un tratto sieno rimosse; erano come un rincrudimento di supplizio. Per lei non venivano d'oltremare ma dagli stagni di Mantova, dalle crete di Volterra, dal fondo della sua stessa febbre, della sua stessa abominazione. Nessuna melodia poteva sconvolgerla a dentro come quel piccolo strido fuggente. Falde di vita si distaccavano dal passato e le rotolavano su l'anima enormi come valanghe. Ella era quella medesima che, addossata allo stipo della Estense, con la testa appoggiata alle tars??e, aveva sentito il saettamento del volo trafiggerla da tempia a tempia e straziare il cielo che s'invergiliava bianco. ??O rondine, sorella rondine, come pu?? esser pieno di primavera il tuo cuore? Il tuo ?? leggero come la foglia appena nata, il [384] mio ?? in me come un tizzo consunto.... Dove tu voli non ti seguir??, finch?? tu ti rammenti, finch?? io non mi scordi??. Le parole del poeta ritornavano.

E, come se anche un accento della vita lontana con le parole e con le rondini ritornasse, Orietta preg?? cingendole la cintura col braccio e accostandola al suo viso di mammole:

??? Vanina, Vanina, perch?? non ci canti una canzone, prima che ce ne andiamo?

??? Oh, s??, cantaci, cantaci!

Ella scoteva il capo, lasciandosi sorreggere.

??? Una cosa sola!

??? Una cosa breve breve!

??? T'accompagna Novella.

??? Perch?? tuo fratello non ?? venuto?

??? Aveva promesso di venire.

??? S'?? fatto preziosissimo il bell'Aldo.

??? Via, sii buona, Vanina!

??? Una sola cosa!

??? Un piccolo lied di Schumann.

??? Fr??hlingslied, Vanina.

??? Fr??hlingslust, Vanina.

??? Fr??hlingsgruss, Vanina.

??? Fr??hlingsfahrt, Vanina.

??? Fr??hlingsbotschaft, Vanina.

Ella si lasciava sorreggere e sospingere da tutte quelle mani carezzevoli e supplichevoli verso il pianoforte. Tutte quelle bocche di vergini, [385] forse gi?? baciate, forse non baciate anc??ra, le facevano intorno una specie di litania primaverile ripetendo il suo dolce nome accanto alla parola barbarica. Come la voglia di ruzzare era sempre pronta a svegliarsi, la litania divenne un coro bizzarro appoggiato sul frullo della prima sillaba.

??? Fr??hlingsnacht, Vanina.

Ella si lasciava cullare e blandire con un'aria di bambina malata e pietosa di s??, che a un tratto le ammoll?? il viso olivastro. Pareva dicesse: ??Tenetemi cos??, non mi lasciate pi?? andare, cullatemi finch?? questo male non mi lasci, finch?? io non ridivenga fresca come voi, finch?? io non vi rassomigli!??

??? Novella, siediti.

Esse ora si agitavano, intorno alla lunga coda del pianoforte di lacca bianca su cui erano dipinti leggeri festoni di edera legati con nodi d'oro. Sfogliavano i quaderni delle canzoni, cercavano.

??? Questa.

??? No, questa.

??? Questa e pi?? appassionata.

??? Questa ?? pi?? triste.

??? Oh questa quanto mi piace!

??? Non ho voce oggi ??? diceva la cantatrice, con un languore compiacente, mentre le dita di Novella scorrevano su la tastiera intente a [386] legare, ad annodare le note con la stessa grazia ond'ella usava in continui gesti toccare s?? stessa.

??? Canta sottovoce.

Tutte tacquero, percorse da un lieve fremito, quando videro disegnarsi in lei l'attitudine nota, quando la videro intessere le mani dietro il dorso, portare il peso del corpo su la gamba destra, avanzare un poco la sinistra, piegare appena il ginocchio, sollevare lo scarno viso da cui il canto sembrava erompere come la polla che balza pi?? in alto quanto pi?? ?? costretta. ??Ueber'm Garten....??

Fievoli furono le prime note, come un'esca che con pena s'accenda. Poi subitamente la voce divamp??, tutto il petto ne arse. Il canto fu come la sonorit?? stessa dell'anima palesata fuori della bocca dolorosa. Ella cantava come se cantasse per l'ultima volta, come se si accomiatasse da quella corona di giovinezze e dalla sua propria giovinezza abbrancata dal destino. Cantava come la martire prima del supplizio, come quella a cui l'aveva assomigliata il fratello, prima d'esser legata alla ruota lacerante. Diceva addio alle sue eguali, addio alla dolce vita, addio alla primavera ricondotta nel cielo dalle rondini. Diceva: ??Vedete come sono! Sono come voi, sono giovinetta come voi: quando eravate nella vostra culla, anch'io ero nella mia. Mia madre era dolce per me. Siamo cresciute insieme, [387] abbiamo mescolato i nostri giuochi, i nostri gridi, le nostre risa, anche i nostri pianti. Vedete com'?? puro il bianco dei miei occhi, come i capelli son fitti intorno alla mia fronte, su la mia nuca! Una purit?? era in me, una forza era in me, tutt'e due grandi. Questa voce era in me per cantare alla vita la mia melodia. Vedete come sono! Intatta. Nessuno mi ha toccata anc??ra, nessuno mi ha baciata. Non ho avuta la mia parte n?? d'amore n?? di gioia. Quando m'inginocchiavo davanti a Lunella per chiedergli una delle sue imagini bianche, mi sentivo simile a lei. E una cosa orribile fu svelata a me che non ero se non una creatura ignara e inoffensiva. Qualcuno m'ha afferrata per i capelli, e mi ha sbattuta, e mi ha costretta a guardare quel che non si pu?? guardare senza perdere le palpebre, senza che gli occhi rimangano nudi per sempre. Vedete come sono! Sono come voi, e non saprete mai tutte insieme, se vivrete cent'anni, tante cose quante io ne ho sapute in un giorno, in una notte, in un'ora, in un attimo. Uno sguardo mi ha maturata, una parola mi ha invecchiata, un silenzio mi ha fatta decrepita. Non sono pi?? buona a vivere. Quando scender?? le scale, non sapr?? dove andr??, quel che far??. Vorrei cantare cos?? forte che la grande vena mi scoppiasse e io cadessi tra le vostre braccia e fossi portata [388] da voi l?? sopra il letto bianco di Simonetta, e ricoperta di questi fiori; perch?? c'?? un male in me, che non mi perdona, e non so quel che io far?? ma so che non potr?? fare se non qualcosa di male. Non mi lasciate al mio demonio! Perch??, perch?? m'avete raccontata la vendetta del pastore? Come l'invidio! Non soffre pi??. Non ha lasciato nulla del suo amore e del suo furore in terra, null'altro che un po' di cenere. Non soffre pi??. ?? in pace. Vedete come sono! E forse io canto come lui per l'ultima volta, intorno a un fuoco spaventoso. Ah, non mi lasciate uscire di qui, non mi lasciate tornare in quella casa, dove tutto brucia, tutto avvelena, tutto macchia. Tenetemi con voi, tra queste cose bianche. Credevo che non ce ne fossero pi??, nel mondo. Circondatemi come dianzi, serratemi in mezzo a voi, rifatemi quale ero, fate che io non sappia quello che so, toglietemi dall'orrore! Se mi lasciate andare, non mi vedrete pi??. Se me ne vado, qualcosa di male accadr??. Debbo dirvi addio? Vi do questo canto come il commiato? Ah, e sono come voi tanto giovine, e nessuno m'ha toccata anc??ra, e avrei potuto essere tanto dolce, tanto fedele; e ho baciato il mio amore una sola volta, ma su la mano, ma nel buio di sotterra....?? Altre parole correvano nel suo canto, queste erano dentro di lei, da lei non dette n?? udite: queste erano [389] il silenzio in cui risonava il suo canto, erano lo spirito delle Pause. E inconsapevolmente le ascoltatrici commosse lo respiravano.

Non pi?? esse chiedevano, non pi?? sceglievano le canzoni. Ella medesima sfogliava con la mano febrile il quaderno sospeso su la tastiera, indicava a Novella la pagina, senza intervallo passava da un grido di amore a un grido di dolore, da un anelito per la vita a una invocazione della morte. Esse tutte s'abbandonavano al rapimento, si protendevano verso la potenza, in attitudini che sembravano palesare il rilievo della loro verit?? nascosto fino a quel punto dalla grazia fallace. Poggiavano la gota su la palma, il cubito sul ginocchio, annodavano le due mani e le ponevano presso il mento, col gesto di chi supplica, rovesciavano in dietro il capo e schiudevano all'aria le labbra come chi ha il petto scavato dall'ambascia. I loro volti erano mutati, come spogli di ci?? che li adornava, non ricchi se non di ci?? che esprimevano: volti di angeli neutri, sospesi tra l'inquietudine della lor natura incompiuta e la divinazione di tutte le possibilit??. Sentivano esse in confuso che quella voce era la voce d'una vita simile alla loro ma giunta con uno sforzo di pena in un cammino ignoto al culmine dell'erta per ove esse salivano e tentata di precipitarsi dalla parte dell'ombra. Sentivano in confuso [390] lo strazio del commiato, alenando nel silenzio delle parole non dette. E quell'oceano amaro che ondeggia in tutte le creature viventi fra culla e tomba e in tutte s'adegua all'altezza del ciglio, lo sentivano presso a traboccare, e lo contenevano.

Ma la cantatrice volt?? la pagina con un atto quasi rude; e, come la pagina si rialzava, la calc?? sul quaderno col pollice prono. Disse:

??? L'ultima.

Un poco si scroll??, inarcando le reni: parve pi?? diritta. S'asciug?? col fazzoletto la bocca ch'era ardente come quella ove schiuma l'ansia sibillina dei vaticinii. Poi riprese la sua attitudine. S'era fatta l'ombra nella stanza. Le candele del legg??o la rischiaravano sotto il mento. Un gran ramo bianco di lilla, alzato da un lungo stelo di vetro opalino, le sovrastava come il gonfalone della sua primavera. La sua persona pareva la figura inversa dell'arte di Lunella, nera sul bianco della cassa armonica. Tali la videro le eguali, per non pi?? dimenticarla.

E l'ultima canzone fu la pi?? breve: una melodia composta su le piccole parole d'un grande dolore, larga e grave come un corale; la cui brevit?? pareva prolungarsi in una infinita eco. ??Anfangs wollt' ich fast verzagen....??

??Ah, ma solamente non mi domandate come, non mi domandate come!?? diceva anche il silenzio delle Pause.

[391] Tutte erano fise in lei. Ed ella, che fino a quel punto aveva fisato il suo demonio, le guard??; a una a una le guard??, lasci?? impressa in ciascuna la sua imagine. E un lieve tremito sal?? nella sua voce. ??Aber fragt mich nur nicht wie....??

Allora il pianto trabocc??, all'improvviso, perch?? il pianto era gi?? all'altezza del ciglio. Fu Adimara quella che prima pianse; e la seconda fu Simonetta; e le altre s??bito s'abbandonarono. E l'ultima nota rest?? nella gola formata dal groppo, perch?? un singhiozzo soffocato aveva rotto il silenzio delle lacrime. E tutte allora si levarono e s'appressarono a Vana, e la strinsero, e piansero sopra di lei; e non sapevano perch?? piangessero.

??? Vanina, Vanina, perch?? ci fai piangere?

Ella sent?? che l'abbandonavano, che il commiato era dato, che ciascuna aveva le sue forze e le sue sorti, che laggi?? c'era una scala da scendere, poi c'era la strada, la casa, la notte ignota.

??? Perfino tu, Dolly! ??? fece Orietta Malispini asciugandosi la gota presso quell'altro suo viso di mammole gi?? affloscite.

??? Oh, io no ??? disse Dorothy Hamilton voltandosi per accendere la sigaretta a una candela del legg??o ove la pagina dell'ultima canzone portava il segno del pollice che l'aveva calcata. ??? ?? tardi, vergini folli, ?? tardi. E certo io sar?? tanto [392] picchiata che il mio naso diventer?? camuso o aquilino, con grande rammarico del mio flebile Willie Willow. Dovevo scortare a pranzo le famose spalle della genitrice, dagli Aieta!

??? E io in Casa Rucellai per le otto! ??? disse Novella Aldobrandeschi riprendendo i guanti e il manicotto frettolosa.

E ciascuna allora si ricord?? della sua sera.

??? Addio, Simonetta.

??? Addio, amore.

??? Grazie anc??ra dei tuoi giacinti, Mara. Grazie delle tue orchidee, Novella.

??? Scendi con noi, Vanina?

??? Io ho gi?? la mia Fra??lein che m'aspetta in vettura dalle sei!

??? Andiamo, andiamo.

Si baciavano, si scontravano urtandosi con le falde dei cappelli o ritraevano vivamente le mani per non incrociarle; e ridevano, con le ciglia anc??ra umide.

??? Addio, Simonetta ??? disse anche Vana all'ospite abbracciandola.

La fulva faunella coronata di pino ruppe un rametto di lilla, lo mise nella mano della cantatrice e su la mano pos?? le labbra, con una gentilezza infantile.

??? Baciami Isa; e sgridami Aldo.

Gi?? per le scale, Adimara tenne il braccio di Vana che portava il rametto. Sul lastrico umido [393] i cavalli delle carrozze scalpitavano, gli sportelli sbattevano chiudendosi; sonavano gli ultimi saluti. E tutta quella giovinezza inquieta si sparpagli?? per vie diverse, nella sera di marzo che anch'essa piangeva di gocciole e rideva di stelle.

 

??? Vana! Sei tu?

Ella sobbalz??, pel corridoio scuro. Era la voce d'Isabella che l'aveva udita passare nell'aprir l'uscio della stanza. Entrambe ora nel sorvegliarsi avevano acquistata una strana acuit??. A vicenda, prima di udire, prima di vedere, si sentivano.

??? Dove vai?

??? Esco.

??? Prendi con te Lunella?

??? No.

??? La prender?? io.

??? Vado da Simonetta.

??? Entra un momento. C'?? Aldo.

Dall'interno della stanza la voce del fratello disse:

??? Mor??ccica, ho incontrato Adimara stamani. Ho saputo che ieri la festa delle compiute donzelle and?? a finire in lacrime. Cantasti, sembra, con la pi?? straziante soavit??.

Ella contrasse i muscoli del sorriso, apparendo [394] su la soglia. Aldo era disteso sul divano. La sensazione d'inesistenza e di lontananza, in cui ella da qualche tempo si smarriva cos?? spesso, le si rinnov??. Le parve che quelle parole in quei modi non appartenessero a quegli che pure le aveva proferite. Ella lo vedeva l??, in un'attitudine pigra, ma guardingo, ritenuto, col suo segreto ben chiuso nella sua fronte luminosa. Di lui tuttavia non udiva se non la voce che aveva risonato laggi??, tra il fumo dei bulicami, su la ripa maledetta; di lui non vedeva se non l'aspetto ch'ella gli aveva veduto laggi??, oltrepassata la piccola porta di pietra carica di nera edera, contro il muro diruto dell'abside scoperchiata, sotto la torre mozza, fra le macerie ancor calde del vampo canicolare, in una sera di demenza.

??? Parlavamo dello Sciacallo ??? disse Isabella.

Con quel nome sinistro ella designava la matrigna, la seconda moglie di Curzio Lunati.

??? Non lascia mai di darmi fastidio, quando sono qui. Mi pento di esser venuta via da Roma. Passa la sua vita a congiurare contro di noi, da quella cameriera licenziata che ??. E tutte le cattiv??rie che mi fa mio padre, sono aizzate da lei.

Vana non udiva se non a intervalli, come a traverso una porta che si aprisse e si richiudesse di continuo. La sorella camminava su [395] e gi?? per la stanza discorrendo. E ogni movimento di lei la urtava nel fianco, la urtava nel petto, la urtava nel mezzo del viso come il pugno brutale d'un avversario accanito.

??? Sai? ??? disse quella soffermandosi e guardandola, con qualcosa di falso e d'ambiguo e di sforzato nelle labbra e nello sguardo. ??? Sai l'ultima? Mi rimproverano che io ti permetta di uscire sola!

??? Ah ??? fece Vana; e non pot?? parlare, soffocata dall'odio, dubitando della verit?? di quel biasimo, giudicandolo un assaggio scaltro, presentendo un tentativo insidioso.

L'altra parve divinare l'insurrezione ostile, perch?? soggiunse:

??? Naturalmente, ne ho riso.

E ricominci?? a camminare su e gi?? per la stanza con quel passo ondeggiante, con quel gioco dei ginocchi, con quella maniera di soppesare il suo corpo su i suoi malleoli come uno che soppesi nella mano una cosa d'inestimabile pregio e ve la ponga sotto gli occhi ostinatamente per forzarvi a una perpetua maraviglia, a una perpetua cupidigia. Lo sguardo del fratello seguiva ogni movenza, di sotto alle palpebre socchiuse nell'occhiaia turchiniccia e cava.

??? Vado ??? disse Vana voltandosi verso l'uscio, non sostenendo l'orrore delle visioni. ??? Sono aspettata.

[396] Usc?? come di fuga. Di fuga travers?? il corridoio, l'anticamera; scese la scala, per l'androne si trov?? all'aria aperta, sul lastrico. Respir?? come per sentire che i suoi polmoni erano anc??ra dentro le sue costole, che la sua vita le apparteneva anc??ra. And?? diritta innanzi a s??, provando sotto i suoi tacchi la via dura, con la fronte corrugata quasi a serrare fra ciglio e ciglio la sua volont?? angusta e aguzza, piantata l?? come un cuneo. Non guardava n?? a destra n?? a manca, ma costantemente innanzi a s??, cercando di non vedere i passanti, risoluta a non arrestarsi anche se l'avversit?? del caso la portasse all'incontro d'una persona familiare. N?? guardava dentro di s??; perch?? voleva sfuggire alla riflessione, all'esitazione, all'abominazione del suo atto. Pensava soltanto: ??M'aspetta. ?? l'ora. Debbo andare. Vado??. Riconobbe l'imboccatura della via. L'odore delle roselline, che imbiancavano i cancelli d'un giardino, le fece mancare il cuore. Sent?? sopra di s?? il pianto che avevano pianto le sue eguali. ??Chi m'ha fatta cos??? chi m'ha fatta cos?????

La porta era l??. Si volse, gitt?? un'occhiata da un capo all'altro della via ch'era quasi deserta. Entr??.

Paolo Tarsis l'aspettava. La condusse in una larga stanza, scura di legni e di cuoi, dove il fuoco ardeva in un caminetto rivestito di [397] rame rosso. Egli non dissimulava la sua ansiet??.

??? Che accade? ??? le chiese, prima ch'ella si sedesse, prima ch'ella sollevasse il suo velo.

Allora ella si sent?? perduta. Tutto il coraggio le si dilegu??, il cuneo della volont?? cadde come una forcina poteva caderle dai capelli, come una cosa da nulla. Di tutta la sua forza non le rimase se non un orribile tremol??o nello stomaco vuoto e un'amarezza intollerabile nella bocca.

??? Datemi da bere ??? ella disse.

??? T???

??? No, acqua.

Strane imagini le balenavano, strani ricordi; e la prendeva una smania bizzarra di divagare, di dire cose incoerenti e inattese. Ripensava a quel ch'egli aveva detto un giorno del cibo agglomerato nel gozzo dell'avvoltoio, che il rapace vomita quando ?? assalito dal nemico, prima di spiccare il volo. Perch?? ci ripensava? Guard?? intorno smarritamente. Vide su le pareti stampe e disegni che rappresentavano la struttura dei volatori di grande specie. Riconobbe sopra una tavola ingombra di libri e di carte il ritratto di Giulio Cambiaso in una cornice d'ebano. S'appress??, si chin?? a guardare, col petto in tumulto. Nell'effigie muta e immobile sotto il cristallo, vide dischiudersi il [398] sorriso su i piccoli denti di fanciullo. ??S'egli ora fosse vivo, la mia sorte sarebbe diversa???

??? Forse egli mi manda ??? disse, e s??bito si pent?? d'aver detto.

Guard?? rapidamente Paolo e vide con terrore ch'egli era gi?? convulso nell'aspettazione.

??? Sedete qui, Vana, sedete.

??? Qualcuno m'avr?? veduta entrare? ??? disse ella, avvicinandosi a una finestra, con un accento singolare di donna prudente, come se quello fosse un colloquio d'amore colpevole.

??? No, non temete. Di rado passa qualcuno per qui.

??? E se Isabella m'avesse seguita o m'avesse fatta seguire?

??? Non pensate a questo.

??? Ma non potrebbe arrivare qui all'improvviso?

??? Non potrebbe.

??? Perch??? Oggi non dovete vederla?

??? S??, debbo vederla, pi?? tardi.

??? Qui?

??? Ma perch?? mi domandate questo, Vana?

??? So dove, so dove.

??? Che avete oggi? Non siete buona.

??? Non sono buona. Non sono venuta qui per essere buona.

??? Ma sedete, ma parlate dunque!

??? Voglio andar via. Lasciatemi andare. Non dir?? nulla.

[399] Per la prima volta egli la vedeva di contro a s?? cos?? aspra e selvaggia. Ella aveva parlato come in uno scoppio d'ira. Il viso di lei era come il viso della creatura che del suo cuore ha fatto una selce da scagliare in faccia al destino.

??? Per questo egli vi manda? ??? disse Paolo dominando la sua impazienza spasimosa.

??? Chi, egli?

Lo sguardo di lui segn?? l'imagine del compagno solo nella custodia di lutto.

??? Ah, la fidanzata ??? proruppe ella con una voce che era stridula come un'irrisione maligna ??? la fidanzata dell'Ombra! Non sono se non quella, per voi. Ogni volta che vi vedo, ogni volta che vi parlo, sempre sono quella? M'avete esclusa dalla vita, m'avete messa a fianco del morto che v'?? caro, avete posto una pietra anche sopra di me che pure ero viva, avevo un'anima, avevo una forza e una purit?? e un orgoglio da portare su qualche cima. M'avete esclusa dalla vita di sangue e di luce, per non lasciarmi vivere se non nel silenzio funebre.... Ah, mi ricordo, mi ricordo delle vostre parole l?? su la strada di Volterra; mi ricordo come m'avete discostata da voi, con quanta dolcezza. Desideraste che io divenissi un sorriso, che io fossi la memoria immobile di un sorriso.... Forse diventer??, forse sar??; gi?? sono. Gi?? riesco [400] a simulare un sorriso che vidi scolpito in un sasso che un giorno era stato un uomo, laggi??, alla Badia, su le Balze, la sera in cui il mio male era pi?? grande della voragine. Dianzi ho sorriso cos??, davanti a mia sorella, a mio fratello.... Mi avete esclusa, mi avete sepolta, e la vita si vendica su me, su voi, su quella che vi tiene, su tutti i miei carnefici. Tutto ?? impuro e tutto si corrompe.

Una ribellione indomabile fiammeggiava nello stretto viso senza carne. Ella pose le sue dita intorno al suo collo perch?? la sua anima la strangolava. Si tolse i lunghi spilli dal cappello col gesto violento di chi sguaina il pugnale. Si scopr?? il capo come gi?? quella sera su l'orlo dell'abisso. Ma ora il fascino della perdizione era ben pi?? letale, e nessuno le impediva di gettarvisi.

??? Di che m'accusate? ??? disse Paolo Tarsis sconvolto dinanzi a quell'energia minacciosa. ??? Di avervi tenuta alta su l'altare d'una memoria? di avervi serbata in me quale voi stessa voleste essere?

??? Non accuso, non accuso. Grido, perch?? tutte le mie ossa gridano come su la ruota, perch?? non m'?? rimasta se non questa forza di gridare e bisogna che l'esaurisca per annientarmi. Non so perch??, dianzi, mi sia venuto in mente quel che una sera diceste dell'avvoltoio che [401] rigetta il suo cibo orribile, quando ?? assalito, e quando ?? ferito a morte, e dopo che ?? spirato anche. L'odore atroce fa impallidire e mancare chiunque gli s'avvicini. Non so perch?? mi sia venuto in mente questo, non so. Ma io ho tanta ignominia sul cuore, ho tanta abominazione dentro di me che non posso pi?? reggerla. L'altare! Io su l'altare! Ma chi mai fu profanata, fu bruttata pi?? di me? A Volterra, in un piccolo oratorio di campagna, c'?? quell'Imagine che porta i segni delle tre pietre scagliate dal viandante malvagio. Era il mio rifugio, era il luogo del mio v??to. Ma dov'?? il miracolo? E che cosa pu?? mai l'amore, se il mio amore non ha potuto nulla?

??? E che mai avrei potuto io? che posso io per voi?

??? Che mai, se non m'amate, se amate l'altra? Nulla, certo. Volete ragionare? volete persuadermi che non avete nessuna colpa? Ma io non accuso, e forse neppure comprendo. Ve l'ho detto: mi sfogo, grido. Fate conto d'aver ferito l'avvoltoio e di dover sopportare l'agonia orribile. Non mi ribello contro di voi; finisco come vuole la mia sorte. Tre indugi sono concessi, tre avvertimenti, tre prove, a qualunque scellerato. Dopo la terza volta, la tolleranza ha termine. Questa ?? la mia terza volta. Tolleratemi anc??ra. Pensate anc??ra per [402] un momento che sono viva, che sono una creatura di carne e d'anima, che sono una pena respirante. ??Bisogna dar tutto?? comanda una parola divina. Io ho dato tutto. Non chiedo nulla in cambio; ma mi sia concesso di testimoniare che ho dato tutto, prima di andarmene. La prima volta, su la brughiera, non parlai del mio amore; piansi soltanto. La seconda volta, su la strada fangosa di Volterra, parlai; e mi fu risposto. Questa ?? la terza. Invoco forse un diritto? No; la tolleranza che si concede al pi?? miserabile. Tento d'imporvi la mia pena? No. Voi siete estraneo, incolpevole: amate l'altra. Ma, giacch?? professate il culto delle memorie, umilmente vi domando di ricordarvi che un giorno, un giorno omai troppo remoto, voi veniste incontro al mio amore, voi lo prendeste per la mano e lo avvicinaste a voi.... Oh, lo so, lo so: non fu se non un gesto interrotto.

??? Chi pu?? rintracciare il valore d'un gesto, d'una parola, d'un silenzio?

??? Non accuso. Invoco l'indulgenza, cerco di farmi perdonare l'ostinazione. Tutto pu?? esser dato, qualche volta, per rintracciare il valore d'un gesto, d'una parola, d'un silenzio. Lasciatemi parlare del mio amore!

Ben era viva, uno stretto nesso di vita ella era, un tenace nodo di potenza; e la massa della sua chioma piantata intorno alla sua fronte [403] era come quel torsello che ?? imposto al capo il qual debba sollevare grande peso.

??? Non temo di mostrarvi la mia verit??. A chi mi confesser?? se non a colui che amo? Questo ?? un sacramento. ??Che cosa hai tu fatto dell'anima tua??? E bisogna rispondere. Non si perdona a chi abbia vissuto invano. Io ho dato tutto. La mia anima disperata io l'ho sostenuta con la speranza, per l'amore dell'amore. Udite questo. La notte che segu?? il vostro arrivo a Volterra, io e mia sorella fummo l'una di fronte all'altra, cos?? come nostra madre ci fece, senza freno e senza maschera. Ella era smarrita, ella era atterrita dinanzi a quel che il mio cuore poteva. Tre volte, disse: ??Fa dunque ch'egli t'ami??. Era una sfida superba? La raccolsi? M'illusi di poter vincere? E che ho mai fatto io per vincere? di quali seduzioni mi sono armata? Udite questo anc??ra. Quella notte, nel combattimento, ella mi domand??: ??Credi tu che l'ami di pi????? Io risposi: ??Non di pi??. L'amo io sola??. Avevo gi?? guardato la morte, mi ero gi?? inclinata verso l'abisso. E volli vivere. Non io volli vivere, ma il mio amore volle vivere in me. Non ero nata se non per portarlo. Tutto in me, dalla fronte al piede, era congegnato per portarlo. E che cosa ho io fatto per attirarvi a me? Vi dissi addio, laggi??, su gli stagni bollenti. E fino a oggi son rimasta distante come [404] chi ha detto addio. Ma in certi giorni ho conosciuto la santit?? di ardere, d'essere sola e di ardere per ardere. Qualcuno ha detto che la fiamma ?? di natura animale. Ah, come l'ho compreso, come l'ho sentito! Giorni d'ardore, senz'altro sollievo che il sospiro; giorni d'olocausto, in cui nulla avanzava non consumato....

Egli temeva di guardarla. Teneva il suo capo fra le palme, e guardava il fuoco semispento nel camino.

??? Potevo io vincere? Quella notte ella aveva detto: ??L'amore pi?? forte non ?? quello che vince??? Ah, non ?? vero. Ho dato tutto, per saper questo! Ella aveva detto a disfida: ??Egli ?? folle di me.?? S??, una cosa torbida e trista vi rendeva folle, vi rende folle. Vi amavo io sola, vi amo io sola. Ma non avevate occhi per me, come ora; non per me, non per l'inganno....

Egli si volse di s??bito. Ella s'arrest??, si smarr??. E sul pallore e sul silenzio parve balenare un gran baleno.

Egli la guard??, la consider??, con quel modo ch'egli aveva di prendere la materia umana e di porla davanti a s?? e di dominarla. La parola poteva essere una rivelazione e poteva essere un trascorso, poteva valere e poteva non valere; ma egli riconobbe nell'aspetto di lei quel che era la volont?? prima, quel che era la cagione della visita segreta, del colloquio richiesto. [405] Tenne afferrata la realt?? per non pi?? lasciarla: la sorella era venuta per accusare la sorella. Ma egli stesso fu afferrato da una tanaglia che non pi?? lo lent??. Tutto il resto van??, fu abolito. Il martirio confessato di quella creatura non valse pi?? del tizzo semispento su gli alari. L'istinto ferino del maschio s'impadron?? di quell'uomo attossicato. Vana credette che le pupille chiare di una fiera nascosta la spiassero di sotto a quelle palpebre umane.

Egli si conteneva, per non sbigottirla. Ella aveva perduto il suo coraggio ostile, il vigore della rampogna. Era omai allo sbaraglio, non buona se non a divincolarsi.

??? Continuate, Vana ??? egli disse, con la voce sommessa, per menomarne il tremito.

??? Non so pi??.

??? Una reticenza? Vi disonora.

??? Perch??? Che ho detto?

??? Avete parlato d'inganno.

??? Di quale inganno?

Ella balbettava, sempre pi?? smarrita sotto le pupille chiare di quella fiera nascosta. Egli si lev??, di scatto; le prese le mani. Non le strinse, non le scosse; ma tutta la persona di lui spirava tanta violenza ch'ella si sent?? come stritolare.

??? Parlate, Vana. Bisogna.

??? Ah, non fate di me qualcosa di male!

[406] ??? Perch?? dunque siete venuta?

??? Perch?? anch'io sono folle.

??? Non vi schermite, non vi schermite. Non l'avete gi?? detto?

??? Che ho detto?

??? Non siete venuta per provarmi che mi amate voi sola?

Egli parlava a bassa voce, tenendole le mani ch'erano fredde e umidicce, guardandola da presso. Ed ella vide uscire da quelle labbra le parole ultime, le sent?? scendere nel pi?? profondo di s??, come un sorso inatteso d'ebrezza.

??? S??, io sola ??? rispose, invasa da un languore mortale.

Egli omai l'aveva in suo potere. L'istinto ferino gli suggeriva l'astuzia. Tutto poteva egli trarre da quel turbamento. Egli diede un ardore ambiguo alla sua voce, per turbarla pi?? a dentro; intrecci?? le sue dita alle dita di lei, per meglio tenerla; accost?? ancor pi?? il suo viso, abbass?? ancor pi?? la sua voce, per creare il cerchio del segreto.

??? Voi sola, voi sola.

??? S??, io sola.

Ella vacill??, ch?? le giunture le si scioglievano. Egli la sospinse, lasci?? ch'ella sedesse; si chin??, le s'inginocchi?? ai piedi. Ella era come in una intermittenza di sogno e di veglia, era [407] come chi si assopisce in viaggio e a ogni sobbalzo del legno si scrolla e si ridesta.

??? Ditemi, ditemi, Vana.

??? Non ?? male, non ?? male?

??? No, non esitate. La sorte vi manda a slegarmi.

??? Ah, troppo l'amate!

??? Non ?? pi?? l'amore.

??? Mai nessun dubbio?

Un gran sussulto la scosse.

??? No, no. ?? orribile. Come pu?? esser vero? Come si pu?? far questo?

Ella spalanc?? gli occhi. Vide ai suoi piedi un'angoscia bianca come un pannolino attorto e spremuto da due pugna rudi.

??? Dite, Vana, dite!

Egli sentiva le mani di lei divenir sempre pi?? gelide e madide.

??? Giuratemi ??? supplic?? ella nell'orrore ??? giuratemi che, quando saprete, non farete nulla contro di lei, nulla contro nessuno.

??? S??.

??? Giuratemi che stasera non la vedrete, che non cercherete pi?? di vederla, che andrete lontano....

??? S??, s??.

??? .... che non cercherete di lui n?? ora n?? mai.

Egli aveva la lingua arida come una scheggia di esca; era tutto disseccato, dalle labbra ai precordii.

[408] ??? Lui ??? accenn?? con la convulsione delle labbra ??? lui....

??? No. ?? orribile. ?? la cosa mostruosa....

??? Aldo?

Ed ella gli s'abbatt?? su la spalla. Egli la respinse, balz?? in piedi. E per qualche attimo tutta la sua vita gir?? e romb?? come una fionda intorno al suo capo in fiamme.

Quasi in un sogno cupo rotto dai sobbalzi delle ossa ma con un languore d'amante pur sotto l'orrore, ma con un abbandono avido al potere che l'avviluppava, ma col presentimento d'una mutazione miracolosa che fosse per compiersi, ella era discesa a quel punto. ??Non ?? pi?? l'amore?? egli le aveva detto. Nel tumulto e nell'oscurit??, uno spirito d'ingenua giovinezza ancor superstite in fondo all'abominazione aveva risposto: ??Ecco, ti slego. Ecco, sei libero. T'eri gi?? volto verso di me; ora ritorni a me, ora mi riconosci. Forse m'amavi gi??, forse non hai mai cessato d'amarmi. Quell'altra cosa torbida e trista non pi?? ti tiene, non pi?? t'infetta. E, se io metto le dita su le tue tempie, nulla pi?? rimane in te, neppure il disgusto, neppure il dispregio. Ti guarisco, ti consolo, ti rinnovo. Non so se sei tu che mi porti via, che mi porti lontano, o se sono io che ti rapisco, che ti nascondo. Di tutte le rive, di tutte le isole che tu hai dentro gli occhi, qual'?? la pi?? lontana, [409] qual'?? la pi?? bella??? Come nella notte di Volterra, l'amato le era apparso vittima di un sortilegio, prigioniero d'un malefizio, che da lei attendesse la liberazione. Egli aveva detto: ??La sorte vi manda a slegarmi??. Non aveva ripetuto: ??Egli vi manda??. Aveva scoperchiato la tomba, aveva tolto alfine di sopra lei la pietra sepolcrale.

Con che crudezza, a un tratto, la respingeva! Rovesciata dall'urto violento, ella era rimasta su la spalliera come una cosa vile e inutile, come lo straccio strofinato nella bruttura e gittato via. Ma sentiva l'aria della stanza occupata da una enormit?? di furore e di dolore spaventosa. E, caduto il f??scino, al suo accorgimento feminino gli atti e i detti di lui apparivano quali erano: un gioco perfido per indurla alla rivelazione, senza piet??, senza bont??, senza promessa. Ella si raddrizz??, come se l'odio e l'orgoglio le risaldassero le vertebre della schiena. Si raddrizz??; e con gli occhi sbarrati guard?? la passione dell'uomo, lo spasimo della bestia.

Era come se invisibili branche, se invisibili zanne fossero conficcate in quella dura carne, sin l?? dove la natura ha nascosto le fibre del dolore disumano. Era come una lacerazione incruenta che mettesse a nudo quanto di pi?? occulto ?? nell'opaca massa destinata a fallire a patire e a ricordarsi.

[410] Tanto l'amava? Tanto a dentro egli l'aveva lasciata penetrare nella radice della sua vita? Chi mai poteva estirparla?

Egli si riavvicin??, con qualcosa di feroce in tutto l'aspetto, tendendosi verso la creatura gi?? in piedi e in arme.

??? Non mi toccate ??? grid?? in lei d'improvviso l'istinto.

Egli ritrasse la mano. Roca era la sua voce.

??? Non vi tocco. Ma parlate!

??? Di che?

??? Come avete scoperta l'infamia?

Di nuovo l'energia ribelle fiammeggiava nello stretto viso senza sangue. Nessuno aveva piet?? di lei; ella non aveva piet?? di nessuno.

??? Non c'?? un destino che sempre mi conduce a vedere quel che non dev'essere veduto? Voi ne sapete qualcosa.

??? Avete veduto?

??? Ho divinato, ho veduto, ho udito.

??? Che cosa?

??? Non mi toccate! ??? grid?? ella anc??ra, indietreggiando, con una selvaggia repulsione di tutto il suo essere.

Certo, nel martirio della sua scienza, non aveva veduto nulla di pi?? crudo; fra tutte le miserie, fra tutte le ignominie nessuna pi?? atroce di quella che si rivelava nella convulsione di quella faccia ch'ella aveva amata, in cui ella [411] aveva adunata tutta la luce della vita. In verit??, in verit??, omai ella poteva ripetere la parola divina: ???? compiuto??; e nessun'altra.

??? Che cosa? ??? ripet?? egli sordamente.

Ella non rispondeva. Era pi?? facile trarre una voce da quella parete, da quel legno, da una qualunque di quelle forme angolose e scure sparse intorno come massi d'inimicizia, che disuggellare quelle labbra. Ella si rimetteva il cappello, il velo, senza fretta e senza fiacchezza. Egli aveva ripreso a vagare per la stanza, serrato dalle branche e dalle zanne invisibili. Ritorn?? verso di lei; le mostr?? di nuovo quella faccia che pareva fosse stata ficcata nel pi?? turpe fango umano e poi risollevata tutta contraffatta e lorda.

??? Da quanto dura? ??? chiese con la voce brutale.

Ella non rispose.

??? Andatevene, dunque, andatevene! ??? proruppe egli, forsennato, non respirando che l'ingiuria e la violenza.

Ella gitt?? un rapido sguardo all'imagine chiusa nella custodia di lutto; abbass?? il velo; and?? verso l'uscio, l'apr?? ella medesima. Egli la richiam??.

??? Vana!

Ella non si volse, travers?? l'andito. Un domestico la precedeva per accompagnarla fino [412] alla scala. Ella aveva il passo fermo, un rigore quasi lapideo in tutta la persona, una tesa volont?? di ripulsa, come per rendersi intangibile; poich?? pensava che una mano potesse a un tratto prenderla per la spalla e trattenerla. Si ritrov?? sul lastrico. ???? compiuto??.

Cammin?? diritta lungo il muro; rasent?? anc??ra i cancelli carichi di roselline. ??Sono gialle?? not??. Senza soffermarsi ne colse una che pendeva all'altezza della sua mano: era sfiorita; si sfogli?? subito. Le pareva di sorridere, ma veramente non sorrideva. ??Viviano, Viviano,?? pens?? ??credevo che t'avrei riveduto, credevo che l'ultimo saluto sarebbe stato per te, buon compagno??.

Rasentando un muro scrostato su cui scorreva la sua propria ombra, ella rivide la larva smorticcia quale erale apparsa laggi??, alla Badia, uscente dalla parete come una di quelle figure estinte che l'intonaco ancor serra presso il grande cavallo bianco. ??Un sorriso in una pietra. Chi sa che cosa anche tu avevi scoperto nella vita! Ma tu sei senza et??! Io ho vent'anni; e so troppe cose. Tu sei impietrato, sei scolpito, non ti muti pi??. La bestia orribile non si affaccer?? all'improvviso fra la tua fronte e la tua gola??. Ella batteva le palpebre come per cacciare l'imagine della faccia bestiale, dianzi veduta tra la fronte e la gola, del suo [413] amore; che di continuo le si riformava in fondo alla pupilla. Quella anc??ra la sconvolgeva, la inorridiva. Ma, se fosse riuscita a cancellarla, le sarebbe quasi parso di non soffrir pi??; perch?? in quel punto aveva l'illusione d'essersi liberata da tutto il resto. Era come se le avessero capovolta l'anima, come se fossero andate al fondo tutte le cose infeste che la strangolavano e fosse venuta nel luogo loro una parte preservata e lontana ove non aliasse se non l'aura dell'estrema pace. ??Tutto ?? compiuto. Tutto ?? consumato??.

Su una piccola piazza vide un cavallo bianco attaccato a una vettura publica. Era d'un bianco qua e l?? giallastro, con la testa bassa tra due gran paraocchi, con un'aria stanca e triste su le sue gambe arcate.

??? Vuole? ??? domand?? il cocchiere, rubicondo e lustro.

Ella mise il piede sul predellino.

??? Dove La porto?

Ella voleva rispondere: ??Alla Badia??. Diede l'indirizzo di Simonetta Cesi. Il cavallo bianco trotterellava zoppicando; e la sua lunga schiena stecchita s'abbassava verso la spalla sinistra, a stratte. Per non guardarla, Vana alz?? gli occhi: vide il sole roseo sul cornicione d'un palazzo, il lieve cielo come sparso di piume, un grande albero della Giudea fiorito in un [414] giardino. Cerc?? anche una rondine a volo, un nido di rondine in una gronda: inutilmente. ??Simonetta, Simonetta, che dirai domani? Piangerai un'altra volta? Ah, se tu sapessi quanto male fa l'amore, a chi ama e a chi non ama! Il pastore di Fondi lo sa, e anche la Driade. Dio ti guardi, sorella allegra!?? Diede al cocchiere un altro indirizzo, il suo proprio. S'appoggi?? indietro; e guard?? il cielo, respir?? la primavera, cerc?? una rondine in una gronda. L'ansiet?? la riprese; di nuovo il cuore le si torse; l'anima le si rivolse, e le cose crudeli la strangolarono. ??Isabella ?? gi?? uscita? Va dov'egli l'aspetta? E che accadr??? S'egli la uccidesse....?? Con un gran sobbalzo ella rivide quelle mani contratte che s'erano tese verso di lei e che non l'avevano toccata, non avevano osato pi?? toccarla. ??Perch?? ho fatto questo? Per vendicarmi? La vendetta ?? una gioia. E qual'?? la mia gioia? L'ho fatto per provargli che l'amo io sola? E mi sembra di non amarlo pi??. L'ho fatto per essere alfine costretta a morire? Ficcare il viso a fondo nel lordume della vita ?? una maniera di morire??. E la sua inconsapevolezza profonda, di sotto alla sua scienza funesta, si tendeva verso il mistero in cui s'oscuravano le creature del suo medesimo sangue. ??Isabella va ogni giorno laggi?? dov'egli l'aspetta, e Aldo non lo ignora. Spesso ella [415] s'indugia, non torna se non a tarda notte, qualche volta al mattino; e Aldo non lo ignora.?? Senza comprendere, ella rimaneva come sotto un incubo deforme, con un misto di ribrezzo e d'ambascia. Scorse nella vetrina d'un fioraio un mazzo di rose gialle in mezzo a un fascio di capelvenere. Fece fermare la vettura; discese; entr??, comper?? i fiori. Li tenne su le sue ginocchia, stringendo i gambi con le due mani. Nell'orrore inesplicabile della vita si rifugiava anche una volta presso l'Ombra. Rivedeva il sorriso vivente di Giulio Cambiaso, i denti minuti e puri come quelli di un bimbo; e sentiva che veramente nessuna creatura umana era stata per lei tanto dolce e nessuna tanto vicina. Ebbe onta della sua ribellione insensata contro quella tutela funebre. Disse, come sul sentiero della Badia: ??Fra poco, fra poco verr????.

E allora le figure del caso, ??? quelle rose, il cavallo bianco, il muro scrostato, la disparizione delle rondini ??? furono i segni che la conducevano verso il compimento. E tutto, da quel punto, fu segno e indizio e fatalit??.

Scese davanti alla sua porta. Seppe dal portiere che Isabella era uscita, che Lunella era rientrata. Sal?? all'appartamento della sorellina. Ud?? la voce di Miss Imogen che recitava nel suo idioma il ritornello d'una vecchia leggenda. Si sofferm??; spi??, non vista.

[416] Lunella era seduta accanto alla finestra, simile a un gentile paggio, vestita di velluto fulvo, col suo largo collare di merletto, co' suoi fiocchi di nastro che le ritenevano il peso dei capelli alle tempie. Intagliava con le sue forbici una imaginetta in un foglio di carta. Ai suoi piedi Tiapa era seduta su la seggiolina dorata, in un abbigliamento suntuoso che nascondeva le ferite e le magagne, tutta seta e ricami, come una minuscola Infanta. E Miss Imogen, smilza e biondiccia, con quella voce melodiosa che l'aveva resa accetta a Isabella, in piedi presso i vetri, leggeva nel libro la tenzone della Madre e del Figlio. ??E quando tornerai tu dal viaggio, ??? o figlio mio gioioso, dimmi, dimmi, ??? e quando tornerai tu dal viaggio? ??? E ben so che non ho altri che te.?? ??? ??Quando l'alba si levi a tramontana, ??? o cara madre.??

Vana tratteneva il respiro, spiando per mezzo ai lembi della tenda. La stanza era chiara e tranquilla, con la sua tavola, con il suo legg??o, con la sua scansia di libri, con la sua lastra di lavagna ove restava disegnata dal gesso una figura geometrica. Lunella era intenta alla sua arte, sporgendo di tratto in tratto il labbro di sotto se l'intaglio le riusciva difficile, secondando con le dita abili l'arrendevolezza del foglio che le si volgeva per ogni verso. A ogni risposta del figlio ella s'interrompeva per un attimo, [417] sollevava le palpebre ombrose e guardava il libro. Poich?? stava ella di profilo contro la luce, Vana in quell'attimo le vedeva gli occhi color di nocciola rischiarati per traverso splendere come topazii. ??Quando l'alba si leva a tramontana, ??? o figlio mio gioioso, dimmi, dimmi, ??? quando l'alba si leva a tramontana? ??? E ben so che non ho altri che te.?? ??? ??Quando le pietre nuotino nel mare, ??? o cara madre.??

Nella breve interruzione il cuore di Vana pareva arrestarsi. Per un attimo la piccola sorella rimaneva attonita, come se s??bito non comprendesse quegli strani modi che dissimulavano la sentenza tremenda; poi reclinava il capo e riprendeva il sottile suo lavoro, inconsapevole di ci?? ch'era sospeso su la sua chioma d'angelo magnifico.

??Quando le pietre nuotano nel mare, ??? o figlio mio gioioso, dimmi, dimmi, ??? quando le pietre nuotano nel mare? ??? E ben so che non ho altri che te.?? ??? ??Quando le piume sienvi come piombo, ??? o cara madre.??

Non il pensiero dominante della morte ma il gelo stesso della morte allora fu nella misera che di dietro la tenda assisteva allo spettacolo di quella vita ignara. Ella s'agghiacci?? tutta, dalla nuca alle calcagna. La figura dello spettro entr?? nella sua immobilit??. Le parve non d'essere sul punto di trapassare ma d'essere gi?? simile al [418] trapassato che ritorna nella sua casa come un testimone invisibile e guarda le creature familiari vivere senza terrore sotto le sciagure imminenti.

??Quando le piume sonvi come piombo, ??? o figlio mio gioioso, dimmi, dimmi, ??? quando le piume sonvi come piombo? ??? E ben so che non ho altri che te.?? ??? ??Quando giudichi Iddio tra i vivi e i morti, ??? o cara madre.??

Ella fece un passo di l?? dai lembi della tenda. Lunella si volse, lasci?? cadere la carta, balz?? in piedi, le corse incontro, la cinse con le braccia e pose il suo viso nelle rose.

??? Per me? per me? per Forbicicchia?

??? No, queste no.

??? Perch???

??? Perch?? sono gialle.

??? E che importa?

??? Sono per me, sono per Mor??ccica.

??? Tutte?

??? Tutte.

??? Dammene una!

??? Lasciami sedere, ch?? sono tanto stanca.

??? Perch?? sei stanca?

??? La primavera affatica. Non la senti tu?

??? Me m'assonna, mi mette tanta voglia di dormire. Dormo anche con gli occhi aperti. Dammene una!

??? Non si pu??.

[419] ??? Perch?? non si pu???

??? Perch?? una.... porta sfortuna.

??? Chi l'ha detto?

??? Te lo dico io.

??? E perch?? lo dici?

??? Perch?? lo so.

??? E come lo sai?

??? Sta a sentire. Una volta una bambina, che non si chiamava Lunella ma era dolce come Lunella, si part?? di lontano lontano, dall'estremit?? della terra, da un paese che si chiamava Madura, dove c'era un Dio che si chiamava Visn??; si part?? sola sola, a piedi nudi, per portare una rosa: una rosa gialla. E la port??, e la diede; ma quello che l'ebbe, s??bito mor??.

??? Oh no!

La forza misteriosa del sangue si rimescol??, a quell'accento. Era come un'eco ritornante, come una ripercussione recata da un'aura dei luoghi profondi. Vana credette riudire s?? medesima in quelle due sillabe esclamate, s?? medesima nella remotissima ora. Quell'accento era sorto all'improvviso dal penetrale della stirpe, ove le geniture segnarono i pi?? lievi segni del riconoscimento, lievi e pure pi?? certi d'ogni altra affinit?? carnale, palesati a quando a quando con un'aria, con un tono, con un gesto, con uno sguardo.

??? Sorellina, sorellina, perch?? tanto mi somigli? ??? disse [420] Vana, invasa da una commozione che non pot?? nascondere.

E serr?? perdutamente sul suo petto la creatura palpitante; e la tenne. E quella non si disciolse ma rest?? nella stretta, nella calda tenerezza; vi s'accomod?? con piccoli moti dei muscoli come per meglio aderire, sentendo un calore materno esalare da quelle braccia e penetrarla, un calore materno che pur la sorella sentiva sorgere a poco a poco dal suo petto verginale con la rivivente imagine di quella che le aveva carezzate entrambe nel tempo felice.

??E quando tornerai dal tuo viaggio, ??? o figlio mio gioioso, dimmi, dimmi, ??? e quando tornerai dal tuo viaggio? ??? E ben so che non ho altri che te.?? ??? ??Quando l'alba si levi a tramontana, ??? o cara madre.?? Il ritornello, non come verbo ma come melodia, ondeggiava sul cuore di Vana, forse anche su l'altro piccolo cuore. Su i vetri della finestra pioveva l'azzurro sempre pi?? cupo; l'ombra s'addensava nelle pieghe delle tende, negli angoli, sotto le porte; il rumore cittadino non giungeva sino a quel silenzio, se non indistinto. ??Quando le pietre nuotino nel mare, ??? o cara madre.??

Vana s'accorse che Lunella s'era addormentata; e l'anima le venne meno, di struggimento. Non si mosse, non diede il pi?? lieve crollo. Come [421] Miss Imogen apparve all'uscio, con gli occhi ella le accenn?? di non appressarsi. Quella si ritrasse. La bimba dormiva con la gota contro la spalla della sorella, abbandonata su le ginocchia che la reggevano. Vana sentiva l'odore e il tepore dei capelli, il respiro quieto, tutta la gracilit?? sensibile delle ossa. Ascoltava il silenzio: le cose vi calavano a fondo come in un mare. ??Quando le piume sienvi come piombo, ??? o cara madre.??

S'era fatto il vespro. L'azzurro su i vetri pendeva nel violetto. Forse la stella gi?? tremolava sul pi?? alto cipresso del giardino. La prima squilla della salutazione angelica mosse un'onda che le inond?? i precordii. ??Quando giudichi Iddio tra i vivi e i morti....?? Ben era quell'onda stessa che le saliva alle ciglia, che traboccava. La contenne, la rivers?? dentro, per tema che le gocciole calde scorressero, cadessero sul viso di Lunella, la risvegliassero. ??Ah dormire, dormire, non saper pi?? nulla, non ricordarsi pi?? di nulla, entrare cos?? nella pace, senza risveglio!?? Ella pens?? che un giorno, per essere felice e per ringraziare il Cielo d'esser nata, parve le bastasse di appoggiare il capo sopra un petto crudele e di piangere un poco e di addormentarsi e di non svegliarsi pi??. Ora la sua piccola sorella faceva quell'atto, ed era come s'ella medesima lo facesse verso quella madre [422] che si sentiva rispondere per ambagi sempre la parola disperata.

Le campane sonavano; l'ombra s'incupiva; il respiro di Lunella era eguale. Il sopore si propagava da quel dolce corpo abbandonato. ??Fin che tu ti rammenti, fin che io non mi scordi!?? Le palpebre di Vana s'appesantivano; il suo respiro s'accompagnava al respiro innocente. Il tempo fluiva nell'oscurit??.

D'improvviso nell'oscurit?? un grido si lev??, un grido di terrore; a cui un altro grido rispose, ch?? anche la misera nella confusione del sonno era atterrita sentendo le mani di Lunella aggrapparsi al suo collo, e tutto il corpo sobbalzare convulso.

??? Vanina! Vanina!

Gridava come se morisse o vedesse morire, gridava come nelle tenebre del sepolcreto.

Sbigottita Imogen accorse, fece la luce, vide le due sorelle aggrappate l'una all'altra e smorte.

??? Mio Dio! Mio Dio! Che accade?

??? Nulla, nulla. Lunella s'?? svegliata e ha avuto paura del buio.

La piccola tremava ancor tutta, e Vana non riusciva a domare il suo proprio tremito.

??? Quanto tempo ?? passato? ?? tardi? Che ora ???

??? Sono quasi le nove ??? disse Imogen.

??? Cos?? tardi? Bisogna che tu mangi, piccola [423] cara, bisogna che tu ti faccia servire il tuo pranzo.

??? Non te n'andare, Vanina, non te n'andare! Rimani con me stasera.

??? Sono anc??ra cos??, vedi? Bisogna che mi svesta. Poi torno.

??? Non te n'andare!

??? Ti dico che torno.

Ella baci?? l'inquieta. Prese il mazzo delle rose. Si volse per uscire.

??? Vanina, torni?

??? Torno.

La piccola la segu?? fino alla soglia. Ella s'allontan?? di corsa per l'andito. Il singhiozzo frenato le rompeva il petto.

Scese la scala, si diresse verso le sue stanze. Non incontr?? nessuno. Tutta la casa le parve deserta e sinistra. Chiam??:

??? Francesca!

La sua cameriera non rispose. Chiam??:

??? Chiara!

Entr??. Pos?? i fiori sul suo capezzale. Non reggendo all'ansia, usc??; corse verso l'appartamento d'Isabella.

??? Chiara!

La donna rispose. Era l??, nella camera da letto.

??? Isabella ?? tornata?

??? No, signorina. Ha fatto sapere che non torna, che non s'aspetti.

[424] ??? Come l'ha fatto sapere?

??? Ha chiamata me al telefono.

??? Di dove?

La donna chin?? gli occhi, con un sorriso compunto.

??? V'ha parlato ella stessa? Avete udito la sua voce?

??? S??, signorina.

??? Verso che ora?

??? Mezz'ora fa.

??? Bene.

Un'amarezza cos?? atroce le torse lo stomaco, che la donna credette avesse riso. Era veramente pi?? atroce che il vomito funebre dell'avvoltoio.

??? E mio fratello ?? rientrato?

??? ?? rientrato, s'?? vestito ed ?? uscito di nuovo. Pranzava fuori.

??? Francesca dov'???

??? Credo sia gi?? in guardaroba.

??? Chiamatela, che venga su da me a spogliarmi.

??? Vuole che La spogli io?

-No.

A un tratto, le faceva ribrezzo. Era lo stesso modo, era la stessa voce della notte di Brescia. Come avrebbe potuto ella lasciarsi toccare da quelle mani?

??? Che ordini ha per il pranzo?

[425] ??? Nessuno.

??? Non pranza?

??? Non ho voglia.

??? Si sente poco bene?

??? Chiamate Francesca.

La donna usc??. Ella rimase nella vasta camera di damasco verde, che odorava di gelsomino come l'estate del giardino di Volterra. Il gran letto era preparato; la lunga camicia molle e trasparente era posata su la rimboccatura orlata di pizzo. Su la tavola della specchiera brillavano innumerevoli cristalli metalli avorii: fiale d'essenze, scatole di cosmetici, pettini e spazzole di varia densit??, in bacili o in custodie arnesi pi?? sottili e pi?? diversi che quelli di qualsiasi altra arte, tutti gli strumenti e tutti i segreti addetti al culto del corpo trionfale.

Per l'ultima volta la potenza dell'odio cre?? di tutto rilievo la figura ondeggiante con la pieghevolezza delle malvage murene. ??? Aveva vinto, aveva vinto anc??ra! Anc??ra una volta, certo, aveva inebriato di volutt?? e di menzogna la bestia ruggente! Era incolume. L'ora del pericolo era trascorsa. Non schiacciata dall'ira, non gittata sul lastrico ma creduta, ma temuta, ma ripresa, a rabbia e a infamia della delatrice. ??? Le imaginazioni vergognose assalivano la misera. Ella rivide la bestia orrenda affacciarsi tra la fronte e la gola di colui ch'ella aveva amato [426] sopra la vita e sopra la morte. E dalla selvaggia repulsione risorse la forza; si raddrizzarono le vertebre nella schiena, un tenace nodo di potenza si riform?? nell'anima; un sovrano dispregio fiammeggi?? nello stretto viso senza carne, sotto la massa della chioma piantata intorno alla fronte come quel torsello ch'?? imposto al capo il qual debba sollevare grande peso.

S??bito pens?? ch'era disarmata e che le bisognava l'arme sicura. Seguendo un ricordo ben distinto, cerc?? intorno, qua e l??. Vide luccicare quel che cercava: un pugnaletto turchesco dal manico di calcedonio, gi?? appartenuto a quell'Andronica Inghirami il cui nome ?? scolpito nella pietra fessa d'un architrave, alla Badia, insieme col nome d'Ugo Riccobaldi, sopra uno scudo a tre stelle. Lo prese, lo nascose, usc??. Torn?? alle sue stanze.

Vigil?? s?? stessa come il guerriero il quale tema che un pensiero ignavo penetri per la fenditura del suo casco. Non ebbe piet?? di s??, n?? di nessuno, fuorch?? di Lunella. Resistette alla tentazione di rivederla; resistette a un'altra tentazione disperata che l'afferr?? un istante: quella di non lasciarla nella casa dell'ignominia, quella di portarla via con s?? dove nessuna profanazione poteva giungere mai. ??Dio ti guardi! Dio ti salvi! Se l'anima ?? immortale, io stessa ti guarder?? come dianzi quando tu non mi vedevi.??

[427] Ella sapeva come la salma si ponga in apparecchio di sepoltura: si ricordava di sua madre. Apprest?? il suo giovine corpo, scarno e forte come quello d'una Martire indomabile. Lo purific??. Si lasci?? pettinare, pazientemente. Scelse la pi?? bella delle sue vesti bianche. Evit?? di guardarsi nello specchio per non essere indotta a commiserare la sua giovinezza. Ma era tanto bella nel suo rigore adamantino, che la donna non pot?? trattenere una parola di maraviglia.

??? Andate con Dio, Francesca.

??? Domattina chiamer???

??? Chiamer??.

Rimasta sola, chiuse le porte. Trasse il pugnaletto d'Andronica; lo sguain??, lo mir??, ne prov?? la punta su l'unghia del pollice. Un brivido le raccapricciava tutta la carne; ma il cuore le rest?? prode. Ella pos?? la lama presso il fascio delle rose, per consacrarla. Scacci?? da s?? le ultime imagini acri, che anc??ra tentavano di assalirla. Volle essere intenta a una sola. ??Eccomi. Sono pronta.??

Rivide l'eroe supino, avvolto nella rascia rossa del guidone, con intorno al capo il drappo nero accomodato a celare il taglio della tempia. E la visione fu evidente come se il rude letto da campo fosse a fianco del letto verginale.

And?? alla finestra, l'aperse: la notte era stellata ma fredda su gli orti cupi di cipressi e di [428] allori. Con gli occhi d'incorruttibile smalto salut?? le giovani stelle nel cielo di primavera, riconobbe il Carro, le Guardie, le Pleiadi; mentre la mano sentiva battere la forza del cuore sotto il costato, cercando l'interstizio.

Non richiuse. Spense tutte le lampade, tranne una presso il capezzale. Si scalz??, sal?? su la proda, si distese, congiunse i piedi come offrendoli alle pastoie d'argento. Risollev?? il busto per porre su i nudi piedi congiunti le rose, come ad osservare il rito del connubio funebre. Spense l'ultima lampada. Tenendo stretta l'elsa gemmea nel pugno, si riadagi?? col capo su que' suoi capelli tanto fieri che sembravano nutrirsi del suo coraggio.

Allora si sent?? bella di quella bellezza che a traverso le lacrime ella aveva veduta soltanto sul volto dell'eroe supino.

E il resto fu silenzio.

[429]

 

Paolo Tarsis era uscito dalla sua casa, poco dopo lo sciagurato dibattito. Aveva raccolto tutta la sua virt?? per dominare il suo dolore e il suo furore. Aveva esitato, prima di dirigersi verso il nascondiglio dei suoi piaceri. Poi aveva risoluto di affrontare il rischio.

Contratto sul suo spasimo, aspettava la donna.

Ella giunse con uno di quei suoi movimenti aerosi che la facevano pur sempre assomigliare a Orn??tio, con la bocca splendida a traverso il velo, con l'impeto e con la grazia in ogni piega delle sue vesti.

??? Aini, Aini, sono qui. Dormivi?

Egli non s'era levato, non le era andato incontro, non l'aveva di s??bito avviluppata nel suo desiderio inesausto, non le aveva sollevato il velo con la mano impaziente per divorarle le labbra, non l'aveva abbattuta sul tappeto ancor tutta anelante, come un violatore micidiale, rinnovandole quella paura che la faceva gioire pi?? d'ogni dolcezza. Perch??? S'era addormentato aspettandola? era stordito dal sonno?

Anc??ra col barbaglio dell'aria aperta, non lo vedeva bene sul divano immerso nell'ombra. Rapidamente si tolse il velo e il cappello; poi, [430] sfilandosi i guanti, si avvicin??, si chin?? verso lui muto. Non pi?? abbagliata, scorse d'improvviso gli immobili occhi che la guardavano; e gitt?? un piccolo grido.

??? Ah, Paolo! Mi vuoi spaventare?

Era come in quel giorno marino, come quando ella aveva raccolta presso il davanzale la rondinella loquace.

??? No, no. Lo sai che ho paura. Non mi guardare cos??!

Ella indietreggiava, con un riso convulso, come quando aveva lasciato cadere dalle mani tremanti la tiepida prigioniera.

??? Perch?? mi fai questo? Lo sai che non voglio. Non voglio che tu mi guardi cos??, Paolo.

E il riso gi?? somigliava al singhiozzo, come allora.

Ella indietreggiava, ma egli non si lev??. Una parola vituperosa, quella che svergogna la femmina da conio, rison?? cruda fra le quattro pareti. E poi si fece una pausa, come dopo un colpo che atterra.

??? Che hai detto?

Atterrata ella non era anc??ra; ma certo qualcosa di lei era piombata a terra, se bene ella restasse in piedi. Le sue gambe s'agghiacciavano; il suo cuore pareva come retrocesso verso la schiena, come aderente alle vertebre, vuotato di sangue. Aveva traudito?

[431] La parola di vituperio rison?? la seconda volta, pi?? cruda.

??? Impazzisci?

??? No. Nettamente dico quel che sei.

E per la terza volta l'ingiuria percosse la donna sul viso.

??? Ora vattene.

Egli si lev??, minaccioso.

??? Impazzisci? ??? ripet?? ella, con la voce che le si rompeva tra le mascelle come sconnesse.

??? Vattene, se non vuoi che io ti getti su la strada.

??? Paolo! Paolo!

In un baleno ella aveva compreso. Aveva la colpa nelle midolle, che gridava contro di lei. La sua faccia pareva distrutta, simile a un pugno di cenere. Non una vena in lei, che non fosse vuota; non una giuntura, che non si snodasse; non un muscolo, che non tremasse sotto la pelle abbandonata dal calore. Era stroncata, era perduta, era un fasciume da gettare sul lastrico, veramente. E una forza pronta proruppe dal suo profondo per salvarla, una forza che le rimise il cuore nel mezzo del petto, che le riemp?? le vene, che le rannod?? le giunture, che le rassod?? i muscoli, che le ricolor?? la faccia, che le concit?? la voce: la forza viva e invitta della menzogna, pi?? potente che i nervi i tendini e il sangue. L'uomo, che l'aveva annientata, [432] la vide moltiplicarsi come un mostro che schiacciato rinasca e si rigonfi e si dirami in pi?? tentacoli tenaci.

??? Che pazzia t'ha preso, cos??, a un tratto? di che t'hanno abbeverato per farti cos?? bruto? Mi ingiurii, mi scacci; e credi che non sia necessario dire una qualunque ragione! Sei un insensato. Ho piet?? di te.

Lo sdegno esalava dalla sua attitudine, ardeva nella sua parola. Senza grido, quasi pacato, egli conferm??:

??? Ho detto quel che sei. E nessuna della tua specie ti eguaglia nell'impudenza. Non vale che io parli.

??? Esigo che tu parli.

??? Quel che hai fatto, lo sai bene.

??? Mi sono data a te senza misura. ?? il mio torto!

Ella era l??, discosta, in piedi; ed egli voleva ancor pi?? separarla da s??, respingerla nell'abominazione, vederla scomparire. Ed ella era anc??ra l??, per lui, come la sola cosa viva nell'Universo, la sola cosa alzata sul suo varco. E v'era per lui un solo varco, un solo cammino, un solo orizzonte: ed ella glielo serrava. E sentiva di non poterla abbattere, se non per giacerle sopra, per distruggersi in lei.

Disse, con parole aride e rapide che gli passavan tra i denti come i carboni accesi tra le [433] dita di chi li raccoglie scottandosi per evitare l'incendio:

??? Tanto la misura t'?? ignota, che hai un amante perfino in casa tua, hai pervertito perfino chi ti vive accanto, sotto gli occhi delle tue piccole sorelle....

Ella balz??, grid?? d'indignazione irrefrenabile.

??? Ah vile, folle e vile! Come osi di gettarmi in faccia questo dubbio mostruoso?

??? Non ?? dubbio, ?? certezza.

??? Folle e vile!

??? Il dubbio tu stessa ti sei piaciuta di suscitarlo, di eccitarlo, per la frenesia malvagia delle torture, quante volte, con quanti modi ambigui! Tu lo sai. Io me ne ricordo. Porto le bruciature. Ma pensavo che tu ti eccitassi col fantasma della colpa, per una delle tue tante perversioni crudeli. Non credevo possibile la duplicit?? in una creatura che ogni giorno si torce urla agonizza nelle mie braccia e ogni giorno mi chiede di pi?? e si dona con pi?? furore....

??? Tu stesso mi difendi. Con questo mi difendi tu stesso, dimostri tu stesso la tua demenza.

??? ??Capace di tutto!?? Ti ricordi? ti ricordi su la via di Mantova? Questo mi rispondesti, questo mi dichiarasti. E promettevi il dolore e l'obbrobrio con le parole oscure, e minacciavi tutto il male. Ah, t'avessi scagliata nella polvere, avessi schiacciato me e te contro quei [434] tronchi, avessi annientata la tua perfidia e la mia sciagura!

Ella era fissa. Qualcosa come un flutto dell'anima saliva di dentro e velava la sua sfrontatezza. La sua menzogna ora pesava alla sua passione. La necessit?? della discolpa la umiliava. Quell'uomo doloroso e iroso, simile ad ogni altro uomo nella rampogna nel dispregio e nel castigo, le sembrava ottuso e tardo. Ella avrebbe voluto rispondere: ???? vero. Mi ricordo. Anche dissi: ??? L'amore che io amo ?? quello che non si stanca di ripetere: Fammi pi?? male, fammi sempre pi?? male. ??? Ah, perch?? voi siete come tutti gli altri? perch?? la vostra gelosia ?? cos?? cieca, ?? cos?? ferina? Vi amo sino alla morte. Questo ?? certo. Se voi ora veramente aveste la forza di scacciarmi o di fuggire, io non saprei continuare a vivere. Quel che di me pi?? vi brucia e vi crucia, la mia carne, si disseccherebbe, non si nutrendo se non della vostra. Eppure, la colpa di cui mi accusate, io l'ho commessa; e vorrei non discolparmi. L'ho commessa per amore dell'amore, perch?? non ?? vero che la perfezione dell'amore sia nella congiunzione di due; e questo gli uomini sanno ma non osano confessare. L'amore, come tutte le potenze divine, non si esalta veramente se non nella trinit??. E questa non ?? una dottrina perversa, non ?? un gioco di perfidia, in me, ma ?? [435] un verbo testimoniato col martirio, col pi?? dolente sangue del petto. Un tale amore disdegna la felicit?? per un bene ignoto ma infinitamente pi?? alto, verso cui l'anima si tende di continuo rapita dal pi?? puro dei dolori, che ?? il dolore disperato; mentre la coppia richiede il giogo e n'?? gravata sempre, e n'?? curvata verso la polvere o verso la gleba, e forse ?? inevitabile che la guidi il bifolco avaro. Ah, quando finalmente l'amante non sar?? pi?? lo stupido nemico ma il fratello pensoso e voluttuoso? Lo so, lo so: voi non potrete mai comprendere. Vi sar?? pi?? facile toccare le stelle nel volo, che avvicinarvi al mio mistero. Nessuna parola e nessuna lagrima varr?? mai a persuadervi che non ho ceduto al vizio deforme ma a questo senso divino del patimento, ch'io porto in me. Non ho cercato n?? ho dato il piacere; ma ho presa nella mia mano tremante un'altra mano tremante per scendere a trovare il fondo dell'abisso, o forse del tempio sotterraneo. Non ho fatto opera di carne ma di triste iniziazione. E anche per voi, taciturno che non parlate se non ad offendere o a delirare, anche per voi io sono una scienza: non sono una felicit?? n?? sono una sciagura ma una scienza severa.??

A capo chino, assorta, ella fece qualche passo verso il divano: vi si abbandon?? quasi prona, e [436] si copr?? la faccia con le palme. Quella sua pallida nuca, pudenda come il sesso, e le sue spalle piane, l'incavo delle sue reni, la sua cintura, e il suo fianco e la sua lunga coscia obliqua e in parte fuor della gonna rappresa i fusoli delle gambe apparivano. Ella era assorta nelle sue penose ambagi in cui la sua anima avviluppava la sua novit?? invece di liberarla; ma turbava intanto con la sua groppa il maschio.

??? Taci? ??? diceva egli ottusamente, dominando la voglia orribile di gettarsi addosso a lei e di straziarla. ??? Ora taci? Confessi?

La violenza contenuta di lui la affaticava, quelle domande roche la stancavano come un clamore importuno. Ella lasciava fuggire da s?? la forza della menzogna. L'eloquenza della difesa le diveniva intollerabile. Prona, quasi in un'attitudine d'invito al desiderio, ella comprimeva l'enormit?? della sua vita segreta cos?? cupa di onde cozzanti che di continuo si frangevano e schiumavano al limitare d'un antro in fondo a cui stava nascosta la Sirena dell'inaudito carme.

??? Da quanto dura l'infamia?

Ella aveva commiserazione di lui che tanto in quel punto somigliava a un altro uomo, a un altro amante; il quale, credendosi ingannato, l'aveva assalita quasi con le stesse domande, quasi con gli stessi gesti.

??? Forse gi??, prima d'incontrarmi e di tentarmi, [437] tu l'avevi corrotto. Gi?? a Mantova, quel giorno, c'era nelle sue affettazioni qualcosa di lubrico....

Ella non poteva sopportare quella rampogna acre non di collera ma di mal dissimulata bramos??a, quella doglia angusta come ogni doglia carnale, come un bruciore, come una slogatura, come un taglio. Anc??ra una volta ella vedeva l'uomo diminuito, trasformato in noiosa belva; vedeva l'Amore chino su quattro piedi e privo della bella fronte. ??Ah, non mi dire le ingiurie che tu diresti a qualunque altra donna per svergognarla! Ma dimmi una parola ch'entri in me quale sono, che tocchi me quale sono, e che mi agiti e che mi sconvolga e che tragga dal mio profondo questa mia forza ignota di cui sono inferma, questa mia novit?? nascosta di cui ho la febbre come d'un germe che sia per isvilupparsi e per cangiarmi. Dimmi quella parola; o taci, e flagellami!?? E la fronte del fratello, e l'ardua malinconia di quelle pupille cos?? perspicaci, e quelle labbra cos?? cupide e cos?? scontente, e tutte quelle linee di pensiero e di divinazione, e tutte quelle vampe di precocit?? terribile emergevano in contrasto con la brutale oppressura che le toglieva perfino l'energia di mentire. Ella non ascoltava pi??, ma udiva nella voce il ruggito soffocato del desiderio.

??? Non rispondi?

[438] Egli a un tratto l'aveva presa per le spalle e la squassava. Ella rimaneva inerte, aspettando. Egli la lasci??, indietreggi??, con un gran fremito:

??? Vattene, ??? disse ??? vattene. Non voglio ucciderti.

Ella si lev?? e disse:

??? Vado.

Erano l'una di fronte all'altro. Ella non lo guardava ma sapeva che tutta la vita di lui era protesa verso una fatalit?? a cui nessuna forza n?? umana n?? divina avrebbe potuto opporsi.

??? Vado.

Si volse per raccogliere i guanti, il cappello, il velo.

??? Addio.

L'addio le rest?? tra i denti. Il maschio gi?? s'era precipitato sopra lei, l'aveva atterrata, era caduto in un viluppo. E col pugno la percoteva sul viso, su le braccia, sul petto, ruggendo la parola vituperosa.

Ella non gridava n?? si difendeva, ma a ogni colpo gemeva un gemito sommesso, quasi una implorazione senza suono, che somigliava il gemito ond'ella aveva accompagnato il miracolo del primo bacio, debole come il fiotto d'un bambino infermo. Sent?? il noto sapore dolciastro nella sua bocca, e non d'una sola stilla; e poi sent?? l'altra bocca schiacciarla, pi?? pesante del pugno, e i colpi cessare, e le mani passare a [439] un'altra violenza, e la carne penetrare la carne come il ferro che sventra. E nella lividezza del crepuscolo, in fondo a quella stanza d'amore, tra le quattro pareti ch'erano quattro testimonii di silenzio e d'ombra, fu la mischia feroce di due nemici legati per il mezzo del corpo, fu l'??nsito crescente nel collo gonfio di arterie da recidere, fu lo squasso rabbioso di chi si sforza strappare dall'infimo le pi?? rosse radici della vita e scagliarle di l?? dal limite imposto allo spasimo degli uomini.

L'uno url?? come se in lui si compiesse lo strappo atrocissimo; si sollev??, poi ricadde. L'altra si scroll??, con un rantolo che si ruppe in un pianto pi?? disumano dell'urlo. Ed entrambi rimasero abbattuti sul pavimento, nel barlume violaceo, sentendosi ancor vivi entrambi e lordi, ma con qualcosa di esanime fra loro, con i resti di un oscuro assassinio fra i loro corpi disgiunti. Ed ella non cessava di piangere.

Su i vetri della finestra pioveva l'azzurro sempre pi?? cupo; l'ombra s'addensava nelle pieghe delle tende, negli angoli, sotto le porte; il rumore cittadino non giungeva sino a quel silenzio, se non indistinto. Ed ella non cessava di piangere.

Il suo pianto era come il pianto di Lunella, era come il torrente, strabocchevole, senza freno. I singulti precipitati parevano soffocarla; [440] nelle lacrime tutto il suo viso pareva stemperarsi.

Ed egli si trascin?? sul tappeto, carponi, per un tratto. La prima squilla della salutazione angelica giunse nell'ombra che s'incupiva. Ed egli s'arrest??, perch?? uno scroscio di pianto pi?? alto gli ritolse la forza, lo rifece spoglia vuota e miserabile.

??? Isabella! ??? chiam?? egli tremando in tutte le ossa.

Ella non cessava di piangere. Egli s'alz?? in piedi, brancol?? su la parete. Uno sprazzo di luce rischiar?? la stanza. E allora egli vide la donna atterrata e devastata raggrupparsi in s?? stessa, rannicchiarsi come una povera bestia sbigottita, incrociare le braccia sul volto, nascondersi. E il cuore gli si divise.

??? Isabella!

Le s'inginocchi?? accanto, cerc?? di sollevarla di sotto alle braccia ch'ella teneva ostinatamente incrociate sul volto, scopr?? la bocca piena di sangue e di lacrime.

??? Perdonami, perdonami! ??? proruppe disperato. ??? ?? vero, ?? vero: sono folle e sono vile. ?? vero. Perdonami, perdonami. Isabella!

Era folle di rimorso, di piet?? e di passione. Tremando le disgiunse le braccia; e scopr?? i segni delle percosse, scopr?? tutto quel povero viso disfatto che impregnavano le lacrime come [441] se dalla palpebra le si fossero diffuse sotto la pelle.

??? Mi perdoni? Mi perdoni?

Egli si torceva d'angoscia, tendendole le mani, premendo quelle mani su la sua voce supplichevole ch'era l'anima sua stessa divelta.

??? Mi perdoni?

E da quel dissolvimento nel pianto, da quelle povere gote solcate e p??ste, da quel mento che pareva smagrito nella lugubre ora, da tutta la persona menomata e come annodata nella doglia, anche una volta si form?? qualcosa di breve e d'infinito, qualcosa di fuggevole e di eterno, di consueto e d'incomparabile: lo sguardo, quello sguardo.

E fu tutto. E rimasero prostrati, l'una contro l'altro, l?? dove avevano commesso l'oscuro assassinio, prostrati senza parola, vinti da un amore ch'era pi?? grande del loro amore e che forse tornava dal luogo della bellezza dilaniata e derelitta.

??? Mi ami? ??? chiese egli, con un soffio in cui spir?? l'intera sua vita.

Ella gli si pieg?? addosso con una di quelle sue dedizioni a cui nulla resisteva, con una di quelle sue fluidit?? ond'ella eguagliava la veste bagnata che aderisce alle membra, l'olio versato che assume la forma della lampada ove si acquieta e risplende.

[442] ??? Alzati, ??? egli preg?? ??? vieni. Lascia che io ti porti.

Pi?? sommessamente egli preg??:

??? Lascia che io ti spogli, che io ti lavi.

Ella disse:

??? ?? tardi. Bisogna che vada.

Alzandosi, ebbe un lieve deliquio. Come rinvenne, guard?? intorno stupefatta e sospettosa; scrut?? tutti gli angoli. Poi, con un modo insolito, quasi ella fosse divenuta un'altra o trasognasse:

??? Stasera bisogna che vada via presto. Bisogna che rientri presto a casa. Potrei rimaner chiusa fuori. Oggi ?? venerd??. Non avrei dovuto uscire. Trover?? chiusa la porta. Rimarr?? su la strada. Non mi lasceranno pi?? rientrare. Certo mi spiano. Certo ora sanno che io sono qui. Non far?? pi?? in tempo. Mi lasceranno fuori....

Le sue parole divenivano incoerenti. Pareva che una paura occulta dissolvesse i suoi pensieri.

??? Isabella, che dici? Come possono lasciarti fuori? Chi?

Rapidamente ella rispose:

??? Lo Sciacallo. Mio padre e lo Sciacallo.

Poi si scosse; batt?? pi?? volte le palpebre, per fugare da s?? un'aura che l'agitava; si premette col dorso della mano la bocca, e guard?? il dorso su cui rimaneva una traccia sanguigna. Egli [443] moriva d'angoscia, di vergogna e di tenerezza guardando il piccolo viso disfatto, le palpebre gonfie e rosse, la bocca ferita.

??? Isabella! ??? chiam?? come si chiama per risvegliare qualcuno.

??? Sono qui ??? ella rispose.

??? Mi pareva che dicessi cose strane.

??? Che dicevo?

??? Vieni. Lascia che io ti spogli, che io ti lavi. Rimani qui con me. Ti supplico! Rip??sati accanto a me. Non te n'andare. ?? impossibile che noi ci separiamo stasera.

??? Bisogna che io vada. M'aspettano.

??? Di qui puoi avvertire Chiaretta. Non te n'andare, non mi lasciare stasera, Isabella.

Egli l'accarezzava perdutamente. Ella si persuase, si lasci?? trarre nella stanza attigua. E per qualche istante l'illusione li avvolse. Credettero di essere in una delle loro sere di festa segreta, quando le stanze erano piene di fiori, quando pranzavano a una piccola tavola coperta di delicatezze, quando ella si svestiva per rimaner nuda sotto una di quelle lunghissime sciarpe di garza colorate ora da uno Gnomo ora da un Silfo.

Egli usc?? per dare gli ordini alla donna abile e discreta che accudiva al servizio. Rientrando, trov?? Isabella che si guardava nello specchio minutamente i segni dei colpi nella faccia. Ella [444] aveva su la fronte una lunga scalfittura rossa; un'altra scalfittura sul collo, sotto l'orecchio destro; un gonfiore nerastro al labbro di sopra, e qua e l?? lividure che cominciavano a scurirsi. Sorrise nello specchio, senza volgersi; e la contrattura le fece dolere il labbro.

??? Che dir??, se mi domandano?

Poi si volse e soggiunse:

??? Vana non mi domander??. Indoviner??. Si lev??, ansiosa.

??? Bisogna che avverta Chiaretta.

Dopo aver parlato, s'indugi?? dinanzi all'apparecchio con la gota inclinata sul nero imbuto, in ascolto. E sbarrava gli occhi fisa alla sua ansia. Disse:

??? Ho fatto male a restare.

Egli vedeva in lei qualcosa d'insolito.

??? Ma perch?? sei tanto inquieta?

Non era l'inquietudine ch'egli le conosceva, era un'altra; che si manifestava in cominciamenti di gesti, in piccoli guizzi di muscoli, in fuggevoli sguardi, i quali non le appartenevano. Tra le linee del viso, gi?? alterate dalla violenza e dal pianto, le si moveva a quando a quando una linea quasi impercettibile, apparente e sparente, che le era estranea. Egli la guardava, senza sapere perch??, con un'attenzione infaticabile.

??? Lascia che io ti aiuti a spogliarti.

Come ella gli voltava le spalle per lasciarsi [445] sganciare, disse all'improvviso con una gravit?? senz'amarezza:

??? Vana m'ha accusata a te.

??? No. T'inganni.

??? Vana ?? stata da te oggi.

??? T'inganni.

??? Povera piccola dolce!

Una tristezza e una piet?? infinite erano nel suo accento. E la carne di lui, nello scoprire quella nudit??, conobbe un tremito nuovo.

Egli l'aveva veduta triste, gaia, tenera, lasciva, irata, crudele; l'aveva veduta in tutti gli aspetti, ma non mai in quello. Era come una gravit?? rassegnata, pacata, e intenta.

??? Vedi? ??? ella disse, guardandosi sul braccio una macchia scura come d'inchiostro. ??? Il mio vero sangue ?? nero.

Ella aveva sfilate le braccia dalle maniche, quelle braccia non molli ma salde che pur sembravano portare la pi?? fresca freschezza della vita come una ghirlanda rinnovata a ogni alba. Nude le larghe spalle emergevano, e le piccole mammelle sul petto largo come il petto delle Muse vocali, dall'ossatura palese di sotto i muscoli smilzi. L'orlo della camicia era squisito di scollo e di ricamo, il busto connesso aveva la tenuit?? e la perfezione d'un calice florale, ingegnosi e preziosi di fibbie e di nodi erano i leg??ccioli che di l?? si partivano a rattenere [446] le calze, tutti gli inv??lucri partecipavano dell'intima grazia e sembravano arricchirsi e affinarsi quanto pi?? s'avvicinavano alla pelle; ma ora cadevano come ingombri morbidi, disdicevoli a quel corpo come a una statua severa, quasi respinti da una severit?? superba che ingrandiva e poliva ogni rilievo a simiglianza del sasso. Quando, tolta la scarpa, ella fece macchinalmente il gesto consueto tirando la punta della calza rimasta aderente all'unghia del pollice, egli ne fu attonito come d'una piccola maniera femminina che contrastasse a quella potenza. In ginocchio, sguain?? egli stesso le lunghe gambe lisce. E cos?? ella fu tutta nuda, senza sorridere.

??? Ora vattene ??? disse.

Ricomparve nella stanza ov'era preparata la piccola tavola, portando una di quelle tuniche a mille pieghe che, quando erano vedove del suo corpo, si ristringevano a guisa di corde bene attorte e, quando ella vi s'insinuava agilmente per la testa, s'aprivano a guisa di ventagli numerosi. Quella era d'un nero blu ramificata di verde, con la fimbria stampata in sanguigno d'un fregio di polpi al modo fenicio.

??? I garofani di Boccadarno? ??? disse vedendo su la mensa angusta i grandi fiori scapigliati color d'ardesia.

[447] S'era riacceso in lui il fuoco torbido.

Ella mangiava interrottamente, qualche volta con una voracit?? subitanea, qualche volta con una ripugnanza penosa. Aveva su la fronte la scalfittura rossa, sul braccio la chiazza fosca, nel labbro il gonfiore livido. Ed il silenzio era interrotto a quando a quando da un clamore di popolo, che veniva da un anfiteatro vicino.

??? Ti ricordi della sera che ti fidanzai? Ti chiamavo Madschnun. Ti raccontavo la storia della gazzella liberata, ti parlavo del mio giardino di gelsomini. Te ne ricordi?

??? S?? ??? egli rispondeva, con quel suo viso che non aveva se non il colore dell'osso in cui era sculto.

??? Poi ti parlai di Vana, della passione di Vana. Poi ti parlai del piccolo fazzoletto color lilla, profumato di gelsomino, ch'ella m'aveva offerto a Mantova, nella stanza del Labirinto, per asciugare il sangue del primo bacio. Te ne ricordi?

??? S?? ??? rispondeva egli con un sordo tonfo nel petto, riudendo dentro di s?? la voce infiammata della vergine olivastra, come portatagli da una r??ffica di tempesta.

??? Ah, perch?? dunque non ?? venuta col suo piccolo fazzoletto e non me l'ha offerto un'altra volta per asciugare la mia bocca che ha sanguinato sotto il tuo pugno, Aini?

[448] Senza sarcasmo, senz'amarezza, senza rancore ella parlava, e senza sorriso; ma con quella gravit?? rassegnata, pacata, e intenta. Egli non aveva fatto tanto sforzo quando in Luzon, stretto dalle catene e infiacchito dal digiuno, s'era proposto di fissare i suoi carnefici senza batter ciglio.

??? Domattina non ci sar?? pi?? sangue; ma andr??, e le dir??: ??Guardami la bocca, piccola sorella cara. Non ?? stato il bacio di colui che ami.?? E la bacer??, perch?? tu non potrai pi?? baciarmi, Aini.

Egli non osava interromperla, se bene soffrisse un supplizio insoffribile. Ella aveva preso uno dei grandi garofani e lo teneva pel gambo, posato su la tovaglia sparsa di frutti, di confetture, di vini chiari, di cristalli, di argenti. E qualcosa come il rombo d'una fatalit?? ritornante era nell'aria chiusa. Ed egli rivedeva quel viso d'allora, il viso sfrontato e convulso, stretto ermeticamente fra le trecce dense, con la luce dorata nella gola e nell'irrisione, il viso della tentatrice frenetica. Ma ben pi?? misterioso era quello che ora gli stava dinanzi, quello segnato dai colpi dell'assassino ch'egli non aveva potuto reprimere, quello ch'egli aveva percosso e accarezzato e che n?? la percossa n?? la carezza avevano avvicinato a lui. Fragile era tuttavia ma remoto, infinito, alto su una profondit?? dove [449] non era dato discendere a lui ch'era disceso nel fondo del mare.

??? Forse l'ho io separata da te? T'ho preso a lei? E come avrei potuto prenderti se tu non fossi stato gi?? mio? Certo, quella sera, alla marina, ti parvi orribile quando ti parlai dell'amore di mia sorella. Ti ricondussi verso di lei, e le dissi: ??Fa dunque ch'egli t'ami.?? Ti parvi orribile. Ma chi pu?? mai giudicare l'amore? e chi pu?? dire il termine della volutt?? e il termine del tormento e dove il male cessi d'essere il male e dove il bene cessi d'essere il bene, e per che modo una nuova vergogna crei un amore nuovo, e di che cosa debba vivere l'amore per piacere alla morte? Come fate voi a condannare e ad assolvere? Nulla ?? certo fuorch?? la crudelt?? e la fame del cuore, e il sangue e le lacrime, e la fine di tutto; e neppure si sa quale sia il tempo di piangere. Ma forse c'?? ancora da scoprire qualche dolore pi?? lontano. Il mio lo conosci?

Era ella in un di quei momenti in cui pareva estrarre s?? medesima dal suo blocco e occupare l'aria come una creatura del Titano, come il ginocchio come l'??mero come il cubito come il seno dell'Aurora la occupano.

??? Ah vieni! ??? disse alzandosi e prendendo per mano l'amato. ??? Voglio anc??ra tenerti fra le braccia.

[450] Lo trasse nell'altra stanza, verso il gran letto verde che sapeva i loro delirii e i loro sonni, voluttuosi come gli amplessi, e i loro risvegli balzanti di desiderio sempre novello.

??? Vieni. Conoscimi, prima di lasciarmi. Respirami. Cercami. ?? la nostra caverna verde. Pensa che siamo sotto l'oceano, che l'oceano ci nasconde, che nessun'altra cosa ci tocca. Metti il tuo dolore contro il mio dolore. Ah, non senti, non senti che il mio ?? pi?? grande? Non senti come il mio sangue aumenta, come le mie vene si gonfiano, come le mie ossa si rinforzano? Mi sembra che non so qual essere meraviglioso voglia nascere da me. Lo senti? Ti riesce d'abbracciarlo? Ah non tu stanotte, non tu puoi tenermi fra le tue braccia; ma io ti terr??.

Veramente ella gli sembrava ingigantita e tale che la sua carezza non potesse percorrerla. Veramente ella era come l'Aurora, scolpita nel masso della doglia umana e sol cinta sotto le mammelle della zona che ?? come quel cerchio che divide in giorno e in notte la sfera del mondo, non vergine ma sterile e affaticata dall'ansia perpetua della maternit?? inespressa.

??? Conoscimi ??? ella diceva ??? conoscimi, prima che io mi separi da te, prima che tu mi lasci. Metti la tua pena contro la mia pena. Tenta di scuotermi e di sollevarmi per sentire il peso di quel che dentro mi pesa pi?? [451] della mia carne. Fammi sanguinare anc??ra, se non sai anc??ra di che sa il mio sangue. Fammi anc??ra male, amor mio dolce, fammi sempre pi?? male finch?? tu mi somigli; perch?? in nulla possiamo somigliarci se non nella crudelt?? ma tu non puoi eguagliarmi nel patirla. Ric??rdati del mio pianto come io mi ricorder?? della parola che accompagnava i tuoi colpi....

Una disperazione frenetica empiva l'uomo, a cui nessuna carezza valeva perch?? ella si sentisse conosciuta. Forse ella non gli diceva quelle parole se non per fargli sentire la sua solitudine. E di tratto in tratto nel silenzio notturno, come una implorazione di ciechi, saliva il clamore della folla rinchiusa.

??? Eccomi. Prendimi quale sono, almeno una volta. Prendi me, me e non la forma del tuo delirio. Che almeno una volta io sia tutta tua, che almeno una volta tu mi possegga!

Egli le suggell?? la bocca per soffocarle la voce; egli le prese con le labbra il fiato, il pi?? profondo fiato, quello che sanno le vene i sogni i pensieri; egli le prese con le dita il mento e con l'altra mano la nuca, come la prima volta, e la tenne e bevve sinch?? non venne alla sua saliva il sapore dei precordii.

E delirarono, fuori del tempo, fuori del mondo. Tentarono di ritessere con le loro fibre vive una trama pi?? stretta, tentarono di fare con [452] le loro due vite una morte che fosse simile a un'altra vita. Non s'arrestarono se non per sentire l'anima spezzarsi a traverso la carne, credendo che ciascuno fosse per rapirne in s?? la met?? dolorosa. Sperarono di assaporarla nella saliva, nel sangue, nelle lacrime, nel sudore, nella semenza. Ricaddero, si risollevarono.

Ella diceva:

??? Conoscimi.

Ella diceva:

??? Cercami. Raggiungimi.

Ella disse alfine:

??? Uccidimi.

E invano. Ricaddero, estenuati.

Egli rimase gi??, come esanime. Ella si risollev?? sul gomito, implacabile; e guard?? le mura, ascolt?? la notte, palpit?? d'aspettazione. Tutto era silenzio. Il clamore dell'anfiteatro era cessato. L'orecchio vigile percep?? il gemit??o d'una cannella nel piccolo giardino. Seguendo quel suono, il cuore si riempiva d'un'onda penosa, traboccava e poi si vuotava.

??? Che ascolti? ??? mormor?? il giacente, senz'aprire gli occhi.

Ella lo guard??. Egli giaceva sul fianco sinistro, riverso il capo, sottoposto il pugno e il polso alla gota, piegato una gamba sotto l'altra distesa e disteso il braccio lungh'esso quel fianco sino alla coscia nervosa, simile a un Tebano che non [453] avesse sciolto l'enigma ferale ma avesse provato la mammella e la branca della Sfinge. Non aveva le sue armi accanto a s??, era inerme e spoglio; appariva tuttavia della razza guerriera, della specie espedita, col ventre depresso tra le costole e il pube, con le clavicole risentite ond'emergeva il collo asciutto, con l'omero prominente e liscio come il ci??ttolo, col torace saldo come il corbame della carena, con i piedi magri che palesavano le cinque corde. Nessuna mollezza: abolito tutto ci?? che ?? molle, fuorch?? il frutto della bocca; ma contrapposizione ed equilibrio di forze come nell'architettura dorica, proporzione nella solidit??. Il teschio traspariva di sotto alla m??cie ben modellato dal divino vasaio; l'occhio era incastrato sotto l'arco del sopracciglio, come una virt?? inflessibile; la fronte non aveva se non una sola ruga ma verticale, nella linea delle cose confitte, ma fiera come una cicatrice inveterata; il naso di retto profilo era nettissimo, come le cose che separano.

Ella lo guardava disgiunto da s??, eppure ossa delle sue ossa, carne della sua carne; lo guardava solitario, serrato con tutto il congegno delle membra intorno al selvaggio dolore, eppure indissolubile.

Era l'ultima notte, l'ultima volta? Palpit?? in tutte le fibre, chinandosi sul corpo vinto; e con la voce delle sue viscere anel??:

[454] ??? Si muore?

E non seppe perch?? cos?? dicesse; ed egli non rispose, ma si stir?? come chi rende lo spirito.

E in lei lo spirito si confuse. Un senso confuso di duplicit?? era nel suo corpo. Ella si sforzava all'attenzione, ma non udiva pi?? il rumore dell'acqua n?? altro rumore conoscibile. Il silenzio viveva ingannevole, traversato da suoni che mutavano di natura quando l'orecchio era per riconoscerli. A un tratto le parve di riudire il passo della notte di Volterra, quel passo continuo e indistinto che l'aveva empita di spavento.

Gitt?? un urlo:

??? Vana!

Vide nell'ombra dell'uscio la figura bianca della sorella, coi capelli sciolti come in quella notte, col bianco degli occhi balenante come in quella notte; che la fisava, premendosi con una mano il costato.

??? Vana! Come sei qui? Come sei entrata? Vana!

Ella balz?? dal letto, verso di lei che scompariva. Pass?? la soglia, travers?? la stanza attigua, chiamandola. Si trov?? nel buio e nel terrore.

??? Paolo!

Egli accorse. La raccolse, la port?? su i guanciali, la tenne fra le braccia.

??? Non l'hai veduta?

Le mascelle tanto le tremavano ch'ella formava a stento le parole.

[455] ??? Sei allucinata. Isabella, Isabella, non aver paura, non tremare cos??.

Egli stesso non dominava il suo cieco sgomento.

??? Era Vana, era proprio Vana. L'ho veduta. Stavo per toccarla. ?? fuggita. Va a vedere.... Forse e l??.

??? Tu deliri.

Egli le palpava le tempie per sentire se ardessero. Cercava di placarla.

Ella gemeva:

??? Tienimi. Stringimi.

Non era pi?? la grande creatura titanica, non era pi?? l'Aurora. Era una povera creatura tremante che si rannicchiava contro il petto di lui bisognosa di rifugio e di protezione.

??? Ho freddo.

Seguitava a battere i denti. Nella stanza, con l'avanzar della notte, il calore diminuiva.

??? Coprimi. Ho freddo.

Egli la coperse. Ella gli si avviticchiava, aderiva tutta a lui cos?? che parve fosse venuta nella sua carne la forza delle ventose e delle spire. Si lamentava talvolta, con quel suo fiotto di fanciullo infermo.

??? Ahi! ??? gemeva, perch?? le lividure le dolevano, perch?? ora il suo dolore era fatto di tanti piccoli dolori.

Ma a poco a poco da quel viluppo un lento [456] bene si generava come dall'innesto quando s'appiglia e la pianta innestata sparge le vene con l'altra e un medesimo succo le addolcisce e nutre.

??? Ahi! ??? ella gemeva; ma non era pi?? il lamento puerile.

Era l'allarme del desiderio assalitore. E il sangue aumentava, e le vene si gonfiavano, e le ossa si rinforzavano. Ed ella ridiveniva grande e potente. E anche una volta ritentavano essi di fare con le loro due vite una morte che fosse simile a un'altra vita.

Ella diceva:

??? Si muore.

Ma non sapeva di ripetere una parola gi?? detta, e forse detta verso un altro mistero.

E ricaddero, e si risollevarono. E la notte si consumava. E ricaddero come per non pi?? rialzarsi. Il sonno bestiale piomb?? su i loro corpi schiumanti, li schiacci??. E per gli interstizii degli scuri entrava il giorno, prima pallido, poi raggiante. E i colpi all'improvviso battuti sopra l'uscio del corridoio non ruppero quel sonno ch'era veramente il fratello del nero d??mone.

Sentendosi scuotere, la misera si svegli?? con un sobbalzo; e url?? di nuovo terrore perch?? credette di vedere al suo capezzale la femmina dai capelli rossicci e lisci, dal viso sparso di lentiggini, dagli occhi albini, la femmina che portava l'odore sinistro nel grembiule rigato, [457] la cucitrice del lenzuolo ov'ella aveva trovato quel sonno.

Non era, anc??ra non era.

Era la donna discreta che, non udendo alcuna risposta al suo battere, aveva osato entrare per risvegliarla.

??? Signora, signora, c'?? Chiaretta. Dice che ha bisogno di vederLa subito.

La misera non riesciva a scrollare da s?? il letargo.

??? Chiaretta! ??? balbett?? ricadendo sul guanciale. ??? Che vuoi?

??? Si svegli, signora, si svegli! ??? insisteva la donna.

Paolo aveva aperto gli occhi e nell'ombra incerta, ove ardeva anc??ra la lampada velata ed entravano per gli interstizii i raggi del mattino, aveva sentito quell'aura misteriosa che accompagna la sventura. S??bito fu in piedi, indoss?? una veste, usc?? nel corridoio, vide Chiaretta stravolta e singhiozzante.

??? Che accade?

??? La signorina....

??? Vana?

Da prima ella non pot?? continuare ma fece il gesto orribile, il gesto che non lascia dubbio n?? scampo. Dopo, sotto le domande ansiose, trov?? la forza di narrare con parole confuse e interrotte: la scoperta lugubre, la finestra spalancata, [458] la salma irrigidita.... La voce di nuovo le manc?? perch?? scorse tra i lembi della tenda un viso ch'era come quello di laggi??. Isabella aveva traudito, aveva compreso.

Allora lavare e vestire quel cadavere virgineo non sarebbe stato cos?? triste sforzo come fu per quel corpo vivente, ancor madido di sudore, anc??ra schiumoso di volutt??, vergognoso di macchie crudeli, rotto dal lungo martirio dell'orgia; che l'orrore squassava di continuo a modo di una branca protesa a scuotere per la nuca una vittima tramortita ed a finirla senza farla sanguinare.

Poi fu la luce spietata del giorno, fu il sole sul lastrico, poi fu l'arrivo dinanzi la porta socchiusa a lutto, fu la scala salita quasi con le ginocchia, fu su la soglia la vista del padre ignominioso e della matrigna feroce sopraggiunti al bottino probabile, pi?? oltre fu l'incontro degli intrusi in nome della legge, pi?? oltre fu tutta l'abominazione e tutta la desolazione.

E non fu mai silenzio.

[459]

 

Seguirono giorni in cui la vita veramente parve una storia raccontata da un ubriaco, rossa di furia e di onta. Ovunque la volont?? del dolore cerc?? uno scampo, ovunque trov?? una via senza uscita, una muraglia cieca, un'insidia coperta. Nella sera di Mantova il bisogno folle di sfuggire aveva cacciato l'adolescente tra le pareti ignote, di soglia in soglia, d'andito in andito, di stanza in stanza, per l'irremeabile ruina: ogni porta, piena di minaccia; ogni scala, piena di terrore; ogni corridoio, come un abisso. Tale non egli soltanto ma ciascun superstite, non nel Palagio del Sogno d'estate ma nel nesso e nel flesso degli eventi e delle sorti, nella distretta degli impedimenti e delle necessit??, nel segreto del suo proprio spirito e nella contingenza dei casi manifesti. Ogni proposito d'azione sembrava trarre dietro d?? s?? il fantasma d'un delitto.

E in un'ora pi?? nera di qualunque altra, Paolo Tarsis credette ricevere il messaggio del compagno fedele oltre la morte. Da una lontananza infinita gli tornavano nel cuore antiche parole ben note: ??Ma pi?? da presso mi vieni, ch?? un poco, abbracciandoci insieme l'uno con l'altro, possiamo godere del pianto di morte!?? [460] Non egli le rivolgeva al compagno; ma il compagno a lui le rivolgeva. Il v??to della triste fidanzata divenne anche il suo v??to: ??Verr??, fra poco verr??.??

S'avvicinava l'anniversario eroico. Gi?? correva il nono mese dal giorno del lutto. Il popolo di Brescia, apprestandosi alla nuova festa ded??lea, aveva decretato di porre un segno in memoria del caduto, su la pianura sottoposta al suo immenso stadio azzurro. Dopo le gare, la statua della Vittoria sul carro rustico, sul plaustro dei coloni di Roma tratto dai sei buoi lombardi, era tornata nella sua cella a pi?? del Cidneo; ma la colonna romana dalle scannellature profonde era rimasta alzata nel mezzo del campo, col suo capitello corinzio involto di acanti corrosi, vedova del simulacro. Per decreto del popolo prode una statua novissima, fusa nel bronzo fornito dall'erario civico, doveva sostituire l'antica e rimanervi in perpetuo a commemorazione dell'eroe ligure.

Ora l'opera, allogata allo statuario bolognese Iacopo Caracci, era gi?? pronta nella bottega del fonditore. L'artista aveva fatto di cera due esemplari, essendo l'un bronzo destinato a sorgere su la brughiera bresciana e l'altro su la rupe di ??rdea per v??to di tutti i comuni del Lazio. Ora sollecitava Paolo Tarsis perch?? assistesse al getto.

[461] Da pi?? giorni il costruttore d'ali incatenato alla terra non respirava pi?? ma ansava sotto l'incubo assiduo. Si prepar?? rapidamente alla corsa, con uno scrollo di sollievo, tanto era il bisogno di essere altrove, di fuggire i fantasmi, di respirare con violenza il mattino.

Era un mattino d'aprile, ma il viaggio fu lugubre. Le montagne s'infoscavano fasciate di nuvole. Soffiava per tutto l'Apennino un vento diaccio. Due volte egli ferm?? la macchina per tornare indietro, perplesso: due volte vinse il presentimento che lo mordeva.

A Bologna, tanto crebbe la sua angoscia che non pot?? placarla se non tentando di riudire la voce della povera anima lontana. Attese lungamente nell'ufficio delle comunicazioni. Il rombo del suo cuore empiva la cabina ottusa. L'apparecchio era pieno d'un balbettio incomprensibile, ed egli gittava nell'imbuto nero la sua ansiet?? inutilmente.

Pi?? tardi, and?? nella bottega del fonditore. Piovigginava. Sotto la vasta tettoia il forno fusorio era gi?? acceso. Il fumo si spandeva per le travature, strisciava su i cumuli di terra, su i mucchi di mattoni refrattarii, su le crepe le croste le buche delle muraglie. E il ricordo dell'inferno di Monte C??rboli gli pass?? nello spirito.

Iacopo Caracci lo condusse su pel margine [462] d'una fossa piena d'ombra ove si movevano i manovali taciturni. Di sotto alle catene alle funi agli uncini dei paranchi, per mezzo ai fasci di stipa alle portantine dei crogiuoli alle corbe di metallo bruto, lo condusse verso quella delle due cere non anc??ra rivestita della tonaca di terra.

Il volatore palpit?? e s'illumin??. Una forma possente s'ergeva dinanzi a lui con l'ali aperte. Era Dedalo? era Icaro? era il D??mone del folle volo umano? Non era l'artefice ateniese, il fabro della falsa vacca, n?? era il suo figlio incauto; perch?? il corpo gagliardo, fra le due et??, rivelava il vigore adulto, giunto alla perfezione del crescere, compiuto. Pareva che uno degli Schiavi michelangioleschi, un di quei quattro che il Titano lasci?? sbozzati nei blocchi e il nepote Lionardo offerse al duca Cosimo, alfine con un colpo di spalla e un colpo di ginocchio si fosse sprigionato dall'aspra ganga e col nerbo delle braccia franche avesse imbracciato due ali per le guigge al modo di due grandi cl??pei e con tutto lo scatto delle congiunte gambe pontando i piedi spiccasse il volo.

????rdea!?? Il vincitore di Brescia riud?? entro di s?? il grido della moltitudine, riebbe un brivido di quell'ebrezza quando una intera stirpe fu nuova e gioiosa in lui; rivisse gli attimi sublimi quando il pilota invisibile gli era tra [463] l'una e l'altra ala come uno spirito del vento, quando il cuore gli trem?? perch?? v'era nato il pensiero d'andare pi?? oltre, quando non la Nike soltanto ma tutta la gloria di sua gente era alzata su la colonna di Roma.

Non poteva quell'impeto di uno e di tutti essere espresso in simulacro con pi?? alto stile. Fortemente egli lo disse all'artefice commosso; che anche nell'aspetto somigliava al Buonarroti, con una testa camusa di Sileno barbato su un piccolo corpo arido come un viluppo di corde da balestra.

Ma il metallo tardava a struggersi; la fornace ardeva con poco alito. Il bagno non era ancor pronto, n?? il canale; i manovali lavoravano anc??ra nella fossa fusoria. Il maestro di getto, guardando il cielo piovigginoso e fiutando il vento come un veleggiatore alla panna, determin?? per l'operazione un'ora tarda della notte. Paolo Tarsis usc?? ma promise di ritornare.

Vag?? nella sera sciroccosa, per la citt?? malinconica, sotto i portici eguali. ??Compagno, compagno, ti ritrovo!?? diceva egli allo spirito della statua alata e all'imagine viva del fratel suo. Se bene una parte dell'anima gli fosse penosamente protesa verso l'orrore lontano, egli aveva dalla lontananza e dalla mutazione un senso involontario di libert??. Gli sembrava che una [464] sera d'amicizia tornasse a lui dopo tante sere torbide e inquiete. Il ricordo gli palpitava dentro come un cuore ridivenuto duplice, gli rendeva gli accenti gli sguardi i gesti dell'essere caro, glielo faceva vivo come quando insieme avevano osservato dal limitare della tettoia i segnali del vento e compianto il pollame testardo e irriso la millanteria bracata e fatto il proposito sorridendosi emuli dagli occhi leali. Egli lo sentiva in s?? come nelle lor grandi ore di silenzio, quando l'uno e l'altro erano una sola armonia operosa; lo sentiva rivivere pi?? frescamente che se gli camminasse al fianco per quel portico solitario; se ne sentiva occupato come se fino a quel punto lo avesse tenuto nascosto e lo avesse nutrito delle sue vene e lasciato respirare pe' suoi polmoni, soffrire e gioire coi suoi precordii, sognare con la sua tristezza, attendere con la sua pazienza, sperare con la sua fede. ??Compagno, compagno, ti ritrovo. Credevi tu che ci saremmo ricongiunti dopo tanta mia perdizione? Credevi tu che avremmo ripreso insieme il volo come in quel giorno quando ti venni sopravvento per raggiungerti e nel vortice dell'elica ti gittai il nostro grido di richiamo e di allarme? Se tu vinci, io vinco. Se io vinco, tu vinci. Cos?? pensavo io, cos?? tu pensavi. Ora, vedi?, ci hanno fatto due statue gemelle, ci hanno dato il fuoco e il metallo; e saranno fuse [465] l'una dopo l'altra nella stessa fornace, per la tua vittoria e per la mia vittoria, per la tua memoria e per la mia memoria. Come potrebbero nell'anniversario incidere il tuo nome senza incidere il mio? Come potrei non tentare la grandezza del nostro sogno pi?? disperato, per te, per me, innanzi quel giorno? Tutto questo tempo di vilt?? e di delirio, io t'ho tenuto addormentato nel mio profondo, t'ho lasciato sognare sotto il mio male. Nelle pause dell'orribile rombo ascoltavo il tuo respiro. E talvolta mi pareva intendere la tua voce che indicava la rotta. Te ne ricordi? ??? Ponente una quarta a libeccio! ??? ??

E vide il ripiano di ??rdea, la rupe di tufo tagliata ad arte, la valle dell'Incastro, la chiostra dei monti latini, e una colonna dorica rigettata dal mare di Circe e portata lass?? a forza di buoi e piantata nella cittadella e s??pravi imposto il bronzo sacrificale e trionfale. E imagin?? un volo infinito, sopra un'onda che come quella del Lete gli toglieva ogni memoria della riva di gi??. ?? ??? Anch'io. ??? Ti ricordi di questa parola detta sorridendo? ?? la parola di tutti quelli che amano, ?? la parola del grande amore. Tu me la dicesti, con gli occhi negli occhi. Quanto ho dovuto patire e di quali mali, prima di potertela ripetere! Ma era necessario che cos?? fosse. Per ci?? non rimpiango l'immensa [466] forza che ho consumata nella sterilit??. Era necessario che cos?? la consumassi perch?? io potessi riaverla da te nell'ora segnata dalla doppia sentenza. Siamo superstiziosi, come tutti quelli che giocano i giochi terribili. L'indovino di Madura! Quella che di tanto lontano ti port?? la rosa del presagio, tu lo sai, ha rifatto il suo viaggio. Tutte le rose della sua cintura te le port?? e te le pos?? su i piedi congiunti. E prima di rimettersi nel cammino del ritorno, tu lo sai, ha rinfrescato i suoi piedi nudi col fresco delle stesse rose! Ti amava. Era veramente la tua fidanzata segreta. Ma, quaggi??, dove avrebbe potuto ella cercarti se non in me che ti nascondevo? Ti amava. Lo sai. Avendo nel suo piccolo cuore una forza sovrumana, la sorte non le ha concesso se non di essere un presagio e un annunzio. ?? la nostra sorella dell'altra riva. ?? la rondine della nostra primavera.??

Pareva che il fiato dell'amicizia addolcisse e serenasse il suo dolore, per quell'umida e tiepida sera d'aprile ove la vecchia citt?? di mattone fumigava con le sue torri come torchi spenti nei suoi chiostri senza fine contigui. ??E io? non sono pi?? nulla per te, Aini??? disse allora una bocca sanguinosa. ??Ric??rdati del mio pianto come io mi ricorder?? della parola che accompagnava i tuoi colpi....?? E il tormento ricominci??, pi?? fiero.

[467] Egli sal?? in una vettura e si fece ricondurre all'albergo, sperando di trovare qualche notizia, un dispaccio di risposta. Nulla. Un carrozzone pomposo come un feretro entrava con rimbombo nell'atrio portando una sola viaggiatrice: una piccola vecchia grinza e adunca, che lo guard?? con due occhi di gufo. Sotto il colonnato egli rivide la tavola dove s'era seduto con Isabella nella breve sosta, in quel pomeriggio di giugno. Un facchino aveva lasciato l?? uno strofinaccio; le sedie di vimini vuote stavano intorno a guardarlo.

Dopo pranzo, usc?? di nuovo per le vie non sapendo come ingannare la sua ansia. Sotto un portico violentemente illuminato ud?? un clamore di folla, uno scroscio di applausi. Alle mura e alle colonne pendevano imagini di pugilatori giganteschi in atto di combattere, seminudi, coi pugni armati di guanti enormi. Entr?? in una vasta sala gremita, afosa di mille petti anelanti. Sopra un palco recinto di corde, un bianco e un negro combattevano, assistiti dall'arbitro. Ma non era un combattimento, era una carneficina disgustosa. Il bianco, gi?? ridotto un cencio sanguinante, aveva le labbra lacere, il naso pesto, le palpebre gonfie, tutto il ceffo disfatto; ma resisteva tuttavia con un coraggio inumano, sputando nel sangue ingiurie atroci contro il suo carnefice. Il negro ghignava [468] dalla larga fauce piena di denti d'oro, e senza piet?? scagliava contro la mascella dell'avversario il pugno infallibile. Facilmente egli avrebbe potuto con un urto nello stomaco abbatterlo in modo che non si rialzasse pi??; ma pareva ch'egli avesse un vecchio rancore da sfogare, una lunga vendetta da compiere. Il bianco era omai stremato di forze; ed egli lo teneva in piedi, come se giocasse con un fantoccio, rimettendolo a piombo per la rapidit?? dei colpi alterni a destra e a sinistra. Tutto il palco era sparso di sangue. Le viscere della folla urlarono: ??? Basta! Basta! ??? I denti d'oro brillavano nel ghigno scimmiesco. Le guardie intervennero.

Paolo Tarsis, che pure tante volte s'era appassionato a quegli spettacoli, fugg?? sconvolto, col cuore in gola. Si ricordava del giorno in cui egli e il compagno avevano assistito, in Sidney, dai gradi d'un immenso stadio capace di ventimila spettatori, sotto la giovine luce, al pugilato supremo fra il negro Jack Johnson e Tommy Burns il Canadese, finito in carneficina anche quello. Come entr?? nell'ombra, all'estremo del portico, due o tre bagasce in agguato lo sollecitarono. Da un Caff?? fumoso veniva un coro ignobile accompagnato da uno strid??o di mandolini e di chitarre. Un chiarore verdognolo, dalla vetrina d'una Farmacia, non [469] rischiarava se non le tracce dei piedi umidicci su le lastre. Ed era una notte d'aprile.

??Spero di vedere a faccia a faccia il mio Pilota ??? quando io abbia passata la linea.?? Egli ripeteva al suo disgusto e al suo rimorso le parole del poeta d'In memoriam care all'amico, mentre andava verso la bottega del fonditore.

Iacopo Caracci lo attendeva presso il forno.

??? Ebbene?

??? Il metallo si comincia a muovere.

Rimasero l'uno accanto all'altro, taciturni. Lo statuario aveva tra le dita una pallottola di cera bruna e la brancicava di continuo. Il forno ruggiva da tutti i forami splendendo. Il mastro ficc?? in una buca una lunga verga adunca e tent?? il bacino. La verga ritratta ardeva incandescente nella mano quasi incombustibile, e tutta la persona s'avvampava al riverbero. Due manovali stillanti di sudore issarono l'ultima corba di metallo bruto e a uno a uno fecero calare i masselli nell'ardore che abbrusticava le braccia villose. Il forno crepit?? e crosci?? nelle sue armature ferrate, mentre per lo spiracolo del tirante si vide lampeggiare il migliaccio liquefatto.

??? Pronti? ??? chiese il Caracci, un poco pallido, lasciando cadere la cera ammollita dal pollice e dall'indice in cui aveva constretta la sua irrequietudine.

[470] Gli operai carponi spargevano stipa accesa nel canale interposto tra la parete della fornace e l'entrata della forma, per asciugar la terra fresca. Un di loro teneva gi?? in pugno il mandriano che doveva percuotere la spina e sprigionare il bronzo liquido. Il mastro era salito in piedi sul tavolone che attraversava la fossa fusoria.

??? Do? ??? chiese l'uomo in atto di vibrare il palo di ferro.

Allora parve a Paolo Tarsis che l'aria ripalpitasse d'un'ansiet?? religiosa come nell'attesa del miracolo. Egli respir?? nell'anima stessa del fuoco e nell'anima del fratel suo. Il primo urto del ferro gli rison?? nell'osso del petto. Una vena furente e fulgente si precipit?? pel varco, pi?? divina delle divine meteore. E non era la colata del metallo strutto che soffiava e stridiva nei rami di gitto a riempire il cavo della statua bella, ma era la bellezza e l'immortalit?? d'una seconda vita che perpetuava l'ideale imagine fraterna e esaltava il superstite in una subitanea purificazione. Quando la forma fu piena e la leva s'abbass?? e il turo chiuse la bocca rigurgitante e il metallo superfluo s'incup?? nel fermarsi, egli sent?? che il rito del fuoco s'era compiuto dentro di lui e che la parola del rito non poteva essere se non quella del compagno: ??Anch'io.??

[471] Si volse a Iacopo Caracci e lo vide ancor pallido sotto la maschera di polvere e di fuliggine; e s'accorse ch'entrambi erano su l'orlo della fossa fusoria e che egli stesso portava le vestigia ignee sul viso.

??? Quando la mia? ??? domand?? allo statuario.

Questi s??bito comprese che la domanda alludeva alla seconda fusione.

??? Fra due settimane.

??? E il metallo?

??? C'?? gi??, e buono. Venga a vedere.

L'artefice lo condusse dove i masselli erano accumulati.

??? Io non so se potr?? tornare ??? gli disse Paolo Tarsis. ??? Ma mi prometta che mi avvertir??.

??? Sicuramente.

??? Le affido un pegno che m'?? preziosissimo. Le mani che hanno modellato una tale opera sono certo mani sicure.

Un fervore cos?? virile riscaldava quella voce, che il costruttore di statue guardando il costruttore d'ali conobbe anche una volta come il dolore non sia se non creazione. Egli sentiva che in colui era per crearsi un grande evento. Parve che in quel punto il genio dell'amicizia toccasse entrambi. Disse con semplicit??:

??? Do la mia fede.

??? Non sorrida della mia superstizione. Le [472] affido questo anello: non vale se non per la data che v'?? incisa. Quando il bronzo dell'altra statua sar?? liquefatto, lo getti nel bacino.

Era un povero cerchietto d'ottone, tolto alla martingala del cavallo che impennandosi aveva ricevuto in pieno petto il lungo coltello del juramentado, nell'isola di Sulu.

??? Sar?? fatto ??? disse il postremo discepolo di Michelangelo.

??? Ora mi lasci rivedere la cera.

Andarono laggi??, in fondo, nel buio. Un giovinetto nero di fuliggine rischiarava il passo tra gli ingombri con un pezzo di torcia. Il ricordo di Aldo nel sepolcreto etrusco travers?? lo spirito di Paolo Tarsis, con una r??ffica di cose torbide e crudeli.

??? Alza la tua torcia! ??? disse Iacopo Caracci al manovale.

E pel color bruno la statua pareva gi?? fusa nel bronzo, pontata su i piedi dai tendini tesi per iscoccar di terra, con le due ali imbracciate come due vasti cl??pei, col volto ardentemente riverso a divorare il cielo.

S'accomiatarono, come due che legava una promessa misteriosa. Nel passare lungo la fossa fusoria, Paolo vide il metallo superfluo rimasto nel rigagnolo murato. Si chin?? per raccogliere un colaticcio che sopravanzava all'orlo di mattone, credendolo gi?? freddo: ma si scott?? [473] le dita. Allora il giovinetto fuligginoso lo prese con una tanaglia, lo tuff?? in una secchia ove strise; poi l'offerse. Aveva la forma d'una mano.

Era notte alta, ma la nuvola qua e l?? rotta scopriva le stelle fioche. La luna nascosta diffondeva un albore simile all'alba, gi?? pei lunghi chiostri solitarii. Che faceva Isabella? Non dormiva: aveva ucciso il sonno. N?? egli sperava di chiudere gli occhi.

Soltanto li chiuse al mattino. Gli sembrava d'aver vegliato il suo compagno una seconda volta. Non aveva pianto col pianto di Vana, ma aveva compiuto il rito del fuoco.

Quando si svegli??, era tardi: non era giunta notizia alcuna. Diede gli ordini al meccanico per la partenza. Usc?? per andare all'ufficio delle comunicazioni. La piazza ancor umida di pioggia splendeva al sole di aprile come se tutta consentisse alla grazia della sua Fontana; la terracotta della vecchia citt?? sembrava perdere il fosco e il sanguigno, tingersi di rosa novella. Egli ebbe un desiderio disperato di riudire la voce che gli faceva tanto male.

Ansioso entr?? nella cabina imbottita come quelle stanze atte a spegnere il clamore dei supplizii. Prima ud?? nell'apparecchio il rombo come d'un tr??ino che si dilegui, poi al suo chiamare ud?? Isabella rispondere.

??? Isabella, sei tu?

[474] ??? No, no, non sono.

??? S??, sei tu. Riconosco la voce. Mi senti?

??? Oh, sempre quel passo.

??? Quale passo? Che dici?

??? Non so, non so. Ho la testa cos?? debole! La testa mi va via.... E poi viene quella donna, che me la prende.

??? Isabella! Quale donna?

??? Quella del grembiale rigato.

Egli ebbe il gelo in tutte le ossa. A traverso la distanza, su da quella bocca nera e insensibile, il soffio della follia gli vent?? sul viso e l'agghiacci??.

??? Isabella, ascolta!

??? Dove sei? Sei a Mantova? Ah, non dovevi andare.

??? Non sai che sono qui? Aspettami. Parto s??bito.

??? Non dovevi guardare in quello specchio. Ho paura, ho paura.

??? Isabella, ascolta! Mi senti? Parto s??bito. Non vuoi vedermi?

??? Ah, come potrei vederti ora, dopo che ho fatto questo?

Ella soggiunse debolmente, come se parlasse a s??:

??? Dove sono stata stanotte?

Egli aveva creduto che, di l?? dalla miseria di quel risveglio improvviso nella stanza verde, [475] non potesse la vita dargli nulla di peggio. Ma in tutto il passato nulla eguagliava d'atrocit?? quell'angoscia soffocata da quell'angustia, quegli impeti di soccorso troncati da quel novo strumento di tortura che avvicinava e separava a un tempo, che giocava con l'illusione della presenza e con la realit?? dello spazio.

??? Dove sei stata? Sei uscita? Quando?

??? No, mai. Non sono uscita mai; ma....

??? Parla!

??? La senti che cammina sempre?

??? Isabella, Isabella, parto s??bito. Fra tre ore sono con te. Vieni laggi??, da noi.

??? Come posso? Tu lo sai quel che sono, tu l'hai detto....

Una voce estranea interruppe bruscamente la comunicazione, fra uno scampanell??o assordante. Quando egli usc?? dalla cabina, tutti si volsero a guardarlo, tanto il suo aspetto era miserabile.

Non respirava pi??. Gli pareva che non avrebbe pi?? potuto respirare se non in quella bocca disseccata dall'aridit?? della foll??a. Sospingeva la macchina col suo cuore, su per l'erta, intentissimo ai ritmi di tutti i congegni, sapendo che la sorte era congiunta allo scocco d'una scintilla, al distacco d'un filo. Era a pochi chilometri dal Covigliaio, nell'Apennino, quando s'accorse che il motore non pulsava pi??. Egli stesso [476] non aveva pi?? palpito. Il meccanico scosse il capo e corrug?? le sopracciglia, indovinando il guasto al magnete. Ogni tentativo fu vano. Rimasero fermi su la strada, nella solitudine.

Come passava una vettura di posta, Paolo si fece portare fino al Covigliaio per chiedere aiuto. Eran quasi le cinque; e la sua ansiet?? s'aggravava di presentimenti funesti. Torn?? indietro con un meccanico addetto all'albergo. Dopo un'ora di lavoro la macchina ricominci?? a camminare. Percorso un chilometro appena, si ferm??: stette l??, su la strada solitaria, ammasso pesante e inerte, con l'aspetto ottuso dei bruti caparbii, resistendo a ogni stimolo, a ogni industria. E la disperazione prese l'uomo.

Il tempo era lentissimo. Il giorno si consumava. Una grande serenit?? pendeva su la montagna deserta. Tutte le cime si doravano e le ombre si facevano quasi rosee. La luna insensibile, d'una delicatezza quasi carnale, priva di raggi, con una vita senza fuoco, saliva di dietro un culmine ch'era simile a un ??mero che ritenesse il lembo d'una tenue tunica violetta. Ed egli ripens?? il plenilunio d'agosto su la marina pisana, la bianca terrazza coronata d'oleandri, la danza degli orizzonti, il mimo dell'ape. Dov'era, che faceva in quell'ora Isabella? Andava forse al nascondiglio? E lo trovava chiuso!

[477] Il tempo fluiva, la luce diminuiva. Gli sforzi per sanare il congegno infermo erano vanissimi. In che modo avrebbe potuto egli giungere alla citt??? Omai la speranza di riaccordare il motore era perduta. Stava in ascolto per distinguere un indizio lontano, per scoprire se qualche veicolo si avvicinasse; quando in fatti ud?? nel valico il rombo ben noto.

Si credette salvo. Riconobbe la macchina di Maffeo della Genga, carica di donne velate e incappucciate. Era un'allegra compagnia. Com'egli domand?? soccorso, da prima gli fu dato il meccanico perch?? col suo facesse un ultimo tentativo. Poi, come cadeva la sera, gli fu offerto d'incastrarsi fra i posti occupati.

Ripartirono lasciando su la strada la carcassa in??nime. Dal Covigliaio mandarono buoi a tirarla. Filarono su Firenze senz'altri indugi. La montagna era tutta violacea. Faceva freddo. La compagnia si rattristava, serrata e silenziosa. Paolo sentiva che ogni minuto aveva un'importanza incalcolabile e ch'egli correva verso una catastrofe oscura. Certo, ogni minuto aveva il suo peso; e nei pressi di Pratolino ne andaron perduti dieci per accendere i fanali mal pronti. Eran passate le otto quando entrarono in citt??. Paolo fu deposto alla porta del suo rifugio d'amore. Ringrazi?? breve: apr?? il primo cancello, fece per entrare. Ma un domestico dell'appartamento [478] di sopra venne gi?? per le scale come se lo aspettasse e dovesse dirgli qualcosa.

Si scus??; poi su la soglia, a bassa voce, gli disse:

??? Dianzi, potevan essere circa le otto, abbiamo sentito sonare il Suo campanello e battere alla Sua porta con insistenza. Poco dopo, un uomo ?? salito su per le scale e con malo modo ha incominciato a battere alla nostra porta gridando: ??Aprite! Siamo agenti di polizia. Questa donna non appartiene a questa casa? Aprite, o gettiamo gi?? l'uscio.?? E seguitava a picchiare coi calci e coi pugni imbestiato. La mia padrona sbigottita non voleva che io aprissi. Allora mi son fatto al finestrino, e ho veduto gi?? per le scale appoggiata alla ringhiera una signora alta, snella, che m'?? parso di riconoscere per quella ch'?? solita venire qui da Lei. Un altro uomo era accanto alla signora, che sembrava impietrita. Al mio diniego, la guardia insisteva. Persuaso finalmente che noi non si voleva aprire e che la signora non apparteneva alla nostra casa, egli ?? disceso con l'altro e ha ripreso lo strepito qui alla Sua porta. Ho udito confusamente la signora disperarsi e dire con la voce soffocata: ??Lasciatemi! Lasciatemi! Non sono quella.?? Non potevo far nulla per soccorrerla perch?? Mrs. Culmer sbigottita m'impediva di uscire. Ma, nell'affacciarmi per un [479] attimo alla finestra, ho veduto la signora salire in una vettura pubblica che aspettava su la via e andarsene accompagnata dai due uomini seduti l'uno a fianco e l'altro di fronte. Nell'oscurit?? non ho potuto scorgere il numero della vettura; ma, un momento prima che la signora montasse, avevo chiesto al vetturino: ??Dove avete presa quella signora??? e m'?? parso ch'egli mi abbia risposto: ??In Piazza d'Azeglio.?? Saranno dieci minuti, appena, che ho visto la vettura scomparire in fondo alla via. S'Ella fosse arrivata dieci minuti prima, l'avrebbe trovata anc??ra qui!

Il primo impeto fu di correre in fondo alla via. Ma, dopo qualche passo, Paolo riconobbe l'inutilit?? dell'inseguimento senza tracce. Rientr??. Si precipit?? al telefono. Non pot?? ottenere la comunicazione perch?? di laggi?? nessuno rispondeva. Egli cercava di tenere in pugno la sua volont?? e di non perdere la lucidezza; ma le pi?? strane imaginazioni assalivano il suo cervello. Che mai poteva essere accaduto? Com'era ella capitata in mano delle due guardie? L'avevano trovata forse vaneggiante per la strada e avevano tentato di ricondurla? Ella stessa aveva dato l'indirizzo segreto? E perch?? le guardie con quell'insistenza e con quella brutalit?? pretendevano di entrare nella casa di Mrs. Culmer? O forse si trattava di una estorsione tentata [480] da due sconosciuti che, per compierla, simulavano di essere due agenti di polizia? E dove dunque portavano la misera? Che facevano di lei?

Ecco che l'orrore nella cabina cupa non era l'estremo; n?? l'estremo era pur quello, certo.

??Bisogna trovarla; bisogna sapere?? diceva egli disperandosi sotto i lampi sinistri di tutte le imaginazioni. Il profumo del gelsomino di Volterra emanava dalla stanza verde. La tunica nerazzurra era sospesa alla lettiera, con le sue mille pieghe richiuse, come una corda attorta. Allora gli ritornarono nella memoria le parole strane ch'ella aveva balbettate, l'ultima sera, prima di spogliarsi: ??Non mi lasceranno pi?? rientrare. Certo mi sp??ano. Certo ora sanno che io sono qui.... Lo Sciacallo! Mio padre e lo Sciacallo.?? Poteva essere che quei due avessero tramato l'infamia?

Raccolse il suo coraggio; si dispose a uscire; si prepar?? a tutto. Prima d'ogni altra ricerca, bisognava andare alla Questura, nel caso che i due uomini fossero veramente due guardie e potessero averla condotta nell'asilo di vergogna. And??. Sent?? l'odore singolare che, con quello dell'ospedale e della prigione, ?? fra i pi?? tristi in terra. Un affaccendamento misterioso agitava le sale, gli anditi; i campanelli tintinnivano di continuo; s'udiva qualcuno singhiozzare e [481] implorare, dietro un uscio. Un ceffo giallognolo sotto la visiera d'un chep?? faceva pensare che veramente la Natura ha fatto del volto umano il suo luogo pi?? orrido.

Fu ricevuto da un ispettore cortese, quasi con unzione. La Questura ignorava tutto. Nessun ordine era stato dato. Nessun rapporto era pervenuto. Nessuna signora era stata condotta in camera di sicurezza. Inoltre era da escludersi che quelle due persone fossero veri agenti, considerato il contegno brutale d'una di loro. Gli agenti, come si sa, per penetrare in una casa chiusa, adoperano altri metodi: non la violenza ma la scaltrezza, non la forza ma lo stratagemma. Ad ogni modo l'ispettore cortese prometteva di mettersi subito all'opera per chiarire il mistero.

Mancava un quarto d'ora alle undici. Cresceva la notte. Che fare? Che pensare? Come attendere? Si trattava forse d'un sequestro di persona? compiuto da chi? per mandato di chi? a qual fine? E le parole della povera trasognante, balbettate di sotto il labbro gonfio, di sotto la genciva sanguinolenta, gli sonavano sempre sul sospetto: ??Lo Sciacallo. Mio padre e lo Sciacallo.??

Risolse di andare al Borgo degli Albizzi. Il palagio era chiuso, impenetrabile nelle commettiture delle sue bugne di pietra forte. Non [482] appariva nessun lume alle finestre. Nessun indizio di vita esciva da quel masso di solidit??, di silenzio e d'ombra. Al suono del campanello, nessuno rispose. Egli persistette, risoluto a qualunque audacia. Finalmente nella finestra del mezzanino, sopra il portone, apparve il portinaio mormorando:

??? Non c'?? nessuno. Sono tutti a Volterra.

??? La signora non ?? rientrata?

??? Non c'?? nessuno.

??? Ma la signora oggi c'era.

??? Ora non c'??.

??? Dov'?? andata?

??? Non c'?? nessuno. Sono tutti a Volterra.

La finestra si rabbui??. La porta, con le sue formelle e i suoi chiodi, era incrollabile. La mole di pietra taceva deserta.

Egli torn?? alla Questura: l'ispettore aveva fatto ricerche in tutti i posti della citt??, inutilmente. Torn?? alla casa di Mrs. Culmer; svegli?? il domestico; lo interrog?? anc??ra, con pi?? acume, con pi?? pazienza. Dalle risposte, un dubbio crudelissimo cominci?? a straziarlo.

Tent?? di nuovo il telefono. Nessuno rispondeva. Gli parve di udire squillare il campanello nel buio del palazzo abbandonato. Dov'era ella? dov'era? dove la trascinavano?

Non pens?? di coricarsi, d'aspettare il giorno nell'immobilit??. Usc?? di nuovo, per la terza volta, [483] vincendo la ripugnanza, penetr?? nell'antro poliziesco. Nessuna notizia. Come pi?? cresceva la notte, il luogo diveniva pi?? lugubre. Nel silenzio, pareva che sola una pentola putrida bollisse.

Era stanco, era digiuno, ma non trovava requie. Ripass?? pel Borgo degli Albizzi, spi?? le finestre, interrog?? la pietra, sussult?? a ogni rumore di ruote o di passi. Spinto dalla frenesia del tormento, and?? vagando in quella Piazza d'Azeglio nominata dal domestico, intorno a quel giardino pubblico dove la sera si pongono in agguato le meretrici. Leggeri velli aerei scorrevano su le cime degli alberi, bianchi di luna. Nel silenzio non s'udiva se non l'urto dello zoccolo di qualche cavallo da troppe ore fermo su le sue quattro zampe indolenzite. Egli interrog?? i due o tre vetturini che sonnecchiavano in serpe. Non seppero dirgli nulla; non seppero se non soffiargli in viso i loro fiati fetidi di zozza.

Alfine, non reggendo pi?? alla nausea e alla fatica, rientr?? nella sua vera casa, in quella dov'era venuta Vana a rivelare la cosa mostruosa. ??Ho divinato, ho veduto, ho udito.??

Non dorm??. Si mond?? di tanta infezione e di tanto fango. Ritorn?? nell'altra casa, al mattino. L'ispettore cortese aveva promesso di mandargli un uomo di polizia per recar notizie e per raccogliere la testimonianza del domestico di Mrs. Culmer. Egli era omai rassegnato a patire [484] tutte le onte, come un supplizio che ?? inevitabile ma che deve avere la sua fine. ??Spero di vedere a faccia a faccia il mio Pilota ??? quando io abbia passato la linea.??

Il delegato sopraggiunse: una figura ambigua, lividiccia, viscida, con una fronte sfuggente, con un mento sfuggente, con occhi fuggevoli. Era la mutazione umana dell'anguilla d'Aristotele, n?? maschio n?? femmina, nata da quella sua gran madre universale Putredine.

S??bito disse:

??? La signora ?? in casa, ?? da ieri sera nel suo palazzo. L'ispettore stamani, appena aperto il portone, ha interrogato il portinaio e lo ha costretto a dire la verit??. La signora fu ricondotta iersera verso le dieci da due uomini, dei quali uno si dichiar?? agente di polizia e nel riconsegnare la signora stese un verbale. Nessun rapporto per?? ?? giunto e non si sa anc??ra quel che sia accaduto. Ora, s'Ella permette, interrogher?? il domestico.

Il domestico scese e ripet?? il racconto. Ma fu accertato che, avanti il suo accorrere, una donna di servizio aveva avuto con la presunta guardia il primo scambio di parole.

Venne la donna. Era grassa e placida, con piccoli occhi porcini. Mentre cianciava ella aveva dietro di s?? il divano ove nell'ora del vituperio Isabella s'era abbandonata quasi prona [485] prendendosi la faccia tra le palme. Egli la rivedeva l??, contro i cuscini, con la sua pallida nuca impudica, con le sue spalle piane, con le sue reni falcate, con la sua lunga coscia obliqua, con le gambe fuor della gonna nelle guaine lucide. E, come la donna cianciava, l'avventura si faceva pi?? orribile; il dubbio crudelissimo diveniva certezza. E gli parve che la parola vituperosa a un tratto riecheggiasse nella stanza, ove sul tappeto brillava una lunga spada di sole.

Egli rifaceva il cammino. ??? La vettura publica giunse con le tre persone. Uno dei due uomini, un giovine magro con un abito grigio a righe, dopo aver sonato e picchiato alla porta di gi??, sal?? e cominci?? a strepitare dinanzi alla porta di Mrs. Culmer. Dal suo contegno appariva ch'egli avesse sorpresa nella piazza quella sconosciuta e l'avesse creduta un'adescatrice di passanti! Chiestole l'indirizzo, egli l'aveva ricondotta l?? credendo che quella casa fosse una specie di ritrovo galante. S'adirava e strepitava perch?? credeva che ??la padrona?? si rifiutasse di aprire per evitar perquisizioni pericolose. Per ci?? gridava: ??Questa donna non appartiene a questa casa? Chiamate la padrona. Fateci parlare con la padrona.?? Tutte maniere significative. E la donna dava un indizio ancor pi?? grave. La guardia si rivolgeva alla [486] sconosciuta e le domandava: ??Ma che facevate voi, nel tal luogo, che facevate??? La testimone per?? non si ricordava del luogo nominato; ma anch'ella credeva fosse quella piazza.

Allora la bipede anguilla, evitando sempre di guardare gli occhi chiari, disse:

??? Mi sembra che la cosa si vada illuminando. ?? probabile che si tratti veramente d'una guardia. La guardia deve aver trovata la signora in Piazza d'Azeglio, che appunto verso sera ?? mal frequentata nell'ombra del giardino. Colpito dal contegno strano, ha commesso l'errore.... Faremo le ricerche. Sapremo tutta la verit??.

Paolo udiva la parola di vituperio risonare nella stanza, una volta, due volte, tre volte; e, dopo ciascuna volta, una pausa come dopo un colpo che atterra. Rivedeva quella faccia distrutta, simile a un pugno di cenere. Poi risentiva soffiare su s?? la feroce ins??nia, rivedeva s?? nell'atto di percuotere l'atterrata sul viso su le braccia sul petto, ruggendo l'ingiuria.

Poteva il destino schiacciare la povera creatura con un calcagno pi?? lurido? Quale invenzione mai poteva eguagliare quella realt??? L'ultimo urto per abbattere quella ragione vacillante era stato dato dal caso con una sapienza degna della pi?? lenta premeditazione. E l'ultima voce, udita a traverso la nera distanza, non pareva [487] avere annunziato l'infamia? ??Tu lo sai quel che sono, tu l'hai detto....?? L'avevano presa per un'adescatrice di passanti in un giardino publico. Certo, nel terrore, ella aveva dato l'indirizzo della casa d'amore, sperando di trovare il rifugio e la difesa. E l'avevano ricondotta a quella casa come a un postribolo, come per essere restituita al luogo del suo mestiere immondo! E la porta era chiusa. Battuta dai pugni e dai calci, era rimasta chiusa.

Paolo guardava la striscia di sole sul tappeto, attonito. La vita era veramente quale gli era apparsa nella caligine piovigginosa, l'altra notte, sotto il portico, tra la carneficina e l'oscenit??, tra il Caff?? e la Farmacia. Per giungere a questo egli aveva costruito le sue ali?

Usc??. Si sofferm?? a pi?? della scala; guard?? il ferro della ringhiera e i gradini di marmo bianco. ??Vale la pena di colare a picco, se non per altro, per non aver pi?? in fondo alle pupille quella fiammella giallastra che iersera illuminava la scala e che ?? la cosa pi?? lugubre della terra, pi?? lugubre del vomito fetido di un avvoltoio dopo la morte, o Vana beata, martire salva!??

Rientr?? nella casa vera, in quella dove l'imagine di Giulio Cambiaso era chiusa nella custodia di lutto. ??I minuti di Pratolino, la sosta per accendere i fanali! Ecco i giochi della vita. [488] Ma, dal momento in cui la vettura col triste carico si mosse, dove fu condotta la povera creatura? dove fu trascinata, sino al momento in cui forse disse il suo vero nome e diede l'indirizzo della sua casa vera e vi fu deposta???

Un solo uomo in quella sciagura poteva aiutarlo: il dottore. L'aveva incontrato poche volte, aveva scambiato con lui poche parole; ma aveva s??bito sentito, in quella struttura quadra, in quella mano larga, qualcosa di saldo, di leale, di generoso: una bont?? lucida e virile, una energia misurata, un intelletto vigile. Lo cerc??, lo trov??. Non lo trov?? soltanto in presenza, lo trov?? in anima.

Aveva gi?? visitato la demente; appariva triste e perplesso, poich?? non conosceva l'episodio della cattura se non nel ritorno dell'infelice accompagnata dai due sconosciuti e riconsegnata al portinaio. N?? Paolo aveva cuore di confessargli la sua miseria e la sua ins??nia.

??? L'ho trovata ??? disse il dottore ??? non nel suo appartamento ma in una piccola stanza del mezzanino, in una specie di sottoscala, dov'ella si rifugi?? iersera come in una tana, risoluta a non pi?? uscirne. Il fratello e la sorellina sono a Volterra. Ora la povera creatura sa che il padre e la matrigna si sono gi?? stabiliti nel palazzo. Per aver soltanto intraveduto la nemica a cui d?? il nome di Sciacallo, [489] ella ha gittato tali grida di terrore che, dianzi, la gente era assembrata sotto la finestra.

Paolo appariva cos?? contraffatto che il medico s'arrest??.

??? Continui ??? disse egli, come se non fosse sotto la parola ma sotto il ferro operatorio. ??? Continui, prego.

??? Per quanto io abbia cercato di persuaderla, non m'?? riuscito di trarla fuori dalla sua tana dove non c'?? che il nudo muro, una vecchia branda e qualche sedia sconnessa. Il delirio ?? violento, e non so anc??ra determinarne tutte le cause. Dianzi, alle mie persuasioni rispondeva: ??Non posso, non posso pi?? uscire di qui. Le guardie mi arrestano, mi portano alle Murate. Sono scritta nel libro della Questura. Non sa, dottore, chi sono io? non lo sa? Prima c'era uno solo nel mondo, che lo sapeva e lo diceva. Ora quest'uno ?? andato e m'ha scritto nel Libro. Le guardie mi conoscono. Tutti mi conoscono. Come vuole che io esca di qui? Non mi chiamo pi?? Isabella Inghirami. Sa, dottore, come mi chiamo io? Vada, scenda nella via, lo domandi al primo che passa. Come vuole che io esca di qui, con questa bocca? Non vede come mi sanguina? Prima fu una piccola goccia, una piccola piccola goccia. Vana la vide, Vanina la vide, e m'asciug??; con un piccolo fazzoletto m'asciug??, e poi lo serb??; serb?? [490] la macchiolina rossa, e aspett??. Ora, vede?, ora non faccio che leccare il mio sangue, e mai non stagna. Chi m'ha pestata cos??? Quello, sempre quello, quello che m'ha scritta nel Libro....??

??? Continui, prego.

??? Ma, signore. Ella sta male.

??? No, dottore. Continui.

??? Ora, in realt??, l'inferma ha le st??mate nella bocca. Le gencive sanguinano intorno ai denti, le labbra sono arse e screpolate, tutti i muscoli del viso sono stravolti. E certo ?? questa la pi?? intensa delle sue idee deliranti; ma ve n'?? qualche altra, forse pi?? tormentosa e di natura pi?? grave, di cui non so scoprire l'origine.

??? Dica, dica. Quale?

??? Forse Ella pu?? illuminarmi. L'inferma, a intervalli, crede di sentire qualcuno che cammina sotto il suo cranio, un passo concitato che suona dietro l'osso della sua fronte; e il suo terrore di quel supplizio e dell'eternit?? di quel supplizio ?? tale che non si pu?? assistere all'accesso senza profondo strazio. N?? gli intervalli le danno riposo, perch?? ?? di continuo nello sgomento e nell'attesa di riudire il passo. Se parla, si arresta per ascoltare. Quando l'ode avvicinarsi, si curva tutta sopra s?? stessa, e rompe in supplicazioni confuse che non son riuscito a intendere, cos?? forte il terrore le fa tremare le mascelle. Ma una volta ha detto, [491] sotto voce, con un accento infantile: ??Bisogna andare andare, mettersi in cammino e andare, coi nostri piedi, chi sa dove....?? E mi sembra che in questo delirio entri per qualche parte la sorellina; perch?? a un certo punto ?? balzata in piedi, con una eccitazione spaventosa, gridando: ??Ah no, questo no! Mi porta via Lunella, mi si prende Lunella! Ah, questo no! Non me la togliere! Dove la porti? dove la trascini? non vedi? ?? piccola, non pu?? seguirti.... Lasciala! Perch?? mi fai questo? Non vedi come sono? Non posso farti pi?? male. Tu mi cammini sopra, tu mi passi sopra. Sono diventata la tua via....??

Paolo si stringeva le tempie fra le mani, e accennava di non poter pi?? udire. L'insonnio, il digiuno, la stanchezza, la violenza delle commozioni finalmente rompevano la sua forza. Le tempie gli si spezzavano. Lo spasimo corporale attut?? l'altro dolore. Egli non pot?? fare altro che distendersi e rimanere lunghe ore nell'immobilit?? e nel buio.

E questo fu il primo giorno dell'ultima prova.

 

Il secondo giorno, dopo una notte in cui l'insonnio e l'incubo si alternarono, egli rivide il dottore. Il delirio della demente era cresciuto. Non era stato anc??ra possibile trarla dalla tana senza provocare una resistenza pericolosa. Il [492] padre e lo Sciacallo, che a vicenda custodivano l'adito, avevano espresso il loro pensiero su la necessit?? di chiudere l'inferma in una Casa di salute. D'entrambi, e della feroce cupidigia ch'essi celavano sotto la sollecitudine, il dottore fece un ritratto spietato. Il proposito fermo d'impedire il delitto, a qualunque costo, ridiede all'agitato la pacatezza esteriore.

??? Che cosa posso io fare per salvarla? ??? dimand?? egli. ??? Crede che le gioverebbe rivedermi?

Il medico rimase perplesso.

??? Parli senz'alcun riguardo. Non mi risparmi, La prego.

??? Quando l'inferma evita di dire il nome di quegli che la fa sanguinare, ??? rispose con tristezza e con piet?? l'uomo dalla larga mano ??? qual nome essa tace?

??? Il mio. ?? vero.

Un silenzio penoso piomb?? su entrambi.

??? Che accadde dall'ora in cui essa usc?? sola all'ora in cui rientr?? accompagnata dai due sconosciuti? ??? chiese il medico guardando dirittamente gli occhi chiari. ??? Pu?? dirmelo?

Paolo raccont?? quanto sapeva, senz'alcuna omissione.

??? Ora comprendo molte cose ??? disse il medico ??? e tra le altre questa, la pi?? grave. L'inferma ?? convinta che fu presa per vendetta di [493] ??quell'uno?? e che, quando dagli uomini fu battuto alla porta, quegli era dentro e udiva gli oltraggi e godeva della vergogna, e non apr??. Paolo balz?? in piedi tremando per tutte le membra.

??? Mi odia, dunque.

??? Noto che d'ora in ora l'avversione diviene pi?? acre e assume forme pi?? crude. Stamani, nell'accesso, per la prima volta ha proferito sillaba per sillaba la parola infame che la marchi??, secondo essa dice.

Paolo non sopportava quegli occhi limpidi che lo guardavano; n?? poteva gridare la sua discolpa. Ma accoglieva la fatalit?? del male che la misera gli faceva e nell'amore e nella demenza e nella morte. E tacque; e specchi?? la sua solitudine nel suo duro silenzio come in una lastra di marmo nero.

 

Nel terzo giorno ricomparve l'uomo sgusciante dalla voce dolciastra e dagli occhi fuggevoli. Veniva ad esporgli il risultato delle sue nuove pratiche.

Rest?? sempre in piedi, parl?? sommesso.

??? Nel pomeriggio di marted??, verso le sei, la signora fu vista su la scalinata di San Firenze. L'indicazione della Piazza d'Azeglio, data per errore del domestico o per inganno del vetturino, era falsa e forvi?? le ricerche. Tutta [494] l'avventura si svolse su la Piazza di San Firenze fra le sei e le sette e mezzo circa. Dopo avere esitato, in preda a un'agitazione palese, la signora entr?? nella piccola porta che mette nella cappella. Quando ne usc??, prese una vettura e diede l'indirizzo di Borgo degli Albizzi. A mezza strada si pent?? e ordin?? di tornare indietro. Si ferm?? di nuovo dinanzi alla Chiesa, ed entr?? per la stessa porta. Quando ne usc?? la seconda volta, era gi?? buio. Come dava in ismanie, un uomo alto e magro si avvicin?? a parlarle. L'uomo chiam?? un suo compagno, dichiarandosi agente di polizia. Ed entrambi fecero salire la signora in un'altra vettura e la condussero l?? dove accadde la scena raccontata dal domestico di Mrs. Culmer. Pochi minuti prima delle otto e mezzo, i due uomini fecero di nuovo salire la signora nella vettura e la condussero in giro, senza meta, aspettando che si rivelasse e desse una indicazione certa. Come passavano per la piazza Beccaria, si fermarono dinanzi al Caff??. Discesero; si sedettero a una tavola. La signora bevve qualcosa; anch'essi bevvero. Quanto tempo rimasero l??? Uno d'essi, il magro, diceva: ??Non la lascio se non la porto a casa, se non scopro chi sia e dove abiti.?? Sembra che finalmente, verso le dieci, la signora abbia dato l'indirizzo di Borgo degli Albizzi. I due ve la condussero. Il magro (poich?? [495] l'altro taceva sempre) dichiarandosi agente, fece firmare al portiere una carta, un piccolo pezzo qualunque di carta. La signora smaniosa disparve su per le scale. I due accompagnatori si allontanarono. Le ricerche minutissime, compiute per trovare tra gli agenti l'uomo indicato, son riuscite vane. Nessun rapporto fu presentato al Questore. Io penso che l'uomo sia un qualche malfattore temerario che abbia tentato un ricatto. Le ricerche tuttavia continueranno.

E il delegato se ne and??, con la solita aria cerimoniosa e strisciante.

Paolo Tarsis vide il Caff?? ignobile; vide Isabella Inghirami ??? la creatura di tutte le grazie e di tutte le eleganze, la grande farfalla crepuscolare che aveva vinto di levit?? tutte le aure dell'Estate, quella medesima che aveva potuto d'improvviso estrarre s?? dal suo masso come una statua severa e assomigliarsi alla grande Aurora michelangiolesca ??? la vide seduta tra i due ceffi, dinanzi a un bicchiere impuro dov'ella bagnava le labbra riarse....

 

E il quarto giorno fu il giorno di Tamar.

Prima il dottore domand??:

??? Pu?? dirmi qualcosa della femmina dal grembiule rigato?

??? Non comprendo.

[496] ??? L'inferma a quando a quando vede una femmina rossiccia e albina con un grembiule rigato ??che odora di quell'odore??. Rifiuta di coricarsi perch?? dice che le hanno messo nel letto il lenzuolo cucito da colei, il lenzuolo di tre ferzi. Non conosce nulla, degli ultimi tempi, che possa illuminarmi?

??? Nulla.

Tacquero per un poco, pensosi.

??? E l'odio? ??? chiese Paolo Tarsis. ??? Aumenta?

??? ??E poi Amnon l'odi?? d'un odio molto grande.?? Ha una Bibbia?

??? L'ho.

E Paolo cerc?? la Bibbia e la diede al medico.

??? Ogni giorno porta un nuovo atteggiamento misterioso ??? disse il medico. ??? Iersera essa ebbe una tregua fra due tempeste. La tremenda irrequietudine del corpo cess?? per un tratto. Consent?? a sedersi. Aveva rifiutato il cibo ostinatamente. Era d'un pallore e d'un'emaciazione mortali. I sussulti, gli sguardi, i sobbalzi erano placati. Solo persisteva il gesto perpetuo di premersi le st??mate della bocca. Stette fisa alquanto; poi recit?? con un accento inatteso un versetto della Bibbia: questo.

Cerc?? nel Secondo Libro di Samuele, e lesse:

??? ??E poi Amnon l'odi?? d'un odio molto grande; perciocch?? l'odio che le portava era [497] maggiore che l'amore che le aveva portato. Ed egli le disse: L??vati, vattene via.?? Io allora bruscamente le domandai: Chi ?? Amnon? Rispose: ??Quegli che mi cacci?? e serr?? l'uscio dietro a me,?? Poi divag?? oscuramente. C'?? dentro di lei un travaglio cos?? fiero che, per contenerlo, non le bastano le sue forze umane. Nella pi?? torbida delle sue tempeste d?? prova d'una incredibile potenza di costrizione. Sento di continuo il suo sforzo intorno a un nucleo profondo della sua coscienza, su cui essa poggia e preme con tutta s?? come per impedirgli d'insorgere e di manifestarsi.

Rest?? in pensiero, col libro tra le mani, con l'indice intromesso tra le pagine, nel luogo di Samuele. Egli aveva la maniera dei grandi confessori, dei grandi maneggiatori d'anime: tentava il segreto, con una tentazione quasi inavvertita; poi aspettava in silenzio ma facendo imperiosamente pesare nel silenzio tutte le cose non espresse.

Dopo un lungo intervallo. Paolo domand??:

??? Aldo, il fratello, non la vede? non ha cercato di vederla?

??? Credo che sia malato a Volterra. N??, se venisse, lascerei che la vedesse. Per ora sono costretto a prescrivere il pi?? rigoroso isolamento. La difendo cos?? anche contro il padre, e contro quell'altra.

[498] Successe una nuova pausa.

??? E Isabella non ha mai chiesto di lui? ??? domand?? Paolo, con una voce ch'egli credeva aver chiarito prima di emetterla e che usciva colorata del suo cupo sangue come quel rigagnolo fumido dei bulicami volterrani arrossato dalla rubrica dopo la pioggia dirotta.

??? Non ho finito di raccontarle la storia di Amnon ??? rispose il medico, riaprendo il libro. ??? L'inferma delirava interrottamente, sotto un'imagine dominante. Non ho mai veduto le linee del volto umano decomporsi e ricomporsi come quelle. La sua forma espressiva sembra una materia in fusione, una materia condannata a una metamorfosi che si travagli e non si compia. D'improvviso, dopo una specie di lungo soliloquio incompreso, con una chiarezza che sbigottiva lei medesima nel dire, disse: ??Eppure, la colpa di cui m'accusate, io l'ho commessa; e non debbo discolparmi.?? Allora io ripetei la mia domanda guardandola nelle pupille: ??Chi ?? Amnon??? Ebbe uno di quei sorrisi indicibili che sono nelle sue st??mate direi quasi un raggio d'ombra, assai pi?? misterioso del raggio di luce che si vede nelle rappresentazioni della st??mate sante. Poi recit?? lenta un altro versetto, traendolo dalla sua memoria come dal fuoco: ??E Amnon era in grande ansiet??, fino a infermare, per amor di Tamar sua sorella.?? [499] Allora io ripetei la mia domanda incalzandola: ??Ma dunque Amnon chi ????? Balz?? in piedi con uno di quegli impeti che la fanno somigliare a un turbine di cenere e di brace, gridando: ??Mio fratello! Mio fratello!??

 

E il quinto giorno fu il giorno della ricordanza.

La demente aveva chiesto a Chiaretta la vecchia scatola armonica dal pettine d'acciaio; il suo scarabillo. Ella s'insanguinava le dita contro le punte del cilindro, come a sei anni. Stava accosciata e china a ricevere l'aura della doppia aletta, ad ascoltare la voce piccola e infinita che saliva dal fondo della sua infanzia.

??? ?? strano ??? disse il dottore a Paolo. ??? Quel tintinno la placa, interrompe anche il suono del passo che le cammina sopra. Stamani diceva: ??Chiamatemi Lunella, rendetemi la mia Forbicicchia, che venga e porti con s?? Tiapa e le sue forbici e stia qui e intagli per me qualche figuretta, e si viva insieme tutt'e tre, e lo scarabillo suoni sempre suoni sempre!??

Paolo la rivide apparire su la terrazza, seminuda nella sciarpa lunare, con la stella cilestrina in mezzo alla fronte, recando la cosa ignota avviluppata nel pezzo di stoffa.

??? Profittando di questa specie d'incantesimo che la tiene, e del suo desiderio di Lunella, [500] son riuscito a persuaderla di lasciarsi ricondurre a Volterra.

??? A Volterra?

??? Ho ben considerato. ?? impossibile ch'essa rimanga qui, in queste condizioni. Deve tutto temere dal padre e dallo Sciacallo. La pi?? assidua vigilanza non basta. Ora la villa murata di San Girolamo non soltanto ?? ottima per quiete e per solitudine ma ha il vantaggio d'esser prossima a una Casa di cura, che ?? diretta da un uomo d'alto ingegno e di profonda coscienza, e di rigidissima disciplina, nel quale io posso pienamente confidare. Inoltre so che il padre non si oppone a questo trasporto. E non bisogna dimenticare che purtroppo la sua autorit?? ?? avvalorata dalla legge, e che conviene per ci?? traccheggiare con lui. Non frappongo indugio. Preparo la partenza per domani.

Fino a quel punto Paolo non aveva anc??ra avuto il sentimento finale del distacco, dello strappo, della separazione ineluttabile. Quel trasporto gli parve il vero tr??nsito dell'anima. Non rivide il giardino di gelsomini cantato da Hafiz, ma la Reggia della Follia e il sepolcreto. Poi si ricord?? dell'antilope ferita, dai grandi occhi teneri come gli occhi di Leila.

Per commiato, la sera volle tornare nel nascondiglio, entrare nella caverna verde. La scala era lugubre, rischiarata dalla fiammella giallastra [501] accesa sul pianerottolo; era come quella ove rimasero le macchie del sangue non lavate, dopo il delitto; era deserta e tacita, ma per lui risonava dei colpi dati alla porta dallo sconosciuto. Nelle stanze le cose cominciarono a vivere contro i suoi sensi con tanta forza ch'egli temette il contagio della demenza. Furono come Isabella, come la bellezza viva d'Isabella, come le sue trecce, come la sua nuca, come le sue braccia, come le sue spalle, come il suo petto, come le sue ginocchia, come le sue caviglie. Tutte si rianimarono, si umanarono, assunsero un aspetto patetico e consapevole. Isabella era per ovunque. S'egli si moveva, la sentiva, la toccava, aveva da lei nei precordii quei sordi tonfi, quei rossi terrori, onde l'approssimarsi della volutt?? era come l'approssimarsi dell'annientamento. I ricordi, in cos?? breve spazio, si fecero di carne e d'ossa, camminarono verso di lui su quattro branche, lo soffocarono con un respiro grave come quello delle fiere. Poi combatterono, poi si divorarono tra loro; e rimasero vivi i pi?? selvaggi, e infuriarono. ??Ricordati del mio pianto come io mi ricorder?? della parola che accompagnava i tuoi colpi.??

 

E il sesto giorno fu il giorno del vituperio.

L'ispettore cortese fece sapere a Paolo Tarsis [502] ch'egli aveva alcune notizie da comunicargli, di natura molto delicata, intorno al mistero della notte orrenda. ??Che c'?? di nuovo? che c'?? anc??ra di pi?? tristo??? si domand?? il superstite ch'era gi?? pronto al suo viaggio.

Isabella forse in quell'ora viaggiava per Volterra, a traverso le crete della Valdera, a traverso le biancane sterili; vedeva di l?? dalla collina gessosa riapparire all'improvviso su la sommit?? del monte come su l'orlo d'un girone dantesco il lungo lineamento murato e turrito, la Citt?? di vento e di macigno.

Come per accompagnarla fino ai tre cipressi, fino ai tre patiboli confitti sul poggio calvo, egli pass?? per la piazza di San Firenze prima di andare al colloquio incerto. La piccola porta, per ove ella era entrata, s'apriva sotto una finestra difesa da ferri robusti. L'andito era bianco, con le pareti coperte di lapidi e di stemmi. Appesa in alto era una lunga scala di legno; altre due lunghe scale eran poggiate sul pavimento, simili a quelle dei crocifissori. Un pergamo di legno scuro era abbandonalo a fianco dell'uscio.

Tutte quelle cose, ch'egli vedeva per la prima volta, si misero a vivere in lui come se anch'esse fossero impregnate della vita d'Isabella. Il cuore gli si gonfi?? d'una piet?? disperata, quand'egli scopri nell'ombra la piletta dell'acqua [503] santa. Vi luceva poc'acqua, dove forse la povera folle aveva intinte le dita per segnarsi, col gesto della consuetudine.

Cammin?? sopra una pietra sepolcrale, per un breve corridoio ingombro di armadii neri. Entr?? nella cappella; guard?? le lastre nere e bianche del pavimento ov'ella s'era inginocchiata, dinanzi ai balaustri di marmo che chiudono lo spazio dell'altare; guard?? con occhi intentissimi. Gli aspetti delle cose gli si stampavano nel dolore, a uno a uno, senza sovrapporsi.

??Che fece nella lunga sosta? rimase in ginocchio? si sedette? preg??? sapeva anc??ra pregare? e quale fu la sua preghiera??? Egli guardava, guardava; e gli occhi si dilatavano per tutto vedere, per tutto accogliere, e l'intero viso viveva la vita dello sguardo, come nell'ora di Mantova, come l?? dove tutti i segni erano eloquenti e tutti i fantasmi cantavano.

Sotto la cupola, nell'altare dedicato alla Vergine, una corona di cuori votivi cingeva l'imagine santa. Due lampade d'argento ardevano ai lati. E da un lato e dall'altro erano due porte chiuse, in mezzo a' cui battenti splendevano due cuori d'oro in fiamma; e su l'una e su l'altra porta era l'iscrizione: Reliquiae sanctorum. Alla parete destra, un confessionale; un altro, alla sinistra; e presso, due panche. ??Su quale rest?? seduta???

[504] Gli parve d'indovinare scegliendo, e sedette su quella. Sentiva l'ombra scendere dal lucernario. Vedeva, a traverso il cancello, la Chiesa bianca sostenuta dagli alti pilastri di pietra serena. Vedeva di l?? dalla cappella gli anditi oscuri, ingombri di stalli di armadii di confessionali. Una donna quasi cenciosa pass??, e lo guard?? con due occhi di febbre, pieni d'infinita miseria. Gli tese la mano cava, senza dimanda. Prese l'elemosina, senza grazie; e scomparve nell'ombra trascinandosi come se avesse le reni spezzate.

E sul passo della mendicante, mentre l'ombra scendeva pi?? grave dal lucernario, gli apparve in un attimo Isabella, simile a un turbine di cenere e di brace, con le st??mate nella bocca.

S'alz??, temendo le allucinazioni; attravers?? il corridoio; esc?? su la piazza. I fanali erano gi?? accesi. La massa petrosa del Bargello occupava il cielo argentino. Il campanile azzurro della Badia attendeva che alla sua punta si accendesse la prima stella. Una fila di vetture stava lungo il marciapiede, coi cavalli stanchi e tristi, coi vetturini sdraiati in attitudini di ubriachi o di mentecatti. ??Quale di quelle port?? la povera folle, seduta tra i due accompagnatori???

Per la via del Proconsolo, pel Duomo, nel chiaro e tiepido argento della sera d'aprile, and?? [505] al luogo di vergogna. Risent?? l'odore indefinibile che, con quello dell'ospedale e della prigione, ?? fra i pi?? tristi in terra. Pens?? all'ignota femmina dal grembiale rigato.

Entrando nella stanza dove l'ispettore cortese lo attendeva, fu come il torturato che passa da una muda in un'altra per l'estrema sevizia.

Di dietro il cristallo insensibile degli occhiali d'oro, l'uomo zelante disse con rapida precisione:

??? Dopo ricerche minute e discrete, ho potuto stabilire che nessuno dei due sconosciuti era agente di polizia. Si tratta di due sozii, d'una vera coppia criminale. L'uomo magro, il violento, ?? un certo Stefano Feri, una canaglia della pi?? bassa specie, sfruttatore di bagasce, ricattatore e ladro. Il grasso, soprannominato Il Canonico, ?? un certo Beppe della Luzza, abbiettissimo tra gli abbietti, che Dante avrebbe messo alla pioggia di fuoco in compagnia di quell'altro canonico de' Mozzi.

E l'uomo si compiacque della vereconda allusione dantesca, con un sottile sorriso che travers?? la visiera di cristallo.

??? Entrambi, sozii, sono di continuo in cerca di affari loschi. Come si trovavano su la piazza, quella sera? La piazza di San Firenze, la sera, ?? il ritrovo della marmaglia intanata nelle vie e nei vicoli che si diramano dietro il Tempio [506] e dietro il Tribunale. L?? presso ?? anche una specie di Caff?? bordello. I due procaccianti vi hanno il loro recapito. Ora, a qual fine si accostarono? Non ?? da pensare che fossero mossi dalla piet??, vedendo la signora smaniosa. La vedevano per la prima volta? Avevano premeditato il colpo? L'indirizzo fu dato dalla signora, o gi?? lo conoscevano? Volevano tentare un ricatto? in quale forma?

L'uomo seguit?? ad accumulare le interrogazioni con crescente effetto oratorio, al modo di Cicerone contro Vatinio, polito poliziotto ornato di tutte lettere, invero ammirabile. Contenne la voce in un tono quasi patetico, quando giunse all'ultima ch'egli grav?? di un dubbio turpe:

??? E che fecero della disgraziata vittima nella troppo lunga ora, tra la partenza dalla Sua casa e l'arrivo al palazzo di Borgo degli Albizzi? Con tutti i mezzi, se Le aggrada, conosceremo la verit??.

Paolo Tarsis indugi?? qualche attimo, prima di rimettersi in piedi. Dispens?? dalla ricerca; ringrazi??; usc??. Il mondo gli appariva come una cloaca immensa. Ogni bellezza, ogni gentilezza era distrutta. Il volto dell'Amore era osceno come quello d'un pagliaccio vinoso. Egli vedeva la divina Isabella Inghirami seduta tra il ruffiano e il sodomita, dinanzi a un bicchiere sudicio, [507] nel Caff?? male odorante. La parola di vituperio, il destino l'aveva raccolta per adempierla.

E questo fu il sesto giorno dell'ultima prova.

 

E il settimo giorno l'Ulisside drizz?? al suo cuore la parola d'Ulisse: ??Cuore, sopporta. Ben altro tu hai sopportato pi?? cane!?? E si scroll??, e prese la sua via. E la sua volont?? e il suo dolore furono una sola tempra.

[508]

 

Il d?? venti d'aprile, verso sera, Paolo Tarsis ebbe dallo statuario il messaggio promesso. I fuochi erano accesi, sotto la tettoia del fonditore. Il metallo si struggeva nel bacino. La statua aspettava per tutte le sue vene avide il sangue rovente, vestita dalla tonaca di terra, in fondo alla fossa fusoria. Un altro degli Schiavi michelangioleschi, con un colpo di spalla e un colpo di ginocchio, era per isprigionarsi dall'aspra ganga e per imbracciare le ali come cl??pei. ??D??gli, con la spalla col ginocchio e col pugno, d??gli forte, d?? la buona stratta come la stratta della morte; ch?? il vento gira al largo e ridonda, e risona come il bronzo sonante, nel battito del mare.??

Sotto la sua tettoia ardeatina, anch'egli aveva acceso i suoi fuochi. Tutto il giorno aveva lavorato intorno al suo grande airone, in silenzio, con i suoi meccanici, portando anch'egli la tunica azzurra, non temendo per le mani che gli s'eran fatte troppo bianche, tenendo ben celato il suo disegno e il suo proposito. ??Ponente una quarta a libeccio!?? Non si trattava gi?? d'approdare all'altra riva ma di naufragare al largo, alla massima distanza dalla spiaggia d'Enea. Per ci?? egli aveva atteso a rinforzare [509] i suoi congegni: aveva mutato il motore, il serbatoio, l'elica; con molta industria aveva sospesa sul suo capo, nel suo posto di timoniere, lontana dalla perturbazione del ferro e corretta, una bussola rovescia fornita d'una carta marina su cui era segnata la giacitura degli atterraggi utili, costantemente orientata dall'ago. In fine aveva detto al capo dei suoi uomini, a quel Giovanni artiere prediletto da Giulio Cambiaso: ??Domattina, alla diana, far?? un altro volo di prova.?? Sembrava che per lui su la rupe di ??rdea vigesse la conscia virtus di Turno. Non andava alla morte ma all'impresa mortale munitissimo.

In quei giorni operosi di rado aveva rotto il silenzio, se non per indicare per insegnare per comandare; ma spesso parlava col suo compagno. ??Credevi tu che ci saremmo ricongiunti??? Il ricordo gli palpitava dentro assiduo come un cuore ridivenuto duplice, gli rendeva gli accenti gli sguardi i gesti dell'essere caro, glielo faceva vivo e presente come quando lass?? reduci dai peripli e dalle spedizioni avevano costruito insieme con ardentissima pazienza i primi apparecchi e avevano tentato i primi voli.

Ben quella era l'ora propizia, l'ora di Espero, quando equilibrandosi tra le ali leggere si gittavano a valle dal posatoio rupestre o imitavano [510] il veleggio dei grandi rapaci. Ben era un'ora come quella, una serenit?? intenta e piena di nume, quando un di loro era riuscito a raggiungere per la prima volta, col bianco airone gi?? quasi compiuto, il piano che sta alla riva destra del Numico, l?? dove i Latini alzarono il tumulo arborato e lo dedicarono a Enea fatto Dio Ind??gete dopo che il fiume con le sue acque ebbe purgato e lavato in lui ogni cosa mortale e non lasciato se non l'ottima parte.

Il superstite non sentiva in s?? vivere se non l'ottima parte, contemplando i luoghi sacri e deserti, nella sua vigilia d'eroe, nella sua ultima sera. Tutto era grande e dolce come se l'Ind??gete sorridesse nell'aria senza mutamento. Tutte le cose erano semplici e grandi ma contenute in una chiostra che non le diminuiva, come nei due versi del padre Ennio sono raccolti i dodici Dei sommi di Roma. Pareva che dal lido laurente sino al castro d'Invio rinascessero gli antichi lauri moltiplicati da quello che il re Latino serbava nei penetrali insigne, a cui s'appese lo sciame fatidico. Il carme delle origini era per ovunque diffuso. Non pi?? cantava Circe ai telai delle frodi, n?? s'udiva la turba degli uomini imbestiati ululare come quando sotto il monte dell'erbe veleggiarono in salvo le navi d'Enea; ma sola cantava la figliuola di Giano il suo divino dolore, come il cigno canta [511] i versi della morte, divenuta ??vana ne' lievi venti.??

Calava la sera. A una a una, intorno a Espero, le stelle sgorgavano. Un pastore conduceva la greggia non forse all'ovile ma all'Oracolo di Fauno, laggi??, nel bosco sacro ove tra la mefite ch'esala e la fonte che suona l'antichissimo nume delle genti italiche, colcato sotto le pelli delle pecore offerte, ancor dorme vaticinando per sogni nel silenzio notturno.

Il superstite non abbandon?? la rude casa di legno e di ferro, ove le sue vaste ali biancheggiavano. Fece apprestare il letto da campo, quel medesimo ove egli aveva composto il corpo del compagno avvolto nella rascia rossa. Ricover?? i suoi meccanici nell'officina attigua; diede gli ordini per la diana; rimase solo col Pensiero dominante.

Il silenzio era come quando la Citt?? guerriera dei Rutuli dormiva intorno alla reggia di Turno, erma su le sue rupi che come le mura apparivano opera d'uomo, covando i sepolcri dei suoi morti. Non s'udiva se non il croscio dell'Incastro a valle, continuo come il tempo. Un cane uggiolava in un casale. Cigolava un baroccio su la strada di Anzio. Su i Monti Lanuvini brillava l'Orsa. Era come una notte nota che ritornasse nel giro degli anni, di molto molto lontano.

[512] Il superstite cammin?? fino alla colonna che doveva sostenere il bronzo. Il monolito anc??ra giaceva al suolo ma rialzato alquanto da fasci di frasca ch'erano come i guanciali sotto il dormente. Egli vi sedette; e, pensando all'opra che nell'ora ferveva intorno alla statua lontana, respir?? nell'anima stessa del fuoco e nell'anima del fratel suo. Aveva gi?? lo statuario gittato nel bacino l'anello?

Rientr?? nella tettoia. S'appress?? alla gabbia di papiro che pendeva dalla trave. L'airone lo sent?? e si scosse. Era uno dei due aironi tutelari che Giulio Cambiaso amava e curava, nei giorni della gaiezza. Per gioco egli s'era piaciuto di deificarli coi nomi di due antenati mitici del primissimo Lazio: Dauno e Pilumno. Erano come i Penati nella casa di legno e di ferro. Scomparso l'uno, triste e meditabondo sopravviveva Dauno nella sua carcere egizia.

??? Se potessi trovarti un posto nella fusoliera, ti porterei con me, povero solo! ??? gli disse Paolo Tarsis sorridendo, mentre gli sonavano in fondo all'orecchio le modulazioni strambe che Giulio inventava per parlare ai due vecchi Penati candidi dai piedi olivastri. ??? Proteggi intanto il mio penultimo sonno breve. Domani dormir?? assai pi?? lungamente.

Si bagn??; poi si coric?? nel letto da campo come quando essi vivevano sotto la tenda. La [513] medesima suppellettile ingegnosa, alle comodit?? e alle necessit??, era sparsa intorno, di metallo, d'osso, di bosso, di tela, di gomma.

??? La mia statua ?? fusa ??? disse, pensando che il rito del fuoco s'era compiuto.

Vide la forma traboccare, la leva abbassarsi, il turo chiudere la bocca rigurgitante, il metallo incandescente fermarsi e s??bito incupirsi nella creta e nel mattone. S'addorment??.

Albeggiava su i Monti Albani, quando si lev??. I suoi meccanici credettero che Giulio Cambiaso fosse ritornato, tanto fu insolitamente allegra la voce dei comandi. S??bito la tettoia fu piena di rombo. Le tavole tremarono, la polvere si sparse, l'airone si sbatt??. Egli prestava l'orecchio acutissimo alla settupla consonanza. I sette cilindri non erano pi?? disposti a ventaglio ma a raggiera, irti d'alette intagliate nella massa stessa dell'acciaio. La nuova elica tirava a meraviglia, astro d'aria nell'aria. I meccanici anc??ra una volta ne provarono la forza, avendo legato la fusoliera con un canapo a un misuratore metallico e questo a un palo; e il canapo si tendeva allo sforzo come se la grande ??rdea prigioniera fosse impaziente d'involarsi; e un uomo inginocchiato osservava la freccia dell'indice.

??? Pronti? ??? chiese il superstite.

??? Pronti ??? rispose la voce fedele.

[514] E l'elica s'arrest??. L'??rdea fu sciolta, fermo il battito del settemplice cuore raggiato.

??? Dauno, ??? disse il volatore appressandosi alla gabbia di papiro ove l'airone bianco era molto inquieto ??? Dauno, voglio liberare anche te, in questo bel mattino d'aprile. Forse in qualche stagno Pilumno t'aspetta.

Distacc?? la gabbia, mentre gli uomini afferrando la macchina per le traverse del corpo e per le c??ntine delle ali si accingevano a spingerla verso lo spiazzo. Pos?? la gabbia a terra e l'apr??. Sorridendo si ricord?? della parola vergiliana di Niso.

??? Daune, ??? disse ??? nunc ipsa vocat res. Hac iter est.

Ma il triste prigioniero pareva non credere alla libert?? che gli era offerta.

??? Daune, hac iter est! ??? gli grid?? il liberatore incitandolo.

L'airone ruppe lo stupore, mise fuori della carcere le lunghe zampe nericce; corse per un tratto come su i trampoli; poi, ripiegando con grazia il collo tra gli omeri e confondendo le lunghe piume dell'occipite con quelle della schiena, si libr?? a volo nel mattino.

Egli lo seguiva con lo sguardo.

??? Dove vai? di l?? dal Numico? di l?? dal tumulo d'Enea? verso Laurento? Scenderai su lo stagno di Ostia? Dauno! Dauno!

[515] Un'ala di malinconia gli batt?? su l'anima, vedendo scomparire l'ultimo dei Penati nel cielo di primavera. Tutto era nuziale. Il mare, le spiagge, le valli, i poggi, i monti erano quali Canente li guard?? con i suoi occhi limpidi e li incant?? con i suoi carmi leni, prima del dolore, prima del pianto e del sangue, prima che la figlia crudele del Sole dicesse al principe saturnio studioso di cavalli: ??O bellissimo, e non ti riavr?? colei che canta.??

??? Hac iter est.

E guard?? il Tirreno d'Ulisse e d'Enea, ch'era chiaro e dolce come in un giorno alcionio. In breve fu pronto. Non si trad?? innanzi agli uomini con nessuna parola, con nessun gesto. Egli stesso prese l'elica per le due pale e impresse il moto. Ascolt?? il tono. Sal?? sul suo sedile; s'accomod?? alla manovra, tranquillo.

??? Lascia!

Al modo dell'airone liberato, il vel??volo corse per un tratto sul suo fumo azzurrigno, poi si lev?? a gran volo, rapidamente s'inalz??, fil?? verso il mare. ??Ponente una quarta a libeccio.?? Gli artieri e i pastori lo videro seguire dall'alto il corso dell'Incastro, oltrepassare la foce, salire salire anc??ra, colorarsi d'aria, farsi esile come Dauno, perdersi nell'immensit??.

??? Vedrete che va a finire in Sardegna ??? disse ridendo il pi?? giovine.

[516] ??? Non mi meraviglierei.

Erano allegri, senza dubbii, senza paure. Soltanto Giovanni, raccattando la gabbia vuota, scoteva il capo.

Il volatore non vedeva pi?? se non acque acque acque in una infinita e chiara solitudine, senza turbamento, senza mutamento, in cui gli pareva esser sospeso e immobile su le sue ali adeguate. Era la grande serenit?? alcionia, come nei giorni favolosi del solstizio iemale; era l'albasia mattutina, senza soffio, senza flutto. Come quella quiete aboliva la rapidit??, cos?? quel silenzio aboliva il romore. Il moto dei congegni non aveva risonanza ma era simile al moto del cuore e delle arterie, che l'uomo non ode quando egli ?? in armonia con s?? e con l'Universo. Il superstite non pi?? aveva il sentimento del sopravvivere ma del trapassare. Non vedeva a faccia a faccia il suo pilota, come gi?? nell'apparire dell'arcobaleno, ma era egli medesimo quel pilota; e la sua anima era la guida della sua anima, e la sua mente era la luce della sua mente; e le sue mani, che nel lavoro avevano conservata la loro nuova bianchezza e ch'egli aveva lasciate ignude, gli parevano anch'esse una forma della vita ideale; ed egli aveva persa la memoria della riva di gi?? ma non di quel viaggio, ch?? egli si ricordava di averlo compiuto.

[517] Un repentino fulgore percosse tutta la faccia del mare come la bacchetta del musico percote la pelle del timpano con un sol colpo fiero. Egli si volse, e la sua gota fu d'oro. Le ali risplendettero con tutte le nervature palesi; i metalli scintillarono; una via abbagliante segn?? le acque. Era il Sole.

L'estasi let??a cess??. Le mani del timoniere si rinnervarono e riappresero l'arte. Egli scorse una nave che gli intersecava la rotta navigando a ostro levante; la raggiunse, in calata verso il clamore che saliva dai marinai e dai passeggeri assembrati in coperta; sorpass??, si risollev??. Il tono della raggiera ignita era pieno ed eguale; l'astro mordace dell'elica trivellava l'aria infaticabilmente; l'equilibrio tra ala ed ala, tra becco e coda era costante. La lieve brezza di ponente spirava senza colpi n?? salti ne nodi; il mare mutava colore qua e l??, simile a un drappo broccato. Ma ora il silenzio era pieno del rombo, che il volatore ascoltava di continuo nell'attesa della prima pausa. La solitudine era tutta d'acqua e d'aria, senza una vela, senza un filo di fumo, senza una linea di terra. Gli parve di percepire una pausa nella raggiera, poi un'altra, poi pi?? altre intermesse. Vigil?? il suo cuore, con un sorriso nella mente: il ritmo interno s'era accelerato. ??Che farci se l'??rdea in questa bonaccia rimanesse a galla per qualche [518] tempo? Dovrei attendere o cercare di colarla a fondo??? Il tono ridiveniva pieno. Il vento rinfrescava; il soffio intaccava l'acqua e la copriva di squame; appariva lontano una zona sempre pi?? cupa. Egli cominci?? a manovrare con attenzione pi?? acuta. ??Compagno, compagno, sar?? una bella morte! Se calcolo il tempo e la velocit??, ho gi?? percorso circa settanta miglia marine. Sono in mezzo al Tirreno. Ho una bella tomba profonda. Ti ricordi, all'isola del Tino, alla Maddalena, quando chiusi nello scafandro scendevamo verso gli orti delle Sirene??? Gli ritornava in tutto il corpo quella gioia nuova, l'insolita leggerezza, come se il senso della gravit?? fosse abolito pur sotto l'enorme peso; gli ritornava singolarmente una strana divinit?? nelle mani che sole rimanevan nude in contatto con l'acqua e potevan toccare e raccogliere per entro alla tremula alba opalina le corolle veggenti e le mostruose fami fiorite. ??Fra quanto tempo il palombaro ridiscender?? nell'abisso per trovare la Sirena che non trov?? mai???

E il tempo passava, e il tempo passava. E un'altra nave apparve, navigandogli incontro diretta a levante, verso la costa d'Italia. E la vide sotto di s?? come un chiaro guscio distinto da una piumetta di fumo. Il clamore gli giunse appena appena. Egli volava a grande altezza, [519] e la rapidit?? gli sferzava il viso entro il camaglio.

E intorno alla sua immobile aspettazione della morte incominciava un'ansia confusa che ora pareva speranza e ora pareva rammarico e ora pareva terrore. L'astro mordace dell'elica trivellava l'aria salsa infaticabilmente. Egli aveva gi?? percorso pi?? di cento miglia marine. ??La morte poteva divenire la vita? il giorno d'immolazione divenire giorno di trasfigurazione???

Egli guardava di tratto in tratto le sue mani alla manovra, le sue mani nude come quelle che sporgevano dallo scafandro; e gli pareva che vivessero con una straordinaria potenza. Erano l??, infaticabili come le due pale dell'elica, senza tremare, senza tentare, senza fallire. Il tono della raggiera ignita era pieno e gagliardo. Il Sole dietro di lui salendo per l'erta feriva le ali ma non creava l'ombra. La grande ??rdea di metallo di legno e di canape era immune dall'ombra, come sparente, come inesistente, come cosa della riva di l??, come segno spettrale. Ma in quelle due mani le ossa i muscoli i tendini i nervi erano tesi a un'opera disperata di vita, erano furenti di vita come quelle che brandiscono l'arme alla suprema difesa, come quelle che s'aggrappano al bordo del battello o alla scheggia dello scoglio nel naufragio.

[520] E il cuore gli trem?? d'un tremito nuovo, d'un tremito che per la prima volta moveva l'essere umano.

I minuti scoccavano, l'un dopo l'altro, come le scintille dell'accensione. La luce e l'azzurro e l'onda fuggivano di continuo. Quel ch'era insperato poteva esser raggiunto! Egli vedeva a faccia a faccia il suo pilota, come in quell'altro giorno funebre quando gli aveva chiesto: ??Tu vuoi? Tu vuoi???

E il cuore gli trem?? perch?? v'era rinata la volont?? di vivere, la volont?? di vivere per vincere.

Che poteva esser mai laggi??, in fondo alla linea dell'acqua, quella lunga nuvola azzurra? una catena di monti? la terra? Egli guard?? le sue mani terribili. E sent?? tutto il suo corpo proteso come per l'istinto di acuirsi, di sfuggire al contrasto dell'aria, di adeguarsi alla forma del fuso e del dardo. E sent?? le sue pupille appuntate all'apparizione lontana con una intensit?? che moltiplicava il senso per prodigio.

Era la terra! Era la terra!

E il suo amore del fratello e il suo dolore e il suo ardore furono il Sole dietro a s??, sopra a s??, furono una presenza raggiante, una immortalit?? incitatrice.

Era la vita! Era la vita!

[521] Tale quel sogno sognato con tutto il peso della carne sanguigna, con la faccia addentrata nell'origliere come la fame nella mangiatoia, col sudore che stilla, con le pieghe dei lenzuoli che lasciano nella pelle impronte come di percosse; e tale il suo sogno, tale il prodigio sostenuto con la tensione di tutte le fibre, con la durezza di tutte le ossa. E il tempo passava; e la raggiera irta rombava in ritmo; e l'astro dell'elica trivellava il cielo.

Era la vittoria! Era la vittoria!

E come allora e assai pi??, di tutta la sua volont?? egli fece un dardo inflessibile, fece uno di quei dardi che i feditori chiamavano soliferro, tutto ferro asta punta e cocca: un ferro che vedeva come nessuno mai vide, un ferro che udiva come nessuno mai ud??.

Ud?? in basso un lieve scricchiol??o, ud?? qualcosa cadere d'accanto al suo piede sinistro. Al calore, s'accorse che s'era spezzata o distaccata la tavoletta d'alluminio contrapposta al tubo di scarico, e che il getto dei gas infiammati lo investiva senza riparo. Ma vedeva la terra; la vedeva ingrandirsi, avvicinarsi di continuo, co' suoi monti, co' suoi poggi, con le sue macchie, con le sue spiagge. Il vento ora l'assaliva a colpi, a buffi, a r??foli, a r??ffiche.

Lott??, contrast??, assalto per assalto. Scorse e traverso l'onda eguale, sotto di lui, una flottiglia [522] di battelli sottomarini che navigavano con lo scafo immerso, in manovra di battaglia. Comprese che Terranova, il Capo Figari, Porto Cervo, Caprera, la Maddalena gli erano a tramontana e ch'egli aveva tenuta la rotta pi?? verso libeccio. Ma non vir??, non la mut??. Anche una volta egli aveva tracciato con l'animo una linea pi?? diritta di quella che le maestranze segnano col filo della sinopia. La costa era l??, deserta sterile e dorata; nella sua bassura, propizia all'atterraggio. Scorse una muraglia informe di fichidindia; scorse pi?? lungi in un seno verdiccio un armento presso una capanna conica. Scopr?? in una calanca una lista di sabbione, contro una macchia cupa forse di ginepri, forse di lentischi. La scelse per atterrarsi. S'atterr?? nel sogno e nel prodigio, sicuro e lieve, dismemorato e inconsapevole, quasi al frangente dell'onda.

Non clamore, non tuono di trionfo; non moltitudine pallida di facce, irta di mani. Silenzio selvaggio, erma gloria; e il mattino ancor fresco; e il respiro del mare fanciullo che le braccia piegate della terra cullavano; e la parola della segreta nutrice che sa la vita e la morte e ci?? che deve nascere e ci?? che non pu?? morire e il tempo di tutto. ??Figlio, non v'?? dio se non sei tu quello.??

Egli rest?? attonito e intento per alcuni istanti. [523] Poi fece l'atto di balzare su la sabbia; ma lo spasimo della bruciatura profonda gli strapp?? un grido, lo trattenne. Allora discese cauto, cercando intorno un sostegno. Sedette sul lido solitario; e si pose a distaccare dal piede incotto i resti del cuoio incarbonito. Come aveva esausta la forza e non sosteneva lo strazio, scivol?? fino alla riva; e tenne il piede immerso nel mare.

OPERE di GABRIELE D'ANNUNZIO

Prose scelte L. 4
 
ROMANZI
 
Il Piacere 5?????
L'Innocente 4?????
Trionfo della Morte 5?????
Le Vergini delle Rocce 5?????
Il Fuoco 5?????
Le Novelle della Pescara 4?????
Forse che s?? forse che no 5?????
 
POESIE
 
Canto novo; Intermezzo 4?????
L'Isott??o; la Chimera 4?????
Poema paradisiaco; Odi navali 4?????
La Canzone di Garibaldi: La Notte di Caprera 1 50
In morte di Giuseppe Verdi. Canzone 1?????
Nel primo centenario della nascita di Vittore Hugo ??? MDCCCII-MCMII ??? ode ??? 50
Elegie romane 3 50
Laudi del Cielo del Mare della Terra e degli Eroi
Vol. I: Laus Vit??. Legato in finta pergamena 8?????
??? Legato in vera pergamena 12?????
Vol. II: Elettra ??? Alcione. Legato in finta pergamena 10?????
??? Legato in vera pergamena 14?????
Edizione economica delle Laudi:
Laus Vit?? 4?????
Elettra 3 50
Alcione 3 50
L'Allegoria dell'Autunno 1?????
 
DRAMI
 
Francesca da Rimini 7 50
??? Legata in pergamena con fregi i nastri 12?????
??? Edizione economica 4?????
La Figlia di Iorio, tragedia in tre atti 4?????
??? Legata in pelle, stile Cinquecento 10?????
La Fiaccola sotto il moggio, tragedia 4?????
??? Legata in pelle, stile antico 10?????
La Citt?? morta, tragedia in cinque atti 4?????
La Gioconda, tragedia in quattro atti 4?????
La Gloria, tragedia in cinque atti 4?????
I Sogni delle Stagioni
Sogno d'un mattino di primavera 2?????
Sogno d'un tramonto d'autunno 2?????
Pi?? che l'amore, tragedia moderna 4?????
La Nave, tragedia in un prologo e tre episodi 5?????
Fedra, tragedia in tre atti 5?????
 
In preparazione:
 
Poesie scelte.
Le faville del maglio.
La madre folle, romanzo.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, cos?? come le grafie alternative (batt??/batt??, bramosia/bramos??a, gorgoglio/gorg??glio/gorg??glio e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.






























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Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm









Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of




electronic works in formats readable by the widest variety of computers




including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists




because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from




people in all walks of life.









Volunteers and financial support to provide volunteers with the




assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's




goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will




remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project




Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure




and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.




To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation




and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4




and the Foundation information page at www.gutenberg.org














Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive




Foundation









The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit




501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the




state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal




Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification




number is 64-6221541.  Contributions to the Project Gutenberg




Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent




permitted by U.S. federal laws and your state's laws.









The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.




Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered




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North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887.  Email




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For additional contact information:




     Dr. Gregory B. Newby




     Chief Executive and Director




     gbnewby@pglaf.org









Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg




Literary Archive Foundation









Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide




spread public support and donations to carry out its mission of




increasing the number of public domain and licensed works that can be




freely distributed in machine readable form accessible by the widest




array of equipment including outdated equipment.  Many small donations




($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt




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The Foundation is committed to complying with the laws regulating




charities and charitable donations in all 50 states of the United




States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a




considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up




with these requirements.  We do not solicit donations in locations




where we have not received written confirmation of compliance.  To




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particular state visit www.gutenberg.org/donate









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approach us with offers to donate.









International donations are gratefully accepted, but we cannot make




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ways including checks, online payments and credit card donations.




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Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic




works.









Professor Michael S. Hart was the originator of the Project Gutenberg-tm




concept of a library of electronic works that could be freely shared




with anyone.  For forty years, he produced and distributed Project




Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.









Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed




editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.




unless a copyright notice is included.  Thus, we do not necessarily




keep eBooks in compliance with any particular paper edition.









Most people start at our Web site which has the main PG search facility:









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including how to make donations to the Project Gutenberg Literary




Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to




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