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???The Project Gutenberg EBook of La Francia dal primo impero al 1871, by Heinrich von Treitschke

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org

Title: La Francia dal primo impero al 1871

Author: Heinrich von Treitschke

Translator: Enrico Ruta

Release Date: March 12, 2009 [EBook #28317]

Language: Italian

*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA FRANCIA DAL PRIMO IMPERO ***

Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni, and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net. Images courtesly provided by Alberto Mello.

ENRICO VON TREITSCHKE

LA FRANCIA DAL PRIMO IMPERO AL 1871

TRADUZIONE DI ENRICO RUTA
VOLUME II

????BARI
????GIUS.LATERZA & FIGLI
????TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI

1917

PROPRIET?? LETTERARIA

OTTOBRE MCMXVI???45237

PARTE QUARTA

LA REPUBBLICA E IL COLPO DI STATO

La repubblica e il colpo di Stato. [Scritto ad Heidelberg nel 1868.]

I.

Nei giorni che Napoleone ritorn?? da Mosca, il generale Mallet una mattina evase dal manicomio di Parigi dov'era rinchiuso. Propal?? la favola, che l'imperatore era caduto: da un momento all'altro la macchina di quel potente impero dispotico si rifiut?? di funzionare. Funzionari e ufficiali s'inchinarono al pazzo, il quale os?? dichiarare: ??il governo sono io!??. Il prefetto della Senna dispose la sala del consiglio, in cui si sarebbe adunato il governo provvisorio di Mallet: un ministro fu tenuto sotto catenacci e serrature; le truppe della guardia aprirono la prigione ai compagni della cospirazione. Quando l'imperatore venne a sapere con quale illimitata potenza era venuto fatto a un pazzo di comandare una mattina sulla capitale a sua posta, esclam?? sdegnato: ??Un uomo qui ?? tutto? I giuramenti, le istituzioni non contano nulla???. Era passato da allora un lungo tempo, in cui pareva che la vita parlamentare si sostenesse sulla libera cooperazione del popolo o almeno della classe dominante. Eppure la sostanza di questo stato era rimasta dispotica, il governo si teneva in lotte incessanti con l'umore mutevole della societ??. Bastava un improvviso momento di debolezza alle Tuileries, e un ardito colpo di mano compiuto da un piccolo partito avrebbe potuto rovesciare l'autorit?? dello stato e imporre una costituzione aborrita dalla maggioranza del paese. La rivoluzione di febbraio fu appunto un colpo di mano siffatto, non propriamente altrettanto insensato, ma appena meno ingiustificato della scesa di testa del pazzo nel 1812.

Il ministro Rouher sollev?? l'indignazione dei partiti liberali, quando espresse, tuttora sotto la repubblica, la prima e la pi?? famigerata delle sue alate parole, qualificando la rivoluzione di febbraio come una catastrofe. Se non c'inganniamo interamente, verr?? tempo in cui il giudizio della storia soner?? di gran lunga pi?? aspro, e designer?? la rivolta di febbraio come una pazzia e un delitto. Chi riconosce l'inconsistenza della situazione di fatto, e noi non abbiamo punto palliato gli errori del governo di luglio, non per questo giustifica coloro, che senza un disegno e senza una meta distruggono le istituzioni in vigore. Laddove il movimento grandioso del 1789 e la necessaria difesa della libert?? del 1830, altamente giustificati in s?? stessi, riceverono puramente una significazione pi?? elevata dalla potente ripercussione sul mondo europeo, all'opposto la rivoluzione di febbraio non ci porge nulla che sia degno di ammirazione. La sua grandezza consiste solamente nelle conseguenze, da nessuno volute, che produsse in Francia, e principalmente nell'influenza spiegata in Germania e in Italia, dove l'idea dell'unit?? nazionale, maturata in lunghi dolori, aspettava soltanto il segnale per cimentarsi nella lotta. Senza dubbio un avvenimento cos?? importante non era un caso; anzi una necessit?? profonda si annidava nel duplice fatto, che la borghesia di Francia non mosse un dito per la difesa del proprio dominio, e che un regime apparentemente consolidato pot?? cadere di botto, per un tumulto improvviso di piazza. Ma in questo guazzabuglio di debolezza che ha perduto la testa e di passione losca, solamente l'adulazione al popolo scoprir?? un segno di grandezza, la voce della sollevata coscienza nazionale.

Nella lotta per la riforma della legge elettorale l'opposizione con imprevidenza puerile si attenne al pericoloso mezzo delle dimostrazioni popolari. Il partito sovversivo, che per sua propria confessione non contava tra i seguaci sicuri a Parigi pi?? di tremila affiliati, profitt?? dell'occasione per una lotta di barricate: e la lotta pareva cessata, perch?? il re aveva ceduto e Guizot si era dimesso. La pace era conchiusa, quando di botto dalla folla ammassata davanti al ministero degli esteri part?? quel colpo enigmatico, di cui nessuno neppure oggi sa dire con sicurezza se fu un caso o l'atto precipitato di uno spaurito o una bricconata demagogica sull'esempio delle bravate consimili nella guerra della fronda. I soldati di guardia al ministero si credettero assaliti e risposero al colpo con un fuoco mortale: la folla scoppi?? in un urlo selvaggio di vendetta. Gli operai si sollevarono in cieco furore. Il re, rovesciato da quel fatale abattement du troisi??me jour paventato in tutte le rivoluzioni di Parigi, diede inconsideratamente la partita perduta prima del tempo: il partito vincitore del momento dichiar?? la repubblica. E la repubblica s'insedi?? in cima a un ordinamento amministrativo dispotico, che a mala pena era in grado di comportare un trono parlamentare. Un popolo di raffinata civilt?? ricev?? il governo dalle grida di una turba plebea nel palazzo Borbone; e questo governo improvvisato si dov?? subito completare coi nomi di una seconda lista, acclamata nel palazzo di citt?? da un'altra moltitudine di popolo. La pi?? lussureggiante citt?? del mondo fu obbligata di botto ad avvezzarsi alla semplicit?? della vita repubblicana, che in un ambiente siffatto non poteva riuscire ad altro che ad una caricatura della monarchia. Una nazione, le cui classi colte quasi alla vecchia maniera spagnuola vedevano la meta della propria ambizione unicamente nelle cariche dello stato, gett?? questo immenso potere statale nelle mani di un magistrato mobile. In verit??, l'insensatezza dei fantasticatori politici non ha mai osato una pi?? pazza incongruenza.

Trentacinque milioni di francesi riceverono per telegrafo la notizia, che il loro stato aveva cambiato regime, e si conformarono senza resistenza al nuovo ordine. Predomin?? l'apparenza, che in questo stato accentrato non sarebbe sorta la questione, decisiva in ogni paese germanico, del come si sarebbero comportate le provincie davanti al colpo di mano della capitale. Ma, col fatto, la volont?? del paese non era ancora spenta completamente. Gi?? sotto Luigi Filippo un giornale liberale aveva sentenziato, che Parigi era tuttora solamente la cittadella del potere, ma non era pi?? il cuore della Francia. Questa sentenza adesso si sarebbe avverata per un breve corso di tempo: per la prima volta dai tempi della Convenzione la provincia mostr?? indipendenza di risoluzione verso la dittatura della capitale.

La borghesia e la popolazione conservatrice delle provincie erano troppo straniate dall'attivit?? politica, le pubbliche autorit?? troppo abituate all'ubbidienza meccanica, perch?? difendessero risolutamente la costituzione giurata. Ma, passato il primo sgomento della sorpresa, la maggioranza della nazione si mise all'opera con efficace costanza e con l'istinto infallibile della disperazione, per ribattere il regime improvvisato del febbraio e scotere il giogo dei radicali e degli operai della capitale. La nazione era priva di qualsiasi attaccamento a una determinata dinastia, ma era convinta della necessit?? della monarchia e tanto pi?? della intangibilit?? dell'ordinamento vigente del diritto di propriet??; e manifest?? con sicuro tatto questo sentimento prima con le elezioni reazionarie dell'assemblea nazionale, poi col suo atteggiamento ostile verso la sommossa di luglio e in fine con l'elevazione di un pretendente al seggio presidenziale. Tenendoci strettamente a cotesti dati, noi siamo in grado di prendere la difesa del popolo contro l'indignazione di parecchi nobili francesi, i quali a proposito di questa rivolta arrabbiata alzano le spalle e sentenziano, che il carattere di tale popolo sia siffattamente originale, che si sorprende sempre di s?? stesso.

Chi si proponesse di considerare la rivoluzione di febbraio con l'animo del satirico, troverebbe nell'orribile guazzabuglio di questa societ?? in frantumi la materia rispondente. Comunque, la civilt?? mite dei nostri tempi non si sment?? nemmeno in quei giorni di vertigine. Non appena la barbarie della plebaglia si fu sfogata nel saccheggio di alcuni castelli, principi?? un governo umano e decoroso con a capo uomini personalmente integri. Tale moderazione apparve molto confortante nella condotta seguita dal nuovo governo rispetto agli Orl??ans; e con legittimo orgoglio Lamartine pot?? dire nell'assemblea nazionale: ??Nessuno pu?? rivolgerci questa domanda: che cosa avete voi fatto della vita di un cittadino???. Ma se il movimento fin dal principio rifugg?? da un inutile spargimento di sangue, esso per?? pales?? ben poco di quell'entusiasmo giovanile e idealistico, di quell'ebbrezza di speranza, che illumin?? e infiamm?? gl'inizi della prima rivoluzione. Migliaia d'impiegati spergiuri domandarono l'abolizione del giuramento politico, e la repubblica annu?? alla preghiera. Noi non spendiamo una sola parola sull'imprudenza politica di tale provvedimento: giacch?? precisamente il morso della coscienza negli uomini dimentichi del dovere dimostra, che per la media degli uomini il giuramento pure costituisce un legame di fedelt?? pi?? solido di quello che la frivolezza voglia concedere. Domandiamo semplicemente: l'anima giovanile di uno schietto movimento di popolo sarebbe stato capace di una tale manifestazione di cinico disprezzo umano? E che cosa si era mai raggiunto con la caduta della monarchia, con la slealt?? generale della burocrazia? Solamente una nuova semplice rivoluzione contro il trono, solo un cambiamento alla cima dello stato.

Nessun terzo pu?? descrivere l'inutilit?? di cotesta rivoluzione pi?? causticamente, che non abbia fatto lo stesso Lamartine con invidiabile ingenuit??. Non appena il governo provvisorio nel palazzo di citt?? si fu liberato della calca delle turbe plebee, i novelli capi dello stato si misero a tutt'uomo a fissare le grandi idee politico-sociali, che la repubblica avrebbe realizzate. I tribuni del popolo si frugarono bene nel petto per ??trovare quei pensieri che sgorgano dal cuore e che sono la suprema politica, perch?? sono la suprema natura e la suprema verit????. Giacch?? l'istinto, come c'insegna Lamartine, ?? il legislatore supremo; chi traduce nella scrittura le decisioni dell'istinto scrive sotto l'alito di Dio! Finalmente i pensatori si alzarono da sedere e con ardente entusiasmo notificarono alle turbe la seguente ??filosofia delle rivoluzioni??: suffragio universale e abolizione delle leggi di settembre (cio?? due desiderii, che Luigi Filippo in sostanza aveva gi?? accettati negli ultimi tempi del suo regno); inoltre alcune nuove acquisizioni, e cio??: fraternit?? come supremo principio statale, esterminio della miseria merc?? l'amore e, per soprassello, soppressione della schiavit?? dei negri! Giorni dopo, Lamartine aggiunse anche il principio dell'abolizione della pena di morte; in fine i grandi uomini si diedero con le lacrime agli occhi ??il bacio della vita?? e annunziarono il lieto messaggio al popolo in delirio.

Per tutto questo, dunque, le strade della capitale furono arrossate di sangue, per questo una scossa terribile fu riserbata alla pace del mondo! E che cosa sarebbe mai stato della rettitudine e chiarezza tedesca, se mai noi avessimo potuto ammirare una tale vertigine! Fu tirato fuori tutto l'armamentario della rettorica rivoluzionaria: fu chiamato al voto ??ognuno che nel suo titolo di 'uomo' porta i diritti del cittadino??: ogni francese ?? sovrano e nessuno da ora in poi pu?? dire a un altro: ??tu sei pi?? sovrano di me??. In tre giorni i vecchi partiti invecchiarono di un secolo, e come allora il gran Carnot organizz?? la vittoria della libert?? sul dispotismo, adesso il nuovo ministro dell'istruzione Carnot si mise a organizzare la vittoria della luce sulla cultura! L'albero della libert?? splendeva su ogni piazza; su ogni chiesa, su ogni edifizio pubblico l'iscrizione: ??Libert??, Eguaglianza, Fraternit??!??. Il superbo nome di ??cittadino?? cacci?? via di nuovo il cortigiano ??signore??; e il poeta popolare Festeau si diede a magnificare con iperboli spocchiose il nuovo ??Risveglio del popolo??: le g??ant souffle, un tr??ne est emport??! N?? doveva mancare la sublime semplicit?? dei liberi stati del mondo antico: un carro tirato da buoi trascin?? la statua della libert?? sotto gli occhi ironici dei parigini blas??s, e sui boulevards fu portato su e gi?? a spasso un grande bossolo di stato, in cui ogni cittadino poteva versare il suo obolo per la repubblica.

Nelle vene del radicalismo moderno non scorre una sola goccia di quell'austerit?? rigidamente morale, che anim?? un tempo i pii compagni della democrazia inglese. Perci??, non appena il rigore delle autorit?? si allenta, non si manifesta in nessun luogo la coscienza del dovere politico, anzi all'opposto si rivela dovunque solo sfrontata cupidit?? del proprio interesse sociale. Aveva poca consistenza il magnanimo entusiasmo suscitato pel momento nel popolo eccitabile, quando a teatro la Rachel declamava con fervore infiammato la Marsigliese. Neppure un sol ceto della societ??, fin gi?? agl'invalidi e ai sordomuti, si teneva dal presentare, esigendo e minacciando, i suoi desiderii all'autorit?? dello stato. Una legione di cacciatori d'impieghi assediava il governo: ogni ambizione, che non aveva trovato il suo appagamento sotto il sistema parlamentare, ora faceva ressa. Osservando la quantit?? delle nuove uniformi repubblicane e il nepotismo sfrontato che s'inocul?? nella repubblica sul modello del regno di luglio, ci ricordiamo con terrore di ci?? che un tempo Luigi Filippo aveva predetto: che, cio??, le condizioni dell'America spagnuola sarebbero state il campione della Francia. Onnipotenza dello stato e rapido cambiamento dei detentori del potere: ecco il nocciolo delle nuove aspirazioni del popolo. Nei primi giorni della rivoluzione il consiglio municipale di Parigi, insediato dietro elezione, fu subito deposto; e in suo luogo fu nominata una commissione di cittadini giudicati idonei alla carica pel fervore dei loro sentimenti repubblicani. Tutti gl'impiegati furono dichiarati senz'altro dimissibili per ragioni di pubblico bene. E soprattutto l'amovibilit?? dei giudici fu tenuta per un gioiello di libert?? repubblicana: un principio, che col fatto ebbe esecuzione e che fu difeso con ardore da Victor Hugo e i suoi colleghi. Tutto ci?? in nome della libert??! A tutti gli impiegati era dovuto dallo stato lo stipendio, a tutti gl'indigenti l'assistenza.

Dopo la vittoria gli operai l?? per l?? confermarono ancora una volta l'antico principio, che ogni classe sociale, dove proceda come classe, cade nell'egoismo, nella ???????????????????. Il parlamento operaio, che nelle sale del palazzo del Lussemburgo dibatt?? sotto la presidenza di Luigi Blanc la soluzione della questione sociale, tratt?? di tutto e di ciascuno; ma si rimase d'accordo solo in questo, che gli operai parigini lavorassero un'ora al giorno meno dei compagni delle provincie, come pure, che dei 34 candidati di Parigi alla dieta non meno di 20 appartenessero al ceto operaio! Quando gli agricoltori domandarono di essere ammessi alle deliberazioni, furono loro concessi quattro rappresentanti su quattrocento lavoratori cittadini. Posto in ansia, il padre di famiglia delle classi medie ritenne conveniente esprimere la sua alta considerazione alla nuova potenza della classe operaia. Ognuno, anche l'artista, il negoziante, l'industriale, si dichiar?? operaio, e perfino il candidato reazionario, che non poteva negare di essere affetto dal peccato della propriet?? fondiaria, si denomin?? almeno propri??taire cultivateur. Si guardava con occhi sentimentali il camiciotto di Albert, operaio e membro del governo: il camiciotto era esposto nella bottega, come indicava il Moniteur, e ognuno poteva persuadersi, che effettivamente la Francia aveva la fortuna di essere governata da un chiavare in corpo e persona. Sopra questa societ??, in cui si era destato tutto l'egoismo dei bassi ceti e ogni forte sentimento del dovere era spento, era collocato un governo, che si qualificava da s?? eccellentemente attraverso la confessione dello stesso Lamartine: la popularit?? c'est le pouvoir tout entier: un governo soggetto a ogni capriccio del popolo eccitato, senza forse nemmeno un capo universalmente riconosciuto. Un nuovo tempo era venuto, tutti i vecchi capiparte erano logori, dovunque s'invocavano uomini nuovi.

Un sintomo di rovina pi?? significativo di questi e inseparabile dai grandi rivolgimenti, era la menzogna universale di quasi tutti i partiti. La menzogna costituiva il pi?? esoso tratto caratteristico del movimento, e un ammonimento per tutti coloro che trattano i gravi affari della politica come un gioco fantastico. Troppo spesso Cormenin nei suoi libelli velenosi aveva gridato per scherno alla monarchia di luglio: ??la repubblica ?? morta davvero! Contro chi promulgate le vostre leggi di settembre, se non contro i repubblicani???. Troppo spesso la classe operaia era celebrata anche dalle persone moderate come il vero e proprio popolo, ed era ripetuta l'intelligentissima massima: ??le repubbliche sembrano guidate immediatamente dalla Provvidenza, perch?? non si vede nessuna mano mediata tra il popolo e il suo destino!??. Ora dunque la repubblica ideale era fondata merc?? l'esaltazione del quarto stato divinizzato, e sul momento apparve manifesto, che la celebrata forma di stato prettamente francese contava nelle classi colte non pi?? che pochi seguaci seri. Ma gli uni erano legati dalla forza delle loro proprie frasi, gli altri aderivano alla repubblica per paura.

Il secondo e poco meno penoso tratto caratteristico della nuova societ?? era la mancanza di riflessione prodotta dalla paura della morte. La sollecitudine per la sicurezza della borsa e della testa smorzava ogni altro sentimento. Fin dalla caduta dell'impero la nazione non aveva pi?? goduto un lungo periodo di pace interna, ed entrava quasi altrettanto affaticata nella nuova rivoluzione, come si era trovata al termine della prima. Sentiva quanto poca forza morale le era rimasta per opporre resistenza all'anarchia; sapeva per una tremenda esperienza ci?? che significava il dominio del quarto stato; e imparava ora, che nel tessuto artificiale della moderna economia fondata sul danaro e sul credito ogni perturbazione sociale si presenta impareggiabilmente pi?? devastatrice che non nelle semplici relazioni di scambio del secolo decimottavo. La paura era la grande schiava del tempo; e rimane a spettacolo memorabile e profondamente vergognoso il vedere fino a qual segno questa, che era la pi?? generale delle passioni, amareggiasse e abbrutisse le classi possidenti. Uno dei pi?? famosi masticaspavento, Dupin, confessa egli medesimo, che in quel tempo parve diventata letteralmente una verit?? l'ardita immagine miltoniana della tenebra visibile. La signora di Girardin chiuse i suoi intellettuali articoli di appendice, scritti durante il tempo della pace sotto il nome di Visconte de Launay, con una dipintura acre, ma purtroppo veritiera, dell'abbrutimento contemporaneo. La Francia, esclam??, si spezza in due eserciti col duplice grido di guerra: guillotinez! fusillez! Gli uni vogliono il saccheggio, gli altri la difesa dai saccheggiatori con tutti i mezzi del potere.

Il contrasto degl'interessi tra il terzo e il quarto stato, che dopo i giorni di luglio era apparso appena leggermente e confusamente, nel febbraio scoppi?? subito violento, e sentito con lucidit?? di coscienza. Gli operai si erano battuti per le strade; la borghesia, che durante la battaglia si era tenuta in disparte, fece presto a riacquistare il senso delle cose e a capire che nella sanguinosa lotta di classe le toccava lottare a che fossero strappati al quarto stato i frutti della vittoria. Perci?? anche i vecchi repubblicani del medio ceto, come Arago e Marie, principiarono di botto a perdere le staffe del loro ideale. Perci?? perfino il misuratissimo Tocqueville parl?? con passionata violenza dei repubblicani borghesi, del maledetto color di rosa in politica; perch?? questo pugno di ben pensanti fantasticatori aveva ingenuamente improvvisato una forma di stato, che non poteva derivare la forza di vivere altronde che dal dominio del quarto stato. Ma nessun popolo colto, e tanto meno l'accentrata Francia, pu?? stare senza governo, nemmeno per un istante. La repubblica esisteva di fatto, teneva frattanto in suo potere la macchina burocratica, offriva la sola garanzia possibile per la sicurezza della borsa. Perci?? avvenne, che gli stessi borghesi che nel loro intimo esecravano la repubblica e i suoi fondatori, si dichiararono unanimemente pel nuovo governo. Gli stessi nomignoli di partito, ??repubblicano di oggi?? e ??repubblicano di ieri??, tradiscono la corruttela morale di questa societ?? frustata dalla paura. Come profondamente era discesa la intellettuale nazione, se applaudiva le frasi vuote di Lamartine, perch?? il poeta metteva avanti la faccenda dell'??ordine??! Lo stesso maligno cospiratore Caussidi??re fu ammirato dai borghesi riconoscenti. Costui aveva costituito una guardia di polizia con gli eroi delle barricate, e questi baldi compagni ??creavano l'ordine col disordine??.

Nessuno meglio del partito vincitore conosceva il valore di cotesti omaggi ai poteri del momento. Perci?? annunzi?? il principio: ??la repubblica ?? al di sopra del suffragio universale??; contest?? al popolo e alla rappresentanza popolare il diritto di ristabilire la monarchia, e volle il differimento delle elezioni fino a quando il popolo fosse istruito. Ledru-Rollin comand?? ai prefetti di prendere tutti i provvedimenti che assicurassero alla repubblica la cooperazione del popolo! Conseguentemente volle subito mandare nelle provincie commissari con poteri illimitati, secondo l'uso della Convenzione, per plasmare la nazione. Saggiamente, non fu sottoposta immediatamente al voto generale la domanda: riconoscete la repubblica? L'elezione per l'assemblea nazionale fu ci?? che gli americani del nord chiamano a Hobson-choice: un'elezione, in cui non ?? possibile un no. Solo il cieco dottrinarismo della nuova democrazia francese poteva dare un qualsiasi valore al fatto per s?? stesso comprensibile, che i deputati eletti in nome della repubblica salutassero il nuovo regime con diciassette o con ventisei voti. Come stavano le cose, importava solamente la voce: noi vogliamo che lo stato sussista. L'enorme maggioranza dei deputati era decisa a sostenere la repubblica fino a quando fosse stata l'ultimo baluardo della propriet??, e a scavalcarla immediatamente, non appena si fosse presentata la possibilit?? della monarchia.

Lo spacco profondo, che separava la societ??, correva anche attraverso il governo. Il caso aveva collocato cotesti uomini sulla breccia della societ??; e governavano, come disse incisivamente Lamartine, pel diritto del sangue versato che bisogna stagnare. Magari tutti i membri del governo avessero avuto parimente salda e chiara soltanto la volont?? di stagnare quel sangue! Invece, accanto ai repubblicani moderati, quali Lamartine, Arago, Dupont, il crudo radicalismo era rappresentato in tutte le sue gradazioni, fin gi?? al comunismo, da Ledru-Rollin, Luigi Blanc, Albert. Le passioni di classe della borghesia e degli operai, eccitate al pi?? alto grado e pel momento inconciliabili, ecco che avrebbero dovuto intendersela tra loro entro l'ambito di un governo! Il mondo civile non disconoscer?? mai al Lamartine, quanto spesso nei primi giorni dello scompiglio abbia fronteggiato la furia, degli anarchici ora con frasi impetuose, ora col pronto dileggio, sempre con alto coraggio personale. Noi sopravviventi di quella et?? sappiamo bene, che un singolo uomo, e tanto pi?? un uomo di lettere, poteva assai scarsamente a quei tempi, e sappiamo pure come risibilmente abbia esagerato i propri meriti il vanitoso tribuno del popolo; nulladimeno egli per un momento parve davvero il campione del terzo stato e della propriet??, e fu esaltato come tale ben oltre le frontiere della Francia dai pi?? entusiasti oratori della borghesia. Fece del suo meglio per serbare incolume ai francesi il loro glorioso tricolore, ed espi?? in tal modo una parte della colpa, gravante su di lui, di avere egli stesso scatenato improvvidamente la rivoluzione. Ma il coraggio del bizzarro sognatore riusc?? solo per un momento a calmare la paura dello spettro rosso: egli stesso, Lamartine, qualifica l'andazzo del suo governo come un correre verso un lontano oscuro, marcher vers l'inconnu. Alla debolezza dei moderati parve soprattutto impossibile stabilire l'unit?? nel seno del governo ed escluderne i democratici sociali; d'altronde si temeva che un passo ardito non provocasse lo scoppio della guerra civile. Perci?? tra i membri di questo governo esisteva cos?? poca coerenza, che Lamartine non sapeva proprio nulla del pazzesco disegno di Ledru-Rollin d'inviare in tutto il paese commissari come quelli della Convenzione!

I repubblicani moderati al governo non erano liberi, toccava anzi a loro portare le conseguenze della propria misura, e, una volta che avevano abbattuto il trono con l'aiuto dei comunisti, lusingare almeno con parole sonanti la cupidigia dei loro alleati. Lamartine dichiar?? che lo stato, la provvidenza dei forti e dei deboli, aveva in caso di necessit?? l'obbligo di procurare lavoro ai bisognosi. Carnot annunzi?? che l'economia politica, finora scienza della ricchezza, sarebbe divenuta d'ora in avanti una scienza della fraternit??. Di gran lunga pi?? pericoloso sonava il linguaggio dei giornali ufficiosi a proposito della propriet??, e la cosa non si ferm?? alle parole, I finanzieri moderati Garnier-Pag??s e Duclerc compilarono un disegno d'imposta progressiva, e intendevano di raccogliere nelle mani dello stato l'amministrazione delle ferrovie, delle banche, delle societ?? di assicurazione. L'occhio acuto di Cavour discerse subito, che cotesta condiscendente debolezza dei moderati avrebbe incomparabilmente pi?? che non la minaccia del rosso spaventati i possidenti. Cotesti esperimenti economici non si accordavano quasi a parola coi provvedimenti proposti dall'icario Cabet per arrivare a poco a poco dall'ordinamento costrittivo della propriet?? privata all'eden comunistico? E non si viveva gi?? in pieno paradiso comunistico, se lo stato costringeva i risparmiatori ad accettare titoli di rendita di stato in luogo dei 335 milioni di lire di pure rimesse, che avevano depositato nelle casse di risparmio, e per giunta assegnava loro un ottavo in pi?? sulla rendita? Gi?? ricompariva il sinistro disegno di emettere assegnati in quantit?? arbitraria; e solo con gran fatica fu combattuto da Fould e dallo scritto occasionale di Bastiat Maudit argent. Marie, ministro dei lavori pubblici, aveva gi?? aperto le sue officine nazionali; e vi accorrevano in folla migliaia di operai senza pane, i quali percepivano dallo stato il salario del loro non far niente. Il ministro nutriva la puerile fiducia, che queste turbe pagate dalla repubblica avrebbero formato una guardia di sicurezza contro il comunismo. Anche Luigi Blanc trov?? ridicole tali speranze, e infatti gli operai profittarono della loro vita in comune nelle officine nazionali per organizzarsi militarmente alla guerra delle barricate. Nessuna meraviglia, che di 1329 milioni di entrate quell'anno 613 milioni, cio?? 61 milioni pi?? che nel 1847, siano stati spesi nella sola capitale!

Il pavido borghese aveva tuttora davanti agli occhi le terribili scene dei giorni di febbraio, quando la folla urlante, guidata da un macellaio che brandiva la coltella, si precipit?? all'assalto del palazzo Borbone; e i conquistatori delle Tuileries non furono indotti ad uscire dal castello reale, se non dopo assicurati, che non si sarebbero loro perquisite le tasche. Per giunta, ecco che Ledru-Rollin rievocava le ombre sanguinose di Robespierre e di Saint-Just, e i suoi onnipotenti commissari gi?? principiavano nelle provincie a condonare qua e l?? le tasse sui salari, per spianare il terreno al dominio del comunismo pratico. Dalle moltitudini saliva per mille voci il grido: ??Deve sparire la propriet?? o la repubblica! Il rosso dell'amore tra gli uomini sostituir?? i colori, la tricolore de nos devanciers, di un'et?? superata! Abbasso tutti i vizi dei tempi monarchici, e prima di tutto l'eredit?? dei beni e dei titoli!??. Quando i radicali moderati posero la repubblica al di sopra del suffragio universale, Proudhon si diede a un pensiero anche pi?? ardito e dichiar??: la rivoluzione ?? al disopra della repubblica! Non era dubbio, che dietro quel grido di delirio non fosse sempre una decisione seria. Se anche il pathos della prima rivoluzione non era andato immune dall'esagerazione rettorica, ora i luridi fogli della nuova repubblica condotti alla maniera di Marat mostravano del tutto una sete di sangue epigonica, falsa, spasmodicamente sforzata. Tuttavia si comprende benissimo, che da tali minacce una societ?? di godimento e di lavoro concepisse un cupo e cieco terrore.

Durante lo stesso febbraio la rendita al cinque per cento discese da 120 a 55: l'esportazione degli articoli della moda parigina di primavera si arrest?? completamente. Nella citt?? dei forestieri intere file di case erano vuote, centinaia di macchine erano ferme, e al popolo senza lavoro la repubblica come primo benefizio port?? un'imposta addizionale di 45 centesimi: un peso che non era menomamente compensato dall'abolizione dell'imposta sul sale. Anche Bonaparte dopo il 18 brumaio aveva iniziato il proprio governo con un inasprimento d'imposta del 25 per cento; ma il popolo lo toller?? di buona voglia, perch?? desiderava il nuovo dispotismo. Ora, invece, la repubblica esecrata veniva in un'ora infelice ad aggravare i balzelli; e per tutte le classi di possidenti corse un grido di collera. Borghesia e agricoltori si tennero compatti come un sol uomo, unanimi non gi?? in un qualsiasi pensiero politico, ma nella passione della propria conservazione. Come a quel tempo in Prussia i contadini a Berlino erano i pi?? fedeli alla bandiera del re, cos?? in Francia i piccoli ortolani del contorno di Parigi erano i pi?? fieri nemici del comunismo. L'aforismo tanto biasimato di Machiavelli, che l'uomo perdona pi?? facilmente l'uccisione dei genitori e dei fratelli che il furto del suo avere, ebbe in quest'occasione la conferma. A torto i nemici del comunismo si arrogarono il titolo di partiti moderati; una parola arguta, in modo incomparabilmente pi?? calzante, designa i due partiti come la montagne rouge e la montagne blanche. Fanatismo e violento furore divampavano dall'una e dall'altra parte. L'una e l'altra erano risolute a una battaglia sociale decisiva, e le elezioni per l'assemblea nazionale facevano indovinare a quale delle due sarebbe toccata la vittoria.

Queste elezioni palesarono per la prima volta ai dottrinari del radicalismo l'ingrata verit??, che nessuno ?? meno democratico della moltitudine. L'istinto della conservazione economica si mostr?? pi?? forte delle minacce dei partiti e degl'impiegati. Il ministro Carnot nelle sue circolari elettorali espresse invano un'idea altamente civile, ripetuta volentieri oggigiorno dai prefetti dell'impero: egli dichiar?? che ?? un pregiudizio reazionario la vecchia opinione, che degne doti del deputato siano la propriet?? e la cultura. Il contadino nella sua semplicit?? pensava diversamente; egli accord?? la sua fiducia solo ai possidenti, perch?? ogni proprietario ?? un naturale nemico dei comunisti. La propriet?? fondiaria fu rappresentata nell'assemblea nazionale pi?? numerosamente che non nelle camere della monarchia di luglio. La classe agricola oberata di debiti, soggetta, ignorante, s'inchin?? questa volta solamente a una autorit??: alla Chiesa. Il delirio della paura sociale aveva rideste tutte le torbide e confuse forze delle anime, anche la cieca bigotteria: mille cuori smarriti cercavano consolazione nel confessionale: la raccolta degli ultramontani principiava a maturare. Siccome appena un settimo dei francesi vivevano nelle citt?? superiori ai 10.000 abitanti, i contadini diedero il tracollo, e a palazzo Borbone accanto a un forte partito montagnardo comparve un esiguo gruppetto di repubblicani azzurri, e contro questi e quelli una schiacciante maggioranza di reazionari.

Fra tutti i parlamenti di quell'anno procelloso nessuno era pi?? infecondo, nessuno pi?? immorale. Le poche teste politiche scomparvero quasi sotto la mediocrit?? generale e l'insipienza di cotesti 900 rappresentanti del popolo. Anche gl'ingegni soffrivano sotto la gran menzogna del tempo: la repubblica aveva paura di s?? stessa. La maggioranza reazionaria considerava la repubblica soltanto come un terreno neutrale, che per fortuna sarebbe stato presto abbandonato; e la dichiarazione corrente: ??noi riconosciamo lealmente la repubblica come un governo di tutti per tutti??, esprimeva cotesto sentimento in modo molto perspicuo. Il signor Thiers che sotto la prima impressione del timore aveva gridato: ??Adesso non ci rimane che farci dimenticare,?? riprese presto nuovo coraggio, e innocentemente signific??: ??Prima io preferivo la costituzione inglese. Forse io mi sono ingannato; forse la costituzione americana ?? meglio appropriata alla Francia!??. Quanto ai legittimisti, era notorio, che agognavano il momento di una levata di scudi: il che fu loro impedito solo dalla codardia e dall'incapacit?? del loro pretendente. E un'assemblea siffatta, la cui maggioranza non credeva n?? a s?? stessa n?? alla propria opera costituzionale, avrebbe messo mano a quell'ardito lavoro per l'essere o il non essere, che forma generalmente il destino delle costituenti!

Dopo la vittoria elettorale i possidenti presero animo per abbattere le bande di operai che minacciavano la tranquillit?? della capitale. La forza del governo provvisorio si era logorata nelle lotte sociali delle prime settimane; anche la commissione esecutiva nominata dall'assemblea nazionale era insiememente, come disse Lamartine, necessaria e impossibile. Nelle classi medie si consolidava l'opinione, che solo la sciabola poteva rovesciare l'anarchia. Il poeta, le cui persuadenti parole di conciliazione erano state tuttora nel febbraio accolte con plauso dalla borghesia, ora, dopo appena poche settimane, era un uomo usato, finito. E adesso la feroce sollevazione del 15 maggio palesava da quale terribile inselvatichimento e traviamento d'idee fossero dominate le moltitudini: il ??popolo?? tent?? di annientare l'assemblea nazionale. In effetto, se nel febbraio una turba di popolo aveva potuto arbitrariamente disperdere la camera monarchica, perch?? mai un'altra turba nel maggio non avrebbe tentato il somigliante col parlamento della repubblica? ??Il popolo non viola mai la costituzione??, disse l'avvocato Michel difendendo i cospiratori del 15 maggio. Quel giorno non emerse unicamente la ferocia anarchica, ma anche la propaganda conquistatrice della prima rivoluzione: ??liberazione della Polonia, guerra alle potenze orientali!?? diceva il grido di guerra dei cospiratori. Da allora la borghesia si persuase pienamente della necessit?? della dittatura. Quando fu celebrata, il 20 maggio, la festa della Concordia e centomila guardie nazionali, ossia la borghesia armata, sfilarono per un'ora davanti alle moltitudini fitte degli operai, ognuno, preso da presentimento, ebbe ricondotto l'animo al mattino del giorno della Belle-Alliance: avvenne, come se due eserciti pronti alla lotta volessero prima della mischia mostrare l'uno all'altro la propria forza.

La decisione si avvicinava. Nel giugno la rivolta operaia esplose nella lotta sociale pi?? formidabile, che sia avvenuta nella storia moderna dopo la guerra dei contadini in Germania. Di rado i figli di un popolo si sono battuti con pari furore; e siamo in grado di argomentare quale fosse la ferocia dell'urto, se anche oggi dalla bocca di francesi intelligenti apprendiamo spesso giudizi iniquamente duri sul carattere sincero di Cavaignac. Il borghese si batteva pei suoi averi, l'operaio intendeva di godere integralmente il prezzo della vittoria della rivolta di febbraio, stata tutta opera sua; ma il soldato bramava soprattutto da lungo tempo di vendicare l'onore mortificato della divisa. L'esercito, compiuto nei giorni di febbraio il suo obbligo, aveva abbandonata senza troppa esitazione la pacifica monarchia borghese; sperava dalla repubblica un tempo di vittorie, si aspettava, quando l'Italia si sollev??, di ricalcare un'altra volta la ??via sacra?? di Montenotte e di Lodi. Ma la primavera dei popoli, in luogo di allori, gli port?? solo tormento ed umiliazione. Gi?? i vincitori di luglio avevano dimostrato poco riguardo per l'esercito; per colmo, gli eroi di febbraio non la rifinirono pi?? dallo scherno verso gli abbrutiti mercenari: aberrazione inconcepibilmente stupida e affatto non francese! Il governo provvisorio esort?? invano ??a ripristinare l'unit?? del popolo e dell'esercito momentaneamente turbata??. I soldati, la pi?? parte contadini e rimasti fedeli anche nelle variopinte uniformi alle idee sociali del villaggio, erano esasperati dal servizio incessante di quei giorni burrascosi, e per giunta si vedevano sempre pi?? esposti agli oltraggi dei demagoghi; talch?? l'esercito, che in altri tempi aveva con ardente entusiasmo offerto la spada alla rivoluzione, ora invece si trov?? subito di fronte ai fondatori della nuova repubblica con un odio implacabile.

Finalmente la bandiera rossa era a terra, l'autorit?? dello stato si era rotta con la democrazia sociale, le officine nazionali furono chiuse. La propriet?? era salvata e, ci?? che pi?? conta, si era acquistata la persuasione, che le fondamenta della nostra societ?? sono pi?? salde di quanto si credeva, e che la ??questione sociale?? dev'essere risoluta con mezzi pi?? miti di quelli affermati dai radicali degli ultimi quarant'anni. L'importanza storica di queste battaglie in citt?? consiste principalmente in questo, che la lotta e le atrocit?? avevano spianato la via a un'??ra di pacifiche riforme sociali. Evidentemente dominava la sciabola, e il governo di Cavaignac aveva innegabilmente acquistato maggior potenza e animo, che forse nessun ministero tedesco del tempo. L'infinito affetto, che la borghesia salva portava al dittatore, rivelava la paura immensa da cui in fine era stata liberata. Chi per?? guardava pi?? a fondo, certamente poteva intravvedere, che anche il nuovo detentore del potere si sarebbe logorato in poco tempo e sarebbe stato dimenticato. Anche Cavaignac, come poco avanti Lamartine, avrebbe sperimentato, che i tempi democratici amano il potere e odiano i potenti. Il suo partito, quello dei repubblicani azzurri, rimase poi come prima: un piccolo gruppo senza base nel popolo. Gli operai astiavano il loro domatore, ma i contadini e una gran parte della borghesia erano tuttora scontenti dei fatti di luglio: essi agognavano la monarchia.

Come mai una tale repubblica avrebbe potuto contare sull'amore dei francesi? Forse che in realt?? non era una schiavit?? ribellata? E potevano anche i moderati non consentire, quando Proudhon lanciava l'invettiva: ??cotesta repubblica parlamentare inzuccherata di giacobinismo e di dottrinarismo non ?? niente altro che controrivoluzione??? La capitale era sottoposta allo stato d'assedio; si discuteva la costituzione della nuova libert?? sotto la protezione delle baionette. I rivoltosi erano condotti davanti ai tribunali straordinari da leggi con forza retroattiva. La violazione delle lettere e tutte le male arti della polizia segreta erano in vigore come al tempo dell'imperatore soldato. Migliaia di operai erano deportati di l?? dal mare, e la vendetta dei trasportatori non cedeva alla rabbia dei livellatori. Questa era la libert??, e per questo il benessere del paese cadeva in rovina, per questo la superba nazione era condannata nella grande politica a una completa impotenza!

Pi?? tardi Thouvenel con giusto dolore lamentava, che durante il tempo della repubblica la sua patria in Europa fosse stata considerata assente. Sotto Luigi Filippo la considerazione del regno non aveva mai patito cos?? profondamente, giammai i suoi interessi europei erano stati trattati da fatui dilettanti con maggiore leggerezza e insensatezza. Il manifesto di Lamartine all'Europa aveva annunziato con frasi strepitose al felicitato continente, che sotto la guida della libera Francia si apriva un'??ra di fraternit?? universale. Per la perfetta tranquillit?? dei vicini, a questa ??bella pagina di filosofia nazionale?? era anche aggiunto il codicillo conclusivo: ??la Francia sarebbe felice, se le fosse dichiarata la guerra e fosse costretta, malgrado la sua moderazione, a crescere in potenza e in gloria??! Scoppia fuori da ogni parte, attraverso il fragore verbale della fraternit?? dell'amore cosmopolitico, la cupidigia d'impadronirsi del Belgio e della Savoia, la smodata vanagloria nazionale. ??Oggi le idee penetrano da per tutto, e le idee portano il nome della Francia!??. Lo stesso spirito di grandigia parla da ogni pagina della storia della rivoluzione di Garnier-Pag??s e dalla profezia di Proudhon: le frontiere delle nazioni spariranno da s??, non appena avr?? dovunque trionfato l'economia nazionale della nuova Francia. L'alleanza con la Russia secondo Lamartine ?? ??il grido della natura, la rivelazione della geografia??; e nello stesso istante desidera la liberazione della Polonia! Egli spera che la Prussia con bello esempio preceder?? le altre potenze orientali nella reintegrazione della Polonia, e non dubita che il nostro stato si terr?? contento d'indennizzarsi sui paesi del Reno, nello Schleswig-Holstein, lo Hannover o altrove, et ailleurs! Non meno stupefacente di queste vedute ?? la conoscenza che Lamartine mostra degli uomini dirigenti. Il re Federico Guglielmo IV sembra a lui un formidabile uomo di forza, ??capace di comprendere tutto, di tentare tutto, di osare tutto??! Saggi sufficienti a illustrare una sapienza politica, alla cui celeste innocenza non bastava il frasario d'uso parlamentare: ?? veramente, come dicono nella campagna di Gottinga, una politica che non mena a niente: eine Politik wo's gar nicht giebt. Con che riso sardonico l'astuto pretendente, che se ne stava da parte in agguato, avr?? dovuto intendere cotesti oracoli repubblicani! Per la salute del mondo, Lamartine non fu mai in condizione di menare ad effetto la sua geniale politica estera: tutte le forze dello stato si consunsero nelle lotte civili.

Finalmente sotto Cavaignac torn?? al ministero degli esteri un uomo d'affari, Bastide, un repubblicano rigido, cos?? poco addestrato ai maneggi diplomatici quanto lo stesso dittatore. La conquassata repubblica era tuttora a mala pena al caso di prendere una decisione nelle questioni europee, e, quando le venne fatto, segu?? fedelmente le orme di Guizot; salvo che al frasario conservatore sostitu?? il radicale. Anche la filantropica seconda repubblica fu ossequente al tradizionale principio francese, secondo il quale la potenza della Francia si basa sulla rovina dei vicini. Solo un uomo ingiusto censurer?? la Francia di avere indugiato a riconoscere il potere centrale tedesco e a ricevere ufficialmente il nostro ambasciatore imperiale Federico von Raumer, che apparve subito accanto all'ambasciatore prussiano von Willisen. Chi potrebbe volerne ai francesi, se non compresero la sottile differenza tra un tedesco prussiano e un prussiano tedesco, e se confessarono apertamente, che non sapevano che si pensare del nostro immaginario potere centrale? Un ambasciatore, il quale per l'occasione offriva al ministro Bastide un libro che aveva ottenuto un successo, cio?? le Considerazioni di un vecchio professore di storia sullo stato della Francia, non poteva seriamente aspirare ad essere considerato come il rappresentante di una grande potenza. Pi?? grave era l'atteggiamento ostile della repubblica verso la sollevazione dello Schleswig-Holstein, e addirittura riprovevole l'animosit?? invidiosa contro la lotta dei piemontesi. Intendeva accettare repubbliche figlie a Milano e a Venezia, ma non mai un vitale e potente regno subalpino. La dominazione austriaca in Italia sembrava al dittatore meno pericolosa di un nuovo generale Bonaparte alla testa di un esercito vittorioso. Quando il re Carlo Alberto sollecit?? a Parigi l'invio di uno sperimentato condottiero per le sue truppe battute, gli fu risposto con un freddo rifiuto. Noi vogliamo la libert?? dell'Italia, scrisse Bastide a Bixio a Torino, ma non la supremazia del Piemonte, che pu?? riuscire pi?? pericolosa all'Italia dello stesso governo austriaco. Con idee siffatte si riusciva solamente alle mezze misure; e la stessa repubblica veneta, che implor?? insistentemente l'aiuto della Francia, ottenne puramente l'appoggio di una innocua dimostrazione della flotta francese.

II.

In questo modo l'infelice stato tentennava, sconvolto, non libero all'interno, disprezzato e quasi senza volont?? all'estero. Di tale condizione era degna anche la nuova costituzione repubblicana, che indubitabilmente, fra le tante costituzioni nate morte di quell'anno, era la pi?? assurda. Della commissione costituente dell'assemblea nazionale facevano parte diversi uomini segnalati, come Tocqueville; e di aver menato a termine un'opera tanto incongruente la colpa fu la falsa situazione di questa repubblica mal suo grado. La lotta quotidiana e logorante per la sicurezza dell'avere e della vita non profittava certo a idee politiche feconde. I legislatori non potevano sottrarsi alla convinzione, che la Francia abbisognava di un governo forte; ma nello stesso tempo temevano l'arbitrio di una Convenzione e anche pi?? l'usurpazione di un presidente ambizioso. E si sperava di sfuggire a un tal pericolo proclamando l'idea dottrinaria, n?? ancora pienamente attuata in nessuno stato del mondo, dell'assoluta divisione dei poteri come il supremo principio di ogni governo libero. Il popolo sovrano trasfer?? il potere legislativo a un'assemblea nazionale, che sied?? in permanenza per lo spazio di tre anni senza potere essere disciolta. Quando di tanto in tanto si aggiornava, nominava a rappresentarla una commissione dal proprio seno; e quando spirava il termine del mandato, una commissione nuovamente eletta ne prendeva subito il posto. Nulla, il puro nulla era stato previsto per tutelare questo corpo di 750 membri dalle decisioni avventate: ogni legge che aveva deliberata, entrava in vigore un mese dopo, nei casi urgenti anche tre giorni dopo l'approvazione. Si poneva appena mente, che la stessa democrazia dell'America del Nord non ha rinunziato a quella fonte di mutui emendamenti e temperamenti, che costituisce il sistema delle due camere. Ma quello che decise il sistema della camera unica non fu lo zelo di eguaglianza dei radicali n?? furono le condizioni sociali di un popolo che ?? fuso in una massa compatta di contribuenti, sibbene la paura sociale dei possidenti. Noi abbiamo bisogno della dittatura, e la dittatura non comporta partizioni; solo l'unit?? del potere assicura l'ordine: tali erano le considerazioni reazionarie, che indussero la maggioranza alla sua decisione radicale. Alla repubblica una e indivisibile corrispondeva la camera una: non si volle vedere, che solo i governi dispotici godono il privilegio della semplicit??. In tal modo parve effettuato quello spauracchio di una legislatura senza limiti, che mosse un tempo Mirabeau ad esclamare: ??io preferirei di vivere a Costantinopoli piuttosto che in Francia sotto il dominio di un parlamento siffatto!??.

Ma sotto questa assemblea teoricamente onnipotente era un presidente, capo del potere esecutivo, della force publique. L'idea di porre un collegio a capo del potere esecutivo ebbe pochi sostenitori. Le tristi esperienze raccolte sotto il Comitato di salute pubblica, sotto il direttorio, sotto il governo provvisorio preoccupavano in modo purtroppo comprensibile: l'intima natura di questa nazione tendeva a un solo dirigente, vale a dire alla monarchia. La Francia a quel tempo contava in impiegati e in cittadini stipendiati dallo stato per pubblici servizi 535.365 persone, di cui 18.000 funzionari e pensionati della legion d'onore e 15.000 cantonniers, senza computarvi il numero, che non fu calcolato, degli agenti del ministero del commercio. Aggiungiamo le forze di terra e di mare quasi altrettanto numerose; consideriamo inoltre, che la Rivoluzione aveva distrutto quasi tutti i poteri indipendenti, e che da secoli dipartimenti e comuni, istituti di beneficenza e privati erano parimente avvezzi a richiedere di pi?? sussidi lo stato, e vedremo emergere chiaro, che il capo di una siffatta amministrazione era il monarca, col suo vero titolo che avr?? sempre. E cotesto uomo potente era il nemico nato della costituzione, perch?? questa proibiva che fosse eletto! Per colmo, l'assemblea nazionale diede al presidente una consacrazione, che nel mondo moderno vale pi?? dell'olio di Rheims: doveva essere eletto direttamente dal popolo sovrano. Invano i seguaci sinceri della repubblica diffidarono di una siffatta tirannide popolare, che in uno stato accentrato eguaglia apertamente il panteismo politico. Il socialista Felice Pyat predisse in un memorabile discorso il destino imminente: un presidente eletto in questo modo potr?? dire all'assemblea nazionale: ??io solo ho dietro di me tanti voti quanti voi tutti insieme, io solo valgo pel popolo pi?? di qualunque vostra maggioranza??. A tale considerazione la gente ingenua non diede peso, pensando che il presidente era eletto in autunno e l'assemblea nazionale era rieletta da capo nel successivo maggio, e che perci?? l'assemblea veniva a godere da parte del popolo la fiducia pi?? recente e pi?? efficace. Altri nutrivano preoccupazioni morali rispetto a un'elezione del presidente fatta dall'assemblea nazionale: ci?? valeva quanto corrompere l'assemblea, porre le redini dell'amministrazione nelle mani di una mediocrit?? ligia e, in conclusione, fondare un dominio come quello della Convenzione. La maggioranza dell'assemblea era ispirata dall'odio alla repubblica: voleva stabilire un potere autonomo accanto al parlamento, per poi, all'occorrenza, ripristinare il trono. Donde segu?? che i repubblicani sinceri si accordarono per la pi?? parte a seguire la via meno popolare, cio?? a propugnare l'elezione del presidente fatta dall'assemblea; i monarchici occulti, invece, seguivano la regola radicale dell'elezione popolare.

Da una parte si attribuiva al presidente una incalcolabile potenza morale, dall'altra il suo potere veniva sospettosamente circondato da limiti legali, che per un uomo onesto erano superflui, per un uomo senza coscienza erano vani. Il presidente era il capo supremo dell'esercito, nominava tutti gli ufficiali, ma gli era inibito di vestire l'uniforme e di comandare personalmente il minimo reparto di truppa: il che era un'offesa grossolana a tutte le consuetudini e alle idee tradizionali dell'esercito francese. Gli era assegnato un appannaggio, troppo alto per la virt?? di un repubblicano, ma miseramente gretto per le pretese, che la Francia era abituata da secoli a esigere dal capo dello stato: il povero diavolo, che invidiava ai deputati la loro paga giornaliera, rimpiangeva malvolentieri i tempi dei re. Il presidente aveva la facolt?? di proporre leggi all'assemblea nazionale, ma non godeva del diritto di veto, e solo poteva rimandare alla camera i disegni di legge per la ripresa in esame. Talch?? ?? obbligato a portare la responsabilit?? dell'applicazione delle leggi, che disapprova. Di pi??. Non solo ?? condannato a stare per tre anni accanto a un'assemblea nazionale ostile, senza punto il diritto dell'appello al popolo per comporre il dissidio; ma si esige anzi, che il presidente personalmente responsabile scelga il suo ministro parimente responsabile dalla maggioranza del parlamento. Sicch?? la maggioranza viveva sotto una tale ossessione di idee monarchiche, da pretendere anche dalla repubblica lo stesso regime parlamentare concepibile solo con la monarchia!

E mentre si finse di vivere a repubblica, fu mantenuto poi inalterato il dispotismo amministrativo di Napoleone, salvo alcune modificazioni sconclusionate. Fu estesa la competenza del consiglio di stato in materia di ordinanze, e devoluta la nomina dei suoi membri per sei anni all'assemblea nazionale: che era evidentemente un'insensata infrazione al principio della divisione dei poteri. In tal modo il presidente responsabile, sia nella deliberazione e preparazione dei disegni di legge, sia nell'interpretazione delle norme amministrative, doveva seguire la via prefissa da uomini, che non godevano la sua fiducia. Finora il consiglio di stato era il custode dello spirito di classe e della tradizione burocratica. Come mai l'imperiosa burocrazia avrebbe tollerato, che cotesto architrave dell'amministrazione fosse aperto alle oscillazioni delle lotte parlamentari? I legittimisti domandarono, per le ragioni ambigue che sappiamo, l'autonomia dei comuni; ma la maggioranza del parlamento rigett??, con la stessa risolutezza mostrata un tempo dalla Convenzione, ogni raccostamento al modello americano. La repubblica una e indivisibile guardava con vigile diffidenza qualunque moto tendente nelle provincie all'autonomia; e come i negozianti di Marsiglia si costituirono in associazione per ottenere la rimozione delle oppressive misure di quarantena, corse pei fogli parigini l'allarme, che il federalismo della Gironda alzava nuovamente il capo! L'amministrazione dei dipartimenti e dei comuni rimase sostanzialmente quale era sotto il re borghese: un tentativo sconnesso e dilettantesco di riforma fu arrischiato solo nei sottodistretti di dipartimento. Il circondario per l'innanzi era amministrato dal sottoprefetto con l'assistenza di un consiglio distrettuale, mentre il cantone, suddivisione del circondario, non aveva alcuna importanza nell'amministrazione e valeva puramente come circolo giurisdizionale del giudice di pace. Ora, invece, il sottoprefetto di botto veniva a comandare egli solo nel circondario, e corrispondentemente s'istituiva in ogni cantone un consiglio cantonale eletto. A questo proposito, legittimisti come F. Bechard e radicali come Lamennais avevano sovente ricordato, che la maggioranza dei comuni locali erano troppo piccoli per l'amministrazione autonoma. Per la qual ragione si pens?? di stabilire nel cantone il centro di gravit?? di una nuova autonomia. Ma i singoli membri non permisero di venire staccati ad arbitrio dalle giunture ferree dell'amministrazione napoleonica. Questo stato non tollera consigli amministrativi eletti, ai quali non presieda come capo deliberante un funzionario governativo: ragion per cui i consigli cantonali non entrarono mai in vita. Le sole riforme effettive, che l'amministrazione introdusse in questo campo, consisterono nel ripristinamento dell'inamovibilit?? dei giudici abolita nei giorni della vertigine rivoluzionaria, e nell'istituzione di un tribunale che decidesse sui conflitti di giurisdizione. Anche l'esercito rimase qual era: l'egoismo degli abbienti non volle ammettere, che la famosa eguaglianza di tutti i francesi portava di conseguenza l'universalit?? del servizio militare obbligatorio.

Domandiamo ancora una volta: in che cosa il capo supremo di questo stato burocratico si differenzia da un re? Manca al potere monarchico del presidente il carattere ereditario. Ma chi ripensa al destino toccato a Luigi XVI, a Carlo X e a Luigi Filippo, ascolter?? non senza un sorriso l'affermazione, che la moderna corona francese sia stata ereditaria. Gli mancava, inoltre, il veto: ma il diritto di veto era esercitato dai re francesi tanto di rado, quanto dagl'inglesi. Gli mancava, infine, l'irresponsabilit??; ma chi pu?? sul serio affermare, che quei tre re non abbiano portato alcuna responsabilit??? Anzi, per l'appunto il presidente, solo che fosse mediocremente un uomo, si vedeva costretto a una guerra di vita e di morte contro l'assemblea nazionale. E siccome i legislatori lo presentirono, con fiscalit?? avvocatesca provvidero che il presidente, non appena usurpasse le attribuzioni dell'assemblea nazionale, fosse spogliato sul momento dell'ufficio, che fosse immediatamente convocata la suprema corte di giustizia, e via dicendo. Ma anche tali minacce rimasero senza effetto davanti all'onnipotenza dello stato burocratico napoleonico; onde si venne a ricorrere a un'estrema garanzia: il presidente doveva giurare la costituzione. Mirabile cecit??! Tutti i giuramenti politici erano stati aboliti, e l'intera nazione aveva richiesto il diritto di non essere legata alle istituzioni dello stato per mezzo di obblighi di coscienza. Ci?? era una giusta conseguenza della libert?? dei culti. E l'unico uomo il quale possedeva come nessun altro la potenza e la voglia di lacerare la costituzione, egli solo doveva giurare! Non gli sarebbe bastata la coscienza di alzare il braccio, caso mai avesse voluto cogliere il frutto del dominio che gli pendeva seducente innanzi agli occhi. Ma, se in qualsiasi circostanza ?? sempre una difformit?? e un'imprudenza accampare terribili pretensioni che avanzano di troppo la media della virt?? umana, come ci appaiono per altro miserabili cotesti legislatori, i quali presumevano di aver salvato la rocca di una costituzione insostenibile, sol perch?? ne scaricavano la responsabilit?? della resistenza sulle spalle di un terzo!

Per conseguenza non riesce affatto strano, che in molti comuni il solo uomo che accogliesse la pubblicazione dello statuto al grido di vive la costitution! fosse il sindaco. Il duca di Broglie sentenzi?? a punto: questa costituzione ha slargato i confini dell'umana stupidit??! Parimente il vecchio furbo Dupin nel dotto commentario che fece di quell'aggeggio, seppe contenere a stento la sua malignit?? ironica. Anche nel rimanente, il contenuto della carta non era tale da sedare le perplessit?? dei possidenti. In effetto, dopo un eccellente discorso di Thiers la privata propriet?? era stata riconosciuta e l'imposta progressiva rigettata. Ma non fu possibile, in questo tempo di cupidigie, scartare l'idea del fantastico Lamennais, di preporre alcuni diritti e doveri generali, che stessero in testa alla costituzione. Donde gli edificanti insegnamenti della sapienza e della virt??, come per esempio: ???? dovere dei cittadini amare la patria e difendere la repubblica col pericolo della propria vita??; e anche qualche proposizione meno innocente, che potesse almeno interpretarsi in senso comunistico, come la seguente: ???? dovere della repubblica procacciare i mezzi di sostentamento ai cittadini bisognosi??, e cos?? via. Avendo infine l'articolo 110 affidata la costituzione alla sorveglianza e all'amor di patria di ogni francese, Ledru-Rollin ne infer?? il diritto dell'assemblea nazionale di chiamare il popolo alle armi; ma i possidenti vi scorsero tremando un avvenire pieno di guerre civili.

III.

Quell'oscillare della maggioranza tra opposte paure si spiega facilmente col fatto, che i legislatori in quell'articolo erano agitati dall'angustioso presagio di un candidato alla presidenza, il cui solo nome voleva dire la fine della repubblica. Luigi Bonaparte disse la verit??, quando nel 1850 esclam??, parlando agli alsaziani: ??Questa costituzione ?? fatta in gran parte contro di me??.

Il ripristinamento del suffragio universale, non mai a nessun patto potuto ammettere dall'homme principe Enrico V, importava pei napoleonidi il rinnovamento del titolo legittimo, al quale appunto essi dovevano il trono. A essi soli fra tutti i pretendenti era dato collocarsi sul terreno del nuovo diritto pubblico. Il nome della casa illegittima spuntava da per tutto, dovunque l'antico regime era stato distrutto; perfino nella repubblica di Venezia fu avviato un maneggio per l'elevazione della dinastia dei Leuchtenberg. Nelle lotte di febbraio, come gi?? in tutte le sommosse del tempo monarchico, presero parte separatamente anche alcuni bonapartisti; e nel tumulto al palazzo Borbone proprio un colonnello imperiale piant?? per la prima volta il tricolore sulla tribuna. Da allora non pass?? un mese senza piccole agitazioni bonapartiste sui boulevards. Fin dal 26 febbraio un proclama del governo provvisorio diceva: ??Non pi?? legittimismo, non pi?? bonapartismo, non reggenza! Il governo ha preso tutte le necessarie misure per rendere impossibile il ritorno delle antiche dinastie e l'elevazione di una nuova??. Le teste calde del partito, come in altri tempi dopo i cento giorni, si riunivano al caff?? Foy; e uno degli assidui era il deputato socialista Pietro Bonaparte, che con tanto zelo dichiarava: ??Quale uomo intelligente pu?? volere l'impero? Esso ?? ormai non pi?? che un glorioso ricordo storico: il suo ristabilimento ?? una chimera??. Nella colluvie dei fogli d'occasione che portavano sulla testata il nome della repubblica con un aggettivo sonoro, c'era anche una ??repubblica napoleonica??. La condotta del partito era determinata dalla stessa situazione: fomentare agitazioni, affinch?? l'attrito dei partiti li corrodesse tra loro, e alla fine gli abbienti guardassero a un forte potere dello stato come al supremo dei beni. Il maneggio in breve divenne tanto sospetto, che il governo provvisorio fece arrestare Persigny. Per la prima volta, dopo la sommossa di febbraio il sangue scorse il 12 giugno, in un tumulto insignificante suscitato al grido di ??viva l'imperatore!??. ?? fuori di dubbio, che nelle avvisaglie della sollevazione di giugno gli agenti bonapartisti tennero mano al gioco, sebbene vada inteso, che un cozzo di classi tanto notevole e inevitabile non possa essere stato preparato solamente da artifizi e intrighi. N?? mette conto rintracciare coteste trame; giacch?? in verit?? i milioni di voti non si accaparrano con le piccole arti dei cospiratori. Il bonapartismo, come partito organizzato, ebbe sempre una assai scarsa importanza. Possedeva strumenti devoti nei deputati c??rsi Pietri e Conti; e pi?? tardi acquist?? con Emilio Girardin, rottosi con Cavaignac, un alleato pericoloso, e con la Presse un organo abilissimo, senza coscienza. Si contava con sicurezza anche sul rappresentante radicale del popolo Napoleone Bonaparte, figlio di Girolamo, il quale gareggiava col cugino Pietro in tonanti invettive contro la foia omicida dei re.

Pi?? seguito ebbe la condotta dello stesso pretendente. Non lasci?? correre un istante, che non profittasse dell'ora favorevole: per cinque volte in cinque mesi diede con lettere pubbliche notizia di s?? alla nazione. E nel febbraio apparve a Parigi ??per mettersi al servizio della sua patria??. Nella lettera al governo provvisorio viene espressa l'esatta concezione bonapartistica della rivoluzione di febbraio: egli ammira il popolo di Parigi il quale ??ha eroicamente cancellato le ultime tracce dell'invasione straniera??. Accolto dal governo con diffidenza, ritorn?? subito a Londra, dopo aver dichiarato con un'altra lettera ai governanti: ??Dal mio sacrifizio riconosceranno la purezza delle mie intenzioni??. Nelle elezioni dell'assemblea nazionale nel giugno, il nome del principe sort?? in quattro dipartimenti, anche a Parigi, mentre vigeva tuttora a suo danno la legge di proscrizione. Il governo propose che fosse mantenuta. Ma siccome i radicali, con a capo Jules Favre, espressero la fiducia, che i Bonaparte non potevano pi?? in nessun modo riuscire n?? ora n?? poi pericolosi alla repubblica, si decise per la riammissione del principe. Una tale cecit?? degli avversari sconcert?? alquanto il pretendente nel suo calmo riserbo: in una lettera datata del 15 giugno rifiut?? tre delle elezioni, aggiungendo per?? queste parole sincere: ??io non nutro ambizioni; ma se il popolo m'imporr?? doveri, io sapr?? adempierli??. Ma dai primi giorni si accorse del granchio, e si affrett?? a chiarire in un'altra lettera, che egli voleva una repubblica savia, grande, sapiente. Nel luglio fu rimesso in iscena il movimento popolare, e fu rifiutata con una quinta lettera anche l'elezione in Corsica. Noi non ci arrischiamo di decidere, se il principe ha scritto a Parigi qualcuna delle lettere datate da Londra. L'accortezza non si disgiunse dalla sua tattica; giacch??, mentre esercitava la virt?? civile della rinunzia, il pretendente sventava i disegni degli avversari, che speravano di logorarlo prima del tempo nei dibattiti dell'assemblea nazionale. Per giunta, egli non era affatto un oratore, e tale da conquistarsi con la parola la ghirlanda a cui aspirava. Frattanto l'elezione presidenziale si avvicinava, ed era tempo di mostrarsi personalmente al popolo: per cui, quando nelle elezioni suppletive di settembre i quattro dipartimenti gli si mantennero fedeli, anzi a quelli se ne aggiunse un quinto, il principe si decise ad accettare.

Il 26 settembre entr?? nel parlamento tra l'esclamazione generale di le voil??! prese il suo posto pronunziando un paio di parole fedelmente repubblicane, per?? senza senso concreto, e s'irrigid?? in un profondo silenzio. I suoi nemici gli risparmiarono di parlare. Quante erano le immaginabili banalit?? che la fantasia dei radicali si esauriva ad escogitare, tante ne furono diffuse dalla stampa e dalla tribuna sul conto del principe: fu rimessa in circolazione perfino la mitologia della prima rivoluzione. Luigi Bonaparte era un agente della perfida Albione, assoldato per rovesciare la gloriosa repubblica: era un visionario, uno sciocco, segnalato non per altro che pei mustacchi cerati. Qualche testa fina, come Montalembert, posta sull'avviso da quei vituperii della Montagna, fin?? col domandare, se un uomo cos?? ferocemente coperto di oltraggi poteva essere un uomo del tutto insignificante. La pi?? parte della gente colta s'ingann??: credevano fermamente alla nullit?? personale del principe: pi?? tardi, per??, avrebbero saggiato un disinganno, di cui non si era provato nel mondo il pi?? singolare, dal tempo dell'ascensione al pontificato di Sisto V.

Ma gl'incauti oratori presentivano l'effetto, che i loro attacchi avrebbero avuto sulle moltitudini? Erano sinceri, quando unitamente con tali denigrazioni personali manifestavano uno sconfinato disprezzo per la potenza del bonapartismo? O mostravano puramente il coraggio del ragazzo, che fischia all'oscuro per ingannare la paura? Come era mai possibile che la repubblica, proscritti i Borboni, avesse richiamato i napoleonidi incomparabilmente pi?? pericolosi? Fu anche respinta la proposta schiettamente repubblicana di escludere dal seggio presidenziale i principi delle dinastie decadute; e ci??, perch?? i dottrinari vi vedevano una ineguaglianza illegale, i conservatori gi?? speravano in segreto l'elezione del principe, e i radicali affettavano di non temerlo. Quando poi in primavera il cittadino Pietri fu mandato commissario civile in Corsica e tutti i voti dell'isola caddero su bonapartisti, la stampa repubblicana si consol?? avvisando, che non si trattava di altro che di una innocente stamburata del patriottismo locale, e che il Pietri, repubblicano provato, non ne portava alcuna colpa. Erano tanti sempliciotti davvero? E nemmeno l'ultima elezione del principe, che era la nona, apr?? gli occhi ai ciechi? Quanto a taluni repubblicani, bisogna comunque supporre, che il disprezzo da essi ostentato era ipocrito. Tuttora nell'ottobre Lamartine, s??, assicurava, che fosse stupida e ridicola la paura, che un Bonaparte o un Borbone potesse abusare del popolo; ma perch?? mai egli stesso nel giugno aveva proposto, che fosse mantenuto l'esilio di Luigi Bonaparte? Parimente, se in alcuni circoli radicali fu ventilato il disegno di catturare una notte tutti i Bonaparte e trasportarli a Caienna, questo per lo meno dimostra, che non tutti i repubblicani partecipavano a quella tranquillit??. D'altra parte, la grande maggioranza dei repubblicani effettivamente teneva il bonapartismo per morto e seppellito: tutti gli scritti che gli uomini del partito pubblicarono dopo il colpo di stato, concordano nell'affermare, che nessuna frazione era meno temuta di quella dei bonapartisti. Cotesta confessione implica nello stesso tempo l'autocondanna dei repubblicani; giacch?? un partito che conosceva cos?? poco il popolo, era manifestamente incapace di governare una democrazia. L'enorme illusione, in preda alla quale viveva allora la societ?? colta di Parigi, insegna quanto sia alta la barriera che anche nei nostri tempi democratici separa i ceti colti dagl'incolti; e, insieme, ci consente di rivolgere uno sguardo profondo sulla condizione innaturale di uno stato accentrato troppo eccessivamente, in cui era stata affatto dimenticata l'esistenza delle provincie.

Per noi che li abbiamo risaliti alle origini, non serbano pi?? alcun mistero i motivi che condussero all'elezione del pretendente. La paura dello spettro rosso continu?? a essere la passione dominante nel ceto degli abbienti. Dovunque in Europa la marea primaverile era in decrescenza, dovunque sorgeva quello sciagurato desiderio d'intorpidimento, quell'indolenza, che nel nostro paese ebbe la sua espressione caratteristica nella massima: ci vogliono i soldati contro i democratici. Nelle mani del pretendente le aberrazioni del radicalismo europeo fruttavano. Abitudine e ottusit??, tardit?? e preoccupazione economica, che sono le alleate tradizionali della reazione, dominavano sui cervelli dei contadini. La dittatura di Cavaignac non era altro che un momento dell'eterna lotta pei fondamenti della societ??; ma il contadino aspirava ad una tranquillit?? pi?? durevole. I meriti del generale, che per altro non erano menomamente comparabili con le splendide gesta alle quali un tempo Bonaparte si era richiamato, valevano ben poco per le popolazioni campagnuole; d'altronde i contadini lo conoscevano appena: per loro era puramente uno degli aborriti repubblicani. D'altra parte, i lavoratori della citt?? perseguitavano di astio indissolubile il vincitore dei sollevati di giugno: sarebbe stato il benvenuto per loro qualunque capo di governo avrebbe reso la pariglia ai generali africani. Luigi Bonaparte lo previde. A Londra, quando gli parlavano della ferrea rigidezza di Cavaignac, disse secco secco al direttore Lumley: ??colui mi spazza la via??.

Il fatto ?? questo, senz'altro: le popolazioni delle campagne volevano la monarchia. Delle due dinastie borboniche la pi?? recente era impossibile per ora, la pi?? antica per sempre. N?? l'una n?? l'altra vantavano un aspirante. Il disegno, ventilato da alcuni zelatori, di fondere i due rami della casa Borbone, and?? a monte, sia perch?? gli Orl??ans non potevano rinnegare la propria origine rivoluzionaria, sia perch?? i rigidi legittimisti erano pi?? di qualunque altro partito ostinati ferocemente nell'odio all'Orl??ans, compare dell'usurpatore. Perci?? Luigi Bonaparte rimase il solo presidente possibile, nel caso che la nazione avesse voluto ristabilire il trono; e nello stesso modo come egli acquist?? il potere sol perch?? non c'era altro mezzo per riparare all'improvvisata del febbraio, cos?? il secondo impero si ?? retto fino a oggi sostanzialmente per questo, che la nazione non sa che cosa potrebbe sostituirlo. La stampa di sinistra non si stancava di gridare al popolo: se eleggete Bonaparte, voi fondate l'impero. E una volta che, ci?? non ostante, il napoleonide fu nominato, per gl'imparziali non ?? pi?? il caso, dunque, di contendere sul sentimento monarchico dei contadini. N?? possiamo convincere di menzogna Luigi Napoleone, per avere egli, nel proclama emanato a giustificazione del colpo di stato, presentato l'elezione del 10 dicembre addirittura come una protesta contro la costituzione repubblicana. Le numerose schede portanti la designazione Napol??on empereur e dichiarate nulle dai magistrati scrutatori, non lasciavano il menomo dubbio sull'intenzione dei votanti. Le ingiurie dei radicali erano servite soltanto a innalzare l'importanza del principe nell'opinione del popolo delle campagne. Le comiche scese di testa dell'avventuriero di Strasburgo e di Boulogne non impressionavano la povera gente; alla quale anzi andava a genio, che il pretendente avesse arrisicato due volte la testa pel fatto suo. E quando anche molti degli elettori effettivamente tenessero il principe per un pazzo, non per questo il Journal des d??bats era autorizzato alla disperata invettiva: ??la Francia gioca, la Francia vuol giocare!??. L'opinione degli elettori giungeva in sostanza a dire: ??noi giudicavamo ogni possibile forma di monarchia come pi?? salutare di questa repubblica??: e chi ha il coraggio di tacciare di stoltezza un tale convincimento?

L'arma del pretendente, la potentissima fra tutte, era il nome. Di rado un popolo ?? stato pi?? barbaramente punito, per le vuote fantasie della sua vanit?? nazionale. Le persone colte a furia di vagheggiamenti fantastici avevano fatto dell'imperatore soldato un idolo; adesso avrebbero toccato con mano, che anche nel secolo decimonono vivevano milioni di uomini che credevano all'idolo. Contro ogni aspettazione, l'esercito in principio si mostr?? poco sensibile alla malia del gran nome militare. Certo, la stella di Cavaignac era sul tramonto anche nel mondo militare. Gli ufficiali si aspettavano, che egli presto avrebbe cacciato via l'assemblea nazionale con un napoleonico le r??gne du bavardage est fini! giacch?? tra loro non aveva misura l'odio contro i p??kins, cio?? i ciarloni, gli avvocati. Quando invece serb??, col concorso di Charras, Lamorici??re, Lefl??, un irreprensibile contegno parlamentare, l'autorit?? del generale africano principi?? ad affievolirsi nelle truppe. Ma siccome il pretendente era egli stesso un p??kin, il suo nome riusc?? a soppiantare solo in alcuni reggimenti quello del valoroso generale. Gli uomini delle grandi guarnigioni erano in parte conquistati al comunismo. Insomma l'armata, che avrebbe deciso un tempo, come ognuno presentiva, del destino della Francia, era apertamente divisa di sentimento. N??, oltre le due forze prepotenti dell'istinto monarchico e della gloria napoleonica, si contavano le ragioni concorrenti, che presso i partiti facevano inclinare la bilancia dalla parte del principe. Un grande gruppo realista credeva fermamente, che il principe avrebbe costituito per loro il ponte di passaggio: un pretendente per l'altro pretendente! La pi?? preziosa virt?? del triste sciocco non sarebbe altro che la buona volont?? di sobbarcarsi. Molti socialisti pensavano egualmente: il principe sar?? presto logoro; allora verr?? il momento per noi. Altri, per contro, opinavano alla disperata, come il Saint-Arnaud nelle sue lettere: ??il principe ?? l'ignoto, e la salvezza posa tuttora nell'ignoto??. Infine parecchi furbi facevano questo calcolo: ??se nessuno dei candidati raccoglie due milioni di voti, l'elezione tocca all'assemblea nazionale, che senza dubbio designer?? un repubblicano azzurro??; e per conseguenza si accordavano a favore del principe.

Il governo si proponeva di mandare commissari nelle provincie, per ??indagare?? sull'opinione del paese; ma dov?? astenersene, perch?? ogni ricordo della Convenzione suscitava i contadini a rivolta. In tal modo gli agenti del principe si trovarono ad avere le mani libere; e dimostrarono al mondo, che il suffragio universale provocava una nuova tattica di partito, pi?? grossolana e senza scrupoli. Furono messe in giro le pi?? grosse contafavole, quanto pi?? assurde, tanto pi?? efficaci: il principe intendeva di distribuire al popolo i duemila milioni ereditati dallo zio, e rimettere tutte le imposte per due anni. Cantastorie e figurinai giravano pei villaggi celebrando la magnificenza dell'impero; e riportava dovunque un gran successo la poesia sublime di quella canzone da organetto, che dobbiamo alla musa di Emilio Girardin:

????????Si vous voulez un bon,
????????Prenez Napol??on!

Con quanto fervore qualche buon contadinotto credette davvero, che il vecchio imperatore in persona fosse ritornato! Il principe, che si era atteggiato a erede della Rivoluzione per lo spazio di due decenni, adesso di botto, siccome i fanatici del quieto vivere e dell'ordine miravano a lui, si offr?? alle speranze degli ultraconservatori. A questi nuovi alleati aveva prestato un pegno dei suoi buoni sentimenti fin dal tempo che era a Londra; infatti, durante le agitazioni dei cartisti, egli si era ascritto come artigliere. ??Il mio nome ?? il simbolo dell'ordine e della sicurezza??, diceva il suo manifesto elettorale. Egli si design?? protettore della famiglia e della propriet??: ai francesi sarebbe di nuovo permesso ??di contare sopra un domani??. Nessuno tra i repubblicani volle credere, che il povero pazzo avesse steso da s?? questo manifesto cos?? bene scritto e cos?? accortamente ponderato; nessuno not??, che l'ultima proposizione dell'appello consonava parola per parola con la conclusione del proclama, che un tempo a Boulogne fu sequestrato all'avventuriero. Solamente quelli che accostarono il principe e pensarono di dominarlo, non tardarono a fare esperienza, che sotto le sue maniere flemmaticamente bonarie si celava la fermezza dell'autocrata. Avvicinandosi il giorno delle elezioni, lo stesso Cavaignac non pot?? pi?? dubitare del sentimento monarchico dei contadini; perci?? una forte maggioranza di voti a favore del principe era ritenuta per lo meno possibile. Ma all'estero, dove ogni conoscenza della Francia era attinta unicamente alla stampa parigina, il risultato dell'elezione produsse una sorpresa indescrivibile. Tra tanti milioni di uomini, solo Cavour aveva nel novembre tranquillamente predetto, che tra poco le famose misure energiche della rivoluzione sarebbero approdate a questo risultato: Luigi Bonaparte ascenderebbe al trono imperiale.

Il 10 dicembre, racconta un bonapartista in delirio, ??di botto il pensiero del popolo venne fuori trionfante, potente, completo, irresistibile, come il fiore dell'aloe, che d'un colpo tonante sboccia in un attimo e si spande??. Riuscito eletto il pretendente da pi?? di cinque milioni e mezzo di voti, la capitale era schiacciata dalle provincie, la borghesia dai contadini; e, insiememente, precipitavano d'un colpo le tacite speranze dei realisti, perch?? l'espettazione, che il principe avrebbe spianato la via alla monarchia, riposava sulla supposizione, che avrebbe potuto ottenere non pi?? che una debole votazione. Ora, invece, egli veniva a trovarsi potentemente collocato al disopra dei partiti, coperto dalla colossale maggioranza della nazione. La natura delle cose gli consigli?? di lasciare che i vecchi partiti si dissolvessero completamente. Parenti e parassiti, lacch?? e cacciatori di posti, e la pompa e il fasto di una corte regale accolsero il presidente, quando sal?? dalla semplicit?? repubblicana alla cerimonia del giuramento nel palazzo dell'Eliseo. Quel giorno stesso, per??, egli disse: ??io so bene di dovere un minimo di voti alla mia persona, alcuni ai socialisti e ai realisti, e quasi tutti al mio nome??. Parola modesta; solo che, purtroppo, conteneva questo annunzio: la legittimit?? della quarta dinastia ?? ristabilita!

IV.

Le lotte parlamentari che ora ardono come le ultime lingue di fuoco di un cratere spento, fanno vivo riscontro, per la loro cruda veemenza accoppiata nello stesso tempo all'impostura impotente, con le languenti contese di parte, che un tempo turbarono la nazione dopo la caduta del dominio del Terrore; salvo che sono anche pi?? imbelli, pi?? indegne, pi?? bugiarde di quelle. Un presidente imperiale, un'assemblea nazionale in preponderanza realista e una costituzione repubblicana nata morta componevano le tre forze motrici dello stato: la Francia, notavano con malizia i democratici sociali, si era ingabbiata nella sua nuova carta come in uno strangolatoio. Se, infatti, il presidente avesse voluto mantenere, anche malgrado dell'assemblea nazionale, il potere monarchico di cui godeva come capo dell'amministrazione, sarebbe stato fermato sulla sua via dal principale ostacolo: la completa mancanza nel parlamento di un partito bonapartista visibile. Cotesta situazione innaturale decise sostanzialmente il corso irresistibile degli eventi; il quale era immutabilmente prefisso, giacch?? la pacifica classe agricola, che era il sostegno del bonapartismo, non contava nel suo seno rappresentanti politici in parlamento. Per gli altri quattro partiti, legittimisti e orleanisti, repubblicani e socialisti, sorgeva irrefutabile la questione: era lecito disprezzare l'ambizione di quell'uomo, il quale aveva sotto di s?? il potere esecutivo, e aveva alle spalle la forza morale di cinque milioni e mezzo di suffragi? E l'assemblea nazionale, che mancava essa stessa di appoggio nel popolo, non era tenuta a cercare un terreno d'intesa con la nuova forza della tirannide popolare? Lo spirito di parte fu pi?? forte di tali considerazioni patriottiche. Si era formato il tacito accordo, come disse Thiers, che nessun partito avrebbe sfruttato la repubblica a suo pro. Il che vuol dire, che ogni partito segretamente sperava di sentir presto battere l'ora del proprio dominio, e che era deciso a non cedere il passo a nessun altro. Tanto meno a quello sciocco di presidente.

Tra tutti gli errori in cui i partiti possono incorrere, il pi?? perdonabile ?? senza dubbio l'inverso giudizio fatto di un uomo politico entrato da poco nelle lotte della vita pubblica; eppure la media degli uomini rimette pi?? volentieri qualunque altro errore, fuori di questo. La lotta dei liberali contro il conte di Bismarck ha condotto anche noi tedeschi a fare la poca onorevole esperienza, che solamente alla banale vanit?? sembra una degradazione personale il riconoscimento dell'importanza di un avversario preso in dileggio. A Parigi gli avvertimenti del conte Mol?? e di pochi altri imparziali erano fatti al vento: la maggioranza dell'assemblea nazionale non volle adattarsi a rispettare in pace il presidente. Non lo avevano conosciuto prima, e non vollero conoscerlo ora. Il suo primo messaggio al parlamento offriva un lucido prospetto della situazione del paese; ma lo stesso stile senza frasi, lo stesso riserbo da uomo di stato emanante da quell'atto valse come una novella prova dell'inettitudine del presidente. Il principe era e rimaneva un pazzo, uno ??zolfanello??, uno straccione animato dall'ambizione banale di pagare i vecchi debiti e contrarne dei nuovi, di sentirsi chiamare monsignore, di tenere serve e cavalli, e via dicendo: il tutto sul tono di quelle finezze, di cui Victor Hugo il Grande ha vuotato il sacco addosso a Napoleone il Piccolo.

Il principe era pervenuto alla sua carica in nome dell'??ordine??, e conseguentemente ??si circond?? di uomini d'ordine di tutti i partiti??. Principiava l'??ra desolante della reazione europea, giacch?? di tutti gli stati provati dalla tempesta del marzo il solo piccolo Piemonte mostr?? l'energia morale di serbarsi fedele alle idee liberali. Per farsi riputazione nell'Europa bramosa di pace, il principe doveva appoggiarsi ai conservatori. Sul complice e zelatore di tale reazione contava l'assemblea nazionale che, eletta nella primavera del 1849, era presieduta da Dupin con sfacciata partigianeria. L'elezione si era risoluta in una nuova protesta del popolo contro la rivoluzione di febbraio. I repubblicani moderati perderono quasi tutti i seggi, essendosi la loro alleanza coi fanatici dell'ordine gi?? sciolta fin dall'autunno precedente. La colossale maggioranza degli eletti era di reazionari, vale a dire di realisti. Il club bonapartista della via Montmartre si era fuso col grande club dei cos?? detti moderati della via Poitiers: in generale i contadini bonapartisti elessero candidati realisti, perch?? costoro erano i soli reazionari colti che essi conoscevano, e che erano loro raccomandati dal parroco. Soltanto dalle urne delle grandi citt?? sortirono in copia i nomi democratici sociali; ragione sufficiente per rinfocolare da capo la rabbia di partito dei reazionari.

Nel giugno del 1849, quasi contemporaneamente con l'apertura di questa camera, scoppi?? a Parigi e a Lione una rivolta repubblicana prestamente domata: pass?? di nuovo sul paese la follia del terrore, solo che adesso il terrorismo dei ??moderati?? non conobbe pi?? limiti. ???? tempo??, diceva un proclama del presidente, ??che i buoni prendano coraggio e i malvagi tremino??. Gli stessi uomini, che prima avevano dichiarato intollerabile la temperata severit?? delle leggi di settembre, a stento ora riuscivano a sfogarsi nei provvedimenti di arbitrio contro i repubblicani. Senza esitazione Odilon Barrot da ministro ricorse contro le riunioni popolari alle stesse leggi scadute fin dal 1793, che Guizot nel febbraio aveva esumate contro Barrot e le adunanze riformiste. Il governo venne autorizzato a chiudere tutti i clubs politici e a proibire le associazioni operaie pel miglioramento del salario. Il consiglio municipale di Parigi fu nominato dal presidente, e fu limitata per gli operai la libera elezione di domicilio nella capitale. Frattanto si susseguivano le deportazioni: con quale frequenza echeggiava a Lambessa il disperato grido dei prigionieri: ??giudici o morte??! L'estremo fascino, che circondava tuttora il gran nome della repubblica, and?? perduto in cotesti saturnali della reazione. Parve perci?? comprensibilissimo, che gli alberi della libert?? nel gennaio del 1850 fossero rimossi dalle piazze di Parigi. Come un tempo il primo Napoleone ebbe poco da aggiungere alle leggi eccezionali repubblicane del 18 fruttidoro, cos?? ora il secondo impero deve ai predecessori la pi?? parte dei pi?? famigerati provvedimenti di sicurezza del suo dispotismo. Per esempio, il prescritto draconiano che all'autore del pi?? piccolo articolo di giornale fa ordine di sottoscriversi, ?? un benefizio della repubblica. I compagni di Luigi Blanc e di Albert erano in esilio fin dall'estate del 1848; nel giugno del 1849 il medesimo destino tocc?? a Ledru-Rollin e ai suoi prossimi seguaci. I pochi superstiti della Montagna schiumavano di rabbia; e chi in una adunanza vedeva esplodere l'uno contro l'altro questi due opposti irreconciliabili, il materialismo sfrenato e il gretto furore pretesco, sentiva che il giorno della libert?? era tramontato. ??Il popolo ?? l'insurrezione, les assommeurs sont incalomniables??; cos?? gridava la destra. Perfino uomini miti e coltissimi, come per esempio l'economista Carlo Dunoyer, diventarono reazionari fanatici in quelle lotte furibonde dei partiti: qualunque richiamo alla necessit?? di un'amnistia suscitava a tumulto tutte le passioni comuni dei moderati. Finalmente nella primavera del 1850, nei giorni in cui l'elezione del socialista Eugenio Sue a Parigi fece correre di nuovo i brividi addosso ai possidenti, la reazione celebr?? il suo ultimo trionfo: la legge del 31 maggio depenn?? dalle liste tutti gli elettori che non potevano dimostrare di dimorare almeno da tre anni nella loro residenza abituale. In tal modo la grande maggioranza dei lavoratori, cio?? tre milioni su dieci milioni di elettori, fu defraudata del voto. Esult?? la maggioranza, inebbriata dalla vittoria; presto per?? avrebbe appreso, che il famoso ??capolavoro della restaurazione sociale?? segnava il principio della fine.

La maggioranza rivel?? sfrontatamente, come al tempo del re borghese, il proprio egoismo di classe, anche nelle questioni non strettamente politiche. Chi esemplificava a questi industriali il libero scambio degli stati vicini, si sentiva rispondere con scherno: ??gli altri popoli mandino pure in malora le proprie officine in grazia delle vuote teorie; tanto meglio per la nostra industria protetta!??. Concordavano in siffatte idee tutti i giornali, dal repubblicano National all'Univers ultramontano. Il disegno di legge doganale liberale di Sainte-Beuve fu messo da parte, il ministro liberoscambista Buffet e Leone Faucher furono costretti ad accordarsi davanti alla paura dei protezionisti, e il trattato di commercio col Piemonte non si pot?? rinnovare se non sotto date limitazioni, perch?? il Piemonte in fatto di navigazione non era da annoverarsi tra i piccoli stati innocui! Era insolenza quella di Massimo d'Azeglio, quando fin dall'aprile del 1849 scrisse canzonando al suo amico Rendu: ??il vostro stato lo chiamate ancora repubblica???.

L'assemblea nazionale consumava le proprie forze in siffatti espedienti del furore partigiano e dell'egoismo sociale. Anche il solo prodotto durevole di cotesti legislatori, la legge sull'istruzione del 15 marzo 1850, portava il vasto suggello della mentalit?? di partito. Subito dopo l'assunzione del presidente, il ministro ultramontano Falloux nomin?? una commissione per la sistemazione della scuola: era presieduta da Thiers, volteriano. Non invano gli Annales de la propagande de la foi erano diffusi nel paese in 170.000 esemplari, n?? invano il vescovo Dupanloup faceva da anni il panegirico delle idee dell'89. Il clero si era accostato alla repubblica con pia sommissione, per impetrare subito alla Chiesa la libert?? d'insegnamento e di associazione. Laddove i liberali avevano esitato finora a rinvigorire la potenza della Chiesa, che era l'unica forza sociale serbante tuttora una certa indipendenza di fronte all'onnipotenza dello stato, ora invece la paura economica invocava l'ordine a ogni costo. La solidariet?? degl'interessi conservatori esigeva che il clero plasmasse e educasse uomini quieti di spirito. In nome dell'ordine, volteriani e ultramontani stretti in bella unione decisero non solamente l'abolizione dell'assolutismo nell'universit?? di Parigi; il che era nei desiderii di ogni animo libero; ma l'assoggettamento dell'istruzione letteraria all'influenza della Chiesa. Quattro vescovi entrarono a far parte del consiglio superiore della pubblica istruzione, e insieme con loro, per ragioni di decenza, anche alcuni rappresentanti degli altri culti: la Chiesa fond?? scuole a volont??, e lo stato non richiese pi?? alcun titolo d'idoneit?? scientifica dagl'insegnanti ecclesiastici.

Anche nella politica estera si manifest?? lo stesso cieco zelo di settarismo rivoluzionario. Nella contesa per la costituzione tedesca la Francia naturalmente si schier?? allato all'Austria. Solo quando il principe di Schwarzenberg mise avanti il suo disegno di fondazione di un impero di settanta milioni di sudditi, solo allora a Parigi si spaventarono: temerono da una tale proposta, innocente anzi che no, un rafforzamento della Germania, e fecero minacce persistenti a Berlino e a Vienna, fino a quando l'Austria non rifiut?? l'adesione dei suoi stati alla confederazione germanica. La questione italiana, tirata avanti tra i peccati di omissione del passato anno, era adesso interamente caduta. Quando poco prima dell'impresa di Novara il re Carlo Alberto domand?? aiuto a Parigi, il presidente era propenso a consentire alla proposta; ma i ministri temerono l'ambizione del Piemonte, e la Francia si tenne spettatrice inerte del dominio della sciabola rafforzato di nuovo dall'Austria nel Mezzogiorno di Europa. Per tutto l'anno 1849 il presidente serb?? una grande inclinazione a dare man forte al Piemonte; ma lo ritenne il quietismo, lo spirito reazionario dell'assemblea nazionale. Si content?? di prevenire la Toscana dall'adesione a una unione doganale austriaca.

Tanto meno parve tollerabile l'intervento armato degli austriaci e dei napoletani a Roma. Ma gli uomini d'ordine tuonarono contro il radicalismo magnanimo degli ardimentosi triumviri romani, gli ultramontani lamentarono il derubamento del Patrimonium Petri, e anche protestanti liberali, come Coquerel, in quei giorni di felicit?? reazionaria levarono al cielo il papa come il migliore amico della libert??. Da tali imbarazzanti contraddizioni sorse in fine il disegno, che la Francia sarebbe intervenuta a favore del papa, insieme, e della libert??. Luigi Bonaparte previdentemente, fin da prima della sua elezione, aveva cercato di destreggiarsi tra le due direzioni: il due dicembre scrisse al nunzio, che non aveva niente di comune in Roma col cugino radicale Canino, e che egli voleva il ristabilimento dello stato pontificio; cinque giorni pi?? tardi scrisse sul Constitutionel, che, non ostante tutto, non approvava la spedizione a Roma. Quando sal?? al governo, l'impresa romana era gi?? cosa conclusa, e l'uomo che un tempo aveva indetto guerra al papato temporale, fu condotto a limarsi per cinque mesi nel tentativo impossibile di far giustizia nello stesso tempo al papa e al liberalismo. Il primo atto importante di politica estera della repubblica, la quale ??non doveva mai movere guerre contro la libert?? degli altri popoli??, si apr?? con uno strappo alla costituzione; la prima spedizione guerresca del napoleonide, con una rotta. La nuova assemblea nazionale spinse finalmente le cose alla piega decisiva. Radunatosi questo parlamento reazionario, l'agente diplomatico liberale Lesseps fu richiamato, e rinnovato con sanguinoso calore l'assalto a Roma. Cadde la repubblica romana, prostrata dalle armi della libert?? francese: la Francia prest?? servizio di birro al papato di ritorno, e gli ultramontani tripudiarono sulla rovina dei demagoghi senza Dio. Era palmare, che la politica dell'intervento della Francia aveva riportato a Roma lo stesso premio, che in Ispagna al tempo di Luigi XVIII: i pi?? gravi sacrifizi di danaro, di uomini e di riputazione tornarono unicamente a profitto della potenza dell'Austria e del partito reazionario. ?? indubitabile, che il principe non desiderasse menomamente un ripristinamento incondizionato del papa re; anzi Gioberti stesso attesta con quanto zelo Tocqueville, ministro degli esteri, si adoperasse per ottenere garanzie in pro dei diritti politici dei romani. Se non che il presidente non aveva la forza di resistere alla foga reazionaria dell'assemblea nazionale; n?? al napoleonide era consentito di lasciare invendicata la rotta delle armi francesi. Cacciato l'eroico manipolo di Garibaldi e ristabilito l'antico sgoverno, il principe indirizz?? a Edgardo Ney la famosa lettera, che domandava per lo stato pontificio amnistia, amministrazione laica, principii liberali di governo e il codice Napoleone. Il che non era un richiamo valevole pel momento, giacch?? il presidente conosceva bene, mentre scriveva, l'implacabile odio vendicativo della Curia; era una riserva per l'avvenire e, insieme, un segno ai liberali di Europa, che il principe non aveva ancora rinunziato per sempre ai sogni rivoluzionari della giovinezza.

In tal modo il parlamento faceva da manovale a una reazione vendicativa, e la trappoleria repubblicana era uno schifo per ogni uomo sincero e onesto. Come mai istituzioni di tal sorta avrebbero ispirato un tremebondo ossequio a un principe imperiale? Non cadeva dubbio, che il presidente avrebbe battuta una terribile strada, verso la meta a cui una fede fatalistica lo sospingeva. Era la strada sicura, tanto pi?? che all'indole senza scatti e per nulla impassibile del nipote era completamente estraneo quel gusto brutale delle azioni violente, che era proprio della natura guerriera dello zio. Se altra strada non fosse stata davanti, che quella della violenza, a tutti coloro che conoscevano il passato di cotesto cinico sarebbe parso evidente che egli, stimolato dalla temeraria sfrontatezza di Morny, avrebbe rotto il giuramento con la fredda calma di un giocatore, che onora il successo come suo Dio. E, in verit??, l'atmosfera morale di quella et?? senza fede e senza ideale era poco propizia alla lealt?? della coscienza. Se gettiamo uno sguardo sugl'intrighi realisti dell'assemblea nazionale, non possiamo trattenere una dura parola: in cotesta maggioranza cento se ne contavano, che si sarebbero arretrati davanti al rischio del colpo di stato, ma nemmeno trenta davanti allo spergiuro. Una volta che Thiers ed Emilio Girardin, che avevano aiutato il presidente a conquistare il potere, subito dopo lo abbandonavano, noi arrischiamo la scortese affermazione, che cotesta diffalta non fu provocata da scrupoli di coscienza. Questi signori diedero le spalle a Luigi Bonaparte, perch?? and?? a vuoto la loro speranza di dominare l'autocrata.

Specialmente dopo la rivolta del giugno 1849 il presidente sent?? la necessit?? di procedere di accordo coi reazionari. Cerc?? dapprima di governare parlamentarmente, e nel viaggio che fece nel paese durante l'estate del 1849 si comport?? con molta prudenza. Felice occasione di conoscere uomini e cose, e intessere tra il tintinnio dei bicchieri le prime fila della grande cospirazione. Chi oggi rilegge a mente fredda quei brindisi e quei discorsi ufficiali comprende, sempre con nuovo stupore, che solamente i vanitosi oratori dell'assemblea nazionale potevano sorridere di quelle arti di seduzione tanto abili e pericolose. Dovunque, il principe seppe lusingare la boria provinciale: a Rouen lod?? la perfezione delle industrie, a Saumur, sede della grande scuola di cavalleria, lo spirito militare; a Poitiers ricord?? i giorni procellosi di Carlo VII, ad Epernay le ultime lotte dell'imperatore. Parl?? rugiadoso, come un mite uomo di ordine; diffid?? dalle teorie dei cervelli esaltati, richiam?? alla fede, al rispetto della propriet?? e della famiglia. Stim?? anche necessario di rievocare un colpo di stato sul tipo di quello del 18 brumaio; perch??, spieg?? innocentemente, ??la Francia non si trova ora nella condizione che richieda un rimedio cos?? eroico??. Ad Ham, sicuro, ad Ham, dove la popolazione si affoll?? tripudiando intorno al prigioniero liberato, egli riconobbe con contrizione i peccati della giovinezza: ora non capiva pi?? quella presunzione che un tempo lo spinse ai tentativi violenti di sovversione, e non lamentava affatto di averli dovuti espiare. Solo una volta, ad Angers, trad??, alquanto pi?? chiaramente, il suo desiderio riposto: ??io non ho n?? il genio, n?? la potenza di mio zio??: parola significativa in un paese, le cui provincie sono abituate ad attendersi ogni prosperit?? dal capo dell'amministrazione.

A malgrado di una tale riservatezza del principe, non era per?? verosimile che un capo di stato responsabile si sarebbe vincolato ai consigli dei terzi. Il presidente dichiar?? nel modo pi?? reciso al principe Napoleone, suo arrogante cugino, che non avrebbe mai tollerato l'influenza di chi si sia, e che intendeva di governare nell'interesse delle moltitudini, non mai di un partito. Anche i ministri sentirono presto sopra di s?? la forza di una volont?? fatta: s'indussero perfino a decorare, apparentemente per meriti verso la repubblica, i congiurati di Strasburgo, e con tutto ci?? non riuscirono a cattivarsi la soddisfazione del padrone. Solo che il principe cerc?? di legare a s?? la testa forte del gabinetto, Tocqueville. Il quale per?? argoment??: ??il principe vuole creature, non gi?? ministri??. Inoltre il presidente, il 31 ottobre 1849, annunzi?? all'assemblea nazionale che la repubblica abbisognava di una guida unica e ferma; che perci?? aveva dimesso i ministri e si era circondato di uomini ??tanto solleciti della responsabilit?? mia quanto della loro??. ??La Francia??, esclam??, ??cerca la mano, la volont??, la bandiera dell'eletto del 10 dicembre. Tutto un sistema ha trionfato il 10 dicembre. Il solo nome di Napoleone ?? un programma, e significa, all'interno, ordine, autorit??, religione, benessere del popolo, e, all'estero, dignit?? nazionale??. Principi?? il governo personale. Conformemente alle dottrine dell'idea napoleonica, vennero chiamati al ministero specialisti come Fould, Rouher, Hautpoul, i quali espressamente dichiararono di stare fuori dei partiti e di riconoscere un solo partito, ??la salute della Francia??. La piega degli eventi, che del resto risultava inevitabilmente dalla situazione di responsabilit?? fatta dalla costituzione al presidente, era tale, che Tocqueville convenne perfino: ??forse il principe fa bene a mandarci via??. Pochi giorni dopo, a una riunione di dignitari della magistratura il presidente insegn??, che la Francia aveva visto passare in varia vicenda costituzioni e governi, e solo le creazioni dell'imperatore erano rimaste!

La voglia di dominare dell'assemblea e la volont?? sempre palese e vigile del presidente si erano gi?? azzuffate pi?? di una volta in intrighi odiosi. Fedele agli usi dissipati del tempo che era un fuggiasco, il principe viveva in eterni imbarazzi di pecunia. Ma s'ingannava l'assemblea, se sperava che la nazione avrebbe, come pel passato, ripetute a dileggio le beffe di Cormenin su Louis le d??sireux. Mormorarono i contadini della spilorceria dei deputati, quando il presidente annunzi?? ostentatamente la vendita dei suoi cavalli; e il fido Achille Fould trov?? sempre nuovi speculatori pronti ad arrischiare il loro danaro sulla grossa partita del principe. L'ostilit?? dei due poteri, rattoppata cento volte miserabilmente, precipit?? in fine ad aperta rottura dopo la legge elettorale del 31 maggio 1850. Ognuno aveva temuto disordini in conseguenza di cotesto attentato a quanto la nazione aveva di pi?? sacro, di cotesta grossolana offesa all'eguaglianza. Quando il popolo, con tutto ci??, persist?? nella sua ottusa infingardia, allora in tutti i partiti si sollev?? la questione: tale essendo il torpore della nazione, anche un colpo di stato sarebbe tollerato? Si ridestarono speranze antiche e angustie nuove. L'estate del 1850 vide tutti i partiti monarchici affaccendati in alacre faccenda, e rivel?? di nuovo la profonda slealt?? dei repubblicani dell'oggi. I legittimisti pellegrinavano a Wiesbaden, gli orleanisti a Claremont. Thiers, naturalmente, aveva inteso soltanto di esprimere il proprio rispetto personale al vecchio re; pi?? francamente, Berryer confess?? di essere andato a Wiesbaden a compiervi una missione politica. L'una e l'altra manifestazione non ebbero successo. Anzi il duca di Chambord non era adesso affatto disposto a un riconoscimento incondizionato del nuovo diritto pubblico. E veramente tra gli orleanisti si annunziava il disegno, che il duca Joinville concorresse al seggio presidenziale. Anche per questo partito il giuramento alla costituzione non formava alcun ostacolo; sarebbe prestato, come candidamente racconta Dunoyer, solo sotto la tacita riserva, che la Francia avrebbe al pi?? presto ristabilita con mezzi pacifici la monarchia. Mancava per?? l'ardimento della risoluzione.

Nel frattempo il presidente profitt?? destramente del favore del caso, che gli permetteva d'inaugurare le ferrovie costruite dagli Orl??ans. Percorse per la seconda volta il paese e civett?? apertamente intorno al favore delle moltitudini. ??I miei migliori amici abitano nelle capanne, non nei palazzi??, esclam?? agli operai delle strade ferrate della Piccardia; e ricord?? la parola dell'imperatore dei plebei: ??il mio polso batte all'unisono col vostro!??, e lament?? con dolore, che la costituzione gli avesse risecato il diritto di grazia. Mostr?? a Lione vivo interesse per la cassa di soccorso degli operai: l'applauso dei setaiuoli gli apr?? il cuore, e parl?? loro come ??rappresentante di quelle due grandi manifestazioni nazionali che nel 1804 e nel 1848 si proposero di salvare per mezzo dell'ordine i sublimi principii della Rivoluzione??. Anche pi?? trasparente predisse, che l'amor di patria secondo le circostanze avrebbe potuto comandare la rinunzia o la perseveranza, e infine prese fervorosamente commiato: ??sarebbe immodesto, se io vi dicessi come l'imperatore: o Lionesi, io vi amo! ma permettetemi di dirvi dal profondo del cuore: o Lionesi, amatemi!??. E continu?? a parlare in cotesto stile, finch?? a Caen disse chiaro e tondo: ??se il popolo mi imponesse una nuova soma, sarebbe grave colpa da parte mia il sottrarmi all'alta missione!??. Nulladimeno, il tripudio delle moltitudini operaie importava poco: i destini del paese erano librati sul puntone della spada. L'odio dell'esercito contro ogni forma parlamentare continuava in nulla disasprito anche sotto l'assemblea reazionaria. Si principi?? col disprezzare come chiacchieroni i generali africani: veterani imperiali e giovani lanzichenecchi ambiziosi bramavano di porsi di gran lunga al disopra dei benemeriti condottieri. Attivi faccendieri rinfrescavano infaticabilmente i ricordi della gloria imperiale; e in cento caserme spiccavano le effigie dell'uno e dell'altro Napoleone con sotto il ritornello:

Dieu nous l'a pris et Dieu nous l'a rendu!

Al ritorno dal suo secondo viaggio, il principe pass?? la grande rassegna sul piano di Satory: il vino corse a fiumi, e i soldati ubbriachi gridavano: viva l'imperatore! La stampa europea scoppi?? di nuovo in risa di scherno sul povero pazzo: i bengali di Satory furono paragonati coi tuoni di Austerlitz e il nipote ai fuochi con lo zio al fuoco. Non si riflette alle tante volte che nell'et?? dei Cesari il destino del mondo fu deciso con simili espedienti. Subito dopo, il generale Changarnier, comandante delle forze armate di Parigi, fu rimosso, e furono divise le sue funzioni e affidate a uomini ligi. Il generale aveva titubato a lungo, tanto da essere la ??sfinge?? guardata con paura dai partiti in lotta; in fine si butt?? ai realisti, perch?? opinava di dominare il principe e perch?? non penetrava la situazione del paese. Nemmeno una compagnia, affermava pateticamente, aiuterebbe il presidente al colpo di stato: ??discutete in pace, o rappresentanti del popolo!??. Cos?? stavano le cose, quando si riapr?? dopo un breve aggiornamento l'assemblea nazionale. S'incrociarono dall'una e l'altra parte accuse e contraccuse furibonde, tutte egualmente giustificate, tutte egualmente ignominiose: fedele riflesso di una vita pubblica menzognera, in cui gli uomini leali si contavano sulle dita. Possiamo bene prestar fede al principe, che spesso, davanti a coteste selvagge zuffe parlamentari l'animo gli veniva meno. Il secondo anniversario della sua elezione, egli nel palazzo di citt?? dichiar??, che il suo era il solo potere legittimo, che fosse sorto dal febbraio: piaggi?? l'esercito, mut?? i ministri a piacimento. Diffidante, Thiers esclam??: l'empire est fait.

Milioni di uomini sentivano, che questa lotta senza uscita tra i due supremi poteri dello stato non poteva, non doveva durare. Una cupa astiosit?? si appesantiva sul paese. Nessuno voleva esprimere la propria opinione, perch?? da tutti si temeva; e nessuno poteva esprimerla, perch?? la stessa fantasia degli uomini era mutila: non avevano alcun concetto, alcuna idea dell'imminente futuro. L'ipocondrico scritto di Raudot sulla decadenza della Francia, che fu una mortificazione per la boria nazionale, cont??, non ostante le esagerazioni, numerosi lettori. Efficacia anche maggiore ottenne lo scritto brutale di Romieu sullo ??spettro rosso??, con la sua faziosa requisitoria contro ??il popolo, questa bestia feroce e stupida??. Gli almanacchi e i fogli clandestini, di cui si nutriva la borghesia di provincia, si compiacevano d'infinite invettive contro i nemici della propriet??. L'industria e il commercio non erano in grado di elevarsi, la scienza e l'arte tacevano affatto. La gente si consolava tuttora col pensiero, che cotesta era la conseguenza dei giorni turbolenti; solo pi?? tardi si riconobbe, che effettivamente, dopo la febbre degli ultimi sessant'anni, la forza creatrice della nazione era giaciuta alquanto tempo appassita.

Se non che, pi?? grave di tutte le sollecitudini del momento, premeva l'ansiet?? degli enimmi del 1852, anno che avrebbe portato contemporaneamente l'elezione del presidente e dell'assemblea nazionale. Il clero, che da tre anni si era tenuto lontano dal pretendente, ora, dopo la caduta della repubblica romana, era entrato con riconoscenza tra le fila bonapartiste. Anche nei suoi viaggi il principe aveva guadagnato molti aderenti col suo tatto obbligante. In effetto, dal popolo non era amato menomamente, perch?? gli mancava l'opportunit?? di mostrare la propria importanza alle moltitudini. Solo che ai vantaggi che gi?? da tre anni lo raccomandavano al popolo, se ne aggiungeva adesso uno nuovo di assai maggior peso: Luigi Bonaparte si trovava gi?? al governo, e la nazione aveva orrore di qualsiasi incerta novit??. E siccome non si presentava contro di lui nessuno speciale candidato, rimaneva indubbiamente stabilito, e nessun imparziale lo ha contestato, che il popolo, contrariamente al disposto della costituzione, avrebbe rieletto il principe. Il che era tanto sicuro, che nemmeno una dichiarazione esplicita del presidente di non accettare la rielezione, avrebbe distolto il paese dal suo proposito anticostituzionale. Quale spettacolo, se il popolo avesse eseguito egli stesso il colpo di stato, fomentando in ogni capanna la slealt?? e l'indisciplinatezza; se migliaia di funzionari, se l'intera Francia ufficiale avesse incitato la nazione a lacerare lo statuto! Ma i rappresentanti popolari di una democrazia erano poi autorizzati a osservare, contro la volont?? del popolo sovrano, la lettera di una costituzione divenuta impossibile? No, certamente: se nel turbine delle contese di parte sopravviveva tuttora una favilla di spirito patrio, l'assemblea nazionale doveva decidere il rimaneggiamento legittimo della costituzione. Tale era la volont?? del paese: 79 consigli generali dei dipartimenti sopra 85 domandavano la revisione dello statuto. Che dietro le richieste della revisione si nascondessero alcuni motivi assai loschi, che non fosse sano rimettere in questione il nuovo diritto pubblico fondato appena di recente; tutto ci?? non meritava considerazione a confronto con un depravamento politico senza pari e a confronto con l'altro pericolo della guerra civile. Per quanto i complici del bonapartismo abbiano favoleggiato a meraviglia sulle trame sinistre dei rossi, ?? per?? certo, che la democrazia sociale preparava per le elezioni del 1852 un ultimo colpo disperato. Una rete di societ?? segrete copriva di nuovo il paese come al tempo della Restaurazione. Laggi??, nel Mezzogiorno, dominava la societ?? dei montagnardi col suo tenuto organo, l'Ami du peuple. In quelle provincie infiammabili l'antico fanatismo borbonico era stato soppiantato da un fiero movimento radicale, che aveva il centro a Marsiglia. Che le cospirazioni comunistiche, anche esse, non vi fossero affatto spente, ci?? ?? ormai fuori dubbio dopo le recenti rivelazioni sull'Internazionale. Si doveva rimanere inerti davanti al malanno che maturava? Il generale Changarnier, quando fu arrestato la mattina del 2 dicembre, opin?? che avrebbero potuto risparmiarsi l'incomodo; tanto, la rielezione del presidente era gi?? assicurata. Gl'inconsiderati moralisti, che ripetono tuttora cotesta affermazione e dichiarano il colpo di stato una violenza superflua e inutile, non farebbero meglio a ponderare, se fra tutti i colpi escogitabili, che avrebbero potuto ferire la Francia, il pi?? terribile non sarebbe forse stato proprio le coup d'??tat populaire, vale a dire, la lacerazione dello statuto perpetrata dalla generalit?? della nazione?

Con tutto ci?? il quadro della situazione inauditamente intrigata non ?? ancora compiuto. Data per certa la rielezione del principe, era altrettanto assodato, che i contadini avrebbero rimandato all'assemblea nazionale una maggioranza di reazionari realisti, giacch?? non esisteva ancora per nulla un forte partito bonapartista preparato al parlamento. Talch??, anche la revisione dello statuto, se pur si fosse attenuta solo a rendere possibile la rielezione del presidente, anticipava non altro, che lo spettacolo di nuovi intrighi infiniti. Solo il ripristinamento della monarchia, gi?? da un pezzo invocata dalle moltitudini, e propriamente della corona napoleonica, l'unica possibile allora, avrebbe avuto virt?? di ridare allo stato la salute; e, in effetto, il dilemma ??repubblica o monarchia??? fu seriamente dibattuto dalla commissione parlamentare, che tratt?? della revisione nell'estate del 1851. Un'eccellente relazione, dovuta alla penna di Tocqueville, propose all'assemblea di decidere per la revisione. Ma l'accecamento della Montagna e di alcuni avversari fanatici del presidente imped?? che si raccogliesse sulla proposta la maggioranza voluta di tre quarti dell'assemblea. Il diritto esistente era insostenibile, la riforma era preclusa dal voto del 19 luglio. Il problema del prossimo futuro, secondo la parola cruda del radicale Sch??lcher, sonava: ?? qui le canon?

V.

Il profondo disgusto che suscitano in ogni uomo retto i grossolani panegirici della stampa bonapartista, non c'impediscono di riconoscere, che in quel momento il presidente era il solo uomo che perseguisse uno scopo politico chiaro, conseguibile. Gi?? da mesi, tutti parlavano della minaccia del colpo di stato, eppure in quell'infinito torpore della nazione un atto violento sembrava altrettanto difficile quanto l'idea della difesa. I partiti si corrodevano in vane leghe, preparandosi, dopo la catastrofe, a giustificare la loro inerzia con la frase vuota: che il disprezzo all'indegno presidente aveva impedito ogni vigilanza. Anche Tocqueville non fece che abbracciare lo sconsolato partito di aspettare il colpo di stato e d'intervenire in seguito, affinch?? almeno un lecco delle civili libert?? fosse salvo! Come ci appare sicuro e superiore, in mezzo a una tale babele, il presidente! Nell'estate del 1851 intraprese il suo terzo viaggio, e chi nelle concioni peregrinanti del principe udiva la reiterata professione di fede immutabile allo statuto proprio in uno con l'annunzio non metaforico del colpo di stato, doveva convenire che la mancanza di coscienza dello zio aveva un degno erede. A Digione il principe diede l'affidamento, ormai non pi?? inconsueto, che avrebbe seguito la voce del paese: ??e, credetemi, la Francia nelle mie mani non perir????: e arrischi?? una vivace spostatura contro l'assemblea nazionale, che avrebbe approvate tutte le misure di rigore, rigettate tutte le proposte di clemenza. Sebbene il Monitore avesse soppresso il passo, pure un nuovo turbine d'indignazione si scaten?? nell'assemblea. N?? gli animi eccitati si calmarono, quando alcune settimane dopo, a Beauvais, il principe pronunzi?? le evangeliche parole: ???? confortante il pensiero, che nei supremi pericoli sovente la Provvidenza presceglie un solo a strumento di salvazione??. Generalmente traspariva da questi discorsi lo studio di presentare il bonapartismo come un sistema del giusto mezzo, egualmente lontano sia dalle impossibili utopie che dall'antico regime, ??quali si fossero le forme in cui questo volesse ammantarsi??. Come mai in giorni siffatti Guizot potesse scrivere un libro su Monk, e ci?? nella speranza non dissimulata che il principe seguisse il miserevole esempio di quell'eroe; cotesto era un mistero anche pei devoti dell'impeccabile ministro.

Ma al presidente era riserbato un ultimo trionfo: la legge del 31 maggio. Sembra a noi del tutto ammissibile, che solo di contraggenio il principe avesse dato il suo consenso a questa limitazione del suffragio universale, il quale, del resto, costituiva il solo titolo legittimo della sua dinastia: d'altra parte, egli non aveva facolt?? d'impedire la legge. E appunto di quest'opera inconsiderata decise ora di servirsi come arme contro l'assemblea nazionale. La stampa bonapartista, con a capo il sempre disinvolto V??ron, apr?? la campagna contro la legge. Di pi??, il principe saggi?? un tentativo, poi subito smesso, di approccio ai democratici sociali, e finalmente il 4 novembre in un messaggio al parlamento disse: ??Nutrite voi forse meno fiducia di Noi nell'espressione della volont?? popolare? Ripristinare il suffragio universale significa prendere la bandiera alla guerra civile e l'ultimo argomento all'opposizione??. Era quello, dopo il rigetto della revisione dello statuto, un altro grosso sproposito del parlamento l'ostinarsi, per odio al presidente, a tenere in vita una legge che tutti confessavano insostenibile. E cos?? il presidente apparve ora alle moltitudini come il difensore della democrazia di contro a una casta tirannica.

In uno stato burocratico la lotta tra il potere esecutivo e il legislativo deve infallibilmente menare alla vittoria dell'esecutivo, quando per?? il capo dell'amministrazione possa contare sulla validit?? del proprio volere e sull'indifferenza delle popolazioni. Sin dalla fine di ottobre, dichiarata la guerra, un gabinetto di proseliti personalmente ligi circond?? il presidente. Gi?? da un pezzo il principe aveva ravvisato nel generale Saint-Arnaud l'avventuriero arrischiato e senza coscienza che faceva al caso suo. Per procurare al suo uomo un po' di grido, fu intrapresa una spedizione contro i Cabili. Tornato dall'Africa vittorioso, l'eroe ottenne il portafoglio della guerra, e immantinente risovvenne alle truppe il dovere della cieca ubbidienza militare. Il presidente ricev?? gli ufficiali con l'assicurazione: ??il giorno del pericolo io non mi condurr?? come i miei predecessori; non vi dir??: marciate, vi seguo! vi dir??: io marcio, seguitemi!??. In conseguenza di tali avvenimenti, i questori della camera presentarono la mozione, che l'assemblea nazionale avocasse a s?? il regolamento di ordine dell'esercito. Che, dati gli umori ostili dell'esercito, cotesta idea non avrebbe seguito, era evidente; ma, affinch?? tutta l'azione dell'assemblea non apparisse un vacuo apparato verbale, bisognava venire all'estremo tentativo di difesa. Il parlamento era colpevole di falli indimenticabili, perch?? troppo sovente aveva posto al disopra del bene del paese l'odio reazionario della fazione: ed ora, giusto contrappasso, gli toccava di andare alla malora sotto la rabbia settaria della Montagna. L'odio ai dispregiatori dei sacri giorni di febbraio stava ai socialisti pi?? a cuore, che non la preservazione della repubblica. Essi si ribadirono come i rappresentanti schietti di quella democrazia dell'invidia, che gl'italiani qualificano col nome incisivo di democrazia di rappresaglia. E non vollero prestare nuove armi agli assassini del suffragio universale: la mozione dei questori fu rigettata. Fu il terzo grosso sproposito del parlamento. Esso stesso, il parlamento, diede la partita perduta. Il presidente, secondo che ammette lo stesso Granier sulla fede di Cassagnac, era deciso, non appena la proposta dei questori fosse stata approvata, a rispondere immediatamente con un atto di autorit??. Caduta la proposta, disse sollevato: cela va peut-??tre mieux! Ora sapeva, che contro di lui non esisteva nemmeno l'ombra di una volont??, e che se il colpo di stato avesse incontrato mille avversari, non un uomo si sarebbe mai afflitto per quel parlamento.

La sola giustificazione possibile del colpo di stato ?? nelle incalcolabili perturbazioni che minacciava di apportare l'anno 1852, e nella necessit?? della monarchia, ammessa ormai dalle manifestazioni non ambigue della volont?? popolare non solo, ma, in fondo, perfino dalle ultime discussioni dell'assemblea nazionale. Il presidente scans?? gli sbagli del 18 brumaio, e prese a modello la rigidezza ferrea, rapidamente risolutiva, con cui altra volta lo zio aveva compresso il 13 vendemmiale Parigi sollevata. Anche ai quattro uomini, che soli il principe aveva iniziati ai suoi torbidi segreti, Morny, Saint-Arnaud, Persigny e Maupas, appartiene la testimonianza, che tutti insieme seguivano con la sicurezza della virtuosit?? le teorie del catechismo della tirannide di Machiavelli. Morny era l'anima dell'impresa: dal silenzio del suo gabinetto dirigeva i movimenti delle truppe, quando alla fine il 3 dicembre, con sua alta soddisfazione, la rivolta nelle strade si annunzi?? abbastanza fiacca. Se il 2 dicembre fu una necessit??, e oggi qual uomo che abbia senso politico pu?? ancora contestarlo? ?? per?? non meno sicuro, che negli animi superficiali degli sfrontati venturieri offertisi sicari al colpo di stato, non ?? a ricercare nulla di quella profonda seriet??, di cui un atto di ardimento storico suole compenetrare gli audaci autori. La sera del 1?? dicembre disse il signor di Morny: ??se ?? questione di scopa, procurer?? di trovarmi dalla parte del manico??; e il mattino del giorno seguente, mentre i birri invadevano la camera dei deputati, Saint-Arnaud e Mocquart si baloccavano con spiritosaggini scimunite: come sarebbero stati spassevoli a vedere il piccolo Thiers e il piccolo Baze in camiciola, davanti ai graduati di polizia! E coteste vecchie storie innominabili, il signor V??ron dopo quindici anni le serve in tavola un'altra volta, con vanitoso compiacimento. La massima incontestabile, che un uomo di stato non deve volere nulla pi?? morale del necessario, non basta evidentemente a discolpare la frivola e feroce criminosit?? dello strumento del necessario. Se una congiura, perpetrata dai custodi stessi della legge, ?? certamente la pi?? esosa di tutte le violazioni del diritto, per giunta cotesta enormezza fu resa quasi inespiabile dalla nullit?? morale dei consoci, dei quali il presidente si valse. E anche l'esecuzione del colpo di stato proced?? con brutalit?? sproporzionata e inutile.

Lasciamo ad altri il rimestare in quella lordizia e descrivere particolareggiato, come il generale Forcy fece prendere pel colletto i deputati, come il generale Saint-Arnaud fece punire di morte sul momento i c??lti sulle barricate, come la soldatesca avvinazzata si sparse dopo la vittoria ad assassinare e inferocire nei viali dei boulevards, come i difensori delle barricate rimasti l?? furono spazzati via in mucchio, tanto che i superstiti si riversarono al camposanto per riconoscere a un braccio, a un piede sporgente dalla terra i loro cari caduti. Il sistema delle deportazioni e delle proscrizioni, maneggiato dall'assemblea nazionale con cos?? miserabile maltalento, si ritorse adesso contro i suoi autori. ?? ben lecito calcolare, che durante lo stato d'assedio proclamato su una gran parte del paese, 80.000 persone furono imprigionate: nemmeno a Napoli e a Roma la reazione aveva cos?? radicalmente fatto piazza pulita degli avversari.

Tra gli avvenimenti della rivoluzione di brumaio il giudizio morale stima il pi?? obbrobrioso non gi?? la brutale irruzione della soldatesca nella sala dei cinquecento, ma la seduta serotina del 19 brumaio, non menzionata dalla maggior parte delle opere storiche, nella quale essa medesima, l'assemblea dei cinquecento, dichiar?? di avere il generale Bonaparte ben meritato della patria. Del pari, il punto tragico impressionante del colpo di stato di dicembre non ?? la barbarie degli sgherri, non ?? il pathos rettorico a buon mercato che i deputati sfoggiarono in faccia ai soldati irruenti; ?? invece la sorte delle rappresentanze popolari, le cui armi spirituali, quando vengono al cozzo con la potenza del pugno, si rivelano compassionevoli: e noi lasciamo ai bonapartisti il gusto di farne le beffe. Il terribile della catastrofe ?? il fatto, che la maggioranza della nazione approv?? il colpo di stato. Pu?? darsi che il presidente, da professatore fatalistico qual era della fede napoleonica, avesse stimato le simpatie popolari pi?? forti di quel che erano; comunque, aveva per s?? l'enorme maggioranza delle provincia, e gli operai della capitale non lo avversavano. Appena mille sollevati, appartenenti i pi?? ai ceti colti, erano accorsi alle barricate. Gli uomini del camiciotto guardarono con malizia, come i principali transporteurs fossero raggiunti dal taglione. Il sobborgo Sant'Antonio era stato completamente disarmato fin dalla sollevazione di giugno; e ai membri dell'assemblea nazionale che comandavano la resistenza fu risposto con sprezzo: ??perch?? combatteremmo contro l'uomo, che ci ha dato il suffragio universale???. Tanto era profonda la voragine, che separava le folle dai repubblicani colti! La grande maggioranza della popolazione della capitale diede prova di una frivolezza completa; la ressa dei curiosi invase i luoghi delle barricate vinte come un circo di nuovo genere, e tutti si rallegravano, che gli annali della capitale del mondo si fossero ancora una volta arricchiti di un formidabile avvenimento. In alcuni dipartimenti del centro e del Mezzogiorno tumultuarono i contadini e i piccoli borghesi; nel Varo a capo della rivolta era una dea della libert??. Comunque, fu significante, che gli umili nelle provincie principiassero finalmente a mostrare una volont??; del resto le turbolenze furono per ogni dove facilmente sedate.

Noi non annettiamo valore al fatto, che la versatile burocrazia anche questa volta si conform??, e nella sua grande maggioranza sottoscrisse il riconoscimento formale del colpo di stato, che il nuovo sovrano, con sicura conoscenza degli uomini, richiese immediatamente; n?? vogliamo indagare se il rialzo, con cui la borsa di Parigi salut?? il 2 dicembre, fu provocato da abili incette da parte dei compari di Fould. Ma la gioia cieca dei possidenti, la rapida ripresa degli affari, la completa indifferenza con cui era guardato ogni nuovo tratto violento del governo, non lasciavano dubbi sull'opinione del paese. Sette milioni di francesi sancirono col loro voto il colpo di stato. E l'esercito? Come mai i figli del contado avrebbero prestato la loro spada al napoleonide, se i contadini non avessero voluto l'impero?

In luogo di attaccarsi alle particolari falsificazioni che si frammischiarono nel voto universale, conviene piuttosto all'uomo politico cogliere nel nodo vitale l'essenza di una societ?? democratica, il significato del proverbio criminosamente abusato vox populi vox Dei. Il pi?? duro assolutismo che conoscesse il secolo decimonono, fu fondato da una manifestazione della volont?? popolare democratica. Nei primi anni si trovarono di conserva contro il nuovo sovrano presso che tutte le menti rappresentative della nazione, quasi tutti i nomi illustri dell'arte e della scienza, della politica e delle armi; nemici tutti; e con una unanimit?? a stento udita nella storia. Principi?? un tempo, in cui i cervelli imbamboliti si adagiarono nel puro nulla del non pensare, e per le nature pi?? nobili and?? perduto quasi tutto ci?? che forma per loro il miglior contenuto della vita; innegabilmente, per??, le moltitudini furono per alcuni anni felici e contente. Tanto grama ?? l'importanza dell'ingegno e del pensiero in una et?? di democrazia e di economia! La rivoluzione di febbraio feriva gl'interessi della propriet??; ragion per cui le si lev?? subito contro un'opposizione vittoriosa. Il colpo di stato fu un benefizio per l'industria e il commercio; non colse nessuno cos?? gravemente come i capi spirituali della nazione, gli uomini del pensiero; e perci?? l'opposizione si ridest?? a rilento, e tanto pi?? poi, perch?? in questo popolo la potenza delle idee non aveva pi?? la forza di annientare il dispotismo. Non la Francia, sibbene la spada tedesca avrebbe un giorno annientato il terzo come gi?? il primo Napoleone. Il parlamentarismo, che per lo spazio di una generazione aveva mosso e occupato la nobilt?? intellettuale del paese, spar?? in un sol giorno, senza lasciar traccia, come inghiottito dalla terra, senza nemmeno un ricordo potente dietro di s??, senza un partito fervente. Perch?? effettivamente in cotesto stato burocratico esso non era mai vissuto, e nello spasimo dell'agonia solo questo aveva ricordato alla nazione: che la servit?? della Francia era stata stabilita per mezzo del parlamento. Offese violente alla costituzione, come la legge del 31 maggio, e segrete trame traditoresche con gli Orl??ans: ecco le ultime gesta degli eroi di virt?? del parlamento francese.

Le estreme cause della catastrofe rimontano lontano. Il presente, perduto di s?? stesso come Narciso, ripete senza riguardo la grave verit??, che la Francia ha rotto con la sua storia. Esso non sa, che in questa sola parola ?? tutto un mondo riboccante di colpa. L'esperienza di ogni giorno insegna fino a qual punto la risoluzione di principiare una nuova vita devasti le anime anche pi?? salde, e quanto raro avvenga. E noi ci meravigliamo se una grande nazione, che ?? dimentica del suo passato, vada barcolloni tra l'indisciplinabilit?? sediziosa e la sottomissione cieca! Noi protestanti non riusciamo a considerare le precipitose convulsioni della vita francese, senza lamentare ancora una volta il calamitoso editto che band?? dalla Francia la fede evangelica. Quando a un popolo ardimentoso e geniale non resta altra scelta che la Chiesa dell'autorit?? e del piatto ossequio; quando nelle questioni pi?? sacre, supremamente personali, gli ?? tolta la debita libert??, gli ?? tolto il terreno della discussione e della comprensione, allora un'agitazione convulsa invade tutta intera la sua vita spirituale; terribili contraddizioni vengono immediatamente a cozzo, e la societ??, sbattuta da una lotta irresolubile, ritorna sempre a cercare di nuovo la propria salvezza nella servit??.

Conferisce ai tedeschi il riandare anche la complicit?? del proprio popolo, la complicit?? dell'intera Europa. Non solamente il papa salut?? con riboccanti benedizioni l'eroe del 2 dicembre; in tutti i paesi europei i possidenti acclamarono al nuovo sovrano. Taluni, come lord Palmerston, penetrarono la necessit?? del rivolgimento; i pi?? si rallegrarono spensieratamente di essere stati sgravati alla fine dalle ansie per la sicurezza dello scrigno. Perfino lo czar Nicola, l'antico avversario dei Bonaparte, riconobbe benevolmente i meriti che il presidente si era acquistati per la causa dell'ordine. La corte viennese segretamente sper?? che il colpo di stato ricondurrebbe decisamente a una restaurazione borbonica; perci?? Felice Schwarzenberg non stim?? inopportuno celebrare un individu tel que Louis Napol??on come un eroe della causa conservatrice. Il nome stesso ??salvatore della societ???? depone come un indimenticabile testimonio di miseria per l'animo virile di quella et?? profondamente caduta. Ma anche pi?? miserabile dell'allegria del borghesume salvato, apparve la vigliaccheria del radicalismo tedesco, il quale, in luogo di resistere virilmente in casa alle improntitudini della reazione, per un anno intero conferm?? il proprio coraggio civile nelle spiritosaggini niente pericolose su ??Lui??. Ma quanto pi?? rumorosamente i radicali berteggiavano e schernivano, tanto pi?? profondamente il nuovo sistema s'insinuava nelle istituzioni dei paesi vicini. ??Il suffragio universale ?? il lavoro??, proclama la meglio fondata tra le spampanate del nuovo bonapartismo: il 2 dicembre significa il principio di una nuova et?? piena di una produzione economica elevata al grado supremo. Laddove il primo impero aveva con la sua tracotanza violenta chiamato a raccolta tutte le forze morali dei vicini, ora invece cotesta nuova scostumatezza e crapulosit?? francese trabocc?? dalle frontiere rovinando e stupidendo: tirannide di una immoralit?? senza idee, alla quale in quei cinquant'anni non si sottrasse interamente nessun popolo di Europa.

Il nuovo sovrano indubitabilmente era molto superiore al suo entourage. Tanto che fin dal principio a un giudizio imparziale non pot?? sfuggire, che egli non si proponeva n?? di calcare le orme sanguigne dello zio, n?? di disfarsi nella nullit?? del cavaliere di ventura coronato dalla vittoria. All'opposto, per la prima volta nella nuova Francia inizi?? egli un regime, che dagli esordi aveva a misurarsi con l'opposizione della capitale: tuttora sotto lo stato di assedio un terzo degli elettori parigini pronunziarono il loro no avverso il nuovo ordinamento. In tale rischio, il presidente non poteva sdegnare nessun'arme che gli venisse a mano. Si serv?? della sciabola, e, alla maniera dello zio, parl?? all'esercito come alla parte scelta della nazione. Si serv?? del confessionale, e incor?? gli ultramontani alle pi?? arrischiate speranze. Si serv?? della dedizione degli spiriti, e la burocrazia, ligia in ogni tempo, fece presto a ricorrere a tutti gl'intrighi della vecchia polizia imperiale. La rabbia del tacimento, la fureur de silence, domin?? in Francia, mentre la stampa presidenziale annunziava con giubilo: noi abbiamo un padrone! L'introduzione del nuovo statuto dichiar??, che il capo supremo dello stato era personalmente responsabile. L'articolo fu assai motteggiato; eppure conteneva una delle poche verit?? sperdute fra le tante bugie accumulate in cotesta costituzione. L'enorme responsabilit??, che pesava sul nuovo sovrano, sarebbe stata comportabile solamente nel caso, che egli fosse riuscito a sanare il proprio governo dalla macchia dell'origine e a dare sviluppo a quelle idee di progresso, che indubbiamente sono involte nella sostanza proteiforme del bonapartismo.

Fu ristabilita la calma, non gi?? la pace degli spiriti. Gi?? fin da prima del colpo di stato una circolare segreta del radicale ??Comitato di opposizione?? aveva dichiarato, che da ora in poi era impossibile ogni perdono in riguardo delle classi abbienti. Adesso, per giunta, alle vecchie contese che scindevano il paese ne era sopraggiunta una nuova, e talmente soverchievole, che al paragone tutte le altre scissure sparivano: la Francia si ruppe un'altra volta, come dopo i cento giorni, in due nazioni: i vincitori e i vinti del 2 dicembre. E cotesto contrasto dur?? fino alla caduta del terzo Napoleone. Il secondo impero ha apportato parecchi successi cospicui alla potenza e al benessere del paese, ma per lo spazio di venti anni non gli venne mai fatto di persuadere la nazione al tranquillo e incondizionato riconoscimento del novello regime.

PARTE QUINTA

IL SECONDO IMPERO

Il Secondo Impero. [Scritto in Heidelberg nel 1871.]

I.

L'opinione corta dei molti viene sempre determinata dall'impressione dell'ultim'ora. Da quando il secondo impero ha trovato una fine obbrobriosa sul campo di S??dan, la figura del terzo Napoleone ?? fitta nella mente del popolo tedesco come quella di un empio violatore della pace, e questo giudizio nazionale non sar?? forse mai cambiato, certo non lo sar?? nell'avvenire prossimo. Se io mi arrischiassi di ripubblicare, corrette oggi e completate, le osservazioni sul recente fenomeno del bonapartismo che scrissi nel 1868, mostrerei la presunzione di voler influire sul sentimento popolare, che ben a ragione domanda sempre idee semplici, complete, senza contraddizioni. Mi rivolgo alla breve cerchia di coloro, che non s'infastidiscono di riandare la conturbante storia clinica del popolo francese in questi ultimi ottant'anni. Chi ha cercato di farlo coscienziosamente, prima di condannare perentoriamente l'edifizio statale di Napoleone III, proporr?? piuttosto il quesito, se ?? possibile, innanzi tutto, di ben governare cotesta nazione; e ne caver?? la conclusione, che il secondo impero non ha cagionato la rovina della Francia, ma l'ha trattenuta per due decenni. Tocc?? all'ultimo Bonaparte, merc?? la propria accortezza, merc?? il favore della fortuna e la debolezza dei popoli vicini, di alzare ancora una volta lo stato francese a una pienezza di potenza, che sopravanzava di gran lunga la potenzialit?? morale della nazione.

Non possiamo affermare, che il contegno dei nostri vicini a nostro riguardo sia cambiato sostanzialmente dal tempo del trattato di Vienna. E cerchiamo la ragione di cotesta politica ora irritante, ora minacciosa, ora violentemente aggressiva, non gi?? in un sistema qual si sia, ma, parte nel carattere nazionale, che non muter??, fintanto che l'educazione del popolo francese sar?? volta a svegliare l'ambizione esteriore in luogo dell'intimit?? morale dell'anima; parte in noi stessi, nel nostro sminuzzolamento, nelle nostre guerre civili, che permisero ai francesi di fare assegnamento sulla debolezza della Germania. Ora che l'impero germanico gloriosamente risorto ha strappato il terreno sotto i piedi a tutte coteste amichevoli calcolazioni dei vicini, il tedesco pu?? con superbo sentimento di tranquillit?? riandare i recenti destini del paese confinante.

Il tema, tuttavia, si presenta poco grato. Giacch?? l'antico e irrevocabile presentimento, che anche cotesto pomposo impero si sarebbe alla fine rivelato per niente altro che una nuova precariet??, ha gi?? da tempo impresso un segno passionato di esagerazione su tutti i giudizi dei nemici del pari e degli amici. Ogni parola di condiscendenza ci si secca nella penna, quando udiamo con quale sfacciata ciarlataneria il bonapartismo ha saputo cantare la propria gloria: il nostro modesto elogio tedesco non salir?? mai alla grandiosit?? dell'apoftegma di Rouher: ??no, no, non ?? stato mai commesso un errore!??. Anche un comodo biasimo appare triviale rispetto a un sistema, sul quale, come sopra una gigantesca avventura, gli stessi avversari moderati, fin da gran tempo prima che soccombesse, avevano calato in forma solenne la pietra sepolcrale. In tale eccesso di lode e di condanna ?? difficile mantenere la linea ferma e netta del giudizio storico; tanto pi?? difficile, in quanto l'intima contraddizione del bonapartismo, la diabolica mezza verit??, che noi abbiamo cos?? spesso dimostrato essere il carattere fondamentale del dispotismo rivoluzionario, si presenta nel secondo impero con una energia addirittura suicida. Il terzo Napoleone non ha mai, con la parola o con l'opera, stabilita una tesi, che egli stesso non abbia subito dopo tolta via con una antitesi. Delle pericolose passioni di cui febbricitava la Francia, egli personalmente era certo pi?? immune, che non forse qualsiasi uomo in vista tra i francesi contemporanei; solo che la necessit?? di sostenersi, l'intima essenza del suo sistema lo forzava a solleticare continuatamente quelle passioni; di modo che sopra di lui e sopra la sua Casa si comp?? la nemesi, che presto o tardi doveva raggiungere la tracotanza sacrilega dell'intero popolo.

La malagevolezza maggiore per venire a un sicuro giudizio politico ?? determinata dai fondamenti sociali del nuovo stato francese. In ogni tempo l'egoismo di casta ?? stato la disposizione congenita di tutte le classi dominanti; e allora appare odiosissimo agli occhi della posterit??, quando si manifesta ingenuo e inconscio ai dominanti che hanno cambiato natura. Ognuno oggigiorno sente emanare dagli scritti dell'antichit?? la superbia intellettuale di quelle dense aristocrazie, che guardavano sugli schiavi e i banausi come sul vuoto aere. Pochi o nessuno di noi sospettiamo, quanto noi stessi siamo compenetrati da sentimenti e pregiudizi affini. Il ceto medio, che al presente determina in Germania l'opinione pubblica, riconosce nell'illimitata concorrenza la sostanza della libert?? sociale, e nella pi?? ampia discussione il primo inevitabile presupposto della libert?? politica: esso tra lotte indimenticabili si spupill?? dalle fedi dommatiche. Dobbiamo a un tale spirito l'emancipazione dei contadini; a quello dobbiamo, se i nostri ceti colti sono i pi?? liberali e i pi?? giusti di tutte le classi governanti della storia. Tuttavia un severo esame ci dice, che anche noi, mentre lavoriamo per questo puro ideale politico, parliamo poi soltanto come gente scatenata. Un superbo gentiluomo del secolo decimottavo pi?? facilmente avrebbe potuto intendere le idee della crescente borghesia, che non noi iniziarci nel globo intellettuale del quarto stato.

L'inclinazione delle classi lavoratrici ?? stata descritta da Aristotele col classico: ??????????????????? ???????? ?????? ?????? ????????? ????????? ?????????????? ???????????????????: parola, che nei tempi moderni pi?? liberi pu?? bene essere mitigata, ma non mai confutata. La vita privata, la fatica e la cura della casa, forma per questi strati sociali il nocciolo dell'esistenza: potrebbero con pieno diritto aspirare a prender parte al governo dello stato, ma non si trovano in condizione di offrire allo stato un'opera durevole e regolare. Si riscaldano di rado per quella vivace lotta degl'intelletti che per l'uomo colto forma il pane della vita, e sono molto proclivi a dar via la libert?? del pensiero per un governo forte e benigno, che promova energicamente il benessere dei molti: tra tutte le potenze spirituali ?? per?? sempre quella della Chiesa, che esercita su cotesti animi l'incanto pi?? forte. ?? questa la ragione che difficolta al dotto un giudizio sicuro sul pi?? recente grado di sviluppo del bonapartismo. Nel mondo moderno l'importanza del quarto stato non era stata mai cos?? invadente come sotto il secondo impero. Al tempo della Convenzione le moltitudini parigine dominavano il potere dello stato e mutuavano una parte della loro potenza al sicuro lavoro della macchina amministrativa. Sotto Napoleone III erano fuori del governo; ci?? non ostante il quarto stato costituiva la classe pi?? importante: il continuo riguardo al contentamento degli umili form?? il pensiero direttivo del nuovo bonapartismo. Anche oggi, sotto la cos?? detta repubblica, l'avvenire della nazione ?? indubitabilmente nelle mani dei contadini e degli operai. Solo che dove domina il quarto stato, ivi domina anche il suo concetto sensuale della vita. E nella nuova Francia appare cos?? spaventosa la rozzezza morale, il disprezzo di tutti i beni ideali, che senza volerlo si corre a una congettura, la quale, certo, non ?? storicamente dimostrabile. L'apparenza ??, che tutti i nobili elementi latini e germanici siano stati interamente schiumati da questa nazionalit?? commista, e che sia tornato sopra a ribollire il sedimento impuro dell'antichit?? celta. Se di sotto a un tale strato fitto d'ipocrisia e d'immoralit?? vuole distinguere il merito di un siffatto sistema sorretto sul quarto stato, l'uomo colto deve reprimere con forza molte delle pi?? care e nobili idee proprie del suo ceto.

Il secondo impero capita nei due pi?? ricchi decenni contemporanei; e se riflettiamo con quale agilit?? ha pazzamente corvettato e ha cangiato il giudizio del mondo sul terzo Napoleone, sentiamo vivamente come siamo diventati vecchi in pochi giorni. Il nuovo bonapartismo, opposto vivente dell'infingardo regno borghese, ha trasformato pi?? profondamente e pi?? violentemente di qualsiasi altro regime moderno le condizioni sociali del suo paese; la baldanza del suo assoluto volere os?? parecchie riforme recidenti dalle radici, per le quali un parlamento non avrebbe trovato n?? il coraggio n?? la spregiudicatezza. Solo che la precipitosa caduta di questo sistema dell'affario conferma ancora una volta la regola, che un governo tanto meno ?? stabile, quanto pi?? ampiamente allarga la propria attivit??.

Raccogliamo innanzi tutto le brevi memorie del presente negli stadi principali che il secondo impero ha percorso. La sua storia si divide in due periodi nettamente distinti. Nello stesso modo come un tempo, subito dopo l'anno 1840, sorse opinione, che la stella degli Orl??ans corresse all'occiduo, cos??, dopo il 1860 il giudizio generale ritenne, che l'impero del terzo Napoleone avesse sormontato il suo culmine. Con questo, per??, che il decennio dell'ascesa era la fase del dispotismo non mitigato in nulla, laddove il decennio della discesa era il tempo delle prove liberali! Non occorre altro che guardare freddamente in faccia questi dati di fatto per riconoscere immediatamente la verit??, che il bonapartismo con le concessioni alle idee liberali dei ceti pi?? alti aveva rotto fede a s?? stesso, e che la nazione non era pi?? capace di comportare un regime di libert??.

Al colpo di stato segu?? prima un anno di transizione, che fu per l'immoralit?? del nuovo sistema la stagione della fioritura. Laddove i mentiti discorsi del presidente al tempo dell'assemblea nazionale trovavano spiegazione nella situazione politica, in appresso, invece, la gherminella repubblicana del 1852 appare semplicemente frivola e ordinaria. Il presidente stimava necessario un terzo plebiscito per consolidare la propria potenza? Oppure il fatalista opinava di poter salire al supremo potere solamente, come lo zio, per tre gradi? Certo, era decisivo il fatto, che il 2 dicembre il principe tenne a serbare l'apparenza, che il colpo di stato servisse a salvare la repubblica. Ci?? in riguardo alle grandi potenze, le quali in verit?? diedero la loro approvazione alla vittoria dell'??ordine??, pur non volendo nessuna di loro il ripristinamento dell'impero. Insomma, la Francia ufficiale impostur??, ancora per lo spazio di dieci mesi, con frasi ipocrite la fede repubblicana, quantunque il colpo di stato nient'altro potesse significare, che l'erezione del trono. Nel settembre del 1852, durante il viaggio ufficiale attraverso il paese, il presidente assicurava tuttora, che nel grido ripetuto ??viva l'imperatore!?? egli riconosceva pi?? un tenero ricordo che una espettazione: ma il ministro dell'interno faceva prender nota dei nomi delle persone che in quel viaggio imperiale venivano a contatto col principe, ??affinch?? non vadano perduti alla storia??. Il flemmatico uomo si era tenuto freddo e calmo in mezzo a quell'ardente entusiasmo popolare, il quale indubitabilmente dimostrava, che le popolazioni avevano interpretato il senso dell'ultima elezione di dicembre assai pi?? giusto, che non le grandi corti. Alcune settimane pi?? tardi la brama del paese di ristabilire l'impero si manifest?? irresistibile: la nazione esigeva, secondo l'enfatica espressione del sindaco di Sevres, lo sposalizio della Francia con l'inviato di Dio. Segu?? allora, stesa da Troplong, quella relazione del senato, che noi senza esitazione possiamo definire il capolavoro del moderno bizantinismo. Perch?? mai anche il linguaggio del fido senato non avrebbe dovuto sinfoniare fino all'ardimento ditirambico? Appunto, Troplong medesimo lo confessa: vi sono momenti in cui anche l'entusiasmo ha il diritto di risolvere questioni! La nazione incorona s?? stessa incoronando Napoleone; in tal modo ella trae nobile e pacifica vendetta dei trattati del 1815. La repubblica cede la propria essenza tramessa alla dignit?? imperiale merc?? il popolo sovrano, e la grande ombra dalle nubi guarda appagata l'esaltazione del nipote.

Sotto la tutela del nuovo trono si svolgono veementi tutte le energie del lavoro e la vertigine della speculazione: giace una quiete profonda sulla vita intellettuale e politica. L'opinione dei popoli odiava l'imperatore in cui vedeva il cagnotto della reazione europea, che perseguitava per ogni dove, perfino nell'asilo dei paesi liberi, i campioni della repubblica; e tremava pensando all'ora, in cui egli infallibilmente avrebbe imboccato la via dello zio. Le corti tentennavano tra la ripugnanza contro il risalito e il rispetto verso il salvatore della societ??. Negli affari europei dava il tono la Russia; e precisamente quella corte mantenne di fronte al napoleonide, non appena fu esaltato imperatore, l'attitudine della rigida alterigia legittimista. In quel torno i disordini orientali offrirono l'opportunit?? di sperimentare la potenza della Francia e i talenti del suo capo. Segu?? un brusco spostamento delle alleanze e dei rapporti internazionali, che ricord?? vivamente il tempo splendido del Consolato, allorch?? Bonaparte, minacciato pur dianzi da una coalizione soverchiante, riusc?? in pochi mesi ad assembrare in lega gli stati del Mezzogiorno e del Settentrione contro il diritto marittimo inglese. In verit??, i risultati della spedizione di Crimea ebbero scarsa efficacia sul mondo orientale, quasi nulla; ma la gloria guerriera delle aquile imperiali fu novellamente sancita, e i rinfranchi del paese si palesarono inesauribili, giacch?? nel bel mezzo della guerra la capitale lussuri?? anche di pi?? nell'orgia della vita neonapoleonica e apparecchi?? una fastosa esposizione alle industrie dell'Europa. Il napoleonide ebbe la soddisfazione, che nell'anniversario della sua conquista di Parigi un congresso europeo raccolto sulla Senna sotto la presidenza dell'ambasciatore francese segn?? la conclusione della pace. La preponderanza della Russia era spezzata. Di nuovo la Francia si chiamava la grande nazione. Subito dopo venne alla luce il principe imperiale: gli eserciti francese, inglese, italiano, turco e russo festeggiarono in pari tempo in Oriente la nascita del principe ereditario. Il sistema nazionale era eternato, come dissero le autorit?? nello stile del primo impero. Nel febbraio 1857 l'imperatore pot?? congedare il devoto corpo legislativo con la confidenza, che presto si direbbe del secondo impero come un tempo del Consolato: ??regnava da per tutto il contento, e chi non nutriva nel cuore malvage passioni gioiva della felicit?? del paese??.

Capit?? allora un contrattempo: l'attentato di Orsini storn?? per alquanto tempo Napoleone III dal suo comportamento, e il sistema, prima appena raddolcito, di oppressione fu novellamente raggravato. Il subisso di felicitazioni da cui fu inondato l'imperatore per l'avvenuto scampo, dimostrarono per?? al mondo fino a qual segno le popolazioni avessero bisogno di lui: che indubitabilmente parlava in loro un certo qual misto di sentimenti nobili e di servilit??, come nell'ode Divis orte bonis che in un'epoca affine Grazio cant?? ad Augusto. Nessuno ha cos?? incisivamente significato di cotesto attacco la ragione ideale, come l'enfant terrible dei bonapartisti, il marchese di Boissy, con le parole: ??noi tutti amiamo l'imperatore, perch?? ognuno dice a s?? stesso: in quale pantano cadremmo, se Napoleone morisse!??. Proprio in quei giorni in cui l'opinione pubblica liberale farneticava nuovamente sull'imperatore, egli s'incontr?? con Cavour a Plombi??res, e port?? a maturit?? il pensiero pi?? ardito e pi?? benefico della sua politica europea. Giacch??, per quanto lo stesso imperatore abbia pi?? tardi peccato rispetto all'Italia e per quanto anche il corso degli avvenimenti abbia deluso le aspettazioni del napoleonide, pure al terzo Napoleone rimane la gloria, che senza il suo aiuto il risorgimento dell'Italia forse non sarebbe stato mai iniziato, e certamente non avrebbe trionfato. Nelle ore in cui tra le tripudianti acclamazioni degli operai di Parigi l'imperatore si accingeva a partire pel campo, appariva effettivamente un sovrano nazionale, il rappresentante della Rivoluzione. Dopo la vittoria di Solferino l'egemonia della Francia tra i popoli latini parve assicurata. Anche i liberali illuminati s'inchinarono al liberatore dell'Italia, e in ampia sfera fu ripetuta la lode smisurata: Napoleone il Piccolo riposava agl'Invalidi, Napoleone il Grande regnava alle Tuileries. Era il tempo che l'Europa nella solennit?? del Capodanno tendeva l'orecchio a Parigi, con l'emozione angosciosa del bambino bruciato. Ed ora, con la consapevolezza della propria potenza, l'imperatore arrischi?? la grande riforma della politica commerciale: la superba idea di raccogliere tutta l'Europa occidentale in un unico dominio aperto al libero scambio si avvi?? verso l'effettuazione.

Eppure l'ora felice dell'impero era gi?? dileguata. Principi?? il dichino, da quando la storia richiam?? dovunque nuove complicazioni sociali, a cui non rispondeva menomamente la pretesa della Francia di essere maestra di tutto il mondo. La stessa fondazione del regno d'Italia era, per lo meno, tutt'altro che profittevole alla supremazia della corona napoleonica. Inoltre, l'inevitabile inazione del gabinetto durante la sollevazione polacca dimostr?? che la Francia non era abbastanza forte per garantire i suoi cos?? detti alleati. L'imperatore tent?? indarno di comparire ancora una volta come il patrono della pace europea; egli invit?? a un congresso le grandi potenze con espressioni quasi minacciose: ogni rifiuto avrebbe tradito segreti disegni, che temevano la luce del giorno! La guerra dello Schleswig-Holstein, e con quella il grande imbocco della politica tedesca, principi?? per l'appunto quando coteste burbanzose parole si sparsero pel mondo. Il ritegno dell'imperatore durante le lotte per D??ppel ed Alsen gli procur?? da parte dei tedeschi riconoscenza e talvolta eccessivo apprezzamento, motteggi e biasimo da parte del suo popolo. Frattanto il secondo impero aveva trovato nel Messico la sua Spagna. Una catena di strafalcioni grossolani, una inesplicabile disconoscenza della vitalit?? ed energia degli Stati Uniti condussero a una disfatta obbrobriosa, misero a repentaglio la dignit?? e la riputazione della corona, sconvolsero siffattamente le finanze e l'esercito, che allo scoppio della grande guerra germanica lo stato non era nella condizione voluta per l'entrata in campagna. In tal modo si comp?? la fondazione dello stato settentrionale tedesco: un terribile colpo per tutti i pi?? cari pregiudizi dei nostri vicini: e nello stesso tempo l'unificazione dell'Italia incominciata dalla Francia fu spinta a termine dalla vittoria della Prussia.

Nel frattempo l'imperatore era invecchiato, e i validi coadiutori che sostenevano la sua corona, l'uno dopo l'altro, erano spariti: Saint-Arnaud e Magnan, Pietri e Mocquart, Fould, P??lissier e Walewski, e poi i tre non surrogabili, che pi?? di tutti avevano lavorato con coscienza di uomini di stato alla fondazione duratura dell'impero: Billault, Thouvenel e quel Morny, che aveva inculcato cos?? spesso al despota tentennante la fresca energia della risoluzione netta. D'altronde, qui come per ogni dove, il dispotismo si era rivelato incapace di produrre nuovi grandi ingegni di uomini di stato. L'opposizione delle classi colte si ridest?? a nuovo ardore, l'attitudine di fronda ritorn?? a essere un'arte in moda, e fin dal tempo della ritirata del Messico rison?? tra gli avversari il grido sempre pi?? baldanzoso: l'empire est d??fait. Lo sfasciamento del Cr??dit mobilier e il disavanzo crescente del bilancio dello stato, lo spopolamento delle campagne e l'urbanesimo suscitarono il sospetto sulla sanit?? del nuovo rigoglio economico; e la giornata di K??niggr??tz aguzz?? gli occhi sui rischi e le menomazioni alla propria patria. Anche la fiducia dei popoli vicini fu distrutta dalle fondamenta dal brutto affare del Lussemburgo e dalla rioccupazione di Roma. Cos??, incalzato di dentro e di fuori, dopo reiterati slanciamenti e arretramenti, alla fine Napoleone si butt?? avanti sulla strada delle riforme costituzionali, che gi?? aveva aperta col decreto del 24 novembre 1860. Ma il richiamo ??guerra o libert????, che saliva dalle fila dell'opposizione, testimoniava tristamente sia dell'oltracotanza abituata a calcare coi piedi il diritto dei vicini, sia, insiememente, della disperazione di un popolo, che sente l'indegnit?? della propria posizione senza trovare in s?? la forza durevole per risollevarsi. Il contegno servile della popolazione nella campagna elettorale del 1869 dimostr??, che effettivamente l'energia politica era completamente svanita. Non punto una volont?? popolare ferma e sicura, ma solamente la confusa e lunatica scontentezza delle classi alte indusse il despota a cedere a mano a mano alle rinascenti idee costituzionali. Finalmente il ministero Ollivier arrischi?? il tentativo di riconciliare la tirannide col parlamentarismo: tentativo, che doveva sommergersi nel suo proprio assurdo. La gherminella costituzionale plac?? tanto poco il livore dei vinti del 2 dicembre, quanto la malvagia libidine guerresca della nazione. L'imperatore cerc?? di liberarsi dalla sua posizione insostenibile, prima con un appello al popolo, poi con una guerra ardentemente agognata dalla nazione. La nostra buona spada mand?? in frantumi il suo trono; e senza fede, senza dignit??, nel modo stesso come in altri tempi si era inchinata al colpo di stato, cos?? ora la nazione abbandon?? il ??salvatore della societ????, perch?? sul campo di battaglia non era stato fortunato.

II.

Le reiterate e violente vicissitudini del trono nella moderna storia francese e l'egoismo impronto con cui ogni classe dominante ha messo a profitto il proprio potere, hanno annientato in Francia la monarchia, nel senso antico e schietto della parola. L'intima contraddizione nella vita di questo stato si pu?? brevemente compendiare nella proposizione seguente: la Francia non pu?? fare a meno di un gagliardo potere statale raccolto in una sola mano, e nulladimeno ha perduto interamente i costumi e le tradizioni della monarchia legittima. Il nuovo sistema bonapartistico non era n?? un dispotismo illuminato sullo stile del secolo decimottavo, n?? un semplice ripristinamento dell'impero militare napoleonico, ma una forma statale per s?? stante, affatto moderna: una tirannide personale, eletta dalle moltitudini e governante a pro di cotesto quarto stato pervenuto alla coscienza di s??. Laddove nella monarchia legittima, anche sotto una corona assoluta, tutte le istituzioni e i costumi statali convergevano allo scopo di sottrarre la persona del monarca alla lotta dei partiti e di assicurare anche sotto un principe inetto il regolare andamento della cosa pubblica, all'opposto nella Francia bonapartistica la persona del monarca portava fondamentalmente la responsabilit?? del destino dello stato. Talch?? un ministro geniale, sotto un imperatore senza talento o impopolare, non sarebbe stato in grado di assicurare la durata al sistema. Il dottrinario del secondo impero, il duca di Persigny, cur?? di designare l'eletto del popolo come homme-peuple: sotto la forma adulatoria l'espressione recava l'esatto significato, che cotesta potenza imperiale era una dignit?? supremamente personale, che doveva affermarsi nella sollecitudine quotidianamente rinnovata pel bene delle moltitudini. ?? vero, che la maggioranza degli elettori aveva esaltato il terzo Napoleone in virt?? del suo nome: ma nessun uomo imparziale poteva da cotesta potenza dei ricordi napoleonici trarre la conclusione, che la moltitudine dei francesi fosse attaccata ai Bonaparte con la medesima fedelt?? con cui i prussiani ai legittimi Hoenzollern o un tempo gli olandesi alla casa tirannica degli Orange. Ogni vincolo di piet?? tra popolo e casa regnante fu spezzato in Francia dalle tempeste di due generazioni. Qui l'unico legame possibile tra governanti e governati ?? costituito dall'interesse; e, col fatto, nessuno stato della storia modernissima ha fatto valere cos?? spregiudicatamente, come il secondo impero, l'egoismo dei suoi sudditi. Il nuovo bonapartismo ?? stato effettivamente, come amici e nemici lo hanno qualificato, un gouvernement indiscutable; non gi?? semplicemente a cagione della sua origine equivoca, ma principalmente per la ragione che lo spirito di cotesto sistema era grossamente materialistico, e perci?? non comportava prove incondizionate.

?? evidente che il capo di uno stato siffatto dovesse essere e rimanere responsabile. Quando Laboulaye e gli altri dottrinari dell'empire lib??ral partivano in lizza contro cotesta situazione di fatto in nome dei noti principii costituzionali, che regno e responsabilit??, insiememente concepiti, fanno contraddizione, e che lo stabilimento dell'impero ereditario esclude per s?? stesso la responsabilit?? del capo dello stato, ebbene, essi davano nel vuoto. Le teorie giuridiche della monarchia parlamentare non comportano adattabilit?? a una tirannide democratica. La fondazione dell'impero era solo un cambiamento di nome, che non mutava nulla di sostanziale alla vera natura della carica presidenziale. La trasmissibilit?? di cotesta corona rimase sempre come niente altro che un assegnamento incerto sul futuro, laddove, invece, la responsabilit?? dell'imperatore era un principio, la cui immutabile permanenza era ognora affermata dai dignitari dell'impero Rouher e Troplong, e il cui adempimento pratico veniva reso possibile dalla stessa costituzione. Bastava che l'imperatore si credesse sicuro del favore delle moltitudini, ed egli, secondo l'articolo 5, aveva facolt?? di appellarsi al popolo sovrano: che era un'arme violenta del dispotismo, la quale, usata al momento opportuno e conformemente alla morale napoleonica, era al caso di accrescere sempre che volesse la soverchianza della corona, e in effetto escludeva ogni speranza di un onesto regime parlamentare.

Per contro, posto che le moltitudini venissero nell'idea, che l'eletto non rappresentava pi?? i loro interessi, il proemio della costituzione indicava la via per richiamare l'imperatore alla responsabilit??. Dichiarare irresponsabile un capo dello stato francese, ivi ?? detto, ??ci?? significa mentire al sentimento pubblico; ci?? significa ammettere una finzione, che per tre volte ?? andata dispersa nel turbine delle rivoluzioni??. Pi?? chiaro di cos?? non si pu?? dire, che l'imperatore portava e voleva portare la sua corona col pericolo permanente di essere cacciato da una quarta rivoluzione. Con ci??, dunque, nella superba Francia si era giunti a questo, che la legge fondamentale di una nazione civile con ingenuit?? cinica confessava: il nostro regime ?? un gioco va-banque, ogni sicurezza del diritto pubblico ?? una lustra, ogni costituzione nient'altro che un espediente! La corona napoleonica non godeva la sicurezza della monarchia ereditaria, e appunto perci?? era provvista di una pienezza di potenza, che un monarca legittimo non ha mai raggiunta: ??essendo il capo dello stato responsabile??, dice quel proemio, ??la sua attivit?? deve essere libera e senza impacci??.

Non vi ?? alcun dubbio, che il nuovo bonapartismo nutriva, come il primo impero, il disegno di fare da terreno neutrale, su cui venissero a ritrovarsi insieme gli avanzi dei vecchi partiti. Esso non si diede briga del passato dei suoi cooperatori, e prese ai suoi servigi quanti riconobbero il nuovo ordine. Permise, dopo alquanti anni di compressione, il ritorno degli avversari esiliati che si obbligavano all'ubbidienza, e non si discost?? mai dal proposito di collocare la grandezza della patria al disopra dei partiti. Chi non ricorda lo scritto pateticamente generoso dell'imperatore, che ordinava il rilascio del pericoloso cospiratore Barb??s, perch?? questi aveva espresso il suo entusiasmo patriottico per la guerra di Crimea? Similmente l'impero non volle favorire un ceto solo; seppe contentare l'ambizione e la foga industriale della borghesia e, nello stesso tempo, ripristinare la nobilt??: un eccellente mezzo per vincolare alla corona migliaia di famiglie sia merc?? la comune ambizione, sia merc?? il timore di una soppressione di titoli nobiliari male acquistati; ma anche una prova, che s'intendeva di riguardare le inclinazioni e i pregiudizi delle classi pi?? alte. Appunto: l'eletto del popolo si applic?? un pezzo al disegno di aggiungere all'antica una nuova nobilt?? napoleonica. Nei brindisi e nei proclami il signor di Persigny esaltava come merito peculiare del nuovo sistema ??l'eminente idea sociale??, per cui, avendo ogni governo precedente rappresentata soltanto una delle tre classi della societ??, l'impero invece le rappresentava medesimamente tutte. Tale vanteria conteneva qualche apparenza di verit??. Il quarto stato dominava interamente sulla vita pubblica, non pi?? per?? a forza di turbolenze e barricate, come nei primi tempi della repubblica: specialmente nelle condizioni ordinarie non era affatto in grado d'impadronirsi immediatamente del potere, come avevano potuto farlo un tempo la nobilt?? e la borghesia; e sotto il secondo impero aveva apparentemente, come gli altri tre stati, solo l'incombenza di ubbidire e lavorare.

Ci?? non ostante, il quarto stato costituiva in Francia la classe politica, ed era di continuo glorificato dalla burocrazia con panegirici adulatorii. ??Dio ha primieramente rivelato il Salvatore a questa che ?? la classe pi?? numerosa e pi?? interessante della societ????, affermavano le circolari dei prefetti; e prima delle elezioni del 1857 il ministro Billault dichiar?? ufficialmente: ??i contadini e gli operai hanno creato l'impero, quelle moltitudini di uomini operosi, che formano l'ampia base del suffragio universale??. Perci?? il signor di Morny esort?? gli elettori a mandare nei corpi legislativi, in luogo dei cos?? detti uomini politici, commercianti presi dalla cerchia della propria professione; e il signor Granier secondo Cassagnac asser?? anche pi?? rudemente: ??la classe agricola, nocciolo della nazione, domanda gi??: perch?? l'imperatore non governa solo???. Lo stesso Napoleone III design?? continuamente il suo sistema come il gouvernement du grand nombre; e quando in una massima sovente ripetuta dichiarava che il suo governo riposava ??sul popolo, fonte di ogni potere dello stato, sull'esercito, fonte di ogni forza, sulla religione, fonte di ogni giustizia??, in sostanza con questa tricotomia egli esprimeva semplicemente l'unico concetto, che cotesto regime del quarto stato poggiava essenzialmente su quelle forze, le quali determinano la condotta del popolo. Donde appare del tutto rispondente la societ?? stranamente mista della corte napoleonica, innocente assembramento di preti cortigiani, di demagoghi cortigiani, di soldati cortigiani. Consideriamo l'origine del sistema e la sua esistenza durata per lunghi anni, trascorsa impareggiabilmente pi?? pacifica del governo senza posa osteggiato dei Borboni e degli Orl??ans, e distrutta in fine non da altro che dalle armi straniere, e non potremo disconoscere, che cotesta forma di stato si era sviluppata necessariamente dalle condizioni sociali del paese. La moltitudine arrivata al dominio, sensibile alle idee semplici e generali dell'eguaglianza e dell'autorit?? statale unica e onnipotente, inclina sempre all'eguale soggezione di tutti a un tiranno nazionale. Anche nelle condizioni incomparabilmente pi?? sane dell'America del Nord, al tempo di Jackson e di Abramo Lincoln, quella tentazione pass?? rasente al popolo sovrano. Inoltre in Francia la moltitudine, non abituata a governarsi da s??, possiede, secondo che confessa il socialista Duveyrier, ??in supremo grado il sentimento della gerarchia??; e sotto il fanatismo dell'eguaglianza ha cos?? completamente smarrita l'intelligenza della libert??, che mille e mille in perfetta buona fede consentono in quella vanteria del bonapartismo ripetuta fino alla nausea: ??il terzo Napoleone ?? il vero fondatore della libert??, giacch?? dal tempo del secondo impero pi?? non esistono iloti politici??.

Il suffragio universale vigeva non pi??, come sotto il primo Napoleone, ridotto dalle liste elettorali, ma completo e in regolare attivit??. L'esigenza, manifestata un tempo dal parlamento del lavoro al palazzo del Lussemburgo, che da ora in avanti la superiorit?? della cultura dovesse tanto poco costituire un diritto quanto la superiorit?? della forza muscolare, aveva ottenuto completa effettuazione. Il suffragio universale formava la base del nuovo diritto pubblico ed entrava in vigore in ogni elezione, in ogni cambiamento dei principii fondamentali della costituzione: gett?? in breve tempo radici tanto salde, che nessun partito ha pi?? pensato seriamente di levarlo. Nelle elezioni del 1863 parteciparono il 73,9 per cento, nei plebisciti che fondarono la costituzione e l'impero dal 75 all'84 per cento della popolazione adulta maschile. Abili strumenti del governo, come Thuillier, cavarono da tali dati la conclusione: ??l'impero ?? la pi?? grande e pi?? felice democrazia, che il mondo ha mai vista coronata dalla gloria e dalla libert????; ma lo storico, invece, per l'appunto in cotesta enorme partecipazione del popolo discerne la prova dello sconfinato potere del dispotismo democratico.

Nei tempi di transizione dal medio evo all'et?? moderna la storia della maggior parte degli stati ha visto ??re della povera gente?? i quali, sorretti dalle moltitudini, fiaccarono l'oltracotanza dei piccoli signori. Il dispotismo neofrancese era di un'altra specie. Questo aveva trovato il diritto pubblico gi?? formato da un pezzo, e si sent?? chiamato a spianare con gli accorgimenti positivi di un'autorit?? statale onnipotente l'enorme contesa d'interessi della moderna economia democratica. Si propose, come dice Napoleone III, di ??appagare l'attivit?? di questa societ?? anelante, irrequieta, esigente, che attende tutto dal governo??: il sistema, in altre parole, era un socialismo monarchico. Una volta Sainte-Beuve in senato compendi?? molto giustamente il c??mpito del socialisme autoritaire, di cui noi abbiamo gi?? rintracciato i primi vestigi nei primi scritti di Luigi Bonaparte: ??esso vuol prendere la parte buona delle idee socialistiche, per strapparla alla rivoluzione, e inserirla nell'ordine regolare della societ????. Non gi?? semplicemente l'indifferenza alle questioni costituzionali propria di tutti i socialisti, bens?? la coscienza dell'affinit?? elettiva condusse nel campo di Bonaparte molti, come i Bixio, i Chevalier, i Duveyrier, che un tempo stavano accosto accosto alle scuole dei socialisti. Anche quei socialisti che per anni dominarono il mondo borsistico del bonapartismo, i due Pereire e i loro compagni, non avevano minimamente abiurato la loro fede.

Ogni regime dispotico ?? affetto da un tratto mistico: il misticismo del secondo impero si manifest?? nella devozione religiosa con cui era celebrata la maest?? della volont?? popolare, la sagra dell'homme-peuple. Non occorre dire che cotesta sagra era immediatamente caduca, non appena la volont?? popolare cangiasse. Certo, il bonapartismo non nutriva pregiudizi, n?? pretendeva, come anni prima i Borboni, di cancellare il passato, ma si sentiva legato di solidariet?? con tutti i governi precedenti: celebrava le idee dell'89 come il principio fondamentale, la fiamma vitale della sua costituzione, e professava con labbro eloquente gl'ideali di libert??, anche se poi col fatto la sopprimeva. L'imperatore asser??: ??fedele alla mia origine, io non considero le prerogative della corona come un pegno sacro e intangibile, n?? come un'eredit?? dei miei padri, che io deva anzi tutto trasmettere intatto a mio figlio??. Ma se il bonapartismo non soffriva di fisime legittimiste, pativa per?? del morbo ereditario della tirannide, dell'odio a ogni salda limitazione legale del potere dello stato.

L'imperatore poteva garantire concessioni al liberalismo, ma l'eletto del popolo non poteva mai riconoscere una sincera reciprocit?? di diritti e di doveri fra s?? e il corpo legislativo, non mai una vera costituzione. Certamente non era dato introdurre una legge se non merc?? l'accordo dell'imperatore, del senato e del corpo legislativo; nondimeno soltanto l'imperatore emanava i decreti necessari all'esecuzione, sebbene la savia disposizione del primo Napoleone, che trasmetteva al senato la regolazione dei casi non previsti dalla costituzione, fosse passata anche al secondo impero. Ma siccome fuori dell'imperatore non esisteva alcun potere che fosse in grado di sistemare coteste difficili idee di diritto pubblico, seguiva in fatto, che tutti i grandi atti legislativi dell'impero emanavano soltanto dall'imperatore. Un decreto imperiale ordin?? la successione al trono; un decreto fond?? nel 1858 il Consiglio intimo, che era un collegio di personaggi fidati al quale l'imperatore esponeva a consultazione tutto ci?? che aggradiva, e che in uno col Consiglio di stato incaricato di tutti i disegni di legge doveva secondo la costituzione formare ??la ruota pi?? importante della nostra nuova organizzazione??. Un decreto imperiale concesse al corpo legislativo il diritto di mozione, un altro decreto gli ritolse cotesto diritto e gli accord?? in risarcimento il diritto d'interpellare il governo. L'imperatore aveva facolt?? di decretare sempre che volesse lo stato d'assedio ed era solo tenuto a ottenere suppletivamente la sanzione del senato. In breve, il formidabile dettame napoleonico le pouvoir reprend ses droits poteva entrare in vigore ogni momento: da un istante all'altro tutte le classi dei cittadini dello stato potevano, come nel 1858, esser poste fuori della legge da una legge di sicurezza.

La mano di ferro in guanti bianchi, cotesto rimedio gradito agli assolutisti pei nostri tempi malati, era col fatto divenuta il retaggio della nuova Francia. Solamente cinque capisaldi della costituzione non potevano abolirsi senza il consenso del popolo sovrano: la responsabilit?? del capo dello stato, la dipendenza dei ministri dal solo imperatore, il consiglio di stato consultivo, il corpo legislativo deliberante le leggi e il senato come pouvoir ponderateur. In altre parole, la limitazione del potere imperiale, il passaggio al sistema parlamentare era impossibile senza la sanzione della nazione: per contro l'imperatore era libero senz'altro di ampliare la propria potest??, eccetto questo, che non gli era lecito di abolire il corpo legislativo. Nello stesso modo come un tempo il primo Napoleone aveva detto: ??il disegno costituzionale di Siey??s abbraccia solamente l'ombra; ma noi abbisogniamo della sostanza, ed io ho collocato cotesta sostanza nel governo??, cos?? anche al secondo bonapartismo era dato di vantarsi, che il potere esecutivo formava l'unica forza viva del suo diritto pubblico. ?? certo, per??, che la costituzione del 1852 non ha condotto, come quella consolare, a un accrescimento sempre pi?? soverchiante del dispotismo. L'imperatore ha spesso riconosciuto il bisogno di condizioni di maggiore libert??. Secondo l'assicurazione del duca di Morny, egli nel 1861 lamentava nel Consiglio privato la mancanza di pubblicit?? e di sindacato come il cancro del sistema; e nel febbraio del 1866 dichiar?? al senato: ??il mio governo non ?? stazionario, ma progredisce e vuole progredire??. Nel 1865 fece esporre al pubblico i provvedimenti pi?? importanti del suo governo nella compilazione la Politique imp??riale, con la ferma fiducia, che il giudizio pubblico non avrebbe disconosciuto le benemerenze del regime. Se non che la prima condizione della libert?? politica, la sicurezza del diritto comune, la quale importa pi?? delle singole concessioni al liberalismo, era onninamente impossibile nella Francia imperiale.

Il secondo impero si serb?? fino alla caduta come un dominio dispotico, e Napoleone III svel?? nelle note parole del suo discorso del trono del 14 febbraio 1853 l'estrema ragione di cotesta situazione illegale: ??la libert?? non ha mai aiutato a fondare un edifizio politico duraturo, ma lo corona quando il tempo lo ha consolidato??. Si motteggi pure la piatta balorda concezione dell'essenza della libert??, che si smaschera in questa mezza verit?? schiettamente napoleonica; ma la famigerata teoria del coronamento dell'edifizio non ?? del tutto assurda. Non si pu?? rifiutare l'esempio, mille volte addotto dai bonapartisti, dello stato inglese. Anche l'Inghilterra cominci?? a godere pienamente la libert?? parlamentare, quando i pretendenti Stuardi pi?? non erano pericolosi, e la casa di Hannover era minacciata seriamente solo in alcune parti separate del regno. In Francia, invece, i tre quarti delle energie popolari rimasero sistematicamente materia greggia pel governo dello stato, giacch?? tre partiti combatterono continuamente il quarto che era al potere. Giorno per giorno toccava al governo, come del resto a tutti i predecessori dal 1815, di lottare per la propria esistenza; e di cotesta sua posizione aveva coscienza viva, n?? credeva punto a un subitaneo adempimento della solenne profezia del discorso della corona: ??le passioni inimiche, unico ostacolo all'espansione delle vostre libert??, andranno sommerse nell'immensit?? del suffragio universale??. Di gran lunga pi?? chiaramente era espressa la verace opinione dell'imperatore in quel luogo della Vie de C??sar: ??i partiti politici non disarmano mai, nemmeno davanti alla gloria nazionale??. Perci?? l'impero fin?? sempre col ripiombare da capo nelle pavide dottrine della tirannide: se il paese rispondeva nelle elezioni secondo gl'intendimenti del governo, la nazione era contenta e non abbisognava di riforme; se le elezioni riuscivano a favore dell'opposizione, i vecchi partiti erano tuttora vivi, e ogni concessione portava pericolo. Per sua propria confessione, il governo paventava pi?? malanni da un abuso della libert?? che da un abuso del potere, e non si faceva carpire mai un diritto definitivo.

Con l'elevazione delle moltitudini l'imperatore niente altro temeva pi??, se non lo scontento delle moltitudini. Il grido silence aux pauvres! che un tempo Lamennais aveva designato come la parola d'ordine della borghesia, valeva anche sotto Napoleone III, ma in un nuovo senso: tutto nella nuova Francia era lecito dire, salvo che non al popolo. Donde il terribile bavaglio del pensiero, dallo stesso primo imperatore appena raggravato, che dalle medesime moltitudini non era sentito immediatamente come una compressione, ma che pure per cagion loro veniva mantenuto fermo. Innegabilmente il bonapartismo si ?? tenuto lontano da ??quel colpevole e imprevidente lasciar andare, che si adorna talvolta col nome di libert????. Il piccolo commercio dei libri offr?? un grato campo alle sue cure paterne: nei primi due anni dell'impero gi?? seimila volumi erano stati depennati come immorali dalle liste dei librai ambulanti. Anche il pi?? modesto dei diritti politici, il diritto di petizione, era mozzo. Era permesso presentare petizioni soltanto al senato, che le lasciava sospese a suo libito: tra il corpo legislativo e le moltitudini doveva intercedere semplicemente l'assenza di ogni rapporto. Siccome il diritto delle riunioni politiche, che ?? legato al suffragio universale come l'??ncora al bastimento, venne addirittura annullato dall'impero, pu?? sembrarci strana, ponendovi mente, la rapidit?? e l'infallibilit?? con cui le nuove idee di opposizione al governo, affluendo tutti gl'ingegni alla capitale, si diffondevano merc?? le libere conversazioni in tutto intero il ceto colto. Ma la disposizione delle persone colte era presa poco in considerazione dal bonapartismo. Anche gli operai potevano discutere tra loro delle proprie aspirazioni sociali. Ci?? che bisognava impedire, era l'influenza delle persone colte sulle moltitudini: il profondo scontento degli uomini di pensiero non doveva a nessun patto permeare il quarto stato. Donde la distinzione profondamente accorta fatta dal ministro Pinard tra l'istinto innato di sociabilit?? e il diritto puramente relativo di riunione. Donde il fatto, che l'unione ginnastica tedesca di Parigi, grazie al favore della casa Rothschild, form?? in Francia l'unica associazione che non fosse interamente estranea alle idee politiche; e la superba nazione, che aveva conquistato alla terraferma il diritto di associazione, era nell'anno 1866 talmente sprofondata al disotto delle sue speranze, che perfino i liberali non sapevano elevarsi oltre il desiderio, che dovessero permettersi le pubbliche riunioni almeno negli ultimi venti giorni prima delle elezioni! Che poi alla chetichella non si preparassero guai, lavorava la polizia segreta, la zelante discepola dei Maupas, dei Pietri, dei Lespinasse. Era in funzione anche un gabinetto nero, per quanto l'enorme aumento del movimento postale moderno permetteva le miserabili arti di un'et?? soggetta. Napoleone III nella sua entrata a Milano, acclamato freneticamente da un popolo a cui portava la libert?? e seguito passo su passo da un nugolo di spie i cui ben noti ceffi di briganti italiani suscitavano il riso dei neolatini, ecco una scena, che presenta in piena luce il carattere di cotesta tirannide popolare. Per simili ragioni si spiega anche, come l'ineguaglianza del diritto rispetto ai prodotti sia durevoli che efimeri della stampa, che in uno stato non fondato sulla legge ?? affatto inevitabile, prevaricasse sotto l'impero oltre ogni misura. Secondo il signor Rouher le idee dell'89 stabiliscono solamente un diritto del singolo di pubblicare la propria opinione, non gi?? un diritto di comunicazione collettiva. I libri, che la povera gente non legge, godono di una libert?? di stampa quasi intera. Pr??vost-Paradol cur??, come un tempo i nostri liberali sotto la censura di Karlsbad, di rendere suppletivamente note nei suoi libri le trattazioni che la polizia non gli aveva permesse nella rivista. Per le gazzette aveva vigore l'oracolo di Granier: la stampa inasprisce le controversie senza risolverle, il governo le risolve senza inasprirle. Un armamentario abbastanza soddisfacente per mansuefare la stampa era gi?? predisposto nelle leggi della repubblica: l'imperatore, di soprassello, vi aggiunse nel febbraio 1852 anche l'ammonizione di polizia. In virt?? di novantuno ammonizioni piovute nello spazio di quindici mesi sui giornali gi?? da un pezzo intimiditi, il signor di Persigny produsse nella pubblica discussione ??quella temperatura moderata nella quale, e soltanto in quella, prospera la libert????. Pi?? importante pel sistema era l'altezza della tassa di bollo sui giornali: il bollo ne avvilupp?? molti tra le difficolt?? finanziarie, li condusse a lerci rapporti con le potenze della borsa, e, soprattutto, precluse la stampa colta alle moltitudini. Il popolano poteva bene cavare dal piccolo Moniteur poco costoso la convinzione dello splendore dell'impero, oppure corroborare la sua educazione morale sulla perfetta scimunitaggine e sull'oscenit?? del Petit Journal e fogli affini di ciancerie e pettegolezzi. La stampa forestiera era assoggettata dopo, come prima, a una brutalit?? semplicemente russa: per nessuna qualsiasi via indiretta era dato che al popolo pervenisse notizia, come qualmente in qualche parte del mondo vivessero dei pazzi, i quali non tenevano l'impero come il pi?? libero e il pi?? felice stato del globo. Aggiungiamo, inoltre, una censura teatrale la cui meticolosit?? altamente comica richiamava sovente ai tempi del vecchio imperatore Franz, e conveniamo francamente, che il governo faceva per l'innocenza politica delle moltitudini ci?? che il governo poteva.

A questo senso d'incertezza, che impediva qualunque cambiamento serio del sistema, si accompagnava la macchia morale che bruttava il colpo di stato, e che poteva essere, per quanto dimenticata, perdonata non mai. Napoleone nella Vie de C??sar confessa, che il pi?? grave c??mpito di un governo sorto dalla violenza ?? quello di riconciliarsi gli uomini dabbene. Anche il 2 dicembre, non ?? dubbio, non fece che ricondurre una rivoluzione in pro del trono; mut?? ben poco nei pi?? importanti istituti dell'amministrazione, principalmente nello spirito: per l'uomo colto, che non pu?? veramente vivere senza la libert?? del pensiero, col fatto principi?? con quel giorno una nuova et??. Perci?? perfino il moderatissimo Tocqueville non seppe risolversi a prestare il giuramento all'impero. L'accomodazione degli spiriti agili non offriva alcun compenso al profondo disgusto morale della nobilt?? intellettuale della nazione. Se il vecchio Dupin ricev?? un'alta carica dal bonapartismo perch?? l'infelice era gi?? ridotto ??a dover toccare le rendite dei suoi beni??; se il principe Napoleone, che il due dicembre nessuno riusc?? a trovare, si affrett??, dopo la vittoria, a entrare nel campo del fortunato cugino; e via di questo passo all'infinito; potevano bene, questi uomini, consolarsi col sublime apoftegma di Dupin: ??io ho sempre appartenuto alla Francia, non mai a un partito??. Ma all'accorto autocrata certamente sorgeva spesso il dubbio, se erano davvero coteste le forze morali, su cui potesse reggersi un regime. Una volta un dignitario dell'impero proclam??: ??Per le moltitudini come pel singolo vale la regola, che chi domanda e ottiene favore, si lega di gratitudine a chi glielo ha concesso. Questo impone il pubblico pudore??. La verit?? di coteste parole, la cui sovrana alterigia di virt?? richiama Guizot, doveva apparire evidente a ogni imparziale, ma difficilmente a una burocrazia, che gi?? aveva visto a terra tanti troni. Burocrazia, d'altronde, la quale con tutta la sua solerzia di servizio covava per?? uno spirito di corpo affatto deciso: salita in alto in nome dell'??ordine??, voleva serbarsi ceto dominante e perci??, dai prefetti fino alle guardie campestri, era reazionaria nell'anima. Anche il partito del governo, che col dolce appoggio dei prefetti era entrato nel corpo legislativo, era composto di fanatici dell'ordine. L'imperatore era la testa pi?? libera del governo; nulladimeno, per tutto il tempo che la dinastia non fu riconosciuta senza riserva dai liberali, si vide costretto ad attuare le sue riforme per mezzo di uomini che aborrivano ogni progresso. In tal modo, da qualunque parte ci facciamo, noi ritorniamo alla conclusione, che l'impero doveva essere e rimanere un dispotismo democratico.

La conseguenza di cotesta forma statale appare indubbia, alla prima occhiata. La piramide della vecchia amministrazione napoleonica, fatta col e pel dispotismo, piantata sull'idea dell'onnipotenza dello stato, trov?? il suo vertice naturale nel despota eletto, che impiega in pro delle moltitudini il potere statale e che nei casi estremi ?? atteso dalla rivoluzione. Anche il Consiglio di stato, il numero dei cui membri fu notevolmente accresciuto, forma di nuovo, come sotto il primo imperatore, il capo e, nello stesso tempo, l'alta scuola dell'amministrazione. Protegge gl'impiegati dalla persecuzione giudiziaria, e discute i disegni di legge con tale minuziosit?? di formalismo, da far sembrare superfluo al grosso pubblico ogni altro dibattito in parlamento. L'enorme aumento degl'impiegati e l'elevazione degli stipendi legava la burocrazia al sistema, e l'introduzione dei cadres de non-activit?? facilit?? l'allontanamento, senza troppe cerimonie, dei caratteri incomodi. Anche l'indipendenza della magistratura sembra a stento tuttora un riparo contro l'assolutismo. La promozione dei giudici avviene fondamentalmente come ricompensa di sentimenti dinastici; l'introduzione dei membri del tribunale nella commissione giudiziaria non avviene pi??, come un tempo, per opera del presidente del tribunale e dei consiglieri anziani, ma per opera del presidente e del procuratore generale. Accanto a cotesta gerarchia delle autorit?? vige, come prudente concessione alle idee degli anni trascorsi, il syst??me consultatif, la, cos?? detta da Persigny, gerarchia della libert??, vale a dire il corpo legislativo, i consigli generali, distrettuali e comunali, che non hanno parte effettiva nel potere statale, ma sono autorizzati a manifestare di tempo in tempo il proprio consiglio alla burocrazia in nome dei possidenti. Ora, se riesce di mantenere la buona disposizione dell'esercito merc?? guerre brevi e fortunate e quella delle moltitudini coi giochi e coi lavori pubblici, e di saziare fino al collo la gente istruita con l'ambiziosa servilit?? della fonctionnomanie e della bizza dell'oro, ne vien fuori una specie di stato affatto destituito di ogni contenuto morale, ma benissimo idoneo a serbare l'ordine e il lavoro all'interno e la potenza statale all'estero: che ??, come dire, una riproduzione moderna dell'impero bizantino. Anche l?? l'imperatore, una volta riconosciuto dai partiti del circo, poteva contare sopra un governo passabilmente tranquillo. Una rigida burocrazia attirava a s?? tutti gl'ingegni, assicurava allo stato un'esistenza millenaria, e un movimento attivissimo alla societ??. Un esercito tecnicamente eccellente riport?? per secoli trionfi sugli Ostrogoti e i Vandali, sui Cretesi e i Siri, sugli Armeni e i Bulgari; e se prestiamo fede a Carlyle e ad altri forti intelletti dei nostri tempi, gl'ideali di libert?? del nostro secolo non sono in generale da considerarsi altrimenti, che come una specie di rosolia della modernit??.

Negli anni fiduciosi del suo dominio Napoleone III ha certamente creduto all'immutabilit?? delle idee fondamentali della sua nuova costituzione consolare e non ha sognato nemmeno un sistema parlamentare; poich?? i pi?? astiosi attacchi dei suoi vecchi scritti movevano precisamente contro cotesta forma statale, e anche quando fu sul trono non risparmi?? il suo dispregio a coteste ??singolari dottrine dei teorici, cotesto sistema supergeniale, coteste vuote astrazioni??. In fine gli agenti dell'imperatore zelarono ad ostentare nei loro discorsi uno sprezzo sconfinato contro il parlamentarismo. Perci?? Saint-Arnaud ardeva di sdegno contro la vecchia carreggiata fangosa sulla quale si cade miserabilmente, Baroche contro gli scrupoli pedanteschi dei giuristi costituzionali, Troplong contro il congegno impacciante e forviante della macchina parlamentare. Persigny e il principe Napoleone si rifacevano eternamente al vecchio articolo di fede del bonapartismo, che il sistema parlamentare ?? oligarchico, che ?? pernicioso al bene dei molti ed ?? lusinghiero solo per la vanit?? dei singoli. E il signor di Morny per l'appunto lament??, pare impossibile, la sostanziale teatralit?? dei dibattiti parlamentari: bizzarro rimprovero sulla bocca del bonapartismo, che nelle arti del ciarlatanismo non ha mai trovato il suo maestro. Tale avversione, nata dall'istinto del dispotismo, venne cresciuta e pasciuta dall'inquietante ricordo degli Orl??ans. I quali erano pel secondo imperatore ci?? che i Borboni erano stati pel primo: un oggetto di sollecitudine e di persecuzione incessanti. Noi non rimproveriamo l'invocata confisca dei beni della Casa, perch?? chi conosce la storia del demanio francese non pu?? negare che questo provvedimento, per quanto esoso possa parere, risponde pienamente alle tradizioni della corona. Ma le maligne allusioni e le fiancate a danno della monarchia di luglio, che ricorrono di continuo nei discorsi dell'imperatore, attestano l'implacabile rancore del carcerato di Ham. Quanto poco da principe fu il discorso del presidente nel castello di Amboise, allorch??, rilasciando Abdelkader prigioniero, paragon?? la sua propria magnanimit?? con la tapinit?? del caduto governo! Capitava, anzi, al livoroso uomo di smarrire il decoro, come pensava agli Orl??ans: quando annunzi?? il proprio fidanzamento alle alte corporazioni dello stato, non seppe inibirsi di motteggiare sulla piccola principessa mecklemburghese, di cui l'erede della corona di Luigi Filippo si era dovuto contentare. E quando il duca d'Aumale dispett?? il principe Napoleone con la sua mordace lettera sulla storia di Francia, immediatamente fu ordinata la soppressione generale di tutti gli scritti della cacciata dinastia: ordinata dallo stesso pr??ncipe, che un tempo nelle carceri della monarchia di luglio aveva goduto piena libert?? di stampa.

Di un tale astio contro il regno di Luigi Filippo fece testimonianza anche la costituzione dell'impero: nella quale le idee dei tempi parlamentari sono cancellate fino alle ultime vestigia, e di una rappresentanza popolare vi si pu?? parlare solamente in senso figurato. Anche noi tedeschi conosciamo gli abusi delle autorit?? nella elezioni politiche; pure ci ?? dato affermare arditamente, che, in forza dell'indipendenza dei nostri comuni e dell'educazione delle nostre moltitudini, i casi pi?? vergognosi della corruzione elettorale tedesca, arrivano a stento agli esempi dei tempi di Guizot. Era riserbato al bonapartismo di oscurare tutti i predecessori, e di illustrare cos?? terribilmente alla democrazia l'effetto a due tagli del suffragio universale, che il ministro repubblicano Carnot dov?? confessare: ??il suffragio universale senza l'educazione del popolo ?? un pericolo, senza libert?? ?? una menzogna??. La lode della sincerit??, che i satisfaits amavano tributare al sistema elettorale del bonapartismo, col fatto era ben fondata. ??Il tempo dei mezzi meschini, dei mezzi segreti ?? passato??, disse il ministro Persigny nella sua prima circolare elettorale del febbraio 1852. ??Quale imbarazzo per gli elettori, se il governo non designasse egli stesso gli uomini di sua fiducia!?? e, aggiungevano ufficiosamente i prefetti, ??non rispondendo alla dignit?? del governo il fare qualcosa a mezzo, esso combatter?? i candidati contrari??. In ogni collegio fu presentato un candidato ufficiale. Ogni altro candidato era desavou?? d'avance. Giacch??, o era un avversario, e sarebbe stata una folle speranza presumere di menare a fine anche adesso, sotto l'imperatore responsabile, propositi ostili al governo; o era un amico, e allora non era lecito, in grazia di un meschino interesse personale, porre a cimento il pubblico bene! Si arriv?? a combattere i candidati bonapartisti che non si erano cattivato l'appoggio dei prefetti: chi doveva il proprio stallo unicamente a s?? stesso, poteva cadere nel vizio dell'indipendenza. Lo strisciamento del cos?? detto partito illuminato governativo divenne a poco a poco tanto scandaloso, che una volta il signor Rouher ne fu indotto a dichiarare compiacentemente: ??noi riconosciamo al partito governativo il diritto di correggere i nostri errori quando abbiamo torto??.

Anche il segreto non offriva alcuna garanzia alla libert?? del voto. La votazione procedeva per comune, e i piccoli comuni della campagna ubbidivano infallibilmente agli ordini del rispettivo sindaco, il cui zelo ufficiale si era vie pi?? rinfervorato da quando al signor di Persigny era venuta la felice idea di aprire anche ai sindaci villerecci la speranza fino allora preclusa del nastro rosso. Nei primi anni l'imperatore cont?? tanto fermamente sull'influenza dei suoi funzionari, che il ministro Billault viet?? ai sindaci di comparire personalmente nella votazione comunale. I collegi erano rimaneggiati a placito del governo; e nella formazione delle liste elettorali la burocrazia mestava con libert?? sovrana, di modo che la popolazione di Parigi incommensurabilmente salita contava nel 1863 meno elettori di sei anni avanti. E da quando, nella seconda elezione dell'impero, alcuni che avevano rifiutato il giuramento erano riusciti a farsi eleggere, ogni candidato era tenuto a prestare in anticipazione il giuramento allo statuto. I comitati elettorali caddero sotto la proibizione del code Napol??on; la libert?? del voto esige, come dichiara ufficialmente il signor Thullier nel 1865, che gli elettori non siano ??terrorizzati?? dai comitati. Un caso grazioso generalmente disponeva, che la mattina delle elezioni pubblici affissi sulle cantonate riferissero le nuove ferrovie e canali che lo stato si proponeva di donare al dipartimento. A questa corruzione elettorale dall'alto si spos?? a poco a poco un sistema di corruzione privata tale, che quasi si trattasse di accumulare nell'impero tutte le magagne del parlamentarismo inglese e dell'antico parlamentarismo francese. Le spese elettorali, che, per altro, data la grande estensione dei collegi di provincia, erano considerevoli per gli stessi candidati ufficiali a cui lo stato alleviava una parte del dispendio, erano quasi incomportabili agli sprovvisti di una fortuna, specialmente da quando i candidati presero l'uso di promettere al corpo elettorale opere di pubblica utilit??, di costruire monumenti, fontane, e via dicendo.

Un corpo legislativo nato da siffatta origine non doveva conseguentemente esser padrone in casa propria. L'imperatore nominava i presidenti e i questori; e siccome notoriamente in Francia anche il presidente del tribunale si crede in dovere di militare in un partito, i presidenti del parlamento imperiale esercitavano un ??terrorismo?? sfacciato contro i loro avversari politici. Un tratto magistrale del dispotismo democratico era anche l'alta indennit?? assegnata ai deputati. In Europa la Francia aveva la rappresentanza popolare pi?? costosa: il bilancio delle due camere, che sotto Luigi Filippo ammontava a 2,2 milioni, sal?? nell'impero a 12 milioni. Questo andamento, che sembra essere sfuggito alla riflessione dei nostri tedeschi fanatici della dieta, risponde, come dice la legge, ??ai fondamenti democratici della nostra costituzione??, alimenta l'indolenza verso i doveri civili gratuiti, favorita conseguentemente dallo stato burocratico, e abbassa indubitabilmente l'autorit?? morale della rappresentanza popolare. L'ineleggibilit?? degl'impiegati parve una concessione al liberalismo, giacch?? non era a sperare da un impiegato napoleonico una condotta appena appena indipendente nel corpo legislativo; solo che in cotesto stato burocratico si veniva a sottrarre al parlamento, insieme con la burocrazia, anche la competenza tecnica: la grande maggioranza della camera era composta di dilettanti. Tuttavia il postulato pi?? congruente della costituzione sul corpo legislativo era il prescritto, che la stampa dovesse pubblicare semplicemente un resoconto ufficiale dell'andamento delle sedute. In tal modo veniva effettivamente espresso senza equivoco il carattere segreto del parlamento e il volere del governo di non permettere mai il rafforzamento dell'assemblea. Il corpo legislativo approva o respinge i disegni di legge in blocco; quanto alle proposte di emendamenti ??che tanto spesso turbano l'economia di una legge??, ne ?? permessa la semplice consultazione nel caso che il consiglio di stato le abbia precedentemente dichiarate ammissibili. Il principio della dipendenza del ministro esclusivamente dall'imperatore era mantenuto nella costituzione con tale fiscalismo, che solamente ai membri del consiglio di stato, e non gi?? ai ministri come tali, era consentito di rappresentare il governo davanti al corpo legislativo. La proposta di una provvisione al famigerato conte Palikao, condotta poi a fine sotto altra forma, e l'insensato disegno di un ampio diboscamento furono per lunghi anni i due soli notevoli abbozzi di legge che vennero ritirati davanti all'opposizione dei deputati. Nei casi dubbi la presunzione legittima parlava naturalmente contro il corpo legislativo; e siccome il solo imperatore era autorizzato alla conclusione dei trattati di commercio, seguiva che anche la radicale trasformazione delle tariffe doganali era condotta esclusivamente dalla corona.

Non meno deplorando era il procedimento rispetto ai diritti finanziari della camera. Certo, avevano fatto presto a passare i giorni baldanzosi della vittoria, quando il ministro Bineau era al caso d'impiantare l'innocente teoria, che la rappresentanza popolare determina la somma da erogarsi per l'amministrazione dello stato, ma che sull'impiego nei singoli capitoli decide esclusivamente il governo. Ma, anche dopo estesi alquanto i diritti del corpo legislativo, permanevano tuttora cinque bilanci, il budget g??n??ral, extraordinaire, suppl??mentaire, rectificatif e il budget de l'amortissement, che potevano tutti pubblicarsi in forma provvisoria o definitiva. I bilanci provvisori abbisognavano di tre, perfino di cinque anni, per arrivare alla forma definitiva! Di continuo giacevano contemporaneamente tre o quattro bilanci annuali non ancora chiusi. Il governo godeva della facolt??, abusata senza riguardo, dei virements, cio?? della distrazione dei fondi approvati ad altri capitoli, entro le 59 sezioni del bilancio. A farla breve, davanti a un sistema finanziario talmente caotico, che la vera situazione risultava di rado chiara perfino all'occhio conoscitore di Achille Fould, ogni sindacato parlamentare efficace si arrestava muto.

Il senato napoleonico era anche pi?? nullo del corpo legislativo. Una camera alta, che riunisce in s?? competenza e indipendenza, e che poi in cotesta societ?? democratica viene fuori dalle elezioni fatte solamente dai consigli generali dei dipartimenti; ecco, ?? un'idea, che fu molto discussa dai partiti liberali. L'imperatore prefer?? la nomina fatta esclusivamente dalla corona. Il senato form?? il ritrovo dei dignitari e dei bigotti dell'impero, e, soprattutto, l'ospizio di tutti gli strumenti logori che l'imperatore buttava da parte. A ogni modo le discussioni del senato, giusta il desiderio del fondatore, non erano nemmeno pi??, come quelle della camera dei pari sotto gli Orl??ans, ??meramente un pallido riflesso dei dibattiti dell'altra camera??; esse significavano puro niente, e solo di tanto in tanto attraevano un'attenzione fugace, quando il fanatismo dell'ordine si sfogava tra questi beniamini dell'impero in scenate veementi. Il senato era ??il custode del patto fondamentale della nazione??, e vigilava gelosamente sui propri diritti. Respinse con indignazione una istanza che perorava la presentazione delle petizioni anche al corpo legislativo, e nel 1865 proib?? fuori del senato qualsiasi discussione che mirasse a mutamento o critica della costituzione. Si mostr?? pi?? tollerante verso l'alto. La voce di un solo senatore, quella del maresciallo Mac-Mahon, si lev?? avverso la legge di sicurezza del 1858. I decreti imperiali, che alteravano la costituzione, furono sempre accettati con contrizione dal custode del patto fondamentale, ma sollecitamente, senza proteste. Del suo diritto d'iniziativa, per quanto ?? a nostra notizia, il senato ha fatto uso soltanto due volte: quando stese una relazione sui trovatelli e quando discusse il primo libro di un code rural. Tale modestia rispondeva ai buoni costumi burocratici dello stato, ed ebbe anche il suo premio: secondo la costituzione il capo dello stato aveva facolt?? di guiderdonare della loro buona condotta i singoli senatori; e pochi anni dopo tutti i senatori vennero stipendiati.

I prodotti parlamentari del bonapartismo erano con calcolo prudente diretti a questo: che non dovessero mai costituire una forza. Donde la ferrea conseguenza che l'edifizio statale era puramente un'apparenza. La profonda contraddizione intima, che gi?? da due generazioni compenetrava lo stato francese, non fu risoluta in alcun modo nemmeno dall'impero. Se l'avidit?? e l'ambizione nazionale dei francesi favorivano il dispotismo, nulladimeno anche durante quel tempo di stanchezza sopravvissero in questo popolo altamente dotato molte forze ideali, intese a forme pi?? libere di stato. La nazione sentiva sempre il bisogno di essere governata da un'autorit?? ferrea, e, insieme, di assalire il governo. Se il sistema parlamentare era una falsit?? su questo suolo e abusava del dispotismo amministrativo ai fini dei partiti, anche l'impero per?? non era meno una falsit??. I ricordi dei grandi giorni della Rivoluzione e del tempo in cui l'Europa tendeva l'orecchio in ascolto alla tribuna del Palais Bourbon, duravano indelebili: la forza di queste tradizioni impediva, che la dileggiata ??gerarchia della libert???? diventasse un innocuo accessorio dello stato. La necessit?? degli ordinamenti costituzionali circa il 1860 picchiava adagio alle porte, ma percettibilmente, anche in Russia; le colpe della reazione europea avevano rafforzato tra i popoli il sentimento della solidariet??. La civilt?? del secolo sforz?? dovunque il dispotismo a mettersi la maschera liberale, e costrinse i bonapartisti a celebrare l'imperatore soldato come un eroe della libert?? e della pace. Diede anzi un'importanza crescente al pietoso corpo legislativo dell'impero.

Alla pace sepolcrale delle elezioni del 1852 segu?? la veemente lotta elettorale del 1857. Invano il discorso del trono vant??, che solamente qualche contrasto di opinione in qualche luogo aveva turbato il contento generale. Invano la stampa ufficiale cerc?? di dipingere come traditori e cospiratori i cinque uomini di coraggio, i quali, soli nel corpo legislativo, avevano osato per lo spazio di sei anni di opporsi al governo. A ogni modo, la coorte serrata dei deputati ligi era rimasta tuttora immune dal contagio. ??Mi parli fuori, Morny ci guarda??, disse perplesso un deputato di saldo carattere all'Ollivier, quando costui, che era uno dei cinque, si mise a parlargli nell'aula. Ma la societ?? colta incominci?? a plaudire ai discorsi dei cinque; il ??frondeggiare?? e l'opporsi torn?? in moda. L'imperatore e il suo Morny seguivano con cautela il cambiamento di umore del tempo; pensavano di tenere a segno l'opposizione con concessioni opportune, senza rinunziare a nessun diritto sostanziale dell'homme-peuple. Quando gi??, dopo la campagna d'Italia, era stata concessa un'amnistia generale, apparve di botto, completamente inaspettato, e, in verit??, non punto strappato da un movimento prepotente dello spirito nazionale, ma liberamente emanato dalla decisione spontanea dell'imperatore, il decreto del 24 novembre 1860, le d??cret sauveur, come lo chiam?? il marchese di Boissy, che permetteva la pubblicit?? delle sedute parlamentari. Cos?? l'essenza del corpo legislativo venne mutata d'un colpo; di un gran consiglio generale divent?? una forma di rappresentanza popolare. Subito, per??, il nuovo acquisto del diritto d'interpellanza fece anche manifesta l'inconsistenza di un parlamento che doveva soddisfare la nazione senza limitare il governo. La discussione delle interpellanze eccitava il popolo con la sua rettorica veemente e, in fondo, a vuoto, tormentava l'ascoltatore intelligente con l'eterna ripetizione delle idee elementari ormai trite e ritrite della dottrina costituzionale; e il rendimento pratico si riduceva a ritardare di un mese gli affari.

Con quel decreto del novembre era arrivato per lo stato di Napoleone III il momento, che per ogni governo malcerto ?? il pi?? critico: l'istante che comincia a riformarsi. Ma questo istante, essendo la forza politica della nazione presso che spenta, dur?? dieci anni interi. L'opposizione prese vigore lentamente; riport?? alcuni successi nelle elezioni del 1863 e pi?? nelle elezioni suppletive e nella ricostituzione dei consigli comunali: nella potente capitale si determin?? una importante maggioranza contro il governo. Era venuta su una nuova generazione, la cui coscienza non era compenetrata dalla memoria dei terrori dei giorni di febbraio; e il despota doveva essere assalito sovente dal sinistro pensiero: che cosa accade ora, se le moltitudini, abituate come sono a addebitare all'imperatore ogni calamit??, anche il cattivo raccolto e la penuria, in un momento di strettezze economiche fanno causa comune coi ceti colti, covanti gi?? da un pezzo il livore? Principi??, come Morny, a tenere per inevitabile il ravvicinamento al sistema parlamentare. Ogni anno apport?? nuovi diritti al corpo legislativo: visione degli atti della diplomazia, approvazione dei crediti supplementari, e via di seguito; finch?? la tribuna, che era uno spauracchio pel corretto bonapartismo, fu ripristinata nel bello emiciclo del Palazzo Borbone. Ciascuno di questi esperimenti di saggio non era per l'opinione pubblica invadente che una semplice leva per sollevare nuove esigenze, fino a quando non si conchiuse col domandare chiaro e netto il parlamentarismo ??inglese??. Occorre tuttora la prova, che le classi colte erano prese da un inganno enorme? Un solo sguardo all'importanza delle moltitudini insegna, che quei desiderii dottrinari non toccavano affatto il punto cancrenoso del nuovo stato francese, e che la loro realizzazione non avrebbe, senz'alcun dubbio, contentato per nulla la classe politicamente pi?? influente. Ci?? che questo stato esigeva, era la limitazione del potere statale ottenuta merc?? una trasformazione fondamentale dell'amministrazione. Su questo nuovo basamento poteva sorgere forse, col progredire degli anni, un governo parlamentare. Invece, la stampa ricantava l'antica canzone della divisione dei poteri; domandava, senza confessarlo a s?? stessa lealmente, il puro ritorno a un sistema caduto sotto le proprie colpe, il ritorno a quel burocratico-parlamentare dispotismo di partito, che per tanto tempo era stato per la Francia una calamit??. Tutto ci?? che chiedevano i dottrinari dello empire lib??ral, la Francia lo aveva gi?? posseduto con l'atto addizionale dei cento giorni; e sotto il secondo impero come sotto il primo era altrettanto inconcepibile, che l'eletto del popolo, il dominatore assoluto dell'amministrazione e dell'esercito, che rappresentava la generalit?? della nazione, dovesse ubbidire lealmente a una maggioranza parlamentare, che aveva dietro di s?? soltanto una parte del popolo. Ma chi, come l'autore di queste linee, insist?? allora sull'eretica affermazione, che ??il bonapartismo parlamentare fosse la menzogna di tutte le menzogne??, si vide precipuamente spacciato dai liberali con l'affermazione, che tutto stava che il parlamentarismo principiasse con l'esistere, perch?? poi l'indipendenza dell'amministrazione si sarebbe fatta da s??! Tanto era cieca tuttora la fede nelle forze meravigliose del vecchio modello costituzionale!

Ma si era poi prodotta nella vita dei partiti una salutare chiarezza, la quale giustificasse l'espettativa, che la nazione sarebbe per comportare pi?? felicemente che non negli anni trascorsi l'enorme contraddizione tra l'amministrazione dispotica e il regime costituzionale? La risposta esprime un profondo rimprovero. I vecchi partiti erano consunti, i nuovi non ancora nati. La monarchia dei Borboni e degli Orl??ans form?? i repubblicani, la repubblica tir?? su una generazione di reazionari, e sotto l'impero lo spirito di contraddizione cre?? in verit?? molti scontenti, ma non punto un forte partito liberale con propositi precisi e tenaci. Il dominio dei legittimisti nella nuova Francia era impossibile; se pure ci ?? dato, d'altronde, servirci di questo pericoloso aggettivo a proposito delle vicende incalcolabili della nazione francese. Gli orleanisti avevano imparato poco. Non i soli espatriati si divoravano in un'odio sterile, come quel Dunoyer, un tempo tanto sennato, il quale ora nella sua opera sul secondo impero non ha saputo esprimere altro che corruccio e assurdi e l'eterno quiconque est loup agisse en loup. Anche quelli rimasti a casa non si erano emancipati dalle idee dei gi?? da un pezzo trascorsi d??: la responsabilit?? ministeriale e il contegno ostile verso la Germania costituivano tuttora gli articoli capitali della loro fede politica. I repubblicani moderati contavano ancora, come venti anni avanti, molti nomi altamente rispettabili e virili, ma non erano spalleggiati dalle moltitudini, e vivevano anch'essi meno del novello pensiero che dell'odio contro il due dicembre, ??che non ?? una data, ma un delitto??. Dei radicali, alcuni erano convolati al principe rosso, altri si ubbriacavano di fantasticherie sterminatrici di ogni stato, di ogni ordine sociale. Quale abisso di dissolutezza blasfematrice si apr?? a Liegi, quando nel congresso degli studenti il leone del Quartiere latino fece udire il suo ruggito! E qual furore frenetico e bavoso nei fogli volanti di quella letteratura profuga, che empiva le vetrine dei librai di Ginevra e di Bruxelles! I pamphlets dei rossi sulla moglie di Cesare testimoniavano l'antica e torva affinit?? tra la sete di sangue e la lussuria. Le minacce dei Boichot e dei Pyat contro il Soulouque bianco, che una volta bisognava pure decidersi a rinchiudere in una gabbia accanto alle belve nel Jardin des Plantes, gl'immondi vituperii dei profughi contro la regina d'Inghilterra quale alleata di Napoleone, tutto ci?? mostrava la pertinacia in nulla allentata del tradizionale atroce odio di partito, che di necessit?? impediva la franca riconciliazione delle persone assennate. Dovunque guardiamo, non scorgiamo mai in nessun luogo uno scopo conseguibile, in nessun luogo nemmeno un nuovo ideale falso, che fosse propugnato da un partito potente e conscio. Dovunque una cupa e confusa inquietudine, che permetteva ai pi?? tristi duellatori, a un Rogeard e a un Rochefort, di rappresentare una parte, anche se non sapessero scrivere meglio che perversamente e impudentemente.

Si raccolse a poco a poco sotto la guida dell'Ollivier un nuovo partito del centro, liberale insieme e dinastico, il tiers parti: chi per?? conosceva l'agile chiacchieratore, dubitava seriamente, se era a cercare proprio l?? la forza morale, che avrebbe ringiovanito uno stato ammalazzato. Si comprende l'acre sprezzo del despota pei suoi nemici, pel vino spumante di quei discorsi di opposizione. I discorsi di tre ore l'uno, con cui il vecchio Thiers soleva rapire il corpo legislativo, colpivano a segno con alcune punte acute e maligne le debolezze e i falli del bonapartismo; ma tradivano a ogni passo la sterilit?? intellettuale del vegliardo che si disfaceva in una vanit?? cavillante. I liberali si erano alla fine convertiti alla regola casalinga di prudenza, che la migliore costituzione ?? quella esistente, sempre che si sappia farne buon uso: fin dal 1863 erano rientrati nell'agone della politica pratica, e una parte dei loro pubblicisti difendeva gi?? le idee avveniristiche dell'indipendenza dell'amministrazione. Solo che queste idee non costituivano un vasto programma di partito pel pubblico bene, non erano approfondite e comprese nella loro importanza vera. La France nouvelle di Pr??vost-Paradol, il celebre programma del liberalismo, non conteneva un sol capitolo sull'amministrazione dei comuni. In quel parlamento pieno di lamentazioni furono manifestate nuove idee quasi soltanto dal banco dei ministri: davanti alle teorie liberoscambiste del potente ??viceimperatore?? Rouher, gli eroi dell'opposizione figuravano la pi?? parte da reazionari. Non pareva verosimile, che nei lunghi e silenziosi anni di riflessione su s?? stessa la nazione non avesse proprio imparato nulla delle virt?? della disciplina parlamentare, del tranquillo predominio di s??, del contegno virile! Ancora e sempre l'antico uzzolo fanciullesco degli effetti teatrali, l'antica atroce ferinit?? dell'odio di partito. Nessuna seduta del corpo legislativo soddisfaceva i parigini blas??s, se non era drogata da un incident, da una scenata di maldicenza e furore di parte. Dopo che i legislatori con la faccia in fiamme e con un selvaggio dimenamento di braccia si erano sfogati per un pezzo nel palleggio dei vituperii, il presidente aveva cura di levarsi solennemente e di pronunziare quella parola tragicomica che, inconcepibile nel parlamento inglese o nel tedesco, divenne nel francese una espressione addirittura rituale: ??Signori, l'incidente ?? chiuso!??. Presto si sarebbe provato, se i piccanti incidenti erano in grado di allevare una generazione di statisti parlamentari!

Donde deriv??, in fondo, l'evoluzione liberale, che alien?? a mano a mano dal dispotismo democratico le classi abbienti finora soddisfatte? Da tre fonti. Dalla onesta indignazione della nessuna libert?? dello stato; dalla brama inarrestabile di novit??; e finalmente e principalmente da quella gelosia per la Germania, che passava come un filo rosso attraverso tutte le fluttuazioni dello spirito pubblico. Gi?? da quando fu fondato lo stato tedesco settentrionale, da quando l'idolo del prestige francese principi?? a vacillare, la maggioranza della nazione cominci?? a sentire vivamente l'onta del dispotismo; ma questo nuovo sentimento liberale, proprio perch?? non era stato punto acquistato e travagliato con una faticosa elaborazione, non si manifest?? veramente stabile e di tempra provata. Solo dopo la battaglia di K??niggr??tz l'imperatore si vide costretto a una seconda riforma decisiva. Il 19 gennaio 1867 scrisse a Rouher quella lettera teatrale, che annunziava solennemente il ??coronamento dell'edifizio??. La discussione delle adresses venne, per desiderio di Morny moribondo, sostituita dal diritto d'interpellanza. Ma anche questa savia riforma ancora una volta svelava semplicemente l'assurdit?? del sistema. Il ministro di stato, che dopo il decreto del novembre aveva parlato pei suoi silenti colleghi come un difensore platonico, adesso in verit?? era il capo del ministero. Il viceimperatore Rouher rappresentava la politica del governo all'ingrande, ogni ministro difendeva, in forza di uno speciale incarico, l'amministrazione del proprio ministero. Da ci?? sorse inevitabilmente la necessit?? di una politica comune del ministero, affinch?? non si rinnovassero anche pi?? spiacevolmente i casi, gi?? troppe volte avvenuti, di stridente contraddizione tra i vari ministri. Per giunta, lo stesso despota democratico responsabile doveva costantemente respingere ogni solidariet?? tra i ministri. Di pi??: quanto maggiormente i dibattiti prendevano sostanza di contenuto e di vita, altrettanto risultava sensibile, che la finzione costituzionale dell'infallibilit?? del re non ?? altro, che una circonlocuzione dell'idea ??dominio della legge??. Siccome non ?? concepibile in un parlamento l'appello alla ribellione, dovevano dunque esservi funzionari responsabili che rispondessero a ogni pubblica lagnanza. Perci?? la tirannide responsabile era incompatibile con la libert?? di parola di una seria discussione parlamentare; ogni rimprovero, in tal caso, andava a colpire l'imperatore, scoteva l'autorit?? della corona, oppure, come va da s??, era soffocato dal campanello presidenziale.

Invecchiando, il despota si difendeva ancora: ricord?? novellamente alla nazione ??i titoli legittimi dei Bonaparte??, le menzion?? novellamente i potenti plebisciti, che avevano fondato con sei grandi votazioni la potest?? della sua casa. Ma la fede nell'avvenire dei Bonaparte era andata a fondo, da quando l'imperatore si era attaccato un'altra volta a quella Chiesa avida di dominazione, la quale troppo bene sapeva, che il bonapartismo aveva assai pi?? bisogno del proprio aiuto che non essa della sua protezione. I bonapartisti parlavano ancora con baldanza, cercavano anzi di assumere il tono affabile della monarchia patriarcale. Nelle Memorie di V??ron, negli Annales de la paix di Guettrot e simiglianti libri, parlava un'affettuosit?? fanciullesca, che ricordava il Libretto del re Giovanni di Sassonia e le operette affini prodotte dalla servilit?? dei piccoli stati tedeschi. Ma il tono era ricercato e affettato: il parallelo, di moda in altri tempi, tra Augusto e il terzo Napoleone cominciava a sollevare nel mondo i fischi. La stampa dichiarava sempre pi?? animosamente, tra il plauso degli stranieri, che solo il parlamentarismo, l'intero e vero parlamentarismo, poteva salvare la calante Casa imperiale. Sonava sempre pi?? alto l'antico aforismo la France est centre gauche, laddove un prossimo avvenire doveva far manifesto, che l'ebbrezza di un successo guerresco ?? a questo popolo sempre pi?? cara di qualsiasi ideale politico. L'imperatore non poteva pi?? tenere con mano ferma, una volta allentate, le redini del governo. Una ricca concessione segu?? l'altra. Nel marzo del 1868 apparve la legge sulla stampa. Il giudizio del tribunale della polizia dei costumi venne a sostituire l'arbitrio delle ammonizioni di polizia; e con l'abbassamento della tassa del bollo i giornali acquistarono la possibilit?? dell'assetto finanziario e dell'indipendenza. Certo, la penetrazione della stampa colta nel quarto stato, che era ci?? che pi?? importava, non era punto facilitata dalla lieve riduzione del bollo. Le persone colte non vedevano di buon occhio la fondazione di giornali locali indipendenti, in grado di sorvegliare per filo e per segno i maneggi dei prefetti onnipotenti; a cotesto liberalismo la sgargiante rettorica dei grandi fogli parigini sembrava pi?? importante di una stampa di provincia modesta ma efficace. Nello stesso mese entr?? in vigore la legge sulle riunioni, che dava in tutto prova della vigile diffidenza del dispotismo: non si permetteva adunanza, se prima i partecipanti non avessero precedentemente dichiarato ciascuno la propria persona, la condizione, il domicilio; facolt?? incondizionata ai prefetti di rimandarla, sempre che ne temessero pericolo per la pubblica quiete. Ma anche questa limitata libert?? di riunione effettivamente era troppa per una nazione, che aveva malmenato il diritto di socialit?? nella sconvenienza dei clubs e delle cospirazioni. Janz?? e gli altri rugiadosi creduloni del tiers-parti tripudiavano, che non fosse a un dipresso rimasto nulla pi?? della costituzione del 1852.

Solo che noi domandiamo: in che modo ha usato la Francia della sua nuova libert??? E anche adesso la risposta suona profondamente triste. Si pales?? ora per la prima volta quale mostruoso pericolo costituiva il fatto, che un popolo passionato e geniale si fosse per lo spazio di due decenni interamente disabituato dalla vita pubblica. Quando riflettiamo alla follia che segu?? al turbine di febbraio, dopo che la nazione aveva potuto per lo spazio di una generazione attingere ammaestramento e consapevolezza dalla libera stampa, noi non ci stupiamo affatto che una generazione, la quale non si era pi?? addestrata alla disciplina della libert?? e non aveva alcuna conoscenza degli affari dello stato, non sapesse distinguere tra radicalismo e spirito di libert??, e si abbandonasse senza guida al turbine delle passioni.

Tutto il nauseabondo lordume, che un tempo si era rincantucciato tra le colonne della stampa spatriata, adesso era venduto sui boulevards della capitale: i palati sovreccitati inghiottivano avidamente la Lanterne di Rochefort, indubitabilmente il pi?? comune e il pi?? insipiente giornale d'infamia, che sia mai apparso in una nazione incivilita. Urlava nei clubs parigini la bestialit?? selvaggia di una plebe scostumata: di tempo in tempo i demagoghi menavano a spasso il popolo sovrano in una journ??e, in immondi eccessi per le strade. Qual meraviglia, se i borghesi impauriti gi?? movessero a Rouher lamento, che la mano del governo non fosse pi?? sentita? E venne il giorno della prova, l'elezione del 23 maggio 1869. La questione per la Francia era di sapere, se dietro questo mostruoso clamore radicale non si nascondesse forse una qualche forza morale. La prova fu sostenuta vituperosamente. Nelle elezioni del 1852 il governo aveva riportato 5 milioni di voti contro 872.000 dati all'opposizione; nel 1857 6 milioni contro 840.000; nel 1863 il numero di voti dell'opposizione sal?? a milioni 1,8 contro 5,36, e nel 1869 a milioni 3,31 contro 4,66. Alla prima occhiata questi numeri sembrano una chiara dimostrazione dell'ingrossamento continuo dell'opposizione. Eppure la verit?? era ben diversa. I primi tre risultati delle elezioni erano l'espressione fedele, l'ultimo una falsificazione della volont?? del paese. L'enorme maggioranza della nazione si era col fatto talmente convertita alle idee liberali, che Emilio Girardin, l'augure delle rivoluzioni, credeva gi?? di vedere il principio della fine; ci?? non ostante, essa non trov?? in s?? il coraggio di opporre resistenza a quelle male arti della pressione elettorale napoleonica, che Rouher mise in azione anche questa volta.

Era una solenne dichiarazione di bancarotta della nazione; e, per giunta, ognuno sapeva che il dispotismo, intimidito e scoraggiato, non si trovava pi?? in condizione di adoperare i mezzi violenti di un tempo. Dopo questo grande saggio di fermezza del carattere nazionale, era facile prevedere, che si sarebbe dimostrato una lustra anche il progresso dell'intelligenza politica, che gli ultimi anni avrebbero dovuto arrecare. La nuova camera risult?? composta di 40 radicali, 60 appartenenti al recente tiers-parti e 200 mammalucchi ed arcadi, fida falange di Rouher. Ma la cos?? detta opinione pubblica si rivel?? ancora una volta come una forza irresistibile. Una parte dei bonapartisti, spaventati dal fracasso della stampa e dei clubs volse di botto a sinistra, e cos??, con un atto di completa insensatezza, nacque la mozione dei 116, che domandava nuovi diritti costituzionali. Rouher fu dimesso; ma, proprio quando si solennizzava il centenario dell'avo, l'imperatore giaceva infermo gravemente, e il mondo sentiva che la dinastia sarebbe condannata non appena quei due occhi si fossero chiusi. Dopo la guarigione il despota angustiato pubblic?? il senatoconsulto del 6 settembre, che annunzio il principio della responsabilit?? ministeriale. Finalmente il 2 gennaio fu chiamato il ministero Ollivier, che inizi?? formalmente l'??ra del bonapartismo parlamentare.

Non impropriamente l'imperatore paragon?? s?? stesso a un viandante stanco, che si spoglia di una parte del fardello per avanzare pi?? speditamente sulla propria strada: ademp?? fedelmente a tutti i doveri di un corretto regal fantoccio costituzionale, rinunzi?? al diritto del carteggio diplomatico coi suoi ambasciatori, e, di pi??, dimise Haussman, il suo fido prefetto della Senna. Inoltre Ollivier, rifulgendo di sapienza, di unzione e di virt??, annunzi?? che il governo da ora in poi non avrebbe designato candidati ufficiali nelle elezioni. Tutti i liberali giubilavano, che ora finalmente la Francia vestisse la toga virilis, ora finalmente con una novella quarta notte di agosto il governo dalle mani degli avvocati e dei burocratici passasse in quelle dei possidenti indipendenti. Il posato Journal des d??bats profetava, che presto in Prussia avrebbero sospirato ??la libert?? come in Francia??. Il Times vedeva vicino il tempo, che il virtuoso esempio della signora Ollivier, borghesemente semplice, avrebbe nobilitato i costumi della corte delle Tuileries. Effettivamente, la Francia ora possedeva ??la pi?? libera?? costituzione della sua storia, uno statuto, che conteneva tutti gli articoli di fede del liberalismo ortodosso di gran lunga pi?? compiutamente, che non in altri tempi l'atto addizionale di Napoleone I. Pure, l'antico dispotismo dei prefetti non si era, in verit??, menomamente cambiato: proprio allora, sotto la protezione della recentissima libert??, 450 cittadini francesi, in parte con lettres de cachet, furono buttati in prigione, perch?? la polizia pretendeva di avere scoperto una congiura. Questa inaudita trasformazione magica, che teneva il mondo in sospeso, col fatto era semplicemente la grossolana replica di una commedia, di cui i francesi si erano pasciuti fino alla nausea. Il dispotismo di un partito cacciava l'altro: la soluzione del giorno era novellamente s'emparer du pouvoir.

Il nuovo gabinetto era composto di uomini appartenenti a tutti e quattro gli antichi partiti moderati, uomini il cui nome irreprensibile era vantaggiosamente separato dall'entourage non ben famato dall'imperatore. Ma da un momento all'altro sgusciarono fuori dallo sdegnoso ritiro tutti gli antichi costituzionali che avevano finora combattuto l'impero a morte, e domandarono sfacciatamente uffici e prebende: nessuno pi?? petulantemente degli orleanisti, i quali avevano sempre conservato il vecchio cupido spirito di consorteria dell'et?? dell'oro della borghesia. Non era forse umano, che l'imperatrice, gaia e innamorata della vita, guardasse con occhio bieco lo speculatore di virt?? Ollivier, che tronfiava nel paludamento della sua civica incorruttibilit??, e nel frattempo proteggeva con tanta tenerezza tutti i cugini e i cugini dei cugini, e faceva perfino l'occhio di triglia all'amicizia del vecchio banchiere Magne, a che la rendita non scadesse nemmeno di una lira? Era da far carico all'imperatore, se non riusciva a sfranchirsi dalla diffidenza verso i suoi nuovi amici orleanisti? Il cinico non aveva mai contato sulla fedelt??, stando di fatto, che gli antichi bonapartisti rigidi, come Gerolamo David e compagni, erano legati alla casa dei Napoleone da interessi incomparabilmente pi?? solidi, che non il vecchio Guizot e gli altri transfughi orleanisti. Nel marzo Ollivier raccolse in una costituzione, che era la dodicesima dal 1789, i nuovi diritti della libert??. Ma non vi faceva neppure un accenno a quelle modeste riforme amministrative, che sole possono apportare forza e vita alla costituzione. Il sindaco veniva, come prima, nominato dal governo, il funzionario rimase protetto da ogni querela dei cittadini. La camera, la cui maggioranza non rispondeva punto all'animo del paese, non fu affatto sciolta, e i vecchi arnesi devoti del dispotismo serbarono le loro cariche prefettizie: le nuove commissioni parlamentari, nominate per la trasformazione di tutti i rami della vita pubblica, effettuarono un bel nulla.

Ora finalmente si fece avanti la questione, che presto o tardi doveva essere posta. L'imperatore anche adesso era sempre l'eletto responsabile del popolo. Su disposto della vecchia costituzione egli domandava, che il nuovo statuto fosse accettato dal popolo sovrano merc?? il plebiscito. Tale domanda significava, che Napoleone si sentiva tuttora l'homme-peuple, e che perci?? non avrebbe mai potuto guidare un governo sinceramente parlamentare; solo che, indubitabilmente, il diritto positivo dava ragione all'imperatore. Di pi??, il plebiscito era una necessit?? politica. I radicali gi?? svergognavano la nuova costituzione, che fosse niente altro che il pasticcio di pochi senatori tecnici: e siccome in questo paese ognuno s'inchina umilmente davanti al suffragio universale, essi presto o tardi avrebbero infallibilmente costretto l'imperatore a fare appello al popolo. Ma i liberali francesi mostrarono ancora una volta di mancare della prima virt?? del libero cittadino: il senso della legalit??. Della questione di diritto si parl?? appena; non si faceva che biasimare il despota, di aver subito seppellito il regime parlamentare appena fondato. L'8 di maggio la nazione con sette milioni di voti contro uno e mezzo ratific?? l'impero parlamentare. Napoleone ora sapeva di possedere nella devozione delle moltitudini una riserva contro l'intemperanza dei parlatori parlamentari; ma nello stesso momento fu tormentato dal pensiero degli umori dell'esercito, che aveva dato 47.000 voti contro l'impero. Diveniva intanto sempre pi?? impetuoso l'ardore guerresco dei vecchi bonapartisti, che temevano di essere soppiantati nelle loro cariche dai cupidi amici di Ollivier; e si vestiva di seduzioni sempre crescenti l'idea che propugnavano, di ristabilire con una guerra nazionale la cadente autorit?? della corona. In questo modo, nel tripudio della nazione accecata, tra il fragoroso clamore guerresco di una scellerata spedizione di preda, il bonapartismo parlamentare andava a sommergersi senza lasciar traccia. Dal 18 brumaio la nazione aveva cercato la libert?? in cinque sistemi differenti. Fu addebitato alla guerra europea il fallimento del primo impero, ai legittimisti quello della Restaurazione, alla borghesia quello della monarchia di luglio, agli operai della capitale quello della repubblica. Non si trovava questa volta nessuna giustificazione straniera n?? un partito, che potesse colpirsi come capro espiatorio. La nazione, tutta intera la nazione aveva con una lunga sequela di follie e di colpe dimostrato di non essere atta, n?? ora n?? per molto tempo appresso, a comportare la libert??.

III.

?? un fatto: la guarigione di uno stato malato si pu?? incominciare sia dal basso che dall'alto, per mezzo dell'amministrazione o per mezzo della costituzione. Solo che in Francia tutti gli esperimenti escogitabili di costituzione erano consumati da un pezzo. La speranza in una nuova rivoluzione, espressa dal detto corrente di bocca in bocca: ??la Francia ha messo in serbo la libert????, era un confortino da fanciulli. La riforma dell'amministrazione era l'unica via ancora aperta alla libert?? politica. Fintanto che i comuni non si contrappongono con la loro propria autonomia alla burocrazia, la libert?? di stampa e di associazione mena infallibilmente all'anarchia e l'ampliamento dei diritti della rappresentanza popolare al dispotismo di partito. Soltanto una pi?? libera situazione dei comuni, in modo che, per lo meno, i sindaci non fossero loro imposti, poteva forse indurre le classi abbienti a riguardare come un onore l'esercizio delle cariche comunali. Solo un'attiva partecipazione delle persone colte ai lavori amministrativi poteva finalmente costringere la burocrazia a non sdegnare pi?? i consigli della stampa come un'arroganza di hommes sans mandat. E solo, soprattutto, un'intensa attivit?? della vita comunale poteva forse risvegliare le virt?? boccheggianti della costumatezza politica e della fedelt?? al proprio dovere, sparite quasi nel turbine delle lotte di partito, poteva scuotere alquanto la potenza enorme della imbestiante routine e dello schema che dominava tutta quanta la mentalit?? nazionale. Torbido spettacolo, quello dell'annientamento della vita pubblica nei primi dieci anni dell'impero. Sotto la polizia napoleonica perfino l'allegria del carnevale per le strade era quasi sparita. E quale risveglio doveva poi seguire a quel torpore plumbeo!

Tali erano le circostanze, quando venne a maturazione il giudizio, che lo stato finora si era mosso in un circolo vizioso, e che la riforma dovesse principiare dal basso: la dottrina dell'autonomia amministrativa del Tocqueville, dopo la morte del maestro, era divenuta una forza tra gli uomini pensanti. L'idea dell'autonomia amministrativa era stata derisa come una chimera anche sotto la monarchia di luglio; ora, sotto Napoleone III, il decentramento era la parola d'ordine di una grande scuola di pubblicisti. Odilon Barrot e Laboulaye, Raudot e Desmarets, Regnault e il bonapartista Baudrillart, uomini delle pi?? diverse tendenze, produssero sull'argomento una letteratura, che con la seriet?? morale e l'alacre fede nell'avvenire annunziava la perseveranza dell'antico e bello idealismo francese, e con l'amabile freschezza attestava quanto erano nuove tali idee sul suolo di Francia. Si principi?? a comprendere l'arbitrio antistorico e insipiente della divisione in dipartimenti. Mentre in Bretagna, in Normandia, tra i Baschi e i Guasconi persisteva l'antico spirito provinciale, che era per altro una boria di provincia senza forza politica, e l'alsaziano con tutto il suo patriottismo guardava dall'alto in basso i ??francesi neolatini?? come un popolo mezzo straniero, col fatto i dipartimenti erano rimasti puri corpi amministrativi. Permaneva impossibile, che paesi come ??pinal e V??soul diventassero centri di uno speciale spirito regionale come Bordeaux o Lione. Era tuttora fattibile designare i dipartimenti con numeri, come aveva un tempo proposto Siey??s col suo odio a tutte le formazioni storiche; tanto apparivano, dopo un'esistenza di sessant'anni, schematici e senza colore. Gli antichi inconvenienti del governo prefettizio diventarono addirittura intollerabili, da quando alla dipendenza dei prefetti furono posti come guardiani dei costumi gl'ispettori generali di polizia e, data la frequenza sistematica dei traslochi, tutti gl'impiegati si assuefecero a considerarsi come uomini senza patria. I consigli generali, ?? vero, venivano eletti col suffragio universale; ma la loro sfera di azione rimase immutata; anzi qualche uomo indipendente se ne ritrasse, dopo che il governo ottenne il diritto di nominare i presidenti e i segretari e di condurre esso esclusivamente lo scrutinio. Per quanto era certo che un distretto poteva amministrare solamente quello che pagava, altrettanto era certa la morte dell'autonomia in quello stato, i cui consigli generali fin dal tempo del primo imperatore avevano soltanto il misero diritto di riscuotere ai fini dei dipartimenti il quattro per cento sulle imposte statali. Per giunta, una gran parte di questi quattro centimes facultatifs erano impiegati a scopi generali dello stato, per esempio, nel mantenimento dei palazzi delle prefetture e simili. Pi?? aspre ancora erano le accuse contro i circondari: lo stesso Napoleone III nella sua lettera sull'Algeria convenne, che l'abolizione dei sottoprefetti superflui era un desiderio quasi generale.

Con l'articolo 57 della costituzione del 1852 la posizione dei comuni era divenuta ancora pi?? soggetta, essendosi il governo riserbata la facolt?? di nominare a suo arbitrio il sindaco dai membri del consiglio generale o anche di chiamare a quella carica dominante un abitante affatto estraneo all'amministrazione comunale. Quell'articolo 57 era a buon diritto uno dei pi?? importanti della costituzione, giacch?? i sindaci determinavano nelle campagne l'esito delle elezioni. Le sedute del consiglio comunale non erano pubbliche, e il consiglio poteva essere sempre sciolto o sospeso dal governo. I pi?? superbi comuni non erano punto pi?? indipendenti di quei minuscoli comunelli, incapaci di una propria vita particolare, che costituiscono la regola nelle campagne di Francia. Anzi le due citt?? pi?? grandi, Parigi e Lione, erano defraudate del beneficio della legge: il loro rispettivo consiglio comunale era nominato ogni cinque anni dall'imperatore, ed era perci?? privo di qualsiasi autorit??, non ostante le esaltazioni lodative che Napoleone III dopo l'apertura del Boulevard de S??bastopol, e spesso anche in seguito, aveva prodigato al suo fido Haussmann. Dei 2379 milioni di entrate gi?? nel 1857 erano stati spesi 877 milioni pel dipartimento della Senna. La preferenza data alla capitale diveniva visibile a distanza perfino negli affari della vita quotidiana; tutta quanta la rete ferroviaria dell'impero era essenzialmente gettata a benefizio di Parigi. Pareva inconcepibile a questa burocrazia l'idea che qualcuno potesse viaggiare altrove che da o per Parigi; e lo sa chiunque ha provato qualche volta a recarsi da Parigi a Bordeaux.

Il sistema dell'accentramento burocratico rese ad Algeri le prove pi?? sorprendenti della sua inettitudine all'efficacia creativa. Questa colonia, che poteva invigorirsi solo merc?? lo svolgimento affatto libero delle energie individuali, era la terra votata agli esperimenti burocratici, divenuta la caricatura dell'amministrazione della madrepatria. Qui sorrideva all'impiegato la fortuna di un accentramento duplice, poich?? tutti gli affari erano in primo tempo decisi nella capitale della colonia e in secondo tempo a Parigi. Nello spazio di una generazione furono saggiati e rifiutati quindici sistemi di organizzazione. Centonovantaduemila europei, ossia la met?? della popolazione media di un dipartimento, vi vivevano distribuiti in 71 comuni sotto 3 prefetti, 13 sottoprefetti e 15 commissari civili, e va da s?? che il governo di Parigi non aveva alcuna cognizione delle condizioni effettive dell'Algeria, non ostante le infinite relazioni inviate da un esercito d'impiegati. L'imperatore aveva ordinato l'istituzione dei tribunali indigeni, i medjlehs, e lasciato ai nativi la scelta fra i tribunali arabi e i francesi. Tutte le autorit?? riferirono che gli arabi, animati da una mirabile fede nella giustizia dei franchi, preferivano i tribunali stranieri ai patrii; e quando l'imperatore visit?? la colonia, venne fuori, che i medjlehs non esistevano affatto! L'immigrazione ristagn??, perch?? un'esistenza malcerta sotto la benedizione del formalismo burocratico non poteva sedurre nessun uomo attivo. Un esercito di 76.000 uomini era appena sufficiente a guardare la colonia. Gli uffici arabi fondati per la tutela degl'indigeni si rivelarono incapaci d'intendere la popolazione straniera. Nella lettera al maresciallo Mac-Mahon Napoleone III espresse la speranza, che la Francia per opera di un'amministrazione esemplare in Africa sarebbe in grado di acquistare una preponderanza fra tutti i popoli fino all'Eufrate, e che dal domesticamento degl'indigeni coi costumi francesi sarebbe sorta una ??potente individualit????, un semitismo gallicizzato. Ma questo desiderio doveva infrangersi contro la tenacit?? della religione e dei costumi di Oriente, quello contro la stupida rigidezza della burocrazia francese.

La lettera sull'Algeria dimostr??, che l'imperatore non aveva minimamente smesso la sua antica preferenza per l'autonomia amministrativa. La formola favoriser l'initiative individuelle ritorna quasi con la stessa frequenza come un tempo negli scritti di Cavour. Doveva egli desiderare di affrancare dall'influenza della capitale ostile il ceto agricolo delle provincie, puntello del suo dominio. Sapeva altrettanto, quanto il suo amico Persigny, che l'accentramento finiva con lo spegnere negl'impiegati la coscienza della responsabilit?? personale; presentiva quante erano le forze preziose, ora ai servigi dell'opposizione, che si sarebbero potute avviare, merc?? le libert?? comunali, per una strada meno pericolosa. Ma la peculiare indecisione della sua mente, il timore da cui era preso davanti a qualsiasi indebolimento del potere statale, e il riguardo allo spirito di casta burocratico tolsero l'ardimento a tale veduta: onde le tanto celebrate prove di decentramento dell'imperatore rimasero tutte senza contenuto concreto, giacch?? toccavano la forma, non la sostanza dell'amministrazione. Fin dal 25 marzo 1852 un decreto rimetteva nelle mani dei prefetti una serie di affari che finora incombevano al ministro; poich?? ??si pu?? bene governare da lontano, ma si amministra solo da vicino??. Naturalmente il ministro pi?? tardi inform?? quali magnifici frutti questo decreto aveva portati. Meno impetuoso dei suoi consiglieri, l'imperatore il 24 giugno 1864 incaric?? il consiglio di stato di dare il suo avviso sulla semplificazione della pratica degli affari: quale ritardo, se le pi?? semplici questioni amministrative devono passare per undici istanze! Desiderava anche di abolire l'esattore generale e di porre gli esattori delle imposte dei dipartimenti in rapporto diretto con la cassa della capitale. ?? chiaro, che con siffatte riforme l'amministrazione guadagna in tempo, ma non il popolo in libert??. Ma tali questioni sono pei popoli latini cos?? poco mature alla discussione, che lo stesso La Farina poteva sinceramente ammirare quelle vacue riforme amministrative di Napoleone III. Solo una volta l'impero ha arrischiato un tentativo per l'istituzione di una vera autonomia amministrativa; e fu nel 1852, quando Persigny consent?? ai comuni e ai dipartimenti d'imporre alcuni centesimi addizionali senza l'approvazione dello stato; ma la riforma dopo appena qualche anno decadde per l'opposizione dei prefetti.

Pi?? sodamente, i partiti andarono alla sostanza del problema. Il programma di Nancy del 1865 compendiava i pi?? urgenti desiderii dei partigiani dell'autonomia nelle seguenti proposizioni: i consigli generali eleggerebbero essi medesimi i propri presidenti; il sindaco verrebbe nominato esclusivamente dai membri del consiglio comunale (non osandosi chiedere l'elezione del sindaco); allato al prefetto starebbe una commissione permanente del consiglio generale. Questo disegno immaturo e confuso, frutto di un compromesso tra i liberali e i legittimisti, pure divent?? la pietra di paragone dei partiti. Nell'odiosa opposizione, sollevata contro gli uomini di Nancy dal Si??cle e dall'Opinion nationale, si rivel?? il terrorismo dispotico della vecchia democrazia incorreggibile, della democratie autoritaire; nella eloquente difesa fattane dal Temps e dal Journal des d??bats, invece, il discernimento pi?? maturo del liberalismo colto. Purtroppo la stampa non illustr?? e vagli?? veracemente queste idee, volte secondo il pregiudizio dei vari pensatori. Tra i propugnatori dell'autonomia si levarono spesso opinioni ostili allo stato: si combatteva lo stato in odio alla burocrazia. Noi non alludiamo punto al frivolo Emilio Girardin, che una volta per ragioni di opportunit?? difese l'??tat f??d??r?? e assegn?? allo stato il compito di un istituto di assicurazione. Ma anche uomini migliori, come Carlo Dollfus, ricaddero nelle superficiali idee del secolo decimottavo, non concependo altrimenti il governo, che come un sistema di garanzie per la libert?? delle persone. E le stesse lotte pel decentramento combattute dal Temps, se vedevano un ideale nella sbocconcellatura degli staterelli tedeschi, non riuscivano, con siffatte aberrazioni, che a rafforzare la presunzione della burocrazia. Laboulaye anzi desiderava l'abolizione della giustizia amministrativa, laddove questa costituisce invece un organo indispensabile per tutti gli stati di terraferma, e la sua magnifica perfezione tecnica ?? una gloria della Francia. Quando poi per assicurare l'indipendenza ai giudici voleva precludere loro l'avanzamento, egli disconosceva onninamente l'essenza di una societ?? democratica.

Un sobrio esame genera il criterio, che l'autonomia amministrativa in Francia non fosse in grado di alzare che pretese assai modeste. L'accentramento ?? cresciuto insieme con l'intima sostanza di questa nazionalit??. Solamente la prepotenza della capitale ha reso possibile ai francesi di sostenere, con modiche energie spirituali di lavoro, una posizione onorevole nell'incivilimento dell'Europa; oggigiorno, dopo che le colpe della Comune di Parigi hanno quasi spezzato l'influenza dominante della capitale, sembra inevitabile un abbassamento profondo della cultura, se non pure una ricaduta nella barbarie. Una burocrazia stipendiata con a latere i consigli eletti: questa era e sarebbe rimasta a lungo la forma nazionale dell'amministrazione. Si sarebbe potuto trattare, evidentemente, solo di estendere le attribuzioni di questi consigli, e in seguito di attenere finalmente l'antica promessa dei liberali e, oltre il ricorso al consiglio di stato, aprire ai cittadini anche la via giudiziaria avverso l'arbitrio dei funzionari. Non gi?? che noi intendiamo di rifiutare semplicemente al carattere dei francesi l'idoneit?? alla libera vita comunale. Giacch?? i prossimi consanguinei proprio delle pi?? bellicose stirpi del paese, i valloni e i vaudesi, hanno sviluppato con grande compitezza nella terra loro l'autonomia; e gli stessi consigli generali francesi, per lo meno al tempo che era loro consentito di eleggersi i propri presidenti, hanno sovente dato gloriose prove di senso comunale fattivo. Solo che, in forza di un'antichissima deformazione politica, specialmente dal tempo della Rivoluzione in poi, le abitudini e le idee burocratiche sono cos?? profondamente penetrate nel popolo, che una completa trasformazione non sembra possibile. Lo splendido esempio dell'autonomia locale nell'antica provincia di Linguadoca non significa, purtroppo, nulla; ch?? quei tempi furono.

Si poteva lamentare l'ottuso meccanismo della divisione dipartimentale; manifestamente, per??, non era fattibile abolirlo. Ogni tentativo di reintegrare le provincie e i loro gradi, come fece un tempo la Restaurazione, avrebbe naturalmente risuscitato l'odio della burocrazia e delle moltitudini contro l'antico regime, risuscitato lo spavento indelebile delle popolazioni davanti a un ritorno della decima e del lavoro servile. L'idea di riunire vari dipartimenti in una regione sotto una grande citt?? come capoluogo, fu sostenuta solo da qualche propugnatore eloquente. Noi per?? domandiamo: in effetto, si era ancora in tempo, a rispingere indietro l'antichissimo svolgimento storico che aveva concentrato a Parigi i confini del paese? e quante e quali forze spirituali autonome possedeva Lione, fuori degl'interessi di classe del suo clero e del suo mondo commerciale? Una forte autonomia appunto per questo non poteva svilupparsi nei dipartimenti, perch?? cotesti corpi ufficiali non possedevano forze proprie notevoli. In un paese dove dieci rivoluzioni hanno distrutto tutti gli antichi beni delle corporazioni, non sono possibili altrimenti che per eccezione le istituzioni locali tanto importanti, come gli ospedali circondariali e i nosocomi provinciali in Prussia o le innumerevoli fondazioni delle contee in Inghilterra. N?? vi erano troppe speranze di ricostituire cotesti beni locali. La pi?? naturale delle imposte comunali ?? in tutti i modi l'imposta fondiaria; ma l'elevazione di tali tributi doveva urtare contro una resistenza invincibile da parie di una popolazione agricola oberata. Piaceva al signor Thiers millantare la nuova aristocrazia che, cresciuta dopo la Rivoluzione, costituiva un pegno per l'avvenire della libert??; quasi che un'aristocrazia sociale non dovesse necessariamente sorgere da qualunque sviluppo considerevole dell'economia pubblica! Ad onta di tali sofisticherie permaneva il fatto, che non esisteva nel popolo un'aristocrazia politica di salda autorit??. Nella maggioranza delle classi medie non attecchiva affatto una seria volont?? di autonomia amministrativa. N?? giova appellarsi alle numerose associazioni industriali, in cui l'attivit?? autonoma di quei ceti si ?? cospicuamente effettuata. Siffatte intraprese, che direttamente o indirettamente profittano alla borsa degl'intraprenditori, non provano nulla rispetto all'energia politica dello spirito pubblico. Tanto che la scuola di Manchester, che ?? maestra di tutte le societ?? economiche, ?? in pari tempo la nemica dichiarata della ??dispersione di lavoro?? del selfgovernement. Nelle classi medie francesi, la cui mano ?? sempre aperta alle opere caritatevoli, tutti facevano ressa per la legion d'onore e per gli uffici stipendiati, tutti scantonavano davanti al servizio onorario della giuria, della guardia nazionale, dei comuni. La denunzia era stimata un'infamia, come presso tutti i popoli che hanno scarsamente sviluppato il senso della legalit??; eppure in ogni rischio, in ogni offesa al diritto si levava subito lamento alla polizia.

Nondimeno l'ostacolo pi?? forte all'autonomia era opposto dal dominio del quarto stato. Le moltitudini democratizzate mostrano ben di rado molta intelligenza del valore della libert?? comunale, a cui esse possono partecipare solo fugacemente, al tempo delle elezioni: purtroppo, ubbidiscono generalmente pi?? volentieri a un funzionano stipendiato che sembra fuori dei contrasti di classe, anzich?? a un magistrato onorario appartenente alle classi abbienti. L'istituzione di una vera e schietta autonomia presuppone una rara forza di rinunzia da parte del potere statale; ma ?? lecito attendere una siffatta abnegazione dall'assolutismo, se non ve lo violenta una catastrofe formidabile come la pace di Tilsit? Ogni autonomia aggrava di duri sacrifizi gli abbienti; ragion per cui non pu?? introdursi, se non per forza e per ingiunzione dell'autorit?? dello stato. Laonde ci?? che la monarchia legittima in Prussia pot?? imporre a un popolo tranquillo, educato alla rigida obbedienza, non era dato alla tirannide democratica osarlo rispetto a una nazione irrequieta, che si stima autorizzata a prendere il massimo dallo stato e dargli il minimo.

Non era dunque a sperare l'annullamento del sistema amministrativo burocratico; era a pensare soltanto a una moderazione della sua onnipotenza. L'avvenire della libert?? politica dipendeva principalmente dall'esito di cotesta modesta riforma. Se non che i liberali, non appena arrivati al potere, seguirono l'esempio di tutti i governi precedenti. Ollivier gett?? indifferentemente in un cantone tutti i desiderii di autonomia amministrativa, di cui egli stesso prima era stato il rappresentante. Di talch?? la decisione, che il sindaco non dovesse nominarsi se non dal seno stesso del consiglio comunale, segn?? quasi l'unico progresso notevole raggiunto dalla vita comunale sotto l'impero.

IV.

Che questo peccato di omissione originasse dall'essenza del bonapartismo, emerge vividamente, non appena consideriamo l'azione del secondo impero e subito vi scopriamo, che lo stato e sempre lo stato ha guidato e compiuto le grandi trasmutazioni sociali degli ultimi due decenni. I pi?? grandi meriti del nuovo bonapartismo riposano sul campo economico, e anche qui si annidano i pi?? grandi pericoli per la sicurezza dello stato. Certo, soltanto la servilit?? poteva senz'altro riguardare l'imperatore come il creatore della nuova economia. Leggendo gl'inni dei prefetti sulla baguette magique del bonapartismo, sembra quasi che l'imperatore non abbia fatto altro che girare l'anello incantato, e subito il traffico irruppe dovunque a ribocco; n?? pi?? n?? meno come un tempo i fogli cortigiani tedeschi degli ultimi cinquant'anni derivavano il naturale crescimento del nostro commercio e della nostra industria dalla sfondolata sapienza dei Bruck e dei Beust. Tuttavia Napoleone III a buon conto poteva gloriarsi, che il benessere della nazione non aveva dato sotto nessun governo precedente un cos?? magnifico balzo. Sapeva inoltre, che con l'egoismo dei ricchi e con l'astio e l'invidia dei poveri il sistema del lasciar andare non bastava, e che era indispensabile l'aiuto diretto dello stato per l'elevazione delle plebi. Le pretese delle classi lavoratrici verso lo stato salirono incommensurabilmente con le male abitudini di quei diciotto anni; e nessun governo francese potr?? in avvenire sottrarsi al socialismo monarchico. L'origine del nuovo potere, il bisogno di sicurezza, il gusto dispotico del vanaglorioso abbagliamento, e, non per la parte minore, l'animo buono e umano dell'imperatore pel quale il soccorrere era una gioia, cooperarono di conserva a imprimere nel secondo impero le idee della fraternit?? socialista. Non indarno sulla porta del nuovo palazzo del Louvre grandeggiava la statua del Lavoro col corno dell'abbondanza, non indarno in tutti i manifesti napoleonici era esaltato l'ordine come la prima fonte del lavoro. L'ideale dell'imperatore era di menare a termine nella societ?? la vittoria della democrazia merc?? la rimozione della miseria delle plebi, merc?? i benefizi dell'istruzione, del credito e dei lavori pubblici. ??Io voglio??, disse una volta, ??conquistare alla religione, alla morale, al benessere quella parte tuttora tanto numerosa della popolazione, che conosce appena il nome di Cristo, che pu?? appena soddisfare ai bisogni necessari della vita??.

Noi tedeschi professiamo l'opinione avita, che, solo per eccezione e per non poterne far di meno, la fraterna opera dello stato possa mischiarsi nel libero moto delle energie economiche. Pi?? vasti confini sono prefissi al potere statale della Francia dal cammino della sua storia, ed ?? innegabile che il socialismo monarchico, accanto a molti esperimenti immaturi e precipitosi, ha anche prodotto molte opere di beneficio durevole. Le soci??t??s de secours mutuel legarono al sistema migliaia e migliaia. Cotesta cassa di risparmio viene istituita in ogni comune, dove il prefetto la giudica necessaria; il presidente ?? nominato dall'imperatore. Ne crebbe il numero da 2000 nel 1852 a 4118 in 7 anni, con 534.233 soci e 23 milioni di lire di capitale. I fondi, come quelli di tutte le comunit?? e corporazioni, dovevano depositarsi presso le autorit?? dello stato: che era un passo avanti sulla via del socialismo monarchico. Gli antichi istituti di beneficenza, numerosi fin dal tempo antico in questo paese cattolico, furono quasi generalmente riordinati sotto Napoleone III; furono amministrati sotto la sorveglianza dello stato da commissioni di nomina prefettizia. Nuove istituzioni crebbero in folla: cucine pei figli degli operai, novelli ospedali e associazioni per la cura degl'infermi a casa: asili per gli operai mutilati e pei convalescenti, ??affinch?? gl'invalidi dell'officina siano pareggiati agl'invalidi della guerra??. I fournaux del principe imperiale assicuravano al lavoratore un pasto economico; le casse operaie dovevano ??rifiutare il pregiudizio che i prestiti si fanno soltanto ai ricchi, e affermare la verit?? che una buona riputazione ?? una vera propriet????. La capitale apr?? i bagni gratuiti e i comuni riceverono sussidi dallo stato per ottenere ai lavoratori i lavatoi a basso prezzo. I grandi mercati di Parigi provvedevano pel conveniente acquisto dei generi di necessit??. La cassa dei fornai percepiva un centesimo per ogni chilogrammo di grano e dava sussidi ai fornai, tanto che il costo di un chilo di pane era disceso sotto la tariffa intrasgredibile di 50 centesimi: e in questo modo l'operaio aveva il pane a buon mercato e il fornaio speculava sul basso prezzo. Anche la liberalit?? dei fornai e dei beccai sarebbe tornata a vantaggio dei consumatori del quarto stato, se la resistenza dei privilegiati non l'avesse lasciata quasi senza effetto. Nei giorni di penuria, come al tempo della guerra americana, venne perfino distribuito per ragion di stato danaro contante tra i lavoratori. Infine l'imperatore abbozz?? il vasto disegno di una grande cassa di assicurazione statale dei lavoratori: che era, chiaro e lampante, un'idea socialistica. L'intento sostanziale raggiunto da tanti e tali benefizi fu l'attaccamento personale degli operai alla Casa dell'imperatore. Napoleone III dichiar?? pubblicamente dopo l'incoronazione: ??la mia prima visita d'imperatore sar?? ai sofferenti??; e d'allora in poi tutte le associazioni pel miglioramento delle classi lavoratrici furono poste sotto il patronato dell'imperatore, dell'imperatrice e del principe ereditario.

Fin da quando era presidente, Napoleone III aveva fatto tradurre il libro di Henry Roberts sulle case operaie, ed egli stesso abbozz?? modelli di abitazioni delle cit??s ouvri??res. Il tedesco era invaso da un sentimento assai amaro, allorch??, passeggiando in quegli anni per le vie della bella Sundgau, che pareva perduta per sempre per noi, vedeva a sera le schiere fitte di uomini poderosi emigrare dalla porta di M??hlhausen per le linde casette ingiardinate della citt?? operaia: purtroppo, erano la pi?? parte nostri compatrioti, che laggi?? erano perduti alla vita tedesca. Il che non ha trattenuto gli economisti nostrani dal riconoscere i meriti umanitari della Soci??t?? industrielle de Mulhouse e dal leggere con gratitudine i suoi bollettini tanto istruttivi. Era questa effettivamente una riforma sociale che andava al fondo: l'operaio che nella gioconda dimora si abitua ai costumi casalinghi e con una modica contribuzione annuale acquista dopo alquanti anni la propriet?? della sua casa, ebbene, non ?? soltanto elevato economicamente; egli viene rifatto moralmente. E mentre l?? e nelle vicine Gebweiler e Beaucourt l'antico spirito delle citt?? imperiali animava l'energia di eccellenti cittadini tedeschi, come J. Dollfus, a menare avanti l'opera benefica a cui lo stato contribuiva solo con parchi sussidi, per contro altre citt?? operaie venivano costruite esclusivamente e in preponderanza coi mezzi offerti dallo stato: cos?? a Lilla la cit?? Napol??on che contava 9000 abitanti, cos?? a Parigi il nuovo quartiere operaio del sobborgo Sant'Antonio. Delle societ?? operaie fondate sotto la repubblica poche erano sopravvissute: sorte con tendenze radicali, dovevano lottare contro il malanimo del governo; ed erano la pi?? parte, per giunta, consorzi di produzione, e si movevano perci?? nel dominio malagevolissimo e ingratissimo della vita consorziale. Ma negli ultimi anni dell'impero il favore dello stato ricerc?? anche coteste leghe di lavoratori. Alla fine il buon diritto dello sciopero venne riconosciuto, e l'importante legge del 25 maggio 1864 accord?? alle associazioni operaie piena libert??.

Provveduto in tal modo al pane al quarto stato, non potevano mancare i circensi: parate ed esposizioni per tutto l'anno, rappresentazioni di ogni specie col nuovo benefizio della libert?? del teatro, luminarie e spettacoli il genetliaco di Napoleone. Alla Porta San Martino, dove gli antichi boulevards confinano col quartiere operaio, l'imperatore fece sorgere il Gran Caf?? Parisien, in cui l'operaio su un divano di velluto poteva gustare il suo petit verre nella luce di candelabri abbaglianti. Parimente, anche il quarto stato doveva partecipare ai vantaggi del debito pubblico, anche la sua borsa attaccarsi al trono imperiale. Dopo che l'assegnazione del titolo fu abbassata a una somma affatto esigua, il numero dei possessori di rendita sal?? da 292.000 nel 1848 a 1.095.688 nel 1867. ?? per s?? evidente, che cotesta democratizzazione della rendita procur?? al sistema molti aderenti; ma ?? anche pi?? evidente l'influenza nociva sulla sicurezza del credito dello stato, giacch?? l'uomo di umile condizione ?? per solito particolarmente suscettibile al timor panico. Dopo la conversione della rendita intrapresa da Vill??le sotto i Borboni, e dopo la ripetizione di tale provvedimento per opera di Bineau e di Fould, la cartella al tre per cento fece regola nel debito pubblico francese, come nell'inglese. Di 341 milioni di rendita 303 milioni erano al 3 per cento; e quei titoli erano i preferiti dagli speculatori, giacch?? la bassa percentuale garantiva la sicurezza da ogni altro possibile abbassamento; salvo, per??, che la stessa bassezza della percentuale non andava certo a grado all'uomo d'affari. Ma come fu tremendamente alimentata la foia del gioco, come fu minacciata la solidit?? del benessere dalla enorme diffusione di tali cartelle, che altalenavano affannosamente nei conflitti della borsa senza mai posa! Non ostante la grande diligenza, il francese ha poca gioia del lavoro: produce indefessamente durante venti anni, per poi apparecchiarsi prematuramente un comodo autunno della vita. La democratizzazione della rendita fondava su questa debolezza nazionale, come aveva fatto, prima della Rivoluzione, l'introduzione del costume antieconomico delle tontine. Il numero dei petits rentiers, che a quaranta o cinquant'anni incrociano le braccia, crebbe considerevolmente sotto l'imperatore; e il bonapartismo trov?? appunto in quella cerchia una folla fitta di partigiani zelanti, chauvinistes appaltoni. Esaminando ancora una volta cotesto multiforme armamentario della tirannide democratica, siamo indotti a convenire, che un cos?? immediato legame dei bassi ceti con la persona del capo dello stato si ebbe tutt'al pi?? sotto il dominio degl'imperatori romani, ma nella storia moderna non era esistito mai.

Uno dei pi?? importanti tra quegli energici espedienti socialistici intesi a domare insieme e ad accontentare i lavoratori, fu il famoso riassetto delle citt??. L'imperatore volle porsi in grado di buttar gi?? con la mitraglia ogni turbolenza piazzaiuola; e, se si propose di prevenire il ritorno di sorprese tanto sciagurate quale la rivoluzione di febbraio, ademp?? puramente al suo dovere monarchico. L'ampia via di Rivoli colleg?? le Tuileries col palazzo di citt??, centro antico delle sommosse; il boulevard di Sebastopoli fu gettato tra la via Saint-Martin e la via Saint-Denys, gi?? teatro di tante lotte sotto il regime borghese. L'asfalto, con cui i boulevards furono pavimentati, port?? via agli eroi delle barricate i consueti materiali di costruzione. Il palazzo imperiale form?? in uno col Louvre una piccola fortezza, che era possibile sbarrare subitamente coi massicci cancelli della piazza del Carosello. Ampi cammini sotterranei pel decorso dei rifiuti, servivano anche, nel caso, a preparare un inaspettato arrivo di truppe sui punti minacciati. Salde caserme in tutte le posizioni strategiche importanti; squares verdi nei nodi stradali, ameni agli occhi e ai polmoni, ma anche agevoli ad abbarrarsi allo scoppio della battaglia nelle strade. In una parola, l'impero parve abbastanza assicurato da un rude colpo di mano. Quando una volta fu squarciato a colpi di mitraglia un quartiere operaio in rivolta, l'imperatore rifiut?? con commoventi parole il nome di Boulevard de la reine Hortense proposto per la nuova strada, e scelse quello di un operaio, Richard Lenoir, salito alla ricchezza col proprio lavoro; volendo cos?? attestare la propria alta estimazione alla nobilt?? del lavoro e, nello stesso tempo, ricordare agli operai che l'impero sapeva adoperare tanto la frusta che il bericuocolo.

Lo stato non si propose di provvedere puramente alla sicurezza, ma anche alla bellezza e alla sanit?? delle citt?? e alla facilitazione delle vie di traffico. Chi ha visitato Rouen nel 1865, quando le nuove nette linee stradali avevano sventrato allora il vecchio reticolo di vie muffite, vorr?? consentire che molte citt?? mancano affatto di aria, di luce, di libero respiro. Ma l'impresa, ben giustificata e condotta sul principio, ingross?? presto oltre tutti i limiti ragionevoli, si contraffece in uno di quei violenti rivolgimenti sociali, che possono accadere soltanto negli stati non liberi. Il colossale ?? una prerogativa dei despoti; le gigantesche demolizioni e riedificazioni del bonapartismo ricordano in verit?? quelle grandiose costruzioni di Oriente, che testimoniano non gi?? della grandezza del popolo che le eresse, ma solo della cupezza della sua schiavit??, della potenza dei suoi despoti. Parigi e Lione, Bordeaux e Marsiglia, tutte le grandi e perfino le medie citt?? dell'impero gareggiarono in cotesta furia edificatoria. Strade e acquedotti, cattedrali e palazzi di borsa sprillarono di sotterra; accanto al potente porto militare di Cherbourg, creazione favorita del primo imperatore, naturalmente menata a termine in grande stile dal nipote, sorgevano in tutte le piazze marittime nuovi moli e darsene. Un decreto imperiale accord?? ai comuni il diritto di espropriazione, e il socialismo autoritario, imperversando nella pi?? sorprendente spregiudicata maniera contro la propriet?? privata, non sorvol??, nelle domande di risarcimento, sulle opinioni politiche dei proprietari cacciati via. Le case pi?? solide vennero cos?? abbandonate al capriccio della fortuna: Ledru-Rollin riguadagn?? con un boulevard imperiale i propri beni per met?? perduti, cento altri piangevano la rovina dei loro averi. A Parigi, dove il prefetto della Senna Haussmann dov?? costringere all'espropriazione s?? stesso, ogni estate apportava nuove meraviglie. Nel 1865 erano gi?? stati spesi in dodici anni 1222 milioni, e nel 1869 altri 1500 milioni per la trasformazione della capitale. Bagattelle come i dodici magnifici boulevards che a guisa di raggiera danno all'Arc de l'??toile, attiravano appena l'attenzione. Il potere illimitato di un uomo nella superba capitale era unico nella storia moderna. Dove si era mai udito, che a un possente comune sia stato dichiarato di ufficio, che i suoi abitanti sono nomadi e che esso non appartiene a s?? medesimo, ma allo stato?

Quanto alla provvisione dei mezzi, un comodo spediente fu porto anzitutto dalla malsana costituzione daziaria delle citt??. Siccome la sorgente d'introiti pi?? importante delle citt?? rampollava dai dazi, seguiva che qui un consiglio comunale s'induceva al dispendio con facilit?? di gran lunga maggiore che non nelle campagne, dove le spese comunali erano strappate a stento dalle imposte sui fondi e sugli affitti. Ma quando anche questo mezzo non bast?? pi??, allora fu applicata anche ai comuni la vecchia spropositata teoria, che sia lecito scaricare sulle spalle del futuro i pesi del presente: teoria, che un tempo fu difesa con tanto sterile acume da Gentz, e che adesso godeva di una riputazione ufficiale nel nuovo impero. Bast?? un decreto imperiale ad autorizzare i comuni ai prestiti. La Cassa dei Depositi accord?? il credito a lunga scadenza e a mite interesse; riconciliatosi col signor Haussmann, si mostr?? anche pi?? compiacente il Cr??dit foncier, che consolid?? il debito fluttuante di Parigi. Quando riusc?? di convertire effettivamente in capitali fissi redditizi i valori investiti, allora anche la speculazione cos?? convulsamente salita pot?? sortire effetti salutari: a Lione in nove anni, dal 1854 al 1863, il debito dai dieci mont?? ai cinquantaquattro milioni; ma col forte aumento della popolazione e del benessere crebbero in pari tempo, per l'ammortizzazione del debito e per le spese straordinarie, su tre milioni e mezzo 620.000 lire di sopravanzo di entrate accertate: che, come si vede, ?? un risultato propizio. Per contro, a Marsiglia in 18 anni, dal 1847 al 1865, il debito crebbe da 17 a 91 milioni e le entrate solamente del cinque e mezzo per cento su 20,9 milioni. Finalmente a Parigi la gravezza del debito si era in otto anni, dal 1859, decuplicato due volte, progredendo da 49 a 984 milioni; e il bilancio preventivo pel 1868 s'impost?? su 245 milioni, vale a dire circa pi?? della met?? di quanto occorre al regno del Belgio pel mantenimento dello stato! Davanti a tali cifre era effettivamente possibile tranquillarsi solo risalendo alla teoria bandita con giustificata baldanza dai giornali bonapartisti: uno stato, un comune ?? tanto pi?? ricco, quanto pi?? pesante ?? il carico dei suoi debiti. N?? dava troppa consolazione il fatto, che il prefetto della Senna aveva speso quelle somme prodigiose non puramente pel fasto orientale del palazzo di citt?? che era altres?? la sua fortezza, ma anche a scopi utili, e aveva elevato da 1,1 milioni, che erano nel 1847, a 6,5 milioni nel 1867 le spese della capitale per l'istruzione popolare.

La speranza dell'imperatore, che la vista delle magnificenze edilizie cittadine avrebbe risvegliato nei provinciali il senso della bellezza, venne meno necessariamente per colpa della precipitazione febbrile delle imprese. Superata la prima impressione di abbagliamento, e in ispecie su alcune nuove piazze a Lione la vista delle superbe fontane tra folti di verzura in mezzo al tumulto del mercato ?? davvero incantevole, l'occhio del forestiero, e particolarmente del settentrionale abituato alle belle casine serene che spiccano cos?? chiare e nitide nell'aria tenera della campagna, avverte subito il nessun gusto e la gramezza della nuova edilizia. Brulle caserme, incartocciate qua e l?? di qualche ghirigoro rococ?? pieno di pretese, ecco tutto; e il tutto ?? una fedele immagine di questa et?? della matematica e della muffosit?? cortigiana, dell'accentramento e dell'uniformazione militare. E soprattutto colpisce sgarbatamente la servile imitazione delle fabbriche parigine; pare quasi che le provincie abbiano smarrito ogni idea propria e indipendente. Ognuno conosce il Pont Neuf con la statua di Enrico IV nell'Isola della Senna; ognuno la torre antica di Saint-Jacques de la Boucherie, che come una pietra terminale della vecchia Parigi, allietata da un viale verde, guarda gi?? la distesa delle magnifiche strade in linea retta: che ?? uno dei pi?? gradevoli effetti della magia architettonica moderna. Sul ponte di Rouen, allo stesso posto, incontriamo la statua di Corneille; e il consiglio comunale della citt?? normanna non ebbe pace, finch?? non mise su un mozzicone di torre gotica che, circondata di verde proprio per l'appunto come Saint-Jacques, doveva segnare il confine tra la vecchia e la nuova Rouen, e via dicendo. Non ?? meraviglia, dunque, se questa eterna uniformit?? stanca le persone colte; e se si levarono alti e aspri lamenti contro il disamorato spirito d'innovazione, che distruggeva i pi?? venerandi monumenti delle antiche citt??, e che non sapeva recedere in rispetto nemmeno davanti alla pace del cimitero di Montmartre, davanti ai gloriosi viali alberati del giardino del Lussemburgo.

Le considerazioni dei locandieri del popolo pesavano pi?? dei malumori degli amici dell'arte e degli storici. Lo scopo essenziale di tali massicci fabbricati era di dare occupazione agli operai e generosi guadagni. Col fatto, centinaia di migliaia di lavoratori affluivano nelle citt??. Manifestamente la loro condizione era lieta, perch?? il salario era elevato, i dazi, gravi pei lavoratori, erano compensati dal basso prezzo del pane, e le abitazioni non eccedenti la pigione di 250 lire erano franche di tassa locativa. Ma ?? destino del socialismo monarchico il potere iniziare e rinfocolare nuovi moti nella societ??, ma non il poterli mantenere durevolmente. Questa morbosa furia fabbricatoria doveva pure arrivare a fine una volta. L'idea grossolana, propria del nostro tempo manovale, e gi?? troppo a lungo diffusa e familiare, che lo stato deva promovere l'arte per dar pane agli artisti, operava sul secondo impero con tutto il peso di un problema sociale. Un esercito d'intraprenditori e di coadiutori esigeva un'occupazione fissa dallo stato, che li aveva attratti lontano dal paese e dall'ufficio loro; poich?? proprio lo stato aveva, tra con l'ingiunzione o col favore, adescato le citt?? alle trasformazioni edilizie. In tal modo i lavori pubblici dell'impero diventarono a poco a poco officine nazionali nel senso proprio della rivoluzione di febbraio: si fabbricava per fabbricare, e nessuno sapeva dove andava a riuscire cotesta vite perpetua. Il lavoratore venuto dalla campagna non era affatto pi?? contento nelle grandi citt??: si sentiva sommerso e ubbriacato dal lusso abbagliante, appetto al quale il salario, per quanto rispettabile, gli pareva una misera carit??.

Tale essendo la smoderata situazione di favore degli operai delle citt??, lo spopolamento delle campagne venne aumentando in modo estremamente grave. Una volta l'imperatore disse agl'industriali di ritorno dall'esposizione di Londra, che essi avevano ben meritato della Francia, perch?? ogni splendido prodotto economico di un popolo d?? a divedere l'altezza di tutta intera la sua civilt??. Cotesto vanaglorioso tous les progr??s marchent de front non era altro che una delle tante illusioni della politica del materialismo. Per l'appunto nella storia del secondo impero lo storico serio trova ancora una volta confermata la triviale verit??, che l'uomo non vive di solo pane. Cos?? ??: approfondendo questo proverbio, egli riconoscer??, che le societ?? umane, le quali aspirano e tendono solamente ai beni materiali, finiscono col perdere insieme con lo zelo morale anche la forza del progresso economico. L'imperatore sperava, che i contadini reduci dalle citt?? avrebbero diffuso nelle campagne l'abitudine di una nutrizione pi?? solida, carnea; ma nessuno vi ritornava. Anche per l'addietro le laboriose contrade della Creuse, della Marche, del Limousin mandavano lontano i giovani a prestare la loro opera di muratori: ora principiarono a spopolarsi, perch?? gli operai non intendevano pi?? di dar le spalle ai piaceri delle grandi citt??. Tra gli anni 1851 e 1856 la popolazione diminu?? in 20 dipartimenti, anzi in quello dell'alta Sa??ne circa di un intero decimo: la popolazione di tutto l'impero crebbe non pi?? che di 256.000 anime, e quella della capitale di circa 305.000. In verit?? gli anni seguenti mostrano un aumento alquanto pi?? vivo, ma le stesse statistiche ufficiose doverono designare coteste condizioni morbose con l'accettevole perifrasi: ??la popolazione rimane stazionaria??.

Nei primi 60 anni del secolo la popolazione dell'impero era cresciuta a un dipresso del 0,57 per cento all'anno: le occorrevano quindi, per raddoppiarsi, 150 anni: alla Germania, secondo i dati raccolti finora, circa 55 anni. A quei sacerdoti di Mammona, che in un fitto stuolo di fanciulli vedono non pi?? che pure bocche inutili, diamo il modo di ponderare quale spostamento di energie abbia arrecato la scarsa fecondit?? della popolazione francese. Nel 1816 vivevano in Francia su ogni miglio quadrato 500 uomini pi?? che in Germania, esclusa l'Austria; viceversa nel 1861 il miglio quadrato in Germania era divenuto pi?? denso di 300 uomini, e al principio della guerra germanica la Francia era gi?? superata in popolazione assoluta dalla Prussia e dagli stati settentrionali e meridionali della Confederazione! Certo, nessuno esperto in materia si sorprende, che nella nuova et?? napoleonica le cittaduzze al disotto dei 3000 abitanti siano discese in media tra il 12 e il 14 per cento; giacch?? l'et?? delle ferrovie, il cui traffico ?? per sua natura accentrante, ha prodotto gli stessi fenomeni in tutta Europa. Ma il persistente decremento della popolazione agricola, mentre Parigi e Lilla, Saint-Etienne e altri centri manifatturieri crescevano di continuo, era innegabilmente un sintomo di malsania sociale. Noi per?? non lamentiamo, come molti patrioti francesi, che la stirpe gallica non mostri pi?? la medesima fecondit??, che nel secolo decimosettimo o tuttora oggigiorno al Canad??: l'accrescimento pi?? lento della popolazione, del pari che il difficoltarsi dei matrimoni, si accompagna di regola lato a lato con la grande elevazione della cultura. Solo che, se riflettiamo che la Francia, grazie alla sua libert?? di convivenza e non ostante il celibato obbligatorio dei suoi soldati e dei suoi 45.000 ecclesiastici secolari, conta meno celibi che non forse qualunque altro paese d'Europa, il ristagno della popolazione ci appare in una luce assai torbida. La persistente diminuzione dei figli, dei quali nascevano in media da un matrimonio 4,1 sotto il primo imperatore e ne nascono 3,14 sotto il secondo, non si spiega minimamente, considerata in grande, con la cautela della prudenza. Dipende o dalla devastazione morale del vizio o dalla debolezza corporea; ed effettivamente il celibato dell'esercito e la rinnovata distruzione di 200.000 uomini vigorosi inghiottiti dalle guerre del secondo impero, hanno sostanzialmente agevolato il matrimonio agli storpi e agli scriati. Anche il divieto della ricerca della paternit??, indetto dal crudo spirito lanzichenecco del primo Napoleone, ha certamente attenuato il numero delle nascite illegittime, e ha perci?? riscosso sovente il plauso della scuola di Manchester; ma oggi uomini pi?? seri si pongono la domanda, se quella legge draconiana non ha esacerbato i traviamenti che riescono incomparabilmente pi?? perniciosi alla sanit?? del corpo e alla morale.

La nazione francese non era pi?? in grado di atteggiarsi a prima potenza incontestata del continente; bene o male doveva conformarsi alle condizioni di un equilibrio europeo seriamente inteso. Se il fatto dell'incivilimento pacifico del mondo pu??, protratto in lungo, tornare solamente in bene, tanto pi?? un'altra conseguenza dell'arresto della popolazione in Francia move a tristezza ogni pensatore. La storia europea esordisce con l'aristocrazia popolare dei cittadini ellenici, e allora toccher?? il culmine, quando l'aristocrazia popolare della razza bianca dominer?? le terre di l?? dagli oceani. Nella grandiosa lotta mondiale, che sorge per tali questioni pregne di destini, la sorte pi?? propizia ?? toccata alla stirpe anglosassone. Anche il tedesco deve guardare con balda fiducia a questo grande avvenire. Perci?? si ?? gi?? da tempo avuto cura, che la solerzia tedesca e l'operosit?? tedesca abbiano degni rappresentanti nel Mississip?? e nel Yang-tse-Kiang, nel Cile come nel Giappone; e fin dal giorno di K??niggr??tz noi possiamo anche sperare, che nei paesi transatlantici la nazionalit?? e la lingua della Germania dureranno. Invece il francese avr?? in questa gara una parte molto subordinata. La Francia non conosce emigrazione. Significano poco i 200.000 abitanti che abbandonano il paese nello spazio di dieci anni; significano quasi nulla, se poniamo mente, che le buone intelligenze delle classi medie fanno ressa quasi tutte per gl'impieghi, e che la Francia non manda negli uffici degli scali transatlantici le energie della sana giovent??, come la Germania o l'Inghilterra, ma gente per la pi?? parte bacata o corrotta. Chi sa apprezzare pienamente la multiforme ricchezza della civilt?? europea, lamenta con dolore, che questo inaridimento di forze del popolo francese minacci di aprire una lacuna irreparabile nella cultura del mondo. Ma il dado ?? gettato, e se tutti i segni non ingannano, la Francia dovr?? rimanere una potenza europea in quel prodigioso avvenire, in cui sar?? fatta la storia universale, in cui tedeschi e russi, inglesi e nordamericani troveranno nuove vie al commercio mondiale e nuove forme all'ascensione umana.

Il vezzo dei lavoratori delle citt??, che minacciava cos?? gravemente l'equilibrio delle forze economiche, aveva almeno procurato all'impero il fedele attaccamento dei figliuoli prediletti? La sollevazione della Comune di Parigi d?? una risposta schiacciante. I vantaggi, che l'impero accord?? agli operai, non sono minimamente da paragonarsi con l'affrancamento da un'oppressione indicibile, concesso un tempo dai Cesari di Roma agli abitanti delle provincie. L'operaio teneva in faccia al bonapartismo un atteggiamento meno ostile che in faccia ai borghesi e ai legittimisti; il suo antico odio contro i transporteurs del sistema parlamentare non era ancora dissipato interamente. Lo stesso intento, cos?? esaltato dai radicali, del dominio diretto del popolo, trovava pochi partigiani: in generale in questo mondo di business non vi era pi?? posto per le teorie e gl'ideali. Una parte degli operai cap?? effettivamente ci?? che i bonapartisti inculcavano loro senza tregua, che, cio??, ??solo un governo forte e saldo pu?? recar loro i miglioramenti, che gli arruffapopoli promettono a vuoto??. Ma era vano cercare un vestigio di gratitudine sincera verso l'imperial benefattore. Se i potenti dell'impero piaggiavano le mani callose, se il poeta bonapartista M??ry cantava agli operai della Tipografia centrale delle Ferrovie:

sachez bien que le jour viendra o?? de vos mains jaillira la lumi??re;

il quarto stato ne tirava la teoria, che esso governava l'impero e che la corte lo temeva. In verit??, era assai breve la via che correva tra queste lusingherie e l'atroce canzone, che dopo la rivoluzione di febbraio sgargagliavano per tutti i canti della capitale:

un jour viendra que le riche ??clair?? donn'ra sa fille au for??at lib??r??!

Pochi mesi dopo che Jules Favre aveva pomposamente assicurato, che non esisteva plebe a Parigi, le petroliere della Comune apparecchiavano l'orrenda festa dei morti! Gli atti del Congresso del Lavoro di Ginevra del 1866 porsero un quadro istruttivo del cambiamento di animo di queste classi. Non un discorso sulle fantasticherie comunistiche dei tempi andati. Si disput?? commercialmente, con talento pratico e con minacciosa seriet??: gli operai intendevano di diventare capitalisti, consideravano la povert?? e il salario come un'infamia e desideravano quanto meno la riduzione della giornata a otto ore, laddove al tempo della rivoluzione di febbraio le moltitudini si tenevano a dieci ore. Pi?? tardi, al Congresso del Lavoro di Bruxelles, si domand?? il pareggiamento della cultura, di ??galiser les intelligences, se il mondo voleva effettivamente ottenere la vera eguaglianza. Quando il demi-monde ritornava dalle corse di Vincennes all'elegante quartiere di Notre Dame de Lorette, ed era uno splendido rimescolio di cabs, di broughams, di chaises, di snelli cavalli inglesi e di gravi percherons, di lacch?? rossi e di postiglioni verdi, la folla domenicale che si allineava sui vasti boulevards gettava occhiate in cagnesco e insulti sulla sfilata, e accadeva sovente, che uomini in camiciotto rompessero le file per strappare dalla sua carrozza una bella dama ingioiellata. Chi ha assistito a una tale scena dev'essere ben fanciullone per credere, che la coscienza del popolo si elevi al cospetto del vizio scialante. Era l'antico immortale livore contro la ricchezza, e nemmeno il fasto della corte sfuggiva a una siffatta invidia. ??Io voglio lavorare con le vostre mani e voi dovete digerire col mio stomaco??; cos?? dice, secondo il Propos de Labi??nus, il patto fondamentale conchiuso da Napoleone III col suo popolo; e mille e mille seguivano l'opinione di Rogeard. L'atteggiamento politico di cotesta turba ignorante e insolente, che nemmeno l'emigrazione dei senza mestiere determinato sarebbe riuscita ad espurgare, non si poteva assolutamente calcolare. Anche la battaglia di giugno del 1848 aveva abbattuto solo pel momento la furia di saccheggio dei comunisti. L'iscrizione a una societ?? segreta era, come per l'innanzi, il congruente dovere di onore di ogni operaio che sapeva leggere e scrivere; la lega dell'Internazionale, i cui inizi rimontano probabilmente ai giorni della rivoluzione di febbraio, coscriveva segretamente numerosi affiliati. Il nuovo diritto di sciopero fu abusato fino ai pi?? rozzi e insensati scioperamenti. Una volta, prima delle elezioni comunali a Marsiglia, i giornali ufficiosi minacciarono, che se le elezioni fossero riuscite contrarie al governo, si sarebbero sospese le costruzioni pubbliche della citt??, che occupavano circa 50.000 operai: ma fu una minaccia che poi naturalmente non si ebbe il coraggio di effettuare. Ci?? non ostante, gli operai votarono per l'opposizione, e non gi?? perch?? amassero i retori del partito in parlamento, ma perch?? il governo, per quanto avesse fatto per loro, non aveva mai fatto abbastanza. A farla breve, nemmeno alle arti magiche del socialismo monarchico era riuscito di riconciliare il lavoro col capitale.

A tutta prima, la preferenza data ai lavoratori delle citt?? sulle popolazioni delle campagne sembra enimmatica, perch?? l'imperatore ai ceti agricoli doveva il trono. Sovente egli si qualificava, con orgoglio imperatore contadino; e assicurava spesso che, pi?? giusto della monarchia di luglio, intendeva di compiere l'elevazione dell'agricoltura prima della riforma della politica commerciale. Dichiar?? il miglioramento dell'agricoltura pi?? importante della trasformazione edilizia delle citt??, ed esig?? dai prefetti, che alla coltura delle terre ??rifacessero il debito posto tra i grandi interessi del paese??; per cui i ministri, poich?? notoriamente ogni ordine imperiale veniva eseguito, affidarono che gl'illuminati intendimenti di Sua Maest?? erano da tempo effettuati, e che l'agronomia non era mai stata tanto popolare e stimata come al presente. Il duca di Persigny curava con zelo particolare coteste inclinazioni bucoliche dell'imperatore; faceva la sua regolare apparizione in tutte le festivit?? agricole del suo paese, nel contado di Forez; per esaltare di contro all'irrequietudine e all'odio di classe delle citt?? l'innocenza, la fedelt??, la temperanza dei contadini. Anche i prefetti impararono presto a melodiare sui trilli di questo Teocrito bonapartista. Ad onta di ci??, perch?? mai l'agricoltura rimase la figliastra dell'impero? Dai tempi dei bagaudi galloromani l'agricoltore francese effettivamente non era mai stato fortunato: ma perch?? questa antica triste legge della storia francese non si mut?? sotto l'imperatore contadino? I contadini costituivano il sostegno pi?? sicuro dell'impero; il loro sentimento bonapartistico era talmente appassionato, che in caso di bisogno sarebbe stato agevole rievocare appunto nelle contrade pi?? rozze, dell'impero una jacquerie per l'imperatore. Ma precisamente per questo tornava meglio trascurare i contadini anzich?? gli operai, di cui era immediato il pericolo che minacciavano. Inoltre la modestia e la lentezza dei lavori agricoli offriva poco spazio a quei magnifici spettacoli di parata, di cui la tirannide aveva bisogno. L'agricoltura ?? la pi?? libera delle professioni e non pu?? fiorire durevolmente senza una certa indipendenza dei comuni campagnuoli; ragione per cui subisce l'opposizione istintiva della burocrazia. Inoltre gl'impiegati, del tutto educati e conformati cittadinamente, si ritrovano nuovi, in completa incompetenza, davanti alla coltura della terra. Da tempo immemorabile non esisteva un prefetto, che fosse egli stesso un attivo agronomo: quel vincolo tra gli uffici amministrativi e le grandi propriet?? fondiarie che in modo cos?? prezioso ?? stabilito nei consigli provinciali prussiani, non era concepibile nelle condizioni sociali della Francia. Fin dalla rivoluzione di luglio la grande propriet?? fondiaria era sospettata di sentimenti legittimisti: la monarchia borghese dimostr?? al Congresso centrale degli Agricoltori, presieduto dall'antico ministro borbonico Decazes, un malvolere dichiarato, che da allora si perpetu?? nella burocrazia. Siccome, per giunta, a ogni grande possedimento fondiario ?? collegato un casato aristocratico, e siccome i progressi tecnici notevoli dell'agricoltura non possono di regola venire che da questi aristocratici campagnuoli, anche la stampa nel suo zelo di eguaglianza porse un gramo appoggio agli sforzi per le riforme dell'agricoltura.

Talch?? in tale campo i saggi felicitatori dell'imperatore ebbero esito scarso, sebbene Napoleone III abbia indiscutibilmente procacciato, per l'agricoltura mille volte pi?? della monarchia di luglio. Furono fondate una folla di societ?? agricole, e fatte innumerevoli esposizioni, in cui il prefetto appuntava al solerte agricoltore il distintivo d'onore dal nastro azzurro, e anche, nei momenti solenni di virile commozione, imprimeva un casto bacio sulle labbra di una esemplare vergine vaccaia. Grandiosi istituti di credito dovevano riparare alla scarsezza di capitale dei contadini, e fin dal 1859 esisteva, messa su riccamente, una societ?? di assicurazione per la gente di campagna. Nelle scuole elementari fu resa di rigore la diffusione delle cognizioni agricole, e nel 1866 fu disposta con gran fragore un'inchiesta di stato su tutte le escogitabili condizioni dell'agricoltura. Lo stato ha con dispendi enormi dissodato le landes deserte del Mezzogiorno occidentale e le ha ripartite a piccoli proprietari, in modo che oggigiorno la Guascogna comprende tuttora soltanto 9.500 ettari di terre incolte contro 283.000 che erano nel 1857. Nelle regioni pi?? abbandonate della Sologna e del Berry l'imperatore fond?? anche poderi modello, i cui successi tecnici, strappati a forza di spese fuori di ogni convenienza, non offrivano certo alcun modello al povero contadino. Tuttavia il maggior merito, che l'imperatore si fece rispetto all'agricoltura, era fondato nella sua politica commerciale. Quando Napoleone III tra l'esosa resistenza dei proprietari di terre ridusse prima il dazio sulle telerie e il bestiame e poi soppresse i dazi protettori agricoli e abol?? interamente la scala mobile, egli men?? a termine una riforma salutare, che sar?? riconosciuta un giorno da una generazione imparziale.

Purtroppo, i propositi illuminati del monarca erano per?? attraversati di continuo dalla saccenteria burocratica. Le societ?? agricole erano sottoposte alla sorveglianza dei prefetti, e perci?? non prosperavano. La loro unificazione a un centro era tenuta pericolosa; perfino negli ultimi tempi pi?? liberali dell'impero fu proibito un congresso di vinicoltori. I commercianti eleggevano bens?? le camere di commercio, ma il prefetto nominava il conseil, che nelle questioni agricole gli dava i pareri tecnici. In tal modo accadeva, che nei consigli non prendeva parte nemmeno uno solo dei grandi proprietari di terre. Il prefetto aveva la presidenza e nominava il segretario. L'onnisapienza burocratica non si teneva non di rado dal vietare la raccolta, se il grano secondo l'opinione del prefetto non era ancora maturo, e vietava la sarchiatura della paglia, perch?? la tirannide socialistica doveva aver cura degli spigolatori; e quante altre cose meglio sono degne del paese degli Abderiti, il signor di Esterno le ha descritte nella sua unilaterale ma istruttiva monografia Les privil??gi??s de l'ancien r??gime et les privil??gi??s du nouveau. Se il sistema delle strade vicinali, ad onta di tutti i richiami dell'imperatore, non si pot?? sviluppare, e alcune regioni della Francia centrale ricordavano le Gallie romane perch?? magnifiche strade imperiali attraversavano un paese impraticabile, la colpa era ora e sempre dell'amministrazione burocratica. Solo i comuni autonomi costruiscono le vie vicinali; e, parimente, solo i comuni autonomi assicurano i rimedi all'inconveniente, che i ragazzi dei contadini non imparino mai a conoscere le idee elementari della teoria del loro mestiere.

Gl'istituti di credito posti in iscena con tanta pompa, aggranfiati dal furibondo spirito affarista del tempo, non profittarono quasi in niente al mestiere senza pretese del contadino. La societ?? del Cr??dit foncier impieg?? in 13 anni, dal 1852 al 1865, 714 milioni, di cui la met?? nella trasformazione edilizia di Parigi, e per la campagna non pi?? che la somma risibilmente meschina di 57 milioni. Anche le cit??s ouvri??res doverono presto rinunziare all'assistenza di quella societ??, giacch?? i dividendi alti, che lo speculatore agognava, non potevano certo uscire da un'impresa veramente di pubblica utilit??. Altrettanto sterile per l'agricoltura si dimostr?? il cos?? detto Cr??dit agricole. C'?? di pi??: gli esattori delle imposte, agenti ufficiali del Cr??dit foncier, ricevendo il premio per ogni somma che versavano alla societ??, si davano da fare per attirare a Parigi i risparmi dei contadini, invece di far affluire sull'agricoltura il danaro della capitale. Importanti societ?? agricole per assicurazione dalle alluvioni e simili furono costituite invano; il gioco di borsa o l'alto dividendo delle banche di credito di Parigi sembravano pi?? attraenti. E come inciamp?? nella speculazione, il contadino si disaffezion?? dal suo modesto mestiere. In questo modo l'agricoltore ebbe a soffrire sotto il socialismo monarchico per due ragioni: i capitali della campagna affluirono alla metropoli, e in pari tempo sal?? il salario pei lavori campestri, perch?? i lavori edilizi delle citt?? richiamavano i giornalieri.

Il dirizzone burocratico imped?? anche a questo regime del moto perpetuo di metter mano a correggere le antiche leggi difettose che opprimevano l'agricoltore. Il Code rural, al quale dal 1808 lavorarono cinque sistemi, non fu mai ultimato. Il principio salutare della libera divisibilit?? delle terre sortisce effetti palesemente rovinosi, se non viene alleviato l'aggravio delle preselle. Ma l'elevata tassazione delle permute, che i Borboni avevano abolito sull'esempio della Prussia e dell'Inghilterra, reintegrata poi dagli Orl??ans, continu?? tuttora sotto l'impero, in guisa che le contribuzioni degli appezzamenti ampiamente scompartiti avanzavano appena. Le tasse sulla vendita dei fondi e annesse spese legali ammontavano al 10 per cento del valore: nel 1862 furono venduti per 2 miliardi di fondi con un dispendio di 214 milioni tra spese e tasse. Non meno oneroso riusciva con le sue spese e formalit?? afflittive l'ordinamento ipotecario tuttora immutato. Ma ci?? che opprimeva i contadini non erano le imposte dirette, come affermavano gli oratori di opposizione; e nemmeno le tasse irragionevoli sulle porte e le finestre, poich?? gli abituri senza finestre, che tanto ripugnano all'occhio dell'uomo del Nord, non sono affatto incomportabili con le abitudini di vita degli uomini del Sud. Ci?? che pesava duramente sull'agricoltore era la mancanza di credito, aggravata da una legislazione agraria introdotta sotto il dominio delle classi medie urbane e dalla febbre della speculazione dell'impero. Nel 1850 di 7,846 milioni di propriet?? fondiarie 3 milioni erano esentate per insolvibilit??. L'assoggettamento della campagna al capitale cittadino, cotesto antico malanno dell'Italia, cominci?? a propagarsi anche in Francia: assai di frequente il piccolo proprietario rustico nelle regioni molto appezzate del canale veniva incettato affatto dai fabbricanti di Rouen e di Elbeuf. Perfino la sicurezza delle persone e della propriet?? non era abbastanza tutelata in campagna. Tale ineguaglianza era gravemente sentita da un popolo, che aveva rotto con tutti i privilegi.

Questa terra meravigliosamente ricca, i cui immensi rinfranchi non possono apprezzarsi facilmente, super?? senza troppi lamenti, sugli esordi dell'impero, tre cattive raccolte l'una dietro l'altra, il colera, varie guerre e inondazioni. L'agricoltura cav??, come ?? giusto, qualche vantaggio dal nuovo risveglio dell'ardore economico. Menzioniamo soltanto l'allevamento dei cavalli, il cui numero e valore, non ostante le ferrovie, sal?? notevolmente. L'esportazione dei percherons crebbe di anno in anno, e i corridori francesi batterono ripetutamente nelle corse di Baden e di Parigi i cavalli inglesi e tedeschi. Noi inoltre non siamo affatto dell'avviso di molti politici conservatori, che sia necessario all'agricoltura francese il passaggio al sistema inglese dell'affitto. Qui si tratta di costumi e idee tenaci della nazione, che sono pi?? potenti delle dottrine di partito. Ammesso pure che il fittaiuolo inglese raggiunga risultati tecnicamente pi?? splendidi, nulladimeno la Francia nei suoi milioni di liberi contadini possiede un tesoro morale, il cui valore politico aprirebbe facilmente gli occhi agli scettici nell'evento di una guerra europea. Ma i monti d'oro, che l'impero prometteva agli agricoltori, sono tuttora un sogno. Il piccolo agricoltore, ignorante e senza capitale, sa tuttora usare assai poco i concimi, e non sa quasi affatto d'irrigazione e di bonificamento; e tuttora risuona l'antico lamento degli agronomi, che l'agricoltura si volga unicamente ai cereali e trascuri l'allevamento del bestiame e gli erbaggi. Insomma anche sotto l'imperatore contadino l'agricoltura rimase il mestiere pi?? umile, incomparabilmente meno onorato e lucrativo della burocrazia e del foro, dell'industria e della borsa.

Mentre l'agricoltura non sapeva risollevarsi dalla sua malsania inveterata, per contro il commercio e l'industria venivano iniziati alle fortune di un'et?? novella da un atto dell'imperatore, che, gi?? mezzo dimenticato dagl'ingrati contemporanei, basta da solo ad assicurare al nome di Napoleone III una fama imperitura. Per assicurare la libert?? del commercio, l'imperatore dov?? romperla con alcuni dommi della religione napoleonica, con le abitudini burocratiche e coi pregiudizi nazionali; anzi, di pi??, addirittura con la tradizione storica del suo stato. Un tempo egli aveva rispettato fidamente le idee protezioniste dello zio; poi era stato testimone oculare dell'ardita conversione di Roberto Peel, e pi?? tardi apprese da Cavour, da Michele Chevalier e dai conservatori progressisti della monarchia di luglio, Morny e Girardin, quanto le loro aspirazioni liberoscambiste avessero esacerbato la borghesia. Ma lo stesso Girardin si aspettava solo per un lontano avvenire l'abiura, da parte del governo, dell'antichissima consuetudine del sistema proibitivo. Frattanto l'imperatore aveva capito le mutate condizioni del commercio mondiale; e che egli abbia osato gettarsi nell'alta marea della moderna vita commerciale, che sia stato capace di comprendere la nuova et?? sullo sboccio, che abbia opposto una volta all'egoismo delle classi un atto monarchico di giustizia distributiva, ecco, in ci?? appunto consiste la pi?? bella gloria del suo governo. Egli previde, che la riforma delle insostenibili tariffe della Francia e dell'Inghilterra s'imponeva, e che questa riforma, senza un'intesa reciproca, minacciava di sconvolgere gl'interessi industriali dei due paesi. Ed egli profitt?? del momento favorevole, quando la riputazione dell'impero dopo le vittorie in Italia toccava il culmine, per cercare, con l'opera di specialisti dei due stati, principalmente di Cobden e di Chevalier, un accomodamento delle reciproche pretese, per altro estremamente difficile, tanto era grande la differenza delle due tariffe. Finalmente il 23 gennaio 1860 il trattato di commercio fu concluso. Subito dopo la statua di Richard Cobden fu rizzata a buon diritto nel castello di Versailles in mezzo ai grandi della Francia. Quando la somma di tutto il commercio di esportazione e d'importazione, che nel 1850 ascendeva a non pi?? che 2500 milioni, ammont?? nel 1865 a 7614 milioni; quando l'esportazione, singolarmente degli articles de Paris e degli oggetti anche pi?? fini in cui s'invaloriscono il senso squisito della bellezza e il gusto dei francesi, crebbe affatto smisuratamente; allora siffatti numeri doverono ben provare a ogni persona imparziale i benefizi del libero traffico, ad onta della riconosciuta abilit?? della statistica imperiale, che dimostrava continuamente ci?? che voleva dimostrare.

Considerazioni politiche ed economiche costrinsero, l'imperatore a spingere la libert?? del commercio sulla via dei dazi differenziali e dei trattati commerciali. Si trattava di cattivare il consenso del corpo legislativo, del quale, dato il cambiamento legale generale delle tariffe, era impossibile far di meno. Si trattava inoltre d'indurre, col timore di perdere il mercato francese, gli stati vicini sul cammino del libero traffico e, nello stesso tempo, assicurare qualche compenso all'industria francese. E soprattutto l'eletto del popolo aveva a cuore di apparire al mondo come l'apportatore di pace e il precursore di un progresso europeo. Volle sentirsi in diritto di dire alla camera di commercio di Lione: ??la Francia in Europa d?? l'impulso a tutte le idee grandi e magnanime??; e conciliare in tal modo molti interessi di classe danneggiati, appagando la vanit?? nazionale. Si susseguirono rapidamente l'uno all'altro i trattati di commercio col Belgio, con l'Italia, con la Germania. La diplomazia, conformandosi al sogno d'oro dell'apostolo della pace, parve immergersi completamente nella politica commerciale; e nacque allora quella nuova forma umanissima dei trattati di commercio, la quale non mira pi?? ad assicurare prerogative alle parti contraenti, ma vuole soltanto impedire, che rimanga adito al privilegio dei terzi. Merc?? questa catena di trattati commerciali, merc?? il trattato di passaporto con l'Inghilterra e via dicendo, fu fondato il mercato libero dell'Europa occidentale, e fu effettuato in senso equo e ragionevole quel sistema federativo europeo, a cui invano si era sforzato di pervenire lo zio con astuta cupidigia di dominio. L'imperatore pot?? annunziare con soddisfazione: ???? compiuta finalmente la terribile invasione da tanto tempo predetta sul suolo inglese??, e invitare la sua nazione a ??inaugurare baldamente una nuova ??ra di pace??.

Cotesta ascensione dei popoli promossa dal dispotismo non ispira certo un appagamento cos?? sereno, quale fu dato un tempo da quel rinfrancante spettacolo di rischiaramento degli spiriti nella libera disputa, che precede in Inghilterra l'abolizione delle leggi sul grano. I liberoscambisti di Francia un tempo lamentavano, che fosse loro rifiutata la diffusione delle proprie idee con la libert?? di parola; ma accettarono ora con allegrezza il coup d'autorit??, anzi lo accettarono con orgoglio. Il che ?? certamente un triste argomento per l'inefficacia dell'educazione politica. Bisogna pur dire la cruda parola: senza l'imposizione imperiale, la Francia ancora per decenni sarebbe rimasta priva del benefizio del libero scambio. La spaventosa insipienza e l'egoismo della maggior parte dei membri del corpo legislativo, inviluppati in mille affari d'industria e di accanita speculazione, non lasciavano dubbio, che una riforma parlamentare della politica commerciale fosse impossibile. La volont?? del monarca in questo caso speciale aveva non soltanto migliorato la legge, ma anche sollecitato l'educazione della nazione alla libert??, almeno per quanto la libert?? era compatibile in questo paese. Il momento politico favorevole della riforma fu, sotto l'aspetto economico, scelto assai infelicemente. Il paese soffriva della cattiva raccolta del 1861, il commercio del cotone della guerra americana; e alcuni rami dell'industria effettivamente non erano ancora abbastanza maturi per reggere alla concorrenza inglese. Nulladimeno la disposizione liberoscambista del Mezzogiorno e dell'Occidente prese a poco a poco il sopravvento sulle perplessit?? protezioniste del Settentrione. Se in Francia si sono consumate nel passato decennio non pi?? che 10 libbre di caff?? e 3 libbre di zucchero a testa, e nell'Unione doganale, incomparabilmente meno favorita dalla natura, 10, 50 libbre di caff?? e 4 di zucchero, bisogna sempre a ogni modo tener conto delle differenti abitudini di consumo dei settentrionali e dei meridionali; tuttavia anche da queste e consimili cifre risulta chiaro, che l'economia del privilegiato paese non dava ancora ci?? che poteva. Principalmente nella stampa si fece sempre pi?? viva la persuasione, che solo l'affrancamento delle forze economiche avrebbe potuto mettere interamente in valore la potenzialit?? del paese: se la pace durava, pareva impossibile una ricaduta nel sistema proibitivo inteso secondo i dettami della scuola pratica degli ultimi anni. La libert?? del commercio d?? all'uomo moderno la piena coscienza della sua energia personale. E assai di rado la prima ampia breccia nel sistema della tutela burocratica ?? stata aperta da un atto dispotico del governo burocratico.

Il detto di Napoleone III: ??un popolo ?? tanto pi?? ricco e felice quanta pi?? ricchezza e felicit?? contribuisce ad arrecare agli altri??, era a poco a poco divenuto in Francia un luogo comune. Era a sperare, che cotesta verit?? fondamentale umana della moderna arte di governo sarebbe appresa anche nei rapporti delle classi e sarebbe applicata nella politica estera. Ma in questo, come in tutti gli altri campi della vita pubblica, la guerra germanica e la terza repubblica hanno apportato una rude reazione: la follia della politica commerciale del grande cittadino Thiers doveva di nuovo dimostrare al mondo, che la m??diocrit?? m??connue di Luigi Napoleone ad onta di tutti i suoi falli era stata pi?? prudente e pi?? liberale che non sarebbe mai un uomo di stato dell'ultima generazione francese.

Il famoso aforismo: ??la Francia ?? abbastanza ricca per pagare la sua gloria??, non manca di fondamento: la prodigiosa potenza del lavoro e del risparmio nell'economia moderna supera ogni previsione. La terraferma non aveva mai visto forse una produzione economica cos?? gigantesca, come nei due massimi momenti della speculazione sotto l'impero, cio?? dopo il colpo di stato e dopo la guerra di Crimea. Era il tempo che Girardin disse: il n'y ?? plus rien ?? faire aujourd'hui que de se faire millionaire. Perfino cotesto instancabile regime imperiale non pot?? tener dietro ai colossali progressi del traffico. La riforma delle poste e l'estensione delle linee telegrafiche, che destarono tanta meraviglia dopo il colpo di stato, a breve andare non bastarono pi??: presto la posta francese rimase alla coda rispetto ai paesi vicini. All'antica rete ferroviaria delle sei grandi compagnie se ne aggiunse una seconda e pi?? recentemente anche una terza: talch??, mentre nel 1857 si avevano 1330 chilometri di ferrovie, nove anni dopo si era a 21.050 chilometri in esercizio o in costruzione, e ogni giorno sorgevano nuovi progetti. Le opere dell'impero nel campo della politica economica posero affatto in ombra i provvedimenti dei Borboni e degli Orl??ans; solo che risentivano morbosamente dei due difetti, che rimontano ai mali politici fondamentali del sistema. L'esagerato accentramento gravava anche sul traffico: il monopolio della banca era sempre in vigore, ed effettivamente la Banca di Francia non era in realt?? che la banca di Parigi, e il suo credito andava in preponderanza tutto a favore della capitale. E lo spirito di speculazione vertiginosa e vanagloriosa, che era nell'essenza della tirannide democratica, raggiunse appunto nella vita industriale un'altezza spaventevole: una pioggia d'oro doveva consolare la borghesia defraudata dei suoi beni ideali. Certo, il gioco di borsa ?? inveterato sul suolo di Parigi, era gi?? in vigore in tempi di economia tuttora bambina, nei giorni di Law, quando evidentemente tornava pi?? rovinoso di ora, che una parte degli speculatori di borsa esercitano come una seria incombenza l'ufficio di pionieri. Ma i 9998 milioni di prestiti esteri che furono negoziati alla borsa di Parigi nei dieci anni dopo il 1855, e nel solo anno 1863 1205 milioni, indicano in verit?? uno stato di febbre; e tanto pi??, perch?? i prestiti pi?? vertiginosi degli stati pi?? discreditati, quali l'Austria e il Messico, l'Italia e la Spagna, la Russia e la Turchia, godevano del particolare favore dei pezzi grossi della borsa di Parigi. Quando gl'ipocondrici eruditi hanno ravvicinato gli epuloni del secondo impero a Roma antica, l'obiezione da fare era semplice: la ricchezza moderna ?? ammassata col lavoro, quella dei Romani era un ammassamento di rapine. Tuttavia innanzi alle ditte Mir??s e Solar, Pereire e Co., e tante altre scandalose fortune nate di fresco, anche quest'ultima consolazione sembra di dubbia efficacia.

Il governo stesso risentiva penosamente di cotesta strapotenza artificialmente abbottata della borsa, e si vide costretto nei suoi disegni politici a trarre un partito supremamente indecoroso dal ribasso; e raccolse cos?? non altro che i frutti del suo operato. Il potere statale del bonapartismo si cred?? in dovere di additare la via anche al capitale della nazione. Indusse i possidenti a collocare miliardi in Italia, nel Messico, in Austria; e a tutti ?? noto quanto favore partigiano accord?? lo stato ai nuovi istituti di credito, e con quanta spudoratezza la Societ?? del Credito mobiliare ebbe agio di sfruttare i pi?? importanti interessi commerciali del paese alla locupletazione della ditta. L'idea di una societ?? di credito che deve servire soltanto allo scopo di trovare nuovi collocamenti al capitale e di provocare nuove imprese per azioni, risponde chiaramente al carattere di uno stato burocratico dove ognuno ?? abituato a seguire la spinta venuta dall'alto; ragion per cui non ha mai trovato il buon terreno di attecchimento nei paesi dell'attivit?? industriale indipendente, in Inghilterra e nell'America del Nord. La societ?? condusse alcuni anni di abbagliante splendore, che sedussero alla lode anticipata anche l'economista londinese; in seguito, in quel tempo di sfiducia che fin dal 1864 grav?? sul traffico, risult?? palese, che l'unione in una sola mano di una cos?? ponderosa e multiforme congerie d'imprese superava oltre ogni misura la potenza intellettuale di un uomo. La splendida intrapresa volse al tramonto: anche in questo caso il sistema seppe svegliare energie, ma non seppe menarle avanti e conservarle. Riflettendo su tali esperienze, noi intendiamo bene il perch?? uno dei nostri principali commercianti tedeschi, un autentico rappresentante della vecchia borghesia, soleva dire mestamente: ??tempi come quelli di Luigi Filippo, noi non li rivedremo pi??!??. L'estensione degli affari era smisuratamente aumentata fin dai giorni della monarchia borghese; ma l'arrabattarsi febbrile dello stato socialistico, la grossolana foia di godimento del tempo facevano apparire anche l'attivit?? economica come un'avventura, come un giocar d'audacia. Inoltre la formazione del capitale sempre dal nuovo fu turbata dal fasto della corte e dalle guerre, dall'inaudita spensieratezza dell'amministrazione finanziaria.

Se promesse vi sono, non mantenute in seguito, sono indubbiamente quelle fatte dal pretendente di economie napoleoniche, che ritornano sempre negli scritti di Luigi Bonaparte in mezzo a vivaci attacchi contro gli sperperi del parlamentarismo. Ma il nipote non poteva, come lo zio, alleggerire il proprio stato merc?? i tributi dei paesi soggiogati, n?? possedeva il talento finanziario, il senso militare dell'ordine che aveva l'antenato. Il motto d'ordine in voga tra i malcontenti, ??libert?? o bancarotta??, era certo una frase, e altrettanto vuota e frivola come l'altra ??libert?? o guerra??. Le finanze dell'impero anche nella primavera del 1870 non versavano affatto in condizioni tanto disperate, come il bilancio dell'antico regime prima della Rivoluzione; e nemmeno possiamo concedere, che ai tempi parlamentari il mantenimento dello stato si sia segnalato in fatto di ordine e di economia. Soltanto la Restaurazione ha amministrato esemplarmente le finanze, e ci?? per opera di burocratici come Vill??le e Louis, i quali del resto non aderivano minimamente alla dottrina costituzionale. Durante la fioritura del parlamentarismo l'indebitamento dello stato crebbe invece irrefrenabilmente, sebbene la monarchia di luglio ben poco avesse fatto pel benessere dei molti e per la potenza del regno. Anche la situazione malsincera e malsicura del bilancio ?? una eredit?? del tempo parlamentare. Fin dal 1848 Lasteyrie mosse l'accusa ben giustificata: ??l'impalcatura del nostro bilancio ?? rinzeppata d'inganni e finzioni??. L'ultimo prestito del regno di luglio, nel 1847, fu conchiuso al corso di 75 lire e 15 centesimi; ma le rendite furono subito iscritte nel Gran libro, mentre il capitale fu versato a poco a poco appena in due anni; donde sort?? un corso solamente di poco pi?? favorevole di quello, a cui pot?? arrivare nel 1868 l'impero, dopo provvedimenti incomparabilmente pi?? grandi e onerosi a favore del pubblico bene. La nota lettera del duca di Joinville scritta poco prima del febbraio porge spiegazioni indubbie sulle angustie dell'economia pubblica del regime borghese.

La tirannide socialista volle fare grandi cose, e perci?? non le fu lecito di spaventarsi davanti alle spese elevate e ai debiti sopra debiti: pi?? volte ha sospeso subito o limitato l'ammortizzazione del debito; ma a ogni modo anche sotto il regno di luglio si poteva elevare il sensato dubbio: a che cotesto ammortizzamento in piena perdita, se in pari tempo sono contratti nuovi debiti pi?? grandi? L'impero si propose di compensare le spese in necessario aumento con un progresso anche pi?? vivo dell'economia. Un tale sistema non si condanna con l'allegazione di alcuni grandi numeri. Noi piuttosto domanderemo: il benessere del popolo ?? davvero cresciuto pi?? prontamente che non il carico dello stato? e le enormi spese pubbliche sono state effettivamente produttive? Alla prima domanda bisogna assentire, alla seconda non si pu?? rispondere che con un no reciso.

Per s?? stesso il peso del debito non era esorbitante. Se la Gran Bretagna portava con facilit?? i suoi 19 miliardi, la Francia non poteva certo finire di esinanizione sotto il carico di 12 miliardi e 123 milioni. Anche rispetto alle imposte il ricco paese con un sistema razionale avrebbe reso di gran lunga di pi?? che sotto Napoleone; certamente 2 miliardi e mezzo. L'affermazione del benemerito statistico Horn, che ogni francese pagava allo stato un quarto delle proprie entrate, deve essere riguardata da qualunque persona imparziale come un'esagerazione suggerita dall'odio partigiano. Ma la difettosa ripartizione del peso tributario e l'oppressione dell'agricoltore rincarata dallo stesso stato, rendevano impraticabile un inasprimento delle imposte dirette; talch?? a ogni nuova esigenza lo stato non vedeva altra via che le contribuzioni indirette e i prestiti. E con che furioso aumento crebbero spese e debiti! Il bilancio di emissione aveva rotto gi?? da un pezzo il terzo miliardo, e si arguiva facilmente che non sarebbe mai pi?? ridisceso ai due miliardi: ben a proposito Thiers aveva esclamato una volta, dopo che il bilancio aveva sormontato il primo miliardo: saluez ce milliard, vous ne le reverrez plus! L'impero divor?? in media 800 milioni all'anno pi?? del regno di luglio. L'amministrazione del debito consolidato aveva a pagare, nella primavera del 1870, 364 milioni di rendite annue; dei quali 54 milioni risalivano alla repubblica, 133 milioni erano sopraggiunti sotto l'impero. Cosicch?? il debito si era raddoppiato in 22 anni, e proprio in quelli in cui il suolo francese non era stato mai calcato da soldato straniero. Inoltre era stato preso a prestito tra comuni e dipartimenti un capitale di 2 miliardi; e il debito fluttuante dello stato raggiunse in fine la vertiginosa altezza di 923 milioni. L'avventatezza di una finanza siffatta ?? palmare. Nello stesso tempo, per??, il movimento ferroviario crebbe di dodici volte, il numero delle locomotive sal?? da 7779 a 25.027, le miniere di carbon fossile diedero un prodotto di 11 milioni di tonnellate nel 1864, vale a dire considerevolmente pi?? dell'intera produzione europea di carbon fossile calcolata da Villefosse pel 1808; e dopo che gli ultimi prestiti della terza repubblica, non ostante le perturbazioni guerresche tanto gravi, hanno pure condotto a un risultato cos?? cospicuo, ?? lecito tuttavia affermare, che il benessere del popolo sotto Napoleone III ?? proceduto a ogni modo di pari passo con lo sbalzo violento del bilancio.

Ma in che cosa dunque furono impiegate quelle somme colossali? Sopra abbiamo visto, che dei capitali usati nei lavori pubblici una parte, e non pi?? che una parte, pu?? tenersi produttiva. Il politico deve considerare come produttivi anche i 1348 milioni inghiottiti dalla guerra di Crimea, e le spese della guerra d'Italia: la scuola di Manchester ci perdoner?? una tale eresia. Pure, come era formidabilmente ingrossata l'inveterata dissipazione e la disonest?? della burocrazia sotto la stupidit?? materialistica di cotesto sistema! Quanti milioni in quelle grandi imprese dello stato sdrucciolavano nelle saccocce di luridi costruttori e borsaiuoli di borsa! La corte, le camere e le supreme dignit?? dello stato esigevano sotto Luigi Filippo 31,5 milioni all'anno; l'impero dov?? offrire ai suoi fidi ben altre provvisioni, e richiese a tal fine 58,5 milioni, di cui solo per la corte 26,5 milioni, laddove il re borghese si contentava di 13,3 milioni: la met??. Perfino siffatte spese la stampa cortigiana ascrisse a gloria dell'imperatore; e impiant?? come una novella scoperta scientifica la tesi, che il lusso, che ?? giustificato e riesce allietante solamente come un sintomo di elevato benessere popolare, crei addirittura nuovi valori: che ?? quell'antica teoria del ??dar danaro alla gente??, che una volta fu bandita in Germania da penne ligie, al tempo del polacco Augusto e dello svevo Carlo. Solo che una favola da nutrice, che cento anni fa riusciva a stento a mettere l'animo in pace alla buona gente paziente della sorgiva del Nesen e dell'Elba Superiore, avrebbe poi trovato credito durevole presso una nazione orgogliosa e tutt'altro che devota suddita?

Circa il 1860 il bonapartismo cred?? di aver trovato il mezzo di appagamento franco di spesa della sete di gloria nazionale: infatti le spese di spedizioni armate transoceaniche in paesi semibarbari sarebbero state coperte dal bottino e dai tributi. Gi?? le imprese in Cina e in Cocincina avevano dato un esito finanziario dubbio; poi in fine l'inconcepibile follia della spedizione messicana grav?? infruttuosamente e ingloriosamente lo stato di un altro miliardo; e d'allora in poi le spese militari, la grosse affaire du budget, salirono con una spaventosa rapidit??. Rientrava semplicemente nel corso naturale della politica questa espiazione che ora faceva lo stato di vecchi peccati di omissione, e questo non voler rinunziare alla gloria di prima potenza militare. Negli ultimi anni prima della guerra germanica la Francia consumava 449 milioni annui per l'esercito e la flotta; vale a dire 100 milioni interi in pi?? della Confederazione germanica del Nord, che ne usciva con 91 milioni e mezzo di talleri: e bisogna aggiungere i nuovi prestiti, devoluti quasi esclusivamente a scopi militari, e tra quelli, nel solo anno 1868, un prestito di 440 milioni. L'impero si trovava in cattiva coscienza davanti ai discorsi iracondi dell'opposizione, giacch?? soltanto la sua propria colpa, la disgraziata impresa del Messico, aveva fatto dei nuovi armamenti una necessit??. E come fossero delittuosamente scialacquati i denari delle enormi spese militari, lo avrebbe rivelato la guerra tedesca. Il finanziere pi?? capace del bonapartismo, Fould, si esaur?? in esortazioni ed ammonizioni; dopo la sua morte l'impero non ebbe che due uomini, i quali godevano di una certa riputazione alla borsa, Germiny e Vuitry. I creditori dello stato, inquieti gi?? da un pezzo, domandavano per propria sicurezza un sindacato parlamentare pi?? severo sulle finanze. Le notevoli sottoscrizioni ai prestiti del 1868 non affidarono minimamente come una prova di un saldo credito statale, perch?? il ristagno del commercio versava sul mercato abbondanti capitali disoccupati, e dopo le cattive esperienze fatte lo speculatore si guardava dagli altri titoli di borsa. Il politico serio per?? non pu?? contentarsi del motto di spirito del signor Thiers: ??se ?? pericoloso, come dicono, possedere la libert??, ?? per?? molto costoso non averla??: egli anzi deve penetrare la grave contraddizione di principio in cotesta strana economia statale. Le spese statali erano state mutate fondamentalmente dal socialismo monarchico, ma il sistema delle entrate, astrazion fatta della riforma doganale, sostanzialmente non era stato trasformato: un'idea economica creatrice, che facesse piovere dall'alto le ricchezze della nazione per la politica della felicitazione del popolo, non era nata nel mondo in nessun luogo. La Francia soffriva dello sforzo impossibile di voler conservare in pari tempo tutto il lusso e la lussuria della pace e, insieme, il formidabile arnese della politica di conquista. Presto o tardi doveva scoccare l'ora, che una guerra infelice avrebbe mandato a rotoli il castello di carta di questa economia pubblica di farnetico.

V.

Con quale frequenza non fu espresso nel generale abbrutimento della societ?? sotto la repubblica il nostalgico desiderio: ci si conceda il diritto alla quiete, e il genio francese spiccher?? nuovi voli! La quiete venne, venne quiete a macca, ma l'anelato rifiorimento della vita intellettuale non venne; e che non potesse tornare lo mostrava lo stesso lamento, che il mondo si fosse abituato a considerare il pensiero come un lusso, come un'occupazione delle ore morte. La monarchia aristocratica del tempo antico poteva bene portare avanti gli uomini significativi, laddove sotto un dispotismo fondato sulla completa eguaglianza sociale, la potenza delle menti e degli animi non poteva elevarsi di troppo. Si eleggesse pure a modello quanto voleva il bonapartismo i portamenti e le cerimonie di Versailles: i giorni di Racine e di Moli??re erano andati, e con loro anche il garbo fine di Luigi XIV non tornava pi??.

La nuova corte si mantenne insomma una societ?? di nuovi venuti e di avventurieri: Morny, Walevski, Prospero Merim??e non furono dai loro singolari rapporti con la casa imperiale trasfigurati niente affatto in persone per bene. Stava a capo una donna di pi?? che equivoco passato, e le mode che questo capetto affaccendato dettava al mondo con turbinosa vicenda, tenevano in frenesia le sgualdrinelle della capitale. L'imperatore, che nel tratto personale mostrava non gi?? un'affabilit?? ricercata ma la naturale semplicit?? dell'uomo perspicace addestrato alla scuola della vita, pure nella sua corte non seppe far di meno dello sfarzo senza gusto dell'avventuriero. Sprezzatore cinico degli uomini, quale era da gran tempo, egli non aveva mai creduto che valesse la pena di mettere seriamente alla prova gli uomini onde era circondato, sebbene i rapporti personali del monarca in un governo assoluto tirino dietro di s?? conseguenze inevitabilmente politiche. Perci?? intorno al sovrano si pigiava un demi-monde di uomini e donne della specie pi?? abietta. Le rivelazioni sulle Tuileries, con cui i catoni della terza repubblica si pensavano di distruggere la fama del secondo impero, non propalarono certo nulla di pi?? piccante di ci?? che gi?? tutti sapevano. Ma lo spettacolo ?? nauseante: quella corte priva affatto di pensiero, barcollante tra la lascivia e una superstizione da carbonai; quei parenti imperiali avventurieri, che assediano il cugino fortunato di lettere di pitocchi insolenti; quell'eletto del popolo, che crede sul serio alle stupide stregonerie del visionario Home! In un tale guazzabuglio di destrezza e di teatralit?? non erano rari solamente i caratteri, tanto che l'impeccabile patriottismo di Touvenel era solitario; ma era quasi sparita la fede nella lealt?? disinteressata, nella buona coscienza dei potenti. Si sacrificava a Mammona anche pi?? spudoratamente che sotto il re borghese: la cupidigia dell'oro e del godimento, la paura di sembrare ridicoli con qualche debolezza nulla nulla idealistica, costituivano il sentimento dominante nelle ampie sfere della giovent?? blas??e. Quando una volta uno speculatore molto stimato a corte s'impicc?? pel suo disgraziato gioco di borsa, pervenne ai giornali l'istruzione, che bisognava risparmiare la famiglia, appianare la perdita dei beni e significare che lo sventurato avesse posto fine ai suoi giorni per l'infedelt?? della moglie. Piccoli tratti del genere palesano pi?? chiaramente delle lunghe descrizioni a qual misura quella societ?? misurasse i beni della vita.

Parigi, come sotto la reggenza, formava di nuovo l'alta scuola del vizio a tutto il mondo: la civilt?? della Francia, parola magica ancora ignota alla prima rivoluzione e che oggi monta la testa dei francesi, si mostrava principalmente nella propaganda dell'immoralit??. Pensatori inglesi guidavano da lungo tempo la sfrontatezza non muliebre, la crescente rudezza delle loro dame sul modello di Parigi; e noi tedeschi in quei brutti raddotti, che dalla tapinit?? dei nostri borghesucci vennero aperti agli stranieri e che perci?? dal tipo schietto parigino furono messi a conto della Francia, giorno per giorno sperimentavamo, che la perfetta spudoratezza sprizza per s?? stessa dalla parlata francese; per cui non fa pi?? specie. La grisette del Quartiere latino, che con tutta la sua leggerezza era pure la creatura ingenuamente amabile, cantata un tempo da B??ranger, era finita da un pezzo. Le successe la lorette senza cuore e calcolatrice, e pi?? tardi, in linea ascendente, la biche, la cocotte e alla fine, per colmo, la p??troleuse! E nella melma di questa impudicizia si mescol?? la masnada letteraria della petite Boh??me, di quegli scrittori putridi, che nei caf??s lit??raires sbraitavano in intemerate frenetiche contro ogni sacro modo della vita umana. Lasciamo ai filistei riscaldarsi per quelle orge selvagge, in cui teneva il dominio il cancan regolato dalle guardie di citt??: da per ogni dove le onde mosse della vita delle metropoli turbinano lo stesso sudiciume. La singolarit?? della putredine dei costumi parigini consisteva piuttosto in ci??, che si confondevano sempre pi?? i limiti tra la buona societ?? e l'infame, che nessuno sapeva pi?? dire dove principiasse il circolo delle Tuileries e dove finisse quello di Cora Pearl. La spirituale e briosa conversazione degli antichi saloni era sparita; e fu perdita inestimabile per l'urbanit?? dell'intero continente. La nuova societ?? non dava posto ai pochi veri gentiluomini, tuttora superstiti di migliori d??; non dava posto ai Tocqueville e ai Circourt. I modi sfacciati e pure affettati del demi-monde, la sua impudenza facchinesca, il fumare e bestemmiare, il gergo della sua langue verte andarono connaturandosi anche nelle pi?? alte sfere. Teresa, l'eroina dei caf??s-chantants, trov?? con le sue sudice canzoni ascolto presso l'imperatore, ed ebbe una valorosa scolara nella principessa di Metternich; e nei salotti della principessa Matilde i frequentatori giocavano a zecchinette e si vezzeggiavano col nomignolo intimo di animal. La grazia vaporosa dell'antica galanteria francese si era involata; giacch?? bisognava trovarlo, chi potesse parlare di amore a una femme entretenue, e chi vi perdesse il tempo in quel mondo ansante, a cui Ponsard teneva lo specchio cos??:

cette aimable jeunesse donne aux femmes le temps que la Bourse lui laisse!

Soltanto poche famiglie per bene si tenevano lontane da quello scialacquio grossolano, serbavano il costume nel focolare tranquillo. Era esiguo il numero delle madri sollecite della propria missione. Generalmente costituiva la regola tra i ricchi l'educazione dei figli fuori di casa. La futura burocrazia in collegio imparava fin dalle calugini l'arte difficile di piegare la schiena al pi?? alto per schiacciarla al pi?? basso. Alla donna era permessa ogni libert??; la fanciulla cresceva nel rigore del monastero.

L'arte aveva dato da molto tempo le spalle a un siffatto mondo della sensualit?? e della cupidigia. Lacera il cuore apprendere nelle lettere di Tocqueville, come questo uomo geniale si sentisse in patria pi?? straniero che all'estero, come pensasse di essere sopravvissuto al proprio paese, come cercasse invano le parole per descrivere il buio di caverna delle provincie spopolate. Il poeta francese possedeva tuttora un prezioso privilegio sul tedesco: un vero pubblico, che permetteva a ogni ingegno di conseguire una potente efficacia, e che anche recentemente aveva confermato nella colletta per Lamartine la sua gratitudine alla poesia nazionale. E l'antica passione della scena era tuttora cos?? viva, che in questo paese della burocrazia l'intera met?? dei 297 teatri erano mantenuti a spese del comune. Ma, ahim??, qual sacro cibo era offerto in cotesti templi! Dove sono andati gli squilli baccanti di volutt?? gallica di vivere, che un tempo Rabelais elev?? in onore della diva bottiglia? Dove la protervia deliziosa, che ride in ogni accento della Celimene di Moli??re? Dove solamente quelle ultime faville della passione della bellezza, che sprizzano ancora dalle voluttuose poesie dei giorni di Luigi Filippo? Chi canta ancora una volta: ah qu'elle est belle en son d??sordre quand elle tombe les seins nus!? Vi fu un tempo che l'amante, la quale amava o fingeva di amare, era gi?? considerata in poesia come un'eroina arrischiata. Adesso ?? trasportata disinvoltamente sulla scena la troiettuola che non ha mai amato e fa tranquillamente i suoi conti. Gli scapestrati figliuoli di rigidi genitori, giocoso motivo di commedie antichissimo, si riguardavano come vieti: il poeta moderno prediligeva di rappresentare virtuosi figliuoli di viziosi padri, che era un soggetto semplicemente stomachevole, spoglio per giunta anche del triste merito di esser vero nella prosa della realt??. Feydeau cre?? ora il capolavoro di questa poesia andata a male: Fanny. Quale solletico per gl'imbecilli ammirare in luogo del solito marito geloso l'amante geloso, che spia dalla finestra i coniugali amplessi dell'amata! Che cosa ?? pi?? orrida in questa sporchizia, la spudoratezza o la scempiatezza? Va sottinteso, che il poeta di una siffatta et?? esercita la sua arte come una speculazione industriale. Di regola il romanziere fa riprodurre sulla scena in forma di dramma la propria opera per non perdervi il doppio guadagno. Si raffronti la gelida noia dei drammi di Dumas figlio, che seppe strappare all'impudicizia l'ultimo barlume dell'illusione, coi romanzi di Dumas padre, che ancora oggi divertono: ?? uno spaventevole calo. Anche nei bouffes di Offenbach, impareggiabilmente pi?? spassevoli e vivaci, non incontriamo pi?? la civetteria del vizio, l'avvenentezza del peccato, che ?? l'antica magagna francese; all'opposto, l'immoralit?? si presenta aggressiva, con una insolenza inauditamente sfacciata. L'orgoglio patriottico degli spettatori era inoltre soddisfatto da un fracasso di spettacoli guerreschi, che mettevano in mostra lo chic exquis degli zuavi e dei turcos in una gaia vicenda di felici avventure; e il punto culminante era segnato dal sole elettrico di Austerlitz e da una congruente volatina delle rime fran??ais succ??s, laurier guerrier, gloire victoire. Le predilette f??eries scesero affatto, fino alla fantocciaggine da burattinai; rape scollate e carote in maglione facevano pirolette; ogni senso estetico si spense in un tafferuglio di cattiva musica e di quadri spettacolosi. L'antico dominio delle salde regole accademiche aveva ceduto alla disordinata incertezza del gusto: l'uomo di mondo blas?? e il piccolo borghese ingenuo erano concordi nel bearsi della volgarit?? oscena.

A mio avviso, cotesto lento inaridimento dell'anima popolare si tradisce nel modo pi?? spiacevole proprio nei libri, che si propongono uno scopo morale. Nella sua opera L'amour Michelet intese di sovvenire di nuovo alla nazione la santit?? del matrimonio: eppure qual uomo, che abbia goduto la proba felicit?? di un matrimonio tedesco, pu?? leggere senza compassione quelle arrembate frasi sentimentali? L'enigma cos?? meraviglioso e pure cos?? semplice del cuore femminile, il filosofo in conclusione non sa spiegarselo, se non con lo spacciare tutte le donne per fisiologicamente malate! Chi non conosce Monsieur, Madame et Beb?? di Gustavo Droz, il bizzarro libro che, diffuso in pi?? di trenta edizioni, rappresenta con precisione fotografica la media delle esperienze della vita coniugale francese? Certo, c'?? anima in queste pagine, c'?? affetto, anzi anche qualcosa come religione: ma anche quanto triviale solletico dei sensi, quanta vuota eleganza! Quando il pover'uomo descrive le gioie del suo amore, niente lo rapisce tanto, come il profumo penetrante dei capelli dell'amata; e il lettore chiude involontariamente il libro per vedere se questa meravigliosa pommade philocome bisogna acquistarla da Pinaud et Co, dalla Soci??t?? higy??nique, oppure da qualche altro ami de la t??te. Leggendo questi scritti morali dei moderni francesi, non ho mai potuto tenermi dal pensare: o disgraziata nazione, che non sa pi?? distinguere tra le cianciafruscole false dei negozi di mode parigini e i beni eterni della vita!

Non ostante la sua freddezza prosaica, ma con l'istinto dell'uomo di stato, Napoleone III cap?? quale pericolo per la societ?? si annidava in un'arte tanto abbrutita. Assegn?? premi ai drammi morali che offrivano al popolo esempi virtuosi e ??idee sane??, protesse la commedia casalinga di Ponsard ??la Borsa?? che gridava al mondo la geniale verit??:

l'argent est un bonheur, mais ce n'est pas un titre.

Avrebbe dovuto apprendere per??, che l'estro dell'arte ?? un figlio del tempo: quanto poco sarebbe potuto sorgere un Sofocle sotto Alessandro, tanto meno poteva attecchire il dramma morale nell'aria impura della nuova Parigi. Alcune fini commedie di Augier, alcune opere di Ponsard, principalmente Le lion amoureux che ??, di questo poeta, il canto del cigno compenetrato da un nobile e forte spirito patriottico, sono i soli frutti sbocciati sopra l'universale imbecillit?? della recentissima poesia. E anche nelle arti figurative, quale caduta in pochi decenni, da quando Paolo Delaroche aveva dipinto il magnifico emiciclo della ??cole des beaux arts! Il parigino partecipava ancora con ardore, come nei giorni pi?? favoriti, all'esposizione del Salon, ancora il talento tecnico della colorazione virtuosa non era perduto nella pittura, ancora qualche artista, come Ger??me nel suo quadro dei gladiatori, sapeva dare a un soggetto brutto un'esecuzione che incantava. Ma il valore spirituale dell'arte si andava inaridendo, e l'osservatore della recentissima pittura storica era continuamente premuto dalla domanda, se effettivamente donne nude e calzoni rossi di soldati rappresentassero tutto il senso profondo della vita umana. Lo schietto fervore artistico soccombeva quasi sotto l'invasione dei dilettanti, che avevano un compagno e un protettore naturale nel direttore dei musei imperiali, il conte Nieuwekerke.

Chi considera tali segni non dubbi della decadenza artistica, generalmente si lascia subito andare all'affermazione, che sotto il nipote il bonapartismo abbia soffocato il talento come sotto lo zio. Se non che anche in questo campo si manifesta al giudizio posato l'ampio divario che corre tra il secondo impero e il primo. L'arte nel nostro secolo prosaico non costituisce pi?? la misura infallibile della vita spirituale. Per contro, l'Italia di Cavour e di Manin ben a ragione protesta, che si valuti alle opere di Verdi la sua potenza geniale; e anche noi tedeschi, quanti poeti drammatici, che potrebbero collocarsi accanto a Ponsard e ad Augier, non abbiamo avuto in quei cinquant'anni tanto fecondi pel nostro sviluppo? Per lo meno pu?? oggi considerarsi l'arte drammatica come lo specchio fedele dell'educazione del popolo. Il tesoro accumulato dei pi?? antichi drammi libera la scena dal dominio illimitato della poesia recentissima: mentre la poesia drammatica contemporanea decadeva, il Th????tre fran??ais, che ?? sempre il primo teatro del mondo, riproduceva alla ribalta in esecuzioni magistrali i personaggi di Corneille e di Moli??re. La scienza offre un pi?? valido appoggio al pregio della cultura moderna, e se noi guardiamo addentro, non solamente il confronto del secondo impero con la desolazione spirituale del primo ci appare ridicolo, ma ci si presenta la questione, se la valentia modesta della recente scienza francese non abbia donato al mondo pi?? frutti sani e durevoli, che non dianzi la letteratura presuntuosamente rumorosa della monarchia di luglio.

Segu?? al 2 dicembre un tempo sconsolato di temulenza, in cui, stando al ragguaglio di Tocqueville, l'arte di leggere e di scrivere parve quasi perduta. Presto, per??, l'insolenza stessa dell'ostentazione del peccato spinse gli spiriti seri a rientrare in s??. E sorse nelle scienze politiche e sociali una nuova letteratura, povera di opere di prim'ordine, ma altrettanto ricca d'indagine positiva e di grave senso morale. L'inestetico uomo di affari Napoleone III era troppo guasto e difforme al gusto e al costume medicei. Non gli mancava affatto, per??, l'intelligenza del valore rigidamente scientifico. Gli archivi furono mantenuti come sotto Luigi Filippo, con una intelligenza e una libert?? che fanno arrossire noi tedeschi. Molte notevoli opere scientifiche nacquero per suggerimento dell'imperatore, come il bel catalogo della biblioteca storica di Parigi, la raccolta delle lettere e commentari napoleonici, la storia del Congresso di Vienna del conte Angerberg; molti dotti furono sussidiati dallo stato nei loro lavori, come per esempio Baschet nella sua raccolta per la storia della diplomazia veneta. Missioni scientifiche dispendiose e con splendidi risultati furono intraprese in Egitto, in Siria, nell'Asia Minore, in Mesopotamia. Anche le scienze naturali ebbero a lodare le mani bucate di Napoleone; fecero progressi sempre assai notevoli, sebbene il detto dell'alsaziano W??rtz la chimie est une science toute fran??aise sia a ogni modo da tenersi soltanto come una spacconata chauviniste.

Quanto pi?? grave pesava l'oppressione del dispotismo sulla stampa quotidiana e pi?? rari erano gl'ingegni notevoli che si dedicavano al giornalismo, tanto pi?? si preferiva alla corte di leggere opere serie sui problemi sociali e politici, e tanto pi?? il dotto era costretto a svolgere metodicamente le proprie idee e non gi?? a sparpagliarle in articoli e appendici. A principiare dalla scuola dei pubblicisti liberali ricca di buoni ingegni, la quale seguiva le orme di Tocqueville e aveva in Laboulaye la penna pi?? geniale, fino alle opere estremamente conservatrici e piene di pensiero del Le Play sulla riforma sociale, non pi?? che una sola tinta tra i partiti politici rimase fuori, non rappresentata nella nuova scienza dello stato. La questione italiana ispir?? lavori pubblicistici, come, per esempio, gli eccellenti scritti sull'Italia di R. Rey, la cui profonda accuratezza non trova affatto l'eguale nella letteratura politica della monarchia di luglio. Anche nella maggior parte di queste opere dominava, come ?? giusto, uno spirito di opposizione, non per?? affatto di opposizione sistematica: quasi tutte domandavano solo il perfezionamento delle istituzioni vigenti e l'impiego del potere statale all'ingentilimento delle moltitudini. Siffatta rassegnazione maschia supera, moralmente e politicamente, di molto il puntiglio lunatico che i quaranta immortali dell'Accademia mostravano contro l'impero. L'imperatore, dopo un pazzo tentativo d'infrangere l'indipendenza dell'Accademia, si abitu?? a lasciarli stagionare, quei vecchi signori, nelle loro giubbe ricamate di palme. Accogliessero pure nel loro seno gli eroi dell'opposizione bianca e della rossa: le parate accademiche e gli spiritualissimi articoli di rivista non erano proprio fatti per rovesciare il trono imperiale, e il lamento di Guizot: ??noi stiamo sotto sonanti rovine??, significava non pi?? che il profondo sospiro di un vecchio, che vede la fine del mondo perch?? vede finire il suo mondo.

Da un decennio la scienza tedesca era profondamente penetrata, per la prima volta, nella vita francese. Dollfus e Taine, Renan e Laboulaye si fecero avanti come apostoli dello spirito germanico. Per molto tempo l'Alsazia rappresent?? felicemente la parte della mediatrice tra i due grandi popoli; il che vuol dire, che i suoi dotti portavano ai francesi i risultati della scienza tedesca senza punto offrirci un corrispettivo di pari grado. Cotesto ravvicinamento, che ebbe un organo nella Revue germanique, si fondava pur troppo sulla tacita presupposizione, che i tedeschi si sarebbero contentati, ora e sempre, del regno dell'idea: onde sarebbe corsa l?? per l?? a dare nelle secche, non appena noi avessimo uno stato con volere e potere indipendente. La Revue germanique pass??, e la Revue contemporaine, in cui il signor di Calonne rappresentava le idee tedesche, ebbe un cos?? meschino incontro in mezzo al risvegliarsi dell'odio nazionale, che quasi non fu nemmeno pi?? considerata come un giornale francese.

Comunque, le battaglie boeme avevano scosso alquanto l'antica burbanza dei nostri vicini. Fin dal 1864 Jules Simon aveva suscitato le generali risa di scherno del corpo legislativo, citando le scuole prussiane: ??noi non abbiamo da imparare niente, proprio niente, dai prussiani??, si grid?? da tutte le parti. Negli anni seguenti ebbero il debito riconoscimento le prove condotte dall'imperatore e dall'eccellente ministro Duruy di elevare l'educazione popolare sull'esempio tedesco. Appunto in questo campo Napoleone III ha compiuto tra gravi lotte un gran bene; in questo campo il principe ha attenuto ci?? che il presidente aveva promesso. In questi problemi, come in quelli economici, egli sovrastava di gran lunga all'opinione media della nazione: voleva la scuola obbligatoria come in Prussia, ma fra tutti i suoi uomini di stato solo Duruy os?? appoggiare una siffatta idea ereticale. Dalla coscrizione del 1857 risult?? che un buon terzo dei coscritti non sapevano leggere: solo in 11 dipartimenti, appartenenti la pi?? parte alle provincie orientali mezzo tedesche, il numero dei cresciuti completamente senza scuola scendeva tra il 2 e il 6 per cento: in quasi tutti gli altri saliva di gran lunga pi?? alto, e in alcune plaghe dell'interno e della Bretagna arrivava fino al 58 e al 65 per cento. Risultamenti di tal fatta indussero lo stato a far sorgere scuole da per ogni dove nel paese, o per mezzo di premi o per assunzione diretta; e gi?? nell'inverno del 1865-66 30.000 maestri impartivano l'istruzione a 600.000 adulti. Le conf??rences o libere letture scientifiche, gi?? proibite a Parigi per la concorrenza all'universit??, ora negli ultimi anni dell'impero goderono del favore ufficiale e di un folto concorso; inoltre i professori dei coll??ges erano comandati a tenere lezioni nelle vicine citt?? di provincia. Furono fondate in seguito scuole tecniche, che dovevano fare per le scienze esatte ci?? che i licei per la cultura classica. Sorsero cos?? quelle biblioteche popolari che i comuni alsaziani curarono con benemerita sollecitudine. Ferveva dovunque un'attivit?? supremamente meritoria che, spronata dall'energia francese, condusse gi?? nelle ultime coscrizioni a risultati soddisfacenti, e accennava a promesse di frutti pi?? copiosi per l'avvenire.

La debolezza di questo movimento era solo in ci??, che il dispotismo era completamente destituito di quello zelo morale, che solo rende feconda l'educazione. Per giunta, in questo regime non poteva tollerarsi n?? ammettersi l'efficacia della scienza sullo stato. Mentre l'una mano porgeva al lavoratore gli elementi della cultura, l'altra uccideva in lui ogni virt?? di espansione morale con la scelleratezza oscena di quella stampa clandestina semiufficiale, in cui la haute bicherie spampanava la sua vita infame. Da una parte l'istruzione; dall'altra il signor Trimm col suo Petit Journal, le turpitudini dei giornali umoristici parigini e la stupidit?? atroce della stampa di provincia, che da Arles a Metz, dal Forum al Courier de la Moselle mostrava per ogni dove la medesima nullaggine: in verit??, il contrasto sarebbe ameno, se non fosse tanto triste! E principalmente in questo si rivel?? l'intima falsit?? di un sistema, che continuamente doveva distruggere la propria opera. Non cadeva dubbio, che Napoleone bramasse sinceramente l'elevazione della cultura popolare; eppure il suo governo min?? le basi di ogni incivilimento.

La profonda quiete dei primi anni imperiali diede ansa a tutti i partiti battuti di tirare la somma del loro operato. Duvergier de Hauranne principi?? la storia dell'et?? parlamentare, Guizot scrisse le sue memorie, Garnier-Pag??s, Luigi Blanc ed altri offrirono contributi alla storia della rivoluzione di febbraio. Sebbene queste opere non dissimulino l'unilateralit?? partigiana, pure noi tedeschi ne apprezzeremo di molto il valore, se le raffrontiamo con l'indifferenza che il popolo nostro mostra per la sua storia recente: fino a oggi non ?? ancora apparsa presso di noi una forte opera, ispirata da un partito, sulla rivoluzione tedesca.

Quando il mondo ufficiale si prostr?? nella polvere davanti all'idolo del bonapartismo, quando il grande Imperatore riapparve nel manto imperiale, come gli aveva bramato, sulla colonna Vend??me, allora il liberalismo abiur?? come un sol uomo la fede napoleonica, e lo stesso Thiers negli ultimi volumi della sua opera cominci?? a parlare in sordina. Le ghirlande di B??ranger appassirono. Da quando l'impero aveva seppellito sotto gli onori ufficiali il poeta nazionale, le sue poesie erano scomparse dalla buona societ??. Una rigida critica storica si volse sull'et?? napoleonica, e sovente diede in tale eccesso, da porre talvolta noi tedeschi nella strana condizione di dover difendere il nostro grande nemico contro i Charras, i Barni, i Chauffour-Kestner. Poi, verso la fine dei giorni neonapoleonici, Lanfrey principi?? la sua storia di Napoleone I, che ?? un libro d'importanza storica modesta, ma di altissima veridicit??. Pi?? vasta efficacia di questi gravi scritti ebbero i ??romanzi nazionali?? dell'alsaziano Erckmann e del lorenese Chatrian; frutti di un meticciamento poetico sullo stile delle opere di M??hlbach, ma composti con assai maggior talento e qua e l?? con schietta potenza poetica, sebbene niente affatto immuni da pregiudizi; che, per esempio, cinque prussiani bastano appena a tenere in rispetto un francese; compenetrati per?? dal senso umano di una cultura salubre, offrono una dipintura potente dei mali e dei misfatti delle guerre ingiuste e un'esortazione alla pace di alto valore pei popoli zelatori di guerra. Perfino la grande Rivoluzione deificata fu, in questa et?? di ritorno degli spiriti in s?? stessi, raggiunta dalla fredda critica. Il libro di Edgardo Quinet sulla Rivoluzione rimane a gran distanza dalla splendida opera di Tocqueville sull'antico regime; ma quale progresso scientifico e, anche pi??, dell'educazione morale rispetto alla storia della Gironda di Lamartine! La situazione, dunque, non era tanto penosa, come l'ammetteva il malinconico Renan; se s'intendeva di costringerla alla mediocrit??, la nazione per?? non era diventata addirittura nulla e triviale. Quelle opere modeste, piene di un senso reale di verit??, iniziarono in silenzio col loro animoso odio a qualunque dispotismo, anche al giacobino, quel gravoso lavoro di raccoglimento e di esame di coscienza, che a un popolo non libero riesce pi?? salutare di una letteratura classica. Certo, il consolidamento di questa cultura pi?? nobile esigeva decenni per gittare frutti, e, intanto, la classe politica del bonapartismo fu appena tocca dalla rigenerazione della scienza.

Lo stesso Napoleone III senza volerlo promosse il risveglio della critica storica con la sua vita di Cesare. Su questo strano libro, a cui ?? dovuto l'appunto, che mai con maggior dispendio si ottennero pi?? scarsi risultati scientifici, oggi che la curiosit?? ?? dileguata da un pezzo, vale ancora la pena di spendere una parola? Se ?? sorprendente, come mai l'imperatore abbia trovato la forza e l'agio per una tale attivit??, pure ?? anche pi?? enigmatico, che non abbia saputo resistere alla tentazione di ricalcare quell'ardente terreno della storia, che gi?? al pretendente era stato poco amico. Solo un pedante si meraviglier?? dell'indagine difettosa del dilettante imperiale; accanto ad accurate ricerche di compagni anonimi sulla situazione di Bibracte, accanto a diligenti comunicazioni prese dai lavori della scienza tedesca, e perfino dalla metrologia del nostro solerte Hultsch, procede una critica innocente, che con perfetta ingenuit?? si giova come fonti storiche dei discorsi di Cesare e di Memmio poetati da Sallustio. L'impressione diventa supremamente comica, quando l'autore si avventura nei pi?? difficili compiti dello storico, e cerca di abbracciare in un quadro riassuntivo tutto un modo di civilt??: qui si tratta di sapere molto, per dire assai poco; e qui anche il lettore pi?? devoto non sa contenere i sereni ricordi dei giorni d'oro del ginnasio, quando si sente raccontare, che Atene era una molto bella citt??, con un porto chiamato Pireo e con una statua di Pallade di oro e di avorio. E pi?? stupefattivo ancora di tali inevitabili deficienze del dilettantismo, si rivela l'ineffabile banalit?? del giudizio storico e politico, si rivela quel crogiolarsi nel vuoto dei luoghi comuni. Da per tutto un superficiale prammatismo, una maniera arbitraria di costruire i fatti, che col fraseggiare al futuro della lingua francese, con quegli eterni ainsi tomberont, les Romains tourneront, assume anche l'affettazione solenne dell'oracolo. Quel fatalismo, che nella vita disponeva l'imperatore ai supremi rischi, non appare nella scienza n?? chiaro n?? profondo; si risolve, in fondo, in niente altro, che in una sottomissione cieca al successo: il valore di una istituzione si tiene dimostrato dalla sua durata. E l'uomo, che sa bene egli stesso l'arte del dominatore, si prostra abbagliato davanti al suo eroe, non pi?? che come un tremebondo erudito da scartabelli al cospetto di un guerriero digrignante. Tutto ?? ammirato in Cesare, tutto, anche i versi: ?? un goffo partito preso di apologia, per cui la nostra parlata onesta usa il vocabolo weissbrennen (ardere a fiamma incandescente, col senso di discolpare).

Soltanto pochi lettori misurano interamente l'ampio tratto che corre tra il dire e il fare; e perci?? un'opera cos?? aberrante doveva necessariamente confondere il giudizio del mondo sulle forze intellettuali dell'autore. Quando l'eroe del 2 dicembre desidera i rimedi eroici e il salvatore alla societ?? romana malata, quando esalta lo spirito di fiducia che fond?? il pieno potere dell'imperio, e lancia sguardi biechi allo spirito di sfiducia proprio delle nostre abitudini costituzionali, ebbene, allora il colpo di stato non appare pi?? semplicemente come un fatto, ma come un principio, il principio della violazione del diritto. L'opposizione di tutti i cervelli liberi, che non fu certo messa a tacere dai discorsi cesarei del fido Troplong, fu ora violentemente disfidata, e tanto pi??, perch?? gl'impiegati ligi e compiacenti introdussero nelle scuole il parto storico imperiale. L'opposizione colse con ardore la comoda opportunit?? di sfogare in impertinenze contro Cesare e Augusto il corruccio contro il bonapartismo. I risultamenti scientifici di cotesta opposition d'allusion furono tapini: la santa gravit?? della storia castiga spietatamente ogni abuso tendenzioso. Comunque, parve un progresso il fatto, che ora finalmente per la prima volta dopo tanto tempo fosse mandato in pezzi l'idolo dell'eroismo personificante la nazione, e fosse descritta con passionata eloquenza la profonda immoralit?? del dominio violento e la necessit?? di prefinire saldi limiti legali a ogni potere dello stato.

Certo, a chi osserva da vicino i francesi non pu?? sfuggire, che solamente una cerchia ristretta era tocca sul serio e a fondo da coteste nuove idee. Nello stesso torno di tempo in cui la critica storica condannava senza discrezione l'imperatore soldato, dilagava pel paese il grido di guerra, sempre rifacendosi a nuovo, sempre ingrossando pi?? gagliardo. Per una legge storica in perpetuo ricorrente, la boria nazionale cresceva in tanto pi?? dismisura, in quanto che i francesi dovevano non a s?? stessi la loro magnifica posizione di grande potenza, bens?? alla fortuna e al tatto del loro dominatore. Durante i primi giorni di emozione della guerra franco-germanica, W. Wehrenpfennig qualific?? per la prima volta, che io sappia, cotesta oltracotanza come un delirio di grandezza, una megalomania. L'espressione fece rapidamente il giro dei giornali tedeschi, perch?? egli aveva fitto il chiodo a segno. Ed effettivamente era una malattia epidemica degli spiriti. Mentre gli storici notomizzavano e confutavano la leggenda napoleonica, un'altra fola con mirabile rapidit?? si annidava nei cervelli: il mito bismarchiano. Nessun giudizio, nessuna cultura fece argine alla potenza irrompente di questa menzogna, finch?? in fine la nazione non fu pi?? capace di distinguere tra l'apparenza e la verit??.

Il risveglio graduale della vita scientifica incontr??, per giunta, un nemico formidabile nel partito ultramontano. Napoleone III seguiva la teoria della solidariet?? degl'interessi conservatori, onde vedeva nella Chiesa un puntello della tirannide e l'unica potenza ideale che potesse preservare le moltitudini ignoranti dalla turpezza della bramosia materialistica. ??Il mio governo??, disse nel settembre del 1852, alla posa della prima pietra della cattedrale di Marsiglia, ??il mio governo, lo dichiaro con orgoglio, ?? forse il solo, che abbia favorito la religione per s?? stessa; giacch?? l'ha sostenuta non gi?? quale strumento politico, non gi?? per piacere a un partito, bens?? soltanto per convinzione??. Il giorno di Capodanno dopo il colpo di stato fu cantato solennemente il Tedeum in ringraziamento della salvezza della societ??, il Pantheon fu restituito al culto di Santa Genoveffa, e accordata su semplice ordine governativo la formazione di nuovi ordini femminili. Nei primi anni dell'impero fu stretta anche pi?? salda la lega tra il dispotismo temporale e lo spirituale. Il clero rendeva ossequio ??all'inviato del Signore, all'eletto della sua Grazia, allo strumento del divino Consiglio?? in discorsi adulatorii, rugiadosi di servilit??, come appena sotto il primo imperatore. L'affinit?? elettiva tra la Chiesa militante e il gloriosissimo esercito, questi due grandi corpi animati dallo spirito dell'ordine e dell'ubbidienza, fu il tema preferito della ossequente predicazione dal pergamo. Tutto lo sdegno dell'uomo e del cristiano per una tale profanazione delle cose pi?? sacre fu espresso in una bella lettera, che in quel torno di tempo Tocqueville diresse a uno di quei vescovi ligi. Quando principiarono le complicazioni orientali, e i popi fanatici infiammavano i russi ortodossi alla guerra contro la Mezzaluna, i preti francesi celebrarono la lotta della Chiesa cattolica contro gli scismatici moscoviti, e un reggimento di corazzieri sfil?? per Lione e sal?? al santuario montano di Notre Dame de Fourvi??res per portare nella guerra santa la benedizione della Chiesa.

Anche la disposizione delle classi abbienti, come il favore del governo, offr?? il terreno propizio alla potenza della Chiesa. L'indifferenza religiosa dei francesi fece il dominio degli ultramontani. Quella seriet?? della coscienza protestante, che conquista e rivive le verit?? della fede con gravi prove e con tragedie dell'anima, trov?? ben di rado dimora in cotesta educazione mondana. Pei pi?? la religione valeva soltanto come un fattore nel calcolo politico, e un cambiamento di religione per ragion di coscienza era riguardato come una pazzia. La nobilt?? incredula dei Borboni era stata ricondotta unicamente dalle esperienze politiche della Rivoluzione nel seno della Chiesa unica beatificatrice. La borghesia dalle angosce dei giorni di febbraio e dal furibondo odio antireligioso dei radicali attinse la persuasione politica, che la Chiesa fosse indispensabile alla pace sociale. Singole anime pi?? profonde poterono realmente restituirsi in quei giorni di turbine alla fede antica; ma la gran maggioranza dei borghesi colti entro la cerchia fidata non faceva mistero, che si rispettasse la Chiesa per le mogli e i figli, e principalmente per le moltitudini e per la pace sociale. Mentre la stampa liberale parlava sprezzantemente del papato, come di una potenza finita, l'uomo medio liberale, per desiderio della moglie guidata dal confessore, mandava alle scuole clericali i figliuoli, che crescendo avrebbero percorso la stessa parabola del padre. In una parola, motteggiavano e si sobbarcavano, n?? pi?? n?? meno come gl'italiani del Rinascimento. Si pu?? seguire a passo a passo cotesto persistente abbassamento del coraggio morale: al tempo della rivoluzione di luglio tutto quanto il liberalismo unanime chiedeva il ripristinamento della libert?? del divorzio; poi lo zelo si moder??, e oggi di tale questione si parla appena. In una societ?? appoggiata sulle moltitudini ciecamente credenti, una tale religiosit?? venuta fuori dalla paura economica e dall'ignavia del pensiero deve infallibilmente fare il gioco del partito, che cerca la sostanza della Chiesa nel suo dominio.

Abbiamo visto sopra, che la legge ultramontana del 1850 sull'istruzione fu un parto degli spericoloni volteriani in bella lega coi clericali: da allora la potenza della Chiesa seguit?? a crescere irresistibilmente. Il numero degli ecclesiastici secolari, che sotto la Restaurazione e il regno di luglio non procedeva di pari passo col lento accrescersi della popolazione, sal?? in 14 anni, dal 1847 al 1861, da 37.000 a 44.000, e la dotazione pagata loro dallo stato da 36 a 45 milioni, senza includervi altri 2 milioni per fabbriche religiose. La ricchezza della manomorta non crebbe meno rapidamente: sorgevano da per tutto nuove chiese, monasteri, scuole ecclesiastiche. La Chiesa era sulla buona strada per riacquistare in pochi decenni tutta la massa dei beni, che un tempo aveva accumulato con l'opera di tanti secoli. Questa potente restaurazione si effettu?? in tutti i paesi di lingua francese: gi?? da un pezzo Ginevra, la Roma calvinistica, era una citt?? prevalentemente cattolica, e il Belgio era la terra celebrata della preteria. Per?? lo stato dominante della gerarchia ristabilita era tenuto dal monacato: lo spirito della nuova Roma era custodito nel modo pi?? fedele nel chiuso dei chiostri. Sotto l'impero rimisero salde radici innumerevoli ordini antichi e novelli, e non soltanto i valenti e dotti padri dell'Oratorio, ma anche altri di dubbio valore morale. Lo stato and?? loro incontro premurosamente, e solo di rado ricadde nelle vecchie abitudini della diffidenza burocratica, come, per esempio, nel 1867, quando soppresse il Consiglio generale delle Conferenze di San Vincenzo di Paola. Lo stesso duca di Persigny not?? con sorpresa, come la Curia romana desse la preferenza agli ordini regolari e perfino nelle encicliche li preponesse ai secolari; e Lacordaire gli assicur?? di essersi fatto monaco, per godere di maggior libert?? e influenza che da semplice prete.

Dallo stesso spirito procedeva il rinnovellato zelo pel servizio delle immagini e delle reliquie, per tutti i dommi e le cerimonie che pi?? aspramente contrastavano col protestantismo. Il culto di Maria nella Francia imperiale fu curato con una sentimentalit?? lattimosa, che sovente suscit?? un vero e coraggioso disdegno tra gli ultramontani tedeschi. Tutta la valle del Rodano, antica patria benedetta del clero francese, ?? ora consacrata alla Madonna. La serie ?? aperta da Notre Dame de Fourvi??res sopra Lione e chiusa da Notre Dame de la Garde sul porto di Marsiglia: quasi in ogni citt?? del Rodano, a Vienne, Avignone, Viviers si eleva sulla cima che domina la valle una grandiosa statua di Maria; e furono tutte innalzate sotto il secondo impero. Anche pi?? orgogliosa giganteggia la Madonna colossale, sull'erto dirupo a piombo sulla vallata di Le Puy. Una sola volta mi sono abbattuto in una somigliante ostentazione del cattolicismo in terra tedesca: sulle rocce rosse della Mosella, dirimpetto al santo Treveri. Il potere assoluto del papato parve siffattamente assicurato nella Chiesa moderna e l'accentramento condotto con tale acume, che nelle prossime generazioni una scissura della Chiesa offriva qualche probabilit?? di riuscita tutt'al pi?? nel caso di un conclave molto contrastato. Il clero ubbidisce ai vescovi incondizionatamente, come i soldati agli ufficiali: parole testuali, con cui il cardinale Bonnechose ritrasse in senato lo spirito mutato della religione dell'amore. La sostanza romana trionfava dovunque, anche negli accidenti formalistici: il Breviarium Romanum, le pianete romane soppiantavano gli antichi usi delle chiese locali. Con la bolla Ineffabilis Deus il papa cre?? di arbitrio il nuovo domma dell'Immacolata Concezione, e questo tratto di autorit??, inaudito nella pi?? antica storia della Chiesa, fu accolto dal mondo cattolico senza notevole opposizione, e con gioia dalla maggioranza del clero francese. L'inalienabilit?? dello Stato della Chiesa fu con santo zelo difeso come un domma da tutti i pulpiti: perfino il volteriano Thiers dichiar?? idea fondamentale del cattolicismo la sovranit?? temporale del papa in Roma. Le idee gallicane del sistema episcopale incontrarono difensori coraggiosi soltanto in pochi fogli, laddove gli ultramontani possedevano un giornale quasi in tutte le maggiori citt?? di provincia. L'ambiziosa crudezza degli scritti di Veuillot non sarebbe stata possibile nemmeno sotto la Restaurazione. Les ??tudes r??ligieuses, organo dei gesuiti francesi, rappresentavano in verit?? un indirizzo pi?? blando che non la Civilt?? cattolica o le voci di Santa Maria di Laach; ma come mai avrebbero potuto combattere durevolmente il domma dell'infallibilit?? papale? Quando alla fine si radun?? il concilio e quel domma sacrilego fu effettivamente annunziato, la gran maggioranza dei prelati francesi stette col papa infallibile.

Lo zelo ultramontano si mostr?? tanto pi?? esoso, quanto pi?? vivamente si sentiva, che la nuova potenza della Chiesa non era menomamente fondata su un ringagliardimento della fede. Donde l'affannamento a rapire alle biblioteche le opere di Voltaire e di Rousseau, donde il pauroso effetto di quel libro di Renan, che con tutte le sue deficienze scientifiche pure era sorto da uno spirito profondamente religioso. Nel senato del primo impero sederono Laplace e Volney, Cabanis, Tracy e Siey??s: nel nuovo senato il solo Sainte-Beuve os?? difendere il diritto della libera indagine. Con quale furore i Maupas, i Canrobert, i S??gur si gettarono sul difensore di Renan, e con quale ingenuit?? il conte Chapuis-Montlaville confess?? le ragioni mondane di questo zelo di fede: ??qui non ?? permesso di difendere questi uomini, che alzano il tizzone contro la societ??!??. ?? difficile stabilire in che misura il dirizzone ultramontano penetrasse nel basso clero. Ma nell'episcopato dominava assoluto lo spirito dei Dupanloup e dei Bonnechose; e questo bastava. Infatti, una volta che i 18 arcivescovi e i 67 vescovi nominavano i parroci e li trasferivano a loro piacimento nell'interno delle diocesi, si comprende, che non poteva certo manifestarsi apertamente lo spirito nazionale che avvelenava la fede a molti curati. Inoltre, le pretensioni del nuovo papato trovavano potenti appoggi alla corte. Una volta, parlando della moglie, l'imperatore disse al cardinale Bonnechose: ???? il fortunato privilegio della donna, questo, di tenersi estranea alla ragion di stato e ai freddi calcoli della politica, e di abbandonarsi esclusivamente alle magnanime ispirazioni del cuore??. Col fatto, dalla sua Eugenia avrebbe dovuto apprendere, che quelle magnanime ispirazioni del cuore muliebre possono intrudersi anche nei freddi calcoli della politica. Tendenze spagnole, altezzose e imperiose, idee, che da Caterina dei Medici in poi non si erano potute pi?? sostenere sul trono francese, dominavano l'entourage dell'imperatrice; e un'amicizia da sorelle collegava le Tuileries a quella grettissima tra le corti, che circondava la regina Isabella e la monaca Patrocinio.

Il fiuto fino del partito spagnuolo subodor??, che il carattere della moderna cultura popolare ?? determinato in sostanza dalle scuole superiori. I licei imperiali non erano tenuti pericolosi, fintanto che la Chiesa se ne divideva con lo stato la soprintendenza, e fintanto che lo stesso spirito di uniformit?? pretesco-militare vi dominava cos?? allegramente, che alla medesima ora i medesimi problemi erano proposti a Perpignano e a Lilla. Pi?? scabrosa era l'istruzione elementare obbligatoria, propugnata dall'infaticabile ministro Duruy. Godendo nuovamente la Chiesa dei suoi antichi beni, non avrebbe trovato nulla a ridire, se lo stato anche per l'avvenire avesse speso 450 milioni per l'esercito e da 23 a 29 per l'istruzione. Del resto, anche la scuola obbligatoria era comportabile, una volta che il parroco invigilava accuratamente sulla scuola popolare. Ma la cultura accademica fuori affatto delle mani della Chiesa ha effetti semplicemente rovinosi. Non basta, che accanto a ogni facolt?? teologica dello stato sia un seminario ecclesiastico; giacch?? i nemici nati della fede miracolosa, gli storici e i naturalisti, esercitano senza disturbo alcuno nelle altre facolt?? la loro opera di perturbazione. L'assegnazione delle cattedre per concorso aggrava certamente il male dell'assunzione degli eretici dichiarati; talch?? con un nuovo sbalzo della scienza mondana incombe il malaugurato pericolo, che le conferenze della Sorbona abbiano un successo clamoroso ed impressionante come ai tempi di Cousin e di Guizot, e i magnifici codici della biblioteca imperiale siano esplorati non pi?? quasi soltanto da dotti forestieri, ma anche dai francesi. Onde, a un ordine di Roma, sorse di botto da ogni parte del campo clericale la richiesta che anche l'istruzione superiore fosse sottoposta alla Chiesa: in fondo, si accarezzava la speranza di una cos?? detta libera universit?? cattolica, come quella di Lovanio. Se non che, questo stato burocratico e accentrato non si trovava, come la provincia neutrale del Belgio, in grado di sopportare la lotta incessante di due partiti egualmente forti sui principii della vita sociale: la sua scienza mondana non ?? e non pu?? essere realmente libera, fintanto che dura l'accentramento burocratico. Una universit?? cattolica a Tolosa non incontrerebbe quindi nessuna controforza viva; e i sogni dei clericali allora potrebbero tradursi in realt?? di vita, quando lo stato e la Chiesa si sottoponessero alla cultura. Qualora la Chiesa fosse vissuta modestamente nella missione della cura delle anime, avrebbe potuto, in questa et?? del culto di Mammona e del godimento sensuale, diventare una sorgente di salvezza per migliaia di anime oppresse; ed in effetto, in molti dipartimenti abbandonati essa si serbava tuttora l'unica custode dell'idealismo, possedeva tuttora alcuni eccellenti seminar! ecclesiastici, come, per esempio, la scuola di San Sulpizio, i quali pel loro zelo scientifico e la rigidezza morale sapevano riaffermare la loro antica fama. Ma i loro poteri direttivi sono scaduti nel gesuitismo, ed essi, ad onta di tutta l'ascesi in moda, si sono secolarizzati nel senso peggiore, e combattono a morte ogni libera moralit??, ogni idea fondamentale della vita moderna.

Noi non ci annoveriamo tra quei pusillanimi che, spaventati dall'onda che sale delle potenze ultramontane, dubitano dell'avvenire della libera educazione umana. Sappiamo bene, che la Chiesa dell'autorit?? non sar?? abbattuta solamente con le armi dello spirito. Noi perci?? non fondiamo troppo solidamente sull'esperienza, che questa Chiesa non ha proprio alcun merito nelle gesta liberatrici della civilt?? moderna, principalmente nella emancipazione delle classi umili, e che domina sopra forze spirituali sempre incomparabilmente inferiori a quelle dello stato e della scienza. Ma sta in fatto, che anche la potenza materiale del protestantismo ?? in condizione pari con la Chiesa romana. Il mondo moderno appartiene alla fede evangelica. Dovunque una spedizione porta l'ascia e la carabina nella foresta vergine, in nove casi su dieci ?? il protestante quello che dischiude all'incivilimento la selva. E davanti all'avvenire maestoso che si apre in Occidente al protestantismo, si rattarpano, Dio sia lodato! tutti i trionfi europei della vecchia Chiesa.

In Francia stesso la vittoria del partito ispano-romano era ancora tutt'altro che assicurata. Noi annettiamo scarso valore all'incontro che in ampia cerchia ebbero Renan e altri liberi pensatori; giacch?? siffatte voci di opposizione, che nella buona societ?? francese non mancarono mai, non menano affatto all'affrancamento degli spiriti. Anche il protestantismo sul suolo francese non contrabbilancia punto in modo sufficiente le forze ultramontane. Un protestante pu?? solamente considerare con sincera allegrezza, che questa gloriosa Chiesa di martiri della fede evangelica si ?? negli ultimi decenni risvegliata a nuova vita. Istitu?? sotto la compressione stessa della Restaurazione le sue societ?? bibliche, e ha da allora partecipato con vigoroso zelo a tutte le lotte della teologia tedesca: gli sforzi crittocattolici di una ortodossia insulsa, rappresentati con la consueta infallibilit?? dal vecchio Guizot, incontrarono pochi seguaci. Non era per?? assicurata la posizione legale delle comunit?? evangeliche: l'indegno decreto del 25 marzo 1852 sottopose le adunanze alle comminazioni del Code p??nal, di modo che il frequentare le chiese da parte delle donne e dei fanciulli dipendeva puramente dall'arbitrio delle autorit??. La Chiesa persever?? bravamente, e questa potente vita religiosa evangelica ademp?? in Alsazia l'ufficio di estrema difesa della lingua e dei costumi tedeschi. Solo che, siccome il protestantismo in Francia era alimentato sostanzialmente dalla fonte tedesca, appunto per questo poteva sempre serbarsi solamente come una manifestazione provinciale, e appunto per questo i protestanti alsaziani, stando al giudizio di un calvinista dichiarato come il generale Ducrot, non erano considerati come veri francesi. La speranza di alcuni rabbini, che riescir?? col tempo di ??vang??liser la France, a ogni uomo posato si rivela un sogno, ed ?? poi divenuta pienamente caduca da quando l'Alsazia ?? ritornata alla patria. Ragioni politiche avevano cagionato la reviviscenza del clero ultramontano, e congiunture politiche altres?? formarono finora i limiti del suo dominio.

Anche la popolazione credente delle campagne fu trattenuta da ricordi politici dall'assoggettarsi internamente alla Chiesa. Il contadino seguiva il prete, ma non aveva punto dimenticato i mali giorni delle decime ecclesiastiche e dei pesi feudali: per poco che l'ambizione pretesca avesse prevaricato dai confini della prudenza, poteva riavvampare di botto l'antico odio mortale ai preti e ai gentiluomini. Inoltre, la paura dei rossi nemici della fede era presso le classi colte largamente compensata dalla potenza delle tradizioni rivoluzionarie. L'orgoglio patriottico, il sentimento energico dello stato nei francesi pensanti non ha finora comportato mai un assoggettamento dello stato alla Chiesa. La cultura mondana del secolo si aombra davanti a ogni avviamento religioso estremo, come davanti a ogni soluzione recisa dei problemi religiosi. La maggioranza dei francesi non voleva che il papa perdesse il dominio di Roma, ma tanto meno voleva che acquistasse il dominio della Francia.

Qui, in questa mezza disposizione, in questa disposizione incerta della nazione, nella sua inettezza a giudicare le questioni religiose sotto aspetti religiosi, qui ?? da cercarsi la chiave della tentennante politica ecclesiastica dell'impero. Napoleone III colm?? di favore la Chiesa come nessun altro monarca francese, ma dov?? pure riconoscere presto i pericoli di una rotta, i cui scogli furono fin dal 1852 avvisati da lontano dall'occhio acuto di Cavour. L'imperatore sent??, che al disopra del suo capo cresceva la dominazione ultramontana, e ammon?? soventi volte i prelati: che dal tempo di San Luigi lo stato non aveva mai rinunziato al suo diritto di sovranit??. Ma alla fine la guerra d'Italia fece manifesto il dissidio tra gl'interessi ultramontani e i nazionali. Si avver?? di nuovo l'antica esperienza, che nei guai la Chiesa ?? pi?? formidabile che mai. I vescovi, con una arditezza che somigliava molto all'aperta ribellione, levarono la voce pel dominio temporale del papa; e ci??, sia al ritorno dei prelati dalla canonizzazione dei martiri giapponesi, che, di nuovo, dopo la convenzione di settembre. Sovvenne loro di bel nuovo, che un napoleonide non sarebbe giammai un figlio fido della Chiesa. La corte da allora titub?? indecisa tra le sue tradizioni rivoluzionarie e le nuove tendenze spagnoleggianti, n?? pi?? n?? meno come il Pantheon, il quale, restituito al culto divino, pure continu?? a portare in fronte l'iscrizione mondana: aux grands hommes la patrie reconnaissante.

Negli ultimi anni, mentre l'impero invecchiava, il partito spagnuolo alla corte guadagn?? la mano. Poteva Napoleone, ed egli solo in Europa, impedire il domma dell'infallibilit??; ma all'uomo ormai stanco venne meno la forza di cimentare faccia a faccia la moglie. Mentre si teneva il concilio vaticano, le sue truppe proteggevano Roma: la stessa battaglia che lo rovesci?? dal trono don?? agl'italiani la Citt?? eterna. La politica ecclesiastica del nuovo bonapartismo ?? stata un misfatto indelebile contro l'educazione nazionale, che pure l'imperatore intendeva di promovere; aggiunse alla tremenda corruttela del paese anche il vizio dell'ipocrisia e della superbia pretesca e, ci?? non ostante, non raggiunse lo scopo di fare del clero un saldo sostegno alla Casa dei napoleonidi. Piuttosto, i gesuiti aiutarono a scavare la fossa al trono imperiale. Essi avevano bisogno di una complicazione europea per fare scivolare in porto il loro nuovo domma mezzo inavvertito dalle grandi potenze; perci?? le aizzarono e incalzarono alla guerra onde Napoleone fu sfracellato. E cos?? anche il secondo impero, come gi?? da tempo gli spagnuoli e i polacchi, ebbe a sperimentare, che corre infallibilmente alla rovina ogni regno che si appoggia alla Compagnia di Ges??.

VI.

Per l'esecuzione dei disegni prescelti di politica estera, che ognuno attribuiva fiduciosamente al napoleonide, il nuovo sovrano disponeva di uno strumento eccellente, che era il miglior lascito dell'eredit?? della monarchia di luglio. Le vittorie africane erano per l'esercito una scuola insieme e uno sprone alla brama di gloria. Tutta l'organizzazione dell'esercito era preordinata alla guerra offensiva. In questi reggimenti senza patria, raccozzati da tutte le provincie, guidati da ufficiali scapoli, e cambianti continuamente di guarnigione, non poteva mai spegnersi lo spirito di lanzichenecco di chi vuol battersi unicamente per vedere quale ?? il pi?? forte. In nessun altro esercito un generale avrebbe potuto rivolgere al comandante supremo le parole, che il maresciallo Castellane grid?? all'imperatore: ??Sire, l'armata si annoia: se vogliamo batterci, bisogna essere in due: su chi dobbiamo avventarci???. L'imperatore curava premurosamente questa colonna del suo dominio, e, come lo zio, vedeva nell'armata, ??la vera nobilt?? del nostro popolo??, e nella sua storia la propria storia. Ognuno sa quanto si oper?? di notevole nei primi anni dell'impero per elevare l'efficienza bellica dell'esercito, quanto romore suscitarono sui campi di Lombardia i nuovi cannoni rigati, quanto a lungo il campo di Mourmelon fu ammirato come l'alta scuola della tattica, e come l'imperatore intendesse di risollevare anche la figliastra di questa armata, la cavalleria, con l'introduzione dei piccoli e focosi cavalli algerini. Ai reggimenti rinforzati degli zuavi furono annesse le nuove truppe barbare dei turcos, e le incerte idee dell'oggi sul diritto delle genti permisero all'imperatore di adoperare questi selvaggi contro i soldati europei. Anche la flotta, dopo sforzi enormi, eguagli?? finalmente l'inglese in numero di navi e in artiglierie, sebbene non potesse mai divenire come in Inghilterra un'arma nazionale capace di un continuo ringagliardimento.

L'asserzione tanto motteggiata di Napoleone III: l'empire c'est la paix, non era affatto una mera bugia, ma semplicemente un'altra di quelle mezze verit??, in cui si palesava l'intima contraddizione del bonapartismo. Tutti i provvedimenti del socialismo monarchico, della felicitazione dispotica delle moltitudini, potevano prosperare unicamente in tempo di pace. Il nipote non era un uomo di guerra, un capitano: i disegni della sua politica europea non erano ispirati dalla cruda frenesia della percossa. Eppure egli aveva bisogno della devozione festosa dei suoi soldati, eppure l'impero doveva l'esistenza al culto della gloria guerresca. In tutti i tempi scabrosi i giornali ufficiosi non avevano che a sollevare la questione del Reno, per occupare le teste irrequiete del popolo e dell'esercito: avvenne cos?? immediatamente dopo il colpo di stato, cos?? dopo la battaglia di K??niggr??tz. Il signor Lavall??e insegn?? nella scuola militare di Saint-Cyr la teoria dei confini naturali con una goffaggine stupefacente; e il cattivo libro che scrisse sull'argomento fu coronato dall'Accademia. Perfino il sostenitore del rischiaramento pacifico, Duruy, nella sua introduzione alla storia francese ribatte con passionata indignazione su ??quell'enorme lacuna nei nostri confini??, che si stende da Lauterburg a Dunkerque. Per lui la lingua tedesca in Alsazia ?? semplicemente un rozzo dialetto illegittimo; e gli alsaziani devono unicamente alla personale equanimit?? dell'imperatore, se la loro parlata non ?? sparita interamente dalle scuole.

Le spettacolose parate militari dell'impero erano eseguite con una teatralit?? vanagloriosa, con una crudezza di sentimento, che ricordava l'antica Roma. Quando le truppe di ritorno da Sebastopoli sfilarono davanti alla colonna Vend??me, ogni reggimento era preceduto dalle suore di carit?? e dalle figure squallide dei feriti; e i soldati erano tutti nella divisa da campo sporca e in brandelli, affinch?? ai cittadini blas??s della capitale apparisse bene avvistata la selvaggia maest?? della guerra, la gloria di fare il soldato. Anche il vestito da funambolo degli zuavi e dei turcos era diretto pi?? a eccitare la curiosit?? dei parigini che a incutere spavento ai nemici. L'impero fu sollecito del sentimento dinastico nell'esercito con miglior successo che non la monarchia di luglio. I pochi ufficiali liberali, che un tempo si aggruppavano intorno ai generali africani, furono prestamente rimossi o convertiti. Una guardia del corpo di 50.000 uomini, ben addestrati e meglio pagati, portava l'uniforme dell'antica Guardia imperiale, e viveva e sfolgorava dei ricordi napoleonici: il principe imperiale faceva gli esercizi tra le fila dei figli della Guardia. Gli ufficiali di merito arrivavano a una posizione splendida: la paga dei generali richiedeva l'enorme somma annuale di 21 milioni. La croce della Legion d'onore era conseguibile anche dai semplici soldati, e le nuove medaglie militari premiavano i meriti pi?? modesti. Fu istituita una medaglia commemorativa per ogni campagna; perfino la passeggiata militare a Pechino fu ricordata dalla medaglia col dragone.

Urgeva soprattutto di formare una razza di vecchi soldati di professione, la cui bandiera fosse la casa e la patria. Fu fondata la cassa di esenzione che con le alte entrate e pensioni attirava gli usciti di ferma a continuare nel servizio come capitolanti; anche il soldato semplice aveva la certezza di ricevere dopo venticinque anni di servizio 500 lire all'anno, e anche pi?? se era decorato. In tal modo si form?? rapidamente un corpo scelto di 170.000 soldati di professione. Che il peso delle pensioni militari aumentasse in 10 anni di circa 20 milioni, non era cosa di cui si desse pensiero la finanza imperiale. Anche la zotichezza lanzichenecca dei vecchi soldati, e il bagordare dei vieux grognards straripante in molti eccessi taciuti dalla stampa, non scandalizzava un gran che: comunque, il sentimento napoleonico dei pretoriani era assicurato. La guerra d'Italia scopr?? per la prima volta la rifioritura dei punti neri di un siffatto procedimento. Quanto pi?? gagliardamente allignava il ceppo dei soldati di mestiere, tanto meno rendevano le leve di milizie giovani, fino a scendere a circa 23.000 uomini all'anno; e tanto pi?? scarso era per conseguenza il numero delle truppe di riserva istruite. Si cerc?? di sopperire, dando alla meglio a una parte dei coscritti una istruzione accelerata. Capit?? allora la guerra del Messico, che impose gravi sacrifizi imprevisti: nel paese la forza effettiva delle truppe era molto ridotta, e negletti i magazzini e gli armamenti; e quando in mezzo a un siffatto scompiglio rimbomb?? l'eco formidabile di K??niggr??tz e tutti gli occhi si volsero all'esercito, allora il governo dov?? pure capire l'assurdit?? della sua politica militare. Subito si butt?? sulla via opposta, e arrischi?? la proposta del servizio generale obbligatorio.

Perch?? mai in un paese in cui l'eguaglianza ?? deificata e domina il quarto stato, cotesta idea si abbatt?? in una opposizione furente? Mutare la costituzione dell'esercito vuol dire trasformare la costituzione dello stato. Il servizio militare generale obbligatorio ?? impossibile in una societ?? burocratica; basta la sua rigogliosa esistenza a provare quanto siano radicati in Prussia i pubblici costumi dell'autonomia amministrativa. Non soltanto il ricco aborriva in Francia la prestazione personale del servizio militare allo stato; i lavoratori altres??, i leali contadini diventarono riottosi e ribelli, quando corse per le terre il grido: il n'y aura plus de bons num??ros! Nessuno voleva rinunziare alla speranza, che la fortuna del sorteggio lo dispensasse dal suo dovere civile. Il servizio generale obbligatorio ?? inattuabile senza corpi di armata provinciali: diventa di una durezza intollerabile, quando costringe le persone colte a servire, anche in tempo di pace, lontano dal proprio paese, in reggimenti nomadi. Siccome il bonapartismo aveva sempre in mano il mezzo di creare una cos?? detta opinione pubblica e di suscitare l'apparenza di un generale entusiasmo guerresco, il sistema di Scharnhorst non poteva spiegare in Francia la felice azione pacifica che ha avuto presso di noi. L??, invece, il servizio obbligatorio sarebbe stato uno strumento di servit??, avrebbe assoggettato tutta la giovent?? alla disciplina militare, impegnato tutte le forze della nazione in una politica estera lunatica. Perci??, quasi soltanto nella bellicosa Lorena i primi disegni del maresciallo Niel furono accolti con giubilo, da per tutto con terrore.

Il superficiale dilettantismo dell'opposizione si conferm?? ancora una volta nella discussione del corpo legislativo sulla legge militare. I medesimi retori, che avevano rimproverato l'imperatore di arrendevolezza alla Prussia, celebrarono con perorazioni grandiloque l'ideale immorale e impossibile della pace universale, levarono al cielo il sistema militare svizzero, pel quale in Francia il terreno di consistenza mancava affatto, asseverarono, che solamente la libert?? renda invincibile l'esercito. Il compromesso, a cui venne alla fine il governo con l'egoismo dei possidenti, non mut?? nulla alle basi dell'antico ordinamento militare napoleonico. Solo che fu rafforzata la leva annuale, fu formata sulla carta una gagliarda armata di riserva, fu migliorato l'armamento. Ma il cambio rimase, sebbene scorciato a dieci anni, rimase la lunga ferma, rimase lo sparpagliamento dell'esercito in reggimenti isolati, senza patria; in una parola, l'organizzazione militare per l'aggressione. Lo spirito delle truppe, dopo come prima, era determinato dai soldati di mestiere, di cui espresse il sentimento il generale Changarnier nei suoi giudizi sprezzanti sulle milizie prussiane. Dopo come prima, il coscritto francese entrava con terrore e con sgomento nella caserma, per poi conformarsi rapidamente sotto le bandiere all'irrequieta iattanza militare dei veterani. In questo esercito e in questo spirito della nazione, unicamente qui si annidava la minaccia alla pace universale tanto melodrammaticamente lamentata dagli apostoli pacifisti francesi.

Il dispotismo, anche nelle riforme militari, si rivel?? inetto ad apprezzare degnamente le forze morali della vita dei popoli. Quando era pretendente, Luigi Napoleone aveva scritto parole di ammirazione per l'ordinamento militare prussiano; adesso riceveva sull'esercito prussiano informazioni intelligenti e imparziali dal colonnello Stossel. Ma le lettere rimasero inosservate, nemmeno lette. La camarilla militare non voleva vedere, che ogni riservista tedesco e ogni uomo della Landwehr aveva percorso nell'esercito permanente la scuola della disciplina e dell'esercitazione tecnica, e che proprio in ci?? consisteva la forza incomparabile dell'esercito tedesco; nutriva unicamente l'idea di superare il rivale con l'enorme superiorit?? del numero. Perci?? fu messa su la massa senza istruzione e senza valore della Guardia mobile, e si persist?? con cieca muffosit?? nell'illusione, che la Landwehr prussiana non fosse buona a nulla, laddove sarebbe bastato uno sguardo fugace sulle leggi militari della Germania settentrionale a mostrare il contrario. Si smargiassava sulle nuove armi, chassepots e mitragliatrici, e intanto si era legati per tira avanti di stupida routine a una tattica gi?? vecchia decrepita, si maneggiavano le truppe secondo un regolamento del 1791, e si mandavano fuor dei piedi gli ammonitori con la frase baldanzosa: ??il nostro esercito possiede la tradizione della vittoria!??. Il despota non poteva desiderare, che un generale si cattivasse un partito compatto tra le sue truppe; perci?? distribu?? il paese in grandi Commandos, a cui tra rapidi trasferimenti erano assegnati i singoli reggimenti; e non riflett??, che un tale sbrancamento dell'esercito nuoceva allo spirito di camerati delle truppe, e che allo scoppio di una guerra avrebbe costretto a una nuova formazione dell'armata e avrebbe cos?? menomata la prontezza dell'efficienza offensiva dello stato. Anche nell'esercito la carie morale della vita di questo popolo divorava ogni cosa intorno a s??. Gi?? durante la guerra d'Italia un diplomatico inglese, acuto osservatore, che aveva conosciuto da vicino i vincitori di Solferino, scrisse alla sua corte: ??questo esercito sar?? irreparabilmente perduto, non appena gli sar?? contrapposta un'armata di salda disciplina??. E da allora le truppe si depravarono anche peggio nelle spedizioni di sacco al Messico e in Cina. Un nepotismo spudorato, maneggiato dalle dame della corte, allentava affatto il nodo compagnevole, del resto gi?? sciolto, tra gli ufficiali; la disciplina non rispettava i condottieri, i quali passavano la pi?? parte del tempo tra vuote millanterie, modicissimo lavoro e lautissimo far niente.

Frattanto la Francia credeva al suo invincibile esercito, e siccome Luigi Napoleone, per lo meno nei primi anni di regno, partecipava a cotesta fede, ?? dunque innegabile, che egli per lungo tempo fece uso moderato della potente arma offensiva, che opinava di avere sotto mano. Dal tempo di Enrico IV egli era il primo sovrano di Francia, che si occupasse delle questioni europee con intelligente sollecitudine pel bene dell'intero continente, e non gi?? coi soli preconcetti dell'ambizione francese o dell'ambizione personale. Nei suoi anni migliori sostitu?? alla politica orleanista dell'invidia rilevanti vedute europee. Le medesime corti, che avevano salutato con gioia il colpo di stato, dopo vista l'orientazione assunta dal trono imperiale, guardarono con comprensibile diffidenza alla politica europea del nuovo sovrano. Per un sovrano francese il nome imperiale non poteva mai risolversi in una troppo innocente decorazione, come il titolo d'imperial crown per la corona della Gran Bretagna. Il nome di Napoleone III sonava come un'evizione degli antichi confini dell'impero mondiale, a cui lo zio non aveva formalmente rinunziato mai. In verit??, il nipote fece assicurazioni soddisfacenti; ma il sospetto delle corti continu??. Un protocollo segreto, firmato a Londra il 2 dicembre 1852 dagli ambasciatori delle quattro grandi potenze, ammise il principio del non intervento, assumendo che la fondazione dell'impero fosse un puro mutamento del regime interno della Francia. La Prussia, come la minacciata pi?? da vicino, essendo la sola grande potenza confinante con la Francia, prese puramente atto dell'accaduto, con la dichiarazione formale, che con ci?? non s'intendeva n?? di esprimere un'opinione, n?? di riconoscere le eventuali conseguenze. Lo czar Nicola rifiut?? al nuovo venuto il titolo di ??caro fratello??.

La faccendoneria che traspariva irrequieta nelle Tuileries, il disegno, portato in giro per le corti, di una grande unione doganale dei popoli latini, i maneggi odiosi che la Francia inizi?? col Belgio e la Svizzera, erano cose che non potevano scemare la diffidenza delle corone. Il napoleonide era il nemico nato dei trattati del 1815, che, sia pure lacerati qua e l??, determinavano sempre, per??, la conformazione della carta dell'Europa di mezzo. Non poteva certo lasciare l'impero nella posizione modesta, che gli era stata fatta fin dal Congresso di Vienna. L'istituzione della medaglia di Sant' Elena, che fu una vera provocazione sfacciata, dimostrava che il nipote non aveva punto dimenticato le tradizioni militari della sua Casa. N?? sulla fiducia personale poteva contare il furbo, che aveva conquistato il trono con un gioco di bindolerie. ??Napoleone mente sempre, e quando tace congiura??, ecco come lord Cowley fiss?? pi?? tardi l'avviso allora predominante nelle corti. In effetto, il gusto delle cabale e delle vie traverse durante una vita avventurosa, era diventato nell'imperatore una seconda natura. Gli piaceva di lasciarsi continuamente per lo meno due porte aperte: si atteneva fedelmente al principio, che la politica francese non aveva mai rinnegato da tre secoli, vale a dire all'adagio: promettre ??a n'engage ?? rien. Anche i disegni che non avevano nulla a temere dalla luce del sole, egli curava di prepararli in profonda segretezza, come un cospiratore, lanciandoli poi di colpo fuori delle tenebre. Due tentazioni opposte si contendevano il napoleonide. Seguendo la prima, avrebbe potuto presentarsi come l'erede dello zio e intraprendere contro l'Inghilterra la guerra di vendetta, domandata mille volte da saccenti fanfaroni. Stante la elaborazione ingegnosa del credito inglese, le cui fila si raccoglievano tutte alla capitale, non pareva affatto inconcepibile, che una breve dominazione di truppe straniere a Londra avrebbe potuto scompigliare l'intero regno, e indurre a una pace umiliante quel popolo mercantile e poco bellicoso, c??lto alla sprovvista. Oppure, seguendo la seconda tentazione, avrebbe potuto dedicarsi ai disegni del bonapartismo rosso, alle idee pazzesche, che il principe Napoleone fece sostenere dall'Opinion nationale e che poi egli medesimo espresse nel maggio del 1865 nel suo famigerato discorso ad Aiaccio. Il principe venne fuori con la botta demagogica del prigioniero di Sant'Elena: ??il mio nome sar?? sempre pei popoli la stella polare del loro diritto??. E pretese una tendenziosa politica di radicalismo, che, secondo il presagio dello zio, avrebbe collocato il sostenitore a capo dell'Europa; chiese il ripristinamento della Polonia, la lotta contro l'Austria reazionaria, e via di seguito.

?? un merito incontestabile dell'imperatore l'essersi ben di rado lasciato traviare nella freddezza del proprio giudizio da propositi frivoli di tal natura, e l'avere respinto continuamente l'odio e la vendetta come ??sentimenti che non si confanno pi?? al nostro tempo??. Si rifece all'antica politica nazionale della grande et?? borbonica. Volle risollevare la Francia a potenza direttiva della terraferma, e puntellare coi popoli latini tale preponderanza. Ma bisognava raggiungere il vecchio fine con mezzi moderni. Come Persigny e Cavour, Napoleone III ravvis?? la garanzia della civilt?? europea nella salda unione delle due potenze occidentali. In verit??, questa antica idea di Palmerston, che offendeva anche l'orgoglio tedesco, scapitava ogni giorno un poco della sua plausibilit??, sebbene non fosse ancora interamente infondata in quegli anni, in cui l'influenza della Russia pesava tuttora sulla nostra patria. Una volta che il nipote credeva o dava a credere di credere, che il conquistatore del mondo aveva sparso da per tutto ??i semi di nuove nazionalit????, tant'??, egli stesso sanciva l'importanza, dominante pel nostro secolo, delle idee nazionali. Egli previde, che i trattati di Vienna avrebbero trovato il nemico pi?? formidabile nel sentimento nazionale, quando si fosse ridesto, dei popoli arbitrariamente divisi, e volle promuovere quanto fosse necessario allo scopo. Apprezz?? l'influenza dell'opinione pubblica, riconobbe che oggi ?? determinata dal liberalismo, la celebr?? sovente come la sesta grande potenza che sola oggigiorno consenta successi durevoli, e decise di non por mano a nessuna grande impresa senza l'assistenza delle idee liberali. Queste vedute sapienti e moderne erano il fondamento della politica estera nei primi anni dell'impero. Il merito di cotesta politica ?? tanto pi?? altamente stimabile, in quanto si contrapponeva ad antiche tradizioni e pregiudizi dello stato e del popolo francese. L'opinione media dei francesi era racchiusa nell'aforismo di Thiers: rien n'est plus d??plorable que les nationalit??s; che in tedesco vuoi dire: solamente la Francia ha il diritto di formare un forte stato nazionale.

Senza dubbio, anche nella politica europea di Napoleone apparve lo sconciamento di questo cervello, che in tanti anni di esistenza profuga, in eterni almanaccamenti e sognamenti, aveva affatto disimparato di stare al sodo, e di mantenere immutato un disegno con profonda seriet?? volitiva. In un'ora di sdegno, dopo la pace di Villafranca, Cavour opin??, che Napoleone portasse nella mente molte idee politiche, ma nessuna matura e pronta, e che per questo era corrivo a lasciare in asso l'opera sul bel principio. Nei giorni tranquilli il grande italiano ha espresso un giudizio pi?? mite; ma noi che oggi abbracciamo con lo sguardo tutta la politica del bonapartismo fino al suo suicidio, possiamo tener buona la parola irata di Cavour. Il napoleonide sedeva sulla carta d'Europa ruminando, limandosi continuamente il cervello se gli convenisse spostare una frontiera al settentrione oppure al mezzogiorno: una fucina di disegni senza mai posa: e con tutto ci?? era ben altro che una natura elastica, ma un flemmatico lento, che pi?? cambiava posizione e meno si trovava a posto. E finiva sempre col soggiacere all'intima falsit?? del dispotismo democratico. Le idee nazionali del secolo dovevano effettuarsi, ma solo con un sistema ingegnoso di alleanze, solo con l'aiuto della Francia, e la nazione felicitatrice di popoli, la nazione dirigente doveva esserne ripagata in terre e genti. Il r??vendiquer, il ridomandare l'antico territorio napoleonico parve altrettanto irremissibile a tale politica, come la costituzione degli stati nazionali: solo che l'una idea escludeva l'altra.

Il favore della fortuna iniziava l'imperatore in una ??ra rigogliosa, in cui le condizioni dell'Europa erano mature alle grandi risoluzioni: ed egli, da cervello sistematico qual era, si dava ad approfondire con accorgimento la ??questione?? emergente, ed era ben in diritto di dire: ??tudier une question n'est pas la cr??er. Per molto tempo aveva trattato di politica come giornalista; sovrano, conserv?? l'antica abitudine. Non un solo atto della politica neonapoleonica fu posto in iscena senza programmi solenni, senza il buscherio delle frasi patetiche. Verrebbe il tempo, che un uomo ben pi?? grande avrebbe svelato, a confusione e scorno, la meschinit?? di mezzi siffatti. Il conte Bismarck ha dimostrato al mondo, che una vera politica moderna raggiunge magnifici successi solo con l'opera di popoli emancipati, fidanti esclusivamente in s?? stessi; e dimostr??, inoltre, che la politica pi?? geniale e inventiva si svolge continuamente nelle forme pi?? semplici degli affari. Il restare a mezzo, il mancato successo di molte intraprese dell'imperatore si spiega meramente con la situazione contraddittoria di un uomo, che era nello stesso tempo un despota e un erede della Rivoluzione, nello stesso tempo uno statista di idee europee e il dominatore della nazione pi?? vanagloriosa.

Il nuovo sovrano non pot?? resistere a prima giunta alla debolezza del parvenu: cerc?? di entrare nella sfera di parentado delle corti legittime. Come l'aspirazione gli fu respinta, conchiuse alla lesta un matrimonio impari, e dichiar?? pateticamente: ??io porto con orgoglio il glorioso titolo di risalito??. Gli si sarebbe presto offerta l'opportunit?? di rendere la pariglia alla pi?? burbanzosa delle dinastie legittime. Noi oggigiorno dobbiamo tenere come indubbio, che lo czar Nicola non intendeva disporre del dominio turco da conquistatore, ma aspirava al protettorato sulla intera Chiesa ortodossa o, con l'espressione caratteristica del suo gabinetto, sul culto greco-russo. Il che voleva dire fondare la sovranit?? della Russia sui rajahs, decidere la questione orientale a favore della Russia. Anche chi non s'inchina alle idee di Davide Urquhart, deve per?? oggigiorno gratamente riconoscere con quale acume e sicurezza Napoleone III seppe penetrare, prima dell'Inghilterra, la versuzia dei disegni russi. La corte di Parigi in principio era ben lontana da un tracotante vezzo di guerra; e durante la lotta l'imperatore serb?? una misura, che costrinse al riconoscimento perfino un Guizot. Nella contesa pei Luoghi Santi, egli prima, per lusingare gli ultramontani, si fece innanzi in modo abbastanza provocante, poi d'un tratto svolt??, subodorando, che lo stato turco infermo avrebbe potuto a stento tollerare ancora un'altra scossa guerresca. E quando lo czar, con l'abituale alterigia verso l'opinione pubblica, smascher?? senza ritegno le mire della sua ambizione, allora finalmente si cap?? alle Tuileries, che era venuto il tempo non solo di tenere in piedi la Turchia, ma di fiaccare la prepotenza della Russia. I documenti pubblicati dal gabinetto di Parigi diedero per la prima volta al mondo la coscienza della gravit?? della situazione. Poi, nel corso della guerra, nella mente dell'avventuriero affaccendato sorsero idee lungiopranti di ogni specie. Al generale piemontese Partonneaux confess??: ??la Polonia ripristinata, la Finlandia alla Svezia, la Crimea alla Turchia, e poi una rivoluzione in Italia; ecco la soluzione pi?? felice!??. Ma impar?? a sobbarcarsi, quando il volo vittorioso delle sue aquile and?? molto a rilento.

Il momento della decisione parve molto felicemente scelto per la Russia. Lo czar per lo spazio di una generazione aveva portato con successo la maschera del grand'uomo, e di contro alle malferme corti occidentali si ergeva imponente, con quella irremovibile sicurezza che in un Gustavo Adolfo o in un Federico ?? un privilegio del genio, e in lui era nulla pi?? che un segno di terra terra di pensiero, e di limitatezza. Non vi era principe in Europa, che non gli si fosse umiliato. Le corti tedesche e italiane adulavano il nemico della Rivoluzione, l'Austria gli pareva per sempre obbligata per l'assoggettamento dell'Ungheria. Le due potenze occidentali si erano alienate per via dei discorsi senza freno degli chauvinistes e della contesa pei profughi. Nel parlamento inglese rison?? cos?? alta e minacciosa la parola dell'odio alla Francia, che nel marzo del 1853 millecinquecento londinesi stimarono necessario firmare una protesta di devozione all'imperatore. La gara commerciale e industriale in Occidente teneva siffattamente gli spiriti, che a stento pareva ancora possibile una guerra popolare. La nazione francese and?? alla guerra in Oriente con la stessa malavoglia che un tempo gl'inglesi nelle lotte napoleoniche: solo durante i fatti d'arme l'ambizione militare riprese il sopravvento sull'amor di pace di un'et?? industriale. In conclusione, lo czar pot?? sperare di ottenere nella pace il dominio sui cristiani di Oriente. Napoleone III fu il primo a intravvedere la debolezza della potenza russa e la nullaggine della grandezza personale dello czar. E conchiuse l'alleanza vantaggiosa con l'Inghilterra. Feste di fratellanza e visite a corte sigillarono il nuovo sincero accordo, e per la prima volta nella storia la flotta inglese accolse a bordo soldati francesi.

Le due potenze occidentali si celebrarono reciprocamente con fracassosa millantatura come le custodi della civilt??. L'imperatore ebbe a rilevare, che erano ??anche pi?? forti per le idee che rappresentavano, che per la potenza dei loro vascelli e dei loro battaglioni??. Drouyn de Lhuys e Moustier col tono arrogante da maestri di scuola verso la Germania provocarono un fiero rimbecco dal signor di Bismarck. Lo stesso Napoleone III nel discorso del trono del 1854 si era concesso l'impudente osservazione: ??La Germania, che forse ha dato troppe prove di sottomessa compiacenza (d??f??rence) alla Russia, riacquista l'indipendenza della sua condotta??. Oggi nessun tedesco pu?? ripensare senza vergogna alla pacatezza con cui la stampa della Germania esacerbata contro la Russia sopport?? una tale iattanza dell'Occidente. Anche i rimproveri astiosi, che il mondo liberale mosse allora alla politica di neutralit?? della Prussia, hanno da un pezzo ceduto a un giudizio pi?? posato. Non conveniva alla Prussia rendere alle potenze occidentali servigi, che in conclusione avrebbero potuto profittare esclusivamente all'Austria; ed ?? a lamentare solamente il fatto, che a Berlino non si ebbe animo destro a cavar partito dal garbuglio orientale per la liberazione dello Schleswig-Holstein. Eppure la partigianeria passionata del mondo liberale per le potenze occidentali veniva da un istinto sano. Era il tempo che il partito reazionario in Prussia magnificava il bianco czar come il secondo padre del nostro stato. Questa autorit?? sovrana dell'impero semi-asiatico gravava cos?? oppressiva sulla vita tedesca, contraddiceva siffattamente all'essenza della civilt?? nostra, che qualunque cambiamento di rapporti tra le potenze europee doveva sembrare un progresso.

L'imperatore ravvis?? nell'antico dominio del Ponto il solo punto vulnerabile dell'impero russo, giacch?? un'irruzione in Bessarabia non era possibile senza l'aiuto dell'Austria; ma gi?? da ora, nei giorni di maggior potenza, mostr??, come poi sovente in appresso, una tentennonaggine di esito imprevedibile tra le vedute proprie e le suggestioni altrui. In principio egli voleva tagliare ogni comunicazione tra la Crimea e la terraferma; poi ristette, e permise lo straordinario assedio di una fortezza, che si riforniva continuamente di nuove forze dal territorio alle spalle. Il despota ebbe la soddisfazione, che il suo esercito desse eccellente prova, mentre nell'armata inglese si manifestavano tutti gl'inconvenienti dell'amministrazione militare parlamentare. Quando le truppe vittoriose rimpatriarono, egli pot?? bene lodarle di avere riconquistato al proprio paese il debito posto in Europa; e Troplong grid?? giubilando, che l'Europa riconosceva novellamente il nome della grande nazione. La Francia apparve in pace come in guerra la potenza dirigente dell'Europa. L'imperatore, alla maniera del primo console, trasse subito alla grande alleanza gli stati intermedi del Mezzogiorno e del Settentrione, calc?? a bella posta sul carattere liberale della sua politica estera, e ancora nel novembre 1855 esort?? l'opinione pubblica a far pressione sui gabinetti.

Certo, la soluzione della questione di Oriente annunziata dalle penne del bonapartismo fu tutt'altro che raggiunta con la pace di Parigi. Cacciata dalle foci del Danubio, la Russia frattanto comp?? l'assoggettamento del Caucaso e l'abbracciata del Mar Nero: enormi conquiste nell'Asia interna prepararono nuove catastrofi al Bosforo, e appena quindici anni dopo la pace di Parigi la Russia si dichiar?? formalmente sciolta dal patto innaturale, che aveva convenuto la neutralit?? delle acque del Ponto. Le stesse potenze occidentali doverono confessare, che la pace era solamente un armistizio; e anche dopo la pace garantirono per mezzo di un trattato con l'Austria l'indipendenza della Turchia. Ma di garanzie, la Turchia con la guerra di Crimea ne acquist?? soltanto una: un rinsaldamento di fiducia nel suo valoroso esercito. La riforma dello stato, che esord?? sotto la protezione della Francia, ?? andata in fumo. Solo i ragazzi possono ammirare l'editto di tolleranza turco, lo Hat-Humayun, splendido cimelio della civilt?? napoleonico-ottomana. Un impero orientale non pu?? guarire in virt?? dei concetti giuridici occidentali. Secondo il diritto pubblico dell'Islam, il credente pu?? bene concedere tolleranza, ma non mai l'infedele esigere tolleranza. Se in effetto un ringiovanimento dello stato ?? tuttora possibile, avverr?? solamente nel caso che ogni nazione e ogni Chiesa della penisola balcanica sia organizzata in corpo autonomo con amministrazione propria; ma dell'intelligenza di coteste idee di Leopoldo von Ranke e di Lamarche la nuova Turchia napoleonica ?? priva affatto. Comunque, era gi?? un fatto notevole, che fosse rotto alla fine l'affatturamento d'indolenza, che aveva paralizzato per tanto tempo le potenze occidentali. La Turchia fu accolta nella societ?? degli stati europei, la Russia ebbe ad apprendere che il continente non tollererebbe una soluzione unilaterale della questione orientale. Frattanto furono ripresi in senso umano i disegni egiziani dello zio, e fu condotta a termine la grandiosa opera del canale di Suez.

Le conseguenze della guerra di Crimea furono risentite dall'Europa in modo di gran lunga pi?? profondo, che non dall'Oriente. Napoleone III si valse della potenza recentemente acquistata per effettuare un'idea preferita del suo antenato. Anche egli si sentiva protettore della libert?? del mare e delle marine minori; e si adoper?? a che il Congresso di Parigi enunciasse i principii di un diritto marittimo pi?? umano: umane teorie giuridiche, che certamente il bonapartismo si sarebbe col plauso della nazione cacciate sotto i piedi, non appena avessero attraversato l'interesse della Francia. La potenza della Francia si lev?? gagliarda davanti all'astro dell'Inghilterra che impallidiva. Il napoleonide riusc?? ad estirpare interamente l'odio mortale alla perfida Albione, che per quarant'anni aveva dominato l'anima dei francesi. Ora si guardava al Canale con amicizia di buoni vicini, perch?? non si aveva nulla pi?? da invidiare all'Inghilterra. Lo stato isolano sonnecchiava a tutt'agio sui guanciali della dottrina di Manchester, e se talvolta sobbalzava spasmodicamente per rafforzare la squadra di corazzate o per aumentare il numero dei suoi disutili reggimenti di volontari, allora il mondo sentiva quanto fosse avvizzito l'orgoglio dell'Inghilterra. Siccome all'alleanza con questo stato non era pi?? da dare troppo peso, Napoleone si volse ad avviare la buona intesa con la Russia. Al Congresso di Parigi tratt?? con riguardo l'ambasciatore dello czar, favor?? le mire russe nelle provincie danubiane, porse aiuto alla fondazione della grande Rumania, e mand?? perfino una flotta a incrociare nell'Adriatico per soccorrere, all'occorrenza, i montenegrini. La Francia era di nuovo in grado, per la prima volta dal tempo del Congresso di Vienna, di procedere a disegni positivi nella formazione della novella Europa, e la guerra d'Italia comprov??, che una volont?? prudente guidava il potentissimo stato.

A chi si volta a guardarli, i grandi rivolgimenti compiuti appaiono semplici e spiegabilissimi, e futili rispetto alle speranze del domani i loro risultati duraturi. La gente ingiusta, che oggi riv?? al potente anno 1859 con le idee del 1871, non vuole ponderare sul serio con quanta gratitudine i pi?? saggi e competenti patrioti d'Italia, i Cavour e i D'Azeglio, apprezzarono le benemerenze di Napoleone III verso la loro patria. L'imperatore si vantava: ??se vi sono uomini che non intendono i propri tempi, io non appartengo a costoro??; ed ebbe il raro coraggio di por mano a disegni europei, che la pi?? parte dei suoi contemporanei e quasi tutti i gabinetti tenevano per utopistici. All'opinione pubblica la saldezza incrollabile del regime della sciabola austriaco pareva tanto indubitata, quanto la incapacit?? politica degl'italiani. La grande maggioranza della nazione, che amava chiamarsi la nation initiatrice, era abbarbicata alle antiche idee dell'invidia politica. Non erano i soli ultramontani quelli che temevano il risorgimento dell'Italia come un pericolo pel papato, e che vedevano con soddisfazione, che il partito reazionario nella Penisola, dopo la conquista di Roma, riguardava la Francia come un saldo sostegno. Anche i rossi radicali credevano tuttora fermamente all'antichissimo principio fondamentale della politica italiana dei francesi: nella Penisola non ?? ammissibile nessuna potenza indipendente, n?? straniera, n?? italiana. Solo di malavoglia gli alti ceti si confecero all'idea, che la Francia sguainasse la spada pel re delle marmotte. Perfino tra i sommi consiglieri dell'imperatore si annoveravano molti proseliti del partito delle dame spagnuole: al tempo del Congresso di Parigi l'ambasciatore napoletano Carini qualific?? il conte Walewski come il migliore ??tra la canaglia che circonda l'imperatore??. Ma nello scambio d'idee con Cavour, Napoleone III venne alla decisione di riprendere e sostenere con spirito energico il principio del non intervento, che tra le deboli mani di Luigi Filippo si era volto in una frottola: come aveva tentato di distruggere la supremazia russa in Oriente, cos?? ora intendeva di spezzare la dominazione dell'Austria nel Mezzogiorno, e accordare mano libera agl'italiani nella determinazione del proprio destino; ben inteso, sotto la guida della Francia e dietro ampia indennizzazione.

Indaghino pure i furbi, se il carbonaro non fosse legato a un grave giuramento; le idee direttive della politica napoleonica bisogna spiegarle con motivi pi?? semplici. Il condottiero di bande della Romagna aveva affinati, non gi?? dimenticati, gl'ideali della sua giovinezza: lo dimostr?? la sua lettera a Edgardo Ney. Gli antichi legami della sua dinastia coi patrioti italiani erano continuati: i Pepoli erano imparentati coi Murat, il conte Arese era stretto in amicizia col monarca piemontese, come col francese. Il fanatico del papato liberale, il padre Ventura, viveva alle Tuileries come confessore, Farini durante l'esilio aveva frequentato la casa di Gerolamo. Anche pi?? efficace riusc?? la segreta attivit?? del triumviro romano esiliato Livio Mariani, il quale per anni e anni non ristette mai dal ricordare all'imperatore i sogni di giovent??. Il nipote, condotto sempre a rifarsi alle idee dello zio, vedeva nel Piemonte l'erede naturale del napoleonico Regno d'Italia; in questo stato doveva aver centro il riordinamento della Penisola e anche l'influenza della Francia. A pi?? riprese il despota si permise d'immischiarsi con pedagogheria nella situazione interna del piccolo ma libero stato, e per un pezzo appoggi?? perfino i clericali torinesi contro il gabinetto liberale; pure, egli non rinunzi?? mai a sperare un'alleanza gallo-sarda, vagheggiata fin da dopo la battaglia di Novara. ??Sono nubi passeggere??, disse confortante all'italiano Collegno poco dopo la fondazione del trono imperiale; ??verr?? il giorno che i nostri eserciti lotteranno insieme per la nobile causa dell'Italia??. Conosceva l'Italia: l'acuta osservazione e la notizia sicura delle cose lo condussero all'opinione, che nel proclama di guerra compendi?? nelle parole: ??le cose sono state spinte dall'Austria a tal segno, che o l'Austria deve dominare fino alle Alpi Marittime, o l'Italia esser libera fino all'Adria??. Conosceva la stretta affinit?? dei due popoli, sapeva che gli uomini di stato del Piemonte erano affatto imbevuti di cultura francese, e che perfino Cesare Balbo, il patriota idealista, soleva affermare: ??io sono prima italiano e dopo francese??. E previde che le popolazioni di Francia, sempre sensibili ai moti magnanimi, avrebbero accolto con gioia la guerra di liberazione del paese consanguineo.

Gi?? prima del Congresso di Parigi era andato a lui Cavour, che era il patrocinatore del suo popolo oppresso e, insieme, era l'ideale dello ??spirito positivo??, compenetrato di quel sicuro istinto del possibile, che il pretendente aveva di continuo esaltato come il pi?? alto dono dell'uomo di stato. Davanti all'Europa riunita l'italiano doveva esprimere sotto il consenso tacito dell'imperatore i lamenti d'Italia: l'Austria, abbandonata da tutte le potenze, mieteva ora i frutti della sua superbia e di quella politica delle cose a met??, che offendeva a morte la Russia senza appagare le potenze occidentali. Cavour torn?? in patria con la ferma fiducia, che l'imperatore voleva la guerra; e da allora si comport?? con una arditezza provocante, che spavent?? gli stessi diplomatici dell'imperatore, che non erano addentro. Mentre negli anni seguenti le potenze occidentali guarivano delle ferite riportate nella guerra di Crimea, le sommosse e le cospirazioni a Genova e a Livorno, a Napoli e in Sicilia dimostravano con quanta giustezza Cavour avesse descritto le condizioni precarie della patria; e sopravvenne l'attentato di Orsini come un formidabile richiamo al debito insoddisfatto.

L'imperatore si teneva sempre al suo cauto metodo delle due porte aperte. Si abbocc?? con lo czar a Stoccarda e, nello stesso tempo, diede affidamenti tranquillanti alla corte di Vienna. Mentre a Plombi??res stringeva la grande congiura con Cavour, i suoi giornali di corte parlavano con freddezza glaciale delle speranze d'Italia. Napoleone III fu sorpreso egli stesso dell'effetto del suo amaro saluto di Capodanno all'ambasciatore austriaco. Alcune settimane dopo fu conchiuso il matrimonio del principe Napoleone: la sollecitudine dinastica del risalito non si sment?? neppure in quei giorni pieni di fecondi disegni. Nel febbraio il discorso del trono annunzi?? ??che l'interesse della Francia si trova dovunque occorra porgere la mano a una causa di giustizia e di civilt????. Allora stesso usc?? l'opuscolo di Laguerroni??re che dichiarava: ??governare vuoi dire prevedere??: anche sul trono il sistematico curava tuttora di presentare all'opinione pubblica le tesi della lotta politica. Segu?? il gioco magistrale della diplomazia gallo-sarda, per via del quale l'avversario fu posto dalla parte del torto e l'aggredito dipinto come aggressore. Accecata dalla superbia, l'Austria andava barcolloni alla guerra, e i pi?? pazzi sogni della politica della Restaurazione ripullulavano alla corte di Vienna, quando Napoleone III, salutato per la seconda volta dal plauso dei liberali di occidente, intraprese la lotta e gitt?? sulla causa italiana la posta della durata della sua dinastia. Questa campagna, che present?? non pi?? che una magnifica manovra ben riuscita, cio?? la contromarcia nascosta dell'armata francese in Lomellina, non ?? certo comparabile con la gloria delle giornate di Lodi e di Arcole. Napoleone non dett?? punto al nemico la legge della guerra; ch??, anzi, si appiccarono due grandi battaglie contro l'aspettativa dell'una e dell'altra parte. A Magenta decise la risoluta energia di Mac-Mahon, a Solferino l'inettitudine del Comando austriaco. Ma tanto pi?? alta fu l'importanza politica della lotta. Furono davvero giorni gloriosi, quelli in cui Napoleone grid?? agli italiani: ??siate oggi soldati, se volete essere domani cittadini liberi e indipendenti!?? e quando nell'ingresso a Milano liberata il popolo ebbro di entusiasmo premeva sulla criniera del cavallo imperiale. L'impresa d'Italia apr?? una novella et??: l'imperatore pose inconsapevolmente la prima pietra dell'unit?? d'Italia e della Germania.

La pace di Villafranca dissip?? l'ebbrezza della gratitudine, l'immagine di Orsini copr?? l'immagine di Napoleone. ??Con la prosecuzione della guerra io avrei osato ci?? che un principe deve osare solamente per l'indipendenza del proprio paese!??; in questo modo l'imperatore giustific?? davanti al senato francese la conclusione della pace, e il giudizio della posterit?? non sapr?? un giorno aggiungere nulla a questa parola recisa. La decisione della pace non mosse dall'orribile vista del campo di battaglia di Solferino, n?? dal timore della malaria della ??terra ferma??, n?? dalle pressioni del circolo imperiale pel ritorno, ma dal contegno minaccioso della Prussia, la quale, trasportata dal cieco furor di guerra della Germania meridionale e fatta inquieta dalla crescente potenza della Francia, era proprio sul punto di incorrere in un enorme errore politico. In un rapido dialogo l'imperatore con la forza della sua superiorit?? personale seppe tirare a una pace precipitosa l'avversario sconcertato. Ma quando il convegno di Villafranca lev?? in alto nel mondo diplomatico la riputazione di Napoleone III e corrobor?? la fama della sua scaltrezza impenetrabile, quel giorno fu finita per la Francia la parte di condottiera.

Erano scatenate le naturali potenze della passione nazionale, diaboliche potenze, superiori a ogni arte diplomatica. L'imperatore intendeva di strappare l'Italia alla dominazione dell'Austria, non di fondare lo stato unitario: al principio della guerra nemmeno la grande mente di Cavour vedeva davanti a s?? l'unit?? statale come un fine fisso, indefettibile. Napoleone desiderava un saldo stato intermedio in Toscana, da far contrappeso al Piemonte; e, ad onta delle denegazioni sia degl'italiani che dei francesi, oggi ?? fuori di dubbio, che in segreto meditava su una corona reale di Etruria pel principe rosso. Appoggi?? alquanto pi?? apertamente le mene dei Murat a Napoli; ch?? da schietto Bonaparte credeva all'incurabile miseria del sangue borbonico. Perci?? a Plombi??res si era accennato appena alla sfuggita alla Toscana e a Napoli: Cavour penetrava l'occulto intendimento dell'alleato e sperava di attraversarlo. L'imperatore era fermo nell'idea, gi?? espressa chiaramente nell'opuscolo di Laguerroni??re, di una confederazione italiana, che fosse diretta, sotto la tutela della Francia, da un forte regno subalpino. Ogni volta che il lupo austriaco fosse lanciato sull'ovile italiano, il Piemonte si vedrebbe alla merc?? della grazia della Francia. Il disegno era fino, non effettuabile. Chi aveva sfrenato le passioni nazionali, non poteva comprendere la semplice verit??, che soltanto la piena indipendenza dell'intera Penisola avrebbe avuto virt?? di appagare il sentimento del popolo. Con tutta la sua conoscenza dell'Italia, il despota non aveva alcun sentore della forza dell'orgoglio italiano, dell'implacabilit?? dell'odio alle antiche dinastie; cresciuto tra le grette tradizioni della sua corona, il dominatore della Francia non poteva elevarsi all'idea, che era per sorgere sul Mediterraneo uno stato nazionale del tutto indipendente. E gli parve serio, nell'ottobre, esortare Vittorio Emmanuele a smettere le illusioni e a riconoscere la confederazione italiana, per la quale la Francia si era impegnata.

Cavour non ha forse compiuto mai nulla di cos?? importante, come in quel mese autunnale in cui movendo la mano dalla sua tranquilla Leri storn?? i disegni federalisti della diplomazia imperiale. Ma anche Napoleone III riprese subito il senso netto dell'uomo di stato; e comprese, che nessuna potenza al mondo era in grado di contenere il movimento unitario nell'Italia centrale, tanto meno egli stesso, che aveva test?? sguainato la spada pel principio del non intervento. La piega decisiva corse in senso affatto contrario al punto di partenza del 1859. Thouvenel, l'amico magnanimo dell'Italia, assunse il ministero degli esteri, e il trattato di commercio con l'Inghilterra corrobor?? alla corte delle Tuileries la vittoria delle idee liberali. Il 31 dicembre 1859 l'imperatore scrisse al papa la famosa lettera: ??i fatti hanno una logica inesorabile??; la rinunzia alle Legazioni fu tenuta una necessit??, e, contemporaneamente, apparve l'opuscolo il Papa e il Congresso. Era questo il secondo grande servigio che Napoleone rendeva agli italiani, e, conforme al giudizio di Cavour, altrettanto importante quanto la battaglia di Solferino.

La lettera toccava il problema pi?? grave della questione italiana, il punto in cui si concatenavano insieme la politica interna e la politica estera dell'impero. Tre anni avanti Pio IX avea tenuto a battesimo il figlio della Francia, e il primogenito della Chiesa non aveva affatto intenzione di guastare il buon accordo col papa. Tutte le lettere e i proclami dell'imperatore annunziavano il proposito di conciliare la libert?? con la religione, di liberare dall'oppressione straniera il Santo Padre, di non sacrificare n?? gl'italiani al papa n?? il papa agl'italiani. I fatti insegnavano quanto volentieri il Vaticano soffriva quell'oppressione straniera. La Curia riprov?? la pace di Villafranca, vantaggiosa per lei, con tutto il rodimento del fanatismo pontificio. Il vincitore di Solferino fu accolto in patria da una tempesta d'indignazione ultramontana, tanto che si vide costretto a dichiarare conciliativamente al clero di Bordeaux: ??verr?? il tempo che tutto il mondo parteciper?? alla mia persuasione, che il potere temporale del papa non ?? incompatibile con la libert?? e l'indipendenza d'Italia??. Onde si accinse in un opuscolo ??a studiare da sincero cattolico la questione romana??. Si pu?? debitamente motteggiare sull'immagine idillica, che l'imperiale pamphl??taire abbozza dello Stato della Chiesa dell'avvenire; su cotesto popolo sotto un pio Padre, paziente popolo che vivr?? unicamente alle parrocchie e alle loro grandi memorie, alla contemplazione e alle arti, al culto e alla preghiera. Quell'opuscolo, in verit??, non era un monumento d'ipocrisia, come lo qualific?? il papa adirato: indubitabilmente annunziava l'idea direttiva della recentissima politica imperiale, l'intendimento, cio??, di mantenere in un dominio ristretto il potere temporale. Napoleone non poteva desiderare l'annientamento dello Stato pontificio, se non voleva accendere in Francia un pericoloso movimento ultramontano, n??, insieme, rinunziare all'idea dell'egemonia sui popoli latini. Giacch?? la Spagna, il Messico, l'America del Sud parteggiavano unanimi pel papa re. Il consiglio dato al papa di rinunziare alle Legazioni, era il massimo che l'imperatore evidentemente potesse fare per l'Italia. Quello scritto rinfocol?? il movimento italiano in ristagno, comp?? l'unit?? dell'Italia centrale.

Le conseguenze dell'azione dell'uomo di stato furono bilanciate da uno sgarrone massiccio: l'imperatore domand?? la Savoia, stata gi?? stabilita a Plombi??res in corrispettivo della libert?? dell'Adria, come compenso alle annessioni dell'Italia centrale, e, inoltre, anche Nizza. A ogni modo, tutto questo non era un furto arbitrario di territori. La potenza del partito ultramontano infrancesato del tutto in Savoia, come pure il rapido progresso della lingua e dei costumi francesi nel nizzardo gi?? italiano a met??, dimostravano che in quelle regioni non veniva ad essere sostanzialmente offeso il principio della nazionalit??. Pareva quasi irrecusabile per un Bonaparte l'occasione di riprendere per lo meno le frontiere del 1814. La nazione, che dal generoso entusiasmo dell'estate del 1859 era da un pezzo ricaduta nel vecchio egoismo, pretendeva la ricompensa dei sacrifizi della guerra. Ma in questa circostanza l'imperatore doveva sperimentare egli stesso la verit?? della parola da lui espressa un tempo a Milano quando vi apparve da trionfatore: ??oggigiorno si ?? pi?? forti con l'influenza morale che con le conquiste sterili??. I suoi rapporti coi patrioti d'Italia furono irremediabilmente spacciati da questa politica ignobile, come Cavour col suo sguardo limpido aveva previsto da un pezzo; e nello stesso tempo Napoleone, come Cavour aveva parimente presentito, apparve agli occhi delle grandi potenze come il complice di tutti i futuri avanzamenti della rivoluzione italiana. Il plebiscito nelle nuove provincie diede al mondo ancora un'altra prova dell'orribile depravazione morale dell'impero. La goffa falsit?? dell'asserzione, che la Francia abbisognasse del versante delle Alpi per la difesa dei suoi confini, l'oltracotanza soperchiatrice, che si pales?? con l'incorporazione anche delle parti neutrali della Savoia, il bugiardo tiro alla Confederazione elvetica, che di botto fu perfidamente defraudata di Chablais e di Faucigny dianzi promessele formalmente; tutti cotesti tratti dell'antica politica napoleonica di sopraffazione misero in moto il mondo diplomatico. Il tentativo della Prussia di formare una coalizione contro la Francia and?? a vuoto propriamente per la debolezza dell'Inghilterra, ma sulla corte imperiale pes?? di nuovo la diffidenza di tutto il mondo. Non era dunque inconfutabile la savia osservazione fatta nell'ira da Peel e da Roebuck: ??se oggi la Francia esige Nizza per ragioni geografiche, domani per le stesse ragioni pu?? pretendere il Reno???

L'onda della rivoluzione italiana aveva buttato in disparte l'imperatore, che le aveva disserrato le chiuse; ed egli cadde affatto nell'ombra, quando Garibaldi pigli?? l'ardimentosa impresa nel Mezzogiorno. Dai rapporti di ambasciata del napoletano De Martino noi ora sappiamo con quanta pena e ripugnanza l'imperatore seguisse i progressi dell'unit?? d'Italia. Come mai avrebbe egli potuto comprendere un Garibaldi? il despota comprendere il condottiero delle libere falangi, l'imperatore dei francesi il patriota di Nizza? L'inimicizia e l'affinit?? del destino dei due uomini vanno tra i fenomeni pi?? meravigliosi di questa et?? opulenta di grandezze. L'uno e l'altro avevano cominciato nello stesso tempo la loro carriera con un puerile tentativo di sollevazione, l'uno e l'altro avevano trovato asilo di l?? dall'Oceano, l'uno e l'altro toccarono quasi la stessa ora la dittatura framezzo al turbine della rivoluzione. Ed ora per la quinta volta si scontravano in una lotta irreconciliabile la sublime anima di fanciullo del demagogo e la fredda mente calcolatrice del politico pratico. L'imperatore bramava di salvare le Marche alla Santa Sede, ma l'accecamento della Curia respinse la sua mano. Accorrere in aiuto dei Borboni era impossibile: Napoleone III non aveva le mani legate solamente per via dei suoi affari e delle ansie per i capitali francesi, che egli stesso aveva attirato in Italia; sapeva, per giunta, che gl'italiani lo stimavano legato: et voil?? ma faiblesse! Donde il riguardo all'Inghilterra, che Cavour aveva cattivata interamente all'unit?? italiana. Temporeggiando, tra nuovi indugi e vecchie ricadute, lasci?? finalmente che l'ineluttabile corresse per la sua china. Fintanto che visse Cavour, Napoleone non riusc?? mai ad alienarsi completamente dalla causa italiana. Il potente intelletto sapeva sempre rabbonire il despota; e nella primavera del 1861 si era gi?? in procinto d'intendersi pacificamente sull'avvenire di Roma. Proprio allora il grande statista mor??; e subito il dispetto compresso di Napoleone si manifest?? bruscamente. Il regno d'Italia fu riconosciuto dalla Francia non prima del gennaio 1862. Non prima della lettera del 20 maggio 1862 l'imperatore principi?? a riavvicinarsi alla nuova potenza: espresse la fiducia, che il papa avrebbe accordato ai suoi sudditi le libert?? municipali, e che l'Italia avrebbe riconosciuto i confini dello Stato della Chiesa. L'infame sottomissione del gabinetto italiano e la catastrofe di Aspromonte condussero in fine all'accordo.

Chi teneva dietro alla stampa liberale del tempo, dal Journal des d??bats al Si??cle, poteva facilmente incorrere nell'illusione, che la nazione bramasse l'annientamento dello Stato della Chiesa. L'imperatore era interprete migliore dell'animo del suo popolo. Laddove l'unit?? d'Italia incontrava ora caldi partigiani presso le nazioni dianzi ostili, per contro nella Francia alleata le sorgevano giorno per giorno nuovi avversari: la maggioranza dei francesi chiedeva la continuazione del potere temporale del papa, alcuni per gelosia verso l'Italia, altri pei loro sentimenti clericali. Frattanto anche in Italia si principi?? a ricredersi delle esaltazioni speranzose e a comprendere l'immensa arduit?? della questione romana. Una lettera di Massimo d'Azeglio sottopose all'imperatore l'idea di sistemare in Italia la situazione per mezzo di un trattato, secondo che gi?? aveva tentato Cavour. I negoziati con Menabrea a Vichy conclusero alla Convenzione di settembre, la quale impegnava all'evacuazione di Roma e affidava agl'italiani la protezione dello Stato pontificio. Questo accomodamento consentiva agl'italiani per lo meno un termine, per menare a compimento nel nuovo stato l'unit?? della legislazione e dell'amministrazione. Davanti a un problema storico mondiale il sovrano di Francia non poteva apertamente star soddisfatto n?? dell'asserzione dei politicastri sbrodoloni nazionalisti, che il papato sopravvivesse a s?? stesso, n?? del rintronante pitaffio del rosso principe Napoleone, che l'ultima fortezza del medio evo doveva cadere. Gli toccava di usare riguardo all'opinione del suo popolo e al sentimento della cristianit?? cattolica, la quale era tuttora ben poco preparata all'abolizione del potere temporale del papa. Tale era anche l'opinione dei pi?? grandi italiani. Lo stesso Cavour aveva trattato con le Tuileries in questo senso. Certo, anche qui saltava fuori un'altra volta e sempre pi?? l'incurabile contraddizione intima della politica napoleonica. Era palmare, che una nazione risorta test?? a nuova vita non poteva rinunziare per sempre alla pi?? gloriosa delle sue citt??, al focolare sacro della sua gloria antichissima. Un vero grande statista, che comprendesse la potenza della passione nazionale, e, insieme, volesse far ragione ai sentimenti del mondo cattolico, doveva movere dalla persuasione, che in un prossimo avvenire il potere temporale del papa sarebbe tramontato e Roma sarebbe toccata agl'italiani; e doveva solamente cercare d'impedire, che Roma divenisse la capitale d'Italia. Questo infelice disegno fantastico, che non poteva far di meglio che danneggiare il giovine stato, fu allora combattuto vivamente da d'Azeglio e altri leali patrioti, e forse lo avrebbe mandato a vuoto anche una politica francese saggia e generosa. Ma Napoleone, incapace d'intendere interamente le forze spirituali di questa rivoluzione, sperava sul serio, che il movimento unitario si sarebbe fermo e raccolto in venerazione davanti al potere temporale del papa. E costrinse quindi il governo di Vittorio Emmanuele a trasferire la capitale a Firenze, abbassandone in questo modo l'autorit?? agli occhi degli italiani, laddove solamente un governo forte avrebbe potuto osservare la Convenzione di settembre.

Il trattato era un puro espediente, giacch?? i due contraenti si riserbarono la mano libera pel caso di una insurrezione dei romani; contava per?? sul fatto, che durasse e che fosse rispettato. Perci?? fu accolto con collera e indignazione in alta Italia; ch?? questa parte politicamente la pi?? esperta degl'italiani sent??, che col trasferimento della capitale lo stato rinunziava per sempre o per lungo tempo a Roma. Solo la fantasia, poco abituata alla chiarezza, del Mezzogiorno men?? gran giubilo: immagin??, che il trattato non fosse pensato seriamente. Quando poi il radicalismo imprese contro Roma un'immatura spedizione di conquista e il gabinetto di Firenze venne meno al dovere del patto, allora alla corte delle Tuileries il partito spagnuolo rialz?? il capo, e il sommo sacerdote della religione dell'amore fece fucilare in massa la sua greggia dagli chassepots. A un tale spettacolo riboll?? fieramente ogni cuore protestante e di nuovo si persuase dell'indicibile vilt?? di ogni teocrazia. Ma la colpa di quella atrocit?? non toccava solamente all'imperatore. Se pel vincitore di Solferino era funesto combattere gl'italiani, pure era impossibile all'imperatore dei francesi tollerare in silenzio l'infrazione aperta di un trattato conchiuso con la Francia. La ragione estrema di questa posizione insostenibile era riposta nelle condizioni interne dell'impero: nella lega con gli ultramontani, che una volta annodata non si poteva pi?? sciogliere, e, altrettanto pi??, nell'invidioso puntiglio di predominio del popolo francese. I francesi salutarono la giornata di Mentana con una gioia schernitrice, che torna a loro ignominia. L'infame giubilo: les chassepots ont fait merveille, ripercoteva del resto sui tedeschi anche pi?? che sugl'italiani. Giacch?? l'odio alla Germania attutiva ormai ogni altro sentimento: la Francia gongolava che la sua nuova arme fatata superasse il fucile ad ago dei tedeschi.

Cos?? la politica italiana del bonapartismo, splendidamente incominciata, periva miserabilmente. Il liberatore della Lombardia era riguardato come il nemico mortale degl'italiani, e questa volta ben a ragione; perch?? la sua guarnigione a Roma era il cuneo di ferro che spaccava in due il giovine regno. Napoleone desiderava sempre la liberazione di Venezia; ma solamente l'imbastardita consorteria successa a Cavour gli prestava l'antico ossequio. In Italia saliva in considerazione il partito di azione, che un tempo la mano sovrana di Cavour teneva a segno; e predicava, che la questione romana non era pi?? a risolvere coi mezzi morali, ma con la guerra alla Francia. I tentativi d'ingerenza di Napoleone durante la guerra boema incontrarono un freddo rifiuto presso la maggior parte degl'italiani: l'Italia non dalla sua mano voleva ricevere il Quadrilatero. La Santa Sede fu da allora il suo solo alleato; e gli rimase unicamente l'enimmatica speranza, che fosse forse per riuscire nell'incerto futuro un papa Bonaparte, che riconciliasse la Curia col suo tempo e col suo popolo. Il vincitore di Solferino era adesso il protettore del papa: l'imperatore cadde, e trascin?? seco il papa re.

Nelle complicazioni d'Italia e d'Oriente Napoleone III aveva apportate alcune idee notevoli; e cos?? pure le imprese oltremarine di quel tempo s'ispirano evidentemente a un pensiero serio. Non movevano puramente dal proposito di procurare all'esercito trionfi comodi e a buon mercato, di mostrare ancora una volta al mondo i britanni come i caudatari della Francia, di consentire all'impero di elevare a s?? stesso il panegirico che le sue armate avevano vinto in quattro parti del mondo: ma anche di aprire nuovi sbocchi al commercio. I porti della China si schiudevano ai vascelli dei barbari dai capelli rossi, gli ambasciatori del Siam e del Giappone giravano per le corti di Occidente. Davanti a tali benefici l'Europa indulgente dimenticava volentieri, che i saccheggiatori unnici del gran tempio dei cinesi avevano aggiunto una nuova fronda a quella corona d'alloro, le cui foglie portavano scritti i nomi di Speyer, di Friburgo, di Worms e di Heidelberga deleta. L'imperatore, a quanto pare, era convertito all'opinione di Persigny: ??la parte guerriera della Francia in Europa ?? terminata??: sperava di assicurare l'avvenire della sua Casa merc?? i benefizi della pacifica espansione dei commerci.

Ma la potente et?? lanci?? nuovi movimenti, che non ubbidivano alla direzione del bonapartismo. Prima di tutto l'insurrezione della Polonia. L'insinuazione saccente, se il dittatore Langievicz non stesse forse al servizio di Napoleone III, gi?? da un pezzo oggi ?? soggiaciuta al riso meritato. ??Dovrei??, disse l'imperatore stesso, ??riguardare la causa della Polonia come assai popolare in Francia, se arrischiassi per sua ragione la buona intesa con la Russia??. Col fatto, questa amicizia con l'impero degli czar, rafforzata al Congresso di Parigi, garantiva allo stato napoleonico l'unico e solo appoggio straniero. Nondimeno, una volta posta la questione, e ridesto il fantastico entusiasmo della nazione per gli antichi alleati di Bonaparte, il napoleonide non poteva esimersi da una fastidiosa ingerenza. Cos?? gli tocc?? di provare una insolente ripulsa e di assistere all'annientamento della Polonia. Cerc?? di medicare lo smacco invitando il 4 novembre 1863 i principi di Europa a congresso sulla Senna. ??Due vie??, esclam??, ??stanno aperte: l'una con la riconciliazione e la pace mena al progresso, l'altra mena inevitabilmente alla guerra per la caparbiet?? di mantenere in vita un passato sommerso??. Noi non crediamo che il cervello di un uomo di stato potesse sperare seriamente di levar di mezzo con una riunione diplomatica le formidabili questioni insolute della politica europea. Uno spettacolone, splendido riscontro al Congresso di Vienna, avrebbe dovuto rinsaldare novellamente la riputazione scossa dell'impero, ecco tutto. Ma solo una valutazione smodata della potenza della Francia poteva spingere Napoleone all'illusione, che i grandi potentati avrebbero preso parte ubbidiente alla gherminella. La ricusa dell'invito fu un'altra diffalta del bonapartismo.

Mentre l'imperatore lanciava in tal modo superbiose parole nel vuoto, aveva gi?? posto mano all'impresa inesplicabile della sua vita, la spedizione del Messico. Uno scritto dilettantesco del pretendente gi?? aveva trattato del grande avvenire dell'America centrale; e adesso l'indole appiccaticcia dell'uomo si lasci?? ricondurre ai sogni della giovinezza dalle bugie dei profughi messicani e dalle suggestioni del partito spagnuolo alla corte. Non si sarebbe potuto dimostrare in modo pi?? tagliente, che la Francia imperiale era uno stato incostituzionale. Laddove in quasi tutte le sue imprese guerresche l'imperatore si era prima assicurato l'appoggio del liberalismo, questa volta invece l'intrapresa scaturiva dalla volont?? personale del despota. La nazione in principio tenne un contegno freddo, poi espresse unanimemente la sua riprovazione. La stessa armata non voleva saperne di trionfi nel paese della febbre; si ?? preteso perfino di aver sentito di tanto in tanto il grido di ??viva la repubblica!?? tra le truppe imbarcate pel Messico.

Al dispotismo, pi?? agevolmente che al parlamento, era dato riconoscere ed emendare l'errore intrapreso; ma in questo mal tratto l'autocrata mostr?? un incapamento incorreggibile. Anche dopo che l'onore delle armi francesi nel maggio del 1863 era stato ristabilito, la disperata faccenda fu trascinata per altri sei anni fino alla rotta completa. In Germania l'opinione pubblica, che spesso a quel tempo s'ingannava tondo sulle faccende estere, si era collocata dal principio in faccia alla guerra americana col giudizio manifesto: ??il nostro idealismo non creder?? mai alla vitalit?? degli stati schiavi inciviliti??. Andava altrimenti in Francia e in Inghilterra: l?? si ricordavano ancora delle tirate della stampa inglese contro ??il tiranno sanguinario Lincoln, che non ?? stato mai un gentleman??, e del grido di angoscia innalzato dal corpo legislativo dell'impero per la caduta di Richmond. Era destino dell'imperatore, cotesto, di partecipare questa volta all'opinione corrente, egli proprio che tanto spesso si era elevato sul suo popolo con la sua pi?? libera concezione della grande politica. Il despota non poteva apprezzare di nuovo le forze morali nell'enorme campo di lotta. Credeva allo sfacelo dell'Unione, offendeva l'antico alleato della Francia senza sostenere efficacemente l'avversario. Lo zio un tempo aveva conchiuso con Monroe il trattato sulla Luigiana: alla corte del nipote l'orgogliosa dottrina ??l'America agli americani?? era tenuta una frase. Il predominio sulle nazioni latine, gi?? mezzo giocato nelle lotte italiane, bisognava riconquistarlo nel nuovo Mondo. Ma l'Unione anche durante la guerra sosteneva con braccio gagliardo la dottrina di Monroe. Si sarebbe dovuto fondare un impero ereditario con la ben nota gerarchia dei consiglieri di stato, prefetti e sottoprefetti proprio in mezzo a quella vita di economia peonica del tropico, per cui l'unica forma possibile di stato ?? una gioconda alternazione di anarchia e di dittatura. Sciocchezze politiche inconcepibili, e rincarate, per giunta, dalla fondamentale immoralit?? dell'impresa. La tragedia raccapricciante, principiata tra i cedri del parco imperiale di Chatapultepec e terminata nei bastioni di Queretaro, rammemora quei giorni di Baiona, in cui lo zio svel?? la nequizia diabolica della sua perfida natura.

Cos??, pel ruzzo di un despota, colarono le forze preziose dell'esercito e delle finanze. Principi?? allora l'elevazione della Germania, e colp?? al cuore le idee predilette dei francesi. Il regno borbonico aveva fondato il suo predominio esclusivamente sui frantumi della potenza tedesca, e la preponderanza innaturale della periferia poteva continuare esclusivamente finch?? durasse lo squarcio al centro del continente. Perci?? tutti i partiti, compresi Persigny e gl'intimi dell'imperatore, erano concordi nell'avviso, che il nostro genio fosse nemico dell'unit?? e che il frastagliamento, la belle vari??t??, della federazione degli stati tedeschi fosse la garanzia della pace del mondo. Il giudizio universale seguito sulla Germania si era formato nell'ultimo trentennio e fermato cos??: la Prussia rappresenta lo stato militare dispotico, gli stati della Confederazione del Reno rappresentano la patria della libert?? tedesca. Lo sviluppo delle lotte di partito dei tempi successivi poteva appena intenderlo lo straniero, e meno di tutti il liberale francese; giacch?? questo si proponeva di limitare la eccessiva potenza del governo, noi, al contrario, guarire la debolezza della nostra vita pubblica per mezzo di un forte potere centrale. Di qua come di l??, sopravviveva in talune particolari nature ghiribizzose l'umore acre dei vecchi tempi; e come a noi tedeschi tocc?? di udire dalla bocca di un esteta pieno d'ingegno l'affermazione, che la Francia non possiede una vera e propria lingua, e altre somiglianti assurdit?? di gusto teutonico vetusto, cos?? anche la Francia vantava i suoi mangialemanni, cio?? i Desbarolles e compagni. Ma tra i francesi colti continuava a predominare un'amicizia indulgente verso la Germania; n?? alcuno profondeva pi?? elogi agrodolci alla nostra impenetrabile astuzia e alla recentemente scoperta pr??voyance usuelle de l'Allemagne. Nel magnifico quadro del Congresso di Parigi di Dubufe i signori von Manteuffel e von Hatzfeldt sono meritamente meschini e cacciati nello sfondo. Era quello il posto che, secondo l'opinione dei francesi, competeva ai tedeschi nella grande politica europea.

La condotta di Napoleone fin dal principio del suo dominio corrispose a siffatte predisposizioni della nazione. Il nipote si era preparato alla politica sia italiana che tedesca con alcune idee dello zio. Arrotondare la Prussia tra il Settentrione e l'Oriente, non consentire a nessuno dei due maggiori stati della Confederazione una posizione dominante, assoggettare gli staterelli all'influenza della Francia, ridomandare quanto pi?? era possibile della Germania occidentale per l'impero napoleonide: a cotesto, press'a poco, erano dirette le segrete speranze del nipote di Napoleone. Perci??, fin da presidente, si era affannato con vigile zelo a sventare lo sperato reame di settanta milioni di uomini del principe di Schwarzenberg; solerzia, la quale per l'appunto dimostrava quanto poco pizzicasse di cose tedesche: e perci?? i suoi ambasciatori in tutte le piccole corti tedesche dovevano stimolare incessantemente la gelosia contro le due potenze direttrici della Confederazione. La storia delle segrete relazioni tra la Prussia e la Francia ?? tuttora al buio; ma dalle schiaccianti rivelazioni fatte al mondo dalla Prussia nel luglio del 1870 ?? lecito ravvisare con sicurezza, che la condotta di Napoleone verso di noi fu di gran lunga pi?? sleale, di gran lunga pi?? indegna di quanto tutti non credessero al tempo della guerra dello Schleswig-Holstein. Come lo zio, il nipote cerc?? prematuramente d'intendersi con la Prussia. Non pi?? che un'occhiata alla carta germanica insegna, che la distribuzione territoriale del Congresso di Vienna non poteva durare, e che infallibilmente sarebbe stato tentato ancora una volta il fridericiano corriger la figure de la Prusse; e la Francia, quindi, avrebbe forse tratto vantaggio per s?? dall'ambizione, alla quale per la sua situazione stessa lo stato prussiano era sforzato ad uniformarsi. Ma a tali disegni non diedero appicco la lealt?? di Federico Guglielmo IV e l'indolenza del ministero Manteuffel.

Se ci ?? lecito prestar fede al carteggio di quel Tommaso Duncombe, che era sempre ai lati dell'imperatore, Napoleone gi?? fin dal tempo delle complicazioni del Neuenburg si destreggi?? per caso mai gli venisse fatto di ottenere di favore dai desiderii del re una striscia di territorio renano. La Prussia resist?? alla tentazione, e l'imperatore decise la faccenda in nostro pregiudizio. N?? la situazione, quando apparve a Parigi il nuovo ambasciatore von Bismarck, divenne pi?? amichevole. La franchezza ardita e acutamente calcolata della grande Prussia era ritenuta dalla sempre strascicata e succhiellata politica napoleonica come una sventatezza studentesca; e alle Tuileries, dove non si aveva il minimo sentore della potenza sonnecchiante della Prussia, sorridevano dell'inflessibile orgoglio nazionale tedesco come di un vuoto sbraciamento. Cotesto vilipendio della Prussia era partecipato anche dagl'ingegni notabili della nazione. Io mi ricordo ancora volentieri delle conversazioni di quegli anni con un francese di elevata mente. Egli conosceva e amava la Germania, e c'intendevamo facilmente su tutte le questioni della vita intellettuale tedesca; ma come il discorso cadeva sopra ??un certo grande stato dal quale voi, mon ami, vi aspettate tanto??, allora il fran??ais n?? malin saltava fuori di botto in cattive spiritosit??.

Quale indignazione, dunque, quando principi?? un'altra volta il movimento dello Schleswig-Holstein! Il sentimento di piet?? nutrito da quindici anni pel vecchio alleato di Napoleone, le pauvre petit roi de Danemarc, risorse a nuovo: parve una scelleraggine inaudita che la Germania non volesse tollerare oltre la dileggiante arroganza di un nemico imbelle. I vecchi partiti incorreggibili non seppero spiegarsi altrimenti la riserva dell'imperatore se non con la torpidit?? della vecchiaia placida o con la bizza vendicativa contro quell'Inghilterra, che aveva rifiutato negli affari polacchi ogni seria cooperazione al napoleonide, e adesso, con un brutale urlo di guerra, dava fondo alla sua riputazione politica. L'andamento intricato della lotta, l'insania dell'odio alla Prussia nello stesso campo liberale tedesco era tutt'altro che appropriata a dar lume ai vicini prevenuti. Il ministro prussiano, di cui l'imperatore aveva visto malvolentieri l'assunzione al ministero degli esteri, conferm?? immantinente la sua maestria diplomatica nella situazione forse la pi?? ardua che gli fosse stata creata. Egli si piant?? saldamente sul terreno dei trattati europei, e cos?? costrinse l'Austria a seguirlo e le altre potenze a restarsene inoperose, laddove, in realt??, l'intera Europa era concorde contro la Prussia. Ma Napoleone aspett?? la sua ora: previde, che i vincitori verrebbero presto alle brusche sul prezzo della vittoria, e sperava allora di ottenere senza gravi sacrifizi l'agognata rivendicazione. Arriv?? l'ora e si ademp?? la sua speranza. Scoppi?? in Germania la lotta pel dominio.

Napoleone non era esente di cordiale predilezione pel paese della sua fanciullezza, ma bonne vieille Allemagne; pregiava la bravura e la lealt?? tedesca e stimava imparzialmente la nostra scienza pi?? che la francese. Ma del nostro talento politico opinava assai meschinamente. Vedeva quanto fosse poca e poco efficace la passione popolare che si nascondeva dietro le rumorose risoluzioni e dichiarazioni di nullit?? e annullazioni delle nostre assemblee. N?? conosceva abbastanza la Germania, per presentire ci?? che allora perfino da noi appena pochissimi avvertivano: che, cio??, il nostro sminuzzolamento di staterelli marcito fino alle midolle delle ossa sarebbe andato in rovina al primo urto anche senza una vampata di passioni popolari. Il nemico del parlamentarismo non ha, certamente, professato mai l'opinione liberale, che per la sua contesa lotta costituzionale la Prussia fosse incurabilmente malata. Ma un'idea chiara della reale potenza della Prussia egli non la possedeva. La Landwehr, celebrata cos?? sovente da lui stesso, ora, dopo le descrizioni fattene dai suoi strateghi di corte, gli pareva un ammasso di cattive milizie, e affatto indubitabile la superiorit?? dell'Austria. Con quanto ossequio l'ambasciatore della superba Hofburg civettava dintorno al favore della Francia! con quanta confidenza il principe di Metternich parlava della vittoria dell'Austria! Napoleone fantasticava, che davanti a una lotta cos?? impari la Prussia sarebbe stata disposta a pagare qualunque prezzo pel soccorso della Francia. E pi?? volte offr?? a Berlino un patto di alleanza: coi 300.000 uomini, che allora teneva a stento sotto le bandiere, si sarebbe avventato sull'Austria, contro, per??, un forte compenso nel Belgio e nei paesi renani. Quando poi tutti cotesti immondi tastamenti s'infransero contro il senso regale del sovrano di Prussia, allora soltanto le Tuileries cangiarono. D'allora in poi contarono sulla disfatta della Prussia.

Napoleone desiderava, agognava lo scoppio della guerra. Se voleva serbare Roma al papa, era costretto a procurare almeno Venezia all'Italia. Perci?? spingeva il temporeggiante Lamarmora a conchiudere l'alleanza guerresca con la Prussia. Ma la lega italo-prussiana doveva servire solamente come una leva per rovesciare nella guerra la corte prussiana, considerata sempre a Torino e a Parigi come una traccheggiante tuttora irresoluta. Raggiunto lo scopo, la Prussia non avrebbe pi?? potuto tirarsi indietro, e allora l'Italia avrebbe dovuto ritrarsi immantinente dall'alleanza. Napoleone fu a parte del segreto quando l'Austria, poco prima che la guerra rompesse, cerc?? di spezzare la lega degli avversari con l'offerta della cessione di Venezia. Solo che egli voleva differire l'effettuazione di questo disegno a dopo l'inizio della guerra. Perci?? la corte di Torino fin da principio scese in campo senza seria convinzione; giacch??, quali si fossero gli eventi, si era sicuri di tenere il premio della vittoria. Dopo le prime avvisaglie in Italia, calcolava Napoleone, l'Austria avrebbe ceduto Venezia, e cos?? avrebbe disimpegnata la sua armata meridionale pel conflitto con la Prussia. Rimasta la Prussia a terra, allora si sarebbe fatta avanti la Francia, sia come salvatrice, sia per aggiustarle il colpo di grazia, in qualunque caso con l'aspettativa di un bottino lauto e facile. Tali erano in sostanza le speranze di Napoleone. E ci?? che stupisce di un tal disegno non ?? la perfidia, ?? la pietosa imbecillit??. Il despota era invecchiato, viziato dalla fortuna, viziato dalla sommissione dell'Inghilterra e dell'Italia. Si pensava di padroneggiare in lungo e in largo la rozza Prussia. Non sospettava nemmeno, che i premi splendidi, quali egli sognava, li raggiunge solamente l'energia alacre, la fusione di tutte quante le forze dello stato. Pensava di mietere comodamente dove non aveva seminato.

Napoleone principi?? col dare al proprio paese desideroso di pace una prova della sua mansuetudine: convoc?? a Parigi una conferenza: al cui successo era impossibile che credesse. Il giorno 11 di giugno, a guerra gi?? decisa, una lettera al ministro degli esteri annunzio le speranze dell'imperatore nell'avvenire della Germania. Diceva di desiderare un ampliamento di territorio solamente nel caso che la carta di Europa si fosse alterata a esclusivo vantaggio di una potenza. Il napoleonide proclamava e affermava il diritto della Francia di esaminare i disegni della riforma federale tedesca: diritto, che il principe di Metternich aveva accordato allo straniero per l'appunto in quei trattati di Vienna tanto esecrati da tutti i Bonaparte e discendenti! Ma egli lascia stare in pace il diritto, e si contenta di desiderare, per gli stati centrali, una federazione pi?? stretta, un'organizzazione pi?? salda e una parte pi?? importante; per la Prussia, una maggiore omogeneit?? e potenza nel Settentrione; per l'Austria, la conservazione della sua posizione cospicua in Germania.

Questa lettera era una traforeria? La troppo ammaliziata e furba sgarbatezza di annusare la bugia dietro ogni parola dei potenti, e per l'appunto poi rispetto al terzo Napoleone, sovente ?? andata a vuoto. Falsit?? senza scopo, facili ed usuali all'essenza diabolica dello zio, non s'incontrano nella vita del nipote. E quale escogitabile scopo poteva indurlo a dare pubblicit?? a opinioni che non nutriva, e proprio in un momento, in cui ogni giorno che veniva rischiava di scoprirne la futilit??? L'intento di calmare il corpo legislativo sarebbe stato manifestamente agevole raggiungerlo con espedienti meno pericolosi. No: la lettera dell'11 giugno diceva la verit??. L'autore esprimeva seccamente di essere nemico della Prussia. Desiderava, insomma, la triade, vale a dire la Confederazione renana in forma pi?? moderna e la Prussia risospinta verso Oriente. N?? voleva rotta la colleganza dell'Austria con la Germania, ma, ci?? non ostante, non permesso all'impero danubiano il dominio sugli stati centrali. Come mai il francese non subodorava proprio nulla dell'enorme significato di una tale contesa, che poteva aver fine solamente, o con la ributtata dell'Austria, o con l'assoggettamento della nazione tedesca ai croati e ai gesuiti! La Prussia poteva ampliare il suo territorio al settentrione e all'oriente e guadagnare in ??omogeneit????: notoriamente, in Francia, la terra renana non ?? considerata come un elemento ??omogeneo?? del nostro stato. Non era fattibile, dunque, palesare in un modo pi?? ingenuo, che il sovrano di Francia, il quale nella questione italiana aveva date tante prove di pensare indipendente, nella politica tedesca, poi, non si elevava sulle miserabili ombrosit?? dell'invidia orleanista e sui pregiudizi tracotanti della media dei francesi. Quale prospetto! la Germania castrata al Reno, gli stati centrali dominati dalla Francia e, per soprammercato, rimbastiti in una federazione di lustra con la Prussia e l'Austria! Come dovevano sentirsi sicuri alle Tuileries, quando erano cordialmente affidati da orecchio a orecchio tutti cotesti segreti del cuore! Frattanto il segreto frugacchiare e ribruscolare della diplomazia francese, e l'ombrosa furbizia delle Tuileries avevano incontrato la maestra nell'energia della Prussia. Il conte Bismarck aveva saputo con le sue impareggiabili ??trattative dilatorie??, traccheggiare la corte napoleonica fino all'inizio della guerra. Il nostro stato maggiore era a giorno delle conseguenze dell'impresa messicana: a Berlino era noto il trasandamento dei magazzini militari francesi. Si sapeva, che la Francia non era punto al caso, come domandava lo squarciavento Girardin, di pronunziare davanti alla guerra un il faut en finir, e che in ogni modo non poteva scendere in campo prima di varie settimane di armamenti. Ci?? bastava, giacch?? il gabinetto prussiano contava su un successo rapido, travolgente; senza pensiero sulla sicurezza del territorio renano, sarebbe intrapresa la marcia ardita su Vienna.

Subito dopo la battaglia di K??niggr??tz la Francia si fece avanti con un tentativo di mediazione a cui, di botto, in modo abbastanza sconveniente, fu data pubblicit??. Parigi and?? in gongolo, quando la casa disperata di Lorena ced?? a Napoleone III i suoi dominii italiani: il popolo francese ritornava a rappresentare la sua parte di pacificateur naturel de l'Europe. Frattanto la Prussia spingeva innanzi la vittoria. Il 13 luglio, quando la capitale nemica si presentava gi?? come sicura preda al nostro esercito, la Francia consegn?? le sue proposte pei preliminari della pace: l'Austria si staccava dalla Confederazione, Venezia era abbandonata agl'italiani, la Prussia otteneva il supremo comando militare in una federazione germanica settentrionale e il risarcimento di una parte delle spese di guerra, oltre poi lo Schleswig-Holstein senza i distretti nordici. Tale sarebbe stato il premio di una fulgida vittoria, tale la retribuzione sopra quei nemici implacabili, che meditavano di annientare ??l'improvvisazione?? di Federico il Grande! Nel frattempo la Francia incitava incessantemente alla lotta gli stati meridionali; perfino nel momento che il signor von Varnb??ler era in procinto di partire per Nikolsburg, pot?? comunicare alla camera del suo paese un dispaccio aizzante della Francia. Dopo la spedizione di Mainfeld tutte le corti meridionali, eccetto quella del Baden, implorarono l'aiuto dell'imperatore; e questo s'interpose calorosamente per le nazioni della Confederazione del Reno, e due volte per la Baviera.

Alle proposte del 13 luglio la Prussia non aveva opposto un rifiuto, ma preteso, che la pace fosse trattata esclusivamente tra le parti belligeranti. Il 16 luglio Benedetti annunzi?? dal quartier generale, che la Prussia desiderava dall'Austria l'assicurazione di ??alcuni?? acquisti territoriali nel Settentrione indispensabili al complemento del suo dominio. Dagli avvenimenti successivi ?? agevole arguire, che o lo stesso inviato o certamente la corte delle Tuileries erano all'oscuro sulla dimensione di questo ampliamento territoriale. Vedevano, comunque, salva la Sassonia, antica federata del Reno; avevano accordato abbastanza alla predilezione nazionale per la povera piccola Danimarca; notoriamente speravano, che la Prussia si sarebbe contentata di una striscia di terreno tra le sue frontiere sassoni e le westfalesi. Quando in luogo di tali congetture segu?? l'incorporazione degli stati centrali nordici, Drouin de Lhuys sped?? a Berlino un disegno di convenzione, che stipulava la cessione di Magonza. Il prezzo della complicit??, che la Prussia non aveva voluto pagare alla Francia offerentesi di darle mano, avevano ora la faccia di pretenderlo dal superbo vincitore, il quale doveva il trionfo unicamente a s?? stesso! La risposta fu semplicissima: l'invio immediato dell'artiglieria pesante sul Reno. Ora finalmente Napoleone comprese quali enormi errori aveva commessi. Era perduto, se gli eserciti prussiani si precipitavano sul paese disarmato. Drouin de Lhuys fu dimesso. Il 12 agosto Napoleone scrisse a Lavalette di lamentare che quel disegno non fosse rimasto segreto, che si fossero sparse in piazza voci esagerate di compensi ??ai quali noi potremmo aver diritto??; di essere stato informato da Benedetti del rifiuto di ogni cessione da parte della Germania, e di volere da ora in poi aiutare con disinteresse il riordinamento del nostro stato.

Dopo un breve indugio la logica dei fatti esercit?? anche questa volta la sua malia sul freddo senso dell'uomo di stato. Egli vide il nuovo stato tedesco aggrandirsi orgoglioso e sicuro, e il 16 settembre fece pubblicare la famosa circolare di Lavalette. Era ivi aperto un quadro grandioso dell'avvenire, benefico pel mondo, se fosse durato: la Francia riconosceva la necessit?? di potenti stati nazionali, che un giorno dovrebbero far fronte ai corpi giganti della Russia e dell'Unione. Solo che la nazione aveva sentito l'innalzamento della Germania come uno schiaffo in piena faccia. N?? si era rassicurata, quando la Lorena aveva durante la guerra celebrato il suo giubileo, e patetici discorsi ufficiali avevano raffrontato la felicit?? della redenta provincia francese con le intricate condizioni della Germania. D'altronde anche molte sdrucite ragioni di tranquillamento del memorabile scritto rimasero senza effetto. Nessuno credeva, che l'antica Confederazione germanica coi suoi pretesi 80 milioni di tedeschi era stata pi?? potente della novella Germania; nessuno, che proprio adesso la coalizione delle potenze nordiche fosse andata all'aria. Era pi?? plausibile il cenno consolante alle nuove potenze marittime di secondo ordine sorte in Germania e in Italia; e un grave ammaestramento alla iattanza nazionale era riserbato nelle parole: ??l'imperatore non crede che la grandezza di un popolo dipenda dalla debolezza dei suoi vicini; il vero equilibrio europeo egli lo vede solo nell'appagamento dei desiderii dei popoli??.

Luigi Napoleone dov?? sentire abbastanza amaramente gli affronti fattigli in pieno viso dalla Prussia; eppure ?? affatto fuor di dubbio, che dopo la pace di Praga pens?? sul serio talvolta a lasciar tranquillo lo stato tedesco. Aveva sperato di vincere in facili cimenti un nemico mezzo trituzzato; ed ora gli stava a fronte la nuova Germania, rigida in catafratta. Ora una guerra contro la Prussia era una lotta per l'essere o il non essere; e l'uomo ormai attempato non si sentiva pi?? la forza a un tale sbaraglio. N?? erano i suoi amici quelli che pi?? sonoramente alzavano il grido di guerra. Sui piani di Lombardia aveva compreso, che gli erano negate le doti del condottiero; e d'altra parte le stesse forze fisiche difficilmente gli sarebbero bastate a un'altra campagna. E un maresciallo francese che dal Reno fosse ritornato in patria col lauro della vittoria, sarebbe stato per la Casa Bonaparte appena meno pericoloso di un generale tedesco, che per la terza volta fosse entrato a Parigi.

Se non che, si era frattanto venuta a formare nel popolo francese una generale disposizione di animo, profonda, piena di conseguenze, che noi tedeschi non consideravamo abbastanza nella sua schiettezza. Quella medesima venefica passione dell'invidia, che noi cos?? spesso abbiamo rilevata nell'odio di classe della pi?? antica storia francese e nel fanatismo di eguaglianza della nuova, esercitava anche adesso e sempre la sua azione nella politica estera dei francesi. Questo popolo aveva sempre il bisogno di odiare comunque un altro popolo dal profondo del cuore; e, se vogliamo prestar fede agli storici francesi, una nazione che si consacra a cotesta passione soave, ?? torturata perennemente dal rovello di un'ambizione sterminata. L'odio antico contro l'Inghilterra, che il secondo impero aveva smorzato, si rovesci?? ora con selvaggia impetuosit?? celtica contro la nostra patria. Cadde come una folgore sul mondo parigino la nuova terribile: la pi?? fulgida vittoria del secolo non era stata riportata dai francesi! Quella stessa Austria, che noi con fatica e con stento appena vincemmo, ora ?? soggiaciuta, fiaccata al capo dalla Prussia, in una guerra di cinque giorni! Era un tegolo sulla testa dei parigini. Si misero allora a ricordarsi, che la Prussia era stata la pi?? colpevole tra i vincitori del primo Napoleone: non appena le trombe della fanteria di B??low squillarono dietro le siepi di Planchenois, la giornata della Belle-Alliance fu decisa. L'antico motto ??vendichiamo Waterloo!?? ced?? al nuovo grido di battaglia ??vendichiamo Sadowa!??. Ogni vergogna, ogni senso del diritto and?? sommerso nella vertigine universale. Un uomo rispettabile come Pr??vost-Paradol scrisse sul tema ??Fummo noi battuti a Sadowa???, e non not?? quale ironia fosse gi?? nel titolo stesso del suo lavoro. Chi ha viaggiato in Francia i primi mesi del 1867, sa con quanta veemenza si oltraggiava in ogni vettura, in ogni caff?? l'insolence prussienne, e che in ogni fiera si dava spettacolo per pochi soldi del fusil ?? aiguille en action. Solamente i prodigi del fucile ad ago potevano spiegare il prodigio della vittoria prussiana. E come era grossolana e, insieme, puerile la gioia dei francesi, quando l'arme prussiana appariva superata dallo chassepot!

Accanto a un tale risveglio di tutte le cattive passioni si rivelarono vuote parole le verit?? pacifiche della nuova scienza storico-politica: l'influenza del lavoro intellettuale tedesco incagli?? quasi di botto. Chi avrebbe potuto biasimare troppo rigidamente il corruccio e la vergogna dell'orgogliosa nazione, nel vedersi oscurare dalla vittoria dei suoi nemici antichi la sua propria gloria guerresca? Ma chi poteva scusare per questo l'urlo senza esempio impudente e incosciente, che tutti i partiti levavano contro la Germania e contro l'imperatore? La France de nouveau bismarqu??e! strillavano e querelavano, ogni volta che la federazione nordica tedesca faceva un passo avanti. Toccava a Napoleone sentire dai suoi intimi amici e parenti il ruvido raffaccio di aver annichililo il pr??stige della Francia: la lettera della regina di Olanda rinvenuta alle Tuileries non lascia certamente null'altro a desiderare in chiarezza di linguaggio. L'opposizione colp?? con zelo la favorevole opportunit?? di manifestare le sue patriottiche ambasce. Il vecchio Thiers era inconsolabile della giornata di K??niggr??tz; Giulio Favre si sciolse in lacrime di commozione pel re dei guelfi; Pr??vost-Paradol dichiar?? che, se l'unit?? germanica si effettuava, una sola via rimaneva aperta alla Francia: perire nella lotta contro cotesta unit??! E tutti questi reazionari, che combattevano le giovani forze del secolo con le idee chiuse di una politica di gabinetto decrepita, tronfiavano col minaccioso frasario di libert?? corrente nel paese. Non cade dubbio, che anche nei suoi ultimi anni, e i pi?? malfermi, Napoleone III era sempre pi?? saggio, pi?? moderato dell'enorme maggioranza dei suoi compatrioti: il suo ministro Rouher in mezzo ai retori belligeri del corpo legislativo parve sovente il solo uomo pensante in un branco di forsennati.

L'imperatore sentiva gi?? vacillarsi il terreno sotto i piedi; gli toccava di appagare comunque la gelosia irritata della nazione. Prese opportunit?? dagl'imbarazzi finanziari della corte olandese per vedere di conquistare alla Francia il Lussemburgo. La scelta non era infelice, perch?? la guarnigione prussiana in cima al vecchio dirupo non poteva pi?? appellarsi a un titolo indubbio di diritto. Se i francesi, con l'acquiescenza del re granduca, vi si fossero inerpicati all'improvviso, non sarebbe stato poi facile alla Prussia oppugnare il fatto compiuto. Ma la crescente ritrosia di azione dell'imperatore lo ritenne, lo attenne a intavolare quelle negoziazioni diplomatiche, che poi gli giocarono il disegno. E con quale cinismo l'affare fu trattato! Che cosa ?? pi?? stupefacente, il lordo negozio con la degenerata casa bancaria degli stessi Orange, oppure il perfido dispaccio francese del 28 febbraio 1867, il quale innocentemente opinava, che certamente la Prussia avrebbe trasferito pi?? volentieri alla Francia la fortezza di Lussemburgo, anzich?? all'Olanda? Non ostante la partigianeria dimostrata dalle grandi potenze all'albagia francese, i maneggi terminarono con un altro smacco dell'imperatore, che nemmeno questa volta si trov?? l'animo bastante alla riscossa. La Prussia rinunzi??, ?? vero, al suo diritto di presidio del Lussemburgo, ma Napoleone vi rimise insieme la sperata rappresaglia di K??niggr??tz e la sua riputazione di uomo di stato.

Dopo sedici anni di lavoro enorme egli era approdato a questo, che, tanto di qua, quanto di l?? dalle frontiere, il suo regime incontrava un'altra volta la stessa diffidenza universale, come nei primi tempi susseguenti al 2 dicembre. La morbosit?? dello stato francese aveva procurato all'intero continente il malessere di una tensione angosciosa, che non era degna del nostro secolo altamente incivilito. Napoleone, come del resto il noto scritto del marchese di Gricourt riconosce apertamente, era in sommo grado sorpreso e conturbato dalla opposizione della Prussia. Si era lusingato di conservare, con una conquista la pi?? possibilmente modesta, la pace tra i due popoli vicini; e adesso anche questo proposito andava a monte per l'orgoglio della Prussia! Anche i francesi pi?? miti e assennati parteciparono a cotesto avviso; come apprendiamo dalla lettera di Renan a Davide Strauss. In senato Persigny domand?? con espressioni di somma ira, se il Lussemburgo non appartenesse per avventura al re di Prussia. ??Questo evento??, conchiuse, ??solleva il velo di un futuro, dal quale non ci ?? lecito oltre distogliere i nostri sguardi!??.

Per conseguenza, nei circoli militari francesi la guerra fu tenuta inevitabile. Il colonnello Stoffel compendiava la gravit?? della situazione nella proposizione seguente: la Prussia vuole estendere il suo dominio sulla Germania meridionale; la forma ?? indifferente; la Francia vuole impedirlo; dunque bisogna venire alla guerra. In effetto, la Prussia non aveva accolto subito gli stati meridionali nella federazione nordica, per non privarli del respiro necessario al raccoglimento e alla preparazione. All'opposto, i francesi stimavano la linea del Meno come un confine inviolabile; la nation wurtembergeoise e gli altri rampolli del ghiribizzo del primo Napoleone dovevano serbarsi alla loro libert??. Per loro, la nazione germanica era tuttora una chimera di tattamellanti professori, un'artificiosa trovata della cupidigia territoriale prussiana. Al napoleonide, dopo quanto era accaduto, erano ancora aperte due vie per appagare l'ambizione del suo popolo. O sobillare la Prussia ad avanzare prematuramente verso il Mezzogiorno; giacch??, dato l'umore titubante e di tanto in tanto affatto abbindolato del popolo meridionale, dato il sentimento non patriottico delle corti di Stuttgart e di Darmstadt, non pareva affatto inconcepibile, che la Francia, alleata con la Germania meridionale, distruggesse la federazione nordica. Oppure Napoleone doveva ammettere, che non era pi?? possibile contrastare l'unificazione di tutta quanta la Germania, e rifare il proprio stato incorporandosi il Belgio. Su cotesto acquisto i suoi cupidi sogni avevano almanaccato indefatigabilmente. Agli occhi di ogni francese il Belgio era nient'altro che una provincia naturale della Francia, e la vivacit?? dei valloni e l'indolenza dei fiamminghi non facevano di meglio che preparare a fondo il terreno della conquista. Solo che il disegno sarebbe potuto riuscire di sorpresa, con la pi?? energica risolutezza. Se Napoleone avesse inondato il Belgio coi suoi eserciti, e poi dichiarato: noi ci poniamo sul terreno del diritto di nazionalit??; vi riconosciamo l'unit?? della Germania e domandiamo per noi questa terra francese; allora la Prussia si sarebbe trovata in una posizione difficile, tanto pi?? che forse non vi era da aspettarsi alcuna opposizione da parte della pacifica Inghilterra. Se non che, una volta manifestato precedentemente, il disegno era gi?? bello e rotto. Come mai si poteva sperare di conseguire il consenso della Prussia? Che cosa la Francia aveva da offrire alla Prussia? Nient'altro che l'assentimento all'impero germanico, che, presto o tardi, era destinato a risorgere, e che si sarebbe potuto impedire soltanto nel caso, che la Prussia in ignobili negoziazioni con la Francia avesse demeritato la fiducia del popolo tedesco.

Napoleone continuava a non avvertire nulla delle forze morali del movimento unitario germanico, nulla dei doveri che questo imponeva alla corona di Prussia. Secondo la sua vecchia esausta maniera, scelse di nuovo la via diplomatica, e subito dopo l'affare del Lussemburgo fece presentare a Berlino il suo antico disegno belga. Nessun diplomatico ha negoziato mai pi?? frivolamente e, insieme, pi?? acciarpatamente di quel pietoso Benedetti, che per poco non fece raggirare la Prussia, e che dal giorno di Olm??tz non aveva mai sentito niente. Lo statista tedesco balocc?? la bramosia francese, ascolt?? pacatamente tutti gl'insensati apprezzamenti sulla Svizzera francese, sul Piemonte, pullulanti in vicenda turbinosa, e ritenne in propria mano la prova inestimabile della cupidigia gallica. Da allora ogni mese ci arrec?? un attestato del sentimento di amichevole vicinanza. La cabala della diplomazia francese si sgrufolava senza tregua nelle nostre piccole corti. Segu?? il convegno di Salisburgo, di cui i tedeschi fiutarono l?? per l?? l'odore ostile. I due imperatori, secondo che risulta da una lettera di Rouher rinvenuta alle Tuileries, s'incontrarono nella risoluzione di non tollerare l'unit?? della Germania: tuttavia l'impero e l'esercito d'Austria non ispiravano alcuna fiducia ai francesi. Susseguirono le trattative per la legione guelfa, i meticolosi tentativi di sottomettere all'influenza della Francia le ferrovie belghe, le geremiadi frenetiche del corpo legislativo sulla ferrovia del Gottardo, che minacciava di porre in mano alla Prussia l'asse del commercio mondiale. Talora Napoleone sperava novellamente di placare la nazione corrucciata, e una volta per mezzo di carte geografiche nitidamente colorite cerc?? di dimostrare ai ragazzuomini, che l'equilibrio delle grandi potenze non si era spostato in disfavore della Francia.

Frattanto l'egemonia sui popoli latini aveva sofferto una nuova scossa dalla rivoluzione spagnuola; e l'urlo di rabbia rintronante per tutta la Francia contro il conte Bismarck accusato di essere il macchinatore dell'insurrezione, prov?? di nuovo, che i francesi non pensavano tuttora ad altro che alla guerra alemanna, e ci?? appunto perch?? non erano capaci di condurre con pacata e grave perseveranza a compimento l'opera della loro riforma interna. Calmo e saldo lo stato germanico seguitava intanto il suo grande cammino. Finalmente Napoleone si risolv?? di conquistare il suo Belgio contro la volont?? della Prussia. La contesa per le ferrovie belghe lo aveva indotto ormai nella persuasione, che non avrebbe potuto acquistare un sol pollice di terreno col consenso della Prussia. Il maresciallo Leboeuf, pieno d'indubitata fiducia, gli dimostr?? la superiorit?? della potenza militare francese. Il malcontento dell'esercito, le pressioni dei vecchi bonapartisti in ansia per le loro prebende, le esortazioni dei clericali, il caos scatenato dei partiti, l'insostenibile assurdit?? della tirannide parlamentare, tutto ci?? condusse a una risoluzione disperata. Fu afferrato con brutalit?? inaudita un frivolo pretesto di guerra, giacch?? soltanto la sorpresa poteva menare allo scopo; e l'imperatore fu con piena verit?? in grado di dire: ??tutta intera la nazione col suo ??lan irresistibile dett?? la nostra decisione??. Questo popolo non era mai sceso in guerra con maggior tripudio; da Perpignano a Parigi, da Marsiglia a Nancy un delirio di gioia corse il paese; e la menzogna con quella. La guerra era preparata da un pezzo, le formazioni per l'attacco predisposte in antecedenza, pronte le nuove armi, ammassate grandi requisizioni di cavalli e provviste di grano: le truppe anelanti di battersi e talmente prodi, che nella prima met?? della guerra i vincitori avevano sofferto maggiori perdite dei vinti: la Francia dal 1812 non era mai stata pi?? forte. Ma da un momento all'altro scoppi?? nell'esercito, nell'amministrazione, in ogni branca della Vita dello stato un orrendo scompiglio, e infedelt?? e indisciplina, che facevano testimonianza non gi?? degli errori di un sistema, ma della generale decadenza morale del popolo. Come mai lo stesso bonapartismo avrebbe potuto prefiggersi di assegnare sulle forze morali? In effetto, esso anche questa volta poteva contare sull'assistenza delle cos?? dette idee liberali; n?? cadeva dubbio che il mondo neutrale, preoccupato come era a favore di quelle, avrebbe celebrato la vittoria della Francia come una vittoria del liberalismo. Ma il bonapartismo non sapeva proprio niente dello spirito eroico di un popolo in armi.

Quante e quante volte durante la lunga pace i francesi avevano cantato strepitando e minacciando: et du Nord au Midi la trompette guerri??re a sonn?? l'heure du combat? Fino a quando il gagliardo inno ammosc?? in una frase sdrucita. Dovevano provarlo adesso, ci?? che ?? una guerra di popolo. Sorse la Germania, risoluta come un solo gagliardo, unanime dalle Alpi al Belt, e segu?? esultante le aquile di Rossbach e della Belle-Alliance. Quando la boria del pi?? superbioso dei popoli fu castigata con una ignominia senza esempio, il giudizio cadde allora anche sull'eletto del popolo. Levato in alto dalle moltitudini, dal capriccio dell'animo popolare, soggiacque per l'insensatezza delle stesse moltitudini. La perplessit?? dello sdegno di Parigi lo ritenne dal compiere quella marcia da Ch??lons alla capitale, che forse poteva ancora salvarlo, e lo spinse sulla via di S??dan, gi??, alla perdizione. Ed ?? singolare, come nella loro ultima impresa campale rassomiglino tra loro il primo e il terzo Napoleone, salvo che il nipote apparve infinitamente pi?? meschino dello zio; come ambedue prima della guerra siano stati ancora una volta levati sugli scudi dalle moltitudini, ambedue strapazzati di corpo e di animo, ombre ormai di s?? stessi, ambedue sull'ultimo campo di battaglia impediti dall'innata volgarit?? del sangue dal cercare una nobile morte, ambedue, infine, condotti ad assaggiare la sconfinata infedelt?? del loro popolo.

VII.

Sopravvenne una nuova rivoluzione, la pi?? miserevole insieme e la pi?? risibile della storia francese, a spazzare adunque gli ultimi rottami del secondo impero: sotto i nostri occhi si ?? terribilmente adempiuta la parola ammonitrice, che francesi di alto animo avevano da anni rivolta ai propri compatrioti: la Francia non pu?? pi?? tollerare rivoluzioni, non una pi??! La menzogna tess?? sempre pi?? fitto il suo velo intorno al capo dello sventurato popolo, sempre pi?? vuoto e sfrenato crebbe il fragore della frase, sempre pi?? lenti divennero i legami che incatenano la bestia nell'intimo dell'uomo, e in mezzo al mostruoso scompigliamento una sola cosa stava salda: che la Francia aveva bisogno della tirannide. Al despota eletto Napoleone, che aveva cercato di frenare la passione della nazione, segu?? il despota Gambetta, che si elesse da s?? e che scaten?? tutti gli istinti selvaggi delle anime, fino a che non la propria forza dei francesi ma la spada germanica venne a detronizzare il tiranno. Vedemmo appresso con raccapriccio, come i vinti si sbranassero in una orrenda carneficina sotto gli occhi del vincitore, e come il partito trionfante usasse del suo ufficio di carnefice con una fredda crudelt??, appetto alla quale i misfatti del 2 dicembre parvero un innocente trastullo. E mentre la nazione si gloriava di essersi disimpegnata per sempre del bonapartismo, lev?? sul suo trono repubblicano il gran bugiardo Thiers, il padre della leggenda napoleonica! Prima della guerra germanica una mente politica doveva desiderare la durata della dinastia napoleonica, e in verit?? non certo pei Bonaparte, ma per la libert??. Se la Casa regnante si fosse consolidata, sarebbe stato sempre concepibile un progresso verso forme statali pi?? libere. Ma ora, che era riprincipiato novellamente l'antico sciagurato circolo corrente dall'anarchia alla tirannide, noi eravamo delusi anche nei nostri desiderii. Governasse pure un quarto Napoleone, un nipote di Filippo ??galit??, un Gambetta o un qualsiasi altro despota repubblicano, nessuno avrebbe steso lealmente a noi tedeschi la mano della riconciliazione. Comunque possa chiamarsi la sua forma di stato, ?? palmare che la Francia rimane il paese della polizia, dell'amministrazione dispotica, della soldatesca degradata in servizi di birri, dei tribunali partigiani, del protezionismo, della frase parlamentare, dell'abbrutimento popolare, del fanatismo cattolico; in una parola, il focolare della reazione europea. ?? questo, in succinto, il costrutto di dieci rivoluzioni!

Percorriamo in ispirito la citt?? profanata, che fu un tempo la pi?? ospitale della terra e che oggi nessun tedesco dignitoso pu?? visitare pi??. Sconcertati dalle impressioni contraddittorie che a ogni pie sospinto assalgono il passeggiero, cerchiamo un rifugio tranquillo dove ci sia dato respirare e riprendere animo sull'avvenire di questa nazione. Noi camminiamo attraverso lo strepito dei boulevards, dove oggi si pavoneggia l'impudenza, non pi?? il fasto del vizio. Traversiamo la piazza Vend??me: era qui la superba colonna, che tanto spesso contempl?? dall'alto i battaglioni pronti a partire per la guerra. Il vive l'empereur! che ?? qui risonato, ci richiama tristemente il saluto di schiavi dei gladiatori morenti; ma pi?? atrocemente ci passa il cuore l'ululo furibondo dei giovinastri, che rovinarono il monumento della gloria nazionale. Andiamo avanti, al giardino delle Tuileries, davanti a quella statua di Spartaco, che suscit?? un tempo l'ammirazione di B??rne. Noi non vediamo l'immagine del libero cittadino nello schiavo che spezza le catene, come dicono le nere rovine del castello imperiale che spuntano laggi?? dietro gli alberi; n?? questo crudo contrasto di libert?? e di servit?? esaurisce in noi il senso profondo della vita dello stato. Tiriamo oltre, sulla piazza della Concordia: mostra ivi l'obelisco di Luxor le sue forme puerilmente senili; monumento eloquente per un popolo, che l?? davanti deve procurare di scordarsi di s?? stesso. Ma troppo sono orride le ombre che salgono su da questo suolo, sul quale un tempo la ghigliottina eseguiva la sua opera sanguinosa; e solo una scultura che ricordasse il Nulla potrebbe adornare questo luogo. Noi arriviamo in fine al palazzo Borbone, dove l'assemblea nazionale della repubblica non si ?? ancora arrischiata di riporre il piede, e c'indugiamo volentieri nel bel vestibolo, dove sono raccolti i grandi della Francia parlamentare. ?? qui il generale Foy, il patriota senza macchia, che nei tempi dileguati della giovinezza e della fidanza sapeva movere ad entusiasmo i suoi ascoltatori con un sol motto: la France. ?? qui Casimiro P??rier, lo spregiatore altero del favore delle folle. Qui si avanza potente dalla parete gialla il pi?? grande dei tribuni, e col braccio alzato scaglia la folgore del suo dire sull'assemblea ammutolita. Era dunque un sogno di folli, il sogno che anim?? questi uomini? Noi sappiamo il perch?? naufragarono e dovevano naufragare le speranze di Mirabeau; ma non crediamo che egli sia vissuto invano.

Noi, i vincitori, prescelti ad eseguire sulla Francia moderna il giudizio della storia, abbiamo innanzi tutto l'obbligo di riconoscere ci?? che la nostra opera politica deve alle azioni, alle idee, agli errori stessi dei francesi. Soltanto che la vera forza dei popoli non consiste gi?? dell'inventare, ma nel formare, ritenere e perfezionare le idee proprie del tempo. Era un francese l'uomo il cui spinto creatore gitt?? la traccia pi?? ardita e sicura del protestantismo; e francesi i sereni eroi della fede, i quali combatterono le prime ardue lotte dell'idea calvinistica. Eppure la sementa di Calvino, che germogli?? opulenta sul suolo straniero, appass?? sul terreno patrio e si perde; e la Francia non prese parte alcuna dei benefizi della Riforma. Si ripeter?? nella vita politica la dolorosa esperienza? Le idee del sistema rappresentativo non sono state superate dal bonapartismo; e vale anche per la Francia la legge storica, che spinge alle forme rappresentative tutti i popoli del continente. La nazione ha semplicemente la scelta, o di trasformare lo stato in modo che possa comportare una rappresentanza popolare, oppure di appassire e irrigidirsi come la Spagna, dominatrice, un tempo, del mondo. L'Europa non pu?? fare a meno del genio della Francia. Sarebbe una sventura ineffabile per la civilt?? del mondo, se il popolo di Moli??re e di Mirabeau avesse sperperata per sempre la sua potenza creatrice. Noi non rinunziamo punto alla speranza, che la meravigliosa freschezza di vita dei francesi sia un giorno per risorgere dalla decadenza profonda, ma la presente generazione non vedr?? affatto la fine di queste contese.

FINE DEL SECONDO VOLUME E DELL'OPERA.

INDICE DEL VOLUME SECONDO

PARTE IV. La Repubblica e il Colpo di Stato.

I. Sgretolamento della Societ?? p. 3

II. La Costituzione repubblicana ?? 27

III. L'elezione presidenziale ?? 35

IV. Le lotte parlamentari ?? 46

V. Il Colpo di Stato ?? 64

PARTE V. Il secondo Impero.

I. Prospetto ?? 79

II. La Costituzione. Dominazione del Quarto stato ?? 91

III. L'Amministrazione ?? 130

IV. La situazione economica ?? 141

V. Corruttela dei costumi e Cultura ?? 177

VI. Politica europea ?? 205

VII. Conclusione ?? 259

NOTA DEL TRASCRITTORE

Sono stati corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale):

????Napoleone ebbe poco da aggiungere alle leggi eccezionali
????????????[ecceziozionali]
????nobili elementi latini e germanici siano stati interamente
????????????[interaramente]
????la luce del giorno! La guerra dello Schleswig [Schlewig]-Holstein,
????dell'impero ereditario esclude per s?? stesso la responsabilit??
????????????[responsabilit??]
????du grand nombre_; e quando in una massima [massina] sovente
????dei cadres de non-activit?? facilit?? l'allontanamento
????????????[allontamento], senza
????del 24 novembre 1860, le d??cret [decret] sauveur, come
????addirittura intollerabili, da quando alla dipendenza [dipenpenza]
????per esempio, nel mantenimento [mantentimento] dei palazzi delle
????????????prefetture
????difesa fattane dal Temps e dal Journal des d??bats [debats],
????presuntuosamente [prosuntuosamente] rumorosa della monarchia di

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Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of electronic works in formats readable by the widest variety of computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.

Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Its 501(c)(3) letter is posted at http://pglaf.org/fundraising. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S. Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered throughout numerous locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email business@pglaf.org. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation's web site and official page at http://pglaf.org

For additional contact information:
??????????Dr. Gregory B. Newby
??????????Chief Executive and Director
??????????gbnewby@pglaf.org

Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide spread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit http://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: http://pglaf.org/donate

Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For thirty years, he produced and distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.

Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper edition.

Most people start at our Web site which has the main PG search facility:

??????????http://www.gutenberg.org

This Web site includes information about Project Gutenberg-tm, including how to make donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.

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