Edizione di riferimento
Le sacre rappresentazioni italiane, Raccolta di testi dal secolo XIII al secolo XVI, a cura di Mario Bonfantini, Bompiani, Milano anno XX (1941)
Forse tra le più antiche, certo tra le piú semplici, questa Rappresentazione aduna in sé tuttavia alcuni dei piú forti caratteri della lauda drammatica umbra, se non nelle improvvise aperture poetiche (qui scarse), certo nella sua scabra concretezza. Semplicissimo lo schema drammatico, che segue abbastanza fedelmente il racconto del Vangelo (l'episodio del povero Lazzaro e del ricco Epulone, Luca XVI, 19-31). Poche scene strettamente collegate, con un solo intervallo di tempo a metà, ma piuttosto sottinteso che marcato. — Il Povero si presenta alla casa del Ricco per aiuto, e ne è duramente respinto; è consolato da un Angelo, che minaccia la casa del Ricco. Vediamo tosto in essa l'Epulone che si gode nell'abbondanza; ma già Lucifero si prepara ad accoglierlo: un demonio si presenta al Ricco d'improvviso, e lo trascina via; ed esso è subito preda dei tormenti ben meritati, e invano, accostandosi alla sede dei Giusti, chiederà ad Abramo, e allo stesso povero Lazzaro ch'egli ha respinto, un attimo di refrigerio alle sue pezze. — Niente di piú: nessuna fioritura fantastica e neppure commenti moralistici (solo l'esortazione di Abramo agli spettatori, come chiusa). Ma quanta effettiva ricchezza, nell'apparente sobrietà del testo! qual dura precisione nelle posizioni, illuminate d'una vivida e cruda luce dai brevi momenti del dialogo. Il Povero, a mostrare la sua disperata miseria, non ha bisogno di molte parole: gli basta che vedano la sua « dolente carne nuda ». L'Epulone dapprima si scusa di non essere abbastanza ricco. Ma all'insistenze dell'altro, che lo smentisce, risponde con bruschi ragionamenti: brutali luoghi comuni. E tosto balzan su dal contrasto, evidentissime, due opposte concezioni di vita, e le parole riflettono, in una situazione di tutti i tempi, la vera e propria « questione sociale » dell'epoca. Il Povero si appella ad una dottrina precisa: i ricchi non sono possessori in proprio dei beni della terra; li hanno avuti semplicemente in consegna da Dio, perché ne siano « despensatori » ai loro fratelli; è il comunismo evangelico. Ma l'altro prontamente ribatte, con argomenti che si può dire riflettano la forma piú cruda di un nuovo «liberalismo economico »: le sue ricchezze se l'è fatte lui, lavorando « notte e dia », o le ha avute in legittima proprietà dal padre; e la stessa differenza delle situazioni economiche mostra che gli uomini non nascono tutti eguali! Non è che un breve nodo; da cui tosto il dialogo si leva alle considerazioni sulla caducità di questa vita e sulla beatitudine ultraterrena. Ma il Ricco non ne ha cura: infastidito, scaccia da sé lo sventurato e lo percuote con furore veramente demoniaco. E si immerge nel suo egoismo di epicureo, che trova espressioni decisive:
Bien se può tener biato
Chi à al mondo agio e delecto...
Or te gode anima mia,
D'onne biene àie refecto:
Lungamente puoi godere,
De nulla cosa non temere.
La venuta dell'Angelo, la punizione del Ricco, non trovano particolare rilievo nel testo; ché la loro espressione era evidentemente affidata alla impressionante rapidità delle scene. Ma giù tra i tormenti, quando il Ricco s'affaccia alla soglia della dimora dei Giusti, le sue parole aprono uno spiraglio di poetica pietà. È tutto umile adesso: prega Abramo che lo ascolti « un pocolello »; basterebbe cosí poco: che Lazzaro intingesse «el suo dito mignerello » nell'acqua, e sporgendo il braccio, glielo ponesse « su la lengua », e sarebbe per lui una grazia indicibile! Ma egli trova nella condanna divina una durezza altrettanto inesorabile di quella che egli ha avuto per Lazzaro su in vita. E la risposta d'Abramo si concreta in una brevissima sentenza, la quale sembra adunare nella sua paurosa fatalità tutto l'insegnamento del dramma, che si è risolto in una situazione ormai irrevocabile: «Tra noie e voie è un gran fossato »!
La casa del Ricco (interno ed esterno, con strada).
L'Inferno.
Il Paradiso.
Il Povero.
Il Ricco.
Un Angelo.
Lucifero.
I Demoni.
Abramo.
Dice Il Povero (presentandosi alla casa del Ricco):
Per mercè vôi [1] che vedete
La dolente carne nuda,
Se podere alcuno avete,
A una necessità sì cruda
Sovenite, che mia vita
Non faccia sì dura partita.
Il Ricco, dice al Povero:
Assai pietà de voi ce prende
Che sì pover te vedemo;
Ma tale scusa ce defende,
Ch'aitare non te podemo.
Vanne a colui ch'à dell'avere,
Che de bien fare à 'l buon podere.
Il Povero:
Tu se' ricco, per Dio,
Fanne alcuna caritade,
Chè bien sano non so' io
Colla molta povertade,
Per l'amore de chi l'à dato[2],
Acciò te sia raccomandato.
Il Ricco:
Chi è colui che i' m'à donato
Che per suo amor io te ne dia?
Io sì 'l m'aggio aguadagnato
Procurando nocte e dia,
E parte fo [3] del pate mio,
Però te dico: va con Dio.
Il Povero:
Tucte quante avemo un Pate
De tutta gente criatore;
De quiste cose aradunate
Tu ne se' despensatore,
E de la tua despensatione
Tu arenderai ragione.
Il Ricco:
Se noi tucte avemo un pate
Donqua semo noi frateglie.
Perchè non semo aguagliate
De ricchezza onne quegle [4]?
L'uno ricco l'altro none
Chi meie più cura quillo à piune [5].
Il Povero:
Frate mio, la veretade
Ensieme unite ragioniamo.
El nostro pate à una citade,
Vuol che tucte ci andiamo.
E la su serìm biate
Quante ce seròn locate [6].
Il Ricco:
Bien se può tener biato
Chi à 'l inondo agio e delecto,
Ed è ricco ed adagiato
E d'orme biene agio è refecto [7].
Io non curo d'altra vita,
Chè questa io aggio bien fornita.
Il Povero:
Frate, non te dei durare [8],
Non ci poner toa speranza,
Fa quel ben che tu può fare
De la tua grande abundanza:
Onne cosa lasseraie.
E nudo te departeraie.
Il Ricco ( irritato, scacciandolo):
Tu m'ai tolto el mio udire,
Tanto m'aie favellato;
Brigate de partire
Se non vuole essere mazegiato [9]:
Vei' che posso sì godere,
tu me parli del morire!
Il Povero:
Ricco, perchè me descaccie
E dàime tante bastonate?
Date m'aie molte pontaccie
Con grandissime guanciate [10].
Tu sì te fide en tuo avere [11]
non crede mai morire.
Fallita t'è la tua speranza,
Va che verraie strangolato [12].
Ed io te giuro en mia lianza [13],
Lasseraie ciò ch'ai radunato,
Serai menato en giù lo 'nferno
A quil fuoco sempiterno.
Ancora Il Povero (solo nella strada, davanti alla casa del Ricco):
Io te rengrazio, Segnor mio,
De tanta pena ch'io sostengo:
Più andare non posso io,
E più erto [14] non me tengo,
Un pocolin me voi posare,
Mo' me posso mei grullare [15].
O signor che me criaste,
Resguarda le miei povertade,
Vo tutto nudo e pien de straccie,
Non trovo chi me voglia aitàre;
Al ricco chiese per tuo amore,
Cacciato m'à con gran romore.
Gli appare un Angelo:
Vien qua pover descacciato
Colla molta povertade;
El paradiso t'ò serbato
Che sia la tua redetade [16].
El ricco colla sua ricchezza
Starà en pena ed en tristezza.
Ancora L'Angelo (minacciando, verso la casa del Ricco):
Vede tu divitioso [17]
Che pense avere lunga vita!
Tu se' molto superbioso,
Tosto faraie la partita [18];
D'onne bien serai privato,
Perché al pover se' stato engrato.
Il Ricco (nella sua bella casa):
Or te gode anima mia
A tuo modo tra delecto,
Pin'é la tua massarìa [19],
D'onne biene aie refecto[20]:
Lungamente puoi godere,
De nulla cosa non temere.
Lucifero ai Demoni (nell'Inferno):
Balzabuth sta su en piede,
Vanne al ricco de presente:
De mia parte s'il richiede
Ch'a me si venga amaramente;
Perché 'gl' à 'l pover descacciato
Da noi deve esser tormentato.
I Demoni al Ricco (nella casa del Ricco):
Viene devante a Satanasse,
Ch'el te comanda per vero,
E le recchezze tu sì lasse,
E coprirte vôi de nero,
Per darte l'arra [21] de lo 'nferno:
La giù staraie en sempiterno.
Il Ricco:
Perchè me daie tu questa entenza [22],
Ei mieie dilecte [23] sì me guaste?
I Demoni:
Ché tu non feste penetenza,
Né al povero non donaste,
Aveste el tempo e non voleste;
Vien qua giù cogli altri triste.
Il Ricco:
Io non vorrìa mai esser nato,
Puoi ch'io torno a tanta pena!
Cristo sì m'à abandonato,
E la vergine Maria.
Cristo, la tua divinitade
Biastimerolla [24] sempre maie.
I Demoni al Ricco (traendolo a forza nell' Inferno):
Vienne avaro pecunioso,
Ch'adoraste la moneta,
Giò 'n lo 'nferno a star doglioso,
A patère pena enfinita;
En cangio del mondan tesoro
Daglie, demonia, gran martoro [25]!
Lucifero:
Longamente t'ò aspectato
Per poderte tormentare;
Ministre mie or lo pigliate,
E qui se faccia el macellare:
Asmodeo e Belzabucte,
Astaroth dico, Aliabutte.
Il Ricco:
Aqua, ghiaccio e fuoco arsente [26],
Quiste sono le mie pene;
Io so' messo tra i serpente,
Mangiano le carni mieie,
Cristo perchè me criaste,
Puoi ch'a lo 'nferno me dannaste?
Lucifero:
Stemperate oro e argento,
Dateglielo per beveraggio;
Fuoco e fiamma e gran tormento:
Sempre faccia quisto saggio [27],
Ch'eglie l'à bien meretato.
Starà con noi acompagnato.
Il Ricco (volgendosi alla soglia del Paradiso, grida ad Abramo):
Abraam per cortesia
Or m'entende un pocolello.
Dimme a Lazzaro savìa [28]
Ch'el suo dito mignarello [29]
Entro l'acqua sì l'entenga,
E sì mel poni su la lengua.
Abramo:
Ricco, tu ne sei privato,
Nol poderaie aver giammaie.
Tra noie e voie è un gran fossato,
Non curam de vostre guaie,
Tu del pover non curaste:
Staraie en pena sempre abassie [30].
Il Ricco:
Abraam, vógliete pregare
Che me deggie ancora udire.
Fa alcun morto suscitare,
Ai mieie parente tu i' fa gire:
Che faccian sì buona vita,
Non siano dannate a la partita[31].
Abramo:
Eglie aggion la Scriptura,
Non bisogna suscitare [32].
Entendenla con dirictura,
Come l'odon predecare;
Chi serà ricco de malo affecto
Con esso teco serà electo.
Ancora Abramo (volgendosi agli spettatori):
A tucte dòi esto conseglio,
Che viviate en caritade.
Cristo el disse: per lo meglio
Fa col povero amistade;
Perciò che suo è 'l paradiso;
El ricco se ne sta diviso.
Anca questo ve recordo
De far sempre penetentia,
A l'uom dannato si remorde
Sempre maie la coscienza;
Colui che ne recomparone [33]
Sì ve conduca a salvatione.
Note
___________________________________
[1] - vôi: voglio.
[2] - de chi là dato: di chi te lo ha dato (il tuo avere).
[3] - E parte fo...: E in parte era di mio padre, lasciatomi in eredità.
[4] - onne quegle: tutti quelli (che esistono: tutti gli uomini).
[5] Chi meie più cura quillo à piune: chi più cura la ricchezza più ne ha
[6] E lassù saranno beate tutte le anime che vi avranno posto
[7] è refecto: è fornito d'ogni agio.
[8] - non te dei durare: non sei destinato a rimanere in questo stato (perchè sopraggiungerà la morte).
[9] - mazegiato: mazzeggiato, bastonato. - Mi hai fatto diventare sordo, tanto hai parlato: Vattene subito, se non vuoi essere bastonato.
[10] - pontaccie... guanciate: percosse e schiaffi.
[11] Tu confidi troppo nelle tue ricchezze
[12] Finita è la tua speranza, anche tu morirai
[13] lianza: lealtà
[14] erto: diritto
[15] grullare (grollare): scrollare, scuotere violentemente
[16] - redetade: eredità, retaggio (la parte di bene che è destinata).
[17] - divitioso: dovizioso, ricco.
[18] - la partita: la dipartita, da questa vita terrena.
[19] - Pin'è la tua massarìa: la tua dispensa è piena.
[20] refecto: nutrito
[21] arra: caparra, anticipo
[22] - entenza: intimazione, sentenza.
[23] delecte: diletti, gioie
[24] biastimerolla: la bestemmierò
[25] martoro: angoscia, sofferenza
[26] arsente: ardente
[27] quisto saggio: sia sempre sottoposto a tali prove.
[28] - savia: subito (nota che Lazzaro è quello stesso povero cui il ricco in vita ha rifiutato la carità: del quale solo qui appare il nome biblico).
[29] mignarello: mignolino
[30] abassie: giù
[31] partite: morte
[32] - Non bisogna...: Non c'è bisogno di resuscitar nessuno, per indurli al bene: giacchè la Sacra Scrittura parla già abbastanza chiaro.
[33] - ne recomparone: ci ricomperò, ci riscattò dal male, col suo sacrificio.
© 1996 - Tutti i diritti sono riservati Biblioteca dei Classici italiani di Giuseppe Bonghi Ultimo aggiornamento: 28 agosto 2011 |