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Brunetto Latini - La Rettorica - Argomenti 76-90

Brunetto Latini

La rettorica

Edizione di riferimento

La Rettorica di Brunetto Latini, Testo critico a cura di Francesco Maggini, Stab. Galletti e Cocci, Firenze 1915

[argomenti 76-90]

Argomento 76

Di sei parti della diceria.

TULLIO    Per la qual cosa, quando il giudicamento e quelli argomenti che bisognano di trovare al giudicamento saranno diligentemente trovati secondo l'arte e trattati con cura e con cogitatione, ancora sono da ordinare l'altre parti della diceria, le quali pare a nnoi al tutto che siano sei: Exordio, narrazione, partigione, confermamento, riprensione e conclusione.

SPONITORE    Poi che Tullio sofficientemente à dimostrato la chiarezza delle cause et àe comandato che 'l buono parliere innanzi pensi tutte le parti della causa per accordare il mezzo e la fine colla comincianza del suo dire, sì che sia l'una parola nata dell'altra, sì dice esso medesimo che poi che tutto questo ch'è fatto, e trovato il giudicamento della causa e ciò che vi bisogna secondo i comandamenti di rettorica (i quali si convengono trattare con molto studio e con grande deliberazione); anco sopra tutto questo si convengono pensare l'altre parti della diceria, delle quali non è detto neente, e sono sei; e di ciascuna per sé tratterà il libro interamente.

Lo sponitore chiarisce tutto ciò ch'è detto inn adietro.

SPONITORE    Et sopra questo punto, anzi che 'l conto vada più innanzi, piace allo sponitore di pregare il suo porto, per cui amore è composto il presente libro non sanza grande afanno di spirito, che 'l suo intendimento sia chiaro e lo 'ngegno aprenditore, e la memoria ritenente a intendere le parole che son dette inn adietro e quelle che seguitano per innanzi, sì che sia, come desidera, dittatore perfetto e nobile parladore, della quale scienzia questo libro è lumiera e fontana. Et avegna che 'l libro tratti pur sopra controversie et insegni parlare sopra le cose che sono in tencione, et insegna cognoscere le cause e lle questioni, e per mettere exempli dice sovente dell'accusato e dell'accusatore, penserebbe per aventura un grosso intenditore che Tullio parlasse delle piatora che sono in corte, e non d'altro. Ma ben conosce lo sponitore che 'l suo amico è guernito di tanto conoscimento ch'elli intende e vede la propria intenzione del libro, e che lle piatora s'apartengono a trattare ai segnori legisti; e che rettorica insegna dire appostatamente sopra la causa proposta, la qual causa no è pur di piatora né pur tra accusato et accusatore, ma è sopra l'altre vicende, sì come di sapere dire inn ambasciarie et in consigli de' signori e delle comunanze et in sapere componere una lettera bene dittata. Et se Tullio dice che nelle dicerie intra le parti sono le constituzioni e questioni e ragioni e giudicamento e fermamento, ben si dee pensare un buono intenditore che tuttodie ragionano le genti insieme di diverse materie, nelle quali adiviene sovente che ll'uno ne dice il suo parere e dicelo in un suo modo e l'altro dice il contrario, sì che sono in tencione; e l'uno appone e l'altro difende, e perciò quelli che appone contra l'altro è appellato accusatore e quelli che difende èe appellato accusato, e quello sopra che contendono è appellata causa. Onde se ll'uno appone e l'altro niega, al postutto di questo non puote nascere questione se non di sapere se quella cosa che niega elli l'à fatta o detta o no. Ma quando l'uno appone e l'altro difende, sì è la causa incominciata et ordinata tra lloro. Et questo è la constituzione della quale nasce la questione, cioè se lla sua difesa è a ragione o no; e poi ciascuno contende come pare a llui per confermare le sue parole e per indebolire quelle dell'altro, sì come appare per adietro nel trattato della questione e della ragione e del giudicamento e del fermamento. Onde non sia credenza d'alcuno che, sì come dicono li exempli messi inn adietro, che Orestes fosse accusato in corte della morte di sua madre; ma le genti ne contendeano intra loro, ché ll'uno dicea che non avea fatto né bene né ragione, e questo è appellato accusatore, un altro dicea in defensione d'Orestes ch'elli avea fatto bene e ragione, e questo è appellato nel libro accusato. De' consiglieri. Così aviene intra ' consiglieri de' signori e delle comunanze, che poi che sono asemblati per consigliare sopra alcuna vicenda, cioè sopra alcuna causa la quale è messa e proposta davanti loro, all'uno pare una cosa et all'altro pare un'altra; e così è già fatta la constituzione della causa, cioè ch'è cominciata la tencione tra lloro, e di ciò nasce questione s'elli à ben consigliato o no. Et questo è quello che Tullio appella questione. Et perciò l'uno, poi ch'elli àe detto e consigliato quello che llui ne pare, immantenente assegna la ragione per la quale il suo consiglio èe buono e diritto. Et questo è quello che Tullio appella ragione. Et poi ch'elli àe assegnata la cagione e la ragione per che, si sforza di mostrare perché s'alcuno consigliasse o facesse il contrario come sarebbe male e non diritto; e così infievolisce la partita che è contra il suo consiglio; e questo è quello che Tullio appella giudicamento. Et poi ch'elli àe indebolita la contraria parte, sì raccoglie tutti i fermissimi argomenti e le forti ragioni che puote trovare per più indebolire l'altra parte e per confermare la sua ragione; e questo è quello che Tullio appella fermamento. Et certo queste quattro parti, cioè questione, ragione, giudicamento e fermamento, possono essere tutte nella diceria dell'uno de' parlatori, sì come appare in ciò ch'è detto di sopra. Et puote bene essere la sua diceria pur dell'una, cioè pur infine alla questione, dicendo il suo parere e non assegnando sopra ciò altra ragione. Et puote bene essere pur di due, cioè dicendo il suo parere et assegnando ragione per che. Et puote bene essere pur di tre, cioè dicendo il suo parere et assegnando ragione per che et indebolendo la contraria parte. Et puote essere di tutte e quattro sì come fue dimostrato di sopra. Quest'è la diceria del primo parliere. E poi ch'elli à consigliato e posto fine al suo dire, immantenente si leva un altro consigliere e dice tutto il contrario che àe detto colui davanti; e così è fatta la constituzione, cioè la causa ordinata, e cominciata la tencione; e sopra i loro detti, che sono varii e diversi, nasce questione, se colui avea bene consigliato o no. Poi dimostra la ragione perché il suo consiglio è migliore. Apresso indebolisce il detto e 'l consiglio di colui ch'avea detto dinanzi da llui; e poi riconferma il consiglio suo per tutti i più fermi argomenti che può trovare. Adunque le predette quattro cose o parti possono essere nel detto del primo parliere e nel detto del secondo e di ciascuno parlamentare. Cosìe usatamente adviene che due persone si tramettono lettere l'uno all'altro o in latino o in proxa o in rima o in volgare o inn altro, nelle quali contendono d'alcuna cosa, e così fanno tencione. Altressì uno amante chiamando merzé alla sua donna dice parole e ragioni molte, et ella si difende in suo dire et inforza le sue ragioni et indebolisce quelle del pregatore. In questi et in molti altri exempli si puote assai bene intendere che lla rettorica di Tullio non è pure ad insegnare piategiare alle corti di ragione, avegna che neuno possa buono advocato essere né perfetto se non favella secondo l'arte di rettorica.

       Et ben è vero che llo 'nsegnamento ch'è scritto inn adietro pare che ssia molto intorno quelle vicende che sono in tencione et in contraversia tra alcune persone, le quali contendano insieme l'uno incontra l'altro; e potrebbe alcuno dicere che molte fiate uno manda lettera ad altro ne la quale non pare che tencioni contra lui (altressì come uno ama per amore e fa canzoni e versi della sua donna, nelli quali non à tencione alcuna intra llui e la donna), e di ciò riprenderebbe il libro e biasmerebbe Tullio e lo sponitore medesimo di ciò che non dessero insegnamento sopra ciò, maximamente a dittare lettere, le quali si costumano e bisognano più sovente et a più genti, che non fanno l'aringhiere e parlare intra genti. Ma chi volesse bene considerare la propietà d'una lettera o d'una canzone, ben potrebbe apertamente vedere che colui che lla fa o che lla manda intende ad alcuna cosa che vuole che sia fatta per colui a cui e' la manda. Et questo puote essere o pregando o domandando o comandando o minacciando o confortando o consigliando; e in ciascuno di questi modi puote quelli a cui vae la lettera o la canzone o negare o difendersi per alcuna scusa. Ma quelli che manda la sua lettera guernisce di parole ornate e piene di sentenzia e di fermi argomenti, sì come crede poter muovere l'animo di colui a non negare, e, s'elli avesse alcuna scusa, come la possa indebolire o instornare in tutto. Dunque è una tencione tacita intra loro, e così sono quasi tutte le lettere e canzoni d'amore in modo di tencione o tacita o espressa; e se così no è, Tullio dice manifestamente, intorno 'l principio di questo libro, che non sarebbe di rettorica. Ma tuttavolta, o tencione o no tencione che sia, Tullio medesimo, luogo innanzi, isforza i suoi insegnamenti in parlare et in dittare secondo la rettorica; e là dove Tullio sine pasasse o paresse che dica pur insegnamenti sopra dire tencionando, lo sponitore isforzerà lo suo poco ingegno in dire tanto e sì intendevolemente che 'l suo amico potrà bene intendere l'una materia e l'altra. Et ecco Tullio che incomincia a dire di quelle partite della diceria o d'una lettera dittata, delle quali non avea detto neente in adietro: e queste parti sono sei, sì come apare in questo arbore: DICERIA: exordio-narrazione-partigione-confirmazione riprensione-conclusione.

14

        Queste sono le sei parti che Tullio mostra certamente che sono nella diceria o nella pistola, specialmente in quelle che sono tencionando, sì come appare nel detto dello sponitore qui adietro; e, sì come detto fue in altra parte di questo libro, Tullio reca tutta la rettorica alle cause le quali sono in contraversia et in tencione. Et ben dice tutto a certo che lle parole che non si dicono per tencione d'una parte incontra un'altra non sono per forma né per arte di rettorica. Ma perciò che lla pistola, cioè la lettera dettata, spessamente non è per modo di tencionare né di contendere, anzi è uno presente che uno manda ad un altro, nel quale la mente favella et è udito colui che tace e di lontana terra dimanda et acquista la grazia, la grazia ne 'nforza e l'amore ne fiorisce, e molte cose mette inn iscritta le quali si temerebbe e non saprebbe dire a lingua in presenzia; sì dirae lo sponitore un poco dell'oppinione de' savi e della sua medesima in quella parte di rettorica ch'apartene a dittare, sì come promise al cominciamento di questo libro. Et dice che dittare è un dritto et ornato trattamento di ciascuna cosa, convenevolemente aconcio a quella cosa. Questa è la diffinizione del dittare, e perciò conviene intendere ciascuna parola d'essa diffinizione. Unde nota che dice «dritto trattamento» perciò che lle parole che ssi mettono inn una lettera dittata debbono essere messe a dritto, sicché s'accordi il nome col verbo, e 'l mascunino e 'l feminino, e lo singulare e 'l plurale, e la prima persona e la seconda e la terza, e l'altre cose che ssi 'nsegnano in gramatica, delle quali lo sponitore dirà un poco in quella parte del libro che fie più avenente; e questo dritto trattamento si richiede in tutte le parti di rettorica dicendo e dittando. Et dice «ornato trattamento» perciò che tutta la pistola dee essere guernita di parole avenanti e piacevoli e piene di buone sentenze; et anche questo ornato si richiede in tutte le parti di rettorica, sì come fue detto inn adietro sopra 'l testo di Tullio. Et dice «trattamento di ciascuna cosa» perciò che, sì come dice Boezio, ogne cosa proposta a dire puote essere materia del dittatore; et in questo si divisa dalla sentenzia di Tullio, che dice che lla materia del parliere non è se non in tre cose, ciò sono dimostrativo, deliberativo e iudiciale. Et dice «convenevolemente aconcio a quella cosa» perciò che conviene al dittatore asettare le parole sue alla sua materia. Et ben potrebbe il dittatore dicere parole diritte et ornate, ma non varrebbero neente s'elle non fossero aconcie alla materia. Così è divisato il dittatore da cciò che dice Tullio; e perciò di queste due materie, cioè del dire e del dittare, e dello 'nsegnamento dell'uno e dell'altro potrà l'amico dello sponitore prendere la dritta via. Et per questo divisamento conviene che lle parti della pistola si divisino da queste della diceria che Tullio à detto che sono sei, ciò sono: exordio, narrazione, partigione, confermamento, riprensione e conclusione. I. È oppinione di Tullio che exordio sia la prima parte della diceria, il quale apparecchia l'animo dell'uditore a l'altre parole che rimagnono a dire, e questo è appellato prologo della gente. II. Et dice che narrazione è quella parte della diceria nella quale si dicono le cose che sono essute o che non sono essute, come se essute fossoro; e questo è quando uomo dice il fatto sopra 'l quale esso ferma la forma della sua diceria. III. Et dice che è partigione quando il parliere à narrato e contato il fatto et e' sì viene partiendo la sua ragione e quella dell'aversario e dice: «Questo fue così, e quest'altro così»; et in questo modo acoglie quelle partite che sono a llui più utili e più contrarie all'aversario, et afficcale all'animo dell'uditore; et allora pare ch'al tutto abbia detto tutto 'l fatto. IV. Et dice che confermamento è quella parte della diceria nella quale il parlieri reca argomenti et assegna ragioni per le quali agiugne fede et altoritade alla sua causa. V. Et dice che riprensione è quella parte della diceria nella quale il parliere reca cagioni e ragioni et argomenti per li quali attuta e menoma et indebolisce il confermamento dell'aversario. VI. Et dice che conclusione è lla fine e 'l termine di tutta la diceria. Queste sono le sei parti che dice Tullio che sono e debbono essere nella diceria; e di ciascuna tratterà qua innanzi il libro sofficientemente. Ma in questo ch'è detto puote uomo bene intendere che queste sei medesime possono convenire inn una pistola, di tal materia puote ella essere. Ma tuttavolta, di qualunque materia sia, nelle tre di queste sei parti s'accorda bene la pistola colla diceria, cioè nello exordio, narrazione e nella conclusione; ma ll'altre tre, cioè partigione, confermamento e reprensione, possono più lievemente rimanere e non avere luogo nella pistola. Tutto altressì la pistola àe cinque parti, delle quali l'una può bene rimanere e non avere luogo nella diceria, cioè «salutatio»; l'autra, cioè «petitio», avegnaché Tulio no-lla nominasse intra lle parti della diceria, sì vi puote e dee avere luogo in tal maniera ch'appena pare che diceria possa essere sanza petizione. Dunque le parti della pistola sono cinque, ciò sono salutazione, exordio, narrazione, petizione e conclusione, sì come appare in questo arbore: EPISTOLA: salutazione-exordio-narrazione-petizione conclusione.

15

       Et se alcuno domandasse per qual cagione Tullio intralasciò la salutazione e non ne trattò nel suo libro, certo lo sponitore ne renderà bene ragione in questo modo. Certa cosa è che Tullio nel suo libro tratta delle dicerie che ssi fanno in presenzia, nelle quali non bisogna di contare il nome del parlieri né dell'uditore. Ma nella pistola bisogna di mettere le nomora del mandante e del ricevente, c'altrimente non si puote sapere a certo né l'uno né l'altro. Apresso ciò, la salutazione pare che sia dell'exordio; ché sanza fallo chi saluta altrui per lettera già pare che cominci suo exordio. Et Tullio trattòe dello exordio compiutamente, non curò di divisare della salutazione né distendere il suo conto intorno le saluti, maximamente perciò che pare che rechi tutta la rettorica a parlare et in controversia tencionando. Et in perciò furo alcuni che diceano che lla salutazione non era parte della pistola, ma era un titolo fuor del fatto. Et io dico che la salutazione è porta della pistola, la quale ordinatamente chiarisce le nomora e' meriti delle persone e l'affezione del mandante. Et nota che dice «porta», cioè entrata della pistola, e che chiarisce le nomora, cioè del mandante e del ricevente; e dice «i meriti delle persone», cioè il grado e l'ordine suo, sì come a dire: «Innocenzio papa», «Federigo Imperadore», «Acchilles cavaliere», «Oddofredi Judice», e così dell'altre gradora. Et dice «ordinatamente», cioè che mette il nome e 'l grado di ciascuno come s'aviene; e dice «l'affezione del mandante», cioè com'elli manda al ricevente salute o altra parola di bene, o per aventura di male, secondo la sua affezione, cioè secondo la sua volontade. Adunque pare manifestamente che lla salutazione è così parte della pistola come l'occhio dell'uomo. Et se l'occhio è nobile membro del corpo dell'uomo, dunque la salutazione è nobile parte della pistola, c'altressì allumina tutta la lettera come l'occhio allumina l'uomo. Et al ver dire, la pistola nella quale non à salutazione è altrettale come la casa che non à porta né entrata e come 'l corpo vivo che non à occhi. Et perciò falla chi dice che salutazione è un titolo fuor del fatto; anzi si scrive e s'inchiude e sugella dentro; ma 'l titolo della pistola è la soprascritta di fuori, la quale dice a cui sia data la lettera. Ben dico c'alcuna volta il mandante non scrive la salutazione, o per celare le persone se lla lettera pervenisse ad altrui o per alcun'altra cosa o cagione. Né non dico che tutta fiata convenga salutare, ma o per desiderio d'amore, o per solazzo, talora si mandano altre parole che portano più incarnamento e giuoco che non fa a dire pur salute. Et a' maggiori non dee uomo mandare salute, ma altre parole che significhino reverenzia e devozione; e talvolta no scrivemo a' nemici altro che lle nomora e tacemo la salute, o per aventura mettemo alcuna altra parola che significa indegnamento o conforto di ben fare o altra cosa; sì come fa il papa che scrivendo a' giudei o ad altri uomini che non sono della nostra catholica fede o a' nemici della Santa Chiesa tace la salute, e talvolta mette in quel luogo spirito di più sano consiglio o connoscere la via della veritade o abundare inn opera di pietade et altre simili cose.

       Adunque provedere dee il buono dittatore che, similemente come saluta l'uno uomo l'autro trovandolo in persona, così il dee salutare in lettera mettendo et adornando parole secondo che la condizione del ricevente richiede. Ché quando uomo va davante a messer lo papa o davante ad imperadore o a altro segnore ecclesiastico o seculare, certo elli va con molta reverenzia et inchina la testa, et alla fiata si mette in terra ginocchioni per basciare il piede al papa o allo 'mperadore. Tutto altressì dee lo dettatore nominare lo ricevente e la sua dignitade con parole di sua onoranza e metterlo dinanzi; apresso dee nominare sé medesimo e la sua dignitade, e poi dee scrivere la sua affezione, cioè quello che desidera che venga a colui che riceve la lettera, sì come salute o altro che sia avenante, tuttavolta guardando che questa affezione sia di quella guisa e di quelle parole che ssi convegnono al mandante et al ricevente. Ché quando noi scrivemo a' maggiori di noi o di nostro paraggio o di minore grado, noi dovemo mandare tali parole che ssiano accordanti alle persone et allo stato loro. Et non pertanto ch'io abbia detto che 'l nome del maggiore si de' mettere dinanzi e del pare altressì, io òe ben veduto alcuna fiata che grandi principi e signori scrivendo a mercatanti o ad altri minori mettono dinanzi il nome di colui a cui mandano, e questo è contra l'arte; ma fannolo per conseguire alcuna utilitade. Perciò sia il dittatore accorto et adveduto in fare la salutazione avenante e convenevole d'ogne canto, sicché in essa medesima con quisti la grazia e la benivoglienza del ricevente, sì come noi dimostramo avanti secondo la rettorica di Tullio. Et bene è questa materia sopr'alla quale lo sponitore potrebbe lungamente dire e non sanza grande utilitade. Ma considerando che lla subtilitade perché 'l verbo non si mette nella salutazione, e che 'l nome del mandante si mette in terza persona per significamento di maggiore umilitade, e che tal fiata si scrive pur la primiera lettera del nome, par che tocchi più a' dittatori in latino che 'n volgare, sene passerà lo sponitore brevemente e seguirà la materia di Tullio per dicere dell'altre parti della diceria e di quelle della pistola, sì come porta l'ordine. Et in questo luogo si parte il conto della salutazione, e dirà dell'exordio in due guise: l'una secondo ciò che nne dice Tullio e che pare che ss'apartegna a diceria, l'altra secondo che ssi conviene ad una lettera dittata et ad una medesima diceria, oltre quello che porta il testo di Tullio.

Argomento 77

Exordio.

TULLIO    Et perciò che exordio dee essere principe di tutti, e noi primieramente daremo insegnamenti in fare exordio.

SPONITORE    Vogliendo Tullio trattare dell'exordio prima che dell'altre parti della diceria, sì ll'apella principe dell'altre parti tutte; e certo è de ragione: l'una perciò che ssi mette e si dice tuttora davanti a l'autre, l'altra perciò che nel exordio pare che noi aconciamo et apparecchiamo l'animo dell'uditore ad intendere tutto ciò che noi volemo dire di poi.

Argomento 78

Dell'exordio.

TULLIO    Exordio è un detto el quale acquista convenevolemente l'animo dell'uditore all'altre parole che sono a dire; la qual cosa averrà se farà l'uditore benivolo, intento e docile. Per la qual cosa chi vorrà bene exordire la sua causa, ad lui conviene diligentemente procedere e conoscere davanti la qualitade della causa.

SPONITORE    Poi che Tullio avea contate le parti della diceria, sì vuole in questa parte trattare di ciascuna per sé divisatamente, e prima dello exordio, del quale tratta in questo modo: Primieramente dice che è exordio, mostrando che tre cose dovemo noi fare nell'exordio, cioè fare che ll'uditore davanti cui noi dicemo sia inver noi benivolente et intento e docile a cciò che noi volemo dire. Et perciò ne conviene connoscere la qualitade del convenente sopra 'l quale noi dovemo dire o dittare. Nel secondo luogo divide l'exordio in due parti, cioè principio et «insinuatio», e mostrane in qual convenentre noi dovemo usare principio et in quale «insinuatio». Nel terzo luogo ne fa intendere donde noi potemo trarre le ragioni per acquistare benivoglienza et intenzione e docilitade, e come noi dovemo queste tre usare in quello exordio ch'è appellato principio e come in quello ch'è appellato «insinuatio». Nel quarto luogo pone le virtù e' vizi dell'exordio. Et perciò dice che exordio è uno adornamento di parole le quali il parlieri e 'l dittatore propone davanti nel cominciamento del suo dire in maniera di prolago, per lo quale si sforza di dire e di fare sì che l'uditore sia benivolo verso lui, cioè che lli piaccia esso e 'l suo parlamento, e procacciasi di dire e di fare sì che l'uditore sia intento a llui et al suo detto; similemente si studia di dire e di fare sì che ll'uditore sia docile, cioè che prenda et intenda la forza delle parole. Et perciò dico che immantenente che ll'uditore è docile sicché voglia intendere e connoscere la natura del fatto e la forza delle parole, sì è elli intento; ma perché l'uditore sia intento a udire, puote bene essere che non sia docile ad intendere. Et di ciascuno di questi tre dirà il conto quando verrà il suo luogo. Ma perciò che 'l parliere che non conosce dinanzi di che maniera e di chente ingenerazione sia la sua causa non puote bene advenire alle tre cose che sono dette inn adietro, cioè che ll'uditore sia benivolo, intento e docile, sì dicerà Tullio quante e quali sono le generazioni delle cause, in questo modo:

Argomento 79

Qualitadi delle cause.

TULLIO    Le qualitadi delle cause sono cinque: onesto, mirabile, vile, dubitoso et oscuro.

SPONITORE    In questa picciola parte nomina Tullio le qualitadi delle cause, cioè di quante generazioni sono le dicerie. Et s'alcuno m'aponesse che Tullio dice contra ciò che esso medesimo avea detto in adietro, cioè che le generazioni e le qualitadi sono tre, deliberativo, dimostrativo e iudiciale, et or dice che sono cinque, cioè onesto, mirabile, vile, dubitoso et oscuro, io risponderei che lle primiere tre sono qualitadi substanziali sìe incarnate alla causa che non si possono variare. Onde quella causa ch'è deliberativa non puote essere non deliberativa, e quella ch'è dimostrativa non puote essere non dimostrativa; altressì dico della iudiciale. Ma quella causa ch'è onesta puote bene essere non onesta, e quella ch'è mirabile puote essere non mirabile, e così dico della vile e della dubbiosa e della oscura. Adunque sono queste qualitadi accidentali che possono essere e non essere; ma le prime tre sono substanziali che non si possono mutare.

Argomento 80

Dell'onesta.

TULLIO    Onesta qualitade di causa è quella la quale incontanente, sanza nostro exordio, piace all'animo dell'uditore.

SPONITORE    Quella causa è onesta sopr'alla quale dicendo parole, immantenente, sanza fare prolago, l'animo dell'uditore si muove a credere et a piacere le parole che 'l parliere dice sopra 'l convenente; et in questo non fa bisogno usare parole per acquistare la benivoglienza dell'uditore, perciò che ll'onestade della causa l'à già acquistata per sua dignitade, sì come nella causa di colui che accusa il furo o che difende il padre o l'orfano o le vedove o le chiese.

Argomento 81

Mirabile.

TULLIO    Mirabile è quello dal quale è straniato l'animo di colui che de' audire.

SPONITORE    Quella causa è appellata mirabile la quale è di tale convenente che dispiace all'uditore, perciò ch'è di sozza e di crudele operazione. Et perciò l'animo dell'uditore è contra noi et è straniato dalla nostra parte; et in questo abisogna d'acquistare benivolenzia sì che l'uditore intenda, sì come nella causa di colui c'avesse morto il suo padre o fatto furto o incendio. Dunque potemo intendere che una medesima causa puote essere onesta e mirabile: onesta dall'una parte, cioè di colui che difende il suo padre, mirabile dall'altra parte, cioè di colui medesimo che è contra la sua madre propia. E di questo uno exemplo si puote intendere tutti i somiglianti.

Argomento 82

Del vile.

TULLIO    Vile è quello del quale non cura l'uditore e non pare che sia da mettere grande opera a intendere.

SPONITORE    Quella causa è appellata vile la quale è di picciolo convenente, sì che non pare che ne sia molto da curare e l'uditore non sine travaglia molto ad intendere, sì come la causa d'una gallina o d'altra cosa che sia di poco valere. Et in questa causa dovemo noi procacciare di fare sì che ll'uditore sia intento alle nostre parole.

Argomento 83

Dubitoso.

TULLIO    Dubitoso è quello nel quale o la sentenzia è dubia o la causa è in parte onesta et in parte è sozza e disonesta, sicché ingenera benivolenzia e offensione.

SPONITORE    Quella causa è appellata dubitosa nella quale l'uditore non è certo a che la cosa debbia pervenire o a che sentenzia alla fine torni, sì come nella causa d'Orestes che dicea ch'avea morta la sua madre giustamente per due ragioni: l'una perciò ch'ella avea morto il suo padre, l'altra perciò che 'l deo Apollo glile comandò. Onde l'uditore non è certo la quale di queste due cagioni cagia in sentenzia. Altressì è dubitosa quella causa nella quale àe parte d'onestade e perciò piace all'uditore, et àe parte di disonestade e perciò dispiace all'uditore, sì come nella causa de filio: d'un furo che fue accusato d'un furto e 'l suo figliuolo si sforzava di difenderlo in tutte guise. Certo la causa era onesta quanto in difender lo padre, ma era disonesta quanto in difendere lo furo.

Argomento 84

Dell'oscuro.

TULLIO    Oscuro è quello nel quale l'uditore è tardo, o per aventura la causa è impigliata di convenenti troppo malagevoli a conoscere.

SPONITORE    Dice Tullio che quella causa è appellata oscura nella quale l'uditore è tardo, cioè che non intende ciò che portano le parole del dicitore sì bene né sì tosto come si conviene, perciò che non è forse ben savio o forse ch'è fatigato per li detti d'altri parlieri che aveano detto innanzi; o per aventura la causa è impigliata di cose e di ragioni che sono oscure e malagevoli ad intendere.

Argomento 85

Della divisione dell'exordio.

TULLIO    Et perciò che lle qualitadi delle cause sono tanto diverse, sì convene che li exordii siano diversi e dispari e non simili in ciascuna qualitade di cause; per la qual cosa exordio si divide in due parti, ciò sono principio et «insinuatio».

SPONITORE    Perciò - dice Tullio - che le generazioni e le qualitadi delle cause sono tanto diverse, cioè che sono in cinque modi sì come detto è qui di sopra, e l'uno modo non è accordante all'altro, sì conviene che in ciascuna qualità di cause et in catuno de' detti cinque modi abbia suo modo di fare exordio, tale che ssi convegna alla qualitade sopr'alla quale noi dovemo parlamentare o dittare. Et vogliendo Tullio insegnare ciò apertamente, sì dice che exordio è di due maniere: una ch'è appellata principio et un'altra ch'è appellata «insinuatio»; e di ciascuna dirà elli interamente. E così dovemo e potemo sapere che le cause sopra le quali dice alcuno parlieri o sopra le quali scrive alcuno dittatore sono cinque, cioè sono: onesto, mirabile, vile, dubitoso et oscuro, sì come apare in adietro. Et sopra tutte qualitadi sono due modi de exordio e non più, cioè principio et «insinuatio».

Argomento 86

Del principio.

TULLIO    Principio è un detto il quale apertamente et in poche parole fa l'uditore benivolo o docile o intento.

SPONITORE    Quella maniera de exordio è appellata principio quando il parlieri o 'l dittatore quasi incontanente alla comincianza del suo dire, sanza molte parole e sanza neuno infingimento ma parlando tutto fuori et apertamente, fa l'animo dell'uditore benvolente a llui et alla sua causa, o talora il fa docile o intento, sì come fece Pompeio parlando a' Romani sopra 'l convenente della guerra con Julio Cesare, che fece tale exordio: «Perciò che noi avemo il diritto dalla nostra parte e combattemo per difendere la nostra ragione e del nostro comune, sì dovemo noi avere sicura speranza che li dii saranno in nostro adiuto».

Argomento 87

Dell'insinuatio.

TULLIO    Insinuatio è un detto il quale, con infingimento parlando dintorno, covertamente entra nell'animo dell'uditore.

SPONITORE    Tullio dice che quella maniera de exordio è apellata «insinuatio» quando il parlieri o 'l dittatore fa dinanzi un lungo prolago di parole coverte, infingendo di volere ciò che non vuole, o di non volere quello che dee volere, e così va dintorno con molte parole per sorprendere l'animo dell'uditore sì che sia benevolo o docile o intento, sì come disse Sino parlando a coloro che riteneano la sua persona in gravosi tormenti: «Insin a ora v'ò io pregato che mi traeste di tante pene; oimai non dimando se non la morte, ma grandissimi tesauri avrei dato a chi m'avesse scampato». Et in questo modo covertamente s'infingea di non volere quello che volea, per venire in animo di loro che llo scampassero per avere, da che mercé non valea. Et cosìe à divisato il conto che è principio e che è «insinuatio»; omai dicerà quale di questi due modi de exordio dovemo usare in ciascuno de' cinque modi delle cause, cioè nell'onesto, nel vile, nel mirabile, nel dubitoso e nell'oscuro.

Argomento 88

Della mirabile.

TULLIO    Nella mirabile generazione di causa, se ll'uditore non fosse al tutto turbato contra noi, ben potemo acquistare benivoglienza per principio. Ma s'ei troppo malamente fosse straniato ver noi, allora ne conviene rifuggire a «insinuatio», in però che volere così isbrigatamente pace e benivoglienza dalle persone adirate non solamente non si truova, ma cresce et infiamasi l'odio.

SPONITORE    Inn adietro è bene detto che quella causa è appellata mirabile la quale è di rea operazione, sicché pare che dispiaccia all'uditore. Et perciò dice Tullio che quando la nostra causa è mirabile puote bene essere alcuna fiata che ll'uditore non sia del tutto coruccioso contra noi. Et allora potemo noi acquistare la sua benivolenza per quel modo de exordio ch'è appellato principio, cioè dicendo un breve prologo in parole aperte e poche. Ma se ll'uditore fosse adiroso e curicciato contra noi malamente, certo in quel caso ne conviene ritornare ad altro modo de exordio, cioè «insinuatio», e fare un bel prologo di parole infinte e coverte, sicché noi possiamo mitigare l'animo suo et acquistare la sua benivolenza e ritornare in suo piacere. Ch'al ver dire, quando l'uditore èe adirato e curiccioso, chi volesse acquistare da llui pace così subitamente per poche et aperte parole dicendo il fatto tutto fuori, certo non la troverebbe, ma crescerebbe l'ira et infiamerebbe l'odio; e perciò dee andare dintorno et entrarli sotto covertamente.

Argomento 89

Della causa vile.

TULLIO    Nella causa la quale è di vile convenente, per cagione di trarrela di vilanza e di dispetto, ne conviene fare l'uditore intento.

SPONITORE    Quando la nostra causa ella è vile, cioè di piccolo convenente sicché l'uditore poco cura d'intendere, allora ne conviene usare principio et in esso fare che ll'uditore sia intento alle nostre parole; e questo potemo ben fare traendola di viltanza e facciendola grande et innalzandola, sì come fece Virgilio volendo trattare de l'api: «Io dicerò cose molto meravigliose e grandi delle picciole api».

Argomento 90

Della dubbiosa qualità.

TULLIO    Nella dubbiosa qualità di causa, se lla sentenza è dubbia si conviene incominciare l'exordio dalla sentenzia medesima. Ma se lla causa è in parte onesta e in parte disonesta si conviene acquistare benivolenzia, sicché paia che tutta la causa ritorni in onesta qualitade.

SPONITORE    La causa dubitosa, sì come fue detto in adietro, èe in due maniere: l'una che lla sentenzia è dubbia, sì come apare nell'exemplo d'Orestes, che per due ragioni e cagioni dicea ch'avea ben fatto d'uccidere la madre. Et in quel caso dovea elli incuninciare il suo exordio da quella ragione dalla quale elli più ferma nel suo animo di voler provare, e per la quale crede avere la sentenzia inn aiuto. Ma se 'l convenente è dubitoso perciò che sia in parte onesto et in parte disonesto, in quello caso dee il buono parlieri nell'exordio acquistare la benivolenzia dell'uditore per principio, sicché tutta la causa paia che sia onesta.

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Ultimo aggiornamento: 28 agosto, 2011