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Latini - Rettorica - Argomenti 91-75

Brunetto Latini

La rettorica

Edizione di riferimento

La Rettorica di Brunetto Latini, Testo critico a cura di Francesco Maggini, Stab. Galletti e Cocci, Firenze 1915

[argomenti 91-105]

Argomento 91

La causa onesta.

TULLIO    Quando la causa fie onesta, o potemo intralasciare lo principio, o, se ne pare convenevole, comincieremo alla narrazione o dalla legge, o d'alcuna fermissima ragione della nostra diceria. Ma se ne piace usare principio, dovemo usare le parti di benivoglienza per accrescere quella che è.

SPONITORE   Quando il conveniente sopra 'l quale ne conviene dire è onesto, certo per la natura del fatto propia avemo noi la benivoglienza dell'uditore sanza altro adornamento di parole. Perciò quando noi venimo a dire noi potemo bene intralasciare lo principio e non fare neuno exordio né prolago di parole, e cominciare la nostra diceria alla narrazione, cioè pur dire lo fatto; e bene potemo cominciare da quella legge che tocca alla nostra materia o da quella ragione che sia più fermo argomento e più certo. Ma se nne piace usare principio e fare alcuno prologo, certo noi lo potemo bene, non per acquistare benivolenza ma per crescere quella che v'è. Et perciò in detto caso il nostro principio dee essere in parole apropiate a benivolenza.

Argomento 92

Della causa obscura.

TULLIO   Nella causa la quale è oscura conviene che nel nostro principio noi facciamo che ll'uditore sia docile.

SPONITORE   In adietro fue dimostrato qual causa e quando sia oscura. Et perciò dice TULLIO che nella causa la quale sia oscura all'uditore a intendere noi dovemo usare quella parte de exordio la quale è appellata principio, et in quello dovemo noi sì dire che ll'uditore sia docile, cioè ch'elli intenda e ch'elli senta la natura del fatto, in questo modo: che noi diremo in poche parole sommatamente la sustanzia del fatto dell'una parte e dell'altra. Et poi che noi vedremo che ll'uditore sia apparecchiato in via d'intendere il fatto, noi andremo innanzi a dire la nostra ragione sì come si conviene al fatto.

Argomento 93

Le ragioni delle cose.

TULLIO    Et perciò che infin ad ora noi avemo detto che ssi conviene fare nell'exordio, oimai rimane a dimostrare per quali ragioni ciascuna cosa si possa fare.

SPONITORE    Infino a questo luogo à insegnato TULLIO tutto ciò che ssi conviene dire o fare nello exordio; e perciò ch'elli àe detto in quale exordio ed in qual causa ne conviene usare parole per acquistare benivolenza, sì vuole elli da qui innanzi mostrare le ragioni come si puote ciò fare; e questo insegnamento fa bene di sapere.

Argomento 94

De' quattro luoghi della temperanza.

TULLIO    Benivolenza s'acquista di quatro luogora: dalla nostra persona, da quella de' nostri adversarii, da quella delli giudici e dalla causa.

SPONITORE    In questa parte insegna TULLIO acquistare benivolenza, e perciò ch'ella non si puote avere se non per quello che ss'apartiene alle persone et al fatto, sì dice che quattro luogora sono dalle quali muove benivolenza. Il primo luogo si è la nostra persona e di coloro per cui noi dicemo. Il secondo luogo si è la persona de' nostri adversarii e di coloro contra cui noi dicemo. Il terzo luogo si è la persona de' giudici, cioè la persona di coloro davanti da cui noi dicemo. Il quarto luogo si è la causa e 'l fatto e 'l convenente sopra 'l quale noi dicemo. E di ciascuno di questi dicerà il conto ordinatamente e sofficientemente.

Argomento 95

TULLIO sopra lo prolago.

TULLIO    Dalla nostra persona se noi dicemo sanza superbia de' nostri fatti e de' nostri officii; e se noi ne leviamo le colpe che nne sono apposte e le disoneste sospeccioni; e se noi contiamo i mali che nne sono advenuti et li 'ncrescimenti che nne sono presenti; e se noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino.

SPONITORE    Conquistare benivolenza dalla nostra persona si è dicere della persona nostra, o di coloro per cui noi dicemo, quelle pertenenze per le quali l'uditore sia benivolo verso noi. Et sappie che certe cose s'apartengono alle persone e certe alla causa; e di queste pertinenze tratterà il conto sofficientemente, e fie molto bella et utile materia ad imprendere. Et qui pone TULLIO quattro modi d'acquistare benivolenza dalla nostra persona. Il primo modo si è se noi dicemo sanza soperbia, dolcemente e cortesemente, de' nostri fatti e de' nostri officii. Et intendi che dice «fatti» quelli che noi facemo non per distretta di legge o per forza, ma per movimento di natura. Et così dicendo Dido d'Eneas acquistò la benivolenza degli uditori: «Io» dice ella, «accolsi e ricevetti in sicura magione colui ch'era cacciato in periglio di mare, et quasi anzi ch'io udisse il nome suo li diedi il mio reame». Et così dice che ella si mosse a pietade sopra Eneas quando elli fugìa dalla distruzione di Troia. Et al ver dire noi avemo merzé e pietade delle strane genti per natura, non per distretta. Ma offici sono quelle cose le quali noi facemo per distretta, non per movimento di natura. Onde dice TULLIO che dell'uno e dell'altro dovemo dire temperatamente sanza superbia. Il secondo modo si è se noi ne leviamo da dosso a noi et a' nostri le colpe e le disoneste sospeccioni che cci sono messe et apposte sopra; et intendi che colpe sono appellati que' peccati che sono apposti altrui apertamente davanti al viso, sì come fue apposto a Boezio ch'elli avea composte lettere del tradimento dello 'mperadore. Il quale peccato removeo elli per una pertenenza di sua persona, cioè per sapienza, dicendo così: «Delle lettere composte falsamente che convien dire? la froda delle quali sarebbe manifestamente paruta se noi fossimo essuti alla confessione dell'accusatore». Le disoneste sospeccioni sono le colpe ch'altre pensa in contra ad un altro, ma no-lle pone davante al viso, sì come molti pensavano che Boezio adorasse i domoni per desiderio d'avere le dignitadi; e questa sospeccione si levò elli parlando alla Filosofia, che disse: «Mentiro che pensaro ch'io sozzasse la mia coscienza per sacrilegio (o per parlamento de' mali spiriti). Ma tu, Filosofia, commessa in me cacciavi del mio animo ogne desiderio delle mortali cose». Et così parve che volesse dire: «Poi che in me avea sapienzia, non era da credere che in me fosse così laido fallimento». Tutto altressì Elena, vogliendosi levare la sospeccione che 'l suo marito avea di lei, disse: «Elli che ssi fida in me della vita, dubita per la mia biltade; ma cui assicura prodezza non dovrebbe impaurire l'altrui bellezza». Il terzo modo è se noi contiamo i mali che sono advenuti e li 'ncrescimenti che sono presenti. Così Boezio, contando ciò ch'avenuto era, acquistò la benivolenza dell'uditore dicendo: «Per guidardone della verace vertude soffero pene di falso incolpamento». Et Dido, dicendo i suoi mali dopo il dipartimento d'Eneas, acquistò la benivolenza per la sua misaventura, e disse: «Io sono cacciata et abandono il mio paese e lla casa del mio marito e vo fuggendo per gravosi cammini in caccia de' nemici». Altressì Julio Cesare, vedendosi in perillio di guerra, contò i mali c'a llui poteano advenire, per confortare i suoi a battaglia, e disse: «Ponete mente alle pene di Cesare, guardate le catene e pensate che questa testa è presta a' ferri e' membri a spezzamento». Il quarto modo è se noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino, cioè devotamente e con reverenza chiamare merzede con grande umilitade. Et intendi che preghiera è appellata sanza congiuramento. Verbigrazia: Pompeio, vegiendosi alla pugna della mortal guerra di Cesare, confortando i suoi di battaglia disse: «Io vi priego de' miei ultimi fatti e delli anni della mia fine, perché non mi convenga essere servo in vecchiezza, il quale sono usato di segnoreggiare in giovane etade». Et queste preghiere talfiata sono aperte, sì come quelle di Pompeio, talfiata sono ascose, sì come quelle di Dido in queste parole ch'ella mandò ad Eneas: «Io» disse ella «non dico queste parole perch'io ti creda potere muovere; ma poi ch'io ao perduto il buon pregio e la castitade del corpo e dell'animo, non è gran cosa a perdere le parole e le cose vili». Ma scongiuramento è quando noi preghiamo alcuna persona per Dio o per anima o per avere o per parenti o per altro modo di scongiurare, sì come Dido fece ad Eneas: «Io ti priego» disse ella «per tuo padre, per le lance e per le saette de' tuoi fratelli e per li compagnoni che teco fuggiro, per li dei e per l'altezza di Troia» etc. Or à detto il conto del primo luogo donde muove la benivolenza, cioè della nostra persona e di coloro che sono a noi; omai dirà il secondo luogo, cioè della persona delli adversarii e di coloro contra cui noi dicemo.

Argomento 96

Sopra il secondo prolago.

TULLIO    Dalla persona delli aversarii se noi li mettemo inn odio o invidia o in dispetto.

SPONITORE   Acquistare benivolenza dalla persona de' nostri adversarii si è dire delle loro persone quelle pertenenze per le quali l'uditore sia a noi benivolo et contra l'aversario malivolo; et a cciò fare pone Tulio tre modi: Il primo modo è dicere le pertenenze delle loro persone per le quali siano inn odio dell'uditori; il secondo che siano in loro invidia; il terzo che siano in loro dispetto; e di ciascuno di questi tre modi dirà il testo bene et interamente.

Argomento 97

TULLIO    Inn odio saranno messi dicendo com'ellino anno fatta alcuna cosa isnaturatamente o superbiamente o crudelmente o maliziosamente.

SPONITORE    Noi potemo i nostri adversarii mettere inn odio dell'uditore se noi dicemo ch'elli anno alcuna cosa fatta isnaturalmente, contra l'ordine di natura, sì come mangiare carne umana et altre simili cose delle quali lo SPONITORE si tace presentemente. O se noi dicemo ch'elli abian fatto superbiamente, cioè non temendo né curando de' signori né de' maggiori, avendoli per neente. O se noi dicemo ch'elli abbiano fatto crudelmente, cioè non avendo pietà né misericordia de' suoi minori né di persone povere, inferme o misere. O se noi dicemo ch'elli abbiano fatto maliziosamente, cioè cosa falsa e rea, disleale, disusata e contra buono uso. Et di tutto questo avemo exemplo nelle parole che Boezio dice contra Nero imperadore: «Ben sapemo quante ruine fece ardendo Roma, tagliando i parenti et uccidendo il fratello e sparando la madre». Altressì fue malizioso fatto il qual racconta Eurifiles di Medea, che stava scapigliata tra ' monimenti e ricogliea ossa di morti. Omai à detto lo SPONITORE sopra 'l testo di TULLIO come noi potemo mettere il nostro adversario in odio et in malavoglienza dell'uditore. Da quinci innanzi dicerà come noi li potemo mettere in loro invidia.

Argomento 98

TULLIO    In invidia dicendo la loro forza, la potenza, le ricchezze, il parentado e le pecunie, e la loro fiera maniera da non sofferire, e come più si confidano in queste cose che nella loro causa.

SPONITORE    Noi potemo conducere i nostri adversarii in invidia et in disdegno dell'uditore se noi contiamo la forza del corpo e dell'animo loro ad arme e senza arme, et la potenza, cioè le dignitadi e le signorie, e le ricchezze, cioè servi, ancille e posessioni, e 'l parentado, cioè schiatta, lignaggio e parenti e seguito di genti, e le pecunie, cioè denari, auro et argento, in cotal modo che noi diremo come ' nostri adversarii usano queste cose malamente et increscevolemente con male e con superbia, tanto che sofferire non si puote. Così disse Salustio a' Romani: «Ben dico che Catellina è estratto d'alto lignaggio et à grande forza di cuore e di corpo, ma tutto suo podere usa in tradimenti e distruzioni di terre e di genti». Così disse Catellina contra Romani: «Appo loro sono li onori e le potenzie, ma a nnoi anno lasciati i pericoli e le povertadi». Et ora è detto della invidia contra i nostri adversarii; sì dicerà il conto come noi li potemo mettere in dispetto.

Argomento 99

TULLIO    In dispetto degli uditori saranno messi dicendo che siano sanza arte, neghettosi, lenti, e che studiano in cose disusate e sono oziosi in luxuria.

SPONITORE    Noi potemo mettere i nostri adversarii in dispetto degli uditori, cioè farli tenere a vile et a neente, se noi diremo che sono uomini nescii sanza arte e sanza senno, da neuno uopo e da neuna cosa; o che sono neghettosi, che tuttora si stanno e dormono e non si muovono se non come per sonno; o diremo che sono lenti e tardi a tutte cose; o diremo che studiano in cose che non sono da neuno uso né d'alcuna utilitade; o diremo che sono oziosi in luxuria dando forza et opera in troppo mangiare, inn ebriare, in meretrici, in giuoco et in taverne. Et ora à detto il conto come noi potemo acquistare la benivolienza dell'uditore dalla persona de' nostri adversarii mettendoli inn odio et in invidia et in dispetto, et à insegnato come si puote ciò fare. Omai tornerà alla materia per dire come s'acquista benivolenzia dalla persona dell'uditore, e questo è il terzo luogo.

Argomento 100

La benivolenza dell'uditore.

TULLIO    Dalla persona dell'uditori s'acquista benivolenza dicendo che tutte cose sono usati di fare fortemente e saviamente e mansuetamente, e dicendo quanto sia di coloro onesta credenza e quanto sia attesa la sentenza e l'autoritade loro.

SPONITORE    Noi potemo acquistare la benivolenza delli uditori dicendo le buone pertenenze delle loro persone e lodando le loro opere per fortezza e per franchezza e per prodezza, per senno e per mansuetudine, cioè per misurata umilitade, e dicendo come la gente crede di loro tutto bene et onestade, e come la gente aspetta la loro sentenza sopra questo fatto, credendo fermamente che fie sì giusta e di tanta autoritade che in perpetuo si debbia così oservare nei simili convenenti. Di forte fatto Tulio lodò Cesare dicendo: «Tu ài domate le genti barbare e vinte molte terre e sottoposti ricchi paesi per tua fortezza». Di senno il lodò e' medesimo parlando di Marco Marcello: «Tu nell'ira, la quale è molto nemica di consellio, ti ritenesti a consellio». Di mansueto fatto il lodò Tulio dicendo: «Tu nella vittoria, la quale naturalmente adduce superbia, ritenesti mansuetudine». D'onesta credenza il lodò TULLIO in questo modo: Cesare volle alcuna fiata male a TULLIO, ma tutta volta lo ritenne in sua corte; e non pertanto TULLIO era sì turbato in sé medesimo che non potea intendere a rettorica sì come solea, insin a tanto che Cesare non li rendeo sua grazia. Et in ciò disse TULLIO: «Tu ài renduto a me et alla mia primiera vita l'usanza che tolta m'era, ma in tutto ciò m'avevi lasciata alcuna insegna per bene sperare»; e questo dicea perché l'avea ritenuto in corte, sicché tuttora avea buona credenza. D'attendere la sua buona sentenza lodò TULLIO Cesare parlando di Marco Marcello: «La sentenza ch'è ora attesa da te sopra questo convenente non tocca pure ad una cosa, ma à ad convenire a tutte le somiglianti, perciò che quello che voi giudicarete di lui atterranno tutti li altri per loro». Or è detto come s'acquista benivolenzia dalle persone delli uditori; sì dirà TULLIO com'ella s'acquista dalle cose.

Argomento 101

La benivolenza delle cose.

TULLIO    Da esse cose se noi per lode innalzeremo la nostra causa, per dispetto abasseremo quella delli adversarii.

SPONITORE    Noi potemo avere la benivolenza dell'uditori da esse cose, cioè da quelle sopra le quali sono le dicerie, dicendo le pertenenze di quelle cose in loda della nostra parte et in dispetto et in abassamento dell'altra; sì come disse Pompeio confortando la sua gente alla guerra di Cesare: «La nostra causa piena di diritto e di giustizia, perciò ch'ella è migliore che quella de' nemici, ne dà ferma speranza d'avere Dio in nostro adiuto». Et omai à divisato il conto le quattro luogora delle quali si coglie et acquista la benivoglienza, molto apertamente et a compimento; sì ritornerà a dire come noi potemo fare l'uditore intento.

Argomento 102

Di fare l'uditore intento.

TULLIO    Intenti li faremo dimostrando che in ciò che noi diremo siano cose grandi o nuove o non credevoli, o che quelle cose toccano a tutti o a coloro che ll'odono o ad alquanti uomini illustri, ai dei immortali, a grandissimo stato del comune, o se noi profferremo di contare brevemente la nostra causa, o se noi proporremo la giudicazione, o le giudicazioni se sono piusori.

SPONITORE    Avendo TULLIO dato intero insegnamento d'acquistare la benivolenza di quelle persone davante cui noi proponemo le nostre parole, sì che l'animo s'adirizzi et invii in piacere di noi e della nostra causa e che siano contrarii e malevoglienti a' nostri adversarii, sì vuole TULLIO medesimo in questa parte del suo testo insegnare come noi potemo del nostro exordio, cioè nel prologo e nel cominciamento del nostro dire, fare intenti coloro che noi odono, sì che vogliano achetare i loro animi e stare a udire la nostra diceria; e di questo potemo noi fare in molti modi de' quali sono specificati nel testo dinanti, et in altri simili casi. Et posso ben dire manifestamente che ciascuna persona sarà intenta e starà ad intendere se io nel mio cominciamento dico ch'io voglia trattare di cose grandi e d'alta materia, sì come fece il buono autore recitando la storia d'Alexandro, che disse nel suo cominciamento: «Io diviserò e conterò così alto convenente come di colui che conquistò il mondo tutto e miselo in sua signoria». Altressì fie inteso s'io dico ch'io voglia trattare di cose nuove e contare novelle e dire ch'è avenuto o puote advenire per le novitadi che fatte sono, sì come disse Catellina: «Poi che lla forza del comune è divenuta alle mani della minuta gente et in podere del populo grasso, noi nobili, noi potenti a cui si convengono li onori, siemo divenuti vile populo sanza onore e sanza grazia e sanza autoritade». Altressì fie intento s'io dico ch'io voglia trattare di cose non credevoli, sì come 'l santo che disse: «Il mio dire sarà della benedetta donna la quale ingenerò e parturio figliuolo essendo tuttavolta intera vergine davanti e poi»; la quale è cosa non credevole, perciò che pare essere contra natura. Et sì come diceano i Greci: «Non era cosa da credere che Paris avesse tanto folle ardimento che venisse 'n essa terra a rapire Elena». Altressì fie intento s'io dico che 'l convenente sopra 'l quale dee essere il mio parlamento a tutti tocca od a coloro che ll'odono, sì come disse Cato parlando della congiurazione di Catellina: «Congiurato ànno i nobilissimi cittadini incendere e distruggere la patria nostra, e 'l lor capitano ne sta sopra capo. Adunque dovete compensare che voi dovete sentenziare de' crudelissimi cittadini che sono presi dentro nella cittade». Altressì fie intento s'io dico che lla mia diceria tocca ad alquanti uomini illustri, cioè uomini di grande pregio e d'alta nominanza intra lle genti sì come disse Pompeio parlando della battaglia civile: «Sappiate che l'arme de' nemici sono appostate per abbattere l'alto e glorioso sanato». Altressì fie inteso s'io dico che lle mie parole toccano a' dei, sì come fue detto di Catellina poi ch'elli ebbe conceputo di fare cotanta iniquità: «Ma elli gridava ch'appena i dei di sopra potrebbero omai trarre il populo delle sue mani». Altressì fie intento s'io dico nel principio di dire la mia causa brevemente et in poche parole, sì come disse il poeta per contare la storia di Troia: «Io dirò la somma, come Elena fue rapita per solo inganno e come Troia per solo inganno fue presa et abattuta». Altressì fie intento s'io nel mio exordio propongo la giudicazione una o più, cioè quella sopra che io voglio fondare il mio dire e fermerò la mia provanza, sì come fece Orestes dicendo: «Io proverò che giustamente uccisi la mia madre, imperciò che dio Apollo il mi à comandato, perciò che uccise il mio padre». Et di tutti modi per fare l'uditore intento potemo noi colliere exempli in queste parole che disse TULLIO a Cesare parlando per Marco Marcello: «Tanta mansuetudine e così inaudita e non usata pietade e così incredebile e quasi divina sapienzia in nessuno modo mi posso io tacere né sofferire ch'io non dica». Et poi che TULLIO à pienamente insegnato come per le nostre parole noi potemo fare intento l'uditore, sì dirà come noi il potemo fare docile.

Argomento 103

Come l'uditore sia docile.

TULLIO    Docili faremo li uditori se noi proporremo apertamente e brevemente la somma della causa, cioè in che sia la contraversia. E certo quando tu il vuoli fare docile conviene che tu insieme lo facci attento, in però che quelli è di grande guisa docile il quale è intentissimamente apparecchiato d'udire.

SPONITORE    Quelle persone davanti cui io debbo parlare posso io fare docili, cioè intenditori, da tal fatto: se io nel mio exordio, alla 'ncuminciata della mia aringhiera, tocco un poco del fatto sopra 'l quale io dicerò, cioè brevemente et apertamente dicendo la somma della causa, cioè quel punto nel quale è la forza della contenzione e della controversia. Così fece Salustio docile Tulio dicendo: «Con ciò sia cosa ch'io in te non truovi modo né misura, brevemente risponderò, che se tu ài presa alcuna volontade in mal dire, che tu la perda in mal udire». Questo et altri molti exempli potrei io mettere per fare l'uditore docile, sì come buono intenditore puote vedere e sapere in ciò ch'è detto davanti. Et perciò che 'l conto à trattato inn adietro di due maniere exordii, cioè di principio e d'insinuazione, et àe divisato ciò che ssi conviene fare e dire nel principio per fare l'uditore benivolo, docile et intento, sì dirà lo 'nsegnamento della insinuazione in questo modo:

Argomento 104

Lo 'nsegnamento della Insinuazione.

TULLIO    Oramai pare che sia a dire come si conviene trattare le insinuazioni. Insinuatio è da usare quando la qualitade della causa è mirabile, cioè, sì come detto avemo inn adietro, quando l'animo dell'uditore è contrario a noi; e questo adiviene maximamente per tre cagioni: o che nella causa è alcuna ladiezza, o coloro c'ànno detto davanti pare c'abbiano alcuna cosa fatta credere all'uditore, o se in quel tempo si dà luogo alle parole, perciò che quelli cui conviene udire sono già udendo fatigati; acciò che di questa una cosa, non meno che per le due primiere, sovente s'offende l'animo dell'uditore.

SPONITORE    In adietro è detto sofficientemente come noi potemo acquistare la benivolenza dell'uditore e farlo docile et intento in quella maniera de exordio la quale è appellata principio. Oramai è convenevole d'insegnare queste medesime cose nell'autra maniera de exordio la quale è appellata «insinuatio». Et ben è detto qua indietro che «insinuatio» è uno modo di dicere parole coverte e infinte in luogo di prologo. Et perciò dice TULLIO che questo tal prologo indaurato dovemo noi usare quando la nostra causa è laida e disonesta inn alcuna guisa, la qual causa è appellata mirabile, sì come pare in adietro là dove fue detto che sono cinque qualità di cause, cioè onesta, mirabile, vile, dubiosa et oscura. E buonamente nelle quattro ne potemo noi passare per principio; ma in questa una, cioè mirabile, ne conviene usare insinuazione per sotrarre l'animo dell'uditore e tornare in piacere di lui ed in grazia quel che pare essere in suo odio. Adunque ne conviene vedere in quanti e quali casi la nostra causa puote essere mirabile, e poi vedere come noi potemo contraparare a ciascuno; e sono tre casi. Primo caso si è quando sie nella causa alcuna ladiezza per cagione di mala persona o di mala cosa; ché al vero dire molto si turba l'animo dell'uditore contra il reo uomo e per una malvagia cosa. Il secondo caso è quando il parlieri ch'à detto davanti à sìe et in tal guisa proposta la sua causa, ch'è intrata nell'animo dell'uditore e pare già che lla creda sì come cosa vera; per la quale cosa l'uditore, poi che comincia a credere alle parole che ll'una parte propone et extima che lla sua causa sia vera, apena si puote riducere a credere la causa dell'altra parte, anzi sine strana et allunga. Il terzo caso è d'altra maniera: che sovente aviene che quelle persone davanti cui noi dovemo proporre la nostra causa e dire i nostri convenenti ànno lungamente udito e stati a intendere altri c'ànno detto assai e molto, prima di noi, donde l'animo dell'uditore è fatigato sì che non vuole né agrada lui d'intendere le nostre parole; e questa è una cagione che offende l'animo dell'uditore non meno che ll'altre due. Et perciò conviene a buon parliere mettere rimedi di parole incontra ciascuno caso contrario, secondo lo 'nsegnamento di Tulio.

Argomento 105

Della laidezza della causa.

TULLIO    Se la laidezza della causa mette l'offensione, conviene mettere per colui da cui nasce l'offensione un altro uomo che sia amato, o per la cosa nella quale s'offende un'altra cosa che sia provata, o per la cosa uomo o per l'uomo cosa, sicché l'animo dell'uditore si ritragga da quello che 'nnodia in quello ch'elli ama; et infingerti di non difendere quello che pensano che tu voglie difendere, e così, poi che ll'uditore fie più allenito, entrare in difendere a poco a poco e dicere che quelle cose, le quali indegnano l'aversarii, a noi medesimi paiono non degne. Et poi che tu avrai allenito colui che ode, dei dimostrare che quelle cose non pertiene a tte neente, e negare che tu non dirai alcuna cosa dell'aversarii, né questo né quello, sì ch'apertamente tu non danneggi coloro che sono amati, ma oscuramente facciendolo allunghi quanto puoi da lloro la volontade dell'uditore; e proferere la sentenzia d'altri in somiglianti cose, o altoritade che sia degna d'essere seguita; et apresso dimostrare che presentemente si tratta simile cosa, o maggiore o minore.

SPONITORE    In questa parte dice TULLIO che, se ll'uditore è turbato contra noi per cagione della causa nostra che sia o che paia laida per cagione di mala persona o di mala cosa, allora dovemo noi usare insinuazione nelle nostre parole in tal maniera, che in luogo della persona contra cui pare corucciato l'animo dell'uditore noi dovemo recare un'altra persona amata e piacevole all'uditore, sì che per cagione e per coverta della persona amata e buona noi appaghiamo l'animo dell'uditore e ritraiallo del coruccio ch'avea contra la persona che lui semblava rea; sì come fece Aiax nella causa della tencione che fue intra lui et Ulixes per l'arme ch'erano state d'Acchilles. Et tutto fosse Aiax un valente uomo dell'arme, non era molto amato dalla gente né tenuto di buona maniera. Ma Ulixes, per lo grande senno che in lui regnava, era molto amato. Onde Aiax, volendosi contraparare, nel suo dicere ricordò com'elli era nato di Telamone, il quale altra fiata prese Troia al tempo del forte Hercole; e così mettea la persona avanti amata e graziosa in luogo di sé et in suo aiuto, per piacerne alla gente e per avere buona causa. Et quando la causa è laida per cagione di mala cosa, sì dovemo noi recare nel nostro parlamento un'altra cosa buona e piacevole; sì come fece Catellina scusandosi della congiurazione che facea in Roma, che mise una giusta cosa per coprire quella rea, dicendo: «Elli è stata mia usanza di prendere ad atare li miseri nelle loro cause».

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Ultimo aggiornamento: 28 agosto, 2011