L’essenza dell’Abruzzo è declinata in questa novella nei suoi peculiari aspetti culturali.
Lo sguardo attento e compiaciuto di Valerio Di Stefano ci accompagna attraverso le viuzze di un paesino dove la vita scorre ancora lenta, tra i profumi e i sapori di una terra “forte e gentile” come i suoi abitanti.
“Lo schiaffatone” si differenzia completamente dalle precedenti narrazioni, mantenendo però il solito marchio di fabbrica: un’ironia inconfondibile e sottile che, in queste pagine, diventa bonaria ed empatica.
Valerio Di Stefano è docente di lingua e letteratura spagnola dalla penna felice che, per la prima volta, immerge nel luogo che per lui è ormai “casa”.
(dalla Postfazione di Laura Avolio)
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Da comune utente del web ho sempre ritenuto che collaborare, anche solo a titolo gratuito, con Wikipedia sia un’esperienza estremamente gratificante per chi la svolge.
Avere un qualsiasi ruolo nel campo della conoscenza non è come diventare Presidente di una grande azienda o avere successo in una carriera politica. E’ molto di più.
Poter migliorare un testo e offrire il proprio contributo fa sentire parte di una comunità. Poter addirittura decidere, dall’altro lato, se questo contributo sia giusto o sbagliato, congruo o non congruo al contesto, accettabile o rifiutabile anche secondo un proprio personale convincimento non è più una gratificazione, è potere.
In questo caso, si è trattato del potere di un utente registrato, che nel 2022 aveva 21 anni, e che ha potuto portare un elemento privo di fondamento nel novero della conoscenza universale.
E questo è il potere, quello vero.
Questo e-book è totalmente gratuito in formato EPUB.
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“Ho portato dentro di me questo libro per undici anni, prima di darlo alle stampe, ed evidenziare storture, contraddizioni e incertezze sull’omicidio di Ester Pasqualoni, amica, confidente e persona universalmente stimata, avvenuto in un parcheggio laterale di Sant’Omero (Teramo). Spero che questo testo, ormai libero, la raggiunga e la abbracci dovunque ella sia.,”
(L’Autore)
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Detto anche “Canticus creaturarum” fu composto da Francesco, secondo la leggenda, due anni prima della sua morte (1226). Scritto in volgare umbro, il “Cantico” è uno dei più antichi monumenti della letteratura italiana. In prosa ritmica assonanzata, celebra le lodi del creatore attraverso l’esaltazione delle sue creature: l’acqua, il fuoco, ecc. sino alla stessa morte.
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato d’una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, nè il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, nè a questo luogo nè altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov’era solito d’alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all’anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere.