Addis Abeba – “Sono profondamente addolorato per tutto quello che sta avvenendo nella regione del Tigray e nelle regioni accanto Amhara e Afar, anche se un in tutto il Paese si stanno registrando disordini da almeno un anno, ora degenerati in modo drammatico”, dice all’Agenzia Fides il Vescovo Seyoum Fransua Noel, Vicario Apostolico di Hosanna e direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Etiopia. “Quando c’è un conflitto, le vittime sono i poveri, è necessario che ci sia un dialogo tra le parti per ristabilire un equilibrio sociale. La guerra è inutile, la gente sta soffrendo molto, occorre cercare la pace e la sicurezza” nota il Vicario Apostolico di Hosanna”. Il Vescovo lancia un appello alla preghiera: “È necessario pregare, avere un dialogo con Dio, la vera pace viene solo da Dio, chiedo a tutti di pregare per questa situazione”.
Come confermano fonti di Fides, la situazione in Etiopia è drammatica: a un anno dallo scoppio della guerra in Tigray, il caos regna sovrano e la leadership del primo ministro Abyi sembra appesa a un filo.
Il grande paese africano, fino a qualche mese fa era considerato un modello. Sede dell’Unione Africana, centro di stabilità politica in un’area tra le più “calde” al mondo, era nazione con un’economia in forte crescita e un leader insignito nel 2019 del premio Nobel per la Pace per aver facilitato cooperazione internazionale, la riconciliazione con la vicina Eritrea e avviato importanti riforme. Ora, secondo gli osservatori, in soli 12 mesi questo orizzonte sembra smarrito. Il 3 novembre 2020, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray , dopo aver celebrato una tornata elettorale senza l’autorizzazione di Addis Abeba, chiudeva ogni comunicazione con il resto del paese e prendeva controllo sulla regione ,dopo aver conquistato armi e strutture militari. Il Primo Ministro Abiy, leader di etnia Oromo , e leader di confessione cristiana pentecostale in un Paese a stragrande maggioranza cristiano ortodosso, ha inviato immediatamente inviato truppe dando il via a una escalation militare, ignorando le voci interne ed esterne che gli consigliavano di ricorrere a mezzi dialogici.
Gradualmente, l’area settentrionale del Paese, è sprofondata in una grave crisi umanitaria: migliaia di morti tra i militari dei due fronti e, soprattutto, tra la popolazione inerme; stragi, carneficine, stupri di massa, saccheggi e mutilazioni su innocenti; 5,2 milioni di abitanti sono in stato di drammatica necessità alimentare mentre gli sfollati interni ammontano a 2,1 milioni . Il conflitto, nel frattempo, si è esteso alle regioni dell’Afar e dell’Amhara.
Per l’economia del Paese, la guerra ha significato un tracollo. Le spese militari sono salite a oe 500 milioni di dollari in un anno e si è registrata la fuga degli investitori – che fino a tutto il 2019 guardavano all’Etiopia come meta ideale. L’abbandono di terreni, pascoli e bestiame in tante zone colpite dalla guerra e le ricorrenti carestie, hao creato una situazione di povertà e, mentre la crescita economica dal 10-11% del tempo pre-conflitto è calata al 2% del 2021.
Intanto il Tplf ha conquistato Dessie e Kombolcha, due città a soli 400 km da Addis Abeba e annunciato anche l’imminente presa di Kemise. L’Esercito di Liberazione Oromo , alleato del Tplf da agosto, ha dichiarato che la presa della capitale è «questione di mesi, se non di settimane».
Il Primo Ministro Abiy ha chiamato i suoi concittadini alla rivolta contro il “nemico traditore del popolo” e ad armarsi per ricacciarlo indietro. Le voci, riportate dalla stampa locale, su un possibile ricorso a più miti atteggiamenti e a tavoli negoziali, attendono riscontri. Di recente il Primo Ministro ha detto in un nota ufficiale: “La colpa è tutta del Tplf: sono stati i terroristi tigrini a premere il grilletto della guerra”.
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ASIA/MONGOLIA – El Prefecto Apostólico: La misión se alimenta de la profundidad de la fe
Ulán Bator – Pasar de la “velocidad” a una dimensión de mayor “profundidad”. Esta es la necesidad del futuro próximo para la Iglesia en Mongolia, según lo ha ilustrado Mons. Giorgio Marengo, Prefecto Apostólico de Ulán Bator, en el reciente seminario web “La misión de evangelización en Asia Central en tiempos de Evangelii Gaudium”, promovido por la Pontificia Unión Misional.
Haciendo un balance y esbozando las perspectivas de la misión en Mongolia, el obispo ha dicho: “Al tratar de repasar los primeros treinta años de presencia formal de la Iglesia católica en Mongolia, la sensación es que todo comenzó en una coyuntura providencial de acontecimientos favorables, que llevaron a uno de los países más cerrados del mundo a abrirse de repente a la labor misionera. Como dijo el P. Jeroom Heyndrickx, uno de los primeros misioneros en llegar aquí en 1991, ‘por alguna razón parecía que todo tenía que hacerse deprisa y todo sucedía rápidamente’. A raíz de este rápido comienzo, las cifras de las obras creadas por los misioneros que se unieron al primer grupo son igual de sorprendentes. Si la rapidez de los comienzos ha tenido sus indudables ventajas, ahora quizá sea el momento de profundizar, pensando sobre todo en la vida de la fe, que debe nutrirse de unos contenidos adecuados a la realidad y de una praxis que los refleje y los siga inspirando”.
Según Mons. Marengo, “la profundidad significa un largo período de tiempo para una adecuada integración, un lento esfuerzo para aprender el idioma local y, sobre todo, para entrar en armonía con el corazón palpitante de esta cultura, que se encarna en las personas individuales que se encuentran. Significa también acompañar el camino de cada hermano y hermana que, tocados por la Gracia, comienzan a releer su historia personal y colectiva a la luz del Evangelio”. Según el prelado, este “ritmo” renovado puede representar una respuesta eficaz a las nuevas necesidades de la sociedad mongola, que ha experimentado, al igual que la Iglesia en esa zona, un desarrollo extremadamente rápido: “El rápido crecimiento económico va acompañado de un aumento proporcional de la complejidad de la sociedad. Si ya en la época del socialismo había dos mongolias, la urbana de Ulán Bator y la del resto del país, todavía marcada por los antiguos ritmos del nomadismo, la diferencia hoy es en parte aún más marcada, pero con una mayor complejidad, porque los estilos de vida se mezclan y nos enfrentamos a las tendencias del mundo globalizado”.
La prioridad, subraya monseñor Marengo, es promover un anuncio y una pastoral atentos a la especificidad del pueblo mongol y a sus infinitos matices: “Probablemente Mongolia no ‘necesita’ hoy a la Iglesia católica para suplir las carencias de su sistema de asistencia social y, de hecho, rechaza nuestras nobles iniciativas. El compromiso con la promoción humana continuará siempre, porque pertenece a la naturaleza misma de la misión, pero no debe hacernos perder de vista la auténtica tensión en la formación de la vida cristiana y su dimensión ético-litúrgica. El riesgo es perderse un poco en los muchos proyectos y dejar que se pierda la frescura del testimonio de fe”.
Según el obispo, el anuncio del Evangelio en Mongolia debe ser ‘susurrado’: “Esta es una expresión del arzobispo emérito de Guwahati. Thomas Menamparampi, SDB, que lo aplicó al continente asiático en general. ‘Susurrar el Evangelio al alma de Asia’ es para él una forma concisa de indicar la belleza del perenne anuncio cristiano, en la delicadeza de su encarnación en la tierra de Asia. La misión así entendida refleja bien su dimensión profundamente relacional y espiritual, sin dejar de encarnarse en lo concreto de cada cultura”, ha dicho para concluir.
En Mongolia, el cristianismo tiene profundas raíces de origen sirio presentes en la zona desde el siglo X y luego congeladas por la epopeya del imperio mongol y el ateísmo impuesto durante el siglo XX. En 1991, tras la revolución democrática pacífica, un grupo de diplomáticos mongoles pidió establecer relaciones con la Santa Sede, lo que supuso el inicio de un proceso muy rápido que, en pocos meses, condujo primero al establecimiento de estas relaciones diplomáticas y luego a la llegada de los tres primeros Misioneros del Corazón Inmaculado de María.
La comunidad católica local cuenta hoy con poco más de 1.300 cristianos bautizados, frente a casi 63.000 cristianos de otras confesiones , según un reciente censo protestante. Hay 64 misioneros católicos, de los cuales 22 son sacerdotes , 35 religiosas, 3 religiosos no sacerdotes, 3 misioneros laicos y 1 obispo, pertenecientes a 10 congregaciones religiosas y 2 diócesis, con 24 nacionalidades representadas. El clero local incluye sólo un sacerdote y un diácono, que pronto será ordenado al sacerdocio.
ASIA/MONGOLIA – Il Prefetto Apostolico: la missione si nutre con la profondità della fede
Ulaanbaatar – Passare dalla “rapidità” a una dimensione di maggiore “profondità”. E’ questa l’esigenza del futuro prossimo per la Chiesa in Mongolia, secondo quanto affermato da Mons. Giorgio Marengo, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, nel recente webinar “La missione di evangelizzazione nell’Asia centrale ai tempi dell’Evangelii Gaudium”, promosso dalla Pontificia Unione Missionaria.
Tracciando un bilancio e illustrando le prospettive della missione in Mongolia, il Vescovo ha detto: “Provando a ripercorrere questo primo trentennio di presenza formale della Chiesa cattolica in Mongolia, la sensazione è che tutto sia iniziato all’interno di una provvidenziale congiuntura di eventi favorevoli, che portarono uno dei Paesi più chiusi del mondo ad aprirsi improvvisamente all’opera missionaria. Come affermava P. Jeroom Heyndrickx, uno dei primi missionari giunti qui nel 1991, ‘per qualche ragione sembrava come se tutto dovesse essere fatto in fretta e tutto accadde velocemente’. Sull’onda di questo inizio veloce, i numeri delle opere messe in piedi dai missionari e dalle missionarie che si sono uniti al primo gruppo, sono aettanto sorprendenti. Se la rapidità degli inizi ha avuto i suoi indubbi vantaggi, ora forse è tempo di andare più in profondità, pensando soprattutto alla vita di fede che deve potersi nutrire di contenuti adeguati alla realtà e di una prassi che li rifletta e continui ad ispirarli”.
Secondo Mons. Marengo, “profondità vuol dire tempi lunghi di adeguato inserimento, lento sforzo di imparare la lingua locale e soprattutto di entrare in sintonia con il cuore pulsante di questa cultura, che s’incarna nelle singole persone incontrate. Vuol dire anche accompagnare il cammino di ogni fratello e sorella che, toccati dalla Grazia, cominciano a rileggere la loro storia personale e collettiva alla luce del Vangelo”. Questo rinnovato “ritmo “può rappresentare, secondo il presule, una efficace risposta alle nuove esigenze della società mongola, che ha conosciuto, proprio come la Chiesa in quell’area, uno sviluppo estremamente veloce: “Alla rapida crescita economica si accompagna una proporzionale accresciuta complessità della società. Se già ai tempi del socialismo esistevano due Mongolie, quella urbana di Ulaanbaatar e tutto il resto del Paese, ancora segnato dai ritmi antichi del nomadismo, la differenza oggi è in parte ancora più stridente, ma con una complessità maggiore, perché gli stili di vita si mescolano e ci si confronta con le tendenze del mondo globalizzato”.
La priorità, rimarca mons. Marengo, è promuovere un annuncio e una cura pastorale che siano attenti alle specificità del popolo mongolo e alle sue infinite sfumature: “La Mongolia di oggi probabilmente non ha ‘bisogno’ della Chiesa Cattolica per sopperire alle carenze del proprio sistema di welfare e anzi torce un po’ il naso di fronte alle nostre pur nobili iniziative. L’impegno per la promozione umana continuerà sempre, perché appartiene alla natura stessa della missione, ma non dovrebbe far perdere di vista la genuina tensione alla formazione della vita cristiana e alla sua dimensione etico-liturgica. Il rischio è di perdersi un po’ nei tanti progetti e di lasciar sfumare la freschezza della testimonianza di fede”.
Secondo il Vescovo, l’annuncio del Vangelo in Mongolia dovrebbe essere “sussurrato”: “E’ un’espressione dell’arcivescovo emerito di Guwahati. Thomas Menamparampi, SDB, che la applicava al continente asiatico in generale. ‘Whispering the Gospel to the Soul of Asia’ è per lui un modo sintetico di indicare la bellezza del perenne annuncio cristiano, nella delicatezza del suo incarnarsi in terra d’Asia. La missione intesa così riflette bene la sua dimensione profondamente relazionale e spirituale, pur rimanendo incarnata nel concreto di ogni singola cultura”, ha concluso.
In Mongolia, il cristianesimo ha profonde radici di origini siriache presenti nell’area fin dal X secolo e poi congelate dall’epopea dell’impero mongolo e dall’ateismo imposto durante il Novecento. Nel 1991 all’indomani della pacifica rivoluzione democratica, un gruppo di diplomatici mongoli chiede di stabilire relazioni con la Santa Sede: è l’inizio di un processo molto veloce che nell’arco di pochi mesi porterà prima allo stabilimento delle suddette relazioni diplomatiche e poi all’arrivo dei primi tre Missionari del Cuore Immacolato di Maria.
La comunità cattolica locale conta oggi poco più di 1.300 battezzati, a fronte dei quasi 63.000 cristiani di ae denominazioni , secondo un recente censimento di matrice protestante. I missionari cattolici sono 64, di cui 22 sacerdoti , 35 religiose, 3 religiosi non sacerdoti, 3 laici missionari e 1 Vescovo, appartenenti a 10 Congregazioni religiose e a 2 Diocesi, con ben 24 nazionalità rappresentate. Il clero locale conta un solo sacerdote e un diacono, prossimo all’ordinazione presbiterale.
ASIA/UZBEKISTÁN – Treinta años de presencia franciscana y de trabajo apostólico
Tashkent – “Espero que este trigésimo aniversario nos ayude a identificar una perspectiva para el futuro, porque a pesar de las dificultades, nuestra presencia en Uzbekistán es importante. A menudo escuchamos el pasaje del Evangelio en el que Jesús nos dice que seamos la sal de este mundo, y aquí en Uzbekistán he comprendido una cosa: la sal debe añadirse con moderación a los platos, pues de lo contrario estropea el sabor. Quizá los franciscanos de Uzbekistán estemos llamados precisamente a esto: somos pocos, pero debemos dar sabor a este país”. Así lo ha afirmado el P. Jerzy Maculewicz, OFM Conv., Administrador Apostólico de Uzbekistán, durante la primera jornada del webinar “La misión de evangelización en Asia Central en tiempos de Evangelii Gaudium – Contexto, dificultades, perspectivas”, promovido por la Pontificia Unión Misional, en las Obras Misionales Pontificias.
Durante su discurso, titulado “Celebrando 30 años de presencia en Uzbekistán. Frutos y desafíos de la actividad misionera”, el P. Maculewicz ha recorrido los pasos de la experiencia de los Hermanos Menores Conventuales en Uzbekistán, iniciada en 1991, en paralelo al renacimiento de la Iglesia católica en el país tras la caída de la URSS. El 30º aniversario especial se celebrará el viernes 15 de octubre en la iglesia de Tashkent, con la presencia del Ministro General de los Hermanos Menores Conventuales, el argentino Fray Carlos Alberto Trovarelli.
El padre Maculewicz señala: “La celebración de los treinta años de presencia franciscana en Uzbekistán nos plantea un reto: la Provincia polaca de los Hermanos Menores Conventuales, responsable de esta misión, tiene pocas vocaciones actualmente. Esto nos ha obligado a dejar las parroquias de Urgench y Samarcanda y a confiarlas a religiosos de otros institutos o a sacerdotes diocesanos. Estamos buscando otras provincias franciscanas en el mundo que puedan ayudarnos y tal vez en el futuro, asumir también la responsabilidad de esta administración. Recordamos que el Papa nos ha pedido a los franciscanos que continuemos nuestra labor pastoral y apostólica en este país”.
El primer franciscano que llegó a Uzbekistán en 1991 fue el padre Krzysztof Kukułka. En aquella época, como recuerda el P. Maculewicz, sólo había una parroquia, en Fergana, y se estaba formando una comunidad en Tashkent: estas realidades las siguió el P. Kukułka en solitario hasta 1993. En ese año, la llegada de un segundo hermano marcó también el nacimiento de una comunidad en Samarcanda: “En aquella época -recuerda- ser misionero era como vivir en la época de los primeros apóstoles: se empezaba con muy poca gente y había que ocuparse de todo, desde el trabajo pastoral con la gente hasta la construcción, la búsqueda de materiales y trabajadores para poder dar una estructura física a las primeras comunidades”.
Los difíciles años de los pioneros fueron recompensados con una gran alegría: en 1997, con la llegada de cuatro nuevos misioneros franciscanos, la Missio sui iuris fue erigida por Juan Pablo II. En 2000, la iglesia de Tashkent fue consagrada en presencia del Nuncio Apostólico. El 1 de abril de 2005, la víspera de su muerte, Juan Pablo II instituyó la Administración Apostólica, confiando su dirección al padre Jerzy Maculewicz.
Durante este periodo, comenzó a desarrollarse en el país una labor pastoral en varias lenguas. El padre Maculewicz explica: “Necesitábamos realizar nuestras actividades en ruso para la población local, en inglés para los diplomáticos y empresarios, en coreano para los numerosos empleados de empresas surcoreanas presentes en Uzbekistán, y en polaco debido a la presencia de muchas personas de esa nacionalidad deportadas por los soviéticos. A lo largo de los años, esta variedad cultural ha sido una gran riqueza, pero también un freno al crecimiento de nuestra comunidad: son muchos los católicos que abandonan el país para volver a su tierra natal, principalmente por la falta de trabajo. Así que, por un lado, tenemos nuevos creyentes cada año y, por otro, mucha gente nos deja, pero nos alegra seguir en contacto con ellos y saber que en los lugares donde van a vivir siguen siendo parte activa de la Iglesia: esto también es fruto de nuestro trabajo”.
En la actualidad, la pequeña comunidad católica uzbeka de unos 3.000 bautizados cuenta con cinco parroquias en todo el país. Además de unos 700 fieles en Tashkent, hay otras en Samarcanda, Bujara, Urgench y Fergana. En Angren, donde se proyecta construir una nueva iglesia, hay 25 fieles. En 2012, se ordenó el primer sacerdote local, mientras que otros dos uzbekos están en camino al sacerdocio en el seminario franciscano de Cracovia.
AMERICA/PARAGUAY – El Vicario Apostólico del Chaco pide un mayor compromiso del gobierno contra la violencia y la liberación de los secuestrados
Alto Paraguay – El Vicario Apostólico del Chaco, Monseñor Gabriel Escobar, pidió al gobierno un mayor compromiso para rescatar a quienes han sido secuestrados por el grupo armado en el norte del país. Un año después del secuestro del exvicepresidente de la República, Óscar Denis y otras dos personas , Monseñor Escobar celebró una misa en Concepción, durante la cual deploró la inseguridad del Norte y pidió al gobierno para hacer más trabajo por la liberación de los secuestrados.
El pasado 9 de septiembre en la parroquia Virgen del Carmen, el Vicario Apostólico recordó al exvicepresidente Óscar Denis, al criador de ganado Félix Urbieta y al suboficial Edelio Morínigo, secuestrados hace un año por el grupo armado que se autodenomina “Ejército”. del pueblo paraguayo ”. También instó a los miembros del EPP a dejar de hacer la guerra entre paraguayos, y recordó que el nombre “Ejército Paraguayo” no coincide con lo que significa, es decir, paz, trabajo y desarrollo. “Ser libres significa hacer uso de las propias cualidades, de las propias habilidades, del discernimiento del bien y del mal, pero cuando llega gente que quiere privarnos de la libertad, esto es lo peor que nos puede pasar”, dijo durante la homilía.
También la diócesis de Santísima Concepción, a través de un comunicado publicado el jueves 9, firmado por el obispo Miguel Almada, envió un mensaje de solidaridad y aliento a los familiares de los tres secuestrados. El comunicado solicita al grupo armado que proceda con su liberación o al menos que brinde información sobre su paradero, y se insta a los ciudadanos paraguayos a rechazar y condenar cualquier tipo de violencia y atentado a la dignidad de la vida. Al mismo tiempo, condenó el aumento de casos de homicidio en la zona norte. Finalmente, la solicitud a las autoridades para que redoblen sus esfuerzos para garantizar la seguridad en esa zona y, sobre todo, para atender a los sectores más vulnerables de la población.
AMERICA/PARAGUAY – Il Vicario apostolico del Chaco chiede maggiore impegno del governo contro la violenza e per la liberazione dei rapiti
Alto Paraguay – Il Vicario apostolico del Chaco, Monsignor Gabriel Escobar, ha chiesto al governo di manifestare maggiore impegno per far rientrare sani e salvi coloro che sono stati rapiti dal gruppo armato del Nord del paese. Ad un anno dal sequestro dell’ex vicepresidente della Repubblica, Óscar Denis e di altre due persone , Monsignor Escobar ha celebrato una messa a Concepción, durante la quale ha deplorato l’insicurezza del Nord e ha chiesto al governo un lavoro maggiore per il rilascio dei rapiti.
Il 9 settembre nella parrocchia Virgen del Carmen, il Vicario apostolico ha ricordato l’ex vicepresidente Óscar Denis, l’allevatore Félix Urbieta e il sottufficiale di polizia Edelio Morínigo, che sono stati rapiti un anno fa dal gruppo armato che si autodefinisce “Esercito del Popolo Paraguaiano” . Ha anche esortato i membri del PPE a smettere di farsi la guerra tra paraguaiani, e ha ricordato che il nome di “Esercito paraguaiano” non coincide con ciò che questo intende, cioè pace, lavoro e sviluppo. “Essere liberi significa fare uso delle proprie qualità, delle proprie capacità, del discernimento del bene e del male, ma quando arrivano persone che vogliono privarci della libertà, questa è la cosa peggiore che ci possa capitare” ha detto durante l’omelia.
Anche la diocesi della Santísima Concepción, attraverso un comunicato pubblicato giovedì 9, firmato dal Vescovo Miguel Almada, ha inviato un messaggio di solidarietà e di incoraggiamento ai parenti dei tre rapiti. Nel comunicato si chiede al gruppo armato di procedere al loro rilascio o almeno di fornire informazioni su dove si trovino, e si esortano i cittadini paraguaiani a respingere e condannare ogni tipo di violenza e attacco alla dignità della vita. Allo stesso tempo, si deplora l’aumento dei casi di omicidio nell’area settentrionale. Infine la richiesta alle autorità di raddoppiare gli sforzi per garantire la sicurezza in quell’area e, soprattutto, di assistere i settori più vulnerabili della popolazione.
AMÉRICA/ECUADOR – Renuncia y nombramiento del vicario apostólico de Esmeraldas
Ciudad del Vaticano – El Santo Padre Francisco el 5 de julio de 2021, ha aceptado la renuncia al gobierno pastoral del vicariato apostólico de Esmeraldas , presentada por S.E. Mons. Eugenio Arellano Fernández, M.C.J.
El Santo Padre ha nombrado vicario apostólico del mismo vicariato a Mons. Antonio Crameri, S.S.C., , trasladándolo de la sede titular de Apolonia y del oficio de auxiliar de la archidiócesis metropolitana de Guayaquil.
AMERICA/ECUADOR – Dimissioni del Vicario Apostolico di Esmeraldas e nomina
Città del Vaticano – Il Santo Padre Francesco il 5 luglio 2021 ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Esmeraldas , presentata da S.E. Mons. Eugenio Arellano Fernández, M.C.C.J.. Il Santo Padre ha nominato Vicario Apostolico del medesimo Vicariato S.E. Mons. Antonio Crameri, S.S.C., trasferendolo dalla Sede titolare di Apollonia e dall’ufficio di Ausiliare dell’Arcidiocesi Metropolitana di Guayaquil.
ASIA/FILIPINAS – Nombramiento del vicario apostólico de Taytay
Ciudad del Vaticano – El Santo Padre Francisco, el 29 de junio de 2021, ha nombrado vicario apostólico de Taytay a S.E. Mons. Broderick Soncuaco Pabillo, trasladándolo de la sede titular de Sitifi y del oficio de auxiliar de la archidiócesis metropolitana de Manila.
ASIA/FILIPPINE – Nomina del Vicario Apostolico di Taytay
Città del Vaticano – Il Santo Padre Francesco il 29 giugno 2021 ha nominato Vicario Apostolico di Taytay Sua Ecc. Mons. Broderick Soncuaco Pabillo, trasferendolo dalla Sede titolare di Sitifi e dall’ufficio di Ausiliare dell’Arcidiocesi metropolitana di Manila.
ASIA/TAIWÁN – Renuncia del obispo de Tainan y nombramiento del administrador apostólico
Ciudad del Vaticano – El Santo Padre Francisco, ha aceptado la renuncia al gobierno pastoral de la diócesis de Tainan , presentada por S.E. Mons. John Lee Juo-wang.
Al mismo tiempo, nombró administrador apostólico Sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis de la misma diócesis a monseñor Bosco Lin Chi-nan, obispo emérito de Tainan
ASIA/TAIWAN – Dimissioni del Vescovo di Tainan e nomina dell’Amministratore Apostolico
Città del Vaticano – Il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Tainan , presentata da S.E. Mons. John Lee Juo-wang. Contemporaneamente il Santo Padre ha nominato Amministratore Apostolico Sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della medesima diocesi S.E. Mons. Bosco Lin Chi-nan, Vescovo emerito di Tainan.