ASIA/CAMBOGIA  – Un ‘Anno della preghiera’ per le comunità cattoliche cambogiane: “come Gesù, come Maria, come i Magi”

Phnom Penh – “Per prepararci all’Anno del Giubileo, il 2025, che sarà un anno di misericordia e di grazia del Signore, prendiamoci del tempo per pregare. La preghiera è il fondamento di tutte le cose, il fondamento della conversione, fondamento della nostra vocazione attraverso l’ascolto della Parola di Dio, il fondamento di ogni attività della comunità cristiana”: così Olivier Schmitthaeusler MEP, Vicario apostolico di Phnom Penh, ha annunciato e presentato ai fedeli l’Anno della preghiera, il 2024, invitando la comunità a viverlo con intensità spirituale in preparazione al Giubileo, secondo l’esortazione di Papa Francesco.
“A volte siamo impegnati a servire gli altri, mettiamo insieme tante attività, e troppo spesso accade così dimentichiamo che il primo principio fondamentale della preghiera è il silenzio. Il silenzio ci insegna a entrare nella preghiera insieme con Dio. In quest’anno nel nostro Vicariato di Phnom Penh troviamo il tempo per pregare”, rimarca un messaggio del Vicario apostolico. 
In una realtà ecclesiale fatta di tante piccole comunità, mons. Schmmitthaeusler invita “ogni comunità locale a riunirsi una volta al mese per una preghiera speciale per le vocazioni, con tutti i fedeli”, ma anche a “riunirsi settimanalmente per pregare e ascoltare la Parola di Dio, con una Lectio divina”. La preghiera, dice, comincia in famiglia: per questo “ogni famiglia si incontri a casa e trovi il tempo per pregare almeno una volta alla settimana, trascorrendo 10-15 minuti insieme in preghiera”, dice rivolgendosi ai genitori cattolici. A livello personale, poi, “ogni cristiano può partecipare almeno una volta alla messa durante la settimana oltre che nel giorno della domenica”, per rafforzare il proprio legame con l’Eucaristia e andare alla fonte della grazia di Dio.
“Lasciamo che il 2024 sia per noi l’anno in cui preghiamo Dio Padre, come Gesù glorificò il Padre in ogni momento. Lasciamo che il 2024 sia per noi l’anno in cui guardare Maria per connetterci al suo cuore, con l’amore di Dio. Facciamo sì che il 2024 sia per noi un momento per convertirci, per credere nel Vangelo predicato da Gesù oltre 2.000 anni fa”, esorta. 
Il Vescovo invita a “pregare come Gesù” ,”tutte le sue opere e parole sono scaturite dalla preghiera” . Invita poi a “fare silenzio come Maria” che ha “serbato tutti gli eventi salvifici nel suo cuore per riflettere sul significato dell’amore di Dio”. Chiede anche di “adorare come i Magi”, che “si misero in viaggio, trovarono il Bambino Gesù e andarono ad adorarlo”.
Il messaggio echeggia in modo speciale tra i giovani dei nove distretti pastorali del Vicariato di Phnom Penh, invitati a “trascorrere tempo con Gesù”, per “conoscere e comprendere la chiamata di Dio nella vita”. Come ha spiegato il Vescovo in un recente incontro di oltre 100 giovani del territorio, per restare “connessi con Cristo” nella vita quotidiana” occorre “credere che Gesù è nel cuore; guardarsi intorno con gli occhi della fede; considerare la propria vita con gratitudine; usare brevi preghiere per comunicare con Dio nel corso del giorno; dedicare tempo alla meditazione e un tempo per la preghiera mattina e sera; allargare lo sguardo ai bisogni del mondo; essere misericordiosi verso gli altri, soprattutto i più poveri”. In tal modo, ha rimarcato “sapremo che la nostra vita è collegata alla presenza di Dio e, nella fede, sappiamo che Gesù è nostro compagno di viaggio ogni giorno”. L’anno di preparazione al Giubileo, allora, sarà per i giovani cambogiani anche uno speciale “anno vocazionale”, per scoprire la chiamata di Dio, anche nella vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata.
Nel 2023 la comunità cattolica della Cambogia ha avuto il dono di nuovi sacerdoti: tre nuovi giovani cambogiani sono stati ordinati preti diocesani nel Vicariato Apostolico di Phnm Penh, inoltre la comunità ha gioito per il primo sacerdote Gesuita cambogiano . Attualmente, la Chiesa cattolica in Cambogia conta 14 sacerdoti autoctoni, oltre a circa 100 missionari stranieri che prestano servizio pastorale in in tutto il paese, diviso tre circoscrizioni ecclesiastiche , dove vi sono nel complesso circa 20mila cattolici.

AFRICA/CONGO RD – Nord Kivu: due soldati sudafricani uccisi; vietate le adunate di preghiera sulle colline attorno a Goma

Kinshasa – Si aggrava la situazione nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo , dove ieri, 14 febbraio, due soldati sudafricani sono rimasti uccisi e altri tre feriti per l’esplosione di un colpo di mortaio che ha colpito la loro base militare. I soldati sudafricani sono dispiegati nella provincia congolese nell’ambito della missione della SADC in appoggio alle forze armate congolesi e alla missione ONU nella RDC che cercano di fermare i guerriglieri dell’M23 che stanno minacciando il capoluogo del Nord Kivu, Goma. Oltre ai 2.900 militari sudafricani che hanno iniziato a dispiegarsi nell’area da dicembre, la missione della SADC comprende pure soldati della Tanzania e del Malawi.
Dalla fine del 2021, il Nord Kivu è in preda a un conflitto tra l’M23, sostenuto da unità dell’esercito ruandese, e l’esercito congolese. Il conflitto ha aggravato la crisi umanitaria persistente nella regione, afflitta da ricorrenti violenze armate da tre decenni.
Per l’aggravarsi delle condizioni di sicurezza il sindaco della città di Goma, l’alto commissario, Kapend Kamand Faustin, ha annunciato ieri, un provvedimento che vieta alle chiese di organizzare adunate di preghiera sulle colline della città.
Il provvedimento fa seguito all’aumento degli scontri osservato negli ultimi giorni in diversi territori della provincia del Nord Kivu.
“Il sovrintendente principale, Kapend Kamand Faustin, informa i capi delle diverse chiese i cui fedeli frequentano le colline attorno alla città per la preghiera, che per motivi di sicurezza questa attività sono sospese fino a nuovo avviso” si legge nel comunicato emesso dalle autorità di Goma. “Pertanto, nessuno potrà salire su alcuna collina per pregare dopo aver ascoltato questo comunicato”.

AFRICA/CONGO RD – Nord Kivu: due soldati sudafricani uccisi; vietate le sessioni di preghiera sulle colline attorno a Goma

Kinshasa – Si aggrava la situazione nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo , dove ieri, 14 febbraio, due soldati sudafricani sono rimasti uccisi e altri tre feriti per l’esplosione di un colpo di mortaio che ha colpito la loro base militare. I soldati sudafricani sono dispiegati nella provincia congolese nell’ambito della missione della SADC in appoggio alle forze armate congolesi e alla missione ONU nella RDC che cercano di fermare i guerriglieri dell’M23 che stanno minacciando il capoluogo del Nord Kivu, Goma. Oltre ai 2.900 militari sudafricani che hanno iniziato a dispiegarsi nell’area da dicembre, la missione della SADC comprende pure soldati della Tanzania e del Malawi.
Dalla fine del 2021, il Nord Kivu è in preda a un conflitto tra l’M23, sostenuto da unità dell’esercito ruandese, e l’esercito congolese. Il conflitto ha aggravato la crisi umanitaria persistente nella regione, afflitta da ricorrenti violenze armate da tre decenni.
Per l’aggravarsi delle condizioni di sicurezza il sindaco della città di Goma, l’alto commissario, Kapend Kamand Faustin, ha annunciato ieri, un provvedimento che vieta alle chiese di organizzare sessioni di preghiera sulle colline della città.
Il provvedimento fa seguito all’aumento degli scontri osservato negli ultimi giorni in diversi territori della provincia del Nord Kivu.
“Il sovrintendente principale, Kapend Kamand Faustin, informa i capi delle diverse chiese i cui fedeli frequentano le colline attorno alla città per la preghiera, che per motivi di sicurezza questa attività sono sospese fino a nuovo avviso” si legge nel comunicato emesso dalle autorità di Goma. “Pertanto, nessuno potrà salire su alcuna collina per pregare dopo aver ascoltato questo comunicato”.

ASIA/MYANMAR – Sciopero silenzioso e preghiera nell’anniversario del colpo di Stato militare

Yangon – Fedeli cattolici del Myanmar trascorrono l’anniversario del colpo di stato operato il 1° febbraio 2021 dalla giunta militare dedicandosi all’Adorazione eucaristica silenziosa, recitando il Rosario, rimettendo la situazione tribolazione e precarietà sotto la protezione della Vergine Maria e invocando “un tempo di pace, giustizia e libertà per la nazione”: lo raccontano cattolici che, insieme con migliaia di altri cittadini, a Yangon – come in altre città birmane – hanno aderito allo sciopero silenzioso indetto “dal basso” per ricordare il tragico evento del golpe, che ha interrotto il percorso democratico e causato un conflitto civile ancora drammaticamente in atto. Come racconta il laico cattolico Joseph Kung, nella parrocchia di Santa Maria a Yangon nella messa mattutina si è pregato “per chi è stato ingiustamente arrestato, per chi è scappato dalla persecuzione, per tutti gli sfollati interni che vivono nel disagio o hanno perso contatto con membri delle loro famiglie”. La comunità locale ha affidato al Signore ” le persone innocenti che sono morte, in tutto il Myanmar, dal giorno del colpo distato a oggi” e, soprattutto implorato Dio “perché la guerra cessi, e tornino la pace, la giustizia, lo stato di diritto, il rispetto del dignità umana, secondo il Vangelo”.
Nel terzo anniversario del colpo di stato, la gente ricorda “le speranze che erano sorte alle elezioni generali 2020, i progetti che allora i giovani facevano parlando della prosperità e della pace, lo sforzo di contenimento della pandemia grazie alla solidarietà nazionale”, rileva Kung. La popolazione ha ricordato tutto questo e scioperato silenziosamente e, mentre in molte città le strade sono deserte, “il dissenso silenzioso fa rumore e arriva alle orecchie dei militari che stanno nuocendo al loro stesso popolo”, nota. “La preghiera oggi scelta è quella della misericordia divina: Gesù, io confido in Te, sia fatta la tua volontà”, rileva, raccontando che l’appello di Papa a vivere un “Anno di preghiera” in preparazione al Giubileo, in Myanmar ha preso la forma di una speciale e continua “preghiera per la pace nella nostra amata nazione”.
Intanto la giunta militare – impegnata a contenere la ribellione sempre più forte che, nell’autunno scorso, ha lanciato l’offensiva denominata “Operazione 1027” conquistando parti del territorio nazionale – ha prolungato lo stato di emergenza per altri sei mesi, affermando che il provvedimento è necessario “per condurre la nazione a un normale stato di stabilità e pace”.
Nei tre anni trascorsi dal 1° febbraio 2021, lo scenario sociale nel paese è mutato: in una prima fase, la popolazione birmana era scesa in piazza pacificamente per manifestare il proprio dissenso, e la risposta dell’esercito fu una dura repressione. La protesta si è gradualmente trasformata in ribellione armata, con la formazione delle “Forze di difesa popolare” composte soprattutto da giovani di etnia bamar, l’etnia principale nella nazione. Si è configurato così un conflitto civile che ancora oggi attraversa il paese e che si è inasprito quando i gruppi della resistenza si sono saldati con le milizie etniche storicamente presenti nelle aree di confine del Myanmar.
In tre anni, la guerra civile ha causato oltre 2,5 milioni di sfollati interni, generando una grave situazione umanitaria, dato che è impedito alle organizzazioni internazionali di portare aiuti.

ASIA/FILIPPINE –  Raduno, preghiera, azione nelle isole  Visayas per la tutela dell’ambiente e lo stop alle attività minerarie

Samar – La distruzione dell’ambiente nell’isola filippina di Samar – tra le isole Visayas, uno dei tre raggruppamenti principali di isole in cui sono amministrativamente suddivise le Filippine – ha creato subbuglio tra la popolazione locale e generato iniziative di solidarietà da parte della comunità cattolica.
A Samar, la terza delle Filippine per estensione, oltre 1500 fedeli si sono radunati nei giorni scorsi in una chiesa nella città di Guiuan, per una speciale assemblea di preghiera e riflessione, ispirata alla enciclica “Laudato si’ ” per pregare e concepire azioni pubbliche al fine fermare l’attività mineraria che sta rovinando l’isola. L’assemblea ha chiesto specificamente la sospensione delle operazioni minerarie sulle isole di Homonhon e Manicani, che vengono saccheggiate da diverse compagnie minerarie, con danni alla popolazione locale e danni irrimediabile al paesaggio e all’ambiente.
Il Vescovo di Borongan, Crispin Varquez, celebrando la messa con l’assemblea riunita, ha rimarcato che, seguendo la bussola che è la Laudato si’, “la protezione dell’ambiente è una responsabilità condivisa ed è una grande responsabilità verso le generazioni future”, perchè “l’ambiente è un tesoro inestimabile non solo per noi oggi, ma anche per i nipoti dei nostri figli. Un ambiente sano e godibile ha un valore più alto di qualsiasi somma di guadagno temporaneo”, ha affermato. Il Vescovo ha voluto citare il paragrafo 217 dell’enciclica, dicendo “La crisi ecologica è anche un appello a una profonda conversione interiore”. Ricordando il detto “pensa globalmente, agisci localmente”, ha rimarcato, si possono affrontare problemi ambientali come la crisi climatica a partire dal proprio luogo di residenza. La comunità diocesana di Borongan è “molto turbata” dalla escalation delle attività minerarie sull’isola di Homonhon, nella città di Guiuan, ha concluso Varquez.
L’iniziativa dei fedeli di Samar ha ricevuto il sostegno della Caritas delle Filippine: “Siamo solidali con le comunità colpite dalle operazioni minerarie nell’isola di Samar”, ha affermato il vicepresidente della Caritas, Gerardo Alminaza. “L’impatto devastante sull’ambiente e sulla vita delle persone ci spinge ad agire con urgenza. Condanniamo pratiche che danno priorità al profitto rispetto al benessere degli individui e degli ecosistemi”, ha detto.
Al raduno hanno preso parte membri del “Homonhon Environmental Advocates and Rights Defenders” , che ha apprezzato il pieno e sostegno della Chiesa cattolica e di altre organizzazioni non governative, al fine di attirare l’attenzione del governo filippino interessate sulle varie violazioni commesse dalle compagnie minerarie. “Ci uniamo all’appello per fermare le operazioni minerarie perché, l’isola ha molto da offrire in termini di servizi ecosistemici e opportunità economiche, da portare avanti in modo sostenibile”, ha scritto l’organizzazione.
Il Dipartimento dell’Ambiente e delle Risorse Naturali ha stipulato accordi per l’estrazione e la produzione mineraria nelle isole Homonhon e Manicani con diverse società minerarie. Ogni giorno la operazioni estrattive creano inquinamento da polvere e rumore a causa della vicinanza delle attività minerarie alle comunità, compiute 24 ore su 24, 7 giorni su 7 . L’attività ha già inquinato le fonti di acqua, che non è più potabile a causa dell’eccessiva insabbiamento.
L’isola di Homonhon, parte del comune di Guiuan, nella provincia di Samar orientale, dispone di ricchi giacimenti di risorse minerarie come cromo e nichel. Storicamente, è stato uno dei primi luoghi di contatto tra europei e popolazioni dell’Asia orientale. Si ritiene che l’isola di Homonhon sia il primo approdo della flotta dell’esploratore portoghese Ferdinando Magellano, che guidò una spedizione spagnola nelle Indie orientali tra il 1519 e il 1522.
Una iniziativa simile si registra anche nella provincia di Negros Occidental, sull’omonima isola di Negros, sempre nelle Visayas, dove i cattolici locali stanno lottando per fermare un progetto multimilionario di estrazione mineraria, non ancora avviato. La comunità diocesana di San Carlos ha espresso forti remore sul progetto di estrazione di rame e altri minerali nel territorio della città di Sagay, dato che esso “non affronta le questioni vitali, in particolare l’impatto sul suolo, sull’aria, sull’acqua e sul benessere generale della comunità”, ha affermato la diocesi in una nota. La vicinanza dei giacimenti ai fiumi Tan-ao e Himogaan è una delle maggiori preoccupazioni poiché i corsi d’acqua sono vitali per la pesca, l’orticoltura, l’irrigazione dei campi e l’allevamento di pesce. Inoltre essi sfociano nella riserva Marina di Sagay, amplificando le preoccupazioni ecologiche, si osserva. Per questo la diocesi chiede “un esame approfondito dell’impatto del progetto estrattivo sulle risorse naturali della comunità”

AMERICA/HAITI – L’ONU: ad Haiti nel 2024 oltre 5.000 omicidi e 2.490 rapimenti; oggi giornata di preghiera per le suore rapite

Port-au-Prince – Si svolge oggi, 24 gennaio, la giornata di preghiera per la liberazione delle sei suore rapite il 19 gennaio e per tutti gli ostaggi detenuti ad Haiti.
L’invito a consacrare la giornata di oggi alla preghiera, alla meditazione e all’adorazione eucaristica è stato lanciato da Max Leroy Mesidor, arcivescovo metropolita di Port-au-Prince e Presidente della Conferenza episcopale haitiana, e da p. Morachel Bonhomme, Presidente della Conferenza dei religiosi haitiani, che nel condannare il rapimento delle otto persone hanno invitato i fedeli a partecipare a una catena di incessanti preghiere per la liberazione delle persone rapite e delle loro famiglie, in tutte le parrocchie e comunità del Paese. La zona in cui è avvenuto il rapimento è territorio conteso da due bande rivali – la Grande Ravine e la Village de Dieu – ma finora nessuno ha ammesso di aver sequestrato le suore.
Il Consiglio episcopale latinoamericano e dei Caraibi ha inviato una lettera a monsignor Max Leroys Mésidor, arcivescovo di Port-au-Prince e presidente della Conferenza episcopale di Haiti, nella quale esprime la sua solidarietà al popolo haitiano, invitando le Conferenze Episcopali dell’America Latina e dei Caraibi ad unirsi a questa catena di preghiera per perseguire “le lotte quotidiane per la pace sociale e migliori condizioni di vita in quell’amato Paese”. “Ci uniamo a voi nel chiedere ai rapitori la libertà di questi fratelli e sorelle che hanno dedicato la loro vita al bene del popolo haitiano e la cui dignità è sempre superiore a qualsiasi conflitto o interesse particolare” afferma il CELAM.
L’ondata di violenza che sconvolge il Paese caraibico si è aggravata nell’anno appena trascorso secondo quanto riporta il rapporto delle Nazioni Unite presentato ieri, 23 gennaio, dal Segretario generale Antonio Guterres. Il rapporto denuncia l’escalation di violenza tra bande ad Haiti, con il numero di omicidi più che raddoppiato nel 2023, raggiungendo quasi 5.000 vittime. La situazione, in particolare a Port-au-Prince, è descritta come devastante e mette in pericolo la vita degli haitiani.
I crimini commessi dalle bande organizzate, omicidi, violenze sessuali e rapimenti, rimangono impuniti, con un aumento del 119,4% degli omicidi denunciati nel 2023 rispetto all’anno precedente. Guterres sottolinea anche il preoccupante aumento del numero dei rapimenti, passati da 1.359 nel 2022 a 2.490 nel 2023.

AFRICA/BURKINA FASO – “Non importa quanto dura e lunga sia la lotta, il tempo della riconciliazione verrà”: si apre la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Ouagadougou – Le riflessioni, le meditazioni, le preghiere e le celebrazioni che tutti i battezzati nel mondo utilizzano nel corso della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2024 sono state preparate da un gruppo ecumenico del Burkina Faso, coordinato dalla comunità locale di “Chemin Neuf”. Il tema scelto è “Ama il Signore Dio tuo… e ama il prossimo tuo come te stesso” . “Coloro che sono stati coinvolti nella stesura del testo come i rappresentanti dell’arcidiocesi cattolica di Ouagadougou, delle Chiese protestanti, degli organismi ecumenici e della comunità Chemin Neuf, hanno collaborato generosamente alla stesura delle preghiere e delle riflessioni, vivendo già questa esperienza di lavoro insieme come un autentico cammino di conversione ecumenica”, rimarca all’Agenzia Fides Teresa Francesca Rossi, teologa e condirettrice del “Centro Pro Unione” a Roma, luogo pulsante di spiritualità ecumenica che, già dai tempi del Concilio Vaticano II, organizza incontri, seminari di formazione momenti di preghiera. “Il gruppo del Burkina ha riflettuto sul tema di Amare Dio e il prossimo in una situazione in cui la sicurezza personale e sociale è messa a repentaglio”, rileva
Il Burkina Faso si trova nell’Africa occidentale, nella regione del Sahel, che comprende i territori limitrofi del Mali e del Niger. Si estende su 174.000 km² e conta 21 milioni di abitanti, appartenenti ad una sessantina di etnie. In termini religiosi, circa il 64% della popolazione è musulmano, il 9% aderisce alle religioni tradizionali africane e il 26% è cristiano . Questi tre gruppi religiosi sono presenti in ogni regione del paese e praticamente in ogni famiglia.
La nazione attraversa una grave crisi che mina la sicurezza personale e sociale e che coinvolge tutte le comunità di fede: “Dopo un grave attacco jihadista organizzato dall’esterno del paese nel 2016 – osserva il testo diffuso in occasione della presentazione della Settimana per l’unità – le condizioni di sicurezza in Burkina Faso e, conseguentemente, la coesione sociale del paese, si sono drammaticamente deteriorate. Il paese ha sofferto una prolungata proliferazione di attacchi terroristici, di illegalità e di traffico di esseri umani; una situazione che ha causato oltre tremila morti e quasi due milioni di sfollati all’interno del paese, mentre sono state chiuse migliaia di scuole, centri sanitari, municipi e sono andate distrutte gran parte delle infrastrutture socio-economiche e di trasporto. Gli attacchi mirati contro specifici gruppi etnici aggravano il rischio di conflitti interni tra le comunità: questa situazione di allarme per la sicurezza mina la coesione sociale, la pace e l’unità nazionale”.
In tale cornice di instabilità “anche le chiese cristiane sono state oggetto di attacchi armati: sacerdoti, pastori e catechisti sono stati uccisi durante il culto e rimane tuttora sconosciuto il destino riservato ad altri che sono stati rapiti”. Secondo gli osservatori, oltre il 20% del territorio nazionale è fuori dal controllo dello stato. Sicchè, “i cristiani non possono più praticare apertamente la loro fede in questi contesti; a motivo del terrorismo, infatti, la maggior parte delle chiese cristiane nel Nord, nell’Est e nel Nordovest del paese sono state chiuse e non c’è più alcun culto cristiano pubblico in molte di queste aree. Dove il culto è ancora possibile – di norma nelle grandi città e sotto la protezione della polizia – è stato comunque necessario abbreviare le celebrazioni per garantirne la sicurezza”, si afferma nel testo.
La speranza, in una situazione difficile, viene dal notare “la piena solidarietà tra le religioni cristiana, musulmana e tradizionali, i cui leader si stanno impegnando per trovare soluzioni durature a favore della pace, della coesione sociale e della riconciliazione. Ne è un esempio la Commissione per il dialogo cristiano-musulmano della Conferenza episcopale cattolica del Burkina Faso-Niger, che sta compiendo uno sforzo notevole per promuovere il dialogo e la cooperazione tra le religioni e le etnie”.
In risposta agli appelli lanciati dal Governo a pregare per la pace, la coesione sociale e la riconciliazione, le singole chiese continuano a promuovere momenti di preghiera quotidiani e digiuni. Si è, inoltre, intensificata l’azione congiunta da parte delle varie comunità cattoliche e protestanti per offrire assistenza agli sfollati, con l’organizzazione di incontri di sensibilizzazione allo scopo di promuovere il valore della fraternità e di sviluppare strategie per ricostruire una pace duratura. Questa speranza si riflette anche nel proverbio tradizionale Mossi, il gruppo etnico maggiore in Burkina Faso: “Non importa quanto dura e lunga sia la lotta, il tempo della riconciliazione verrà”.
In questo contesto “l’invito a lavorare insieme per la redazione dei testi per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 2024 – conclude Teresa Francesca Rossi – ha provocato le diverse chiese del Burkina Faso a camminare, pregare e lavorare insieme nell’amore reciproco durante questo periodo difficile per il Paese. L’amore di Cristo che unisce tutti i cristiani è più forte delle divisioni e i cristiani del Burkina Faso si impegnano a percorrere la via dell’amore per Dio e per il prossimo. I battezzati nutrono ferma fiducia che l’amore di Dio vincerà la violenza che attualmente affligge il loro paese”.