Pellico, Silvio, 1789-1854; Palmén, Hjalmar F. [Translator]Vankeuteni

Vankeuteni
2018-08-03

Pellico, Silvio, 1789-1854 — Imprisonment; Authors, Italian — 19th century — Biography; Political prisoners — Italy — Biography; Milan (Italy) — History — 1535-1859 — Sources; Spilberk (Brno, Czech Republic : Castle); Carbonari — History — Sources; Political prisoners — Czech Republic — Biography

“L’osteria” di Silvio D’Arzo

Come in altre opere di D’Arzo, non succede praticamente nulla in questo romanzo, ambientato forse in una Mitteleuropa ottocentesca, ma è un nulla di grande densità e spessore, ricco di meraviglia e di incanto: è un oscillare continuo tra l’essenzialità delle cose e delle persone e il loro aspetto fantastico.

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Dall’incipit del Prologo:

Marek vedovo, da che la moglie gli era stata sepolta nella valle assieme ai vecchi amici carrettieri, non metteva più piede nella strada, benché né ricordi, o particolari pene o nostalgia lo tenessero chiuso in quel suo andito dall’odore di notte o acqua notturna.
«Ehi ehi» gli andavano gridando qualche volta di giù i vecchi compagni, e uno magari portava lettere o pacchi nei cortili, magari uno teneva in mano una scopa antica e dura per aiutare il volo delle foglie «ehi ehi, mi sembra che Marek vedovo ora esageri.» O anche: «Sua moglie è in mezzo a tutti i carrettieri. È nella valle, in mezzo a tutti i vecchi carrettieri, e qualcheduno non andava mai dal reverendo Gonek per la predica». O anche, poi: «E nemmeno eran tutti vecchi, i carrettieri». (Si udiva ora la scopa di fascine stridere brevemente sopra i sassi, poi addolcirsi dentro una pozza d’acqua, poi riprendere: anche s’udiva il nome e il cognome di un vicino con degna e stizzosa voce d’uomo piccolo). E infine, e sorridevano: «Farebbe meglio ad andar giù dall’Eva, dietro il banco».
Ridendo, assicuravano di averla vista appunto un minuto prima: e dietro il banco.

Scarica gratis: L’osteria di Silvio D’Arzo.

“L’uomo che camminava per le strade” di Silvio D’Arzo

L’uomo che camminava per le strade è un romanzo incompiuto. L’indice completo che è stato trovato nel manoscritto prevedeva 23 capitoli, ma il testo si interrompe al termine del capitolo ottavo. Lo stesso capitolo ottavo venne pubblicato su “Il Meridiano di Roma” il 18 febbraio 1940 come racconto autonomo con il titolo Sera sul fiume. Lucia Giroletti, nel suo interessante lavoro su Silvio D’Arzo La “religione” della scrittura, ipotizza altresì che i racconti I morti nelle povere case e Peccato originale corrispondano ai capitoli tredicesimo e quattordicesimo del romanzo progettato ma rimasto incompiuto.

La prima edizione di questo testo è del 1981 a cura di A. L. Lenzi sulla rivista “Contributi” anno quinto n. 9 con il titolo Un inedito giovanile: «L’uomo che camminava per le strade». Certamente questo testo va inquadrato nel periodo di grande attività di scrittura dell’autore negli anni 1939-40. In una lettera ad Aldo Garzanti del 24 marzo 1942 D’Arzo ne propone la pubblicazione.

L’ambientazione, quella della scuola, non è certo insolita per la narrativa darziana: la troviamo anche, per esempio, in Un ragazzo d’altri tempi e in Penny Wirton. Carlo Stresa, protagonista del racconto, è un professore di latino che vive in una pensione. Il principale interlocutore di Carlo Stresa è Ladi, che è un cieco. Anche la presenza di personaggi ciechi è ricorrente nella narrativa di D’Arzo; ricordiamo ad esempio Essi pensano ad altro e, soprattutto, Penny Wirton e sua madre. Il rapporto tra Carlo Stresa e Ladi riecheggia e ripropone il rapporto tra Riccardo e Arseni in Essi pensano ad altro. I dialoghi non sono certamente particolarmente vivaci, ma il silenzio tra i due sembra comunque comunicativo e reale ed è propedeutico a una grande confidenza. Ripropone comunque domande che D’Arzo si sforza sempre di sviluppare e argomentare. «Siete religioso?» domanda Ladi; «Quanto basta, dottore.» risponde Carlo Stresa. Come non riconoscere in questo embrione di dialogo quello che ritroveremo nel capolavoro darziano Casa d’altri, tra Zelinda e il prete? Il titolo sembrerebbe indicare un percorso che del viaggio ha comunque poco: manca una partenza, un itinerario, un arrivo. C’è uno spostamento tra la pensione e la scuola che è ricco di riflessioni, sensazioni, emozioni e stati d’animo che rendono questo “camminare per le strade” un errabondo vagare.

Questo testo si configura quindi come importante nel percorso dell’autore verso le sue progressive conquiste sia stilistiche che esistenziali, e lo affiancano a vari racconti pubblicati negli stessi anni, e anche al crescere della sensibilità dell’autore attraverso letture e scrittura di critica saggistica. Non a caso nel terzo capitolo viene citato, subito dopo Lazarillo di Tormes, la cui lettura viene vista come strumento di raggiungimento della serenità, Il libro di Goha il semplice di A. Ades e A. Josipovici. Lettura che si ricollega all’interesse di D’Arzo per il Robinson Crusoe che non appare ininfluente su questo racconto: abbiamo ancora una volta uno sfuggire e un trapiantarsi altrove e dall’altrove inviare messaggi. Dalla distanza e dalla solitudine si costruisce però uno spazio di ricerca e una spinta all’azione. La prova di questa ricerca la troviamo anche nei tentativi di aggregazione e disgregazione della propria scrittura, estrapolazione e trasferimento da un testo all’altro, testimoniata dai motivi ricorrenti e dalla riproposta come racconti autonomi di singoli capitoli dei suoi testi, come in questo caso. Sicuramente questa sua ricerca e sperimentazione narrativa e linguistica, la sua originalità ha una parte importante per confinare D’Arzo in quel profondo destino di solitudine e di oblio nel quale è stato relegato.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Carlo Stresa compiva ventinove anni quel giorno. E il numero gli fece uno strano effetto. Suono sgradito, inconsueto. Si era abituato a dire ventotto, ventotto, ventotto, per trecentosessantacinque giorni in fila e adesso non riusciva a capacitarsi di non poterlo più dire. E per un solo giorno, poi: per le ultime ventiquattr’ore soltanto neutre e grigie come le migliaia d’ore passate da quand’era nato. Fino a martedì, ieri, aveva ventotto anni, e adesso un anno di più, di punto in bianco; ora ne aveva ammucchiato di colpo ventinove; come uno, quel droghiere là, per esempio, sulla piazzetta che domani, fra solo dodici ore e qualche cosa, ne potrebbe anche compiere trenta.
Il droghiere sarebbe andato a dormire verso le undici, come tutte le altre sere: un sonno riposato, di gusto, da persona sana; poi il risveglio, quando per le strade si sente il primo odore del pane. E avrebbe avuto trent’anni.

Scarica gratis: L’uomo che camminava per le strade di Silvio D’Arzo.

“E tu no!” di Pietro Silvio Rivetta (alias Toddi)

E tu no! fu pubblicato nel 1937, pochi mesi dopo l’occupazione di Addis Abeba da parte dell’ingente spiegamento di forze militari italiane, impegnate nella più imponente guerra coloniale – forse uguagliata successivamente da quella francese in Algeria e poi dalla statunitense in Vietnam, anche se i contesti erano certamente molto diversi – del tutto ingiustificata da un punto di vista economico, come è stato ampiamente analizzato e dimostrato, e realizzata in base a odiosi criteri razzisti al solo scopo di raggiungere banali obiettivi propagandisti di regime. Ed ecco che Toddi (Pier Silvio Rivetta) spreca sull’altare di questa propaganda l’occasione di realizzare un buon romanzo.

Non si può non riconoscere una certa abilità narrativa da parte dell’autore; la ricerca dell’effetto è realizzata in maniera efficace, lo svolgimento della trama corre con ritmo indiavolato – infatti la prima parte si svolge tutta in ferrovia quasi per sottolineare l’incalzare degli avvenimenti – e le numerose digressioni, che talvolta appaiono incomprensibili al primo impatto, non appesantiscono il racconto, anzi tengono desta l’attenzione di chi legge perché sono ben condotte e sapientemente utilizzate. Ma negli ultimi capitoli tutto questo viene utilizzato per una propaganda di regime che casca sullo svolgimento del romanzo in maniera completamente artificiosa e non si può non avvertire uno squilibrio vistoso e, almeno oggi, decisamente fastidioso. All’epoca invece era probabilmente all’altezza delle aspettative del min.cul.pop e dell’attenta censura di Pavolini. Ma anche di quelle di gran parte della popolazione visto che la storia ci conferma che il discorso mussoliniano del 2 ottobre 1935 – abbondantemente citato nella parte finale del romanzo – fu seguito in maniera entusiasta da almeno venti milioni di persone nelle piazze di tutta Italia. Fu il discorso con il quale si dichiarava in pratica guerra all’Etiopia e che è un condensato di tutte le spocchiose argomentazioni care ai nazionalisti, dalla volontà di riscattare la disfatta di Adua del 1896, allo scontro tra nazioni borghesi e nazioni proletarie.

Il giovane sfaccendato e perdigiorno Marco Torrisi, che vive lautamente sovvenzionato da una vecchia e ricca zia, corre dietro a una artista di varietà ma si stanca presto mettendo però i presupposti per una serie di disavventure successive. Si invaghisce di una bella ragazza, che lui crede sposata, che viaggia sola verso la Jugoslavia, e che, per fortunatissima coincidenza incontra nuovamente nel paese di residenza della vecchia zia. Da inguaribile e spendaccione donnaiolo si trasforma quindi in avveduto possidente terriero e, dopo aver ascoltato il famoso discorso del duce, parte per l’Etiopia. Questa trasformazione forse ci poteva anche stare dosando meglio le fasi della trasformazione psicologica del frequentatore di tabarin pronto a correre dietro a ogni gonnella; invece si passa da una serie di situazioni umoristiche al limite del grottesco, divertenti e letterariamente non infime, alla descrizione di una sorta di eroe patriottico che diviene improvvisamente sensibile al proprio ruolo sociale nell’“ora storica per la patria”. Non può mancare anche l’attacco all’Inghilterra, realizzato tramite le diverse vedute all’interno di una improbabile collaborazione imprenditoriale italo-britannica che coinvolge la famiglia di Anna, la bella bionda conosciuta in treno. Se anche queste pagine non avessero una finalità propagandistica, la descrizione della “cugina Meredith” sarebbe da ricordare come una riuscita satira di un certo bigottismo e comico conservatorismo anglicano. Restano le pagine ricche di spunti di autentica comicità, tra tutte la descrizione della nottata da ubriachi dei tre amici perdigiorno del protagonista, e una testimonianza storica delle orrende conseguenze di un mondo della cultura oppresso e manipolato.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Il gracidìo d’una suoneria elettrica segnò il momento preciso in cui l’esistenza di Marco Torresi, scialba e insignificante sin allora, prese improvvisamente una strada diversa: divenne varia, colorata e gaia.
Fu un semplice campanello: quello che suonò invano – invano ai fini normali e immediati – nel corridoio di una vettura-letti Roma-Nizza, in una imprecisabile notte di settembre.
La vita di Marco Torresi diventò degna di esser vissuta, e degna persino di esser narrata.
La suoneria dei vagoni-letto ha una voce speciale gràcida sommessamente, per distinguersi dal cupo coro di u e di o che le ruote del treno ripetono, monotono, durante tutto il viaggio. Poco prima, il diretto si era fermato alla stazione di Civitavecchia. Quindi aveva ripreso la sua corsa nella notte. Le ultime tendine si erano abbassate. Le tendine son le pàlpebre dei finestrini: dicevano che anche i più tardivi viaggiatori si accingevano a dormire. Il campanello, nel corridoio, chiamò: e il piccolo bianco dischetto di avviso segnalò che la presenza del conduttore era desiderata nella terza cabina. Cabina numero 3, singolo.

Scarica gratis: E tu no! di Pietro Silvio Rivetta (alias Toddi).