“Dalle origini a Nicea” di Guido De Ruggiero

De Ruggiero pubblicò questo saggio per la prima volta nel 1920; poi, ben quattordici anni dopo, volle rivedere il suo lavoro poiché, oltre ad esser stato criticato per non aver ricostruito adeguatamente lo spirito cristiano, stabilì di fare alcune modifiche che riteneva rilevanti e necessarie.

La prima variazione fu di aggiornare il testo alle più recenti ricerche sulla nascita del cristianesimo, approfondendo alcune controversie che nella prima edizione non aveva esposto in maniera esauriente, preoccupato di rendere la lettura più agevole e meno pesante; ora, al contrario, riteneva che questa maggiore analisi dei fatti avrebbe reso il testo più interessante.

La seconda modifica fu quella di fornire un’interpretazione religiosa più storica, servendosi in misura maggiore degli studi esoterici riguardanti gli albori della religione orientale e cristiana.

Il saggio inizia analizzando la vita socioculturale del mondo romano, ellenistico e giudaico nei secoli avanti la venuta di Cristo; il testo prosegue esaminando l’avvento di Gesù Cristo, l’origine e l’affermazione del cristianesimo come religione di stato. L’opera si conclude con una disamina delle correnti filosofiche legate al cristianesimo e che portarono alla nascita di nuove interpretazioni considerate eretiche dalla neonata chiesa cristiana.

Sinossi a cura di Raffaele Fantazzini

Dall’incipit del libro:

La filosofia greca chiude il suo ciclo storico con una negazione di quelle premesse ideali che avevano formato la sua classica grandezza. Nata entro i confini della πόλις, aveva misurato geometricamente il suo mondo come una grande città da costruire; e soloin questa cinta spaziava con disinvolta libertà e ne arricchiva il suolo con le creazioni della sua arte inesauribile. Qualche prospettiva dell’infinito balenava qua e là dai chiusi confini; ma il pensiero se ne ritraeva sgomento, ripugnandogli tutto ciò che fosse vago e confuso; e si fermava con compiacenza a guardare la nitida e precisa linea del suo mondo proprio, atta ad appagare l’occhio e lo spirito che ne dipendeva. Questo mondo era suo soloin quanto esso lo dominava e possedeva conlo sguardo. Assorbito nella visione, esso si confondeva con l’oggetto, perdendo ogni distinta ragione di sé. Perché vi era presente? con quali fini propri da realizzare? Quali obblighi scaturivano dai suoi rapporti con le cose?

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