ASIA/PAKISTAN  – Elezioni tra crisi economica, tensioni politiche, tutela dei diritti

Islamabad – La popolazione del Pakistan va alle urne l’8 febbraio per eleggere il Parlamento federale, chiamato Assemblea nazionale, e le assemblee legislative di quattro province. I votanti sono 128 milioni di cittadini al di sopra di 18 anni, su una popolazione di 241 milioni. In lizza vi sono 5.121 candidati per l’organismo federale e 12.695 per le assemblee province. Nell’Assemblea nazionale, composta da 336 seggi, 266 vengono decisi tramite voto diretto il giorno delle elezioni, mentre 70 seggi riservati – 60 per le donne e 10 per le minoranze religiose non musulmane – vengono assegnati in base alla percentuale ottenuta da ciascun partito alla Camera. Una volta eletta e costituita, l’Assemblea Nazionale voterà il Primo Ministro che deve ottenere la maggioranza semplice della Camera. Un processo simile viene seguito a livello provinciale per scegliere il primo ministro e il governo di ogni singola provincia.
A livello federale, nei 44 partiti politici che si presentano, tra i principali candidati figurano due ex primi ministri e un terzo ex premier che è in prigione. Magnate degli affari, multimilionario e tre volte premier, Nawaz Sharif, della Lega musulmana del Pakistan, proviene da una delle famiglie che hanno dominato la politica pakistana per decenni. Imran Khan, il trionfatore delle elezioni del 2018, del partito Pakistan Tehreek- e-Insaf, è l’ ex Primo ministro in carcere da agosto 2023, condannato a varie pene detentive nell’ultima settimana. Vi è poi Shehbaz Sharif, 72 anni, fratello minore di Nawaz Sharif, succeduto a Imran Khan come primo ministro nell’aprile del 2022. Infine un quarto candidato, Bilawal Bhutto, 35enne figlio di Benazir Bhutto, la leader assassinata nel 2007, si presenta per il Partito popolare del Pakistan.
Sono diverse le sfide che dovrà affrontare il governo nella nazione dell’Asia meridionale negli ultimi anni attanagliata da una grave crisi economica. La scorsa estate il Pakistan ha evitato il default attraverso un piano di salvataggio di 3 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale , ma il sostegno termina a marzo, dopodiché la nazione avrà bisogno di un nuovo programma di aiuti. “Negoziare un nuovo programma, e in tempi rapidi, sarà fondamentale per il nuovo governo, che prenderà il controllo di un’economia afflitta da un’inflazione record e da una crescita lenta”, nota il missionario australiano p. Robert Mc Culloch, della Società di San Colombano, per oltre trent’anni missionario nel paese, tuttora presidente del Consiglio amministrativo del St. Elizabeth Hospital, ospedale cattolico di Hyderabad, struttura di eccellenza nel Pakistan meridionale.
“Il nuovo esecutivo dovrà percorrere un sentiero stretto verso la ripresa, ma che limiterà le opzioni politiche per fornire sollievo a una popolazione profondamente frustrata e impoverita; d’altro canto cercando di dare un impulso alle industrie per stimolare la crescita”, rileva. Nel paese, riferisce il missionario, “le tensioni politiche sono state elevate nel periodo precedente alle elezioni, soprattutto a causa di ciò che l’ex primo ministro Imran Khan ha definito ‘un giro di vite’ nei suoi confronti e nel suo partito”.
Un altro tema sempre importante è quello relativo al ruolo dell’esercito sulla scena politica, formalizzato negli ultimi anni anche nell’ambito economico con la presenza di esponenti militari nel “Special Investment Facilitation Council”, organismo avviato sotto la guida dell’ex primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif con l’obiettivo di attirare investimenti stranieri e stimolare la crescita economica della nazione. Va notato che, in passato, i governi eletti sono stati estromessi dall’intervento militare , o dalla pressione indiretta dei generali.
D’altro canto attacchi di militanti e gruppi islamisti sono aumentati negli ultimi 18 mesi: tali gruppi – in particolare il Tehreek-e-Taliban Pakistan – si sono riorganizzati dopo che in Afghanistan i talebani sono tornati al potere nel 2021, effettuato una serie di attacchi di alto profilo su suolo pakistano. Qui si innesta anahce l’insurrezione etno-nazionalista in Belucistan, provincia del Sudovest, che prende di mira anche gli interessi dell’alleato chiave del Pakistan, la Cina, che ha promosso investimenti strategici nel porto di Gwadar per il progetto della “Via della Seta”.
Nella società pakistana, infine, rileva padre Mc Culloch, resta aperto il tema delle discriminazioni di natura culturale, etnica e religiosa, che gruppi e comunità non musulmane hanno riproposto nell’agenda pubblica alla vigilia del voto, auspicando che “tutti i partiti politici inseriscono nel loro programma politico il tema della tutela dei diritti delle minoranze e del loro benessere” e ricordando che “i cittadini non-musulmani, a partire dalla nascita del Pakistan, nel 1947, hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo, nella prosperità e nella fioritura economica, sociale e culturale del Pakistan”.

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